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SULLA INTERPRETAZIONE MISTICA DEL ROMANZO DI LONGO

Author(s): Marisa Berti


Source: Studi Classici e Orientali , 1967, Vol. 16 (1967), pp. 343-358
Published by: Pisa University Press S.R.L.

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/24176291

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SULLA INTERPRETAZIONE MISTICA
DEL ROMANZO DI LONGO

I. - Critica al Chalk

Dopo il Rohde ('), che tendeva a mettere in evidenza soprattutto l'ar


tificiosità stilistica e compositiva di Longo, gli studiosi hanno cercato
vari modi di illustrare l'originalità del suo romanzo, il più noto tra
manzi greci ed il più importante per l'influenza che ha avuto nella l
ratura successiva (2).
Il problema critico è divenuto preminente dopo la pubblicazione
lavori di R. Merkelbach (1959-62) e di H. H. O. Chalk (i960) (3).
terpretazione del romanzo per il Chalk è preclusa a chi non tiene co
che il vero protagonista è Eros, inteso come forza cosmica, che gov
tutto l'universo e da cui dipendono non solo gli uomini ed ogni essere
vente, ma anche le cose inanimate.
Credo invece che Longo non si accinga ad un'opera di divulgazio
religiosa, ma si proponga esclusivamente di dilettare il lettore. Egli
so introduce il romanzo con queste parole : ο καί νοσοΰντα ίάσεται, κα
ποΰμενον παραμυθήσεται, τον ερασθέντα άναμνήσει, τον ουκ ερασθέντα προ
δεΰσει (Proem. 3)·
A mio parere, tutto il Proemio è da considerare come un gioco
terario. La storia è narrata in prima persona dall'autore, che si pres
come un cacciatore nell'isola di Lesbo. Giunto in un boschetto ameno,
egli vede un quadro raffigurante le varie fasi di una vicenda d'amore,
che lo inducono a scrivere il romanzo.
La menzione di questo quadro, secondo il Chalk, darebbe inizio alla
rappresentazione allegorica di Eros, se non che l'interpretazione appare

(1) Der gnechische Roman und, seine Vorlaufer, Leipzig 1876.


(2) Cfr. L. Castiglioni, Osservazioni critiche a Longo Sofista, a Rivista di Filolo
gia e di Istruzione Classica » XXXIV (i960), pp. 293-316; Stile e testo del romanzo pa
storale di Longo, « Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere » LXI
(1928), pp. 203-23; G. Dalmeyda, Longus et Alciphron, « Mei. Glotz », Paris 1932,
pp. 277-87; Pastorales (Daphnis et Chloé), Paris i960; F. Martinazzoli, Ethos ed Eros
nella poesia greca, Firenze s.d.; B. Lavagnini, Studi sul romanzo greco, Messina-Fi
renze 1950; J. Cataudella, Il romanzo classico, Firenze 1958.
(3) Eros and the Lesbian Pastorals of Longos, « Journal of Hellenic Studies »,
LXXX (i960), pp. 32-51.

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staccata dalla realtà. Longo si unifor


εκφράσεις (4). Si deve supporre che i
del romanzo per inquadrare la vicen
ad altri romanzieri. Per es., in Abrocome ed Anzia, di Senofonte Efesio,
i giovani protagonisti, alla fine delle loro avventure, dedicano nel tempio
di Artemide ad Efeso una iscrizione, che riassume la loro storia (V
I5>2)·,
L'amore è il motivo fondamentale nel romanzo di Longo, ma non
è per lui un sentimento divino, bensì è inteso come desiderio di bellezza.
Tutti gli elementi naturali, nei quali il Chalk vede una rappresenta
zione simbolica di Eros, vanno spogliati di ogni misticismo. Anche le fon
tane sono coinvolte in questa interpretazione, la quale peraltro non tiene
conto che anche le fontane sono un τόπος descrittivo, di cui Longo fa uso
nella descrizione di ambienti naturali. La bellezza della natura ed il suo
multiforme fascino sono lo sfondo della storia di Dafni e Cloe.
Anche la musica appare al Chalk non solo espressione dell'armonia
dell'universo, ma anche un elemento essenziale del romanzo (5).
A mio parere, la musica non è affatto per Longo il motivo predo
minante di un quadro mistico, ma un elemento descrittivo dell'ambiente,
atto a creare l'atmosfera di quiete campestre.
Quando Fileta consegna a Dafni il suo strumento, non compie un ge
sto di significato simbolico, ma esprime la gioia e la gratitudine per colui
che ha salvato la fanciulla rapita.
Anche le Ninfe e Pan, che intervengono nella vita di Dafni e Cloe,
appaiono al Chalk come δαίμονες, per opera dei quali si manifesta agli
uomini la potenza di Eros. Ma la loro presenza non serve ad inquadrare
la vicenda in un ambiente mistico. Longo si è servito di queste divinità
come di un elemento convenzionale, caratterizzante la vicenda di un amo
re pastorale. Pan e le Ninfe compaiono, ad esempio, anche nella Comme
dia, dove non hanno alcuna funzione particolare (6), come quella che il
Chalk attribuisce loro nel romanzo di Longo.
Il mondo animale e vegetale, dice il Chalk, partecipa dell' atmo
sfera religiosa del romanzo, diventa simbolo e manifestazione reale di
Eros. Se è chiaro il legame tra l'edera e la vite, che ricoprono l'ara del
tempietto di Dioniso nel giardino di Lamone, e il dio stesso, la presenza
di queste piante nel romanzo non basta certo a fare dì Longo uno scrit

(4) A. Calderini, Le avventure di Cherea e Calliroe, di Caritone, Torino 1913, pp.


143-5, ricorda la parte rilevante che nei romanzieri greci ha la cultura contemporanea,
in particolare l'opera d'arte. Gli epigrammisti descrivono quadri e statue ed i roman
zieri ne seguono l'esempio traendo lo spunto dalle loro descrizioni.
(5) Essa entra per la prima volta in scena per festeggiare il ritorno di Cloe, rapita
dai Metimnesi e salvata da Pan (II 33 ss.).
(6) Va soprattutto ricordato il Δύσκολος di Menandro, vv. 2-4, 36-9, 400.

