Sei sulla pagina 1di 39

Università degli Studi di Milano Bicocca

Sintesi di Nanoparticelle di TiO2


tramite Flame Spray Pyrolysis

Corso di Laurea in Scienza dei Materiali

Alessandro Ghirardi

Matricola 790388

1
Indice

INDICE

1. Introduzione alle nanoparticelle: definizioni, tipologie e applicazioni

1.1 Nanoparticelle: strutture e proprietà elettroniche


1.2 Gel, soluzioni colloidali e materiali nano strutturati
1.3 Sintesi Nanoparticelle : tecniche di sintesi
1.4 Sintesi in fiamma: Flame Spray Pyrolysis

2. Nanoparticelle di Biossido di Titanio

2.1 Struttura e fasi cristalline


2.2 Transizioni di fase
2.3 Caratteristiche elettroniche del Titanio
2.4 Difetti strutturali nella TiO2
2.5 Fotocatalisi eterogenea con nanoparticelle di TiO2

3. Strumenti e Metodi

3.1 Impianto di Flame Spray Pyrolysis


3.2 Condizioni operative
3.3 Caratterizzazioni delle nanoparticelle e dei depositi

4. Risultati sperimentali e discussione

4.1 Misure di Temperatura


4.2 Analisi delle polveri: misure FT-IR
4.3 Analisi morfologica dei depositi
4.4 Misure XRD su polveri e depositi
4.5 Influenza della temperatura

Conclusioni

2
Abstract

ABSTRACT

Le nanoparticelle sono aggregati atomici o molecolari, le cui dimensioni caratteristiche sono


comprese indicativamente tra 2 e 200 nm. La loro peculiarità è di avere un elevato rapporto
superficie/volume e di mostrare proprietà ottiche, elettriche, magnetiche, catalitiche, chimiche e
meccaniche differenti da quelle del corrispondente “bulk material” (ovvero il materiale di
dimensioni macroscopiche). Lo studio delle nanoparticelle è di grande interesse in diversi campi,
per esempio sono largamente impiegati nell’industria chimica (catalisi, produzione di pitture per
contenere le sostanze inquinanti, nella produzione di cosmetici) e in quella biomedica per diagnosi e
terapie. Per questo motivo negli ultimi anni sono oggetto di studio tanto le tecniche di sintesi quanto
quelle di caratterizzazione delle nanoparticelle stesse, a seconda delle applicazioni di interesse.
Attualmente sono comunemente impiegate diverse tecniche di sintesi, tipicamente il processo di
Sol-gel o la sintesi in fase gas.
Oggetto del presente lavoro di tesi è la sintesi di nanoparticelle di biossido di Titanio (TiO 2),con
composizione di fase controllata, utilizzando la tecnologia di fiamma spray gas-assistita (Flame
Spray Pyrolysis, (FSP). Essa consiste nella ossidazione in fiamma dello spray di un precursore. Il
TiO2 è così ottenuto nella forma di nanopolveri. Il biossido di Titanio è un ossido semiconduttore,
che si presenta in differenti forme cristalline: rutilo, anatasio e brookite. Il rutilo è la fase più stabile
termodinamicamente: dopo il processo di sintesi la permanenza dei campioni a temperature
maggiori di circa 500°C provoca una trasformazione delle altre fasi in rutilo. Il controllo della fase
nel processo di sintesi risulta importante ai fini di incrementare quelle che saranno le proprietà
fotocatalitiche del prodotto. La tecnologia di Flame Spray Pyrolysis è particolarmente interessante
in quanto con un opportuno controllo delle condizioni sperimentali di sintesi legate al reattore
/fiamma (natura del combustibile, ossidante, campo di temperatura del sistema, portate,
concentrazione dei reagenti,..) è possibile ottenere un controllo di dimensioni, morfologia e fase
cristallina delle nanoparticelle stesse. Il reattore di sintesi utilizzato è composto da una fiamma
pilota (nel nostro caso alimentata con una miscela di CH4 e aria), al centro della quale viene
iniettato un precursore, diluito in un combustibile, che viene nebulizzato mediante un flusso di gas
ossidante. La fiamma pilota innesca e stabilizza il processo di combustione. In questo lavoro è stato
utilizzato come precursore l’ isopropossido di titanio (TTIP) in soluzione 0.5 molare con C 2H6O ed
è stato impiegato ossigeno come gas di nebulizzazione e comburente. . La portata della soluzione
era controllata tramite siringa dosatrice motorizzata. Le nanoparticelle di TiO2 prodotte in fiamma
sono raccolte in polvere su filtro e su un deposito raffreddato (nel nostro caso sono state utilizzate
lamine in acciaio) per termoforesi. Inoltre dopo la sintesi il campione depositato su acciaio è stato

3
Abstract

post-processato con annealing a 500°C per 150 minuti allo scopo di migliorare le proprietà
meccaniche del deposito. Le nanoparticelle sono state poi caratterizzate morfologicamente con
microscopia elettronica (SEM per l'analisi complessiva del deposito e utilizzando l’accessorio
STEM per misurare le dimensioni delle nanoparticelle). Misure XRD hanno poi permesso di
analizzare la fase delle nanoparticelle prodotte. In particolare nel caso di misure XRD utilizzando
un opportuno software è stato possibile misurare l’area dei picchi di Anatasio e Rutilo e ricavare le
relative percentuali.
Questo studio è stato realizzato per valutare la componente di Anatasio nelle nanopolveri in
funzione della temperatura del gas post sintesi e del rapporto di equivalenza, vale a dire il rapporto
di combustibile e ossidante rispetto alle condizioni stechiometriche. La temperatura del gas di
sintesi è stata variata agendo opportunamente sulla portata di aspirazione della pompa: ciò ha
consentito di regolare la diluizione e quindi la temperatura in analisi. Il rapporto di equivalenza è
stato variato cambiando la portata della soluzione di precursore, a parità di portata di O2
Si è osservata una significativa dipendenza della concentrazione di Anatasio dalla temperatura dei
gas post fiamma: per temperature superiori a 300°C si comincia ad osservare una diminuzione di
questa percentuale. Poco significativa invece risulta la dipendenza dal rapporto di equivalenza.
Riguardo al deposito di TiO2, l’analisi al SEM ha mostrato la presenza di particelle nanometriche
(dell’ordine di 16-19nm) nella forma di rete con una area superficiale molto significativa e quindi di
grande interesse per le applicazioni foto catalitiche, oggetto di lavoro futuro. Inoltre si è osservato
che sul deposito raffreddato si riscontrano rapporti Anatasio/Rutilo più alti rispetto ai rapporti
ottenuti nelle le polveri raccolte su filtro nelle stesse condizioni sperimentali. Ciò è probabilmente
dovuto al raffreddamento del supporto stesso.
Il lavoro è stato realizzato presso il laboratorio di Sintesi di Nanoparticelle del CNR-ICMATE
(Istituto per la Chimica della Materia e dei Processi per l’Energia) di Milano.

4
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

1. Introduzione alle nanoparticelle: definizioni, tipologie e applicazioni


Le nanoparticelle sono particelle di materiali inorganici con dimensioni comprese tra le decine e
centinaia di nanometri (1 nm e 1 µm) .
Il Nanometro è un sottomultiplo del metro, precisamente un miliardesimo di metro, di qui il termine
nanoscienza,la scienza che si occupa dello studio delle nanoparticelle. La materia nanometrica ha
proprietà sorprendenti, con risvolti tecnologici ed applicativi che spaziano dall’ingegneria delle
telecomunicazioni alla medicina personalizzata. La nanotecnologia infatti è considerata una delle
forze motrici della prossima rivoluzione tecnologica.

Figura1.1 Crescita delle nanotecnologie e campi di applicazione

A seconda della dimensionalità si possono definire varie tipologie di nanomateriali, i quali possono
essere classificate come:
- Zero-dimensionali (0D) → tre le dimensioni in scala nanometrica
- Mono-dimensionali (1D) → due le dimensioni in scala nanometrica
- Bi-dimensionali (2D) → una dimensione in scala nanometrica
- Tri-dimensionali (3D) → nessuna dimensione in scala nanometrica

Il termine nanoparticella[1] non indica un sistema o una sostanza particolare, ma al contrario indica
sistemi molto diversi tra loro, sia come dimensioni sia come composizione.

5
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

Per avere un'idea delle sue dimensioni, le celle elementari dei cristalli hanno lunghezze dell'ordine
di un nanometro; la doppia elica del DNA ha un diametro di circa 2 nm .

