Corrado Mangione
l
SERIE DI RICERCA OPERATIVA
Corrado Mangione
Paolo Boringhlerl
Prima edizione 1964
Ristampa 1968
l. Introduzione, 11
12. Il linguaggio LP 13. Il calcolo CP 14. Esempi di derivazione naturale nel calcolo
dei predicati IS. Il sistema SP 16. Validità e completezza 17. Cenni sul problema
della decisione
Bibliografia, 127
s
Prefazione di Piero Buzano
7
Maggior impegno richiede la lettura della seconda e terza parte
dedicate rispettivamente alla logica degli enunciati e alla logica dei
predicati. Entrambe sono redatte secondo un medesimo schema, con
sistente nel costruire dapprima un calcolo che rappresenterà la dimen
sione sintattica d.�lla logica e successivamente stabilire un sistema che
ne attuerà la dimensione semantica. Pretendere di svolgere siffa tto
programma senza far sistematico ricorso a complessi segnici e a tra
sformazioni calcolistiche sarebbe un controsenso: perciò il lettore che
si sentisse assolutamente refrattario a questo modo di ragionare dovrà
limitarsi al giro d'orizzonte sulla logica moderna offerto dalla lettura
della sola prima parte. Chi invece non si lascerà vincere dal timore del
formalismo e si addentrerà nella lettura della seconda e terza parte
avrà la soddisfazione di giungere alla precisa formulazione dei due
fondamentali problemi della validità e della completezza e di veder/i
risolti sia al livello enunciativo che a quello predicativo.
Il volume termina con un breve ma importante paragrafo sul pro
blema della decisione, ossia dell'esistenza o no di un procedimento
generale il quale p ermetta di decidere circa la validità di una qua
lunque espressione logica: il fatto che la risposta sia negativa per le
espressioni della logica dei predicati (teorema di Church) sembra se
gnare un confine fra i compiti che nel processo d'inferenza potrebbero
essere assolti da un automa e quelli che invece spettano al raziocinio
dell'uomo.
PIERO BUZANO
8
Ai miei genitori
l _____
Introduzione
La logica come scienza nacque nella Grecia classica e, fin dal suo
sorgere, si trovò in stretti rapporti con la matematica. La mate
matica, infatti, tende a costruire teorie deduttive molto rigorose e
la logica vuole essere appunto la scienza che fornisce all'uomo (e in
particolare al matematico) gli strumenti indispensabili per con
trollare con sicurezza la rigorosità dei suoi ragionamenti. Questa,
naturalmente, non è una " definizione" della logica : intende solo
essere un'indicazione piu o meno approssimata di uno dei suoi
compiti, indicazione che ha Io scopo di delineare l'argomento cui è
dedicato questo libretto.
Al limite, infatti, la logica moderna si presenta nel suo complesso
come la scienza che studia sistemi formali affatto generali, il cui
rapporto con analoghe strutture matematiche, in particolare alge
briche, si è dimostrato, oggi assai piu che in passato, estremamente
interessante e fecondo ; a una tale caratterizzazione della logica è
quindi opportuno giungere, sia pure succintamente, seguendo il suo
sviluppo storico ; che cercherà soprattutto di sottolineare il profondo
legame, si direbbe quasi la dipendenza, degli sviluppi della logica
da quelli della matematica. Prima di affrontare però questo excursus
storico, è opportuno tentare di precisare meglio la generica indica
zione sopra accennata.
Per far ciò prendiamo Io spunto da una situazione abbastanza
frequente nei normali rapporti quotidiani. Capita non di rado, nel
corso di discussioni o di polemiche, di sentire obiezioni quali : "Il
ragionamento non fa una grinza, ma . . . ", oppure : " Lei ragiona bene,
ma . . . " e analoghe. Tali obiezioni, tutto sommato, hanno un signi
ficato molto preciso : esse cioè non si riferiscono al nesso " logico"
delle argomentazioni che vengono presentate ; questo nesso, anzi, è
ritenuto impeccabile, e ciò è mostrato dalla prima parte delle obie-
Il
zioni stes se. Esse riguardano piuttosto il fatto che chi ascolta
non accetta come vere alcune delle premesse cui ricorre il suo inter
Iocutore nella propria argomentazione e, in ogni caso, ne refuta la
conclusione. Ciò è mostrato, in particolare, dal " ma" contenuto
nelle obiezioni suddette.
Tali obiezioni riflettono dunque il fatto che noi distinguiamo
fra la verità (o falsità ; diremo, in genere, valore di verità) delle pre
messe o delle conclusioni di un dato ragionamento e la correttezza
o validità del ragionamento stesso . La cosa può essere chiarita con
qualche semplice esempio. Di fronte ad una elementare argomenta
zione come la seguente:
l') "Tutti gli uomini sono mortali ; tutti i cinesi sono uomini ; quindi
tutti i cinesi sono mortali. ",
nessuno avrà naturalmente nulla da obiettare. Viceversa il ragio
namento:
l") "Tutti gli uomini sono cinesi ; tutti i matematici sono uomini ;
quindi tutti i matematici sono cinesi . ",
solleverebbe senza dubbio obiezioni del tipo su accennato. Eppure,
tanto l 'uno quanto l'altro dei due ragionamenti non sono che casi
particolari dello schema inferenziale:
l) "Tutti gli A sono B; tutti i C sono A; quindi tutti i C sono B."
si ottengono cioè da l) sostituendo opportunamente i simboli A, B,
C che in esso figurano con altrettanti predicati. È chiaro che, mal
grado la conclusione di l") sia falsa, il "nesso logico" fra gli enun
ciati che in esso intervengono non è mutato rispetto a quello sussi
stente fra gli enunciati di 1'), per il quale tuttavia si ha una con
clusione vera.
Ciò mostra che la validità di uno schema inferenziale, ad esempio
del tipo l), è indipendente dal valore di verità degli enunciati che
in esso di volta in volta compaiono, ma riguarda unicamente la
"forma" dello schema stesso, la sua struttura. Orbene, uno dei
compiti della logica è precisamente quello di ricercare, isolare, stu
diare in generale schemi inferenziali corretti, ossia, in altri termini,
quegli schemi che, se le nostre premesse sono vere, non possono
condurci a conclusioni false.
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1. CEN N I STO RIC I
Aristotele; i megarico-stoici
La prima indagine sistematica sugli schemi inferenziali venne
condotta da Aristotele di Stagira (384-22 a. C.), universalmente indi
cato come il fondatore della logica. Egli assume come elemento
linguistico fondamentale l'enunciato, inteso come quella configura
zione linguistica per la quale ha senso affermare che è vera o falsa
e distingue tra enunciati semplici e enunciati composti, a seconda
che essi non contengano, o contengano, costituenti che godano a
loro volta della proprietà di essere veri o falsi. Gli enunciati sem
plici, inoltre, vengono da Aristotele suddivisi, sotto l'aspetto quanti
tativo, in particolari, universali e singolari e, sotto l'aspetto quali
tativo, in affermativi e negativi.
Sicché egli prende in considerazione, in definitiva, sei tipi fonda
mentali di enunciati semplici. Precisamente:
l) Universali affermativi (Ad esempio : Tutti gli uomini sono mor-
tali.)
2) Universali negativi (Ad esempio : Nessun uomo è quadrupede.)
3) Particolari affermativi (Ad esempio : Qualche uomo è cinese.)
4) Particolari negativi (Ad esempio : Qualche uomo non è alto .)
5) Singolari affermativi (Ad esempio : Socrate è mortale.)
6) Singolari negativi (Ad esempio : Socrate non è latino.)
Di particolare interesse per Aristotele sono i primi quattro tipi
di enunciati (i logici medioevali introdurranno l'uso di indicarli,
nell'ordine, con le lettere a, e, i, o) che egli impiega per costituire
la sua teoria logica, la sillogistica, che resterà sostanzialmente lo
strumento logico fondamentale sino a circa la metà del secolo scorso.
Si tratta, in sostanza, della teoria degli schemi inferenziali validi,
a due premesse e una conclusione, della forma cioè se ac e {J allora y,
dove oc, {J, y sono enunciati di uno dei quattro tipi a, e, i, o, che
soddisfino alle condizioni seguenti:
l) Il soggetto di y (detto termine minore del sillogismo) compare
in ac o in {J ; quella delle due in cui esso compare viene detta
premessa minore del sillogismo.
2) Il predicato di y (detto termine maggiore del sillogismo) figura
in quella delle due premesse ac o {J nella quale non compare il mi
nore ; essa viene detta premessa maggiore del sillogismo.
13
3) Il termine di 01: e {3 diverso dal maggiore e dal minore è
comune alle due premesse e viene detto termine medio del sillo
gismo.
Nell o schema l) visto alla pagina 12, ad esempio, C rap
presenta il termine minore, B il termine maggiore, A il termine
medio. Fra tutti i possibili sillogismi ottenibili combinando premesse
e conseguenze secondo il tipo a, e, i, o (modi del sillogismo) e
variando in esse la mutua disposizione dei termini (figure del sillo
gismo) Aristotele isola quelli validi, per i quali cioè la conseguenza
discende necessariamente, in forza della pura struttura logica, dalle
premesse. Si noti che Aristotele sviluppa la teoria sillogistica in una
forma che non è precisamente quella semi-combinatoria da noi qui
schizzata. Notiamo tuttavia che egli introduce l'uso di un oppor
tuno, per quanto ovviamente elementare, simbolismo, mediante il
quale gli è possibile mettere in evidenza la struttura logica (in ter
mini di soggetto-predicato) di un dato enunciato, trascurandone il
particolare "contenuto". Senza dubbio, uno dei vantaggi della logica
simbolica moderna è proprio quella di aver creato un piu ricco e
completo repertorio simbolico col qua le poter mettere in evidenza la
struttura logica di argomentazioni non traducibili in termini aristo ·
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Crisippo, nell'elaborazione di una raffinatissima semiotica e nella
costituzione del primo calcolo degli enunciati.
Ragioni a noi non sempre comprensibili indussero i logici della
scuola megarico-stoica e quelli della scuola peripatetica ad un con
tinuo e costante contrasto polemico; e questo forse rappresenta una
delle non ultime ragioni del fatto che l'antichità classica non riusci
a sviluppare concretamente le conquiste dei grandi maestri, in parti
colare di Aristotele e di Crisippo.
Di notevole interesse è l'influenza esercitata da Aristotele sul
pensiero matematico (si pensi a Euclide), come, viceversa, partico
larmente significativo è il suggerimento e Io stimolo che ad Ari
stotele vennero dalla specifica e profonda conoscenza che egli aveva
della matematica del suo tempo. Pare ragionevole affermare, d'altra
parte, che il livello di elaborazione critica e conoscitiva della mate
matica greca non fosse tale da stimolare un ulteriore affinamento
dello strumento logico che Aristotele e gli stoici avevano approntato.
Lo studio della logica si isterili progressivamente e, sebbene non
siano mancate figure di notevole rilievo (valga per tutti il nome del
commentatore aristotelico Alessandro di Afrodisia, vissuto nel terzo
secolo d. C.), tuttavia non si può piu parlare di reali e sostanziali
progressi. Notevole importanza storica ebbero peraltro le opere
logiche di Severino Boezio (circa 480-525) attraverso le quali il
Medioevo conobbe, oltre alle dottrine aristoteliche, quelle stoiche .
La logica medioevale
Le nostre conoscenze della logica medioevale, le cui origini ven
gono fatte risalire, dagli studiosi contemporanei, alle indagini di
Pietro Abelardo (1070-1150) sono ancor oggi assai lacunose. Tra i
grandi nomi di cui fu ricco tale periodo, ricordiamo quelli di Pietro
Ispano (m. 1277) le cui Summulae logica/es conobbero, dopo l'inven
zione della stampa, oltre cento edizioni, e influenzarono largamente
gli studi e gli sviluppi successivi; Guglielmo di Occam (m. 1350 c.),
Giovanni Buridano (m. 1358) e Alberto di Sassonia (m. 1390).
I logici medioevali, oltre a sistemare la teoria aristotelica del
sillogismo, elaborarono nella teoria delle consequentiae una versione
- notevolmente diversa da quella stoica - della logica degli enun
ciati. Inoltre, attraverso la teoria delle proprietates terminorum (sup
positio, appellatio, significatio, ecc.) realizzarono un'analisi sui diversi
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usi dei termini difficilmente superabile in sottigliezza e ricchezza
di risultati senza far ricorso all'impiego di linguaggi artificiali.
Tuttavi�. per una serie assai complessa di motivi, che vanno
dall'impostazione teologizzante del pensiero filosofico alla debo
lezza del pensiero matematico di quel periodo, la logica medioevale
fini ben presto col decadere e isterilirsi definitivamente.
G. W. Leibniz
Occorre giungere al diciassettesimo secolo, e precisamente a
G. W. Leibniz (1646-1716) perché la logica - dopo la decadenza
seguita alla fioritura medioevale - ricominci ad essere considerata
come una scienza autonoma e fondamentale per il pensiero esatto.
Gli apporti concreti di Leibniz alla costituzione effettiva di una
nuova logica non sono, di fatto, particolarmente rilevanti (anche
perché il suo pensiero sull'argomento rimase in gran parte ignoto
e non poté quindi influenzare i suoi contemporanei e immediati
successori). Tuttavia il suo programma ideale di una "calcolizza
zione" di tutto il sapere deduttivo lo pone, se non fra i fondatori,
almeno fra i precursori della moderna logica simbolica.
Leibniz vagheggiava la costituzione di una characteristica univer
sa/is, ossia di una lingua artificiale universale, nella quale potessero
tradursi tutti i concetti e tutte le relazioni fra concetti; a tale lingua
avrebbe dovuto essere associato un calculus ratiocinator che avrebbe
appunto permesso di "meccanizzare" calcolisticamente ogni que
stione inferenziale. Questo suo programma, alla cui attuazione, ripe
tiamolo, Leibniz non seppe dare - a quanto ci risulta - quei con
tributi che si era proposto, contiene peraltro il germe di quelle che
saranno le peculiarità delle moderne ricerche di logica, e cioè :
l) il loro carattere linguistico, derivante dalla convinzione generale
dei logici che non abbiamo altro mezzo per studiare con rigore ed
esattezza le relazioni fra le idee, fuorché quello di analizzare le
espressioni linguistiche di tali idee;
2) il largo uso in esse praticato di opportuni simbolismi piu o meno
artificiali.
Come continuatori, almeno in senso lato, del pensiero di Leibniz
in questo campo vogliamo ricordare, sia pure senza soffermarci sulla
loro opera, J. H. Lambert (1728-77) e Gottfried Ploucquet (1716-90).
Nella prima metà del Settecento, un posto a sé come logico merita
16
Gerolamo Saccheri (1667-1733), il cui nome è entrato a buon diritto
nella storia della geometria non euclidea. In effetti, il Saccheri svi
luppa e analizztt nella Logica demonstrativa (1697) un tipo di dimo
strazione a contt.:1rio (che è, in sostanza, una variante della dimo
strazione per a.ssurdo) e la applica poi nel suo celebre Euclides ab
omni naevo vindicatus (1733) per tentare di ottenere una rigorosa
dimostrazione logica della dipendenza del quinto postulato degli
Elementi di Euclide dai primi quattro. Cosi facendo egli veniva di
fatto a ottenere (inconsapevolmente) tutta una serie di teoremi di
geometria non euclidea (iperbolica). Su questo argomento torneremo
brevemente nel prossimo paragrafo; qui vogliamo ancora ricordare,
fra i precursori della moderna logica matematica, il matematico e
filosofo Bernhard Bolzano (1791-1848) : sebbene egli operasse nella
prima· metà dell'Ottocento, le sue geniali anticipazioni in materia
( Wissenschaftslehre, 1837) restarono infatti ignote e prive quindi di
qualsiasi influenza sui contemporanei.
Il secolo diciannovesimo
Il secolo decisivo per l'impostazione e lo sviluppo continuo della
logica moderna fu però il secolo diciannovesimo. In esso si vennero
precisando due correnti di ricerca che diedero origine al rigoglioso
sviluppo, tuttora perdurante, di questa scienza. La rinnovata esi
genza di rigore dei matematici del secolo, impegnati a dare una
soddisfacente sistemazione a teorie già elaborate, e il sorgere e il
consolidarsi di nuove, piu astratte teorie, faceva sempre piu impe
riosamente sentire la necessità di un affinamento e potenziamento
dell'apparato logico-deduttivo.
