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Didattica e pedagogia speciale

Cap.1: “Verso un’integrazione scolastica di qualità: punti di forza e di debolezza dopo trent’anni di esperienze”
Da circa un trentennio in Italia è iniziato un processo di inserimento prima e di integrazione dopo, di bambini ed adolescenti in condizione di
disabilità nella scuola comune. Tale decisione suscitò inizialmente scalpore,dato che fino alla fine degli anni ’60 vigeva una netta separazione tra
normodotati e disabili, ma con il tempo si sono notati i frutti, dapprima nelle scuole primarie dell’infanzia, per poi passare alle scuole medie e, negli
ultimi anni anche nelle scuole superiori, soprattutto negli indirizzi tecnici ed artistici.
Fino alla fine degli anni ’60 vigeva una netta separazione tra normodotati e disabili, nei confronti dei quali ci si approcciava esclusivamente da un
punto di vista medico sanitario. Essi infatti, scolasticamente parlando, venivano collocati in classi differenziali,messe a disposizione dallo stato presso
scuole materne, a seconda della gravità del loro deficit; per i casi più gravi venivano istituite delle scuole materne speciali. L’errore più grave di quei
tempi era quello di non dare la giusta importanza al disabile in qualità di persona, cercando di capire quali sono le sue reali esigenze e cosa va fatto
per migliorare le sue condizioni.
Un primo passo in positivo, si ebbe nel 1975 con il documento Falcucci; nel 1974, fu istituita un’assemblea alla quale parteciparono esperti e
presieduta dalla senatrice Falcucci, per discutere sulla questione disabili-istruzione. Il risultato di tale assemblea fu, nel 1975 un documento, detto
appunto documento Falcucci, nel quale si sosteneva che ogni forma di emarginazione si può superare mediante un nuovo modo di concepire ed
attuare la scuola, in modo da poter accogliere realmente ogni bambino e adolescente , favorendone lo sviluppo personale.
Tale documento, prevedeva un inserimento(detto inserimento selvaggio) graduale dei bambini disabili nella scuola comune, come sperimentazione
didattica.
La legge n.517/77, impone la frequenza dei bambini in condizione di disabilità nella scuola dell’obbligo, la quale si avvaleva delle prestazioni di
insegnanti di sostegno specializzati.
La legge n.215/87, detta Magna Charta dell’integrazione, apre definitivamente ed in modo completo, le porte della scuola media superiore a tutti i
soggetti in condizione di disabilità, reputando illegittimo quanto veniva affermato nell’art.28 della legge n.118/72, ossia che bisognava facilitare la
frequenza dei disabili nella scuola comune piuttosto che assicurarla.
La legge quadro 104/92 è la legge che attualmente regola il processo di integrazione scolastica dei disabili in Italia. Per l’integrazione, la scuola
necessita di un documento detto profilo dinamico funzionale(P.D.F.). Prima di arrivare a tale documento però è necessario un altro tipo di
documento, detto diagnosi funzionale(D.F.), che consiste in una descrizione analitica del deficit presentato dal bambino, svolta da uno psicologo
della ASL specialista in età evolutiva. Il P.D.F. verrà compilato in collaborazione tra ASL, famiglia e scuola e troverà la sua attuazione nel piano
educativo individualizzato (P.E.I.).
Alla fine degli anno ’90 sono state apportate delle modifiche alla struttura della scuola Italiana; prima di tutto essa non presenta più una struttura
gerarchica piramidale, all’apice della quale vi era il ministero della pubblica istruzione; ora ogni scuola gode di una propria autonomia, sotto molti
punti di vista, amministrativo, giuridico, finanziario, didattico, di sperimentazione, di ricerca ed organizzativo ed è libera di organizzare il proprio
piano di offerta formativa(P.O.F.), cercando, per quanto sia possibile, di andare in contro alle esigenze degli studenti. L’autonomia è un elemento
positivo per la scuola, in quanto consente una maggiore individualizzazione nei processi di insegnamento ed apprendimento; essa inoltre pone fine
al limite che ha contrassegnato le riforme scolastiche dell’ultima stagione, ossia quello di dare eccessiva importanza alle performance degli alunni ed
alle relative valutazioni,invece di guardare ad esempio al superamento della lezione frontale o provvedere all’introduzione di nuove metodologie di
insegnamento.
Per quanto riguarda la formazione degli insegnanti, attualmente, nei corsi di laurea in scienze della formazione primaria, vi sono degli
approfondimenti riguardo al tema integrazione ed un corso aggiuntivo di 400 ore per ottenere la specializzazione per il sostegno. L’auspicio invece è
che vengano istituiti dei corsi di laurea quinquennali fortemente indirizzati sul tema dell’integrazione e che vengano proposti dei master universitari
annuali specifici per insegnanti di sostegno, vertenti ad esempio su particolari patologie. La situazione attuale della scuola italiana per quanto
riguarda gli insegnanti di sostegno però non è delle migliori; gran parte degli insegnanti di sostegno infatti è assunta a tempo determinato o non
possiede l’abilitazione; ciò va a discapito sia degli insegnanti, che saranno poco motivati a proseguire nella loro formazione professionale e sia degli
alunni, ai quali non verrebbe garantita una continuità didattica. Per quanto riguarda l’impiego degli insegnanti di sostegno, prima della legge
finanziaria 2007, veniva applicato un criterio ragionieristico, secondo cui veniva assegnato un posto ogni 138 alunni; attualmente invece, si cerca di
reclutare gli insegnanti di sostegno in base a quelle che sono le reali esigenze della situazione.
La legge finanziaria 2006 inoltre, ha abbattuto il limite secondo cui le classi frequentate da alunni disabili non potevano essere composte da un
numero maggiore di 20 alunni.
La qualità dell’integrazione è direttamente proporzionale al livello di preparazione ed alle competenze degli insegnanti, i quali, nel momento in cui si
approcciano con un alunno disabile, dovranno:
-Essere a conoscenza di quanto è stato scritto nella D.F.
-Partecipare alla compilazione del P.D.F.
-Programma didattico personalizzato(attività, tempi di lavoro, organizzazione degli spazi ecc.)
-Insegnamento individualizzato a seconda delle caratteristiche del bambino, sia del deficit e sia delle sue abilità emergenti

Non bisogna però prendere troppo alla lettera il temine individualizzazione,confondendolo con separazione, in quanto si rischia di assistere a scene
in cui l’insegnante di sostegno e l’alunno disabile escono dalla classe nel momento in cui inizia la lezione; questo è sbagliato, in quanto da un lato
deresponsabilizza maggiormente l’insegnante, dall’altro aumenta il vissuto di emarginazione del bambino.
Per una integrazione di qualità quindi è necessario:
-Collaborazione tra scuola(insegnanti curriculari e di sostegno), famiglia, ASL ed anche enti pubblici locali
-Risorsa insegnanti: il loro livello di preparazione deve essere alto, in modo da garantire un’integrazione adeguata del bambino
-Risorsa famiglia: complessivamente i rapporti tra scuola e famiglia sono soddisfacenti, anche se spesso i genitori sono visti come controparte e non
come partner educativi. Infatti vi sono ancora modelli relazionali inadeguati, come quelli in cui l’insegnante di sostegno viene considerata da genitori
come unico interlocutore, tagliando fuori l’insegnante curriculare ; in molti casi non vi è collaborazione per la stesura del P.E.I., non vi è lavoro di
èquipe e non vi sono contatti con il gruppo di lavoro per l’integrazione scolastica.
-Risorsa compagni: gli alunni disabili non vanno visti soltanto come portatori di bisogni, ma anche di elementi positivi, da cui anche i compagni di
classe normodotati potrebbero trarre beneficio:
●Aumento autostima
●Miglior concezione di sé
●Maggiore capacità di instaurare relazioni sociali
●Minor timore delle differenze
●Maggiore accettazione
●Acquisizione di competenze metacognitive in lavori di tutoring nei gruppi cooperativi
-Fondamentale risulta anche l’atmosfera dell’ambiente classe

Cap.2
Il 21 maggio 2001, 91 Pesi partecipanti alla 54esima Assemblea Mondiale della Sanità hanno approvato la nuova classificazione internazionale del
funzionamento, della disabilità e della salute come standard di valutazione e classificazione di salute e disabilità.
L’ICF è il risultato di un lungo lavoro di revisione, iniziato nel 1993, della classificazione internazionale delle menomazioni, disabilità e svantaggi
esistenziali del 1980. L’Italia è tra i 65 Paesi che hanno attivamente partecipato alla validazione dell’ICF.
Lo scopo generale dell’ICF è quello di fornire una base scientifica e un linguaggio unificato che serva da modello di riferimento per la descrizione e
comprensione degli elementi costitutivi della salute e degli stati ad essa correlati.

Introduzione: per disabilità si intende una situazione di svantaggio o deficit di una o più parti o di una o più funzioni. Generalmente una disabilità
dipende da:
-Elementi organici
-Elementi legati alla socializzazione e relazione
-Elementi legati ad una o più funzione

Classificazione delle disabilità:


-Deficit motori
-Deficit cognitivi
-Deficit sensoriali

Categorie all’interno della disabilità:


-Cerebroleso
-Ritardato mentale
-Traumatizzato spinale
-Amputato
-Non udente
-Non vedente
-Altri

Ogni forma di disabilità necessita di:


-Valutazione specifica
-Particolari precauzioni
-Trattamento individualizzato

Cap.3. “La disabilità mentale”


Maria Montessori(primo medico donna in Italia) sosteneva che qualsiasi forma di separazione si poteva superare nel momento in cui il bambino
riesce a concentrarsi su di un lavoro mediante un’azione che non gli è stata imposta da un adulto, ma che scaturisce dal suo interno.
Maria Montessori condizionò fortemente la scuola del ‘900, insistendo su una metodologia educativa basata sulla coltivazione della mente del
bambino; la normalizzazione quindi era un traguardo raggiungibile, attraverso la concentrazione su un lavoro, l’uso intelligente dell’ambiente di
apprendimento, la socialità e la libertà(intesa come indipendenza del bambino dai rapporti oppressivi con l’adulto-educatore).
Secondo Ganguihlem, l’essere umano è un’entità unica dotata di corpo e mente, il quale potrebbe subire delle alterazioni durante il suo sviluppo
biologico, tali da generare deficit, di natura cognitiva, sensoriale, motoria, sociale ed emotiva.
Per ritardo mentale, secondo la letteratura psichiatrica, si intende una vera e propria sindrome nucleare unica con alcuni sintomi clinici legati a
difetti strutturali nello sviluppo delle funzioni astrattive, della conoscenza e dell’adattamento all’ambiente, cui spesso si associano disturbi della
personalità, del comportamento, del linguaggio, delle funzioni percettive, motorie o malformazioni somatiche. Il ritardo mentale, in altre parole, è
caratterizzato da una disorganizzazione della mente, che genera una categoria patologica.
Non è semplice diagnosticare il ritardo mentale, in quanto possono esserci compromissioni di altre aree di sviluppo che ne rendono più difficile la
diagnosi e l’attuazione di un piano riabilitativo; generalmente il ritardo mentale è caratterizzato da una triade sintomatologica, secondo la
classificazione internazionale effettuata dal DSM IV(Diagnostic and Statistic Manual):
1. Manifestazione prima dei 18 anni
2. Incapacità di adattamento all’ambiente
3. Quoziente intellettivo inferiore a 70