Figura1.2 Variazione della durezza dei materiali in funzione della loro grandezza

Si possono avere differenti tipi di nanoparticelle, come ad esempio quelle metalliche (Au, Ag, ecc.)
o quelle di materiali semiconduttori (Si, ecc.) oppure nano-particelle composte da due o più parti di
materiali diversi.
Le nanoparticelle hanno due caratteristiche che le rendono particolarmente importanti,infatti le
proprietà dipendono dalla:
1. Composizione
2. Dimensione e forma.
Questi due parametri sono fondamentali per poter essere in grado di controllare le proprietà, oltre
che le dimensioni, del prodotto finale. Per comprendere al meglio le caratteristiche principali delle
nanoparticelle facciamo un esempio pratico: le proprietà ottico/visive di quest’ultime, dipendono
dalla forma e dalla dimensione del prodotto finale, infatti in base a quello la nanoparticella è in
grado di assorbire luce la cui lunghezza d’onda, e conseguentemente la sua intensità, sono
differenti.
La reattività chimica è un’altra proprietà fondamentale nella loro descrizione, infatti quest’ultima
viene notevolmente amplificata con il decrescere delle dimensioni delle nano particelle.
Nelle particelle gli atomi prossimi alla superficie sono solo parzialmente saturi e si trovano in uno
stato energetico diverso da quelle all’interno del solido,proprio per questo le maggiori interazioni
avvengono sulle superfici e sulle interfacce.

6
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

Poiché le forze di interazione reciproche non risultano del tutto bilanciate, le superfici svolgono un
ruolo determinante in qualsiasi classe di materiale nanometrico, condizionandone ogni proprietà:
dalle trasformazioni strutturali, all’interazione con la luce, alla solubilità.

Figura1.2 Immagine TEM (Microscopio Elettronico a Trasmissione) di nanoparticelle di TiO 2

Struttura e proprietà elettroniche


La struttura elettronica dei nano cristalli dipende dalle loro dimensioni, infatti per piccole particelle
l’energia dei livelli elettronici non è continua come per i materiali bulk, ma discreta[2].
Il salto di energia tra due livelli quantici successivi segue la seguente espressione
4 Ef
δ= con:
3n
- Ef = energia corrispondente al livello di Fermi per la materia massiva [J]
- n = numero totale di elettroni di valenza del nanocristallo
A causa della presenza di questo salto energetico, si è osservato che, in nanoparticelle isolate,
proprietà come la conducibilità elettrica e la suscettibilità magnetica presentano effetti quantici.
L’energia discreta associata ai livelli elettronici, apporta variazioni fondamentali alle caratteristiche
spettrali delle nanoparticelle.

7
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

Dalle analisi in spettroscopia elettronica a raggi X, per molti metalli, diminuendo il raggio delle
particelle si apprezza verifica un aumento dell’energia di legame, però tale fenomeno è evidente
solo per piccoli diametri.
L’aumento dell’energia di legame, per piccoli diametri, è dovuto alla diminuzione dell’effetto
schermante del nucleo da parte degli elettroni ed è indice della trasformazione indotta dal size effect
tra i comportamenti metallico e non metallico.

1.2 Soluzioni colloidali e gel

La scienza delle nanoparticelle ha le sue origini dagli studi sui colloidi ed aerosol. I colloidi[3] sono
un’importante classe di materiali, intermedi fra la fase massiva (bulk) e i sistemi dispersi su scala
molecolare, che consistono in una fase dispersa, finemente suddivisa, distribuita uniformemente in
un mezzo di dispersione, che si assume continuo.
I fattori che influenzano la stabilità delle dispersioni colloidali, per esempio sotto particolari
condizioni le particelle colloidali si uniscono per formare una fase condensata. Si distinguono due
processi di aggregazione[4] :
 coagulazione: l’aggregato è densamente impacchettato e il processo è irreversibile;
 flocculazione: l’aggregato è molto meno denso e il processo è reversibile.

La stabilità delle dispersioni colloidali è dovuta principalmente a:


 effetto dell’elevato rapporto superficie/volume;
 forze steriche, dovute all’eventuale adsorbimento di polimeri o macromolecole sulla superficie
delle particelle disperse
 forze che agiscono fra particelle colloidali (interazioni di van der Waals).

Materiali nano strutturati

I materiali nano strutturati si possono considerare come un sottoinsieme del più ampio gruppo
formato dai nanomateriali, in generale vengono denominati “materiali nano strutturati”, quei
materiali composti da costituenti elementari, detti building blocks [5], aventi dimensioni
caratteristiche di alcuni nanometri (da 1 a 100 nm e non superiori a 500 nm), in almeno una
direzione dello spazio.

8
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

Tali costituenti sono in genere dei cristalliti, ma possono essere anche amorfi (polimeri) che
differiscono tra loro per la struttura atomica, per l’orientazione cristallografica e la composizione
chimica ( parametri fondamentali per classificare i materiali nano strutturati).

Tra di essi si formano interfacce coerenti o incoerenti, a seconda delle caratteristiche dei cristalliti
adiacenti.
Poiché quindi forma e dimensione possono essere controllate, entro certi limiti, è possibile
sintetizzare nanoparticelle con proprietà predefinite. Il controllo sulle dimensioni avviene tramite
l’utilizzo di diverse tecniche di sintesi di cui parleremo nel paragrafo successivo.

1.3 Sintesi nanoparticelle

In questo capitolo ci occuperemo di analizzare le tecniche di produzione dei nano materiali, le quali
hanno la particolarità di essere svariate e in continua evoluzione.
Successivamente ci soffermeremo sui metodi di sintesi in fase gas, in particolare sulla sintesi su
fiamma, una tecnica di sintesi che permette di ottenere prodotti con dimensioni e caratteristiche
controllate.

1.3.1 Tecniche di sintesi

Tra i principali metodi di sintesi ritroviamo due grandi categorie:

1 I metodi fisici: utilizzati per ottenere materiali allo stato solido di metalli, ossidi, ceramici
con determinate microstrutture, comprendono le diverse varianti della PVD (physical vapour
deposition) e la condensazione atomica o molecolare. Il metodo della deposizione [6] di
vapore è basato sul passaggio di stato vapore/solido: per riscaldamento si ottiene un vapore
saturo di un metallo, che raffreddato in atmosfera controllata si deposita su un substrato.
Importante è la capacità di modulare le proprietà del materiale finale variando le condizioni
dell’ambiente di reazione, la fonte di calore, il substrato, ecc.
-La condensazione atomica o molecolare è utilizzata per ottenere metalli nano particellari.
Nel processo si parte da un materiale solido che viene riscaldato sottovuoto, così da produrre
un flusso di materia vaporizzata e atomizzata, diretto ad una camera contenente gas, inerte o
reattivo. Si ha poi il rapido raffreddamento degli atomi del metallo, provocato dalla loro
collisione con le molecole di gas, che porta alla formazione di nanoparticelle metalliche (se
il gas è ossigeno si ottiene un ossido).

Questi metodi permettono di ottenere elevata purezza, ma sono molto costosi e laboriosi.

2 Tra i metodi chimici utilizzati per ottenere solidi nanostrutturati, è diffusa la deposizione
chimica da vapore (chemical vapour deposition, CVD), in tutte le sue varianti, il cui
principio di funzionamento è lo stesso del metodo PVD, ma il materiale finale è il risultato
di una reazione chimica, avvenuta in fase vapore o sul substrato su cui il materiale si

9
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

deposita. Molti metodi di sintesi in fase gas di materiali nanoparticellari si svolgono a


pressione ambiente o ridotta partendo da polveri. Con questa tipologia di sintesi la
distribuzione particellare che generalmente si ottiene è piuttosto ampia

Mentre con le procedure fisiche le strutture ottenute preservano le qualità chimico-fisiche dei solidi
di partenza, con le procedure chimiche è possibile realizzare una gamma pressoché infinita di
materiali nanostrutturati, gran parte dei quali inesistenti in natura, con proprietà inusuali e
comunque diverse da quelle dei materiali cristallini ordinari di uguale composizione chimica.

In generale, i piccoli aggregati atomici o molecolari (cluster), costituiti da un numero di atomi o


molecole, si formano secondo strutture che possono essere molto diverse da quelle dei rispettivi
solidi che vengono inizialmente combinati (da qui si spiegano le proprietà differenti).
Per esempio, piccoli cluster di oro presentano attività catalitica laddove il materiale cristallino è
notoriamente inerte; i cluster di silicio possono essere luminescenti mentre il silicio cristallino non
lo è.