" Il già ricordato tentativo del
LA "RIVOLUZIONE NON EUCLIDEA
17
la dipendenza del quinto postulato euclideo dagli altri. Nei primi
decenni dell'Ottocento, Nikolaj Lobacevskij 1 segui sostanzialmente
lo stesso procedimento ma con intenti del tutto opposti: egli cioè
assunse come quinto postulato la negazione di quello euclideo, nel
l'intento però di costruire una nuova geometria (che egli chiamò
immaginaria e che noi oggi diciamo geometria non euclidea iper
bolica), i cui teoremi erano ovviamente tutte le proposizioni rigoro
samente dimostrabili da quei postulati.
Tali proposizioni urtavano contro l'intuizione tradizionale e,
d'altra parte, non erano verificabili dall'esperienza comune. Di
conseguenza, l'unica garanzia per l'ingresso legittimo della geometria
non euclidea nella scienza era rappresentata proprio, e in modo
clamoroso, dalla correttezza delle dimostrazioni mediante le quali
i teoremi non euclidei venivano dedotti dai postulati e quindi, in
definitiva, dalla logica.
BOOLE E FREGE Il primo filone di ricerche cui prima accen
navamo, trae origine dalla pubblicazione, avvenuta nel 1847, del
volume The Mathematical Analysis of Logic, being an Essay towards
a Calculus of Deductive Reasoning [Analisi matematica della logica
come tentativo verso un calcolo del ragionamento deduttivo] di
George Boole (1815-64). In esso vengono poste le basi delle conce
zioni matematiche cosi caratteristiche della logica moderna. Boole
vi sviluppa un calcolo (che, essenzialmente, è quello ancor oggi noto
come algebra di Boole) che può essere "interpretato" e in termini
di classi e in termini di enunciati. Pur riprendendo cognizioni in
parte già note, Boole le organizza in una struttura matematica che
conferisce loro una rigorosità e un'applicabilità del tutto nuove, si
da costituirne, indubbiamente, una disciplina originale.
L'algebra della logica del Boole consiste quindi essenzialmente
in un calcolo algebrico a interpretazione logica; essa venne perfe
zionata dopo il Boole, ad opera principalmente di William S. Jevons
(Pure Logic, 1864), C. S. Peirce (1839-1914) e Ernst Schroder (Vor
lesungen uber die Algebra der Logik, in 3 volumi, 1890-1915).
Iniziatore del secondo filone di ricerche logiche è il tedesco
1 Accanto al quale v anno ricordati C. F. Gauss (che preferi tuttavia non pubblicare i risultati
ottenuti in tale direzione) e l'ungherese Janos Bolyai che, indipendentemente da Lobaeevskij, rea·
lizzò un'analoga costruzione. Il primo "modello" di geometria non euclidea iperbolica venne pre
sentato dal Beltrami nel 1868.
18
Gottlob Frege (1848-1925). In opposizione alle vedute "fonnal
sliche" del Boole, e con maggior sensibilità e impegno filosofici
Frcge contribuisce in modo essenziale al potenziamento e alla siste
rnatizzazione della logica, nell'ambito di un piu vasto programma
di riconduzione dei concetti matematici a concetti logici (programma
Jogicistico). Per non ricordare che alcuni dei suoi numerosi contri
buti, notiamo che a lui si deve l'introduzione dei quantificatori, una
teoria del significato (ancor oggi essenzialmente accettata dai logici)
e la prima sistemazione assiomatica moderna della logica degli enun
19
con Russell, dei Principia mathematica ( 1 910-1913), Ludwig Witt
genstein (1889-1951) e F . P . Ramsey (1903-30). Fra i formalisti
hilbertiani vanno menzionati, fra gli altri, Paul Bernays (n. 1 8 82),
Jacques Herbrand (1908-3 1), Wilhelm Ackermann ( 1 896- 1 962) e
Johann von Neuoann (1903- 57) . Della scuola intuizionistica ricor
diamo infine Arend Heyting (n. 1 898).
20
breve panorama storico con le chiare parole di Ludovico Geymonat: 1
" ... La logica costituisce un tipico prodotto del momento riflessivo,
diretto a renderei consapevoli intorno al modo di ragionare da noi
effettivamente seguito sia nel discorso comune sia nei discorsi scien
tifici, ed accresce attraverso questa consapevolezza l'efficienza dei
nostri ragionamenti . Il grande sviluppo odierno delle indagini logiche
n on è altro che il frutto dei complessi e rapidi progressi, recente
mente realizzati dalla scienza, e delle nuove esigenze di rigore ivi
affiorate. Nella realtà della storia che noi stiamo vivendo, sono
proprio i nuovi problemi incontrati dai matematici, dai fisici, dai
biologi, sono le difficoltà di principio rivelate da tali problemi ,
l'incertezza dei metodi ideati per risolverli, ciò che ci impone un
approfondimento via via maggiore della riflessione logica ... Essa [la
logica] non inventa nulla, ma analizza e chiarisce in tutte le sue
articolazioni il modo di ragionare in uso presso gli scienziati: il
modo di ragionare cui essi devono ricorrere se vogliono elaborare
le proprie teorie in forma adeguata alle esigenze di rigore e di gene
ralità scaturite dal piu recente sviluppo dell'indagine scientifica."
2. G LI ENU N C I AT I E LA LO RO ST RUTTU RA
21
a) La terra ruota e il sole è immobile,
presenta una struttura composta, in quanto può essere scisso nei
due enunciati semplici "La terra ruota" e "il sole è immobile".
Enunciati semplici
Cominciamo ad analizzare gli enunciati semplici del tipo I) ;
alcuni altri esempi di enunciati siffatti:
2) Venere è un pianeta,
3) Roma è piu grande di Milano,
4) La somma di due e sette è nove ,
mostrano che in essi è ravvisabile un'identica struttura fondamentale.
Essi constano di unpredicato (-ruota; - è un pianeta; -è più gran
de di -; la so mma di - e di -è ) e di un certo numero di soggetti
-
(La terra; Venere; Roma , Milano; due, sette , nove) ai quali viene
attribuito il rispettivo predicato. A scopo, per ora, puramente tachi
grafico, possiamo trascrivere gli enunciati precedenti in forma sim
bolica, convenendo quanto segue: rappresentiamo il predicato con
la sua lettera iniziale maiuscola e facciamogli seguire le lettere minu
scole iniziali dei soggetti cui esso viene attribuito. Gli enunciati
precedenti divengono cosi, nell'ordine,
l') Rt,
2') Pv,
3') Grm,
4') Sdsn.
Notiamo ora che 1'), 2') possono esprimersi dicendo che l a pro
prietà R, rispettivamente P, conviene agli individui t, rispettivamente
v ; mentre 3'), 4') possono esprimersi dicendo che la relazione G,
rispettivamente S, ha luogo fra gli individui r, m, rispettivamente
d, s, n. Avendo luogo tra due individui, la relazione G si dirà binaria;
per la ragione analoga diremo temaria la relazione S, e cosi via;
da questo punto di vista anche quelle che abbiamo indicato sopra
corre proprietà, possono considerarsi relazioni unarie . Sicché in
definitiva potremo dire che gli enunciati semplici si presentano, in
generale, come affermazione del sussistere di una relazione tra certi
individui.
È proprio questa considerazione che ha suggerito un tipo di
scrittura simbolica analogo a quello da noi adottato (predicato
seguito da soggetti); cosi facendo infatti, siamo in grado di espri-
22
mere simbolicamente una relazione fra quanti si vogliano individui,
cosa che non sarebbe stata tanto agevole e che, ad un certo punto,
sarebbe diventata praticamente impossibile o, in ogni caso , poco
trasparente se avessimo adottato altri tipi di scrittura. Ad esempio,
avremmo potuto convenire di porre il predicato fra i soggetti cui
esso è riferito; con tale convenzione si rende molto bene il caso
delle relazioni binarie (avendosi, ad esempio per 3'), rGm) ma ci
si trova in imbarazzo per relazioni ternarie; avremmo però potuto
s
convenire , per queste ultime , una scrittura quale dSn che sarebbe
stata adeguata anche per le relazioni quatemarie (saturando con
l'iniziale del quarto soggetto il posto vuoto sotto la lettera del pre
dicato) ma, oltre a non essere molto agevole, ci avrebbe messo in
imbarazzo se avessimo dovuto considerare relazioni quinarie.
23
nei casi piu elementari) in una frase del linguaggio comune la sua
esatta struttura logica.
Esaminando ora b) possiamo individuare facilmente anche in
questo caso i due enunciati semplici "la finestra è aperta" e "Beethoven
è morto"; essi sono collegati dal connettivo "se... allora... ". Intro
ducendo per tale connettivo il simbolo "-+", e convenendo di porto
tra i due enunciati atomici da esso connessi, potremo trascrivere
l'enunciato b) come segue:
b') Af-+ Mb.
24
Otterremo cosi
e' ) -,Ge.
Diremo che " /\ " , " V ", "�", "�" sono connettivi biargomen
tali o binari, poiché essi operano su due enunciati; viceversa " .., "
verrà detto unario o monoargomentale . È chiaro che un enunciato
può presentare una struttura piu complessa di quelle da noi finora
considerate a scopo esemplificativo. La simbolizzazione di enun
ciati piu complessi si ottiene ovviamente in modo automatico con
l'impiego, eventualmente ripetuto, dei simboli sopra introdotti e ai
quali si aggiungono , per chiarezza, le parentesi tonde . Cosi, ad
esempio, l'enunciato
"Se Antonio ama Maria e Maria non sposa Carlo, allora Antonio
sposa Maria"
riceverà la seguente traduzione simbolica
(Aamf\-,Smc) � Sam.
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predicato (ad esempio, "passeggia") e "a" per un certo individuo
ben determinato (ad esempio, "Antonio") e cioè una costante.
Enunciati come 5) ci spingono però a cercare di garantirci la possi
bilità di attribuire indifferentemente un certo predicato non a un
solo individuo determinato ma ad una totalità di individui . Pen
siamo allora di porre , in Pa, al posto di a, una variabile, che indi
cheremo con x ; otterremo cosi Px. Px non è un enunciato; basti
osservare che "ritraducendolo" si otterrebbe
"x passeggia" ,
e, circa quest'espressione, non ha ovviamente senso porsi la domanda
se essa è vera o falsa. Tale domanda diventa sensata quando, ad
esempio, al posto di x si sia sostituito un soggetto ben preciso,
quale ad esempio "Carlo", "Giovanni", oppure "Franca". Orbene ,
chiamiamo forma enunciativa (monadica) quel complesso linguistico
che si ottiene da un enunciato sostituendo una costante che in esso
compare con una variabile .
Data una forma enunciativa, sappiamo già che si può tra
sformarla in un enunciato operando la sostituzione delle varia
bili che in essa compaiono con delle costanti. Non è questo però,
come ora vedremo, l'unico modo per ottenere un enunciato da
una forma enunciativa . Introduciamo i due simboli: "'rt" da leg
gersi "per tutti.. ." e "3" da leggersi "esiste (almeno) un . ..", e ripren
diamo il nostro esempio 5). Dopo quanto abbiamo detto risulta
chiaro che esso potrà trascriversi come segue. Diciamo Rx la forma
proposizionale "x respira"; 5) afferma allora che , qualunque sia x,
x respira. Avremo perciò
5') 'rtxRx.
'rtx(Ax -7 Rx) ,
26
un animale allora x respira" (o piu brevemente , "Tutti gli animali
respirano"), è vera.
Possiamo quindi affermare che , data una forma enunciativa
(monadica), possiamo ottenere da essa un enunciato oltre che per
sostituzione della variabile in essa comparente, anche mediante
quantificazione universale ; il simbolo 'V viene infatti detto quantifi
catore (o operatore) universale e la sua applicazione , appunto, quan
tificazione universale. È manifesto che l'enunciato "Tutti respirano"
può anche rendersi come "Non esiste qualcuno che non respira" e
servendosi del simbolo di negazione già introdotto e usando il quan
tificatore esistenziale 3, ciò dà luogo a scrivere
S") -.3x-.Rx.
Sdsn
(2+ 7 = 9) potremo ottenere la forma enunciativa monadica
Sxsn
(x+ 7 = 9) sostituendo d con una variabile; o la furma enunciativa
diadica
Sxyn
27
(x+ y 9) sostituendo anche s con una variabile; o infine la forma
=
enunciativa triadica
Sxyz
(x+ y z) operando tutte le sostituzioni sulle costanti (individuali)
=
contenute nell'enunciato.
28
estensionale e di queHo intensionale. Per evitare confusioni, noi
assumeremo per il primo il termine estensione, per il secondo il
termine in tensione; sicché potremo dire che il significato di un certo
segno è dato daHa sua intensione e dalla sua estensione. In parti
colare, l'intensione esprime il modo con cui viene data l'estensione.
A noi interessa ora precisare, su questa falsariga, la nozione di
significato per i soggetti, i predicati, gli enunciati. A questo pro
posito è opportuno introdurre dapprima, brevemente, i concetti di
valore di verità e funzione.
Il primo di questi concetti è tale che sotto di esso cadono esatta
mente il Vero e il Falso. 1 Ciò traduce semplicemente il fatto che noi
ammettiamo che ogni enunciato possa essere o vero o falso, esclu
dendo ogni altra possibilità. Ciò si può esprimere anche dicendo
che intendiamo muoverei neH'ambito di una logica a due valori;
d'ora in poi, aH'occorrenza, indicheremo il vero con l, il falso con O ;
l'insieme W dei valori di verità sarà indicato con W{l, O} .
Per quanto riguarda il concetto di funzione conviene partire da
un esempio. Ognuno di noi ricorda che una formula quale
y=3x+2
può compiere quest'ufficio: ogni qualvolta aHa variabile indipen
dente x sostituiamo un numero reale di un certo dominio (ad esempio,
compreso fra O e l) eseguendone il prodotto per 3 e sommando 2
al risultato, otteniamo un valore numerico per la variabile dipen
dente y. Cosi ad esempio, sostituendo nella *) x= ì, otteniamo
y=3 Xì+ 2 = i + 2 = f .
1 Sia chiaro che, volendo, si possono ammettere anche piu di due valori di verità, per esempio:
il Vero, il Falso, l'Indeterminato; oppure anche, addirittura, infiniti valori di verità. Corrispon•
denternente, nel nostro contesto, ciò significa assumere una logica a due, tre, infiniti valori.
29
Orbene, si ricorderà che una formula come la *) in base alla
quale, dato un certo valore all'argomento x, si può ottenere il corri
spondente valore di y, è un esempio elementare di funzione, o, se
-2 -1 2 3 4 5 x
30
Ciò premesso, riassumiamo nella tabella l le determinazioni
relative al significato dei termini del linguaggio per noi interessanti.
TABELLA
31
(piu in generale, interi) e come valori i valori di verità. Le espres
sioni che abbiamo sopra scritte possono cioè tradursi come segue:
"P fa corrispondere a O il valore di verità falso"
"P » » » l » » » ",
"P » » » 2 » » vero",
e cosi via. 1 Va notato che, estensionalmente, due attributi verranno
detti identici quando assumono sempre gli stessi valori per gli stessi
argomenti. Tale è il caso, ad esempio, degli attributi estensioni dei
predicati "Essere un triangolo equilatero" e "Essere un triangolo
equiangolo".
Per intensione di un enunciato, infine, abbiamo assunto la propo
sizione; si è già avvertito che la terminologia è puramente convenzio
nale. Noi cioè diamo il nome di proposizione a ciò che uno "intende
dire" pronunziando o scrivendo un enunciato. L'estensione di un
enunciato è stata assunta come uguale al suo valore di verità. Ciò
comporta, in particolare, che tutti gli enunciati veri (ossia che hanno
per estensione il valore di verità l) hanno significato parzialmente
coincidente e analogamente tutti gli enunciati falsi (che hanno come
estensione il valore di verità 0). In altri termini: da un punto di
vista estensionale ogni enunciato vero è equivalente a qualunque
altro enunciato purché anch'esso vero.
Potrà sembrare molto artificiosa l'assunzione dei valori di verità
quali estensioni di enunciati. Ma essa non è che la naturale conse
guenza delle assunzioni precedentemente fatte per soggetti e pre
dicati. Basti pensare che un enunciato (nel caso atomico) è nient'altro
che l'attribuzione di una proprietà a un individuo o, in generale,
l'enunciazione che una certa relazione vale o non vale fra una n-upla
di individui.