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tore di misteri. La descrizione del giardino, compreso il tempietto del dio,


è comune nella Seconda Sofistica (7).
Neppure l'edera, che si abbarbica ai due mirti vicini alla casa di
Driante, rappresenta un elemento simbolico, bensì una nota realistica,
naturale del paesaggio.
Di altre piante fa menzione Longo: rose, viole, papaveri, gigli, gia
cinti, melograno (8), uva, peruggini e fichi riempiono il giardino di Fi
leta (II 3,4); rose, giacinti, gigli, violette, narcisi, pimpinelle, alberi da
frutto, mirti, edera, cipressi, platani, lauri e pini, popolano quello di La
mone (IV 2,2 ss.) 0.
Alcune di queste piante potrebbero avere un significato mistico, co
me il mirto ed il pino (10), ma per le altre questa interpretazione è impos
sibile. Il Chalk non tiene sempre conto dell'ambiente in cui si svolge la
vicenda di Dafni e Cloe, la campagna. È inevitabile che tra le piante che
Longo descrive ci siano anche quelle che altrove hanno valore simbolico
e significato misstico. L'interpretazione mistico-allegorica dello studioso in
glese mi pare priva di fondamento. Molte piante menzionate da Longo
fanno parte del paesaggio in Verg. Ecl. II 46-50.
Il Chalk riconosce all'origine della vicenda uno schema: le stagio
ni, le reazioni degli innamorati e gli eventi sono connessi tra loro ed in
sieme governati da Eros, che condiziona ogni elemento del romanzo.
La descrizione delle stagioni è molto realistica (u). In particolare Lon
go, parlando dell'inverno (III 3,1-2), vuole cogliere l'effetto che anche
questa stagione, come le altre, ha sulla vita e sullo stato d'animo della
gente del luogo. I pastori ed i contadini non possono attendere ai lavori
consueti e considerano l'inverno la stagione più bella dell'anno, lieti di
poter fare lunghi sonni fino al mattino; non mettono il naso fuori dalla

(7) Cfr. E. Rohde, op. cit. p. 505. Giardini simili erano oggetto anche della pit
tura paesaggistica ed esistevano nella realtà (cfr. i giardini platonici, epicurei e peripa
tetici). La loro disposizione, a cui si aggiungevano ornamenti architettonici, rivela la
concezione che i Greci hanno della natura dominata dall'uomo con intenti artistici
(cfr. ancora il Rohde, op. cit. p. 513).
(8) Bisogna riconoscere che A. Tazio incidentalmente attribuisce un significato al
legorico al melograno (III 6,r), ma, come in questo romanzo questa affermazione è del
tutto occasionale, cosi in Longo la presenza della pianta non deve necessariamente cor
rispondere ad una interpretazione mistica dell'intera vicenda.
(9) G. Dalmeyda, Pastorales (Daphnis et Chloé), Paris i960, pp. XXVI-VII, ha
notato una somiglianza tra la descrizione dei due giardini.
(10) Il mirto (II 3,4 - II 4,1 - III 5,1 - IV 2,2) richiama, per Cholk, i misteri or
fico-dionisiaci, poiché i boschetti sono i ritrovi degli iniziati (cfr. Aristofane, Rane
w. 156-8). Significato allegorico egli attribuisce anche all'edera, connessa col culto di
Dioniso, ed al pino, legato al nome di Pan ed ai miti dionisiaci (cfr. la leggenda di
Pan e Pitys in I 27,2 ss.).
(n) G. Dalmeyda, op. cit. p. XXIV, pur differendo profondamente dall'interpre
tazione allegorica del Chalk, vede anch'egli uno schema prestabilito tra le stagioni, i
protagonisti e gli eventi. Ad esempio, egli ritiene che Longo dia una rappresentazione
troppo cruda dell'inverno allo scopo di accentuare il dolore dei due giovani per la se
parazione.

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porta e si dedicano ad altre semplici occupazioni. Queste osservaz


rappresentano vivamente la vita degli umili e non potrebbero ess
concrete e realistiche, più lontane da significati simbolici.
Caratteristica è la descrizione che Longo fa della vendemmia c
periodo di intenso e gioioso lavoro per i contadini. Essa viene de
έορτή Διονΰοου (II 2,i), ma nel testo questa è un'affermazione occ
le, che non sottintende alcun senso recondito.
Longo descrive l'opera dei contadini, che staccano i grappo
schiacciano, trasportano il mosto negli otri, mentre Cloe mesce i
prepara da mangiare ai vendemmiatori e cerca di staccare i grapp
le dalle viti più basse. Realistici sono anche lo scambio di motteg
le giovani donne, che ammirano la bellezza di Dafni, e la corte r
na che gli uomini rivolgono a Cloe (II 2,1 ss.).
Le stagioni hanno molta influenza sulla vita di Dafni e Cloe, m
è naturale, soprattutto se si considera la loro semplicità ed il loro
ogni esperienza a contatto immediato con la natura. Essi, per l'ed
ne che hanno ricevuto, regolano la loro vita sui fenomeni della n
Non c'è da stupirsi che il fiorire di questa rallegri i loro cuori e facc
scere in loro il desiderio d'amore, mentre l'inverno è da essi temu
ché non possono vedersi. Tutto questo dimostra l'estrema adere
Longo alla realtà nel descrivere un ambiente, che certamente gli
miliare, e ciò avviene indipendentemente da quello schema rigido e p
bilito che il Chalk ha rilevato nel romanzo.
L'episodio in cui Dafni offre a Cloe l'ultimo pomo rimasto sulla cima
dell'albero (III 33,4 ss.) non deve essere considerato allegorico, ma ha
origine letteraria: ricorda Saffo, fr. 105 L.P. In ogni caso Longo pre
senta in modo realistico il gesto pieno di ingenuità di Dafni e la reazione
di Cloe, che vuole impedire a Dafni di cogliere il frutto e fugge adirata
(III 34.1)·
Anche le tre leggende, della Φοίττα (I 27,2 ss.), di Siringa (II 34 e 37)
e di ΊΙχώ (III 23,1), in cui il Chalk vede raffigurati allegoricamente i di
versi momenti dell'amore di Dafni e Cloe, possono essere considerate re
miniscenze letterarie, una esibizione di cultura da parte di Longo. Infat
ti nella digressione di 'Ηχώ Dafni, che è sempre apparso un pastorello in
genuo e sprovveduto, mostra invece molta sicurezza nello spiegare a
Cloe la natura di questo fenomeno. Qui Longo segue l'esempio di altri
romanzieri che introducono nel racconto digressioni erudite ο dotte cita
zioni (12). Prendendo come pretesto osservazioni casuali, quali l'origine

(12) Cfr. i romanzi di Ach. Tazio e di Cantone, dove abbondano le citazioni tratte
soprattutto da Omero.