Entrando più nel merito delle tecniche differenti di sintesi possiamo trovare :

 I metodi meccanici prevedono la riduzione delle dimensioni delle particelle con sistemi


meccanici, che tramite un movimento di rotazione, macina il materiale grazie a biglie di
ceramica o acciaio inox.
 I metodi liquido-chimici si basano sulla precipitazione di un solido da una soluzione o la
conversione chimica di una dispersione colloidale in un corpo gelatinoso.
La tecnica del Sol-Gel[7] rientra in quest'ultima classe, e consiste nel passaggio da una fase
liquida di sol (soluzione chimica), che agisce come precursore, a un gel (rete integrata di
particelle); successivamente il solido poroso ottenuto viene purificato chimicamente e
scaldato ad alte temperature, andando così a formare degli ossidi.

Figura 2.1 Schema sintesi di nano particelle a partire dalla fase liquida. A seconda del diverso tipo di
accrescimento che seguono le particelle si possono ottenere prodotti differenti

 I metodi di sintesi ad alta temperatura sono numerosi e comprendono le tecniche di


evaporazione/condensazione, di aerosol e sintesi in fiamma( la parte su cui noi poi ci
soffermeremo)
 La pirolisi consiste nel forzare un precursore vaporoso in una camera ad alta pressione,
bruciandolo. Si ottiene così una polvere da cui si possono prelevare particelle di ossido. Con

10
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

la condensazione di gas inerti invece si formano nanoparticelle che possiedono un basso


punto di fusione. 
 Un metodo generale per preparare le nanoparticelle dei metalli nobili prevede il trattamento
di sali di metallo in soluzione con agenti riducenti appropriati. Per rendere efficiente la
sintesi delle nanoparticelle è necessario anche l'utilizzo di  stabilizzanti che controllano
l'iniziale crescita di nanocluster e la loro agglomerazione.

1.4 Sintesi su fiamma

Un particolare tipo di sintesi in fase gassosa è il processo di sintesi in fiamma per il quale esistono
fondamentalmente due metodi per iniettare il precursore: in fase omogenea attraverso un sistema di
evaporazione a temperatura controllata oppure, in forma liquida, tramite uno spray.
Quest’ultimo metodo offre una maggior flessibilità per quanto riguarda i tipi di precursore che
possono essere utilizzati e il controllo delle portate, e quindi della quantità di nanopolveri prodotte.

Variando il tipo di precursore, la sua portata e la stechiometria della fiamma premiscelata si


ottengono nanoparticelle di varia natura e dimensioni.

Figura2.2 Fiamma di sintesi ottenuta dalla miscela precursore-O2

Il punto fondamentale su cui si sofferma la sintesi su fiamma,è il bruciatore (fig. 1), che consiste in
un setto poroso ed una camera di premiscelazione per alimentare una fiamma di metano-aria.

11
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

Si ottiene una fiamma di diffusione,composta da TTIP e Ossigeno, all’interno di una fiamma


premiscelata( di aria e metano)

Per un appropriato sistema di sintesi di nano particelle è importante sviluppare un sistema di


raccolta delle nano-polveri.
Il processo di formazione di particelle in fiamma è un meccanismo estremamente veloce e la
sequenza di produzione può essere schematizzata facilmente in questo modo.
Il precursore viene iniettato nel bruciatore sotto forma di gocce vaporizzate(spray); le molecole di
prodotto(monomeri),che vengono generate dalla reazione di nucleazione danno origine a dei
Cluster,ovvero agglomerati di molecole generati da urti ad alta temperatura tra i monomeri. La
concentrazione dei cluster è estremamente elevata(10 10 cm3)
I cluster hanno tra loro la possibilità di entrare in collisione formando così delle particelle: per
dimensioni sufficientemente piccole e per temperature/energie abbastanza elevate queste tendono ad
unirsi per formare unità più grandi (0,5 nanometri)

Importante è anche il controllo della temperatura raggiunta dalla fiamma in queste situazioni dalla
quale appunto dipende il prodotto finale, la fiamma si aggira su una temperatura di circa 2200 K.
Oltre che dalla temperatura come già detto il prodotto finale dipende anche dal precursore, dalle sue
proprietà, dalla temperatura ma soprattutto dal tempo di residenza delle particelle.
La fiamma[8] inoltre può essere premiscelata o diffusiva: la principale differenza sta nel fatto che per
la prima combustibile e ossidante sono miscelati prima dell’uscita dal bruciatore(sono quindi
fiamme molto pericolose con le quali lavorare), quella diffusiva invece è l’opposto, infatti i reagenti
si miscelano una volta lasciato il bruciatore.
I vantaggi della sintesi su fiamma sono i seguenti:
 Possibilità di utilizzare precursori volatili e non
 Produzione di ossidi semplici(SiO2,TiO2..) e ossidi non semplici
 Sistema veloce ed economico
 Purezza delle particelle
 Controllo dimensionale
Tuttavia come tecnica presenta anche degli svantaggi:
 Formazione di aggregati
 Generazione di particelle polidisperse
 Temperature e velocità non uniformi
 Proprietà dipendenti dal tipo di miscelazione del precursore

12
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

Fig. 2.3 processi di crescita di nanoparticelle

1.4.1 Flame Spray Pyrolisis[9]

Abbiamo visto che le tecniche comunemente utilizzate per la produzione di nanoparticelle sono
molteplici: tra queste, i metodi di sintesi in fase vapore ricoprono un ruolo importante a livello
industriale poiché, grazie all’ampia gamma di materiali processabili, al buon controllo sul processo,
ai costi sostenibili e alla facilità di scale-up sono ad oggi ampiamente utilizzati per la produzione su
larga scala di nanopolveri.

La Flame Spray Pyrolysis (FSP) è un processo in fase gassosa ad alta temperatura per la sintesi di
nanopolveri.
Rispetto ad altri processi in fase vapore, per la conversione dei precursori non richiede sorgenti di
energia esterne quali plasma, laser o camere termo riscaldate, e questo la rende particolarmente
economica e scalabile su produzioni industriali.
I materiali di partenza che si utilizzano nel processo di sintesi sono precursori liquidi contenenti le
specie metalliche appropriate per la formazione delle particelle, tipicamente composti
metallorganici, combinati in soluzione con opportuni solventi organici alla concentrazione e
stechiometria desiderate prima di essere vaporizzati in fiamma.

la formazione di particelle continua,grazie alla


coagulazione fino alla formazione di aggregati, che
vengono raccolti su un deposito e su un filtro.

Figura 2.4 Schema di funzionamento[10] per la Flame Spray Pyrolisis.

13
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

Seguendo lo schema di figura 2.4, per mezzo di un bruciatore dotato di un opportuno ugello spray
(atomizzatore), la miscela di precursore metallorganico e solvente è dispersa mediante un flusso di
gas (gas di dispersione) all’interno di una fiamma.

Figura 2.5 ugello per la formazione dello spray.

Il precursore viene nebulizzato(spray) e le goccioline di soluzione che si formano, bruciando,


liberano gli atomi di metallo dei precursori che, in condizioni di alta temperatura, reagiscono tra di
loro e danno origine a nanoparticelle per nucleazione, coalescenza, condensazione. Nel caso in cui
venga utilizzato come gas di dispersione l’ossigeno, questo contribuisce sia alla completa
combustione della soluzione, sia all’ossidazione delle nanoparticelle. Proprio grazie all’abbondanza
di ossigeno e all’alta temperatura, le particelle che si ottengono sono pienamente ossidate e
cristalline.

Il processo di crescita può essere controllato tramite la concentrazione del precursore e i parametri
di processo che determinano le condizioni termodinamiche all’interno della fiamma.

Miscelando diversi precursori metallorganici nella soluzione di partenza si possono inoltre


sintetizzare nanoparticelle composite e con differenti morfologie, come ad esempio particelle a fasi
segregate, particelle con inclusioni, strutture core-shell, nanoparticelle di metalli nobili supportati da
ossidi. Le polveri sono tipicamente raccolte con l’ausilio di filtri, cicloni o precipitatori
elettrostatici. Non sono necessari ulteriori trattamenti post produzione e, una volta raccolte, le
nanoparticelle sono pronte all’uso.