La distinzione sopra esposta fra intensione ed estensione di un
segno comporta che, in una trattazione rigorosa, si debba tener
conto delle due dimensioni intensionale ed estensionale, o, quanto
meno, porta alla consapevolezza che movendosi su l'un piano e
trascurando l'altro, non si coglie tutto il contenuto significativo di
un segno. I logici moderni seguono per lo piu la seconda determi
nazione, si mantengono cioè su un piano estensionale e cosi faremo
anche noi in quanto segue. Per quanto non manchino tentativi di
1 Oppure, in termini intuitivi: uo non è un numero primo" i " l non è un numero primo"
"2 è un nwnero primo", ecc.
32
logiche intensionali, per esempio i sistemi modali del Lewis (si veda
la bibliografia) si preferisce in generale una trattazione estensionale,
da una parte per le notevoli semplificazioni operative che essa com
porta, dall'altra perché tutti i risultati ottenuti per via intensionale
sembrano poten:i raggiungere anche per via estensionale.
Funzioni di verità
La determinazione di porci su un piano estensionale permette,
per prima cosa, di considerare da un diverso punto di vista quelle
particolari costanti logiche che abbiamo prima introdotto, e cioè
i connettivi e gli operatori che, si ricorderà, erano state allora pre
sentate come mere abbreviazioni tipografiche.
Cominciamo dai connettivi. Si era detto che ognuno di essi
poteva considerarsi come un elemento linguistico che, operando su
enunciati, produceva ancora enunciati. Considerando ora noi gli
enunciati da un punto di vista estensionale, interessandoci cioè solo
dei loro valori di verità, potremo dire che un connettivo è una fun
zione che fa corrispondere a valori di verità ancora valori di verità.
A livello delle estensioni, pertanto, i connettivi si presentano come
funzioni di verità.
Abbiamo visto che uno dei nostri connettivi, che abbiamo sim
bolizzato con -. (e che a livello intuitivo doveva renderei la nega
zione) è monoargomentale, ossia opera su un solo enunciato ; gli
altri quattro, 1\ , V , �. �. sono invece biargomentali, ossia operano
su due enunciati.
Ora è facile vedere che di funzioni monoargomentali definite
sull'insieme W{l, O} dei due valori di verità e con valori sullo stesso
insieme ne esistono esattamente quattro. E infatti, dato un qua
lunque enunciato oc, esso potrà essere o un enunciato vero o un
enunciato falso, potrà cioè avere valore di verità l o valore di verità O ;
se ora noi consideriamo il nuovo enunciato ..., oc, ottenuto dal pre
cedente negandolo, in corrispondenza di ognuno dei due valori po
tranno aversene altri due. Avremo cioè in definitiva che la tabella 2
TABELLA 2
2 4
o
l
1
1
o � o
o
33
comprende tutte le quattro possibili funzioni di verità monoargomen
tali. Fra di esse dovremo scegliere quella che ci sembra meglio rispec
chiare, per i nostri scopi, il connettivo -, . È chiaro che non pren
deremo in considerazione la l e la 4, le quali a qualunque argo
mento fanno corrispondere l, rispettivamente O ; esse sono cioè
quelle funzioni che operando su un valore di verità, indipendente
mente da quale esso sia, gli fanno corrispondere sempre la prima,
l
sempre O la seconda. Resta quindi una scelta ragionevole fra la 3
e la 2 ; ma quest'ultima può essere chiamata la funzione di "affer
mazione". Essa infatti, operando su un valore di verità, lo lascia
invariato. Se ricordiamo che la funzione da noi cercata deve essere
un corrispettivo del connettivo -, il quale deve renderei la nega
zione; e se, in senso intuitivo, accettiamo il fatto che la negazione
di un enunciato vero debba essere un enunciato falso e viceversa
la negazione di un enunciato falso debba essere un enunciato vero,
allora concludiamo che la funzione 3 fa al caso nostro. Essa infatti
è tale che al valore di verità l fa corrispondere lo O, al valore di
verità O fa corrispondere l'l, ossia scambia i due valori di verità.
Ne risulta quindi che al simbolo -, potremo associare la funzione
di verità 3 (che per ovvi motivi chiameremo d'ora in poi Non) defi
nita dalla tabella 3.
TABELLA 3
w Non (w)
o
o
34
di verità ad essi associate mettono in relazione non dei simboli ma
dei valori di verità.
Nella tabella 4 abbiamo tutte le possibili funzioni biargomentali.
TABELLA 4
w w' J2 3 4 5 6 7 8 9 l O 11 12 13 14 15 16
o o o o o o o o
o o o l o o o o
o l l o o l l l l o o l l o o
o o o l o o l o l o l o l o
TABELLA 5
w w' Et(w, w')
o o
o o
o o o
35
in cui i due enunciati siano entrambi falsi. È questo il classico caso
dei bandi di concorso (Il candidato deve essere in possesso di laurea
in lettere, o in filosofia, o... ) nei quali l'elencazione alternativa dei
singoli titoli che un candidato deve possedere, non esclude la possi
bilità che egli ne possegga piu d'uno o addirittura tutti, purché ne
possegga almeno uno.
La funzione 9 traduce l'impiego dell' "o" che vogliamo chiamare
incompatibile : esso esclude che entrambi i suoi argomenti siano
veri, non però che essi siano entrambi falsi. L'uso, molto raro, di
tale connettivo, si ha nel linguaggio comune per lo piu in situazioni
nelle quali non ci preoccupiamo tanto che due enunciati siano
entrambi falsi, ma vogliamo ribadire che essi non sono contempo
raneamente veri. Supponiamo ad esempio che nel corso di una
dimostrazione si sia affermato "L'angolo ex è retto" e, piu avanti,
" L'angolo ex è acuto". Noi diremo allora "ex è retto o è acuto" e
ciò non esclude che l'angolo in questione sia magari ottuso (ossia
che entrambi gli enunciati precedenti siano falsi) : afferma soltanto
che le due affermazioni simultanee sono impossibili.
La funzione 10 infine traduce l'uso dell' "o" esclusivo, impie
gando il quale cioè noi intendiamo affermare il non verificarsi della
simultanea verità o falsità di due enunciati, affermando però, nel
contempo, la verità di uno dei due. Ad esempio, "È giorno o è
notte".
Dei tre usi dell' "o" qui descritti, noi assumiamo quello alter
nativo. Al connettivo V associamo cioè la funzione Ve/ definita
nella tabella 6 .
TABELLA 6
'
w w Vel (w, w')
l l l
l o l
o l l
o o o
36
l) Che non può darsi il caso che Antonio mangi ma non abbia fame.
2) Che non può darsi il caso che Antonio abbia fame e non mangi.
In altri termini, noi escludiamo soltanto che possa verificarsi
(o non verificarsi) solo l'uno dei due enunciati "Antonio mangia",
"Antonio ha fame" senza che si verifichi (o non si verifichi) anche
l'altro. In generale, il linguaggio comune non fa uso di questo con
nettivo (si preferisce, ad esempio, usare il "se ... allora" con valore,
dato dal contesto del discorso, di "se e solo se") che invece è di
uso molto frequente in matematica. Ad esso assoceremo la funzione
Aeq definita nella tabella 7 (funzione 7 della tabella 4).
TABELLA 7
'
w w Aeq (w, w')
1
1 o o
o 1 o
o o 1
TABELLA 8
'
w w Seq (w, w')
l l l
l o o
o 1 1
o o 1
37
zione di una connessione causale o in qualche altro modo "neces
saria" fra l'antecedente e il conseguente. Cosi quando noi diciamo,
ad esempio :
' 'Se la pressione di una massa di gas aumenta allora il suo volume
diminuisce",
intendiamo senz'altro dire che la verità della conseguenza discende
necessariamente dalla verità della premessa. Una situazione di questo
tipo è senza dubbio resa esattamente dalla prima riga della tabella
precedente, che afferma essere vero un condizionale quando tanto
l'antecedente quanto il conseguente sono veri. Ma la nostra impo
stazione estensionale ci fa "leggere" molto di piu in quella riga :
essa infatti afferma la verità di un condizionale a antecedente e
conseguente veri indipendentemente dall'esistenza di un nesso causale
o di qualunque altro tipo fra di essi. Il fatto è che noi stiamo defi
nendo una funzione fra estensioni di enunciati, e quindi escludiamo
ogni altra connessione fra di essi che non sia un rapporto pura
mente combinatorio fra i loro valori di verità; eventuali nessi causali
potrebbero viceversa sussistere solo su un piano intensionale, ossia
fra proposizioni.
In particolare, noi tendiamo anche a distinguere l'uso del "se...
allora" inteso come connessione proposizionale ipotetica da quello
che stabilisce una connessione logica fra gli enunciati, connessione
di solito espressa da locuzioni quali "implica che ... ", " ne discende
che ... " e simili. Cosi ad esempio è per noi un condizionale vero
anche il seguente " Se l'acqua gela a oo allora Mosca è la capitale
dell' Unione Sovietica" malgrado fra le due proposizioni non sus
sista alcuna relazione, causale , logica o d'altro tipo, tanto che l'enun
ciato precedente risulta senza dubbio "insensato".
Anche le due ultime righe della tabella definitoria della funzione
Seq esprimono situazioni, apparentemente paradossali, che purtut
tavia hanno un riscontro, anche se non frequente, nel linguaggio
comune : esse affermano infatti che allorché l'antecedente in un
condizionale è un enunciato falso, allora quel condizionale è vero
qualunque sia il valore di verità dell'enunciato assunto come conse
guente. Quando ad esempio iniziamo un discorso con affermazioni
del tipo "Se fossi presidente della repubblica, allora... ", è chiaro
che non siamo piu interessati a quello che viene dopo, dal momento
che siamo partiti da un'ipotesi che riteniamo falsa. In base alle consi-
38
derazioni precedenti saranno per noi condizionali veri, ad esempio,
enunciati quali
"Se la terra è ferma allora Beethoven è morto",
e anche
"Se la terra è ferma allora Beethoven è vivo".
Infine, la seconda riga della tabella trova un riscontro usuale
nel linguaggio comune ove si annetta al connettivo "se... allora" la
"carica" causale o logica di cui prima parlavamo. È chiaro che in
questo caso noi escluderemmo che da un enunciato vero possa
seguirne uno falso, ché in tal caso tutto il nostro condizionale risul
terebbe falso. A questo proposito è ancora opportuno ripetere che
la connessione stabilita dalla riga in questione avviene fra valori di
verità e non fra proposizioni ; avviene cioè in modo del tutto indi
pendente da quei nessi. In altri termini, la nostra definizione è molto
piu comprensiva del normale uso di tale connettivo.
TABELLA 9
39
Le relazioni corrispondenti, a livello dei connettivi, intervengono
anche nel linguaggio comune. Ad esempio, noi diciamo: "Se non
sbaglio Antonio viene oggi" (-,ex -+ {J) o, senza essenziali modifi
cazioni di significato: "0 mi sbaglio o Antonio viene oggi" (ex V{J).
Analogamente, diciamo: "Se Antonio incontra Mario lo saluta
sempre" (ex -+ {J) e anche: "Antonio non incontra mai Mario senza
salutario" ( -. (ex/\ -. {J))
•
Funzioni di quantificazione
Gli operatori esistenziale e universale sono stati introdotti, essen
zialmente, come quegli elementi linguistici che a forme enunciative
fanno corrispondere enunciati. Per poter giungere ad assegnare
loro un significato estensionale, come abbiamo fatto per i connettivi,
vogliamo associar loro delle particolari funzioni, che, per cosi dire,
ne determinino il comportamento in termini di valori di verità.
Consideriamo per questo la forma enunciativa
"x è seduto" ,
"'v'x(x è seduto)"
"3x(x è seduto)"
40
vista combinatorio esisteranno pertanto 8 (23) possibili funzioni di
quantificazione, come appare dalla tabella IO.
TABELLA 10
l 2 3 4 5 6 7 8
{O} l l o o o o
{l, O} l o o l l o o
{l } l o l o o o
,_
{O} o {O} o
{1, O} o { l , O} l
{ l} {l} l
Anche in questo caso non è difficile costatare che anche le altre
funzioni della tabella IO (a esclusione ovviamente della l e del
la 8) traducono situazioni linguistiche usuali. Cosi la funzione 4
è associata a quello che potremmo chiamare il quantificatore uni
versale negativo ("Nessuno è seduto"); la 6 all'esistenziale neutro
("Solo alcuni sono seduti", ossia "Alcuni sono seduti, altri no");
la 3 all'universale alternativo ("0 tutti sono seduti o nessuno è sedu
to"); la 2 infine all'esistenziale negativo ("Qualcuno non cammina").
Anche ora è facile riassumere in un tabella (tab.13) le relazioni
fra le due funzioni di quantificazione testé introdotte.
TABELLA 13
In tennini di Ex (w) Om (w)
41
4. L I N G UAGG I O
42
i mpiegando un idoneo simbolismo ripagano ampiamente della arti
ficiosità di quest'ultimo ; sicché oggi non avrebbe senso rinunziare
a uno strumento tanto efficace e prezioso.
43
o "pressione"; e ciò pregiudicherebbe, d 'altra parte, la possibilità
stessa di comunicazione fra individui diversi.
Quello che è un pregio per il linguaggio comune risulta, al con
trario , un fondamentale difetto per il linguaggio scientifico in
generale.
Qui, per la possibilità stessa di stabilire un discorso intersog
gettivo , è necessario che ogni termine di una singola scienza abbia
un suo proprio e definito significato . In un discorso rigoroso non
è ammissibile impiegare dei termini con diverse sfumature di signi
ficato , che vengono di volta in volta scelte in base al contesto del
discorso: ogni termine, per cosi dire , si porta stabilmente dietro il
significato assegnatogli una volta per tutte . Nel linguaggio scientifico
è necessario provvedere a coniare sempre nuovi termini per signi
ficati nuovi; e anche quando la scienza assume nel proprio linguaggio
termini del linguaggio naturale provvede a che essi conservino solo
una delle loro possibili accezioni comuni.
Sintassi e semantica
Le due caratteristiche sopra riferite dei linguaggi artificiali, adom
bravano , come abbiamo visto , due dimensioni distinte di tali lin
guaggi , l'una relativa ai segni di un linguaggio come tali, l'altra
invece relativa ai rapporti di quei segni con le entità di certi uni
versi di interpretazione . Chiameremo , secondo l'uso corrente , dimen
sione sintattica di un linguaggio la prima, sua dimensione semantica
la seconda. Una volta precisata, per un certo linguaggio , la prima
dimensione, diremo di averne dato la sintassi; allorché ne sia stata
precisata la seconda, diremo di aver specificato la semantica di quel
linguaggio.
La distinzione sintassi-semantica è ovviamente ravvisabile anche
nei linguaggi comuni, ad esempio, nella lingua italiana. In essi però
tale distinzione non si presenta come nettamente delineata , in quanto
né la sintassi né la semantica di tali linguaggi sono rigorosamente
e completamente determinate; inoltre, in vista proprio della pecu
liare funzione comunicativa di tali linguaggi, quella distinzione
tende, in ogni caso , ad essere risolta a favore dell'aspetto semantico
del discorso . Se conveniamo di chiamare "corrette" le espressioni
della lingua italiana giuste da un punto di vista sintattico, e chia
miamo invece "sensate" quelle giuste da un puntodi vista semantico,
44
ciò si può esprimere grosso modo dicendo che nel linguaggio comune
quello che interessa è parlare sensatamente, piuttosto che corretta
mente. Sull'argomento, che andrebbe discusso piu a fondo e molto
piu a lungo, ci limitiamo a fare due semplici esempi: siamo senza
dubbio portati a considerare come "italiano" l'enunciato
"Il padrone essere me"
scorretto da un punto di vista sintattico, ma fornito di senso, piut
tosto che l'enunciato
"Il coleottero catechizzò l'automobile"
impeccabile da un punto di vista sintattico, ma "insensato".
La situazione è in certo senso capovolta ad esempio nel caso
del linguaggio matematico, ove la funzione sintattico-formale viene
ad assumere un ruolo fondamentale; qui però il collegamento fra
segni e significati (la semantica) è rigorosamente e univocamente
determinato.