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•della zampogna per la leggenda di Pan e Siringa, Longo ha inserito nel


la narrazione una pausa, in cui si compiace di esporre le proprie cogni
zioni.
Tutti gli avvenimenti del IV libro sono interpretati dal Chalk in chia
ve mistica. Egli identifica Dioniso con Eros, ma, pur ammettendo la mol
teplicità degli attributi di Dioniso e delle forme in cui questo dio era ono
rato, non contengono nessuna conferma alla sua tesi, né di ciò si ha no
tizia altrove. Non è esatto sostenere che nel IV libro Dioniso viene men
zionato al posto di Eros: se questo avviene in IV 26,2 subito dopo, quando
ancora la scena delle nozze non si è conclusa, è nuovamente ricordato
Eros, che appare in sogno a Dionisofane (IV 34,1).
L'arrivo di Diosofane è stato definito da Chalk un'epifania del dio
Dioniso-Eros. Lamone propone di attendere l'arrivo del padrone per la
celebrazione del matrimonio, usando questo esperiente per rimandare le
nozze.

Ignaro della vera origine di Dafni, egli pensa che la rag


gna di un miglior partito e ritiene che si debba prima otten
del padrone: δούλος δε ών ούδενός είμι των εμών κύριος, αλλ
πόχην μανθάνοντα ταΰτα συγχωρεΐν (III 31,3)· Queste parol
mettono equivoci, documentano quali erano nella realtà i rap
vo e padrone.
Non vi è esagerazione nel terrore di Lamone, il quale tem
punito con la morte dal padrone. Dionisofane ha un attegg
to benevolo verso i contadini, ma sono giustificati e corrispo
situazione reale il loro timore e la loro sottomissione, tan
mone si aspetta da questa visita la libertà.
Le parole con cui viene descritto Dionisofane (IV 13,2
l'ammirazione e la devozione del servo verso il suo padron
tengono alcun riconoscimento della sua natura divina. N
tivi personali con cui egli si giustifica di aver esposto D
intonano ad una scena religiosa ed alla figura di un dio.
A mio parere, le nozze si svolgono in modo molto natu
stico. L'atteggiamento guardingo ed interessato di Driante
si rivela durante il colloquio, in cui avviene la domanda d
(III 30,1 ss.).
Anche la scena dell'arrivo a Mitilene del corteo di Dionisofane, do
po la visita di questo al podere e la sua approvazione del matrimonio
(IV 33 ss.), non potrebbe essere più naturale e realistica. La gioia e la
curiosità dei Metimnesi, i preparativi per le nozze, la consegna della do
te a Driante, la semplice e gaia atmosfera del rustico banchetto nuziale
(IV 38,3), il canto dei contadini che accompagnano Dafni e Cloe alla por
ta del talamo nuziale (IV 40,2) : sono particolari di un quadro consueto,

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caratteristici della vita quotidiana, i cui pro


esseri umani. È un'osservazione maliziosa, ch
to tono mistico della scena, dire di Dafni e Cloe
όσον ουδέ γλαυκές (IV 40,3) ■
Tutto questo ci ricorda gli intrecci delle com
Dafni e Cloe sono personaggi umani, non
zione di Cloe in tutta la sua bellezza, cosi s
stenta a riconoscerla (IV 32,1), può essere in
ne di un personaggio divino. È comprensibil
tadini alla vista della fanciulla adorna di abit
romanzi troviamo scene simili e la bellezza
ragonata a quella delle dee ("). Longo non
tudine.

A Fileta ed a Licenio, secondo il Chalk, spe


Dafni e Cloe nel rito d'amore. Anch'essi a m
locati in un'altra prospettiva. Il vecchio Fil
Cloe, che ne ignorano l'esistenza, e ne raccont
dino. È lo stesso Fileta che descrive la natur
di Zeus stesso e ne pronuncia il nome; non c'è
sun richiamo al rituale, nessun tono mistico d
sarebbe comunque evidente. Questo episodio
terario, inserito nella narrazione con una su
nomia del romanzo. Il suo significato allegor
le altre parti del romanzo. Longo usa qui un
ne scenica per risolvere una situazione e perm
Dafni e Cloe cercano istintivamente di attuare il loro desiderio d'amore
ancora confuso, ma la loro ingenuità costituisce per loro un impedimento.
Per evitare che questo amore abbia il suo compimento e con esso il corso
degli avvenimenti si esaurisca, Longo introduce un personaggio che ha
in comune con i protagonisti una giovanile esperienza d'amore: anch'egli
è stato da giovane preda di Eros. Il tono solenne assunto da Fileta nel rac
conto del suo amore per Amarillide, contrasta con la semplicità con cui
Longo parla del sentimento che lega Dafni e Cloe. La funzione di «ini
ziatore » affidata a Fileta conferisce alle sue parole il tono serio e digni
toso di un rustico maestro d'amore.
L'episodio di Licenio ha effettivamente una natura particolare, anche

(») È piuttosto comune che i protagonisti dei romanzi siano descritti come straor
dinariamente belli: cfr. Charit., I 1,2 - I 1,5; Xen. Eph. I 1,3 - I 2,9 - II 2,4; Ach.
Tat. II 37,1.
Ma in questi romanzieri la bellezza è semplicemente uno dei tanti elementi che
provocano avventure. In Senofonte Efesio ripetutamente Anzia dice che la sua bel
lezza e quella di Abrocome sono state per loro causa di sventura e quindi origine di
peripezie (II 1,3 - II 11,4 - V 5,5).