14
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

2. BIOSSIDO DI TITANIO
Il biossido di titanio[11] è un materiale molto utilizzato e studiato grazie al suo basso costo, alla
facilità di sintesi, alla sua non tossicità e alle sue proprietà fotoelettriche. Nella maggior parte delle
applicazioni, il biossido di titanio è utilizzato sotto forma di nanoparticelle.
Per comprendere maggiormente i risultati ottenuti nelle successive caratterizzazioni, viene quı
presentata una rapida descrizione delle sue principali proprietà tra cui quelle strutturali, cristalline (e
in particolare delle sue fasi più importanti, anatasio, rutilo e brookite che come vedremo giocano un
ruolo molto importante nella fotocatalisi), termodinamiche ed elettroniche.
Nella seconda parte entreremo invece nel merito delle nanoparticelle di TiO2 utilizzate in attività
fotocatalitiche , e favorite dalla presenza di difetti strutturali sulla loro superficie

2.1 Struttura e fasi cristalline

Il biossido di titanio in condizioni ambientali esiste in diverse forme polimorfiche tra le quali le più
diffuse sono rutilo, anatasio e brookite. [12]

Nell’ambito di questa tesi ci concentreremo principalmente sulle prime due in quanto non solo sono
le forme più diffuse e facili da ottenere ma anche perché sono quelle che hanno mostrato migliori
proprietà fotocatalitiche.
Il rutilo in condizioni di temperatura ambiente è la forma termodinamicamente più stabile.
Ha una struttura tetragonale in cui ogni atomo di Ti è coordinato da sei atomi di O a formare un
ottaedro leggermente distorto , ogni ottaedro condivide otto angoli e due lati con altri ottaedri con
cui forma una catena lineare, che contiene due unità di TiO2 (fig 3.1).

Rutilo: catene di ottaedri TiO6 con un


vertice in comune.

Figura3.1 a) Cella primitiva Anatase


b)Struttura cristallina Anatase

15
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

L’anatasio ha struttura tetragonale e coordinazione degli atomi di Ti e O analoghe a quella del


rutilo. La distorsione dell’ottaedro di TiO6, però, è maggiore (fig. 2.2) con i quattro legami corti e i
due lunghi di lunghezza rispettivamente 1.966 ± 0.001 ˚A

Anatase:siti ottaedrici TiO6 che dividono


fra loro gli spigoli
Figura3.2 a) cella primitiva Rutilo
b)Struttura cristallina Rutilo

La brookite ha una struttura ortorombica formata da ottaedri che condividono tre latri con i vicini.
La cella unitaria contiene otto unità di TiO2.
La brookite pura è molto difficile da sintentizzare e quindi lo è anche studiarne le proprietà. Per
questo non ci spingeremo oltre a questa semplice descrizione.

Nonostante il rutilo sia, come già detto, l’unica fase termodinamicamente stabile a quasi tutte le
temperature e pressioni, con alcune tecniche di sintesi che prevedono alte temperature, si ottengono
spesso nanoparticelle di anatasio . Ciò può essere spiegato sia dal punto di vista strutturale che da
quello termodinamico e dal fatto che, come anticipato, sotto un certo valore le dimensioni diventano
un parametro critico per certe proprietà. È stato osservato che al di sotto di una certa dimensione
critica delle particelle (10-14 nm) può avvenire un’inversione di stabilità delle fasi. Diventa quindi
fondamentale studiare le meccaniche che stanno alla base delle trasformazioni tra le varie forme
cristalline della Titania per comprenderne meglio la natura e sfruttarne al massimo le proprietà nelle
varie applicazioni.
Durante i processi di sintesi il controllo delle fasi A/R risulta anche estremamente importante
perché,da quest’ultimo, dipende un’attività che affronteremo più avanti in questa tesi : l’attività
fotocatalitica

16
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

2.2 Trasformazione di fase Anatase-Rutilo

Le fasi cristalline del titanio vengono ottenute da quella amorfa tramite trattamento termico.
Generalmente bastano cicli termici a temperature non troppo elevate per ottenere una prima
cristallizzazione in anatasio, mentre la fase rutilo comincia ad essere osservata a temperature
maggiori, generalmente attorno ai 600 ◦C.

La generazione delle fasi della TiO2 dipende anche,in maniera significativa, dai parametri con i
quali vengono condotti i processi di sintesi.
Le cinetiche di questi processi tipicamente sono considerati in termini di temperatura e tempo. In
termini della prima, si considera che l’Anatase cominci a trasformarsi in modo irreversibile in rutilo
a circa 600 ◦C.
Tuttavia le temperature di transizioni riportate nei vari studi nel corso degli anni sono eterogenee e
variano nel range 400 − 1200 ◦C a causa principalmente delle differenze tra le tecniche utilizzate
per determinarle.
Essendo la trasformazione anche dipendente dal tempo, perché di tipo ricostruttivo, bisogna
considerare anche tutti i fattori che influenzano le cinetiche della trasformazione. Questi parametri
sono ad esempio la dimensione delle particelle (come abbiamo in parte visto), la loro forma, l’area
della superficie, il volume dei campioni, l’atmosfera, le impurità .
La trasformazione anatasio-rutilo (A → R) segue un meccanismo di nucleazione e crescita.
I cristalliti di anatasio crescono di dimensione e, una volta raggiunta una dimensione critica,
cominciano a trasformarsi in rutilo.
La nucleazione avviene all’interfaccia e poi continua nel resto dell’anatasio attraverso la rottura
parziale dei legami Ti-O presenti in ogni cella unitaria e lo spostamento cooperativo di cationi di Ti
e anioni di O, coinvolgendo molto rapidamente tutto il cristallo di anatasio .
È interessante notare come il rate di nucleazione sia abbastanza lento al contrario di quello di
crescita di rutilo che è invece molto rapido.

17
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

2.3 Titanio dal punto di vista elettronico

Da un punto di vista elettronico il biossido di titanio è un semiconduttore di tipo n (cioè presenta un


eccesso di e- i quali si dispongono tutti in una banda appena al di sotto della Banda di Conduzione).
Il titanio è un metallo di transizione con orbitali d parzialmente occupati.
Nella TiO2 ,in forma rutilo o anatasio, gli ioni Ti4+ hanno la configurazione elettronica 4s03d0 . La
banda di conduzione è formata principalmente dai livelli 3d e 4s del Ti, con i primi che occupano la
parte più bassa e che subiscono uno split energetico a causa del cosiddetto campo cristallino: gli
orbitali 3 volte degeneri t2g (dxy,dyz, dzx) e doppiamente degeneri eg (dx2−y2 ,dz2 ).
La banda di valenza `e invece dominata dagli orbitali 2p dell’O che mostrano una forte
ibridizzazione con gli orbitali 3d del Ti.

Il diagramma dei livelli energetici, rappresentato in fig. 2, mostra abbastanza dettagliatamente il


carattere degli stati che formano le bande di valenza e di conduzione del TiO2.

Figura3.3 struttura elettronica Ti con orbitali molecolari

Le bande di valenza e di conduzione sono separate da un’energy gap[13] di 3, 20 eV per l’anatasio


che è leggermente superiore a quello riportato per il rutilo, di circa 3 eV.
Questo significa che le due fasi sono eccitate quando vengono illuminati da radiazione
elettromagnetica con lunghezza d’onda pari a λ ≤ 400 nm per il rutilo e λ ≤ 387 nm per l’anatasio
ossia dalla porzione UV dello spettro elettromagnetico. Tuttavia lo spettro della luce solare è
composto solo per il 4% da radiazione UV e quindi l’utilizzo della titania,per applicazioni che
sfruttano l’energia solare appare limitato. Negli ultimi anni si è cercato di aggirare questo problema
tramite vari accorgimenti come ad esempio un drogaggio opportuno, che genera livelli all’interno
del gap in modo da rendere permissibili transizioni con energia inferiore a quella del gap, o tramite
sensibilizzazione della superficie attraverso coloranti.
Generalmente si ritiene che il titanio abbia un’energy gap di tipo indiretto ovvero che la transizione
tra il punto della banda di valenza a più alta energia e il punto della banda di conduzione a più bassa
18
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

energia necessiti oltre che del fotone di energia giusta, anche del contributo di un fonone che
compensi la variazione di momento cristallino

2.4 Effetto dei difetti strutturali sul Titanio

Il requisito fondamentale per un semiconduttore, in applicazioni fotovoltaiche o foto catalitiche, è la


produzione di portatori di cariche a seguito dell’assorbimento della luce. Le caratteristiche più
importanti per tale scopo,di cui dovremo tenere conto nelle nano particelle di TiO2 sono il band gap
e i tempi di ricombinazione dei portatori.
Per rendere queste nanoparticelle più efficienti è possibile intervenire per modificare queste
caratteristiche ed il metodo più utile per farlo è quello di andare ad introdurre nel sistema difetti ed
impurità.
La presenza di questi ultimi , infatti, può portare alla creazione di stati che possono aumentare così
il range di luce assorbibile oppure fungere da semplici ”trappole” per i portatori rallentando le
dinamiche di rilassamento.