Classificazione del ritardo mentale in relazione alla gravità:


-Quoziente intellettivo compreso tra 70 e 90: situazioni bordeline
-Quoziente intellettivo compreso tra 50 e 35: ritardo lieve
-Quoziente intellettivo compreso tra 35 e 50: ritardo medio
-Quoziente intellettivo compreso tra 20 e 35: ritardo grave
-Quoziente intellettivo inferiore a 20: ritardo gravissimo

I deficit cognitivi attualmente vengono valutati con strumenti psicodiagnostici, come ad esempio la scala Wechsler, detta WISC(Wechsler intelligence
scale for children), dalla quale ricaviamo l’età mentale, ossia il rapporto con le capacità medie di ogni fascia d’età ed il valore del quoziente
intellettivo, che indica il rapporto tra l’età mentale e l’età cronologica. Anche se qui si parla di età mentale, in generale, l’età cronologica, non
coincide molte volte con l’età biologica, ossia l’età di sviluppo biologico dell’organismo.
Maria Montessori ha insistito molto sul concetto di cervello assorbente del bambino; il cervello umano infatti, se pur leso, è una struttura altamente
plastica ed influenzabile, soprattutto in età evolutiva, quando raggiunge l’apice della sua plasticità. Per questo motivo è importante intervenire
tempestivamente e precocemente, andando a lavorare sulle aree di sviluppo che non sono ancora state compromesse dal deficit.
E’ importate quindi arricchire continuamente di sollecitazioni, stimoli ed affetti le esperienze soggettive del soggetto, rendendolo sempre più
autonomo e partecipe alla vita scolastica e sociale;il cervello umano infatti, anche se leso, mantiene una notevole forza propulsiva di sviluppo, di
organizzazione funzionale e di equilibrio.
Classificazione ritardo mentale di Zigler(1984):
• Fattori organici:
-Eziologia organica dimostrabile
-Trovati a tutti i livelli di status socio-economico
-Spesso il QI è al di sotto di 50
-Fratelli solitamente con intelligenza normale
-Aspetto spesso caratterizzato da segni fisici
-Percentuale di mortalità più alta
-Spesso rimangono dipendenti dalle cure e dall’assistenza di altri per tutta la vita
-Improbabile il matrimonio e spesso non risultano fertili
-Improbabile l’esperienza di essere trascurati in famiglia
-Alta percentuale di altri deficit fisici(epilessia, paralisi cerebrale ecc)

• Fattori ambientali:
- Nessuna eziologia organica dimostrabile e genitori aventi spesso questo tipo di ritardo
-Più prevalenti a livelli bassi di status socio-economico
-QI raramente al di sotto di 50
-Fratelli spesso a livelli di intelligenza più bassi
-Aspetto normale e assenza di altri deficit
-Percentuale di mortalità
-Con qualche aiuto possono condurre una esistenza indipendente
-Probabilità più elevata di avere figli con bassa intelligenza

• Fattori indifferenziati:
Non possono essere collocati con attendibilità in nessuna delle altre due classi

La sindrome di Down, prende il nome dal medico inglese Longdon Down, il quale fu il primo a fornirne una descrizione dettagliata.
Tale patologia viene anche definita trisomia 21, in quanto il cromosoma 21 presenta 3 cromatidi, innalzando quindi il numero complessivo di
cromosomi di un numero rispetto alla norma, quindi 47. Ci sono 3 diverse forme di trisomia 21:
1.Trisomia 21 libera: quella sopra citata(94%)
2.Trisomia 21 da traslocazione: il cromosoma 21 risulta fuso con il cromosoma 14(3-4%)
3.Trisomia 21 da mosaicismo: l’alberazione cromosomica avviene dopo la prima divisione cellulare(2-3%)

la sindrome di Down colpisce un soggetto ogni 650-700 nati vivi; attualmente in Italia nascono mediamente 2 bambini down al giorno e
complessivamente si contano circa 49000 casi di sindrome di Down, con la seguente distribuzione:
-11.000 al di sotto dei 14 anni
-13.000 tra i14 ed i 24 anni
-25.000 al di sopra dei 25 anni

Le condizioni di vita dei soggetti affetti da sindrome di Down, a partire dal 1929 fino ai nostri giorni, sono di gran lunga migliorate, grazie alle forme
di integrazione sociale attuate per i soggetti in condizioni di disabilità(in Italia da circa un trentennio) e grazie anche all’evoluzione della scienza
medica. L’età media dei Down infatti si è alzata parecchio; nel 1929 si riscontrava un’età media di 9 anni, mentre negli anni ’90 si ha un’età media
maggiore di 40 anni per il 70% dei casi; maggiore di 60 anni per il 44% dei casi e maggiore 68 anni per il 13,8% dei casi; per quanto riguarda i nostri
giorni, abbiamo un’età media maggiore di 60 anni per l’86,4% dei casi e maggiore di 68 anni per il 78,4% dei casi.
Principali caratteristiche anatomiche soggetti con sindrome di Down:
-Arti brevi
-Dita delle mani corte e robuste
-Labbra piccole e spesse
-Lingua grossa e percorsa da solchi; spesso tenuta protusa tra le labbra
-Palato ogivale
-Denti malpiantati e malformati
-Naso piccolo
-Pollice piccolo
-Viso appiattito con zigomi larghi
-Fessure palpebrali sottili
-Mani piccole, presentanti un’unica linea trasversale

Nonostante l’evoluzione della scienza medica, è ancora ignoto il ruolo che il cromosoma 21 svolge nel condizionamento delle funzioni cerebrali,
causando quindi il ritardo.

Cap.4: “Il deficit visivo”


Secondo la legge 155/65, si intendono privi della vista, coloro che sono colpiti da cecità dalla nascita o che hanno un residuo visivo non superiore ad
1/10 per ciascun occhio, con eventuale correzione; vengono inclusi quindi tra i non vedenti anche coloro i quali sarebbero in grado di vedere
qualcosa. Secondo la classificazione mondiale dell’organizzazione mondiale della sanità, i ciechi e gli ipovedenti vengono individuati non solo in base
al visus(acutezza visiva) , ma anche in base all’ampiezza del campo visivo (regione di spazio che l’occhio è in grado di vedere davanti a sé).
Caratteristiche principali deficit visivo:
-Compromissione totale o parziale della vista
-Apparente compromissione della sola vista
-Difficoltà di costruzione del pensiero
-Impedimento della motilità, equilibrio e collocazione spaziale
-Interferenza sulla globalità psico-fisica del soggetto

Cap.5: “Il deficit uditivo”


Principali caratteristiche deficit uditivo:
-Compromissione parziale o totale dell’udito
-Apparente compromissione del solo udito
-Compromissione del linguaggio

Cap.6: “La disabilità motoria”


Attualmente in Italia contiamo circa 1.100.000 soggetti con disabilità motorie, portatori di deficit riguardanti il movimento, la postura o il tono
muscolare. La disabilità motoria viene considerata la conseguenza principale della paralisi cerebrale infantile(P.C.I). Tale patologia può essere meglio
indicata con la seguente espressione: discinesia encefalica precoce non evolutiva. Si tratta quindi di una disfunzione del movimento, causata da
compromissioni che possono riguardare anche cervelletto o tronco encefalico; precoce, quindi si può riconoscere fin dai primi mesi di vita del
bambino e non evolutiva, rimane stabile per il resto della vita del soggetto.
La P.C.I. da un punto di vista eziopatogenico, può dipendere da fattori prenatali, perinatali e postnatali:
-Fattori prenatali: anossia cerebrale, distacco precoce della placenta, infarto della placenta; anomalie riguardanti la madre: diabete, ittero,
toxoplasmosi contratta nei primi 3 mesi di gravidanza, esposizione a raggi X, alterazioni cromosomiche.
Spesso la P.C.I. colpisce i bambini che nascono prematuramente oppure quelli che alla nascita hanno un peso inferiore ad 1,5 kg.
-Fattori perinatali: sono quelli conseguenti all’anossia cerebrale o all’asfissia, con annessi danni vascolari e traumi diretti dell’encefalo.
-Fattori postnatali: riguardano tutti i processi infiammatori di meningi ed encefalo, danni vascolari, neoplasie e traumi diretti del SNC.

Classificazioni P.C.I. in base a:


-Disturbo motorio
-Forme cliniche
-Sintomi associati al disturbo motorio

In base al disturbo motorio:


-Forme spastiche: aumento patologico del tono muscolare con dolorosi spasmi muscolari
-Forme atetosiche: compromissione dei muscoli prossimali(soprattutto delle mani) e dei muscoli mimici, con conseguenti difficoltà nell’articolazione
ed emissione di suoni(disartria) e nella respirazione
-Forme atassiche:
-Forme con tremore: tremori sparsi nei segmenti corporei
-Forme atoniche: diminuzione drastica del tono muscolare
-Forme rigide:
-Forme miste

In base alle forme cliniche:


-Monoplegia: compromissione di un solo arto, solitamente uno dei due arti superiori
-Paraplegia : compromissione del movimento volontario ed incapacità della gestione della contrazione muscolare
-Emiplegia: deficit riguardante la volontarietà del movimento e del tono muscolare riguardanti uno dei due emilati corporei
-Doppia emiplegia: deficit che presenta gli stessi sintomi della precedente patologia, ma che riguarda entrambi gli emilati corporei
-Tetraplegia: compromissione di tutti e 4 gli arti

In base ai sintomi associati al disturbo motorio:


-Turbe sensitive
-Turbe sensoriali
-Epilessia
-Disturbi del linguaggio
-Disturbi psichici e psicomotori
-Disturbi caratteriali

Il contesto della P.C.I. è vasto ed eterogeneo, per cui bisogna impostare un intervento riabilitativo ad hoc per il soggetto ed attuato in maniera
precoce; il vissuto di un bambino affetto da P.C.I. è alquanto triste, caratterizzato da ospedali, interventi chirurgici, terapie riabilitative ecc; tutto ciò
potrebbe indurre il bambino a chiudersi in sé stesso e a manifestare stati ansioso-depressivi, dovuti ad una mancata accettazione di sé e ad un
rifiuto del proprio contesto di vita quotidiana.
E’ necessario coinvolgere i genitori nel trattamento ,facendo eseguire loro una serie di esercizi a casa e una serie di stimolazioni. L’equipe valorizza le
potenzialità del disabile

Approfondimento:
All’ospedale Bambin Gesù di Roma è stato allestito un laboratorio per l’analisi del movimento che si avvale di un sofisticato sistema computerizzato
ad alta tecnologia detto Vicon( costo attuale, 500.000 euro), con il quale sono stati già aiutati tanti piccoli pazienti con difficoltà motorie , anche
dovute a paralisi cerebrale infantile, che permette di analizzare ogni anomalia motoria del paziente. Funziona adoperando 6 telecamere che
osservano simultaneamente 38 piccole sfere posizionate sui segmenti corporei del paziente. Poi abbiamo un elettromiografo di superficie , che rileva
l’attività elettrica di 8 gruppi muscolari del paziente ed infine 2 piattaforme di forza sulle quali il paziente si muoverà e verranno rilevate le reazioni di
forza al terreno in intensità e direzione e le pressioni plantari.
Il sistema Vicon apre importanti prospettive non solo per la cura di bambini con notevoli difficoltà motorie affetti da paralisi cerebrale infantile, ma
anche per la formazione, quindi per lo sviluppo motorio del bambino, che evolve positivamente o negativamente a seconda dell’interazione che egli
ha con l’ambiente.