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se ci può stupire per la sua spregiudicatezza. Come nel vecchio Fileta, in


Licenio è stata vista una ministra del dio, che ha qui il compito di svelare
a Dafni la τέχ·νη έρωτική. Se si trattasse di un momento del rituale mi
stico, l'episodio dovrebbe concludersi subito dopo che Licenio ha assolto
il suo compito. Al contrario, le parole con cui annuncia che Cloe soffrirà
quando Dafni le farà ciò che ha appena appreso, trattengono Dafni e lo
costringono a meditare. Licenio ha la stessa funzione che abbiamo attri
buito a Fileta, perché anche il suo intervento permette che la vicenda ab
bia nuovi sviluppi. Se il tono usato da Licenio mostra la sua consapevo
lezza di fare una straordinaria rivelazione, l'atmosfera di iniziazione è
creata dalla donna stessa, che approfitta dell'inesperienza di Dafni per
presentarsi a lui come una benefattrice, ma in realtà per appagare il suo
desiderio. Inoltre, l'atteggiamento ingenuo di Dafni, che si precipita da
Cloe temendo di dimenticare la lezione appena appresa, non potrebbe es
sere più alieno dall'ambiente rituale e dall'ispirazione mistica.
Credo infine che tutti quei particolari della narrazione, a cui il Chalk
estende la sua interpretazione panteistica, siano suggeriti dalla necessità
di dar vita e varietà ad una narrazione già di per sé statica. Sotto que
sto aspetto Longo non fa che seguire le orme degli altri romanzieri, poi
ché gli episodi avventurosi costituiscono uno dei motivi più frequenti dei
romanzi greci.

II. - Critica al Merkelbach

Il Chalk non è il solo ad aver visto il romanzo di Longo sotto q


sta luce ; il Merkelbach (14) ha dato di esso una interpretazione ancora
sottile e documentata.
Come per il Chalk Eros informava di sé tutta la vicenda, per il Mer
kelbach ci troviamo di fronte alla trasposizione di un rituale dionisiaco.
Per lui Dioniso è il dio al quale ogni particolare ed ogni personaggio pos
sono essere riportati; ogni gesto di Dafni e Cloe e le loro stesse nozze so
no elementi di un rituale dionisiaco.
Molti elementi della teoria del Merkelbach possono essere confutati
con le stesse argomentazioni addotte a critica del Chalk (,5). Per quanto

(14) Roman und Mysterium in der Antike, Berlin und Miinchen, 1962. Un estrat
to del capitolo del Merkelbach riguardante Longo era già apparso in « Antaios » I
(I959)> PP- 47-60, ed a questo certamente si è ispirato il Chalk nel suo articolo apparso
nell'intervallo di tempo tra le due pubblicazioni.
(15) Dubbi sulla fondatezza della teoria del Merkelbach, che si estende anche ad
altri romanzi, sono già stati avanzati da S. Lancel in « Revue des Études Latines »
VL (1962), pp. 271-5, e da P. Grimal in « Revue des Études Anciennes » LXIV (1962),
pp. 483-8. Quest'ultimo ritiene che l'ironia avvertibile in tutto il romanzo di Longo
sia sufficiente a confutare l'interpretazione mistica dell'opera.

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riguarda la corrispondenza delle stag


simbologia che le piante sottintendere
si più probabilmente di fatti casuali
talvolta menzionati direttamente da L
ti in opere che, come questa rappres
trove, quando esse non sono espressa
tre il testo letterale del romanzo per r
le capre si cibano non hanno alcun v
parla di piante determinate, ma usa un
ça'v (I 2ΐ,ι-II 20,2) e di vimini (λΰγοι
facendo allontanare dalla riva la nav
L'episodio dell'assalto di Dorcone
bach come una prova a cui deve sott
suo significato, perché in realtà i ca
episodio mistico, assalgono violentem
Dafni e Cloe non intervenissero (I 21
Uno degli elementi fondamentali s
teoria è la scena dei prodigi, che sottr
da lui paragonata all'Inno Omerico a
Benché da un attento esame dei du
sultano in comune siano il κισσός, che
pirati e incorona le capre di Dafni, e
sformazione dei pirati e, in Longo, squ
si può escludere che vi sia da parte
rico. Essa, al contrario, è molto pro
dio di Longo un valore mistico. Gli e
no una corrispondenza nella situazione
e sono connessi con la natura divina
valore puramente letterario.
Nell'Inno Omerico la scena ha cara
l'apparizione di Dioniso è reale ed i
razione sono sicuramente simbolici.
tere prodigioso; egli tuttavia ha adatta
potrebbero interpretare tutti i fatti p
È accertata la possibile identificazion
che alcuni simboli in comune: il bicchi

(t6) Il Merkelbach, op. cit. p. 210, afferm


niso e ricorda il piatto di Exekias (cfr. J. E
Paintings, London 1894, tav. I), in cui sono
niso, che attraversa il mare.
(17) Cfr. E. Dodds, 7 Greci e l'irrazionale, Firenze 1959, pp. 101-4 (trad. di V. Vac
ca De Bosis).

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SULLA INTERPRETAZIONE MISTICA DEL ROMANZO DI LONGO 351

il mulo, l'alloro, il campanello (18). Tra questi non troviamo però gli uni
ci, che Longo ha in comune con l'Inno Omerico. Infatti i delfini, che com
paiono in entrambi e che il Merkelbach, basandosi su elementi archeo
logici, ha definito simboli di Dioniso, non hanno alcun rapporto con Pan.
La somiglianza rimane quindi superficiale e non coinvolge il pen
siero di Longo. Egli ha dato al racconto un tono di favola e, soprattutto
nella conclusione, l'episodio è animato da un'atmosfera gioiosa. La sce
na non rappresenta un momento del rituale e tantomeno del rituale dio
nisiaco: è il fantastico espediente a cui Longo è ricorso per ricondurre
Cloe nel proprio ambiente ed interrompere il corso dell'episodio avven
turoso.