Volendo quindi costruire un linguaggio artificiale, si dovrà in un
primo momento precisame la sintassi, quindi passare a stabilirne la
semantica. Il primo momento avviene di solito attraverso alcuni
passi (che trovano, in buona parte, adeguato riscontro nel linguaggio
comune) in base ai quali
l) si fissa un alfabeto, ossia un certo insieme di simboli (che in
vista di certe questioni connesse al problema della decisione con
viene assumere finito) detti segni base del linguaggio ;
2) si specificano certe operazioni di conne&sione fra quei simboli
(ad esempio, l'operazione di concatenazione) si da poteme formare
delle sequenze finite dette parole (sul dato alfabeto) ;
3) viene privilegiata una certa classe di parole, i cui elementi ven
gono detti espressioni-base ;
4) si specificano certe operazioni fra espressioni-base, tali che pro
ducano altri complessi segnici detti espressioni.
Una volta che siano specificati l'alfabeto e l'insieme delle espres
sioni si considera il linguaggio in questione completamente deter
minato da un punto di vista sintattico. Non è difficile cogliere la
stretta analogia di questo procedimento con quello impiegato nella
costruzione in un linguaggio comune ; in altri termini, se noi effet
tuassimo i cinque passi precedenti, a partire dall'alfabeto della lingua
italiana, ritroveremmo alla fine il nostro linguaggio comune cosi
come lo conosciamo. Naturalmente, in questo caso ci troveremmo
45
di fronte a complicazioni considerevoli, soprattutto nella determi
nazione del passo 4) sopra esposto.
Il second o momento della costruzione di un linguaggio artifi
ciale consiste, da un lato, nello specificare esattamente l'universo
interpretativo del linguaggio stesso, dall'altro, nello stabilire un nesso
rigoroso tra i segni del linguaggio e tale universo. Qui viene del
tu tto a mancare l'analogia col linguaggio comune, che ovviamente
non limita a priori nessun particolare universo interpretativo, né
d'altra parte prevede - come abbiamo già notato - rigorose stipu
lazioni che assicurino l'esistenza e l'unicità di significati per ognuno
dei suoi tet mini.
Va ancora detto che il punto l) sopra ricordato, relativo all'assun
zione di certi segni base, viene preceduto da un'analisi che ci per
mette di stabilire, in vista di ciò che col nostro linguaggio vogliamo
esprimere, quali segni base sia opportuno e necessario comprendere
nel nostro alfabeto. Si riconosce subito che l'analisi da noi svolta
nel § 2 risponde proprio a questo scopo, pur se allora è stata
condotta in via del tutto indipendente. Viceversa, quanto abbiamo
detto nel § 3 sulla teoria del significato rappresenta l'aspetto seman
tico della discussione svolta al § 2.
46
non esprimiamo qualcosa con i segni stessi di L, ma servendoci di
un altro linguaggio, in questo caso la lingua italiana, abbiamo enun
ciato una proprietà di un certo complesso segnico di L, precisamente
abbiamo affermato che esso appartiene all'insieme delle espressioni
d i L. Orbene, il linguaggio L viene detto linguaggio oggetto ; il lin
guaggio, in questo caso l'italiano, col quale esprimiamo proposi
zioni che vertono su segni (o complessi di segni) di L viene detto
metalinguaggio (relativo a L).
Come altro esempio, l'espressione
(a + b) (a - b) = a2- b 2
appartiene al linguaggio oggetto della matematica (che supponiamo
rigorosamente definito), mentre la proposizione
" ' (a + b) (a- b) = a2 - b 2 ' è una formula matematica giusta" ,
vertendo su espressioni di quel linguaggio, apparterrà al metalin
guaggio (che in questo caso è ancora l'italiano).
Naturalmente , nei semplici esempi sopra esposti, le cose sono
state volutamente accentuate per far meglio risaltare la differenza
fra linguaggio oggetto e metalinguaggio ; tuttavia uno stesso lin
guaggio può assolvere entrambe le funzioni. Ad esempio, in una
qualunque grammatica della lingua italiana, tanto il linguaggio
oggetto quanto il metalinguaggio sono rappresentati, appunto, d alla
lingua italiana. Quando ad esempio vi si dice
" L'alfabeto della lingua italiana consta delle seguenti lettere :
'a', 'h', , . . . "
si fa un'affermazione metalinguistica che riguarda i segni "a", "b"ecc.
del linguaggio oggetto . In una situazione analoga ci si trova enun
ciando la regola secondo la quale la lettera " q", in italiano, deve
sempre essere seguita dalla lettera " u " , ecc. In particolare tutte le
considerazioni che stiamo facendo su sintassi, semantica, ecc., di
un linguaggio appartengono al metalinguaggio, sono cioè conside
razioni metalinguistiche.
La distinzione rigorosa fra linguaggio e metalinguaggio si è
dimostrata assai efficace per evitare una certa categoria di anti
nomie (le cosiddette antinomie linguistiche) emerse nelle moderne
ricerche sui fondamenti della matematica. Come si sarà notato,
da un punto di vista tipografico tale distinzione si esprime scrivendo
fra virgolette le espressioni del linguaggio oggetto quando si parli
47
di esse nel metalinguaggio. Cosi, ad esempio, è corretto scrivere
" '3' è una cifra arabica"
mentre è errato scrivere
"3 è una cifra arabica" .
Ad evitare tuttavia tale complicazione tipografica, che talvolta
può effettivamente appesantire di molto il discorso, e quando si
stima non esistano possibilità di confusione di livelli, si ammette
di poter fare un uso autonimo dei segni del linguaggio oggetto, impie
gandoli nel metalinguaggio quali nomi di se stessi. Con questa con
venzione, ad esempio, è corretta anche l'ultima proposizione da noi
s critta.
48
di maggiore, di minore, ecc. Tali definizioni vengono per lo pm
stipulate in modo che le relazioni corrispondenti godano delle pro
prietà comunemente ad esse richieste ; ciò ovviamente diventa oggetto
di una dimostrazione. Cosi, ad esempio, definita come segue la
relazione di uguaglianze fra coppie di interi
l) (a, b) = (c, d) se e solo se ad- bc = O ,
noi vogliamo assicurarci che essa sia riflessiva, simmetrica e transitiva.
Tralasciando di dimostrare le due prime proprietà, che seguono
immediatamente dalla stessa definizione l, vediamo una possibile
dimostrazione della transitività dell'uguaglianza. Disporremo i vari
passaggi della dimostrazione in modo forse non usuale, ma che tut
tavia traduce fedelmente l'effettivo procedimento dimostrativo.
Dobbiamo dunque far vedere che dalla definizione l) e dalle
ipotesi
2) (a, b) = (a', b') ,
3) (a', b') = (a", b") ,
segue sempre
4) (a, b) = (a", b") .
Disponiamo allora la dimostrazione come segue :
49
La dimostrazione è cosi terminata ; essa ha puro scopo esem
plificativo e non è stata quindi condotta in modo strettamente rigo
roso (in particolare, non sono stati esplicitamente giustificati tutti i
vari passaggi) ; crediamo tuttavia che essa sia sufficiente a mostrare
con chiarezza come, a partire da certe ipotesi (costituite da espres
sioni del nostro linguaggio) e trasformando le in base a certe regole
(che abbiamo indicato a destra di ogni riga), siamo giunti a una
espressione formalmente identica a quella che ci proponevamo di
dimostrare. Nell'operare i vari passaggi abbiamo fatto ricorso a pure
proprietà sintattiche del nostro linguaggio, in quanto abbiamo ope
rato trasformazioni formali (autorizzate da determinate regole) su
espressioni, indipendenti cioè dai possibili significati delle espressioni
stesse ; in altri termini, ci siamo rigorosamente mossi nella dimen
sione strutturale del nostro linguaggio oggetto. È chiaro viceversa
che le regole che autorizzano tali trasformazioni non si trovano,
per cosi dire, sullo stesso piano linguistico delle espressioni, ma
vertono su di esse : le regole appartengono quindi al metalinguaggio
(che è, anche in questo caso, la lingua italiana).
Precisato cosi l'aspetto sintattico della nostra dimostrazione,
non fatichiamo a scoprirne anche quello semantico. Esso consiste
semplicemente nel notare che se certi enti, nel nostro caso certi
numeri interi, verificano le ipotesi da noi sopra poste, se in altri
termini trasformano le espressioni 2) , 3) in enunciati veri, allora essi
verificano anche l'espressione 4) da esse ottenuta tramite la nostra
dimostrazione .
L'identificazione che il senso comune compie dei due piani sin
tattico e semantico del linguaggio, comporta in modo naturale la
mancanza di una netta distinzione fra i due aspetti paralleli della
relazione di inferenza. Si potrebbe dire che a livello non rigoroso
questi due aspetti sono considerati come procedenti di conserva,
nel senso che, a priori, proposizioni ottenute mediante dimostra
zione da certe ipotesi debbano seguire "naturalmente" la sorte di
tali ipotesi per quanto riguarda le interpretazioni (e quindi la verità)
ossia risultino vere per tutti e soli quei "significati" per i quali sono
vere le ipotesi.
Volendo però condurre un'indagine proprio sulla relazione di
inferenza in generale, è chiaro che noi non potremo trascurare la
distinzione or ora messa in luce, ma sarà anzi nostro compito, fra
50
gli a ltri, quello di studiare i nessi e i rapporti fra i due aspetti del
l'inferenza.
Per distinguere anche da un punto di vista term.inologico questi
due aspetti, diremo (riferendoci per comodità ancora all'esempio
precedente) nel caso sintattico che l 'espressione (a, h) = (a", b") è
stata derivata dalle assunzioni da noi ipotizzate, nel caso semantico
invece che essa è conseguenza di quelle assunzioni. Nel primo caso
dunque diciamo di aver effettuato una derivazione che, abbiamo
visto, consiste sostanzialmente in una successiva trasformazione di
certe espressioni che ci conduce a ottenere una certa altra espres
sione desiderata ; nel secondo caso, diciamo di aver stabilito una
relazione di conseguenza per ottenere la quale, in ultima analisi,
abbiamo introdotto il concetto di verità (intuitivamente intesa)
uscendo dal linguaggio e passando al piano delle sue interpretazioni.
Qualunque sia il linguaggio nel quale operiamo, esisteranno
espressioni di tale linguaggio che risulteranno "derivabili" senza
bisogno che si facciano assunzioni particolari ; tali espressioni, comuni
a tutti i linguaggi, vengono dette teoremi logici; analogamente, esi
steranno espressioni vere per qualunque interpretazione, ossia indi
pendentemente dall'universo al quale riferiamo i significati dei segni
di un dato linguaggio : espressioni di questo tipo, che, si può dire,
sono conseguenza di nessuna assunzione verranno dette leggi
logiche.
Ci si prospetta a questo punto la questione di indagare separata
mente la natura della relazione di inferenza sotto questo duplice
riguardo ; e di costatare quindi se i risultati ottenuti per l'una via
(e cioè derivando) coincidano o no con quelli ottenuti per l'altra
(e cioè stabilendo conseguenze). È chiaro che la nostra sarà una
ricerca per cosi dire di convergenza, nel senso che sarebbe appunto
augurabile giungere a un risultato che ci garantisse tale coincidenza.
In tal caso, la distinzione cui vogliamo attenerci nella nostra indagine
si dimostrerebbe, a posteriori, ingiustificata e quindi eliminabile.
Malgrado esorbiti dai limiti della nostra trattazione (che sembrerà
confermare questa eliminabilità) va detto subito che l 'impossibilità
della · identificazione dei due punti di vista è stata rigorosamente
dimostrata ad opera di Kurt Godei ; tale impossibilità è peraltro
strettamente connessa, come si vedrà, al "potere espressivo" del
linguaggio nel quale ci muoviamo.
51
Distinzione dei livelli logici
Supponiamo ora di avere un dato linguaggio L' e di aver pre
cisato un certo insieme R di regole in base alle quali condurre delle
derivazioni m';:diante le espressioni del nostro linguaggio ; diremo
in tal caso di aver trasformato L' in un calcolo. È chiaro che nel
l'ambito del calcolo cosi costituito, caratteristica essenziale sarà la
descrizione generale di una certa operazione, che indicheremo con
D e chiameremo operazione di derivazione, la quale permetta di
associare, ad ogni insieme M di espressioni di L', l'insieme D(M)
di tutte le espressioni (sempre di L ') derivabili da M. È chiaro che
una volta precisato l'insieme R , occorrerà innanzitutto giungere a
una definizione rigorosa del concetto di derivazione, già somma
riamente accennato, che costituisce la premessa necessaria per una
altrettanto rigorosa caratterizzazione dell'operazione D.
Il corrispettivo semantico di quanto ora detto consiste ovvia
mente, dato un certo linguaggio L", nel riuscire a definire esatta
mente per esso un'operazione di conseguenza K, tale cioè che associ
a un qualunque insieme M di espressioni di L", l'insieme K(M) di
tutte quelle espressioni di L" che sono conseguenza di M. Già in
base a quanto finora detto possiamo dire che si tratterà dell'insieme
di espressioni tali che risultano vere per ogni interpretazione che
rende vere le espressioni di M.
Diremo in tal caso che il linguaggio L" è stato trasformato in
un sistema.
Data la natura stessa dell'operazione K, qui le cose saranno un
po' piu complicate, e ci spingeranno, come vedremo, a definire rigo
rosamente i concetti, apparentemente cosi naturali, di "interpreta
zione", di "modello", ecc.
Infine, se a un linguaggio L abbiamo associato tanto un'opera
zione di derivazione quanto un'operazione di conseguenza, diremo
di aver ottenuto una logica, che per noi è dunque la "combinazione"
di un calcolo e di un sistema aventi un linguaggio comune. Non
occorre far notare che, per costruzione, studiare una logica cosi
intesa significa appunto indagare separatamente i due aspetti della
relazione di inferenza e metterei nella possibilità di evidenziarne gli
eventuali rapporti.
Nostro scopo sarà appunto, nei capitoli successivi, quello di stu
diare logiche di questo tipo. Il plurale si riferisce al fatto che, come
52
sopra abbiamo visto, la nozione di logica è relativa (in certo senso)
a quella di linguaggio ; piu precisamente a quella di potere espressivo
del linguaggio.
Per rendere intuitiva la cosa, si considerino le due "inferenze"
seguenti :
"Tutte le serie assolutamente convergenti sono convergenti ;
"'
"'
quindi {3",
nel quale ex e {3 rappresentano interi enunciati non analizzati. Nel
primo caso il nostro linguaggio deve esser tale da rendere conto
della scomposizione degli enunciati nei loro costituenti, dovrà cioè
contenere, intuitivamente, segni per soggetti e segni per predicati ;
nel se�n n ci o ca•;o non sarà necessario richiedere tanto : basta che il
53
nostro linguaggio possegga segni per interi enunciati. È chiaro che
nel primo caso la nostra analisi sarà molto piu approfondita che
non nel secondo ; purtuttavia quest'ultimo può fornire un primo
interessante esempio di ricerca logica.
Noi seguiremo appunto quest'ordine, studiando dapprima la
logica degli enunciati, nella quale ci occuperemo delle connessioni
logiche fra enunciati senza alcun riferimento alla loro struttura
interna ; passeremo quindi a studiare la logica dei predicati nella
quale ci occuperemo oltre che delle connessioni fra enunciati, delle
piu sottili relazioni che emergono dall'analizzarli nella loro struttura.
54
2 __________________
S. IL L I NGUAGG I O LE
55
Un'ultima osservazione generale riguarda il fatto che, per evitare
di racchiudere fra virgolette i segni del nostro alfabeto (o, piu in
generale, del nostro linguaggio) quando si parli di essi nel meta
linguaggio, assumeremo tali segni come nomi metalinguistici di se
stessi, facendone cioè un uso autonimo ; ciò naturalmente quando
dal contesto nel quale quei segni sono inseriti sia impossibile ogni
confusione o fraintendimento.
L'alfabeto (At) di LE consta dei seguenti segni :
p, l . --. , 1\ , v. -+, �. ( , ) •
56
Espressioni
Assumiamo ora come espressioni-base tutte e sole le variabili
enunciative e definiamo l'insieme delle espressioni come il piu pic
colo insieme di parole che contiene le espressioni-base ed è chiuso
rispetto alle operazioni sopra definite N, K, A, C, E.