Cap.7: “L’autismo”
Il primo a coniare il termine autismo fu uno psichiatra svizzero, Eugen Bleuler, il quale, con tale termine, indicava una categoria di soggetti che
tendevano ad estraniarsi dalla propria realtà di vita.
Autismo di Kanner: Kanner individuava come autistici quei soggetti che tendevano ad isolarsi, che stavano benissimo in solitudine ed erano
autosufficienti; avevano delle difficoltà nella coordinazione fine-motoria, difficoltà nell’eloquio e modalità meccanica di apprendimento.
Sindrome di Asperger: i soggetti autistici avevano un eloquio scorrevole, difficoltà nella coordinazione grosso-motoria e, a livello di apprendimento
venivano considerati dei pensatori astratti.
L’autismo è un disturbo che porta deficit in 3 ambiti:
-Comunicativo
-Relazionale
-Comportamentale

La persona con autismo secondo i criteri diagnostici di Rutter(1978):


-Insorgenza durante i primi 3 anni di vita
-Modalità di evitamento visiva e corporea
-Desiderio di immutabilità dell’ambiente
-Presenza di stereotipie motorie
-Particolarità del linguaggio
-Attaccamento verso alcuni oggetti

L’autismo è un fenomeno in grande crescita; partendo infatti da 3-5 casi ogni 10.000 nati vivi negli anni ’80 si arriva ai 10 casi ogni 10.000 nati vivi nei
nostri giorni. L’autismo ha un’incidenza 3 volte maggiore nei maschi rispetto alle femmine(nelle quali però le manifestazioni sono più gravi).

Ipotesi eziologiche autismo:


-Alterazioni morfo-funzionali SNC
-Fattori genetici
-Evidenze biochimiche

Degli studi hanno evidenziato che l’encefalo degli autistici è caratterizzato da un’aumentata densità cellulare e da una ridotta dimensione delle
cellule neuronali a livello del sistema limbico e del cervelletto; lesioni in tali regioni provocano alterazioni a livello di memoria, attenzione,
interazione sociale e comportamento.
Spesso l’autismo viene associato a disfunzioni neurotrasmettitoriali: l’autismo può dipendere da una scarsa funzionalità del sistema dopaminergico,
il quale può essere caratterizzato da una scarsa produzione di dopamina o scarsa presenza di recettori dopaminergici. La dopamina ha effetti
sull’area attentiva, motoria, comportamentale e mnemonica.
L’autismo viene associato anche alla disfunzione di un altro neurotrasmettitore, ossia la serotonina, che regola la fame, il sonno e l’umore.
Per quanto riguarda invece i fattori genetici, è stata riscontrata una maggiore incidenza dell’autismo nei gemelli monozigoti rispetto a quelli dizigoti a
causa di una sovrapposizione genica del 100%, contro il 50% dei dizigoti.

Modelli interpretativi
-Approccio etologico
-Teoria socio-affettiva
-Teoria della mente
-Debolezza della coerenza centrale
-Deficit funzioni esecutive
-Neuroni mirror

• Approccio etologico: analizziamo 2 concetti, quello di sistema funzionale principale e di conflitto motivazionale. Il primo indica una totalità di
comportamenti che hanno una determinata finalità e si dividono in sistemi funzionali principali di avvicinamento o di evitamento. I primi sono
caratterizzati da un avvicinamento verso l’altro; i secondi da atteggiamenti di fuga, di isolamento dagli altri e dal proprio contesto di vita(elemento
tipico dell’autismo). Per conflitto motivazionale invece, si intende la messa in atto contemporaneamente di 2 sistemi funzionali principali.
• Teoria socio-affettiva: nonostante il relazionarsi con gli altri sia una prerogativa innata dell’essere umano ed in particolar modo dei bambini, gli
autistici hanno grande difficoltà nel relazionarsi con gli altri; essi non riescono a cogliere le emozioni degli altri e ciò che essi vogliono trasmettere. Le
anomalie linguistiche degli autistici, dipendono proprio da questa difficoltà di interazione sociale.
• Teoria della mente: gli autistici sono incapaci di attribuire degli stati mentali a sé stessi e agli altri. Non riescono a capire quello che gli altri vogliono
dire, le emozioni e le credenze altrui; non comprendono le finalità di un discorso, ma soprattutto che essi hanno un ruolo all’interno del dialogo,
motivo per cui una delle loro peculiarità è l’inversione pronominale, secondo cui utilizzano il pronome tu per indicare sé stessi. Non riescono a
cogliere l’ironia all’interno di una conversazione e sono indifferenti di fronte ai cambiamenti di tonalità della voce, con cui solitamente il discorso
assume diverse sfumature di significato.
• Debolezza della coerenza centrale: gli autistici non sono in grado di effettuare pensieri troppo lunghi e complessi e soprattutto non riescono a
concentrarsi su di un concetto nella sua totalità, ma tendono sempre a soffermarsi sui dettagli, anche se riescono comunque ad effettuarne una
selezione tra quelli rilevanti e meno rilevanti(principio della selettività); sono quindi incapaci di ragionare in modo induttivo.
• Deficit delle funzioni esecutive: le funzioni esecutive sono una serie di azioni pensate e messe in atto per risolvere un determinato problema; gli
autistici quindi sono incapaci di creare un piano d’azione. Il controllo esecutivo può avvenire in modo automatico per azioni consuete, le quali non
richiedono eccessiva concentrazione; o in modo volontario controllato, in cui bisogna concentrarsi sul lavoro per raggiungere una finalità.

Per quanto riguarda la relazione tra autismo e motricità, si possono notare delle stereotipie autolesive e non autolesive. Tra le prime troviamo ad
esempio l’urtare la testa contro il muro, colpirsi,mordersi ecc. Tra quelle non autolesive invece troviamo l’altalena, movimento oscillatorio del corpo
in posizione seduta, movimenti del capo, concentrazioni su parti di oggetti, movimenti delle mani ecc.
In quanto alla memoria invece non sembrano esserci grosse compromissioni, se non per l’attuazione di strategie mnestiche per ricordare più
facilmente.
Per quanto concerne invece le anomali del linguaggio abbiamo:
-Inversione pronominale
-Ecolalia
-Linguaggio idiosincratico, il più delle volte di difficile comprensione
-Comprensione letterale

Primi segni dell’autismo:


Nel 90% dei casi, le prime anomalie vengono riscontrate nei primi 24 mesi di vita; le preoccupazioni più comuni, riguardano:
-Ritardo del linguaggio
-Ritardo dell’udito
-Bambini troppo buoni o troppo irritabili

Ulteriori deficit più difficili da cogliere:


-Carenza dell’attenzione selettiva
-Mancanza di comunicazione di tipo proto-dichiarativa
-Mancato sviluppo del gioco simbolico

Come riconoscere l’autismo:


-Incapacità di rapportarsi con altri bambini o adulti
-Carenza o assenza di linguaggio verbale
-Insensibilità o scarsa reazione ai rumori
-Utilizzo inappropriato dei giocattoli
-Difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti della routine
-Risate o pianti inappropriati
-Scarsa coscienza dei pericoli
-Iperattività o atteggiamento passivo
-Ipersensibilità o indifferenza al tocco
-Strani attaccamenti agli oggetti
-Carenza nello sguardo e nel contatto visivo

L’autismo è un disturbo generalizzato dello sviluppo, quindi si manifesta già nei primi 24 mesi di vita e dura per tutta la vita.

I sottogruppi sociali nell’autismo:


- Attegiamento passivo
- Isolati
- Attegiamento attivo ma stravagante

Cap.8: “ Il deficit d’attenzione con iperattività”


Il deficit d’attenzione con iperattività rappresenta uno dei comportamenti problema che suscitano più preoccupazione nelle scuole ed è molto
presente in età evolutiva scolastica, quindi tra i 6 ed i 12 anni.
Le classificazioni internazionali del DSM IV e dell’ICD-10, hanno individuato una triade sintomatologica:
-Problemi di attenzione
-Elevati livelli di attività motoria
-Impulsività cognitiva e comportamentale

L’attenzione presenta 4 dimensioni:


1.Selettività: consiste nel saper effettuare una selezione degli stimoli, concentrandosi soprattutto su quelli rilevanti e tralasciando quelli meno.
2.Vigilanza: consiste nel mantenere un livello di attenzione adeguato per un certo intervallo di tempo.
3.Shift: consiste nella capacità di effettuare dei salti da un pensiero ad un altro.
4.Capacità: riguarda la capacità di potersi concentrare su più stimoli contemporaneamente

Solitamente si ha disattenzione o comportamenti poco consoni quando il bambino non viene stimolato in maniera adeguata, quando si annoia o si
trova in condizioni non gradite, o quando non c’è un sistema di rinforzo adeguato. In generale, per i bambini normodotati e per i disabili, gli elogi ed i
rinforzi sociali sono fondamentali per tenere alta la loro autostima, per non farli scoraggiare e renderli sempre propensi all’azione.

Per quanto riguarda l’ipercinesia, abbiamo una classificazione dell’iperattività in base alla gravità:
-Agitazione soggettivamente percepita
-irrequietezza motoria
-Iperattività

Questa capacità tende ad aumentare quando l’allievo è impegnato in attività poco motivanti.

In quanto all’impulsività invece,consiste in un promt di risposta molto rapido, ma incoerente con il contesto; ad esempio si ha quando il bambino
risponde all’insegnante prima ancora che quest’ultimo abbia finito di formulare la domanda. L’impulsività viene classificata in:
-Impulsività comportamentale: si agisce letteralmente, senza pensare a quello che si sta facendo
-Impulsività cognitiva: si effettuano dei salti di pensiero senza seguire un filo logico
-Impulsività emotiva: il bambino risulta particolarmente sensibile a repentini cambi di umore a situazioni frustranti

Tipi di disturbo ADHD:


-Disturbo con iperattività dominante
-Con disattenzione dominante
-Con iperattività ed aggressività in comorbidità
-Con disturbi ansioso-depressivi in comorbidità

Modello delle funzioni esecutive di Barkley:


Secondo Barkley, il deficit di inibizione comportamentale, non permette lo svolgersi di 4 funzioni:
-Memoria di lavoro
-Autoregolazione emotiva
-Linguaggio interno
-Capacità analisi-sintesi

Lo svolgersi corretto di questi 4 processi porta ad un adeguato controllo motorio.