I difetti in un materiale possono essere di diversi tipi, elenchiamo quı di seguito i principali difetti
puntuali:

• Vacanza: assenza di un atomo in un sito reticolare che normalmente sarebbe occupato

• Interstiziale: aggiunta di un atomo addizionale nel reticolo

• Sostituzionale: sostituzione di un atomo con uno di un altro tipo. Ciò può essere non voluto, visto
che nessun cristallo è perfetto al 100% o un effetto desiderato tramite drogaggio.

Nella TiO2 la maggior parte dei difetti intrinseci, cioè presenti naturalmente, sono le vacanze di
ossigeno, VO, che alterano la struttura cristallina (fortemente dipendente dalle repulsioni O-O) e
che quindi influenzano molto le meccaniche di trasformazione di fase nei vari polimorfi.
Il drogaggio è un altro degli approcci più utilizzati nella modifica dell’energy gap per cercare di
modificare la risposta ottica di un fotocatalizzatore semiconduttore.
Lo scopo principale del drogaggio è quello di diminuire il band gap o introdurre stati intra-gap che
possono portare all’assorbimento di una porzione maggiore dello spetto solare e quindi ad un
aumento dell’efficienza fotocatalitica. Il drogaggio della titania può avvenire tramite l’uso di cationi
che possono essere altri metalli di transizione (V, Cr, Mn, Fe) metalli nobili (Pt, Ag, Au) o di anioni
(C, N, F).

Varie analisi hanno dimostrato che come fotocatalizzatore la TiO2 è molto più efficiente in forma di
nanoparticelle rispetto alla polvere bulk.
Infatti, se normalmente molte proprietà sono indipendenti dalla dimensione, quando si scende sotto
un determinato valore critico, le proprietà delle nanoparticelle possono cambiare man mano che la
loro dimensione diminuisce.
Al diminuire della dimensione, sulla superficie appare una percentuale sempre più significativa di
atomi che portano vantaggi nelle reazioni fotocatalitiche, in quanto i reagenti interagiscono
principalmente con la superficie.
In aggiunta, un maggior rapporto superficie/volume aumenta la densità di difetti a causa del
troncamento alla superficie. [14]

19
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

2.5 La fotocatalisi Eterogenea

La fotocatalisi è definita come l’accelerazione della velocità di una fotoreazione per la presenza di
un catalizzatore. Tale processo è un acceleratore delle reazioni di ossidazione già attive in
natura,infatti, l’ossidazione della maggior parte degli idrocarburi procederebbe piuttosto lentamente
in assenza di sostanze attive catalitiche [15]. Un fotocatalizzatore diminuisce l’energia di attivazione
di una data reazione.
Un sistema fotocatalitico eterogeneo consiste di particelle di semiconduttore (fotocatalizzatore), che
è in stretto contatto con un mezzo della reazione liquida o gassosa. Dall’esposizione del
catalizzatore alla luce, vengono generati degli stati eccitati capaci di iniziare processi a catena come
le reazioni redox e le trasformazioni molecolari.

A causa della loro struttura elettronica [16] , che è caratterizzata da una banda di valenza completa
(VB) e una banda di conduzione vuota (CB), i semiconduttori (come TiO2) possono comportarsi
come sensibilizzatori per processi redox foto-indotti. La differenza tra il livello di energia più basso
della CB e il livello di energia più alto della VB è il cosiddetto “energy gap” Eg. Esso corrisponde
alla minima energia di luce richiesta per rendere il materiale conduttore.
I portatori di carica mobili possono essere generati da tre meccanismi diversi: eccitazione termica,
fotoeccitazione e drogaggio. Questo trasferimento di carica presenta condizioni di non equilibrio,
che conducono alla riduzione o all’ossidazione della specie assorbita sulla superficie del
semiconduttore.

Come da figura 3.4, se il fotone ha un’energia hν superiore al valore di Eg (energy gap), un


elettrone (e-) è promosso dalla banda di valenza a quella di conduzione lasciandosi dietro una
vacanza (h+ ). Nei semiconduttori alcune di queste coppie di elettrone fotoeccitato-vacanza
diffondono sulla superficie della particella catalitica e prendono parte alla reazione chimica di
ossidazione/riduzione con le molecole assorbite: donatore (D) o accettore (A).

Il TiO2 è un semiconduttore con un’ energy gap pari a Eg = 3.2 eV, se viene irradiato con fotoni di
energia maggiore di Eg (λ < 388 nm), un elettrone è in grado di superare il gap energetico e viene
promosso dalla banda di valenza a quella di conduzione. Di conseguenza, il processo primario è la
generazione di un portatore di carica.
TiO2 + hν → h+ + e-

Nel TiO2 gli elettroni e le vacanze non si ricombinano immediatamente ma originano reazioni di
fotocatalisi portandosi sulla superficie delle particelle e reagendo come mostrato nella Fig.3.4

20
Capitolo 1: Introduzione alle nanoparticelle: definizioni e applicazioni

Figura3.4 Fotocatalisi nella TiO2 [17] e reazioni di ossido-riduzione sulla superficie

Efficacia come catalizzatore:

fase cristallina (anatasio, rutilo e fase mista)


area superficiale
dimensione dei cristalliti
natura e concentrazione dei difetti
aggregazione e morfologia delle particelle

21
Capitolo 3: Strumenti e Metodi

3 Strumenti e Metodi
Nel presente capitolo si riporta in dettaglio il set-up sperimentale per la sintesi di nanoparticelle con
una descrizione dettagliata delle diverse parti che lo compongono. In seguito ci si soffermerà sulla
descrizione delle condizioni sperimentali in studio nel presente lavoro. Nella seconda parte del
capitolo, invece, verranno presentate le tecniche di analisi utilizzate per la caratterizzazione delle
polveri e dei depositi con particolare attenzione ai principi alla base del loro funzionamento.

3.1 Impianto di Flame Spray Pyrolysis


In Figura 4.1 è riportato l’impianto di Flame Spray Pyrolysis utilizzato in questo lavoro per la
sintesi di nanoparticelle di TiO2. In particolare sono evidenziate le parti che saranno descritte più
estesamente di seguito e in particolare:

- Bruciatore per fiamma pilota (premiscelata)


- Atomizzatore e relativo impianto di alimentazione
- Cappa di aspirazione equipaggiata da filtro e deposito.
- Sistema di controllo Temperatura/portata di aspirazione

misura di P per controllo portata aspirazione

Figura3.1 Impianto di Flame Spray Pyrolysis

3.1.1. Bruciatore per fiamma pilota (premiscelata)


22
Capitolo 3: Strumenti e Metodi

Il bruciatore per la fiamma pilota è essenzialmente un bruciatore ad anelli, costituito cioè da una
serie di lamelle concentriche nelle quali passa la miscela metano/aria. In Figura 3.2 sono riportati
l’immagine (a sinistra) e dettagli della struttura (a destra) del bruciatore. La fiamma che si genera è
quindi premiscelata. Il suo ruolo è quello di evitare il fenomeno del flashback, e di innescare (come
fiamma di sostegno) la combustione dello spray di ossidante e comburente. L’impianto di
alimentazione del bruciatore premiscelato è costituito da una serie di tubi collegati ad un’unita di
controllo di portata. La portata dei gas viene misurata e regolata utilizzando dei flussimetri massici
(Bronkhorst High-Tech ) e il suo valore è espresso in Nl/min. In particolare, le portate sono
regolate in modo da avere una fiamma povera in combustibile (come specificato dettagliatamente di
seguito nelle condizioni sperimentali).

Figura3.2 Immagine (a sinistra) e descrizione della struttura (a destra) del bruciatore lamellare.

3.1.2 Atomizzatore e relativo impianto di alimentazione

L’atomizzatore per la generazione dello spray è il punto forte del sistema di FSP. In Figura 3.3 si
riportano i dettagli con le varie dimensioni e un disegno nel suo complesso. E’ realizzato in acciaio
inox ed è costituito da un ugello convergente al cui interno, in posizione coassiale, vi è un ago di
iniezione a foro capillare. L’atomizzatore usato è a doppio flusso coassiale in cui un getto
principale,costituito da una corrente di gas che passa attraverso l’ugello, ha il compito di rompere il
getto coassiale di combustibile liquido al fine di formare uno Spray. Il fluido infatti passa attraverso
un foro andando a formare un sottile film di liquido che nella sua interazione con un altro
flusso(ossigeno nel nostro caso) si rompe generando goccioline micrometriche. L’iniettore è poi
raffreddato con acqua che scorre in una camicia esterna.