Sono cioè espressioni P� o P 2 , Pa . . .. e, con 01: e {J, anche
-+p1) ; P2Ps �) ,
in quanto i segni -+, � debbono trovarsi fra espressioni, ecc.
6. IL CALCOLO CE
57
citamente le trasformazioni calcolistiche delle espressioni, viene na
turale di formulare tali regole come statuenti delle condizioni sotto
le quali possiamo introdurre, rispettivamente eliminare i connettivi
stessi.
A una care.tterizzazione piu intrinseca del calcolo della dedu
zione naturale, che lo differenzia da altri tipi di calcolo - detti
logicistici - faremo cenno dopo aver esposto le regole. La nostra
esposizione procederà precisamente come segue : dato prima lo
schema generale delle regole ammesse nel calcolo, passeremo suc
cessivamente alla loro formulazione singola. Allo scopo di illustrare
il senso e la portata delle principali fra queste regole, faremo seguire
una serie di esempi tratti dalla geometria, dai quali dovrà risultare,
fra l'altro, anche la "naturalezza" del calcolo.
A questo punto passeremo a definire con tutto il necessario rigore
il concetto di derivazione naturale, quello di derivabilità (naturale)
e infine il concetto di tesi logica (naturale). La derivazione di alcuni
tipici esempi di tesi logiche concluderà la nostra esposizione.
[ru . .. , r.l r R
dove con R indichiamo appunto la regola che ci permette di passare
alla "conclusione" r sotto le assunzioni rl , . . . , r. , a partire dalle
premesse Pu fJ z, . . . Pr, con le rispettive assunzioni. Va notato esplici
tamente che le assunzioni ac ; , r, non sono necessariamente distinte.
58
Qui e nel seguito le lettere greche minuscole vengono usate come
variabili metalinguistiche per espressi oni del calcolo ; useremo i ter
mini "derivare" e "derivazione" e analoghi in senso per ora intui
tivo, e che verrà rigorosamente precisato in seguito.
Avvertiamo infine che converremo di considerare una sola regola
per ogni connettivo, anche in quei casi in cui l'eliminazione o l'intro
duzione del connettivo in questione venga regolata da due distinte
"sottoregole".
[oc] Ass.
3) Regola di eliminazione di -, (E -. )
59
6) Regola di introduzione di V (P V, 1 2 V)
[IX u . . . , ex, ] IX (1Xl 1 ... 1 1Xn] IX
fJ E -+ .
10) Regola di introduzione di � (l �)
(!XmH 1 . . . 1 1Xn] {J -+ IX
(1Xu . . . , 1Xn] IX � {J l �.
1 1 ) Regola di eliminazione di � (E 1 � , E2 �)
(1Xu . . . , 1Xn ] IX � {J (1Xu . . . , 1Xn ] IX �{J
60
È chiaro infine che, non dipendendo essa da nessuna assunzione
(essendo cioè un teorema logico), in ogni momento del nostro pro
cesso dimostrativo potremo introdurre un'espressione della forma
y V -. y. Indicheremo tale introduzione con la sigla TND (tertium
non datur) segnando nel contempo con un trattino il posto vuoto
fra parentesi quadre. Avremo cioè ad esempio,
[-] TND .
"
[IXu ••• , <Xm ] <X
I /\ •
61
Viceversa, da quest'ultima affermazione (che supporremo ora
esserci nota di per sé) mediante applicazione di E 1/\ , rispettivamente
E 2 /\ , potremo ottenere tanto a. ' quanto a. ", cioè
[acl , ••• , a.m] a.'l\ a." [ac u •.• , IX.m ] ac 'f\ ac"
·----
62
golo per il quale la somma degli angoli interni sia uguale a 1 80°,
allora in ogni triangolo la somma degli angoli interni è uguale
a 1 80°. In simboli :
l [ac1 7 . . . , ac., ac * * , 15] y' .
Da qui applicando I -+, si ottiene
2 [ac17 . . . , ac. , ac * *] 15 -+ y ' ,
ossia : dagli assiomi della geometria assoluta si può dedurre che,
se esiste un triangolo per il quale la somma degli angoli interni sia
uguale a 1 80°, allora tale proprietà è goduta da ogni triangolo.
D'altra parte, si può mostrare che nella geometria euclidea esiste
un triangolo tale che la somma dei suoi angoli interni è 1 80°, cioè
3 [ac 1 , . . . , ac. , ac * * , ac * ]
Per applicazione di E -+ a 2 e a 3, otteniamo allora
63
8. D E F I N I Z I O N E D E l CONCETTI DI D E R IVAZ I O N E , D E R IVAB I L ITÀ E TES I
e tale che ogni suo elemento (si dirà anche : ogni sua riga) o è una
delle assunzioni o ha la forma {3 dipendente da {3 o ha la for
ma r V -.y dipendente da zero assunzioni , oppure è il risultato
dell'applicazione a espressioni precedenti di una delle regole so
pra definite.
Un'espressione ex per la quale esista una derivazione dalle assun
zioni cx1 , , cxn è detta derivabile da cx1 , , cxn ; per indicare questo
• • • •• •
scriveremo brevemente
cx l , • • • , Ol:n 1- 01: .
64
se e solo se essa è derivabile dalla classe vuota delle assunzioni ( se
e solo se, cioè, essa appartiene all'intersezione di tutti i D(M)) . Ciò
costituisce in effetti una precisazione delle nostre osservazioni pre
cedenti , secondo cui i teoremi logici - patrimonio comune a tutte
le teorie deduttive esprimibili in un certo linguaggio - sussistono
indipendentemente; da ogni eventuale assunzione particolare.
9. E S E M P I
a) f- IX/\ P --'; P l\ IX
l [1X/\ Pl lXI\ P Ass.
2 [1X/\ Pl IX EI /\ , l
3 [1X/\ Pl p Es /\ , l
4 [1X/\ Pl Pl\ IX 1 /\ , 2, 3
5 [--] lXI\ P --';p1\ IX I -->;, 4 .
b) f- 1X VP -'; P V1X
l [iX ] IX Ass.
2 [iX ] P VIX Ja v, l
3 [p ] p Ass.
4 [p] P VIX P V, 3
65
5 [a: VPJ a: VP Ass.
c) 1- (a:NP/\r)) -+ (Ca:/\P)/\r)
l [a:l\ (pl\ y)] a:/\ (P/\r) Ass.
3 fa:NP/\r)J Pl\r E2 /\ , l
5 [a:NP/\r) J y E2 /\ , 3
4 [p] p Ass.
5 [p] a: VP P V, 4
6 [p] (a: VP) Vy P/\ , 5
Ass.
7 [y] y
8 [y] (a: VP) Vr J 2 v. 7
9 fP Vrl P vr Ass.
IO (a: VP) Vy E V, 6, 8, 9
fP Vrl
1 1 [a: V (P Vr) J a:V(P Vr) Ass.
66
e) � (cx -+ ({J -+ y)) -+ ({J -+ (tx -+ y))
2 [ex] IX Ass.
4 [{J ] {J Ass.
f) � IX � -, -. IX
l [tx] IX Ass.
3 [ex, -. ex ] IX E -. , l , 2
4 [ex] -., -, (X I -. , 2, 3
5 (-] IX -+ -, -. ex I -+ , 4
6 ( -. -. ex] ..., -, (X Ass.
7 [-. ex, -, -. ex ) IX E -. , 2, 6
8 [-] tx V -. ex TND
9 (-. -. ex] IX E V , l, 7, 8
IO (-] -, -. IX -+ IX I -+, 9
1 1 [-] (X � -, -, (X I �, 5 , 10 .
1 0. IL S ISTEMA S E
67
per ogni insieme M di espressioni, l'insieme K(M) delle espressioni
che sono loro conseguenze logiche. Per questo, precisato il concetto
di interpretazione, definiremo per suo mezzo il concetto di modello,
che ci permetterà di giungere alla rigorosa determinazione dell'in
sieme K(M).
È già stato detto che la nostra concezione estensionalistica ci
porta a riguardare come significato (estensionale) di un enunciato
uno dei due valori di verità Vero, Falso, che abbiamo convenuto
di indicare con l , rispettivamente con O.
Quando dovremo riferirei indifferentemente all'uno o all'altro
dei due valori di verità, ci riferiremo genericamente all'insieme W{l , O}
che contiene esattamente i due elementi l , O.
Orbene, noi diciamo di aver interpretato un linguaggio quando
abbiamo associato un significato ad ogni sua espressione. Tenuto
conto del fatto che abbiamo definito le espressioni come quelle
parole ottenute a partire dalle espressioni-base (variabili enuncia
tive) combinandole mediante i connettivi, potremo ottenere il risultato
che ci interessa interpretando le variabili enunciative sui valori di
verità e facendo poi corrispondere ai connettivi opportune funzioni
di verità. L'estensione dell'interpretazione ad ogni espressione del
linguaggio sarà allora praticamente automatica.
l o l o l o l o
l [Il t :I:@] l [ITI} l iJE] l iJE]
o � o � o QE) o � o �
Non oc Et (oc, {J) Ve/ (oc, {J) Seq (oc, {J) Aeq (oc, {J)
In corrispondenza di una certa interpretazione delle variabili in
essa contenute, ad ogni espressione del nostro linguaggio viene cosi
68
associato (attraverso la naturale estensione prima accennata) un ben
preciso e unico valore (di verità) l o O.
Ad esempio, consideriamo l'espressione ex= ((p Vq) -+ r) e cer
chiamo quale valore gli associa l'interpretazione I cosi definita :
Sarà allora :
69
sfacibile è valida. A queste espressioni (soddisfacibili ma non valide)
diamo il nome di espressioni neutre o anfotere. Se conveniamo di
chiamare falsificabili quelle espressioni per le quali esista almeno
una interpretazione che associ loro il valore O, potremo illustrare
complessivamente nella tabella 1 4 il comportamento "semantico"
delle espressioni enunciative.
TABELLA 14
Espressioni
J L
\
Espressio i sod d i sfacibi l i Espressioni fai ficabili
l
Tautol ogie
l
Esp. otere l Co n t rad d i z i on i
A
I nterpretazio n i
ètB w
Tavole di verità
70
logia. In realtà, poiché il concetto di interpretazione è stato definito
per tutte le variabili enunciative del linguaggio, e quindi per infiniti
elementi, a rigore dovremmo condurre, per ogni espressione, infinite
prove per poter giungere a un risultato definitivo : cosa ovviamente
impossibile. È però del tutto plausibile (e la cosa può naturalmente
dimostrarsi rigorosamente tramite il cosiddetto teorema di coinci
denza) che in realtà il valore di un' espressione per ogni inter
pretazione dipende solo dalle variabili che effettivamente com
paiono nell'espressione stessa ; quindi, in base alle nostre defini
zioni, esso dipende sicuramente da un numero finito di variabili.
Ciò comporta che effettuando un numero finito di prove, è possibile
determinare il valore che ogni interpretazione associa a una data
espressione.
Ci si convince poi facilmente che, per un'espressione contenente k
variabili distinte, esistono 21c possibili interpretazioni distinte ; in
altri termini, effettuando al piu 21c prove saremo in grado di sta
bilire se un'espressione contenente k variabili è o no una tautologia.
Uno dei metodi piu usuali per condurre tale verifica è quello
fondato sulle cosiddette tavole di verità ; esso consiste sostanzial
mente nell'operare - sui valori assegnati alle variabili di una espres
sione IX da una data interpretazione - in base alle tavole di defi
nizione dei connettivi che collegano tali variabili nell'espressione.
Quando questa operazione sia stata svolta per tutte le possibili inter
pretazioni di IX , si dirà di aver ottenuto la tavola di verità di IX. Consi
deriamo, ad esempio, l'espressione
IX= (p � q) � (p!\ -, q) '
e disponiamo il "calcolo" nella tabella 1 5.
TABELLA 15
l 2 3 4 s '5
p q p -+ q ..., q p/\ -, q (p -+ q) -+ (pl\ -, q)
l l l o o o
l o o l l l
o l l o o o
o o l l o o
71
interpretazioni delle variabili p e q ; essendo in a contenute queste
sole variabili, tali interpretazioni sono 22 = 4. La colonna 3 è otte
nuta applicando la definizione di --+- (piu precisamente : della fun
zione Seq) alle prime due ; la quarta, applicando la definizione di -.
alla colonna 2 ; 19, 5, applicando la definizione di 1\ alla l e alla 4 ;
la 6, infine, applicando la definizione di --+- alla 3 e S . Piu usual
mente la tavola viene costruita in modo piu compatto (tab. 16).
TABELLA 16
p q (p -+ q) -+ (p 1\ ., q)
l l l l l o l o o l
o l o o l l l l o
o l o l l o o o o l
o o o l o g o o l o
72
TABELLA 17
t 6 2 5 3 4
p q r (p � r) � ( (q � r) � ((p V q) � r )}
l l l l l l l l l l l l l l
l o l o o l l o o l l l l 0 0
o l l l l o l l l l l o l l
l o o l o o o l o o l l o 0 0
o l o l l l l l l o l l l l
o o o l o l o o l o l l
0 0
o o l o l l o l l l 000 l l
o o o o l o ! 000 l o
0 ! 0 �
Un esempio di contraddizione ci è dato dall'espressione
y =pA -, (q --+p) .
Per essa si ottiene infatti dalla tabella 1 8 che ognuna delle quattro
possibili interpretazioni associa a y il valore O.
TABELLA 18
p q p !\ .., (q � p)
l o o l l l
l o l o o o l l
o l o o l l o o
o o o o o o l o
- = -
Forme normali
Il metodo delle tavole di verità non è ovviamente l'unico che
ci permetta di decidere della validità di una espressione logico
enunciativa ; vogliamo qui accennare brevemente a un secondo
metodo, per esporre il quale dobbiamo premettere una caratteriz
zazione intuitiva del concetto di forma normale congiuntit,a.
Un'espressione oc si dice in forma normale congiuntiva quando
è strutturata come la congiunzione non negata di alternative non
negate di variabili enunciative negate o no. Ci limitiamo a tale
caratterizzazione, che illustriamo con qualche esempio. L'espressione
73
di cinque termini, ognuno dei quali o è una variabile enunciativa
o è un'alternativa fra due o piu variabili enunciative negate o no.
Conveniamo di chiamare alternativa elementare ogni termine
della congiunzione. L'espressione
a)
b)
74
he ci permette di eliminare il connettivo �.
c. I) 1- -. (pAq) � -.p v -. q ,
c.2) t- -. (p Vq) � -.p/\ -. q .
che ci permettono di spingere "all'interno" il connettivo -, , a pro
posito del quale è anche opportuno ricordare la legge
c.3)
8 = (p � q) � (-. q � -.p) .
75
per b) e a)
76
risultare di molto vantaggioso rispetto a quello delle tavole di verità,
specialmente per espressioni molto complesse o che comunque con
tengano un numero elevato di variabili distinte.
77
1 1 . VAL I D ITÀ E COMPLETEZZA
Validità
Il problema della validità della nostra logica si pone quindi
come il problema di sapere se per qualunque insieme di espres
sioni M si ha D(M) ç K(M), ossia in altre parole, come problema
di sapere se tutto ciò che nel calcolo è derivabile mediante le nostre
regole da un insieme di espressioni M è anche conseguenza logica
di questo insieme.
La dimostrazione che ciò effettivamente accade, non presenta
difficoltà di principio ; ma essendo piuttosto lunga e laboriosa, ci
limiteremo qui a darne i tratti principali.
78
Noi vogliamo dunque dimostrare l'affermazione : se M 1- at: allora
M 1t- at:. Ma che significa M 1- at: ? Come si ricorderà, intendiamo
con ciò, sostanzialmente, che esiste una successione finita di espres
sioni, terminante con at:, e tale che ogni suo elemento o appartiene
a M o è il risultato dell'applicazione di una delle regole del calcolo
ad espressioni precedenti. In sostanza allora, per dimostrare il
nostro teorema, dobbiamo far vedere che ogni successione finita di
espressioni avente le due predette caratteristiche termina con una
espressione che è la conseguenza logica delle assunzioni.
Per ottenere tale dimostrazione, possiamo applicare un ragiona
mento di questo tipo :
a) mostriamo che tale affermazione è vera per ogni derivazione
che consti di una sola espressione ;
b) supponendo di averla già dimostrata per tutte le derivazioni che
constano di n espressioni, mostriamo poi che essa vale anche per
quelle derivazioni che constano di n+ l espressioni.