L’intervento educativo-riabilitativo nei disturbi di attenzione con iperattività, comprende 2 fasi:
1. Fase di assessment: non vengono evidenziati solamente i deficit del soggetto, ma anche le sue abilità emergenti, in modo da poterci lavorare su e
potenziarle.

Gli strumenti maggiormente utilizzati sono le rating scale comportamentali, costruite in base al DSM IV e composte in collaborazione tra genitori ed
insegnanti.
• Osservazione sistematica
• Colloquio: dipende dall’età dell’allievo. Solitamente con bambini tra 10 e 12 anni, anche se il colloquio è più utile con le famiglie.
• Test intellettivi: utilizzati per escludere la presenza di un deficit intellettivo generalizzato e verificare le prestazioni del soggetto in subtest che
valutano abilità attentive e memoria.

2. Intervento:
-Fissare la cornice di intervento
-Ambiente
-Regole
-Compiti e materiali

Tutte queste componenti sono necessarie per un adeguato training specifico per l’allievo iperattivo.

Il Kiwi(Kit iperattività: valutazione ed intervento in classe) è un esempio di programma integrato che fornisce una valutazione iniziale dell’allievo
ADHD in 3 fattori, utilizzando le rating scale di iperattività:
1. Deficit inibizione cognitiva
2. Capacità persistenza attenzione in assenza di una guida
3. Analisi dei comportamenti di iperattività

3 tipi di percorsi educativi:


1.Training di autocontrollo
2.Esercizi di attenzione, memoria e inibizione
3.Contratto educativo

Rivolto ad allievi dai 4 ai 14 anni, ha l’obiettivo di integrare l’intervento specialistico sul disturbo con la quotidiana programmazione educativa
dell’intero gruppo-calsse.

Cap.10: “ I problemi di comportamento”

Categoria di difficoltà scolastiche che suscita maggiori preoccupazioni per le ricadute sull’apprendimento degli allievi e sul loro benessere fisico e
socio-emozionale.

Non si può programmare una modalità di risposta monodirezionale per il numero e l’eterogeneità delle manifestazione di aggressività.
Queste condotte tendono ad assumere diverse configurazioni in base all’età ( si può sfociare con l’adolescenza in comportamenti aggressivi prima
non presenti). Il comportamento aggressivo può essere manifestazione di un altro disturbo psichiatrico.

L’intervento è pluridisciplinare e multidimensionale.

Ci sono 4 strade di analisi delle condotte aggressive:


1.Aggressività come conseguenza di condizioni sociali inadeguate
2.Infrazione di regole sociali
3.Ricerca di fattori eziopatologici
4.Scarso apprendimento di abilità sociali e comunicative

L’aggressività è qualsiasi atto osservabile emesso intenzionalmente per arrecare un danno a persone, animali o cose.
1.Atto motorio/ verbale: il comportamento aggressivo i sostanzia in produzioni motorie o verbali
2.Intenzione: La volontarietà di un atto aggressivo permette di escludere i comportamenti impulsivi che pur procurando un danno a terzi, sono senza
la volontà di danneggiare
3.Danno: E’ aggressivo se produce un danno a persone, animali o cose.

Le numerose aggressività

4 diversi approcci:
-descrittivoclassificazione degli atti aggressivi che possono essere attivi (colpi) o passivi (non aiutare il compagno in difficoltà), diretti (picchiare) o
indiretti ( comportamento ostile nei confronti della vittima), auto diretti (autolesioni) o etero diretti (contro altri). L’osservabilità dell’atto non si può
riscontrare nell’atteggiamento passivo ma si fonda totalmente sulla condivisione di alcuni valori, come il fatto che è doveroso aiutare gli altri.

-funzionalecomprendere la funzione svolta da un dato comportamento ed è la base per un intervento educativo, perché permette di dare
all’allievo un comportamento adeguato a quello problematico. Cosi si riesce, ampliando il repertorio di abilità del soggetto a ridurre le condotte
devianti. Si diversificano i comportamenti in base alle motivazioni:
* azioni aggressive strumentali( atti a ottenere un vantaggio)
* comportamenti irritanti ( per chi circonda il soggetto)
* aggressività emozionale ( risultato di uno stato emotivo alterato)
* aggressività difensiva (volta a difendere il soggetto, aggressivo nei confronti di terzi)
* comportamento anti-sociale (devia le norme sociali e si conforma alle norme del gruppo)
Lo stesso comportamento aggressivo può assolvere più funzioni contemporaneamente
-psicopatologicodifferenza tra aggressività manifesta ( atto fisico e verbale) e nascosta ( rubare).
* fattori ereditari: soprattutto per l’aggressività nascosta, dove la componente genetica svolge un ruolo minore dei fattori ambientali
* fattori neurobiologici: collega l’aggressività manifesta ad alterazioni dei sistemi dei neurotrasmettitori
* fattori familiari ed educativi: l’aggressività nascosta si collega alla difficoltà dei genitori di gestire la disciplina
* fattori socio-ambientali: l’aggressività manifesta presenta un ridotto livello di socializzazione
* rischio e cronicità: l’aggressività manifesta ha un tasso di stabilità nel tempo, mentre quella nascosta può scomparire in tarda adolescenza
Ci sono ripercussioni diverse per le strategie di intervento e la necessità di porre attenzione alle fasi critiche dello sviluppo

-evolutitivola differenza tra A.M. e A.N. è legata all’età. Le condotte aggressive si hanno su 3 piani: topografico, funzionale, relazionale
Si hanno 2 forme di aggressività: modello a insorgenza precoce ( dalla scuola dell’infanzia, richiede trattamenti a livello educativo e riabilitativo) e
modello comulativo ( epoca preadolescenziale, per appartenere al gruppo dei coetanei e per affermare la propria identità).

12-18 mesi: 50% dei bimbi in conflitto con altri bimbi


18-36 mesi: diminuisce del 20% la percentuale dei bimbi con comportamenti aggressivi
Scuola dell’infanzia: con il linguaggio si aumenta l’aggressività verbale e si diminuisce la fisica
Scuola primaria: diminuisce quella strumentale, aumenta quella affettiva
Scuola secondaria: diminuiscono atteggiamenti aggressivi, aumenta la probabilità di soggetti più deviati

Sistemi nosografici e disturbi del comportamento


-Disturbo della condotta violazione dei diritti o di regole del contesto sociale. Nel DSM-IV i sintomi sono 4:
* limitazione della sfera affettiva ( assenza di senso di colpa e/o vergogna)
* autostima ridotta
* limitata tolleranza delle frustrazioni
* irritabilità (per il ridotto autocontrollo)

-Disturbo oppositivo, provocatoriomeno grave perché non comprende atti aggressivi diretti ma in atteggiamento sfidante soprattutto verso
genitori/insegnanti. Sintomi: carenza di autocontrollo emotivo e comportamentale, tipici del disturbo della condotta

-Disturbi della condotta in comorbiditàipercinetico: sintomi iperattivi, disattenti e comportamenti aggressivi con ridotta socializzazione,
aggressività legata a problemi interpersonali. Depressivo: comportamenti aggressivi e tendenze al suicidio. Mix condotta e sfera emozionale:
aggressività + forme di disturbo ansioso/nevrotico.

Il disturbo aggressivo può accompagnarsi ad altre patologie dell’età evolutiva

Modelli causali dell’aggressività

Variabili neurobiologiche variabili socio-ambientali

Temperamento, disfunzioni comportamento aggressivo stile educativo, rapporti con i coetanei,


Frontali, alterazioni dei condizioni abilitative
neurotrasmettitori

variabili neurobiologiche
riguardano gli ambiti della: predisposizione genetica ( più in quelli manifesti)
alterazioni del SNC ( ipoattivazione del SNC)
livello intellettivo

insensibilità alle punizione e la serotonina inibisce la modulazione emozionale e


stimoli minacciosi emette & comportamentale. La norepinefrina, se compromessa
comportamenti impulsivi riduce la capacità di provare ansia.
e minacciosi, pericolosi

deficit delle funzioni esecutive, se son compromesse le aree pre-frontali, gli atti impulsivi saranno incontrollati e sarà difficile modulare le emozioni
prodotte dal sistema limbico

Q.I.<10 punti porta ad un deficit a livello verbale da una disfunzione della lateralizzazione generale

Non si usa il linguaggio interno


Non si prevedono le conseguenze delle azioni
Non si ha autoconsapevolezza di stati emotivi
Le abilità si problem-solving sono compromesse

Variabili socio-ambientali

-ruolo della frustrazionedato da 3 situazioni: quando non riesco a raggiungere obiettivi importanti, quando gli adulti non mantengono promesse,
quando il soggetto è inattivo e annoiato

-ruolo dei processi di apprendimentouna risposta aggressiva del soggetto può essere mantenuta come stile abituale di interazione se questa porta
il raggiungimento dell’obiettivo desiderato. Le condotte aggressive possono essere apprese con l’osservazione di modelli.
-ruolo dei carenti repertori di abilitàil soggetto non riesce ad esprimere i suoi bisogni e ha difficoltà a comunicarli. Il comportamento aggressivo
può avere una funzione comunicativa volta all’ottenimento dell’attenzione
-ruolo dei fattori educativiin riferimento all’ambiente familiare e scolastico una disciplina eccessivamente punitiva produce conseguenze negative.
Piuttosto che ricorrere a punizioni si devono premiare i comportamenti positivi. La disciplina incoerente da parte delle figure educative.

Indicazioni per l’intervento educativo

interventi

1)sugli antecedenti 2) sulle conseguenze 3) trasmissione di abilità


Riduzione di situazioni estinzione sociali, educative, ludiche
Frustranti, eliminazione sistemi di rinforzo deferenziale
Di condotte aggressive

1)esposizione a modelli in grado di gestire le situazioni problematiche; controllare gli stimoli avversivi che possono provocar frustrazioni, evitare
sentimenti di fallimento del ragazzo
2) eliminare le conseguenze rinforzanti nel comportamento aggressivo, ignorando l’allievo ogni volta che manifesta atti aggressivi
3)tecniche educative per lo sviluppo di abilità sociali; si trasmettono competenze necessarie a interagire con l’ambiente senza ricorrere
all’aggressività

Cap.11: “L’educazione motoria: ruolo e funzioni”

Plaget  attraverso la concretezza e il “fare”, il bimbo disabile non,, giunge alla comprensione e costruzione di regole funzionali all’apprendimento
scolastico anche di natura cognitiva la formazione della parola è correlata allo sviluppo delle capacità di prestazione della motricità. Non interessa il
movimento in se, ma la sua pianificazione in vista di uno scopo. La motricità, come fattore si sviluppo fisico e cognitivo è il presupposto per la
progettazione educativo-didattica per la crescita personale degli alunni. Secondo la prospettiva psicomotoria, psiche e soma si fondono insieme
generando il processo di valorizzazione del corpo. Questo approccio rifiuta il “corpo oggetto/ strumento” , ma pensa che l’educazione motoria con
mezzi propri contribuisce a formare una personalità. Non basta il movimento a garantire uno stato di salute, ma è attraverso questo che si
influenzano positivamente l’io personale e sociale. Educare il movimento significa agire su più fronti: tutte le forme di dinamismo corporeo
assumono il valore di linguaggio corporeo.

