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Come si giustifica dal punto di vista economico la lotta a cartelli e accordi collusivi tra
imprese? Quali politiche sono state adottate per difendere la concorrenza nel mercato
da tali accordi e pratiche collusive?
2. Sotto quali condizioni si può invece giustificare la collaborazione tra imprese e la
concessione del brevetto? Come si collega questo punto al bisogno di trovare un
equilibrio tra tutela della concorrenza e innovazione?
3. Cosa si intende per collusione algoritmica e quali sono le sfide per le autorità garanti
della concorrenza?
Un caso ben più complicato è quello invece della tacita collusione o collusione algoritmica in
cui sostanzialmente la collusione coinvolge l’utilizzo degli algoritmi utilizzati per la gestione delle
imprese, introdotti grazie alle tecnologie di machine learning e deep learning all’interno con
l’obiettivo di rendere più efficace ed efficiente la gestione di quest’ultime. Questa tipologia di
business viene definita “data-driven” e si basa sull’elaborazione di un set di dati passati chiamato
“training-set” che permette alla macchina di effettuare auto-apprendimento dalle osservazioni
che gli vengono date in pasto e di creare un modello. Il modello viene poi testato su un altro set di
dati chiamato “test-set” ed infine utilizzato per fare previsione, descrizione o altro. Possiamo in
particolare individuare due casi estremi di “tacita collusione” che ci permettono di capire meglio
di cosa si tratti.
Il primo è quello in cui gli amministratori o altre persone coinvolte nelle imprese si accordano per
una collusione e l’algoritmo serve solo come mezzo per portare a compimento l’accordo,
monitorare ed eventualmente punire le deviazioni. Questo tipo di tacita collusione è in realtà non
tanto tacita in quanto a monte è presente un accordo tra i membri del cartello, senza quindi creare
troppi problemi per le autorità di controllo che possono etichettare questo accordo limitativo della
concorrenza come di per sé illegale. L’intento o meno di creare una limitazione della concorrenza
non ha troppa importanza in questo caso dal momento che l’esplicito accordo a monte costituisce
di per sé un fatto su cui l’autorità di controllo può intervenire.
Il secondo caso nasce invece qualora la collusione sia il risultato della semplice applicazione
degli algoritmi alla gestione delle imprese. Per capire meglio ipotizziamo che le imprese
costruiscano una macchina dandogli un obiettivo specifico diverso dal raggiungimento della tacita
collusione (ad esempio la massimizzazione dei profitti). A questo punto i costruttori dell’algoritmo
danno alla macchina i dati necessari affinché essa possa fare “self- learning” (auto-apprendimento)
ed arrivare alla soluzione del processo di ottimizzazione in modo del tutto autonomo. Il problema
sorge nel momento in cui la macchina trova come first best, ovvero come migliore soluzione
in termini di efficacia ed efficienza del risultato, quella di portare a termine un accordo collusivo
“tacito” con gli altri algoritmi che governano le imprese rivali e che ha come conseguenza una
riduzione della competitività, un aumento dei prezzi e un danneggiamento per il benessere dei
consumatori. A questo punto una domanda sorge spontanea: “Chi è responsabile della tacita
collusione?”
Il punto focale per l’intervento da parte delle autorità di controllo e il seguente potere di dichiarare
illegale l’accordo collusivo è la presenza di un patto che rifletta la convergenza delle volontà tra gli
agenti delle società colluse. L’illegalità viene innescata nel momento in cui le società colluse
tramite agenti delle imprese operano di concerto per limitare o distorcere la concorrenza nel
mercato. In questo caso, tuttavia, non è presente nessun accordo tra gli agenti delle società, le
quali hanno solamente applicato in maniera unilaterale degli algoritmi data-driven per rendere più
efficiente la loro gestione. L’algoritmo esegue qualunque strategia che reputa ottima, sulla
base di ciò che ha imparato dai dati e dai feedback ricevuti dai nuovi dati di mercato, in maniera
del tutto autonoma! La collusione non è quindi il risultato di nessun accordo ma solo l’esito
naturale del processo di ottimizzazione portato a termine dalla macchina. Quindi, in questo
caso, i concetti legali di “accordo” e di “intenzione” non trovano un’applicazione diretta e non è
quindi chiaro stabilire chi sia il responsabile del danno causato ai consumatori e dell’alterazione
delle condizioni competitive di mercato.
Il problema principale dal punto di vista delle autorità di controllo riguarda il modo in cui intervenire.
Come detto precedentemente, la tacita collusione non è di per sé illegale in quanto non esiste a
monte un accordo collusivo tra gli agenti delle imprese ed inoltre non è chiaro chi debba essere
considerato responsabile. Le autorità potrebbero quindi decidere di vietare a priori l’utilizzo di
questi algoritmi ma questo significherebbe porre un grande limite all’innovazione con conseguenze
incerte ma in ogni caso dannose dal punto di vista delle imprese che perderebbero in termini di
efficienza nella gestione. Un’altra soluzione possibile potrebbe essere quella di controllare ex-ante
gli effetti che l’applicazione di questi algoritmi hanno sul mercato ed in caso di situazioni di ci
limitazione della concorrenza punire le società collusive (soluzione in ogni caso non certo facile da
applicare, con elevati costi di controllo), oppure quella di imporre restrizioni ex-ante obbligando le
imprese a comunicare, sotto certe condizioni, l’utilizzo di determinati algoritmi (con effetti deterrenti
per lo sviluppo tecnologico delle imprese). Si tratta di un trade-off problem di non facile soluzione.