Il fatto che Dafni non reagisca quando i Metimnesi lo assalgono adi


rati per la perdita della nave non ha significato mistico, ma è una nota
arguta di Londo nel presentarci il protagonista, che non ha certo la tem
pra di un eroe. Irrilevante per il contesto è il fatto che anche in Ach. Tat.
V 23,6 Clitofonte, assalito da Tersandro, non si difende perché non com
prende il motivo di questo assalto e dice di essersi comportato come se
avesse assistito ad un μυστηρίον(19). L'allusione al «Mistero» mi sembra
non tanto la conferma del possibile significato mistico di questo episodio,
quanto una battuta, che Achille Tazio attribuisce a Clitofonte e che sot
tolinea la comicità della situazione.
Neppure l'abbigliamento di Dafni simile a quello di Fileta, che si pre
senta vestito con una casacca di pelle e recante una bisaccia (II 3,1), ha
relazione col culto, poiché si tratta di un abbigliamento comune tra i con
tadini. È probabile che Longo si limiti a caratterizzare con il loro umile
abbigliamento l'estrema semplicità di questi personaggi.
È improbabile che anche la caccia abbia valore simbolico (M), poi
ché rappresenta una occupazione piuttosto comune (21) e costituisce anzi
una nota realistica nel romanzo.
Lepisodio di Lampi, nel quale il Merkelbach vede un momento di ter
rore della festa dionisiaca, si può facilmente spiegare senza ricorrere al ri
tuale dionisiaco. Egli, pretendente di Cloe, medita il suo misfatto per far
ricadere la colpa su Dafni ed eliminare cosi il rivale più temibile. Pre
para accuratamente la scena e non trascura nulla perché il suo piano non
fallisca. Con la cura di chi prepara un delitto perfetto, simula un attac
co furioso al giardino (IV 7,3). I sentimenti di invidia e di gelosia per

(18) Cfr. Roscher Lex. Ili ι (1897-1909) 1475 s.v. « Pan ».


(19) Ancora in Ach. Tat. VII 14,3 Clitofonte, credendo Leucippe morta, non ten
ta di difendersi da Sostrato, che lo batte.
(20) Ap. Met. IX 8.
(21) Anche nel Δύσκολος di Menandro ai vv. 39 s. il protagonista viene annunciato
con queste parole :
νεανίσκο ν δέ - - -
ήκον]τ" έπί θήραν μετά κυνηγετοϋ τινός

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Dafni bastano a giustificare il suo


realtà. Naturalmente egli ha una p
ti grossolani, ma non è difficile im
tipo simile.
Una delle prove su cui si basa la teoria del Merkelbach è la verginità
di Cloe. Anche in questo caso non si tratta di un fatto simbolico, ma di un
elemento comune anche ad altri romanzi, nei quali sarebbe arduo vedere
un significato mistico. Generalmente le eroine si mantengono caste e fe
deli al loro uomo attraverso le più complicate avventure e ciò non è
che un espediente di cui i romanzieri si servono per tener desto l'interes
se del lettore. In Achille Tazio più volte Leucippe tiene a ricordare la
propria verginità (II 25,1 - V 18,6 - VI 22,1 ss.) ed in IV 1,2 inspiegabil
mente Leucippe e Clitofonte ritardano la consumazione del matrimonio (22).
In Senofonte Efesio Abrocome ed Anzia sopportano infinite prove e resi
stono a molte lusinghe pur di mantenersi reciprocamente fedeli. Anche
quando Anzia viene affidata a Lampone perché la faccia sua sposa (II
9,2), egli, che pure è descritto come un abietto e rustico capraio, le pro
mette di rispettarla e la consola delle sue sventure.

L'interpretazione mistica, che il Chalk dà del romanzo e che coin


cide con quella del Markelbach, può essere confutata anche sulla base
di una visione d'insieme del romanzo. A conclusione della sua indagine,
il Chalk, op. cit. pp. 48 ss., pur affermando che le due definizioni che
lo stesso Longo dà del romanzo, κτήμα τερπνόν e ανάθημα (Proem. 3) si
integrano perfettamente tra loro, poiché in esso l'elemento piacevole è in
stretta relazione col significato più profondo, sottolinea il contenuto mi
stico del romanzo ed afferma che tutto ciò che costituisce lo « charme »
di quest'opera acquista il suo vero valore visto alla luce degli interessi
religiosi di Longo e posto nella complessa intelaiatura, che egli vede alla
base della vicenda. A mio parere Longo invece non fa della propaganda
religiosa: egli vuole narrare una vicenda d'amore che allieti ed abbia al
tempo stesso una utilità per gli uomini. La sua opera, era certamente de
stinata ad un pubblico colto e raffinato. Ci sono molti elementi che ren
dono questo romanzo singolare ed anche artisticamente più pregevole de
gli altri, ma almeno nelle intenzioni Longo non si distacca dagli altri ro

(22) Ach. Tazio spiega che ciò avviene a causa di due sogni in cui appaiono Arte
mide ed Afrodite (IV 1,4 ss.), ma si tratta evidentemente di un espediente narrativo·
per spiegare la situazione.

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SULLA INTERPRETAZIONE MISTICA DEL ROMANZO DI LONGO 353

manzieri. Strano autore egli sarebbe stato nella cerchia dei romanzieri
greci se si fosse proposto di divulgare attraverso la sua opera un miste
ro religioso.
Longo dà al suo romanzo un'impronta di schietto realismo. Egli co
nosce molto bene le abitudini della campagna. La scena della vendem
mia è da lui descritta con tanta vivacità da farci pensare che doveva
avervi assistito. Conosce l'arte della caccia ed il modo in cui viene pra
ticata (III (5,3 - III 6,1 per gli uccelli; II 12,3 per la lepre). Sa come si
conducono gli animali al pascolo e che il suono della zampogna varia per
i diversi tipi di animali (23) e costituisce il mezzo con cui il pastore tra
smette i propri ordini al gregge. In II 12,3 descrive una curiosa canna da
pesca primitiva, costituita da un sottile filo di lino legato ad una canna
e fornito di άγκιστρα.
Tutto ciò non può essere descritto da Longo solo affidandosi alla fan
tasia; indubbiamente la cultura contemporanea, in cui il gusto della cam
pagna è un motivo ricorrente (24), può aver influito su Longo, ma nel suo
romanzo c'è molto di personale, frutto di una attenta osservazione della
realtà e della capacità di cogliere gli aspetti più familiari ed intimi delle
cose (25).
Vorrei infine aggiungere che il tono di sorridente partecipazione al
la vita dei suoi personaggi e la lieve ironia con cui Longo osserva l'umile
ambiente che descrive sono una ulteriore obiezione ad ogni interpreta
zione mistica del romanzo, poiché contrasterebbero con qualunque pro
posito di divulgazione religiosa.