La pratica psicomotoria è la proposta operativa per bimbi di 7-8 anni dove prevale una modalità conoscitiva globale e i processi cognitivi sono
condizionati da dinamiche emotive. Per un corretto svolgimento, questa pratica deve avere una cala di psicomotricità, un tempo stabilito e una
competenza professionale, solo così gli alunni sono posti in una situazione di ricerca attiva e relazione dei confronti di spazio-tempo compagni e
oggetti.

Il movimento consente all’uomo di agire per una migliore conoscenza di sé, un miglior accomodamenti di condotta e un autentica autonomia.
Il movimento è uno dei bisogni fondamentali dell’uomo che sin dalla nascita deve trovare soddisfacimento nel rapporto con la madre poi con gli
adulti , poi con i suoi pari.

Il sistema motorio

Il fulcro dell’attività motoria è il cervello, esso contiene i modelli neuromotori che permettono la realizzazione del movimento diretto ad uno scopo.
Ogni azione motoria e ogni forma di apprendimento indica l’attivazione di processi di percezione, memorizzazione, attenzione che intervengono in
qualsiasi forma di apprendimento qualsiasi gesto è il risultato di un attività nervosa corrispondente.
I neuroni speculati portano alla comprensione dell’altro, e nel caso dell’empatia, alle scoperte delle altrui intenzioni. Grazie ai neuroni speculari, un
meccanismo involontario riesce a trasformarli in linguaggio quando emittente e ricevente comprendono che la loro azione può influenzare i reciproci
comportamenti. Intelligenza sociale = capire le intenzioni degli altri

Lo sviluppo motorio aiuta la crescita cognitiva, sociale e affettiva. Si favorisce l’apprendimento di mezzi di relazione e comunicazione con la realtà
esterna. L’ambiente deve essere ricco di sintomi per favorire l’emancipazione, l’accrescimento, confronto con gli altri, capacità coordinative, che
contribuiscono a formare nell’allievo autoefficacia e autostima.

Lo sviluppo motorio dell’allievo con ritardo mentale

Acquisire abilità raffinati e specifiche come strumento di integrazione sociale. Il disabile e non, è formato da corpo e mente, azione e pensiero,
ragione e sentimento. Binomi indissolubili, nell’allievo con ritardo, uno dei 2 elementi è deficitario.
Il ritardo mentale non è solo intellettivo ma di tutta la persona ( anche il punto di vista motorio). Il ritardo cognitivo coincide sulla programmazione e
controllo del movimento ( down) su coordinazione, equilibrio e controllo del tono. I bimbi con R.M. hanno difficoltà nella prestazione mentale e
nell’uso spontaneo di schemi prassici già presenti.

La funzione educante dell’attività motoria

Eseguire e controllare i movimenti richiede processi articolati, che alla base devono avere l’acquisizione di schemi motori di base.
Obiettivo dell’educazione motoria: massimo sviluppo delle abilità motorie in base alle condizioni individuali, “ obiettivi comuni a tutti”, percorso
formativo con attività ludiche, successivamente rispondere alle esigenze personali sei singoli allievi con una didattica operativa incentrata sul “ fare”,
uso di movimenti facilmente utilizzabili come modelli.

1)bisogna definire gli obiettivi e finalità educative,prima bisogna valutare le abilità in ingresso con uno strumento quali-quantitativo: prove MOVIT
2)proposta metodologica determinata dal deficit dell’alunno , basandosi sulla cooperazione con i compagni
3)momento di valutazione che indichi lo sviluppo e l’acquisizione delle abilità motorie
Dopo un acquisizione della pratica motoria di base si avvia la pratica sportiva sottoforma di giochi. Finalità : favorire l’integrazione sociale ce
favorisce l’accettazione della diversità e delle somiglianze.

Cap.15: “Le risposte della scuola alle situazione di gravità”

La normativa italiana stabilisce il diritto all’integrazione scolastica degli allievi con disabilità, prescindere dalla tipologia o gravità della stesa.

Gravità: Q.I. < 50


Compromissione dell’adattamento all’ambiente
Continuo supporto per le attività quotidiane incapacità del soggetto di adattarsi al’ambiente e
Danni al SNC provvedere autonomamente alle sue necessità
Comportamenti pericolosi

Comportamenti auto lesivi come criterio di gravità

Pericolosi per il soggetto e per gli altri: azioni aggressive, distruttive, auto lesive.
Limitati per la partecipazione sociale della persona: azioni non pericolose per il soggetto determinano meno opportunità di inserimento sociale.

Un comportamento di sfida dipende 1 ) da regole sociali che determinano l’emergenza di un comportamento problematico, 2) da abilità el soggetto
di dare significato ai suoi comportamenti da rendersi comprensibili agli altri 3) aspettative e livello di tolleranza ambientale delle persone che lo
circondano 4) abilità degli adulti di gestire il problema.

Le conseguenze negative: riduzione di inclusione sociale ( verrà isolato ed escluso), interveti educativi segnati da atteggiamenti di rifiuto dell’adulto

Modello funzionalista: adattamento tramite il disadattamento

Ruolo dei fattori di rischio

Miglior probabilità di problematiche comportamentali:


-sesso: maschio
-età: prima infanzia
-livello intellettivo: in correlazione con la gravità del deficit
-sindrome cromosomica: maggior vulnerabilità
-disabilità aggiunte: sensoriali-motorie

Dal cattivo funzionamento al diverso funzionamento

Si propone un modello di competenza in base al quale i soggetti funzionano con modalità differenti dei coetanei. I comportamenti devono essere visi
come strategie del soggetto per adattarsi all’ambiente, quelli “auto lesivi” sonno delle risposte tramite le quali l soggetto produce conseguenze
rinforzanti.
Rinforzo positivo: tramite il comportamento auto-lesivo si ottiene l’attenzione dell’adulto
Rinforzo negativo: la condotta problematica con situazioni sgradite, si sottrae ad un compito con atti auto lesivi

Quando si comprende il perché della manifestazione dell’atto si può agire sopprimendo la conseguenza rinforzante o fornendo comportamenti
positivi.

Tipologie di rinforzo:
(le conseguenze ambientali possono influenzare i comportamenti problematici)

1)ricerca di attenzione negli altri


2)evitamento di compiti sgraditi
3)evitamento di situazioni interpersonali
4)rinforzi tangibili con i quali il comportamento viene calmato (oggetto sgradito)
5)rinforzo automatico con l’emissione di comportamenti auto lesivi per innalzare o ridurre la stimolazione ambientale e propriocettiva.

Rinforzo biologico:

L’elevata attività degli oppioidi innalza la soglia di percezione degli stimoli che porta a comportamenti auto lesivi. Se il comportamento auto lesivo
rilascia endorfine, si ha una azione euforizzante.

Il ruolo delle contingenze ambientali nel comportamento auto lesivo è descritto dal modello ABC: antecedent-behavior-consequence
“ ll comportamento auto lesivo viene manifestato in presenza di specifici antecedenti ambientali e rinforzato dalle conseguenze positive prodotte
dall’ambiente”

ANTECEDENT BEHAVIOR CONSEQUENCE


Situazione di gruppo in cui bisogna maria emette l’insegnante permette a Maria di giocare senza
Attendere il proprio turno comportamenti problematici aspettare il turno

Molte azioni di insegnanti e riabilitatori nell’immediato riportano sotto controllo la situazione, ma nel lungo periodo vi è un aggravamento della
condotta.
Due punti sui quali si articola un intervento educativo:
-controllo sugli antecedenti scatenanti il comportamento problematico ( gruppo di gioco con distanza non eccessiva tra uno e l’alto)
-eliminare le conseguenze rinforzanti il comportamento aggressivo ( non consentendo di saltare i turni)

Conseguenze: maria tollera maggiormente l’attesa se prima ha ricevuto attenzione dall’insegnante. Il comportamento problematico si verifica solo
con l’insegnante di sostengo (segnale che determinati comportamenti vengono premiati)

Le persone con gravi disabilità sono più reattive se si trovano in contesti affollati. Ci sono fattori di tipo: fisico (ambientale scolastico), sociale
( presenza di coetanei con problemi di comportamento), biologico ( disagi relativi al sonno, allergie)

ANTECEDENT BEHAVIOR CONSEQUENCE


Richiesta di volgimento luigi emette comportamenti l’insegnante ritira il compito e propone un attività
Di un compito di narrativa di autolesionismo alternativa

Settng: ambiente rumoroso e affollato

Luigi manifesta comportamento di autolesionismo se dove svolgere compiti di narrativa in un grande auditorium dove si sentono rumori fastidiosi,
invece in classe riesce meglio a svolgerli. Se l’insegnate ritira il compito, luigi avrà lo steso atteggiamento, e questo è un rinforzo negativo.
L’insegnate di italiano diventa lo stimolo discrimine perché ha cercato di calmarlo con delle attività alternative. Se luigi si trovasse in un ambiente
affollato, a svolgere compiti di narrativa, ma con un insegnate diverso,non si sottrarrebbe dall’attività prevista.

Es. bimbi piccolo che non mangia determinate cose, perché il genitore da piccolo ha concesso delle alternative al cibo sgradito. Di fronte all’altro
genitore che non ha mai ceduto, il bimbo sarà meno problematico, perché tale figura adulta non rappresenta il segnale di cedimenti.

Antecedente: evento che precede immediatamente e che scatena il comportamento


Setting: condizioni interne ( malessere) o esterne ( affollamento), relazionali ( attività) che aumentano/ diminuiscono la probabilità che l’antecedente
scateni il comportamento.
Discriminante: elemento del contesto (persona) che informa dell’esistenza di un collegamento tra comportamento e la conseguenza rinforzante

Dalla stereotipia all’autolesionismo: verso la gravità

Il comportamento autolesionista rappresenta per la persona una disabilità grave, la miglior forma di adattamento al suo ambiente di vita.

Attraverso quali percorsi il soggetto è porto maggiormente a una condotta autolesionista?


Classe di operatori: diversi mezzi, stesso fine.
Risposta operante: comportamento in grado di produrre una conseguenza.
Classe di risposte operanti: insieme di comportamenti( anche diversi) che producono stesso conseguenze. Azioni diverse = funzioni uguali.

Perché utilizza una risposta operante piuttosto che un'altra?