Seguendo questo procedimento, esamineremo sicuramente tutte
Je possibili derivazioni (perché n, purché finito, può essere qua
lunque) e potremo quindi concludere che ognuna di esse gode della
predetta proprietà (che per brevità chiameremo all'occorrenza pro
prietà V) cioè appunto che, per ogni at:, se M 1- at: è allora M 1t- at:.
In definitiva, l'essenza della nostra dimostrazione consiste nel far
vedere che la proprietà in questione si "trasmette" lungo la deri
vazione, ossia in altri termini, che le nostre regole conservano tale
proprietà.
Veniamo quindi al primo passo della dimostrazione, dimostriamo
cioè che ogni derivazione che consti di una sola espressione gode
della proprietà V. Ciò si deduce agevolmente dalla definizione stessa
di derivazione, secondo la quale una tale derivazione può constare
soltanto o di un'assunzione at:; oppure di un'espressione della forma
PV -.p. Nel primo caso, essendo at:; un elemento di M, essa sarà si
curamente soddisfatta da ogni interpretazione che soddisfi M, il che
conclude la nostra dimostrazione in questo caso ; se invece l'espres
sione in questione ha la forma P V ..., p essa è soddisfatta da ogni in
terpretazione e dunque, in particolare, da ogni interpretazione che
soddisfi M: anche in questo secondo caso l'afferma2'ione resta quindi
dimostrata.
Resta ora da far vedere, come passo successivo, che nell'ipo-
79
tesi che l'affermazione del teorema regga per ogni derivazione che
consti di n espressioni, essa regge anche per derivazioni che constano
di n + l espressioni. Supposto allora che la derivazione di una certa
espressione IX consti di n + l righe dobbiamo distinguere tre casi ;
per la definizione di derivazione, IX può essere infatti
a) un'assunzione IX1;
b) un'espressione della forma fJ V -.{3;
c) il risultato dell'applicazione a righe precedenti di una delle regole
da noi formulate nel calcolo.
Per i casi a) e b) non avremo che da ripetere il ragionamento
fatto sopra, relativo alle derivazioni di una sola riga. Nel caso c)
dovremo invece distinguere dieci sottocasi, tanti quanti sono le
regole che possiamo aver applicato a righe precedenti per ottenere IX,
Supponiamo ora di aver dimostrato che ognuna delle nostre
regole gode della proprietà che se le sue premesse sono conseguenza
logica delle assunzioni da cui dipendono, allora anche la sua con
clusione è una conseguenza logica delle assunzioni da cui dipende.
Esemplificando per il caso della regola 1/\ ,
k {3
{31\ y 1/\ , k, i
supponiamo cioè di sapere che se lXI , , oc, 11- fJ e IXm+ I' , IX,. 1\- y ,
••• • • •
lXI I . . . ,
1Xm
H- fJ ' iXm+H ... ' IX,. 1\- Y o
80
e in virtu della proprietà poco sopra formulata per 1 /\ varrà allora
anche ac1 , , ex,. 1t- {31\y, cioè proprio quello che vogliamo dimo
• • •
strare.
È allora chiaro che ragionando in modo analogo per le rimanenti
nove regole, esauriremmo tutti i casi possibili, ottenendo cosi una
dimostrazione completa del teorema.
La dimostrazione fin qui condotta dipende però ancora dall'ipo
tesi sopra fatta intorno alla proprietà di ogni regola di conservare
la relazione di conseguenza. Per eliminare questa ipotesi è neces
sario e sufficiente che noi facciamo vedere che di fatto ogni regola
gode di tale proprietà. Anche qui ci limitiamo a esemplificare la
cosa per la regola 1 /\ .
Supponiamo dunque che ac1 , , acm H-{3 e che acm+l ' , ex,. ft- y .
• • • • • .
Varrà allora
infatti, quelle interpretazioni che soddisfano ac1 1 , acm, acm+l ' , ac.
• • • • • •
81
e la natura di particolari nessi razionali fra determinate premesse
e le loro conclusioni. Esso ci assicura, in definitiva, che il nostro
calcolo ci permette di derivare solo esp ressioni valide.
Completezza
Appare ancor piu chiaro, a questo punto, l'interesse del pro
blema opposto al precedente, del problema cioè di stabilire se il
nostro calcolo, oltre a garantirci circa la validità delle espressioni
derivate mediante esso, non possa anche assicurarci la possibilità
di derivare tutte le espressioni "vere". Come la questione precedente
ci ha fatto concludere che il calcolo è "ragionevole", "ben costruito",
una risposta affermativa a questo secondo problema ci farebbe con
cludere che esso è abbastanza "forte" da essere completo. Anche
intuitivamente, infatti, vien fatto di chiamare completo un calcolo
che permette di derivare tutte le espressioni "vere" di un certo lin
guaggio. Prenderemo ora in esame questo secondo problema. Esso
s i può enunciare come il problema di sapere se K(M) � D(M), di
sapere cioè se l'insieme di tutte le espressioni conseguenza di un dato
insieme di premesse, è contenuto nell'insieme di tutte le espressioni
derivabili da quelle premesse. Anche a questo problema si può dare
una risposta affermativa, che può ottenersi con numerose dimostra
zioni diverse. Noi ci limiteremo qui a delinearne brevemente una,
dovuta a L. Henkin ( 1 947) che ammette una naturale estensione
alla logica dei predicati di cui ci occuperemo in seguito.
Cominciamo col mostrare che l'affermazione K(M) � D( M) è
equivalente all'affermazione secondo cui ogni insieme non contrad
di ttorio di espressioni possiede almeno un modello (è cioè soddi
sfacibile). Supponiamo infatti che sia K(M) � D(M) e che inoltre M
sia non contraddittorio e tuttavia non soddisfacibile. In tal caso,
per la definizione stessa di conseguenza, a K(M) appartiene ogni
espressione ; ma essendo per ipotesi K(M) contenuto in D(M), ogni
espressione apparterrà anche a D(M), il che però contraddice l'ipo
tesi che D(M) sia non contraddittorio ; M deve essere pertanto sod
disfacibile.
Supponiamo inversamente che ogni insieme non contraddittorio
sia soddisfacibile e che M f\-- IX ; per far vedere che vale anche
M f- IX basta pensare che, essendo M H- IX, l'insieme MU { -, IX} è
chiaramente non soddisfacibile e quindi, per l'ipotesi testé fatta,
82
esso è anche contraddittorio. Ciò significa che da esso è derivabile
qualunque espressione, in particolare dunque anche oc. Si ha cioè
MU { -. oc} (X ''
d'altra parte,
[oc ] (X Assunzione
[-] oc v -, (X TND
[M] (X Ev .
Resta cosi dimostrata l'equivalenza delle due formulazioni ; esa
miniamo ora brevemente il metodo di dimostrazione proposto da
Henkin.
Supponiamo che M sia un insieme non contraddittorio e pen
siamo realizzata una enumerazione oc1 1 oc 2 , oca , . . . di tutte le espres
sioni della logica degli enunciati. Possiamo estendere successiva
mente l'insieme M a un insieme M1 , indi a un insieme Mz, indi
a un insieme Ma . . . e cosi via, insiemi che possono ottenersi secondo
la regola seguente :
Mo = M,
Mk+t =
l MkU {ock+ I} , se esso è non contraddittorio
Mk , altrimenti.
83
revoli proprietà, delle quali a noi interessa qui ricordare quella di
non-contraddittorietà massimale. Dire che l'insieme M* è non-con
traddittorio massimale significa che, presa una qualunque espressio
ne, si verifica necessariamente uno e uno solo dei due casi : o tale
espressione appartiene all'insieme, oppure, se ve l'aggiungiamo,
l'insieme stesso diventa contraddittorio ; ciò equivale a dire che o
l 'espressione appartiene all'insieme o vi appartiene la sua negazione.
Servendosi ora dell'insieme M* cosi costruito, non si ha alcuna
difficoltà a definire una interpretazione soddisfacente M. Basterà
infatti porre
l,
se p ; E M*
l(p;) =
I O, altrimenti,
84
enunciativa, è sempre possibile sapere ("decidere") se essa è o no
derivabile : basterà per questo costatare se essa è valida o no.
Da questo punto di vista il calcolo degli enunciati si presenta
allora come un metodo per enumerare espressioni valide, come un
metodo cioè che ci permette di presentare successivamente, una
dopo l'altra, tutte le espressioni valide della logica degli enunciati.
85
3 ________________
1 2. I L L I N G UAG G IO LP
86
loro tanto le variabili soggettive quanto quelle enunciative e predi
cative ; avremo però bisogno di un altro segno per differenziare le
variabili predicative relativamente al posto, per differenziare cioè
variabili predicative monadiche, diadiche, . . . , n-adiche. Per questo
introdurremo nell'alfabeto di LP un asterisco, e provvederemo quindi
a formulare delle opportune convenzioni mediante le quali far uso
di una scrittura piu spedita e trasparente.
Anche ora faremo inoltre la convenzione generale di usare i
nostri segni in modo autonimo, e cioè quali nomi metalinguistici
di se stessi.
A lfabeto
L'alfabeto (A2) di LP consta allora dei seguenti simboli :
x, l , P, *• .., , 1\ , V, -+, +--->, 3, V, ( , ) .
Parole su A2 , saranno, al solito, i segni di A 2 e ogni loro com
binazione orizzontale finita. In particolare
x l ,
x I l '
x I l l '
p l * ...
-
*' p l l * ... *' p l l l * ... *
-
.. . '
87
diche, n-adiche ;
pl .
PI I .
p l l l.
88
Definiamo ora delle operazioni fra parole, e precisamente le
sette operazioni N, K, A, C, E, II, �. ponendo
N[w] = -, w; K[w, w'] = (wt\ w') ; A [w, w'] = (w V w') ;
C [ w, w'] = (w -+ w') ; E[ w, w'] = (w +-+ w') ; II [t, w] = 'v' t( w) ;
� [ t, w] = 3 t( w) ,
dove w e w ' sono variabili metalinguistiche per parole, t per varia
bili soggettive.
Espressioni
Consideriamo espressioni-base (o atomiche) di LP quelle parole
su Aa costituite da una variabile predicativa n-adica seguita da una
n-upla di variabili soggettive. Saranno, ad esempio, espressioni ato
miche di LP
89
ficazione. Cosi, ad esempio, sono espressioni :
semplicemente
90
'
rx sarà l'espressione
"
Una definizione analoga si dà per la chiusura esistenziale rx di
un'espressione rx; nell'esempio precedente, rx" sarà
1 3. I L CALCOLO CP
91
TABEUA 19
[ocl , , a,.]
••• 01:
/1 [oc1 , ••• , oc,.] oc/\ {1 [oc1, •.• , oc,] oc /\ {1
[a,.+l , , oc,. ]
••. {1 ;
[oc1 , ••. , IX,.] 01: [oc1 , ••• , oc,.] {1
[1Xl ' ••• , oc,. ] 01:1\ {1
[ocl , , a,.]
••• IX -+ {3
[oc1 , ••• , ""'' oc] {3 [a,.+l , , oc,. ] "'
-+
•••
[1Xl , • • , IX,. )
•
oc -+ {3
[ocl , ••• , IX,. ] {3
- [a,.+l , , oc,.] • ••
{3 -+ oc
[oc1 , ••• , oc,. ] IX - {1
[oc1 , ••• , oc,. ] IX - {1
[oc1 , ••• , "'"] {3 -+ oc
92
invece, dette anche regole critiche, debbono essere accompagnate
da particolari condizioni, per evitare che la loro applicazione illi
mitata dia luogo alla possibilità di ottenere degli assurdi (su un
piano interpretativo) . Prima però di considerare l'introduzione delle
singole regole testé indicate, è necessario premettere la definizione
dell'operazione di sostituzione di variabili soggettive.
93
sione cx.(xfy) possa avvenire solo a condizione che la t.Jariabile y che
viene sostituita alla x non risulti vincolata dopo la sostituzione.
Quando nel seguito useremo il termine sostituzione intenderemo
sempre parlar,_, di sostituzione legittima ; volendo rendere sempre
significante il simbolo cx.(xfy) basterà convenire che qualora la sosti
tuzione di x con y in ex. sia non legittima, allora dovrà intendersi
cx. (xfy) = cx. .
La precisazione dell'operazione di sostituzione ci permette intanto
di formulare le prime due regole.
Regola di eliminazione di V(EV)
\fxcx.
EV.
cx. (xfy)
Si noti che l'espressione cx.(xfy) si presenta come un esempio
particolare di \fxcx.. Supponiamo infatti cx. = Px e interpretiamo P
come "avere un cuore". Se ora immaginiamo che le variabili sog
gettive siano riferite agli uomini, la regola EV ci dice, in definitiva,
che dal fatto che tutti gli uomini hanno un cuore concludiamo che
anche un certo uomo (y) ha un cuore. Accettando questa termi
nologia (nella quale daremo a y il nome di variabile esemplificativa)
che ci sarà utile anche in seguito, la regola precedente può espri
mersi dicendo che da una quantificazione universale si può sempre
passare a un suo esempio (naturalmente, sotto determinate assun
zioni, che, peraltro, possono anche mancare).
Regola di introduzione di 3 (13)
cx.(xfy)
B.
94
a) [ 'ltxPx] 'ltxPx Ass .
2 ['ltxPx] Py EV, l
3 ['ltxPx] 3xPx 13 , 2
4 [ - ] 'ltxPx -+ 3xPx 1 -+ , l , 3
e
[ocu , oc,. ] oc(xfy) E 3
••• IV.
Nel primo caso, assunto oc Px, interpretiamo P come "essere
=
95
Non sarebbe difficile trovare controesempi alle regole cosi for
mulate ; ma vedremo piu avanti alcune conclusioni paradossali cui
esse darebbero luogo se fossero impiegate in questa forma nelle deri
vazioni. Occorre per prima cosa richiamare l'attenzione sul fatto
che nelle due p�ecedenti formulazioni la y ha un ruolo affatto parti
colare. La regola E3 richiede infatti che y sia un particolare elemento,
tale cioè da godere della proprietà espressa da ex : solo in tal caso,
infatti, appare intuitivamente lecito il passaggio autorizzato dalla
regola in questione. Ciò significa che al fine di non comprometterne
la peculiarità, sarà necessario prendere come variabile esemplifica
tiva una variabile ancora "non compromessa" in alcun modo, una
variabile cioè che, formalmente, non risulti già soggetta ad alcuna
limitazione.
La regola l't al contrario, richiede che la y sia un elemento
generico, sul quale non sia stata fatta alcuna ipotesi particolare, che
possa, in altri termini, rappresentare qualunque altro individuo del
l'universo del discorso : solo cosi infatti appare lecito inferire che
una proprietà da esso goduta sia goduta da tutti gli individui.
Per essere quindi certi che le regole E3 e l'v' non comportino
conclusioni errate occorre che ci assicuriamo che in entrambi i casi
la y non sia una variabile "compromessa". L'unica condizione finora
posta che può riguardare le due regole, concerne soltanto la sosti
tuzione che in esse interviene. Tale condizione tuttavia non è suffi
ciente ; osserviamo infatti la seguente "derivazione" :
l [3xPxy] 3xPxy Ass.
2 [3 xPxy] Pyy E3 , l
96
interpretando P come "identico a" avremmo ottenuto che, dal fatto
che y è identico a se stesso, discende che ogni x è identico a y !
Potremo eliminare la possibilità di derivare assurdi siffatti richie
dendo che la sostituzione a.(xfy) che figura nella formulazione prov
visoria delle regole E3 , l'v', oltre a essere legittima sia anche rever
sibile, che risulti cioè
a.(xfy) (yfx) = a. •
97
Preliminari al concetto di derivazione
Avendo cosi completata la formulazione di tutte le regole del
calcolo, potremmo ora pensare di definire rigorosamente, come
naturale estensione di quanto già fatto nel calcolo degli enunciati,
il concetto di derivazione per il calcolo dei predicati.
Ciò sembra venir confermato, ad esempio, dalla seguente "deri
vazione" nella quale interviene anche una delle due ultime regole
introdotte, precisamente la E3 :
l [3xPx � 3xQx] 3 xPx � 3 xQx Ass.
2 Py Py Ass.
3 Py 3xPx I3 , 2
4 [3xPx � 3xQx, Py] 3 xQx E �, l , 3
98
con le nostre regole da quelle assunzioni , risul tasse appunto valido ;
in quel contesto ciò equivaleva a dire che ogni riga della nostra
derivazione era a sua volta una derivazione.