III. - Elementi comici nel romanzo di Longo

Il genere letterario che offre più ampia materia di confronto col ro


manzo di Longo è la Commedia Nuova, con cui esso ha non solo un con
tatto per singoli passi (2δ), ma anche una analogia più profonda.
Gli studiosi che si sono occupati del romanzo di Longo non hanno
mancato di sottolineare un qualche richiamo alla Commedia Nuova, ma

(23) τερπνόν ήν το ποιμνίων, μέγα τό βοών, οξύ τό αΙγών (II 35,4)·


(24) Cfr. Ε. Rohde, op. cit. p. 504.
G. Dalmeyda, op. cit. p. XXII, dice che non bisogna lasciarsi prendere da idee pre
concette e vedere nella rappresentazione della campagna in Longo il quadro obbligato
•del romanzo, poiché egli si uniforma al gusto del suo tempo, che dà particolare rilievo
a queste descrizioni.
(25) Cfr. II 31 ss. - III 3-4 - III 10,3.
(26j G. Dalmeyda, op. cit. p. XXXIV n. 1, per un confronto con L. II 7,2 ss. cita
il fr. 1 Jensen di Menandro.
E. Rohde, op. cit. p. 505 n. 1, riporta il fr. 40 K. dell' 'Υδρία di Menandro per
dimostrare che, come in Longo, anche nella Commedia Nuova ritroviamo l'elogio
•della campagna.

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354 MARISA BERTI

si sono basati sull'esposizione dei du


noscimento (2Ί). L'esposizione di Da
genitori, che conclude la vicenda, r
scente dell'analogia con la Commed
ne a molte commedie di Menandro
coincidenze, peraltro numerose, co
ni personaggi di Longo per la loro
stesso ci riportano in ambiente comic
Il più notevole, a cui molti studiosi
parassita Γνάθων, (31), la cui figura
delli menandrei. In IV 10,1 Longo
εκαλειτο) tòv πώγονα ζυρώμενος πάλ
θών έσθίειν άνθρωπος καί πίνειν είς μ
ουδέν άλλο ων ή γνάθος καί γαστηρ κα
Innamorato di Dafni egli cerca di c
ragazzo ed afferma che, mentre un
ceri della tavola ed apprezzava i cib
ha tolto il piacere di gustare le viv
la sua supplica: σύ δέ ουκέτι καλέσεις Γ
(IV ιό,4). Il tocco finale alla sua c
dice: ζιφίδιον λαβών καί εμπλήσας τ
(IV 16,4).
Longo, ricalcando modelli comici, ha delineato con particolare cura
un personaggio, che è molto frequente nelle commedie. La figura del pa
rassita è una delle più tipiche del repertorio comico; essa compare già in
Epicarmo, che fu il primo ad introdurla nella Commedia, e si trova in
Menandro. Nel fr. 409, 68 (Grenfell-Hunt) del Κάλαξ di Menandro com
pare un parassita che reca il nome Γνάθων (32). Benché questo nome si
trovi anche in Alciphr. Ili 34, è certa per Longo la sua derivazione da

(P) Cfr. P. L. Courier, Daphnis et Chloé, Paris 1865, p. X e A, Lesky, Geschichte


der griechischen Literatur, Bern 1963, p. 924.
(28) Νβ1ΓνΕρως Plangone e Gorgia, figli di Mirrina, sedotta da Lachete nel tem
pio di Minerva Alea, vengono affidati al pastore Tibeo perché se ne prenda cura. Al
v. 63 si paria di un δακτύλιον, che dovrebbe servire a riconoscere Plangone.
Negli 'Επιτρέποντες Parafila, sedotta da Carisio, dà alla luce un figlio che fa espor
re in un bosco con un anello, che ne determinerà il riconoscimento.
Nella Πβρικειρομένη Glicera e Moschione vengono trovati esposti in un bosco da
una vecchia insieme ad alcuni gioielli, che serviranno per il loro riconoscimento.
(2') C. Wendel, De nominibus bucolicis, « Jahrbucher fur classische Philologie »
Suppl. 26 (1901), p. 38, sottolinea la presenza del nome 'Ρόδη in L. IV 36 ss. ed in
Men. fr. 210 e 592 K.
P) Cfr. J. M. Edmonds, Daphnis and Chloe, London 1955, p. VII e A. Calderini,
op. cit. p. 147, il quale ritrova in Longo l'uso di maschere fisse che sta alla base della
Commedia.

(31) La stessa etimologia (γνάθος = mascella) rende il nome coniato su misura per
questo personaggio.

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SULLA INTERPRETAZIONE MISTICA DEL ROMANZO DI LONGO 355

Menandro, poiché è logico supporre che Alcifrone stesso si ispiri per la


caratterizzazione di alcune figure del suo epistolario ai modelli che Me
nandro aveva reso popolari.
Per altri nomi la questione è assai più complessa. In IV 21,3 tro
viamo il nome di una donna, certamente la nutrice, che espone Dafni:
Σοφροσΰνη. Non mancano nella Commedia analoghe figure di nutrici, ma
è notevole il fatto che una di esse rechi un nome molto simile a questo.
Negli Επιτρέποντες compare infatti una nutrice di nome Σωφρονη (33). Se
condo il criterio per cui in colui che imita il nome proprio compare ge
neralmente nella forma ampliata, è assai probabile che la Σοφροσΰνη di Lon
go discenda direttamente dalla Σωφρόνη di Menandro. La somiglianza
è resa ancora più probabile dal fatto che Longo, senza aver accennato pri
ma a questo personaggio, che noi intravediamo appena, inaspettatamen
te e senza aggiungere alcun particolare, ne rivela il nome scegliendolo si
mile ad uno già usato da Menandro per un personaggio analogo.
Ciò vale anche per Εΰδρομος (L. IV 9,2). Questo scegliere il nome
che già di per sé indica l'occupazione ο l'atteggiamento del personaggio
è tipico della Commedia Nuova (34). Inoltre un nome analogo si trova
nel fr. 72,7 Ρ Sorb. col. A del Σικυώνιος di Menandro, dove il nome
Δρόμων è attribuito ad υηφκότριψ; anche in Longo Eudromo, che in qua
lità di corriere viene mandato innanzi ad annunciare l'arrivo del padro
ne, ha la stessa funzione nella casa di Dionisofane. Ancora una volta,
tuttavia, il nome compare in Longo nella forma ampliata, ma si può co
gliere in esso una somiglianza col Δρόμων di Menandro, con cui ha in co
mune la derivazione etimologica.
Infine non è forse azzardato vedere questo procedimento anche nel
nome Διονυσοφάνης. Incontriamo spesso nella Commedia nomi con que
sta terminazione (cfr. ancora il Σικυώνιος, in cui il nome del protagonista è
Στρατοφάνης) (35). Si è tentati di supporre che Longo avesse presenti nomi
simili ed abbia voluto adattarli al contenuto pastorale del suo romanzo,
trasformandone la prima parte nel nome del dio. Se non è errato attri
buire a Longo questa intenzione volutamente ironica, che darebbe quasi
un tono parodistico alla rappresentazione, ciò potrebbe costituire un'ul
teriore obiezione alle interpretazioni mistiche del romanzo, perché ogni
eventuale richiamo al rituale sarebbe in ogni caso ironico e filtrato at
traverso letture comiche.