23
Capitolo 3: Strumenti e Metodi

Figura 3.3: Atomizzatore per la fiamma spray

La portata di ossigeno è regolata tramite un flussimetro massico (Bronkhorst High-Tech). Il


flussimetro è inserito in serie lungo il condotto del flusso di gas; che viene poi riscaldato tramite
resistenze elettriche. A monte e a valle del flussimetro si trovano dei sensori di temperatura
posizionati simmetricamente e collegati tra loro mediante ponte di Weatstone per amplificare cosi il
segnale; misurando la differenza di temperatura tra i sensori (inv. proporzionale alla portata di gas)
risulta possibile stabilire con un bilancio energetico la portata che attraversa il tubo. Una centralina
di controllo permette di impostare la portata opportuna espressa in Nl/min. Si riportano di seguito le
caratteristiche tecniche del flussimetro impiegato:
• Accuratezza standard e linearità ± 0,1% del fondo scala (FS);
• Ripetibilità ± 0,2% Rd;
• Alimentazione 24 V, 70 mA;
• Controllo di stabilità < ±0,1% FS (tipico per 1 Nl/min N2).

Riguardo invece alla misura della portata della soluzione di precursore, si utilizza una siringa
dosatrice motorizzata. In figura 3.4 si riportano il flussimetro per la misura del comburente (a) e la
siringa (b)

24
Capitolo 3: Strumenti e Metodi

(a) (b)

Figura 3.4 Flussimetr(a) e siringa dosatrice motorizzata (b)

3.1.3 Cappa di aspirazione equipaggiata da filtro e deposito


Per convogliare i prodotti di combustione vi è una cappa di acciaio inox (diametro interno 118mm)
costituita da una parte principale il cui scopo è canalizzare i gas e una parte secondaria costituita da
prolunghe in cui è posizionato il sistema di deposito e il filtro (figura 3.5). La presenza di eventuali
prolunghe permette di posizionare il filtro a quote differenti soprattutto in relazione a quella che è la
temperatura dei gas di combustione. Particolare attenzione è stata data alla teemperatura massima di
lavoro del filtro di 600°C. A questo scopo sono state inserite delle termocoppie in posizioni diverse
della cappa stessa. Il filtro è mantenuto in posizione tramite opportune griglie di sostegno in acciaio
inox. Immediatamente prima del filtro è posizionato l’alloggiamento del supporto per il deposito
(Figura 3.1). Questo è controllato tramite uno shutter elettronico che consente di controllare i tempi
di esposizione del deposito durante il processo di sintesi.

Figura 3.5

3.1.4 Sistema di controllo Temperatura/portata di aspirazione


Per il controllo del processo di sintesi due termocoppie sono posizionate lungo la cappa di
aspirazione. In particolare una è posta immediatamente prima del sistema filtro/deposito (40 cm

25
Capitolo 3: Strumenti e Metodi

dalla bocca del bruciatore) e l’altra a 15 cm. Riguardo al suo funzionamento nel seguito si riportano
le parti principali (Figura 3.5). Due conduttori elettrici aventi differente composizione sono uniti ad
una estremità, “giunzione calda”. L'altra estremità è invece la ”giunzione fredda”. Quando tra le due
estremità dei conduttori esiste una differenza di potenziale, il sistema è in grado di rilevare una
differenza di temperatura ΔT.

Figura3.5 Funzionamento di una termocoppia

3.2 Condizioni operative


Si definisce come rapporto di equivalenza il rapporto combustibile / ossidante riferito alle
condizioni di lavoro rispetto a quelle stechiometriche. Vale cioè la seguente relazione:
Fuel

ϕ=
( )
O2 sperimentale
(1)
( Fuel
O )
2 stechiometrico

Partendo dalla fiamma pilota (CH4/aria) , le condizioni operative sono le seguenti:


CH4 (12% su f.scala 10 Nl/min)
aria (22% su scala 50 Nl/min)
 = 0.7

Riguardo invece alla fiamma spray, è stato utilizzato come precursore l’isopropossido di Titanio
diluito in etanolo. L’isopropossido[18] di titanio (C12H28OTi, la cui struttura è qui sotto riportata) è
una molecola diamagnetica con struttura tetraedrica.

26
Capitolo 3: Strumenti e Metodi

Figura3.6 molecola di isopropossido di titanio (C12H28OTi)

Di seguito sono riportate le reazioni di TTIP ed etanolo con ossigeno.

C2H6O+ 3O2 2CO2+3H2O

Nel presente lavoro sono state utilizzate le seguenti condizioni operative (tabella 1)

molarità portata siringa Portata O2 Rapporto


(ml/min) (Nl/min) equivalenza 
0.5 3 5 0.71
0.5 4 5 0.95

Tabella 1: molarità, portate e rapporto di equivalenza utilizzati nel presente lavoro

3.3 Caratterizzazione delle nanoparticelle e dei depositi


Nel presente lavoro di tesi le nanoparticelle sono state caratterizzate utilizzando le seguenti tecniche
di analisi:

• SEM (microscopia elettronica a scansione[19] ): una sorgente di elettroni colpisce il campione, da


cui vengono emesse diverse particelle, come gli elettroni secondari, che danno un'immagine
bidimensionale della superficie del campione, e gli elettroni retrodiffusi, che invece forniscono
informazioni sulla composizione chimica del campione.

• XRD (diffrazione a raggi X): che consente di avere informazioni sulla struttura cristallografica e
composizione chimica del campione. 
27
Capitolo 3: Strumenti e Metodi

Spettroscopia FTIR (Fourier Transform Infrared Spectroscopy): tecnica analitica di assorbimento


impiegata per lo studio dei legami chimici.

• EPR (Electron Paramagnetic Resonance): detta anche ESR (spettroscopia di risonanza di spin
[20]
elettronico ) consente di individuare radicali liberi stabili o persistenti. Essa permette inoltre lo
studio di specie radicaliche transienti che si formano nel corso di una reazione dopo illuminazione
Uno spettrometro EPR consiste di: un elettromagnete, il quale permette di variare con continuità il
campo magnetico applicato; un generatore di radiazioni elettromagnetiche che emette microonde in
un campo molto ristretto di frequenze ; una cella porta campioni; un rilevatore che permette di
misurare l’entità dell’assorbimento subito dalla radiazione elettromagnetica.

La spettroscopia XRD verrà affrontati in maggiore dettaglio nella parte sperimentale di questa tesi. 
Combinando i risultati di queste analisi si possono andare a determinare alcune caratteristiche delle
nanoparticelle, come le dimensioni, la morfologia, il grado di cristallinità, la solubilità,
l'aggregazione, la porosità.

3.3.1. SEM

Il microscopio elettronico a scansione (Scanning Electron Microscopy) è uno strumento che


permette di ottenere un’immagine della superficie del campione con ingrandimento, risoluzione e
profondità di campo nettamente superiori a quelle del microscopio ottico. Inoltre il SEM è in grado
di fornire un’analisi chimica qualitativa e semi-quantitativa. Il microscopio usato in questo lavoro di
è un microscopio SEM ad alta risoluzione HITACHI SU70 dotato anche di un detector per elettroni
trasmessi (STEM).

28
Capitolo 3: Strumenti e Metodi

Figura 3.6: Microscopio a scansione SEM HITACHI SU70

Il SEM è costituito da una camera sottovuoto che comprende un cannone elettronico, delle lenti
collimatrici, due rilevatori e il porta campione. Un filamento di tungsteno si trova nel cannone
elettronico e se riscaldato opportunamente, emette elettroni per effetto termoelettrico mentre le lenti
collimano il fascio elettronico e gli permettono di effettuare una scansione della superficie del
campione; due detector poi sono adibiti alla rilevazione degli elettroni secondari e retrodiffusi
(backscattered).
Quando la superficie di un campione viene colpita da un fascio elettronico si possono osservare
diversi effetti tra i quali l’emissione di elettroni secondari, retrodiffusi e raggi X. Gli elettroni
retrodiffusi sono gli elettroni ad elevata energia che vengono emessi dal campione a seguito di un
urto elastico di un elettrone incidente con il nucleo di un atomo. La rilevazione degli elettroni
secondari permette invece di creare un’immagine legata alla morfologia del campione, conseguenza
dei diversi angoli di incidenza del fascio elettronico in presenza di zone concave e convesse.
Quando il fascio incidente colpisce il campione può strappare degli elettroni dai livelli energetici
più interni degli atomi; gli elettroni più esterni fanno un salto energetico andando ad occupare la
vacanza formatasi ed avviene l’emissione di un fotone X per bilanciare la differenza di energia tra
gli stati dei due elettroni.
Siccome ogni elemento emette radiazioni con un’energia caratteristica è possibile associare ad ogni
valore di energia dello spettro un particolare elemento e verificarne così la presenza nel campione.
Confrontando poi l’intensità dei picchi con quelle di uno standard può essere effettuata anche
un’analisi semi-quantitativa ricavando le concentrazioni dei vari elementi presenti.