Ora, il fatto che noi, a livello predicativo, troviamo necessario
marcare, per certe regole, alcune variabili, comporta invece che ciò
non sarà piu, in generale, vero ; e infatti, il marcare una variabile
significa in ultima analisi, come abbiamo visto sopra, fare su di essa
delle ipotesi particolari ; abbiamo visto infatti che una volta (regola
E3) marcando una variabile vogliamo mettere in evidenza il fatto
che essa è un certo particolare elemento ; l'altra volta invece (re
gola l'ii') vogliamo significare che essa è un qualun que elemento.
Questa "limitazione" intrinseca alla variabile marcata, fa già com
prendere che, in generale, se nell'ultima riga di una derivazione noi
ottenessimo delle espressioni che contengono libere variabili marcate
nel corso della derivazione stessa, noi non avremmo ottenuto un
risultato universalmente valido, ma qualcosa di piu debole, la cui
validità viene cioè in qualche modo a dipendere dall'esistenza di
quella variabile che abbiamo marcato. I due esempi seguenti servi
ranno a chiarire questo punto :
99
Analoghe considerazioni possono farsi per la "derivazione" se
guente :
b) l [Py] Py Ass.
y 2 [Py] 't/xPx l'V, l
4 [ -
] 3xPx -+ 't/xPx l -+, 3 .
Interpretiamo P con "essere quadrato", Q con "essere circolare".
La "derivazione" a1) ci avrebbe quindi permesso di ottenere che,
dal fatto che esiste qualcosa che è quadrato e che esiste qualcosa
che è tondo, si può concludere che esiste qualcosa che è contem
poraneamente tondo e quadrato ; mediante b1), dali 'ipotesi che esiste
100
qualcosa che è quadrato concluderemmo che tutte le cose sono qua
drate. Risultati cosi palesemente assurdi sono dovuti al fatto che la
stessa variabile y risulta marcata due volte nel corso delle "deriva
zioni". In a1) abbiamo prima assunto y come elemento che gode
della proprietà P (riga 3), quindi (riga 5) abbiamo assunto arbitra
riamente lo stesso y come elemento che gode della proprietà Q ; è
ovvio che proprio cosi facendo abbiamo reso possibile la deriva
zione del risultato paradossale già esemplificato. In b1) invece, alla
riga 2, y è stato assunto come elemento particolare (in quanto è
stato ipotizzato che esso goda della proprietà P) e alla riga 3 lo
stesso y è stato assunto arbitrariamente come elemento generico.
Il fatto è che, in generale, marcare due volte una variabile y
significa trascurare, nel secondo caso, che la y è già stata "compro
messa" nel corso della derivazione e quindi non soddisfa piu a quei
requisiti di "purezza" che abbiamo visto essere necessari per il suo
impiego. Dovremo quindi imporre che nessuna variabile risulti mar
cata più di una volta nel corso di una derivazione.
Abbiamo detto che, nel marcare una variabile, intendevamo met
tere esplicitamente in evidenza la dipendenza della variabile marcata
dalle altre variabili libere dell'espressione. Finora non si è presentata
l'occasione di evidenziare questa dipendenza ; ciò avviene invece nel
l'esempio seguente, che ci permetterà di formulare l'ultima condi
zione necessaria per delimitare esattamente il concetto di deriva
zione nel calcolo dei predicati. Si abbia dunque :
l [Vx 3yPxy] 'itx 3yPxy Ass.
2 [Vx 3yPxy] 3yPzy E'v', l
w(z) 3 [Vx 3yPxy] Pzw E3, 2
z( w) 4 [Vx 3yPxy] VxPxw IV, 3
5 [Vx 3yPxy] 3y 'itxPxy 13, 4
6 'v'x 3yPxy --+ 3y VxPxy I --+, 5 .
101
Servendoci quindi dell'esempio Vx 3y(x< y) ripercorriamo la
"derivazione" ora fatta : non avremo difficoltà a scoprire dove è
stato commesso l'errore. Partiamo dunque dall'ipotesi Vx 3y(x<y)
dall'ipotesi cioè che dato un qualunque numero ne esiste uno mag
giore (riga 1).
Dato che ciò vale per tutti i numeri, varrà in particolare per
un certo numero z, ossia per ogni dato z esisterà un numero mag
giore (riga 2). Per quel dato z consideriamo un esempio w di numero
ad esso maggiore ; questo w, evidentemente, dipende da z (riga 3).
A questo punto, nella "derivazione", noi trascuriamo la dipen
denza di w da z, anzi, per cosi dire, la invertiamo e passiamo a
considerare Io z che, per un dato w, si trova a esserne minore ;
ognuno di questi z è evidentemente minore del corrispondente w
(riga 4) e quindi, avendo adesso un esempio, passiamo alla conclu
sione che esiste un numero maggiore di ogni altro.
L'errore si fonda evidentemente nell'aver trascurato, nel pas
saggio dalla riga 3 alla riga 4, la dipendenza di w da z.
Per formulare una condizione che eviti la possibilità di derivare
tali assurdi, pensiamo di scrivere le variabili marcate in successione
(ad esempio, secondo l'ordine con cui si presentano nella deriva
zione, o in ordine alfabetico, o mediante un altro ordinamento qual
siasi). Orbene, deve essere possibile ordinare le variabili marcate in
modo tale che nessuna di esse dipenda da variabili marcate che la
seguano nel detto ordinamento. Questa condizione non è evidente
mente rispettata nella "derivazione" precedente. Gli unici ordina
menti possibili per le sue variabili marcate sono infatti
w z
z w
e, tanto nel primo quanto nel secondo, la marcatura da noi effet
tuata contravviene alla condizione sopra formulata.
102
visto che due di esse, la EV e la 13 , non presentano difficoltà parti
colari, nel senso che sono del tutto " sicure" e non abbisognano
quindi di nessuna restrizione per quanto riguarda la loro applicazione.
Le due regole rimanenti, la E3 e la IV, richiedono viceversa
cautele particolari per il loro impiego, cautele che si sono concre
tate nella formulazione di precise condizioni che vanno dalla "rever
sibilità" della sostituzione, all'ordinamento che vogliamo chiamare
"normalizzato" delle variabili marcate.
È forse utile far notare esplicitamente che, malgrado si sia fatto
ricorso a esemplificazioni di carattere semantico nell'illustrare e
giustificare la necessità delle condizioni precedenti, esse hanno rice
vuto una formulazione del tutto formale, ossia meramente calcoli
stica, indipendente dai significati e quindi affatto generale ; anzi,
l'esser riusciti a esprimere nell'ambito di un calcolo (ossia su un
piano formale) condizioni di " sicurezza" apparentemente cosi intrin
seche all'aspetto contenutistico della deduzione, non è certo l'ultimo
fra i meriti della logica moderna.
Il concetto di derivazione naturale dell'espressione ac dalle assun
zioni ocl l , ac,. può ora definirsi come segue. Una derivazione natu
• • •
103
per le quali cioè esiste un sottoinsieme finito {1X1 , • • • , ex,} di M
tale che
Resta cosi definita, in perfetta analogia con quanto fatto nella
logica degli enunciati, un'operazione di derivazione D, che a ogni
insieme di espressioni fa corrispondere l'insieme di espressioni da
esso derivabili. Anche la definizione di tesi logica corre parallela
mente a quella già data nel calcolo degli enunciati : IX è una tesi
logica se e solo se essa è derivabile dall'insieme vuoto di espressioni,
ossia se essa appartiene all'intersezione di tutti i D(M). Infine, e
ancora in perfetta analogia col caso enunciativo, diremo che un
insieme M di espressioni è contraddittorio se da esso può derivarsi
qualsiasi espressione, se cioè vale
M t- IX
per ogni IX . Si è già visto che condizione necessaria e sufficiente
affinché un insieme M sia contraddittorio è che da esso possa deri
varsi, per un dato IX, tanto IX quanto la sua negazione -, IX.
104
3) (3xPx -+ 3xQx) l- 3x(Px -+ Qx)
[3xPx -+ 3xQx] 3xPx -+ 3xQx Ass.
2 Py Py Ass.
3 Py 3xPx 13, 2
4 [3xPx -+ 3xQx, Py] 3xQx E -+, l , 3
y 5 [3xPx -+ 3xQx, Py] Qy E3, 4
6 [3xPx -+ 3xQx] Py -+ Qy 1 -+, 5
7 [3xPx -+ 3 xQx] 3x(Px-+ Qx) 13, 6
1 5. IL S I STEMA S P
105
È chiaro d'altra parte che attualmente il fatto di considerare
gli enunciati analizzati nelle loro componenti predicative e sogget
tive comporterà una maggiore complessità nell'operazione di inter
pretazione. In ultima analisi si tratterà sempre di giungere ad asso
ciare ad ogni espressione uno dei due valori di verità ; ciò avverrà,
per cosi dire, in due tempi : un'interpretazione farà corrispondere
determinati individui alle variabili soggettive di una data espres
sione e determinati attributi alle sue variabili predicative. E il signi
ficato (il valore) associato da quell'interpretazione alla data espres
sione sarà, quindi, il valore (di verità) assunto da quell'attributo
per quegli individui.
Per "interpretare" quindi il nostro linguaggio dovremo disporre
a) di un insieme w non vuoto di individui (sugli elementi del quale
interpretare le variabili soggettive) ;
b) dell'insieme W{O, l} dei valori di verità ;
c) dell'insieme A {A11 A 2 , . . . , A,, , . } di tutti gli w-attributi, ossia
. .
1 06
l) per ogni indice i, I"'(x;) ew ; che porta cioè le variabili sogget
tive su elementi di w ;
2) per ogni indice k ed esponente i> 1 , I"'(P!) appartiene al sotto
insieme A; dell'insieme A degli w-attributi. In altri termini, ogni va
riabile predicativa i-adica viene interpretata su un attributo i-adico ;
2a) per ogni indice k ed esponente i = O, l"'(P�) E W; vale a dire ,
le variabili enunciative vengono interpretate su valori di verità ;
3) l"'( -. ) =Non ; 1"'(1\ ) =Et ; l"'( V ) = Ve/; l"'(�) = Seq ; l"'(�) =
= Aeq. I"' associa cioè ai connettivi -, , 1\ , V , �. �. nell'ordine le
funzioni Non, Et, Ve/, Seq, Aeq, essendo queste funzioni definite
su W{O, l} come al § 3 dell'introduzione.
4) Iwfv') = Om ; 1"'(3) = Ex; I"' associa cioè ai due operatori V e 3 le
due funzioni Om, Ex, definite sui sottoinsiemi non vuoti dell'insie
me W, come si è già visto al § 3 dell'introduzione.
Per comodità del lettore riportiamo qui la definizione
Om({l}) = l Om ({ l , O}) = Om({O}) = O
Ex ({O}) = O Ex ({l , O}) = Ex ({l}) = l •
1 07
" 7 è la somma di 4 e 3", o, piu semplicemente, dell'enunciato
"7 = 4 + 3" ; tale valore è quindi l .
Come altro esempio consideriamo l'espressione P! e sia w l'in
sieme degli uomini. Consideriamo le due interpretazioni seguenti
I�(P!) = essere scienziato
I�(x1) = Picasso ;
I!
108
sione atomica P�x1-X ;, il procedimento interpretativo, relativo a
una particolare interpretazione I.,. In questo schema, gli a; sono
elementi di w e pi è un attributo i-adico.
Per quanto riguarda il valore associato da una data interpreta
zione a espressioni non atomiche, esso verrà determinato, natural
mente, tramite le interpretazioni prima viste per i connettivi e gli
operatori. Avremo cioè, se IX e {J sono espressioni
I:( -, IX) = No n ( I :(1X))
109
variabile x assegna l'individuo a. Supponiamo, ad esempio, che w
sia l'insieme dei numeri naturali maggiori di zero e < IO, suppo
niamo cioè che i nostri individui siano
l , 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, IO .
I:;3{y) = 7
I:; 3(z) = 3
I:;3(w) = IO per w :;i: x, w :;i= y, w :;i= z
1 10
sia della forma
ex = VxPx ,
e sia
I...(P) = l'attributo corrispondente al predicato
monadico "essere un numero primo"
l w(x) = l
lw (w) = 10 per ogni w * x .
Abbiamo visto che le reinterpretazioni di una data variabile sog
gettiva lasciano inalterate tanto le variabili soggettive diverse dalla
data quanto le variabili predicative. In particolare, per la nostra
espressione IX ciò significa che
Ili
cedimento sopra seguito e avremmo però ottenuto da *) che
I: (3xPx)= l .
Per formulare la cosa in forma piu compatta, scriveremo infine
1 12
relativi a ogni possibile universo, stabilendo di chiamare soddisfa
cibi/e un'espressione a: quando esiste almeno un universo w nel quale
essa sia w-soddisfacibile ; valida quando per ogni universo w essa
è w-valida.
Come si ricorderà, nel caso della logica degli enunciati avevamo
accennato al fatto che, malgrado il nostro concetto di interpreta
zione fosse stato definito per tutte le variabili del linguaggio, pur
tuttavia, nella verifica circa la validità di una espressione qualunque,
era sufficiente limitare la nostra attenzione a quelle variabili enuni
ciative effettivamente occorrenti nell'espressione considerata. Anch
per la logica dei predicati vale una proposizione analoga, ma de
portata piu ampia. Si tratta del cosiddetto teorema di coincidenza,
il quale afferma, non solo l) che il valore associato da un'interpre
tazione a una data espressione a: dipende soltanto dalle variabili
che in a: compaiono effettivamente (e ciò non è altro che il conte
nuto del teorema di coincidenza della logica degli enunciati) ma,
cosa ben piu importante, 2) che rilevante ai fini della determina
zione di quel valore è la considerazione delle sole variabili libere
di a: . Ciò significa, in altri termini, che la ricerca di modelli per
espressioni predicative è in definitiva demandata alla precisazione di
opportune interpretazioni delle loro variabili libere. (In certo senso
questo giustifica, anche da un punto di vista semantico, la vecchia
denominazione di "variabili apparenti" che si dava alle variabili
vincolate : relativamente alle particolari interpretazioni delle espres
sioni in cui esse compaiono, si comportano praticamente come se
non ci fossero.)
Un altro teorema cui è utile far cenno è il cosiddetto teorema
di conversione, in base al quale, conoscendo un'interpretazione Iw
che soddisfi un'espressione a:(xfy) possiamo passare a un'interpreta
zione I� soddisfacente l'espressione a:.
Conseguenza
Come si è fatto nel caso della logica degli enunciati, potremo
anche ora definire, tramite il concetto di modello, il concetto di
conseguenza logica. La struttura generale di tale concetto non subisce
ovviamente variazioni essenziali nel passare al livello predicativo ;
ora tuttavia dovremo tener conto, nel formularlo, di quelle distin
zioni relative agli universi e che già abbiamo considerato definendo
113
il concetto di modello. Ciò ci porterà a definire dapprima il con
cetto "relativo" di w-conseguenza e quindi quello "assoluto" di
conseguenza.
È naturale, innanzitutto, estendere il concetto di modello che
abbiamo definito per singole espressioni, a insiemi qualunque di
espressioni. Sia M un tale insieme e w, al solito, un universo. Diremo
che un'interpretazione I"' è modello di M se essa soddisfa simulta
neamente tutte le espressioni di M sull'universo w . Per naturale esten
sione, diremo che M è w-soddisfacibile se esiste un'interpretazione
su w che risulti suo modello ; diremo che è w-valido se ogni I"' è
modello di M. È chiaro allora che M verrà detto soddisfacibile se
esiste un universo w e una I., su quell'universo che risulti modello
di M, mentre M verrà detto valido se per ogni universo w esso è
w-valido, ossia, in altri termini, se tutte le interpretazioni di ogni
universo lo soddisfano.
Ciò posto, giungiamo facilmente a definire il desiderato concetto
di conseguenza, stabilendo dapprima che un'espressione ac è una
w-conseguenza di un insieme di espressioni M se e solo se ogni I.,
che sia modello di M è anche modello di ac ; per indicare che fra M
e ac sussiste la relazione di w-conseguenza scriveremo
M fl- ac ,
..
