1 CAPITOLO
La crescita o la diminuzione della popolazione è una delle variabili fondamentali dello sviluppo
della società europea nell’età moderna.
Del 500’ si hanno informazioni frammentarie a causa della frammentazione dei poteri pubblici e
l’assenza di apparati burocratici per la stima della popolazione.
Dal 1450 al 1600 la popolazione europea riprese ad aumentare a causa di massicce immigrazioni
dalle campagne verso i centri urbani, nonostante ciò l’Europa rimaneva largamente rurale (solo
nell’Italia centro-settentrionale e nei Paesi Bassi gli agglomerati urbani erano molto alti).
Questa crescita demografica può essere stata dovuta a un attenuarsi dell’epidemie e a un
abbassamento dell’età del primo matrimonio dovuto a una ripresa economica, in questo modo il
tasso della natalità superò quello delle mortalità (questi tassi erano molto vicini tra loro quindi una
minima variazione aveva delle conseguenze a livello globale).
Una popolazione in crescita comporta un incremento della domanda di generi alimentari e di altri
bene di prima necessità, questo aveva una forte influenza sulle strutture di produzioni.
Se la domanda aumentava i prezzi dei prodotti tendevano ad aumentare, soprattutto se la
condizioni sociali e tecnologiche non permettono una crescita della produzione sufficiente a
fronteggiare le molte richieste. La domanda di beni non di prima necessità dipendeva, di
conseguenza, dai prezzi dei beni di prima necessità.
Alla domanda di maggiori beni di prima necessità avrebbero dovuto rispondere le strutture
produttive di base.
LE STRUTTURE DI BASE La struttura agraria più diffusa in tutta l’Europa era la signoria.
La signoria era un insieme organico formato da terre appartenenti direttamente al proprietario
terriero, il signore, e da altre terre a disposizione dei contadini, i quali per utilizzarli dovevano
pagare un canone annuo al signore. Tale pagamento poteva avvenire in natura, cioè lavorando
gratis oppure cedendogli una parte del raccolto ottenuto da questi appezzamenti o ancora in
denaro, un tot di denaro all’anno. Questi appezzamenti diventavano quasi proprietà dei contadini
che potevano venderle, comprarle o trasmetterle in eredità ai proprio figli.
Accanto a questi tipi di appezzamenti esistevano anche i terreni “liberi” per i quali nessuna forma
di pagamento era dovuta.
Le migliorie alla produzione agricola dipendevano da zona a zona ma il più delle volte il tassa
mento dai parte dei proprietari terrieri non permettevano interventi di miglioria, per questi i
contadini, per aumentare la produttività, estendevano i campi a danno di pascoli o boschi e
intensificando lo sfruttamento dei terreni, a scapito della loro produttività.
Inoltre i proprietari terrieri tendevano a cedere i loro appezzamenti a blocchi a dei fittavoli, cioè
affittuari di terreni agricoli e quindi: se il contratto di affitto era di breve durata, l’affittuario
tendeva a sfruttare al massimo terra, bestiame e lavoratori in modo da trarre il maggior guadagno
possibile; se, al contrario, il contratto di affitto era di lunga durata, l’inflazione tendeva a erodere
le rendite percepite dai proprietari terrieri, che cercavano di scaricare su altri questo loro relativo
impoverimento.
In tutto ciò s’inseriva il mercato, cioè se i raccolti erano abbondanti i prezzi scendevano
vertiginosamente, invece se i raccolti erano scarsi i prezzi salivano.
Per questo tipo di famiglie il primo obiettivo era l’autosufficienza, visto l’oscillare del mercato.
Il tutto comportava una radicalizzazione delle differenze interne al mondo rurale, anche perché i
proprietari terrieri che avevano un guadagno sufficiente non erano sollecitati a fare delle migliorie
per la produzione agricola.
La produttività era abbastanza modesta: si continuava a recuperare la fertilità della terra
lasciandola riposare per uno o due anni dopo ciascun raccolto, inoltre la riduzione di bestiame
faceva ridurre il concime disponibile.
LE STRUTTURE SECONDARIE Nelle città avveniva la produzione manifatturiera, centrate
sulle botteghe e associazioni di mestiere.
Le corporazioni, o associazioni di mestiere, erano nati per riunire tutti gli artigiani che svolgevano
una stessa attività e regolamentare il loro lavoro evitando la concentrazione della ricchezza nelle
mani di pochi. Gli statuti delle corporazioni stabilivano le regole per l’accesso al mestiere,
fissavano il numero di lavoratori massimi per ogni bottega, quanto questi dovessero essere pagati
e se fosse consentito assumere donne.