(32) Sempre nel Κόλαζ troviamo un altro parassita di nome Στρονθίας.


(33) L'Edmonds, op. cit. p. VII, inspiegabilmente legge questo nome direttamente
Σωφρόνη, il che ovviamente facilita il confronto tra Longo e Menandro.
(34) Lo stesso Longo giustifica questo nome dicendo : οϋτω γάρ έκαλείτο, ότι ήν αύ
τφ έργον τρέχειν (IV 5,2).
(35) Vale qui ricordare che Στρατοφάνης è il nome di uno dei personaggi del Trucu
lentus di Plauto.

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356 MARISA BERTI

Vi è una commedia di Menandro che apparentemente per il suo co


tenuto non offre molte possibilità di confronto col romanzo di Lon
ma che per la sua stessa ambientazione bucolica può costituire un ut
termine di paragone (36). La figura del protagonista del Δύσκολος, Sostra
è cosi descritta da Menandro : νεανίσκον δέ καΐ μαλ' ευπόρου πατ[ρ]ός γ
γοΰντος ταλα'ντων κτήματα /εντα]ΰθα πολλών, άστικόν τή διατριβή (νν. 39-4
Egli, μετά κυνηγέτου τινός, giunge in campagna per dedicarsi alla cacci
Questo personaggio richiama Astilio (37), che arriva in campagna segu
dal suo παράσιτος per dedicarsi alla piacevole occupazione della cac
καί περί θήραν είχε (se. ό Άστυλος) λαγών, οία πλούσιος νεανίσκος καί τρυγ
αεί καί άφιγμένος εις τον άγρόν εις άπόλαυσιν ξένης ηδονής (IV II,ΐ) (38).
La figlia del Δύσκολος, la quale, benché sia al centro della vicend
viene raramente nominata da Menandro, ci viene presentata nella s
prima apparizione in tutta la semplicità di fanciulla che vive in cam
pagna, mentre si reca ad attingere acqua con la brocca (v. 195 ss.).
ai vv. 34-6 Menandro dice di lei: ή δέ παρθένος/γέγονεν όμοια τή τροφή
τίς, ουδέ έν/ειδυΐα φλαΰρον. Analogamente Longo dice di Cloe: νέα κόρ
καί εν αγροικία τεθραμμένη και ουδέ άλλου άκου'σασα το τοΰ "Ερωτος όνομα
(I 13.5) ed in I 15,3 essa è descritta come άπειρος οΰσα τέχνης εραστοΰ.
Entrambe le fanciulle vivono venerando le Ninfe e Pan. È nota la
devozione di Cloe verso queste divinità, mentre è appunto per le preghie
re di lei che Pan e le Ninfe vanno in aiuto della figlia del Δύσκολος sottraen
dola al padre scorbutico (vv. 36-9).
Anche la scena della domanda di matrimonio cosi come viene prepa
rata da Cherea (vv. 65 ss.) è simile a quella che precede il matrimonio
di Dafni e Cloe (III 25 ss.).
Ma è soprattutto per l'ambientazione generale del romanzo che Lon
go si ispira probabilmente al Δύσκολος. Nel Δύσκολος infatti non si hanno
dirette descrizioni della campagna, ma il mondo agreste è egualmente
rappresentato attraverso le occupazioni dei personaggi e la loro caratte
rizzazione. Longo e Menandro mostrano di avere una visione simile del
la vita agreste e si rivolgono entrambi ad un ambiente di persone umili,
dedite ad un lavoro faticoso. Tuttavia, malgrado una analogia formale,
vi è tra Longo e l'autore del Δύσκολος, una profonda diversità di ispira

(36) Anche G. Dalmeyda, op. cit. p. XXIII, vede una possibilità di confronto tra il
romanzo greco e la Commedia basandosi sulla presenza in entrambi i generi del sen
timento della natura.
(37) È evidente il parallelo tra αστικός, che si legge nel testo di Menandro, ed il
nome Άστύλος.
(38) Indirettamente i versi di Menandro richiamano anche L. II 12,1, in cui si
parla dei Metimnesi, i quali, πλούσιοι διαθέσθαι τον τρυγητόν έν ξενική τέρψει θελήσαν
τες, si imbarcano verso la campagna in cui vivono Dafni e Cloe per dedicarsi alla
caccia ed alla pesca: τέρψει δέ ποικίλος έτέρποντο (II 12,3)·

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SULLA INTERPRETAZIONE MISTICA DEL ROMANZO DI LONGO 357

zione e di sentimenti. In Longo, infatti, il tono realistico del romanzo


non arriva mai a sfiorare una realtà che non sia serena e piacevole (39).
Egli vuole ignorare gli aspetti più spiacevoli della realtà presentando del
le figure di arguti campagnoli, le cui occupazioni sembrano svolgersi in
una vivace atmosfera di festa rustica (40).
Al contrario Menandro guarda con profondo senso di umanità alla
misera esistenza dei contadini di File. Il protagonista del Δύσκολος, il vec
chio Cnemone, si rifugia nel suo podere e lavora con grande fatica e su
dore la terra. È vero che Sostrato, il quale, per amore della figlia di
lui, lo segue nei campi, si stanca ben presto di questo lavoro, che ri
tiene troppo gravoso per lui (cfr. vv. 390-91 e 523), ma ciò rientra nella
caratterizzazione del giovane cittadino abituato agli agi, che non sa adat
tarsi ad una realtà più dura.
* * *