3.3.2 La diffrazione dei raggi X (XRD)


E’ un metodo di indagine molto diffuso nella fisica sperimentale della materia perché permette di
ottenere informazioni, in modo non distruttivo e relativamente economico, sulla struttura cristallina,
la composizione ed eventualmente la dimensione dei grani del campione analizzato.
Con raggi X si intende quella porzione dello spettro elettromagnetico che ha lunghezze d’onda
comprese tra 1 nm e 1 ˚A, che corrispondono ad un’energia compresa tra 102 eV e 105 eV.
La separazione interatomica ed i parametri reticolari nella materia condensata sono dell’ordine
dell’˚A, questo fa sì che una radiazione X possa interagire con essa attraverso fenomeni di
diffusione, diffrazione, riflessione e interferenza. I raggi vengono riflessi specularmente dai piani
reticolari quindi questo implica che l’angolo di incidenza sia uguale a quello di riflessione. I raggi
diffratti (in maniera elastica) sono quindi individuati solo quando le riflessioni tra piani paralleli di

29
Capitolo 3: Strumenti e Metodi

atomi interferiscono in modo costruttivo. La descrizione più semplice di questo fenomeno è data
dalla legge di Bragg[21]. Tale legge afferma che si ha interferenza costruttiva solo se la differenza di
cammino tra due raggi X, riflessi da due piani successivi, è pari ad un numero intero n di lunghezze
d’onda λ ed `e descritta dall’equazione:

nλ = 2dhkl sin θ

dove dhkl è la distanza interplanare tra due piani reticolari con indici di Miller (hkl) e θ `e l’angolo
tra fascio incidente e fascio riflesso.

Figura 3.7 Interazione raggi X con piani reticolari nell’analisi XRD

Dallo spettro di diffrazione è possibile ricavare diverse informazioni:


- la posizione di un picco (2θ) dipende dalle distanze interplanari quindi da essa si può determinare
la fase cristallina;
- dall’intensità di un picco (area), che dipende dalla posizione degli atomi nel reticolo cristallino, si
ricava l’intensità delle fasi presenti;
- la larghezza di un picco (broadening), funzione della microstruttura e delle imperfezioni del
materiale, permette infine di stimare deformazione e dimensione dei grani.
In particolare a partire dalla lunghezza d’onda della radiazione incidente e dall’angolo 2θ
corrispondente al picco interessato, la dimensione media dei grani può essere stimata attraverso la
formula di Debye Scherrer
In generale tale tecnica fornisce informazioni riguardo a:

30
Capitolo 3: Strumenti e Metodi

1. Caratteristiche dell'unità ripetitiva del reticolo cristallino di una sostanza con le sue costanti
reticolari.
2. Gruppo spaziale della sostanza (simmetria puntuali e traslazionali del cristallo)
3. Connettività chimica dell'unità asimmetrica
4. Moto termico degli atomi o ioni

2

2

2


2

Figura 3.8: Schema dei componenti essenziali di un diffrattometro. Il porta campione ruota di un
angolo  mentre il braccio che porta il contatore ruota di 2.

3.3.3 Spettrofotometro FT-IR


Questo strumento è essenzialmente costituito da una sorgente di raggi IR (di lunghezza d’onda
compresa tra 2,5 e 25µm) di materiale ceramico e da una serie di specchi. La radiazione colpisce lo
specchio semitrasparente e si divide in due parti: una parte viene riflessa verso lo specchio fisso e
una verso lo specchio mobile. Quest’ultimo si muove a velocità costante perciò, quando le
radiazioni riflesse dallo specchio fisso e da quello mobile si incontrano in corrispondenza dello
specchio semitrasparente, avvengono dei fenomeni di interferenza costruttiva o distruttiva a seconda
della posizione dello specchio mobile. La radiazione [22] risultante colpisce quindi il campione dove
l’assorbimento di caratteristiche lunghezze d’onda provoca delle vibrazioni dei legami molecolari
che possono essere di due tipi: stiramento del legame chimico (stretching) o deformazione
dell’angolo di legame (bending). Un detector rileva le radiazioni trasmesse creando un

31
Capitolo 3: Strumenti e Metodi

interferogramma, grafico dell’assorbanza in funzione del tempo; per ricostruire uno spettro
dell’assorbanza in funzione del numero d’onda è necessario eseguire una trasformata di Fourier del
segnale. A questo punto è quindi possibile verificare la presenza di certi gruppi funzionali in base
alla posizione dei picchi nel diagramma, ad ogni lunghezza d’onda corrisponde infatti la vibrazione
di uno specifico legame chimico. Lo strumento utilizzato è Thermo Scientific Nicolet 6700 con
accessorio ATR per misura di polveri (Figura 3.9).

Figura 3.9: FT-IR Thermo Scientific Nicolet 6700 con accessorio ATR

32
Capitolo 4: Risultati e Discussione

4 Risultati e Discussione
In questo capitolo saranno esposti i risultati sperimentali. Prima sarà riportato un esempio di misura
di temperatura per il controllo del processo di sintesi. Quindi saranno mostrate le diverse
caratterizzazioni eseguite sui campioni ottenuti.

4.2 SEM

Il microscopio elettronico a scansione (Scanning Electron Microscopy) è uno strumento che


permette di ottenere un’immagine della superficie del campione con ingrandimento, risoluzione e
profondità di campo nettamente superiori a quelle del microscopio ottico. Inoltre il SEM è in grado
di fornire un’analisi chimica qualitativa e semi-quantitativa.

Il SEM è costituito da una camera sottovuoto che comprende un cannone elettronico, delle lenti
collimatrici, due rilevatori e il porta campione. Un filamento di tungsteno si trova nel cannone
elettronico e se riscaldato opportunamente, emette elettroni per effetto termoelettrico mentre le lenti
collimano il fascio elettronico e gli permettono di effettuare una scansione della superficie del
campione; due detector poi sono adibiti alla rilevazione degli elettroni secondari e retrodiffusi
(backscattered).
Quando la superficie di un campione viene colpita da un fascio elettronico si possono osservare
diversi effetti tra i quali l’emissione di elettroni secondari, retrodiffusi e raggi X. Gli elettroni
retrodiffusi sono gli elettroni ad elevata energia che vengono emessi dal campione a seguito di un
urto elastico di un elettrone incidente con il nucleo di un atomo.
La rilevazione degli elettroni secondari permette invece di creare un’immagine legata alla
morfologia del campione, conseguenza dei diversi angoli di incidenza del fascio elettronico in
presenza di zone concave e convesse.

Quando il fascio incidente colpisce il campione può strappare degli elettroni dai livelli energetici
più interni degli atomi; gli elettroni più esterni fanno un salto energetico andando ad occupare la
vacanza formatasi ed avviene l’emissione di un fotone X per bilanciare la differenza di energia tra
gli stati dei due elettroni.

Siccome ogni elemento emette radiazioni con un’energia caratteristica è possibile associare ad ogni
valore di energia dello spettro un particolare elemento e verificarne così la presenza nel campione.
Confrontando poi l’intensità dei picchi con quelle di uno standard può essere effettuata anche
un’analisi semi-quantitativa ricavando le concentrazioni dei vari elementi presenti.

33
Capitolo 4: Risultati e Discussione

Figura4.5 Nanoparticelle di TiO2 ottenute tramite SEM su scala di 5µm

4.3 Spettrofotometro FT-IR

Questo strumento è essenzialmente costituito da una sorgente di raggi IR (di lunghezza d’onda
compresa tra 2,5 e 25µm) di materiale ceramico e da una serie di specchi. La radiazione colpisce lo
specchio semitrasparente e si divide in due parti: una parte viene riflessa verso lo specchio fisso e
una verso lo specchio mobile. Quest’ultimo si muove a velocità costante perciò, quando le
radiazioni riflesse dallo specchio fisso e da quello mobile si incontrano in corrispondenza dello
specchio semitrasparente, avvengono dei fenomeni di interferenza costruttiva o distruttiva a seconda
della posizione dello specchio mobile. La radiazione[22] risultante colpisce quindi il campione dove
l’assorbimento di caratteristiche lunghezze d’onda provoca delle vibrazioni dei legami molecolari
che possono essere di due tipi: stiramento del legame chimico (stretching) o deformazione
dell’angolo di legame (bending). Un detector rileva le radiazioni trasmesse creando un
interferogramma, grafico dell’assorbanza in funzione del tempo; per ricostruire uno spettro
dell’assorbanza in funzione del numero d’onda è necessario eseguire una trasformata di Fourier del
segnale. A questo punto è quindi possibile verificare la presenza di certi gruppi funzionali in base
alla posizione dei picchi nel diagramma, ad ogni lunghezza d’onda corrisponde infatti la vibrazione
di uno specifico legame chimico. Lo strumento utilizzato è uno Jasco FT/IR-620.