In base al tasso di rinforzi ottenuti n passato con quella risposta, l’immediatezza con cui una risposta produce rinforzi nell’ambiente, lo sforzo per
attuare la risposta. Il soggetto quindi ricorre alla risposta che garantisce la maggiore probabilità di rinforzi con il minimo sforzo.
In base allo sforzo necessario per attuare un comportamento, e ai rinforzi ottenuti dall’ambiente le risposte operanti aumenteranno di intensità.

Es. se francesco urla per non fare i compiti, gli insegnati non permettono al bimbo di sfuggire al compito. Il questo modo il tasso di rinforzo
dell’urlare va incontro ad una riduzione.

Il modello evolutivo dell’autolesionismo

Tutti i bimbi dai 0 ai 3 anni manifestano stereotipie comportamentali dovute a uno sviluppo motorio non ancora completo ( con valenza di auto
stimolazione). Queste stereotipie del bimbo normale di riducono spontaneamente, nel disabile a causa del ritardo motorio e cognitivo manifestano
una stabilità.

Es. di stereotipia: dondolare continuamente la testa questo può svolgersi senza che i genitori o insegnati pongano più attenzione ad essa,
considerandolo solo un tratto del soggetto ormai tipico. Ma se il bimbo inizia a sbattere la testa contro il banco, ottiene all’istante l’attenzione
dell’adulto. Conseguenze positive = sforzo minore = tasso maggiore

Probabilità di una risposta operante

Probabilità operante: tasso rinforzi immediati rinforzi


Sforzo richiesto

Si ha uno sforzo minore perché il bimbo per richiamare l’attenzione urta una sola volta il capo.

Piano d intervento su tali comportamenti

Obiettivi: ridurre frequenza, durata e intensità del comportamento auto lesivo, introdurre adattamenti nel contesto e nelle attività, trasmettere al
soggetto della classi operanti abilità) alternative al comportamento auto lesivo.
Obiettivo generale: rendere l’auolesionismo una risposta operante meno efficace nel produrre conseguenze rinforzanti

Fase di assessmet
1)prima si quantificano gli aspetti del comportamento autolesionistico, analizzandone: intensità, durata e frequenza. La presenza di eventuali
comportamenti alterativi, le procedure adottate in famiglia, a scuola, per gestire tali condotte, e il significato attribuito a queste da parte delle
persone che circondano il bimbo.
2)poi si evidenziano le relazioni tra tale comportamento e le variabili contestuali, ch mantengono il comportamento auto lesivo. Cosi si evidenzia la
funzione svolta dal comportamento auto lesivo.

Fase d’intervento:
la prima “nel momento della crisi”, utile per bloccare il soggetto evitando che possa procurarsi danni tessutali rilevanti. La seconda ha un “carattere
educativo” con un intervento limitato solo ai momenti di crisi, che ha una limitata efficacia se non è accompagnato da un piano d’azione articolato.
Obiettivo: non di eliminare i compiti sgradii al soggetto,ma incider sulle variabili di setting.

Quando il soggetto scegli le attività da volgere, si nota come diminuiscono i comportamenti stereotipati. Quindi la tessa attività, se scelta dal
soggetto e non imposta dall’adulto tende a produrre un minor numero di condotte auto lesive.
Per gli adulti è fondamentale porre attenzione alla comunicazione non verbale dell’allievo, in modo da riconoscere e potenziale le sue preferenze
individuali.

Lo stesso training comportamentale viene effettuato per quanto riguarda la “comunicazione”, che deve essere socialmente adeguata e deve
adattarsi ai deficit del soggetto, deve produrre le stesse conseguenze dal comportamento auto lesivo ( attenzione dell’adulto) e dev’essere
maggiormente efficiente rispetto all’atto autolesionistico (- sforzo, + rinforzi).
Obiettivo: non è la soppressione degli atti problematici, piuttosto l’ampliamento delle classi operanti con comportamenti socialmente adeguati.

Cap.16: “Come affrontare i problemi comportamentali a scuola”

L’interveto educativo nei confronti dei problemi comportamentali degli autistici si sviluppa su un sistema di valutazione che evidenzi motivazioni e
finalità, e si indirizzi non solo al contenimento degli atti inadeguati ma anche all’insegnamento di risposte significative.

Valutare e cercare di comprendere

Lo stesso comportamento inadeguato può avere motivazioni e scopi diversi; si comprendono motivazioni alla base dei comportamenti.

-vanno tenute in considerazione le difficoltà connesse alla sfera sociale, infatti agli autistici mancano i mezzi per essere socialmente autosufficienti.
Questo rende complessa l’acquisizione ci competenze per vivere adeguatamente nel contesto sociale, interessandosi alle attività collettive.

-i deficit nei processi comunicativi o la non consapevolezza che il comunicare possa scatenare comportamenti inadeguati di allievi con autismo. Il
comportamento problematico è una primitiva forma di comunicazione, mettendoli in grado di influenzare gli altri per ottenere effetti desiderabili.

-le difficoltà di natura sensoriale, le sensazioni che provengono dal corpo sono particolari e difficilmente controllabili.

-i problemi nella percezione tattile di rabbia o timore quando vengono modificate possono verificarsi reazioni gravi, conseguenti a situazioni non
previste.

Impostare un intervento abilitativo

Insegnare nuovi metodi per influenzare le persone e ottenere quanto desiderato può permettere una riduzione dei comportamenti inadeguati, in
quanto non più necessari. Gli obiettivi non possono limitarsi alla riduzione o eliminazione dei comportamenti problematici ma è necessario che si
prendano in considerazione anche sviluppo e utilizzo da parte dell’allievo di comportamenti e strategie adeguate.

La gestione della crisi: se non vi è un approccio condiviso e strategico portano ad un logoramento degli operativi.
Con un approcci flessibile si elencano procedure basate sul buonsenso, utili nel momento in cui si presenta la crisi:
-Quando succede, ignorare il comportamento problematico
-proteggere l’allievo o i presenti nell’ambiente
-fermare l’allievo durante i comportamenti problematici
-spostare dal luogo della crisi chiunque sia in pericolo
-indurre timoli per facilitare comportamenti non problematici.

Lo scopo della gestione della crisi è nel cercare di interrompere situazioni con alti livelli di pericolosità per l’allievo per gli altri.

Esperienza sentimentale

Utilizzare il modello di valutazione preliminare in grado di andare oltre il livello descrittivo e comprendere motivazioni e finalità dei comportamenti
problematici

Modello di valutazione preliminare

Quando i comportamenti manifestati sono più di uno si attribuisce un ordine di priorità in modo da orientare l’intervento educativo.
Un'altra considerazione preliminare per inquadrar e la situazione sta nell’invitare le persone che interagiscono con il soggetto a rispondere a delle
domande, autonomamente. Questa tabella mette in evidenza una possibile connessione della frequenza di aggressioni con il livello di stanchezza
dell’allievo. Anche se in maniera non consapevole può comunicarci il desiderio di ricevere stimoli positivi o evitare situazioni sgradite.

1)si porta ad ottenere l’attenzione con il contatto fisico 2)si comunica una situazione di disagio dalla quale desidera allontanarsi 3)si emettono
comportamenti problema per una auto stimolazione.
Modalità per indagare le motivazioni dei comportamenti : “analisi funzionale”procedura attraverso la quale si evidenziano i rapporti tra il
comportamento oggetto di attivazione e l’ambiente.

L’azione si ha un funzione di uno stimolo ed è consolidata dalle conseguenze che produce. Se le riposte dell’allievo sono precedute costantemente
dagli stessi antecedenti o conseguenti, si ipotizza che questi siano i fattori che mantengono operativi i comportamenti.

Formulazione delle ipotesi

I comportamenti inadeguati comunicano:


-disagio legato a situazioni di rumore o confusione
-disagio conseguente a situazioni che escono dalla routine
-desiderio di non essere limitato nei movimenti
-volontà di attirare attenzione

Interveto sperimentale: osservazione sistematica A)

Con un sistema di codifica continua da parte degli educatori, organizzata in intervalli temporali di 50 min

Intervento educativo B)

Con il programma TEACCH si ha l’organizzazione dell’ambiente e attività che consente di fornire all’allievo un quadro temporo-spaziale strutturato, in
cui i punti di riferimento siano visibili e concreti. Per questo si modifica l’organizzazione scolastica prevedendo attività autonoma al banco dalla
prima mattinata e le attività più gradite in seguito. Si concorda una modalità di gestione delle crisi con un “training comunicativo” realizzato
attraverso immagini (stop = interrompo i compiti). I compagni vengono educati ad assumere atteggiamenti di allontanamento durante le crisi e a
non prestare attenzione al compagno.

Quindi con l’esigenza di approccio metodologico condiviso tra le varie figure che interagiscono con l’allievo, si hanno 4 linee di lavoro per
l’integrazione:
-programmazione congiunta tra insegnanti e genitori
-organizzazione di tempi, ambienti di lavoro e materiali
-uso di una didattica speciale di qualità
-coinvolgimento attivo dei compagni

Insegnate di qualità:
-abilità personali
-abilità di programmazione didattica
-abilità di conduzione dell’insegnamento
-abilità relazionali

LIBRO A SCELTA: PSICOMOTRICITA’


Cap.1: “Apprendere gli schemi del movimento”

Ci sono 3 fasi relative all’apprendimento di abilità motorie:


-fase cognitival’allievo mette a fuoco l’obiettivo e prende decisioni sulle prime esecuzioni del movimento (permette di memorizzare il movimento
da acquisire.
-fase associatival’allievo grazi a varie ripetizioni costruisce un programma motorio, che organizza dei sottoprogrammi (trasferisce abilità di
movimenti già appresi in altri non appresi).
-fase di automatizzazioneil movimento può essere eseguito senza un controllo attentivo.

Lo schema motorio

Non è la rappresentazione mentale di un singolo movimento, ma contiene condizioni comuni a una categoria di movimenti (forza, ampiezza)
Lo schema permette un’interpretazione dell’apprendimento motorio che salvaguarda l’efficacia e l’economia nel lavoro del SNC.
La teoria dello schema si basa su 4 info ce si immagazzinano con l’esecuzione dei movimenti:
-parametri specifici durante il movimento durata, forza, direzione)
-risultato ottenuto
-conseguenze sensoriali
-condizioni di partenza (posizione del corpo rispetto l’oggetto)

Quando il movimento è completato si registrano le info relative questi 4 punti le loro relazioni, in questo modo si sviluppa uno schema con
multilateralità e polivalenza. Una volta formato lo schema dei movimenti, le abilità rappresentate possono essere trasferite a movimenti nuovi =
apprendimento motorio.