Alcuni punti di contatto posson


ed il Σικυώνιος di Menandro di rece
che Longo utilizza espressioni che
la Commedia Nuova. In Ρ Sorb. 2272 col. Β vv. io e 13 si parla di
γνωρίσματα, che permetteranno alla protagonista Φίλου μένη di ritrovare il
padre; cosi in L. I 5,3 e I 7,2 si parla degli γνωρίσματα di Dafni e Cloe.
In Ρ Sorb. 2273 ai vv. 14-15 il Σικυώνιος viene definito ήγεμών χρη
στός σφόδρα/κ]αι πλούσιος. Analogamente in L. IV 13,2 Dionisofane è co
si definito: άλλα καί πλούσιος έν ολίγοις και χρηστός ως ουδείς έτερος.
In Ρ Sorb. 2272 col. Β vv. 756-7 6· viene descritto un μειράκιον....
λευκόχρ(ουν), / ΰπόλειον, άγενειόν τι καί μικρόν. In L. I ΐό,2 Dorcone dice
di Dafni: οΰτος δε έστι σμικρός καί αγένειος ως γυνή.
In P. Sorb. 2272d col. Β vv. 963 ss. G. Δρόμων dice al vecchio Κι
κησίας: καί σιμός ει γαρ από τΰχης / καί μικρός. Risponde Κικησίας: γέρων
ώς είμι γέρωνα. Analogamente in L. III 32,1 Driante definisce σιμός γέρων
il padre di Dafni.
In Ρ Sorb. 227d col. C vv. 985 ss. G. Κικησίας, rivolgendosi a Δρόμων,
gli chiede notizie della fanciulla: (Κ) εστί σοι καί σώιζεται / tò θυγα'τριον;
(Δ) καλώς δέ σώιζεται. (Κ) Δρόμων / ή σώιζετ' αυτό τοϋτο: (Δ) παρθένος γ'έτι/
άπειρος ανδρός (Κ) ευ γε. In L. IV 31.3 Dionisofane chiama in disparte

(39) Il Rohde, op. cit. p. 513, dice che i pastori di Longo, pur non essendo figure
da soletto, non hanno nulla di rozzo.
(40) Cfr. A. Mauersberger, Daphnis und Chloe, ein antike r Liebesroman von Lon
gus, Leipzig 1964, p. 151, il quale ha visto in Longo una voluta idealizzazione della
realtà e della natura.
(41) Questa commedia potrebbe essere esaminata per un più proficuo confronto con
gli altri romanzi, soprattutto quello di Cantone : alla base dell'azione scenica in essa
sta infatti l'episodio del rapimento della protagonista Φιλσυμένη, la quale viene tra
sportata dai pirati da Milasa nella Caria. Le sue vicende quindi sono simili a quelle
delle eroine dei romanzi.

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358 MARISA BERTI

Dafni per chiedergli ε'ι παρθένος εστί (se. ή χλ


tiva di Dafni si avvia allegramente a mensa
tengo che questa coincidenza non possa riten
dio in Longo appare superfluo nella descrizione
sibile che Longo ricordasse i versi di Menand
rire nel racconto una scena analoga, che tutt
tamente con gli altri momenti della storia.
Ci sono inoltre in Longo numerose scene tr
da alcune commedie, ma di cui è difficile sta
trovamento da parte di Dafni delle tremila d
visamente risolve le sue ansie di pretendente
episodio tipico dell'azione scenica.
Gli stessi soliloqui dei personaggi appaiono
da quelli che troviamo frequentemente negl
mente troppo lunghi ed inutili ai fini della
cuni punti del romanzo (42) una caratteristic
solo al romanzo di Caritone, che non può ess
Tono ironico si ha in L. Ili 7,1, quando il ca
Driante una delle porzioni di carne.
Caricaturale è anche l'attacco di Gnatone a Dafni e la descrizione
del mondo con cui Dafni riesce a respingerlo (IV 12).
Si può quindi concludere che, accanto ai vari elementi che possono
essere individuati nel romanzo di Longo, non si deve trascurare la pre
senza di motivi comici come componente essenziale di esso. Si può pen
sare anche che, dove Longo non si ispiri direttamente ad alcuni passi
di Menandro, la conoscenza della produzione comica abbia indirettamen
te ispirato Longo ed egli abbia personalmente creato degli episodi comici,
che riecheggiano lo spirito delle commedie di Menandro, pur non essen
do tratti direttamente da esse.
Penso infine che una indagine più approfondita potrebbe essere ri
volta a cogliere eventuali motivi di origine comica anche in altri romanzi,
in quanto la presenza dell'elemento comico appare predominante nella
composizione eterogenea del romanzo (4J). Marisa Berti

(42) Cfr. L. Ili 6,3, in cui Dafni interroga se stesso alla ricerca del mezzo più ef
ficace per vedere Cloe e si prospetta tutte le difficoltà dell'impresa; L. Ili io, dove è
riportato un colloquio tra Dafni e Cloe.
(43) Cfr., ad es., Xen. Eph., il cui romanzo si conclude con scene di riconoscimento
(V io e 12).
In Ach Tat. Vili 9,1 il sacerdote che riassume la storia è cosi presentato: ην δέ
είπεϊν ούκ αδύνατος, μάλιστα δε τήν Άριστοψάνους έζηλωκώς κωμφδίαν. In questo ca
so è la Commedia Antica che viene riconosciuta come elemento essenziale per la for
mazione di un abile oratore.
Ancora in Ach. Tat. compare un personaggio, Gorgia, che reca lo stesso nome di
uno dei personaggi del Δύσκολος; nel romanzo di Caritone il protagonista Cherea ha
un nome che compare ancora nel Δύσκολος. Il nome Plangone, la nutrice che incon
triamo in Caritone, è lo stesso che troviamo nella Samia di Menandro.

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