34
Capitolo 4: Risultati e Discussione

Figura4.6 Grafico Trasmittanza vs lunghezza d’onda (cm-1)

Conclusioni

Alla luce delle tecniche viste fino ad ora è possibile fare delle constatazioni sui risultati ottenuti.
Per le polveri, e soprattutto per il rapporto tra le fasi di Anatase e Rutilo, è possibile notare che
aumentando la temperatura in un range che va tra i 250-600 °C in fase gas, la fase cristallina mostra
una prevalenza di Anatase. Superando tale range di frequenza inevitabilmente tutte le fasi cristalline
tendono a riconvertirsi nella forma stabile,ossia il Rutilo.

La temperatura però non è l’unica grandezza dalla quale dipendono le fasi delle nano particelle di
TiO2, infatti un altro parametro che permette il controllo delle fasi è la portata,direttamente legata
alla cappa di aspirazione. Più la portata è alta,più la temperatura del sistema si abbasserà, essendo le
due grandezze inversamente proporzionali tra di loro

Altri parametri che determinano la variazione del rapporto A/R sono la diluizione con la quale viene
preparato il precursore e il tempo di permanenza ( tempi più lunghi, la quantità di nano particelle
prodotte sarà anch’essa maggiore)

Per quanto riguarda il rapporto di equivalenza ϕ , il rapporto tra le fasi cristalline e


conseguentemente le loro percentuali non subiscono variazioni significative, infatti i risultati sono
molto simili per prove condotte usando un ϕ=0,71 e un ϕ = 0,95

35
Capitolo 4: Risultati e Discussione

Per quanto riguarda i depositi i risultati sono differenti. Il deposito,raffreddato opportunamente,


rivela un rapporto tra le fasi A/R molto maggiore di quello che è stato ottenuto su filtro, questo per
l’effetto positivo del raffreddamento.
L’analisi dei depositi, tramite SEM, ha rivelato che l’area superficiale utile è elevata, e questo fatto
ha come conseguenza che l’attività fotocatalitica sarà efficace

Inoltre l’analisi tramite Sem ha permesso di calcolare nel caso delle nano particelle sul deposito la
loro forma e dimensione. Le nano particelle hanno una grandezza dell’ordine di 16-19nm ,
presentano una forma di rete con una area superficiale molto significativa e quindi di grande
interesse per le applicazioni foto catalitiche, che saranno oggetto di lavoro futuro.

Per alcuni campioni è stata anche condotta un analisi ESR (Electron Spin Resonance).
Si tratta di una tecnica spettroscopica per individuare e analizzare specie chimiche contenenti uno o
più elettroni spaiati (chiamate specie paramagnetiche), come a) i radicali liberi, b)gli ioni di metalli
di transizione c) i difetti in cristalli d) le molecole in stato elettronico di tripletto fondamentale.
I concetti basilari della tecnica EPR sono analoghi a quelli della risonanza magnetica nucleare, ma
in questo caso sono gli spin elettronici ad essere eccitati al posto degli spin dei nuclei atomici.
Lo strumento impiegato per quest’analisi è uno spettrometro Bruker EMX che lavora nella banda
di frequenza dei raggi X , con un criostato Oxford il quale ,a sua volta, ha un range di temperatura
da 4 a 298 K. The nanocrystals were charged in quartz glass tubes connected both to a high-vacuum
pumping system. Gli spettri sono stati registrati in condizioni di vuoto (10-5 mbar) a 130 K, prima e
dopo aver condotto un irraggiamento dei campioni per 30 min con raggi UV, mantenendo la T
costante

Sample 37 Sample 38
Intensity (a.u.)

UV irr. UV irr.
at p < 10-5 at p < 10-5

3200 3250 3300 3350 3400


Magnetic Field (Gauss)

Figure 1. spettri ESR Sample 37_sub nanoparticelle TiO2 dei


campioni 37 e 38 a 130 K prima O- Ti3+ species (linea nera) e dopo
l’irraggiamento con UV (linea species rossa) in condizioni di vuoto.
Intensity (a.u.)

36

3250 3275 3300 3325 3350


Magnetic Field (Gauss)
Capitolo 4: Risultati e Discussione

Figure 2. Caratteristiche spettrali della TiO2 37 ottenute sottraendo allo spettro di irradiazione con gli UV,
lo spettro acquisito prima dell’irradiazione. Inset: details of the most relevant paramagnetic species.

Principali osservazioni:

1. Entrambi i segnali prima dell’irraggiamento mostrano due caratteristiche (Fig. 1):


 Un intenso segnale at g = 2.0023 (very intense in sample 38), attribuibile ai C centri
radicali, probabilmente attribuito ai residui della sintesi delle nanoparticelle
 a g = 1.989, un debole segnale attribuibile ai centri Ti3+

2. Dopo l’irradiazione UV:


 S37 mostra piccole variazioni nelle caratteristiche dello spettro : debole incremento
del segnale a g = 1.989, mentre il segnale a g = 2.0023 diventa più ampio (Fig. 1,
left);
 Per il campione S38 nessun cambiamento significativo (Fig. 1, right);
 Dallo spettro del campione 37 (Fig.2), è possibile notare la formazione di una
piccola frazione fotogenerata di O- and Ti3+ (it is possible to discriminate from the
native defectivity the formation of a small fraction of photogenerated species ??????)

37
Capitolo 4: Risultati e Discussione

Bibliografia

[1] Unimore ,“Le nanoparticelle e l'interazione radiazione-materia”,Nanolab materials 2013

[2]A. Heilmann, “Polymer films with embedded Metal Nanoparticles”, Springer, 2003

[3]M. Guidotti, “Proprietà dei colloidi” ,dctf.uniroma1.it, 2004 pp.1

[4] M. Guidotti, “Proprietà dei colloidi” ,dctf.uniroma1.it, 2004 pp.3

[5]S. Ceresara , “Nanostructured materials for Thermoelectric applications”

[6]G. Vozzi, “Deposizione chimica da fase vapore (CVD), Bioenginereeng and robotics research

[7]R. Linacero, J.Aguado, “preparation of TiO2 by the sol gel method assisted by surfactants” 2006

[8] Kammler, H. Madler ,“ Fma synthesis of nanoparticles”, Chem. Eng Technology 2001

[9] W. Teoh, R.Amal,L.Madler, “Flame spray pyrolysis: an enabling technology for nanoparticles”
2010
38
Capitolo 4: Risultati e Discussione

[10] A.Tricoli, D. Elmøe, “Spray Pyrolysis Synthesis and Aerosol Deposition of Nanoparticle
Films” ,Wiley Library, 2012

[11]Dott. Antonio Liciulli, “Scienza e tecnologia dei materiali ceramici”, materiali foto
catalitici,2012

[12]M.Landmann,E. Rauls, “Electronic structure and optical response of rutile,anatase and


brookite”, 2012 pp 1-4

[13] A.Fujishima et al., “Photocathalisis”, 2000,pp. 30-35

[14] Diebold,Ulrike, “The Surface science of Titanium dioxide”,2003 pp.53-250

[15] Rittmann-Frank M.H, ”Studies of electron dynamics in Titania nanoparticles” ,2014

[16] V. Pfeifer, P. Erhart, W. Jaegermann, A.Klein , “ energy band between Anatase and Rutile”
pp.2

[17]M. Castellote, N. Bengstsson, “ Application of Titanium dioxide photocatalysis to costruction


materials”, RILEM 2011

[18]Wright, D. Williams, “The crystal and molecular structure of Titanium” 1968

[19] L. Reimer, “Scanning Electron Microscopy” ,2nd edition Chapter 5 1998

[20]M. Chiesa, “ Risonanza paramagnetica elettronica (EPR), Dip.Chimica UniTo

[21]J. Humphreys, “ Significance of Bragg’s law in electron diffraction and microscopy” 2013, part
1 Volume 69

[22]P. Griffith, J. Haseth, “Fourier Transform Infrared Spettroscopy” ,John Wiley ed., 2007

39

Potrebbero piacerti anche