1 14
dei suoi individui. È chiaro che ciò è in diretta dipendenza dalla
nostra considerazione estensionale dei predicati, dal fatto cioè che
semanticamente i predicati non sono per noi altro che attributi,
ossia funzioni. Partendo ora dalla considerazione che gli universi
generati a partire da due domini di individui w e w ' fra loro diversi
ma contenenti lo stesso numero di individui, sono strutturalmente
identici, indipendentemente dalla natura degli individui stessi, giun
giamo alla conclusione che quello che del nostro universo ci inte
ressa conoscere - per poter fare le nostre considerazioni seman
tiche su di esso - non è la natura, ma semplicemente il numero
degli individui che lo compongono.
Naturalmente, tutto ciò può venire rigorosamente dimostrato,
si può cioè dimostrare che se due universi w e w ' contengono lo
stesso numero di elementi, una certa interpretazione I"' soddisfa
l'espressione ex in w se e solo se una certa altra interpretazione I�
(costruibile a partire da I"' e viceversa) rende parimenti soddisfatta
'
ex in w .
1 15
essa è altrettanto valida in ogni altro dominio w ' che contenga un
numero m < n di individui.
I due teoremi si giustificano agevolmente su un piano intuitivo.
Nel primo caso, infatti, aumentando il numero degli individui di w,
passando cioè da w a w', non facciamo altro che aggiungere nuove
interpretazioni possibili per oc ; ed è certo che, nel caso peggiore,
almeno tutte le precedenti interpretazioni saranno anche ora mo
delli di oc.
Nel caso del secondo teorema invece, è chiaro che passando
a universi meno numerosi non facciamo altro che diminuire il
n umero delle possibili interpretazioni di oc; è certo quindi che n on
potremo mai aggiungerne qualcuna che non soddisfi oc, che risulterà
quindi senza dubbio w'-valida.
Un risultato particolarmente significativo in questo contesto è
espresso da un teorema, la cui dimostrazione risale a Paul Bernays,
relativo a una classe particolare di espressioni predicative, alb cosid
dette espressioni mon adiche, tali cioè che contengono so: o variabili
predicative monadiche . Considerata una tale espressione oc che con
tenga k variabili predicative monadiche, il teorema in questione
afferma che condizione necessaria e sufficiente affinché oc sia soddi
sfacibile è che essa sia 2k- soddisfacibile, possegga cioè modelli in
un universo di 2k elementi.
Altro risultato di particolare interesse è quello ottenuto per la
prima volta da Lowenheim nel 1 9 1 5 e poi generalizzato da Skolem
nel 1 922 ; esso è andato via via acquistando una importanza e una
rilevanza sempre maggiori, si da costituire oggi uno dei pilastri di
tutta la ricerca logica e metodologica. Tale risultato porta il nome
di teorema di Lowenheim-Skolem e può venir cosi formulato : un
insieme di espressioni della logica dei predicati è soddisfacibile se
e solo se esso è soddisfacibile in un dominio numerabile. Altrimenti
detto, condizione necessaria e (banalmente anche) sufficiente perché
una qualsivoglia teoria formalizzabile nel calcolo dei predicati pos
segga un modello, è che tale teoria possa trovare una realizzazione
nel dominio dei numeri naturali.
La dimostrazione di Skolem del 1 922 faceva uso del postulato
di Zermelo ; oggi tuttavia si conoscono numerose altre dimostra
zioni di questo teorema che non fanno uso di tale potente strumento
deduttivo. Senza addentrarci in una discussione sull'argomento,
1 16
ricordiamo che dal teorema di Lowenheim-Skolem si deduce age
volmente una paradossale conseguenza per la teoria assiomatica degli
insiemi ; conseguenza che, nota appunto col nome di paradosso di
Skolem, ha imposto una totale revisione dell'atteggiamento di in
genua fiducia relativamente alla compatibilità dell'assolutezza del
concetto di insieme e di quella del metodo assiomatico.
117
Senza sviluppare in tutti i suoi dettagl'i la dimostrazione del
teorema, diciamo che la costruzione dell'espressione desiderata si
ottiene mediante un naturale rimpiazzamento successivo di sotto
espressioni dell'espressione data con espressioni equivalenti.
Se ex è una qualunque espressione, servendosi delle tesi
3 1- -, Vx{J � 3 x -,{J
4 l- -, 3x{J � \fx -,{J
5 l- 3 xfJ Vy � 3 x(fJ Vy)
6 1-Vx{J/\y � Vx({JI\y)
7 l-3x{Jf\y � 3x({JI\y) purché x non sia libero in y ,
1 18
Avremo successivamente
per l ..., (Vx(-,PxVQx)A 3xPx) V 3xQx
per cambio alfabetico -, (Vx(-,Px VQx)A 3yPy) V3zQz ,
per 6 -, Vx((-,PxVQx)A3yPy) V3zQz ,
per 3 3 x -, ((-,PxVQx)A 3yPy) V 3zQz ,
per 5 3x(-, ((-,PxVQx)A 3yPy) V3zQz) ,
per 7 3x(-, 3y((-,PxVQx)APy) V3zQz) ,
per 4 3x(vy ..., ((-,PxVQx) APy) V3zQz) ,
per 6 3xVy (-, ((-,PxVQx)APy) V3zQz) ,
per 5 3xVy3z(-, ( (-,PxVQx)APy) VQz) ,
e infine,
per 2 ex '=3xVy3z( ((Px-+ Qx)APy) -+ Qz) ;
ex' è in forma normale prenessa e si ha inoltre 1- ex �ex'.
Se ex è un'espressione in forma prenessa, diciamo prefisso di ex
la successione dei quantificatori ; matrice di ex la parte rimanente.
Cosi, nell'espressione ex' sopra ricavata,
3xVy3z
è il prefisso,
((Px-+ Qx)APy) -+ Qz
è la matrice. Fatta questa precisazione terminologica, notiamo che
il teorema precedente ammette rafforzamenti in varie direzioni. Noi
ci limiteremo qui a ricordare il seguente (dovuto a Skolem, da cui
il nome di teorema delle forme normali di Skolem) : data un'espres
sione ex, esiste un'espressione ex ' tale che :
a) non contiene variabili libere ;
b) è in forma normale prenessa ;
c) nel suo prefisso ogni quantificatore esistenziale precede ogni
quantificatore universale ;
d) essa è una tesi se e solo se ex è una tesi.
(A proposito di quest'ultima condizione, che afferma 1- ex' se e solo
se 1-ex si noti che essa è assai piu "debole" dell'altra 1- ex' � ex. )
1 19
Ricordiamo ancora che Io stesso Skolem ha potuto dimostrare
che per ogni espressione or: esiste un'espressione or:' (detta forma nor·
male di Skolem per la soddisfacibilità, in contrapposizione alla pre·
cedente, che è de':tta forma normale di Skolem per la dimostrabilità)
tale che :
a ') essa non contiene variabili libere ;
b ') è in forma normale prenessa ;
c ) in essa ogni quantificatore universale precede ogni quantificatore
'
esistenziale ;
d') essa è soddisfacibile esattamente in quei domini nei quali or: è
soddisfacibile.
Da un punto di vista terminologico, osserviamo che una espres
sione che sia in forma normale prenessa e non contenga variabili
libere si dice in forma totalmente prenessa.
Validità
Si tratta di dimostrare l'affermazione
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a convincerci che a livello predicativo non potremo assumere proprio
lo stesso procedimento per dimostrare l'affermazione l) ; in questo
contesto infatti alcune delle nostre regole autorizzano dei passaggi
che richiedono la marcatura delle variabili ed è ovvio che, rappre
sentando le variabili marcate elementi "particolari", non si verifi
cherà certo, per quelle righe, la relazione M 1t- oc:. Ciò equivale a
dire, naturalmente, che non ogni "segmento" di una derivazione
del calcolo dei predicati è a sua volta una derivazione.
Purtuttavia, anche in queste mutate condizioni, l'affermazione l)
può venir provata. Evitiamo qui però di riportarne per esteso una
possibile dimostrazione, piuttosto lunga e laboriosa, e ci limitiamo
ad accennare brevemente all'idea direttrice di quella dovuta a Hermes
e Gumin. Il punto di partenza consiste nell'osservare che, quali che
siano le variabili marcate nel corso di una derivazione, noi abbiamo
a suo tempo posto la condizione che esse non debbano figurare
libere né nelle assunzioni, né nell'espressione dell'ultima riga della
derivazione stessa.
L'idea consiste allora nel dimostrare che per ogni interpreta
zione Iw che soddisfi M si può costruire un'opportuna reinterpreta
zione I� che associa a ogni variabile non marcata lo stesso individuo
associatogli da 1.,, mentre a ogni variabile marcata associa un oppor
tuno individuo scelto di volta in volta in dipendenza, essenzial
mente, dalla regola E3 o l'v' in base alla quale è stata marcata la
variabile in questione.
Presa allora una qualunque interpretazione, si associa ad essa
la reinterpretazione costruita come detto ; questa gode della pro
prietà che, per ogni riga, se essa è modello delle assunzioni allora
lo è anche dell'espressione di quella riga. Ma ciò vale in particolare
per l'ultima riga della derivazione ; in questo caso però la reinter
pretazione - in virtu appunto della condizione secondo cui una
variabile marcata non occorre libera nell'ultima riga - coincide
precisamente con l'interpretazione di partenza. Vista la genericità
dell'interpretazione di partenza, ciò significa che ogni modello delle
assunzioni dell'ultima riga è anche modello delle espressioni di detta
riga. D'altra parte ciò equivale a dire che M1 H- oc: per quel sotto
insieme M1 di M che è costituito dalle assunzioni dell'ultima riga.
Ma valendo M1 1t- oc: vale a fortiori anche M 1t- oc:, che è appunto
quanto enunciato dal teorema 1).
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Limitandoci, come detto, a questo cenno generale sulla dimostra
zione del teorema di validità per la logica dei predicati, passiamo
ora a vedere piu da vicino la dimostrazione del teorema di comple
tezza ; tale teorema venne dimostrato per la prima volta da Kurt
Godei nel 1930.
Completezza
Mediante opportuni accorgimenti è possibile adattare alla mag
gior complessità della struttura logico-predicativa delle espressioni,
l'idea centrale della dimostrazione - data nel caso logico-enun
ciativo - del fatto che ogni insieme non contraddittorio possiede
un modello. L'accorgimento fondamentale consiste nel far si che
nell'insieme non contraddittorio massimale che si costruisce a par
tire da quello dato, ogni espressione contenente un quantificatore
venga equivalentemente rappresentata da un'espressione che non lo
contiene.
Piu in particolare, noi sappiamo che nell'insieme non contrad
dittorio massimale esiste sempre, per ogni espressione che cominci
con un quantificatore esistenziale, per esempio 3xoc un'espressione
oc(xfy) � 3xoc. A noi serve però poter sostituire la precedente impli
cazione con un'equivalenza , serve cioè sapere che, per almeno uno z,
l'insieme non contraddittorio massimale contiene 3 xoc � oc(x/z). Allo
scopo è necessario poter disporre, per ogni espressione che cominci
con un quantificatore esistenziale, di una variabile non "compro
messa", di una variabile cioè che possa venir interpretata su uno
degli individui di cui 3xoc afferma l'esistenza, senza che ciò crei dei
"pasticci" con altre espressioni. Cerchiamo di spiegarci con un
esempio, non del tutto adeguato, ma efficace. Supponiamo che il
nostro insieme contenga simultaneamente sia 3xPx sia 3 x . Px. È
allora chiaro che (per quanto riguarda queste espressioni !) noi po
tremo introdurre contemporaneamente espressioni come 3 xPx � Py
e 3 x . Px � . Pz, ma non espressioni quali 3xPx � Py e
3 x . Px � . Py.
Questo problema fondamentale dell'introduzione di adeguate
variabili per ogni espressione che contenga quantificatori esisten
ziali, può venir ricondotto senza difficoltà allo stesso problema riguar
dante però espressioni che comincino con un quantificatore esisten
ziale ; una volta infatti che noi abbiamo queste espressioni nel nostro
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insieme, i successivi passi di massimalizzazione procederanno in modo
da aggiungere ulteriormente all'insieme solo quanto è compatibile
con esse.
La dimostrazione procede ora come segue. Si parte dall'ipotesi
che l'insieme M sia non contraddittorio. Quindi, raddoppiando l'in
dice di tutte le variabili soggettive che compaiono in espressioni
di M�, si ottiene un nuovo insieme di espressioni M' di cui si può
agevolmente mostrare la non contraddittorietà come conseguenza
di quella di M. Si sa inoltre, a questo punto, che tutte le variabili
di indice dispari sono del tutto "non compromesse".
Fissata ora, in un modo qualunque, una enumerazione 3xlocu
3x2oc2 , . . . di tutte le espressioni che cominciano con un quantificatore
esistenziale, si aggiunge a M' l'insieme N di tutte le espressioni
della forma
3Xn0Cn -H�,. (x,. fy,.) ,
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associate ad espressioni che contengono quantificatori) ; in parti
colare, ciò vale per le espressioni di M'. Ricordando che le espres
sioni di M' sono tutte e sole quelle che si ottengono sostituendo
nelle espressioni di M ogni x,. con x2,. , non si avrà difficoltà a
mostrare che l'interpretazione 1', cosi definita
1 7 . C E N N I SU L P RO B L E M A D E LLA D E C I S I O N E
1 24
Tuttavia, già per i livelli logici da noi considerati si verifica una
differenza di comportamento nei riguardi del cosiddetto problema
della decisione, differenza che quindi viene per un altro verso a
confermare l'opportunità di questa nostra ulteriore distinzione.
Il problema della decisione assume accezioni diverse a seconda
delle diverse teorie nelle quali esso viene inquadrato ; fondamental
mente però esso consiste in ogni caso nella questione di stabilire
se esistano determinate procedure che permettano effettivamente di
trovare una risposta (affermativa o negativa) a determinati quesiti
posti dalla teoria stessa. Nel nostro caso esso può formularsi come
il problema di stabilire se esiste un procedimento generale che per
metta di decidere per una qualunque espressione logica (enuncia
tiva o predicativa) se essa è valida.
La particolare importanza di questo problema risiede nel fatto
che un procedimento di decisione è un processo essenzialmente m e c
canico, per il quale cioè possiamo immaginare una macchina che
sia in grado di compierlo senza l'intervento dell'uomo. Essa ci for
nirebbe la risposta in un numero finito (peraltro comunque grande)
di passi.
È chiaro che per le espressioni enunciative un tale processo
esiste. La verifica della validità da noi condotta con le tavole di
verità, oltre ovviamente a permetterei l'ispezione di qualsiasi espres
sione (enunciativa) ha evidentemente anche una struttura purament�
combinatoria, ossia meccanica ; e lo stesso dicasi per l'altro metodo
da noi presentato a quel livello, e fondato sull'ispezione delle espres
sioni poste in forma normale (alternativa o congiuntiva).
Viceversa, la situazione a questo riguardo cambia profonda
mente se passiamo alla logica dei predicati del primo ordine. Per
essa A. Church ha dimostrato nel 1936 un teorema secondo il quale
non è possibile in generale decidere, data una qualunque espres
sione, se essa è valida o no. Si noti che il teorema di Church non
si limita ad affermare che non esiste attualmente un metodo di
decisione generale per espressioni della logica dei predicati ; ma
afferma l'impossibilità che un tale metodo possa esistere (almeno
secondo quella che è la moderna concezione di processo effettivo).
Con altre parole, si può dire che non solo la piu raffinata mac
china calcolatrice che noi possiamo attualmente immaginare non è
in grado di attuare un tale procedimento di decisione, � che inoltre
1 25
non abbiamo la minima idea circa la struttura e il funzionamento
di una eventuale macchina che potesse attuarlo.
Si noti peraltro che il teorema di Church non riguarda le espres
sioni predicative (del primo ordine) singolarmente non esclude cioè
che si possa effettivamente decidere la validità di alcune di esse o
di classi particolari di tali espressioni ; esso afferma solo che ciò
non è possibile in generale. Cosi ad esempio sono decidibili, tra
le altre, le seguenti classi di espressioni :
l) La classe deJle espressioni contenenti solo variabili predicative
monadiche.
2) La classe delle espressioni in forma totalmente prenessa il cui
prefisso è costituito da soli quantificatori esistenziali.
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Bibliografia
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Stampato in Italia
dalla tipografia Temporelli
di Torino
Dicembre 1968