Processi nell’effettuazione di attività motorie

Relativi alla programmazione, esecuzione e controllo del movimento, integrati per un atto globale.
Programmazione del programma motorio sulla base di stimolo ambientali (movimenti dimostrati e richiesti dell’insegnante) si può intraprendere
diverse attività motore la cui effettuazione è dipendete dal’elaborazione del programma; Analisi degli stimoli ambientali( con l’attenzione e memoria
di lavoro) ; selezione di uno schema motorio dalla memoria a lungo termine e a adattarlo; si parla di attenzione e memoria di lavoro: la prima
permette di effettuare un scelta tra diversi stimoli ,la scelta (genera una stimolazione) che viene conservata nella memoria di lavoro ( sistema che
mantiene poche info per pochi secondi, da essere usate in processi che ne permettono l’elaborazione a lungo termine). I processi sono “controllati”,
altri sono “automatici”, non richiedono attenzione e permettono l recupero di schemi motori dalla memoria a lungo termine.

I “processi controllati richiedono attenzione e attivano la memoria di lavoro (a breve termine), i “processi automatici” avvengono al di fuori della
memoria di lavoro, son controllati alcuni all’inizio, poi con l’esercizio diventano automatici.
Soltanto ciò che è elaborato dalla memoria di lavoro può passare a quella a lungo termine e diventare acquisizione permanente. Solo l’info elaborata
in modo controllato può, se si verificano certe condizioni, essere elaborata in modo stabile e disponibile per altre utilizzazioni.

Si parla di selezione e adattamento di schemi motori, quello selezionato non sempre risponde in maniera adeguata alle richieste dell’ambiente,
quindi deve essere adattato. Gli adattamenti si strutturano sull’interazione di processi neurologici, psicologici (fattori affettivi e motivazionali),
psicomotori.

Per rispondere alle richieste dell’ambiente, l’allievo deve recuperare quindi, attraverso una scelta degli schemi, un esempio di schema motorio a
lungo termine.

L’esecuzioneil fulcro dell’attività motoria è il SNC che contiene i i”modelli neuromotori” e ha il compito di realizzare ogni attività umana. I modelli
sono schemi indicativi costituiti da catene di neuroni organizzati in circuiti che mandano gli impulsi per realizzare le attività nervose per far si che i
modelli si traducano in movimenti si ha il bisogno una serie di processi.
Ogni movimento è dato da contrazione muscolare e da un effettiva azione motoria successiva.

Modelli neuro motori

Interazioni neuromuscolari interazioni neuro-organiche effettuazione attività motorie

Modelli modelli modelli omeostatici


posturo-cinetici bichimici-energetici

controllo motorio: correzione degli esercizi secondo 2 modalità:


-modello a circuito chiusoper movimenti lenti, si prevede un controllo periferico basato su info propriocettive d esterocettive che informano
sull’adattamento dell’esecuzione.
-modello a circuito apertoper movimenti rapidi, il controllo è centrale, cioè il programma motorio elaborato possiede tutte le info per compiere il
movimento.

Il primo si basa su feedback dall’interno e esterno, che l’individuo interpreta e confronta sui i risultati attesi. Il secondo si basa su movimenti che una
volta iniziati arrivano a compimento senza correzioni in itinere.

È spesso difficoltosa un analisi degli stimoli ambientali su allievi con handicap attentivo. Riscontriamo problematiche a livello di focalizzazione e
stabilità dell’attenzione, con ripercussioni sulla qualità di allenamento.
Hanno difficoltà nell’adattarsi agli schemi motori in base alle esigenza della situazione. Hanno un deficit nella strutturazione delle capacità
coordinative e perciò mancano riferimenti spazio temporali del proprio corpo.
Hanno carenze nella trasmissione dell’impulso nervoso afferente e la sua decodifica. L’allievo con handicap è più dipendente dell’allievo
normodotato da imput esterocettivi, per la difficoltà di interpretare feedback.

Cap.2: “Componenti psicomotorie dl movimento: prerequisiti o capacità coordinative”

Dal concetto di schema corporeo di analizzano le caratteristiche dei prerequisiti motori:


-controllo del tono muscolare
-coordinazione e equilibrio l’acquisizione ha ripercussioni sia sull’apprendimento motorio che di abilità cognitive
-lateralità
-strutturazione spazio-temporale

Lo schema corporeo

Il corpo è soggetto e oggetto di percezione, il corpo oggetto e l’io corporeo sono 2 percezioni dello stesso fenomeno.
Si ha una differenziazione tra esperienza interna ed esterna, e della strutturazione dello schema corporeo: si ha come base per la sua comprensione,
l’ “affettività”, che permette sula base delle relazioni con l’altro, un organizzazione del sistema emozionale. Questo secondo Plaget e Wallon.
Secondo Le Boulch, si fa riferimento ad una impostazione genetica, con un modello si sviluppo corporeo diviso in 3 fasi:
-corpo vissutocomportamento motorio globale, che porta il bimbo a esprimere affettività e previene all’acquisizione di schemi corporei di base. Si
ha fino ai 3 anni ed è spontaneo.
-corpo percepitosi raggiunge una buona funzione senso-percettiva del corpo. Dai 4 ai 7 anni.
-corpo rappresentatostrutturazione dello schema corporeo.
La capacità di controllo del tono muscolare

Capacità di dosare il gado di contrazione muscolare, è una condizione di base per movimenti coordinati e finalizzati.
I problemi sono connessi alla difficoltà di decontrazione muscolare, quindi di rilassamento. Quest’ultimo è anche ilo mezzo per arrivare ad una
buona educazione posturale e respiratoria.

Ripercussioni:
-sulla componente intellettiva (con aumentata capacità di concentrazione, creatività, memorizzazione).
-sull’approccio ai compiti didattici (con migliore disponibilità ad apprendere e organizzare il lavoro).
-sulla componente sociale (maggior adeguamento a relazioni interpersonali e inibizione di paure legate all’insuccesso nei rapporti).

La coordinazione e l’equilibrio

Coordinazioneesecuzione di un atto motorio acquisito, con un fine e utilizzando le diverse strutture corporee. Equivale alla sintonia di tutti i
processi parziali dell’atto motorio rispetto all’obiettivo che si vuole raggiungere. Può essere intersegmentata (solo braccio, avambraccio) o generale.
È dipendente alla maturazione del SNC.

Equilibrio L’uso di diversi schemi motori favorisce la riconquista dell’equilibrio, che è una forma di coordinazione. L’equilibrio è l’sito della ricerca
della posizione esatta del corpo nella statica e nel movimento. Quest’ultimo è il risultato di adattamenti conseguenti all’interpretazione delle
sensazioni propriocettive ed esterocettive (sensazioni plantari, cinestetiche, visive) . l’evoluzione dell’equilibrio avviene progressivamente dalla
conquista delle diverse posture, fino alle forme più fini di equilibrio dinamico e in volo.

La lateralità

La maggior parte ha la preferenza per l’uso della mano dx.


Si estende alla percezione uditiva, visiva e all’uso del piede.
La superiorità nell’uso di un emisfero, o l’equipotenzialità in entrambi, determinala dominanza di un lato del corpo.
Ci sono possibili cause di trasmissione genetica, accanto alla pressione degli ambienti sociali (per il mancino).
L’emisfero sx è specializzato per un’elaborazione verbale o analitica, mentre il dx per una spaziale o globale.

Nei mancini la lateralizzazione può essere diversa, il mancino non è un dx speculare m è dotato di una dominanza cerebrale volta
all’equipotenzialità. In caso di lesione completa dell’emisfero sx, il dx lo compensa; non c’è quindi un’incapacità dell’emisfero dx ad esprimersi, ma u
impossibilità di competere con successo con l’emisfero sx per meccanismi linguistici.

La dominanza non esiste prima dei 7 mesi, la lateralizzazione tra 2-3 anni o 6-8 anni.

La strutturazione spazio-temporale

Nei primi mesi di vita si ha lo spazi orale in relazione della bocca. Con la capacità di prensione volontaria (5 mesi) lo spazio diventa prossimale.
Ci sono primordiali rapporti spaziali di vicinanza, separazione, ordine e continuità. Con l’acquisizione della deambulazione lo sazio diventa continuo e
in esso gli oggetti si spostano. Alla fine del secondo anno il bimbo ricerca l’oggetto basandosi, non più su spostamenti visibili ,ma su deduzioni.
Fino alle soglie della scolarità il modello spaziale rimane irreversibile e collegato allo stadi preoperatorio di sviluppo cognitivo.
Con il passaggio allo stadio operatorio il bimbo comprende che l’oggetto rimane inalterato anche se varia la sua conformazione.

Nella strutturazione spazio-temporale si passa da un tempo vissuto (ritmi cardiaci) al tempo rappresentato.
Il bimbo attraverso azione e percezione valuta la durata del movimento e l’ordine di successione di essi a livello primitivo.
Fino ai 4/5 anni si rilevano incertezze e il tempo è legato a dati vissuti. La nozione di tempo pi diviene astratta quando il bimbo passa allo stadio
ipotetico-deduttivo, si ha l’introduzione di concetti di simultaneità e successione,durata e intervallo.
Per la strutturazione spazio-temporale le evoluzioni progressive possono esser facilitate o rallentate a seconda delle esperienze che il bimbo compie
spontaneamente nel suo ambiente, e quelle che l’educatore riesce favorire tramite specifiche esercitazioni soprattutto di libera espressione.

Cap.3: “osservazione dell’area psicomotoria”

Attraverso uno strumento, il “MOVIT”, l’educatore può condurre una valutazione sistematica dell’area psicomotoria, evidenziando abiltà e
potenzialità, difficoltà dei propri allievi.

Valutare a scuola: prove strutturate o osservazione?

Con una valutazione sistematica, si ha più oggettività e scientificità, o per una osservazione in situazione con un approccio ecologico.
Nella valutazioni oggettive si ha l’esigenza di ottenere dati poco soggettivi, ma ci sono situazioni di artificialità. L’osservazione, se da un lato risolve
queste situazioni di artificialità, va in contro a tutte le controindicazioni per le valutazioni intuitive.
Sono necessarie procedure mature e di valutazione, che raccolgono aspetti positivi di entrambi gli approcci.

Le prove MOVIT hanno 4 aspetti fondamentali:


-permettono una valutazione poco condizionata dalla soggettività e fonda da item facilmente verificabili
-rappresentano una guida all’osservazione perché richiedono la predisposizione di situazioni test (durante le attività di palestra)
-possono considerare un check list (che dimostrano carenze di abilità motorie)
-possono considerare la valutazione di abilità e difficoltà di allievi e il loro sviluppo potenziale.

Valutazione delle abilità e dei deficit: check list

Indagine iniziale dei repertori con rilevazioni strumentali. Sono elenchi di abilità e comportamenti in ordine gerarchico per sistematizzare
l’osservazione sulla presenza o assenza di un oggetto o fenomeno.
Ciò permette di uscire dall’intuitività associata all’osservazione

Il MOVIT è un esempio di lista a focalizzazione crescente per mezzo della quale è possibile un’osservazione sistematica dell’area psicomotoria
attraverso diverse scale riferite a componenti psicomotorie:
-tono e rilassamento
-equilibrio e coordinazione dinamica-generale
-coordinazione delle mani, oculo-manuale
-strutturazione della nozione di spazio, tempo, lateralità

Analisi di difficoltà e concetto di “sviluppo potenziale”

Per valutare abilità e deficit si controlla un’area di sviluppo potenziale come: distanza tra livello attuale di sviluppo del bimbo e di sviluppo potenziale
sotto la guida di un adulto.
Non è sufficiente verificare la possibilità o mo di manifestare certe performance da parte di soggetti , ma è necessario capire se tali livelli possono
essere raggiunti con aiuto. I compiti che l’educatore propone devono motivare l’allievo; le prove di valutazione MOVIT sono predisposte da delineare
l’area di sviluppo potenziale delle capacità psicomotorie indagate. La somministrazione avviene richiedendo l’’effettuazione degli esercizi in maniera
autonoma, se l’allievo è incapace di performance adeguate si forniscono aiuti codificati.

Cap.4: “Principi metodologici dell’intervento educativo”

L’adattamento degli schemi motori in funzione dell’esecuzione di azioni finalizzate, dipende fortemente dall’attivazione di componenti psicomotorie:
prerequisiti funzionali.
E’ importante la predisposizione di programmi educativi in grado di favorire negli allievi lo sviluppo dei prerequisiti.
Per la conduzione di adeguati programmi educativi devono essere tenuti in considerazione i principi metodologici:
-Modalità di organizzare e conduzione di attività motorie
-Progressione di lavoro per l’educazione dei prerequisiti funzionali
-Importanza del gioco e metodologia del gioco-sport

Organizzazione di attività motorie educative


La possibilità di programmare in modo rigoroso le attività, puntando su quelle di libera espressione motoria e la necessità di riferirsi a principi di:
-Polivalenza
-Multilateralità
-Partecipazione

Programmazione curriculare o predisposizioni di situazioni?


Contrapposizione tra una didattica ispirata alla programmazione e una centrata sul creare situazioni in cui far agire liberamente gli allievi.
Progettare un curriculo per un’educazione motoria significa prevedere degli obiettivi riferiti alle varie componenti del movimento, organizzati in
modo gerarchico e riferiti ai livelli evolutivi degli allievi.
Non ci saranno esercitazioni rigide e schematiche ma che sollecitino l’uso di schemi motori e posturali, di base e non.(palleggiare , acquisito con
esercizi con la palla da fermo o in movimento, ampliato prevedendo su situazioni variate, come palle di diverso peso/dimensione).
La didattica per situazioni non sceglie l’esecuzione di esercizi o giochi predeterminati, ma mira sul creare condizioni spaziali, temporali, di
interazione, comunicazione interpersonale, generatrici di svariate attività, che possono essere eseguite man mano che si sviluppa la
situazione(L’insegnante può richiedere di palleggiare liberamente per la palestra senza urtarsi, correndo o camminando, in modo che vengano date
agli allievi possibilità di scelta, il prof. Non corregge ma si limita a far rispettare le regole generali stabilite).

Polivalenza
Necessità che l’attività motoria non sia ancorata al solo allenamento di specifici segmenti corporei, ma sfrutti possibilità di favorire lo sviluppo di
tutte le aree della personalità.
Obiettivo: realizzazione educazione attraverso il movimento.
Si lavora su schemi e non per esercizi, contiene l’integrazione tra svariati schemi posturali per uno sviluppo di una efficace motricità.

Multilateralità
Si predispongono attività con una valenza riferita a diverse funzioni dell’area motoria. Gli schemi motori immagazzinati a lungo termine, permettono
il passaggio a schemi più complessi per una base motoria ampia e integrata.

Partecipazione
Esigenza che gli allievi trovano un loro spazio all’interno delle lezioni di educazione motoria, indipendentemente dal loro livello di abilità e dalla
motivazione di base dipendente dai contenuti di tipo motorio.
Si organizzano situazioni che stimolino non la competizione ma il piacere del movimento, quindi situazioni in cui si agisce in modo libero e senza
timore del giudizio negativo.

Polivalenza & multilateralità & partecipazione  Sono le caratteristiche fondamentali nella scuola primaria.

L’educazione dei prerequisiti funzionali


Si organizzano le attività motorie finalizzate all’educazione dei prerequisiti funzionali del movimento.

Schema corporeo
La conoscenza topografica dei vari elementi corporei favorisce una presa di coscienza dell’unità. La costruzione dell’immagine del corpo può essere
ricercata mediante l’elaborazione delle sensazioni propriocettive ed esterocettive.
Il controllo delle diverse posture e del tono, l’uso del corpo in movimento, per schemi e non per esercizi settoriali, con incremento della
coordinazione, equilibrio, capacità di organizzare azioni dal punto di vista spazio-temporale.

Rilassamento
L’approccio educativo ha 3 momenti di progressiva difficoltà:
-La ricerca di una presa di coscienza dell’unità corporea con l’introduzione delle norme generali di riposo, tranquillità, assenza di movimenti e
distensione.
Questa attività può essere proposta in ogni movimento, cercando di attirare l’attenzione sui battiti del corpo e del respiro.
-Il passaggio al rilassamento sedentario, concentrandosi su un segmento. La progressione segue degli esercizi di contrazione-decontrazione,
preliminari, seguiti da uno stato passivo controllato dall’educatore.
Il ragazzo deve attivamente ricercare delle sensazioni che poi devono essere riferite assieme alle variazioni del tono.
-Il raggiungimento di un rilassamento totale, voluto controllato e guidato dall’allievo, è esteso a tutto il corpo.

Coordinazione ed equilibrio

Progressione del lavoro: in che modo si lavora?

-Ricerca di forme di coordinazione segmentaria e intersegmentaria, riferita a schemi di movimento di uno o più distretti, eseguiti senza spostamento
del corpo. Vi è la ricerca di forme di equilibrio statico con esercizi senza l’uso della percezione visiva.
-Affinamento della coordinazione oculo-manuale(avviene assieme alla precedente)
-Modalità di coordinazione globale con successione di schemi dinamici che portino allo sviluppo di destrezza e affinamento di equilibrio dinamico e
in volo.

Il lavoro educativo è collegato con la coscienza e conoscenza del corpo.

Strutturazione spazio-temporale e lateralità


6-7 anni: il bambino conosce i lati del corpo
7-8-9 anni: capace di riconoscerli sugli altri(capacità di imitazione dei movimenti)
11-12 anni: la destra e la sinistra sono proprietà possedute da oggetti inanimati.
Con l’osservazione di traiettorie e distanze dei movimenti e i loro risultati sviluppa la relazione dei compagni, poi agli oggetti; si costruisce lo spazio
delle proiezioni e l’orientamento ambientale anche in contesti riconosciuti.

Vengono usati esercizi ritmici per affinare variazioni di velocità

Dal gioco al gioco-sport

Il gioco svolge un nuovo fondamentale nella programmazione delle attività motorie, nella scuola materna l’approccio didattico si ha in senso ludico.
Con il ciclo delle elementari le forme di gioco son più strutturate e si indirizza il bimbo al completamento dello sviluppo dei prerequisiti del
movimento con attività motivati.

Gioco
Prima di essere un’attività, è un attegiamento nei confronti di sé stessi e della realtà circostante.
E’ allo stesso tempo libero e regolato e l’interesse del bambino non è negli esiti ma nell’attività in sé.
Il gioco è un comportamento spontaneo(non bisogna essere costretti)

Livelli di evoluzione del gioco seguono le età:


-Gioco d’esercizio: sviluppo senso-motorio; il bimbo sperimenta e coordina le sue funzioni motorie con delle ripetizioni di gesti senza scopo o con
scopo(allineare birilli).
-Giochi simbolici: tra i 2 ed i 3 anni si rappresenta una realtà non attuale, con l’uso di simboli(alla produzione di immagini mentali si assimilano nuove
situazioni);
-Giochi con regole: tra i 7 e gli 8 anni, regole e norme sociali che i bimbi sentono di dovere rispettare e fare rispettare ai compagni.
Ha una funzione socializzante: coordina le attività con quelle degli altri
Educativa: comprensione degli altri d quelle loro esigenze
Formativa
Affettiva
Creativa: ricerca di soluzioni diverse per le situazioni-problema

Gioco-sport

Quando il bambino ha acquisito una ampia base di schemi motori si avvia la pratica sportiva . Verso il 2000 nella scuola elementare si ha una
metodologia che vede lo sport:
Strumento di azione educativa per prendere coscienza del corpo come espressione della personalità e condizione relazionale, comunicativa; è un
mezzo per la conquista di coordinazione dinamica e generica.
L’attività dell’essere funzionale alle esigenze motorie del soggetto.
Le attività del gioco sport arricchiscono il comportamento del soggetto con esperienze non ripetitive.

Cap.5: “Educazione motoria di integrazione di allievi con handicap mentale”

L’educazione motoria favorisce lo sviluppo di competenze funzionali e la condivisione di obiettivi come nei giochi sportivi.
Ritardo mentale e difficoltà motorie

Non si delimita solo la sfera intellettiva ma delle più ampie problematiche di tutte le aree della personalità.
Se si parla di ritardo mentale si ritiene conto dell’unicità di ogni situazione.
Questa unicità sottolinea che lo sviluppo nelle varie aree non si compie con lo stesso ritmo.
I problemi fisici collegati al ritardo mentale(ipotonia muscolare) si connettono con la sindrome di down e condizionano il raggiungimento delle
principali tappe evolutive,come la deambulazione autonoma, equilibrio e coordinazione manuale. Si hanno difficoltà nell’elaborazione e
programmazione del movimento.
Tutti i bambini con ritardo mentale mostrano carenze nello sviluppo e uso degli schemi prassici.

L’educazione fisica deve farsi speciale per rispondere alle esigenze dei singoli alunni, quindi:
-Obiettivi dell’educazione motoria: son gli stessi per i bimbi con handicap e quelli normali. Ma si ha una programmazione diversa per quelli con
deficit, in relazione alle condizioni. I contenuti vanno personalizzati e proposti nel rispetto dei tempi di apprendimento, che possono anche essere
rallentati. Si guardano le competenze che si hanno e quelle che si potessero acquisire(prove movit).
-Metodologie per l’integrazione: dato che la diversità è la norma, si personalizza l’offerta formativa.
Si garantisce un’individualizzazione e nel contempo una inclusione dell’alunno nel gruppo classe. Si trovano spazi di lavoro su stessi argomenti, ma i
livelli son diversi. L’uso del gioco p un veicolo efficace per facilitare esperienze integrate. La risorsa compagni attiva relazioni d’aiuto e scambio,
fondamentali per l’apprendimento e integrazione.
Quando ci sono situazioni competitive tra allievi, manca lo spirito di ognuno ed è difficile che si creino le condizioni per la realizzazione di
collaborazione e programmi d’aiuto tra compagni.
Per migliorare il clima tra gli alunni si deve avere conoscenza delle nozioni di deficit ed handicap.

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