All’inizio del ‘500 l’attività più diffusa era quella tessile e più precisamente la lavorazione della lana.
Il primato industriale era detenuto da Bergamo, Firenze e Milano ma che furono superate dalle
industrie dell’Inghilterra e dei Paesi Bassi, che avviarono la produzione di panni di lana di nuovo
tipo, più leggere e meno costosi.
Dopo la metà del secolo però le industrie italiane si risollevarono riconvertendosi alla lavorazione,
più pregiata, della seta impiegando manodopera femminile più conveniente e più flessibile.
Nel XVI secolo sorsero nuove industrie, come l’industria della carta, incoraggiata dalla diffusione
della stampa a caratteri mobili.
La domanda di questi prodotti era molto “elastica” cioè si contraeva a ogni rialzo dei prodotti
agricoli, di conseguenza venivano fortemente colpiti gli artigiani più deboli che non riuscendo a
vendere i loro prodotti, si caricavano di debiti e quindi il carattere iniziale delle corporazioni si
perse.
Non erano sotto la giurisdizione delle associazioni: i sobborghi delle città e le campagne; oppure le
donne e altre fasce particolari (furono iniziate ad impiegare queste fasce di popolazione per una
manodopera a basso costo e fu introdotto il PUTTING-OUT SYSTEM cioè i commercianti fornivano
tutti gli attrezzi necessari per la lavorazione alle donne, le donne lavoravano a casa e
consegnavano il prodotto finito e il commerciante si occupava di venderlo).
LA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI (STRUTTURE TERZIARIE) La circolazione delle merci
era affidata in maggior misura a mercanti itineranti.
Il cuore commerciale di ogni città era il mercato settimanale o giornaliero, esso in genere era
situato al centro dello spazio urbano e conferiva il suo carattere specifico. Le attività commerciali si
svolgevano anche nelle botteghe degli artigiani e nei magazzini dei mercanti.
Il commercio ambulante da un lato entrava in concorrenza con queste strutture, dall’altro si
integrava con esse utilizzando come punto di appoggio (il più delle volte erano dei parenti).
All’interno di queste comunità mercantili si misero a punto nuovi strumenti societari e finanziari,
come la società in accomandita e la lettera di cambio che consentiva di effettuare un pagamento in
una città e riscuotere in un’altra.
Nella seconda metà del secolo nacquero le compagnie mercantili “privilegiate”, cioè che godevano
di “privilegi” conferiti da un’autorità cittadina o statale, di solito consistevano nel diritto di
esercitare in esclusiva il commercio di un determinato prodotto o in una determinata area.
Queste compagnie inizialmente erano delle associazioni temporanee cioè costituite per
un’impresa e destinate a sciogliersi al momento della sua conclusione con il tempo, però, queste
compagnie tendevano a migliorarsi fino a diventare permanenti.
I prodotti più costosi erano gli unici a muoversi sulle lunghe distanze tipo: il vino, l’olio, le fibre
tessili e il legname da costruzione.
IL DENARO E LA FINANZA La circolazione del denaro era già presente, anche se era un
fenomeno molto ridotto, ad esempio: i ricchi mercanti trafficavano in denaro oppure gli apparati
burocratici richiedevano denaro per poter far fronte alle spese inerenti alle guerre. La finanza del
‘500 cresceva grazie al rapporto con i sovrani, poiché essi necessitavano di molto denaro e ciò
comportava il prestito da grandi compagnie di mercanti- banchieri, che venivano ripagati cedendo
loro il diritto esclusivo a sfruttare miniere, a incamerare le tasse su un determinato prodotto
oppure a esigere le imposte dirette di una determinata ragione (queste grandi compagnie
operavano anche con i privati, agendo da intermediari per i piccoli e i medi investimenti nel
settore creditizio).
Dopo il 1550, per raccogliere denaro, gli Stati e le principali famiglie nobili cominciarono a
emettere titoli di debito consolidato a tasso fisso che venivano gestiti e messi in circolazione
appunto da queste compagnie bancarie, le quali consentivano di effettuare anche speculazioni
finanziarie più rischiose e più redditizie sui cambi tra le monete.
Tuttavia il mercato del credito era sottoposto alle stesse brusche fluttuazioni che caratterizzavano
altri mercati ( i sovrani a turno infatti dichiaravano bancarotta).
LA POVERTà ALL’INTERNO DELLA SOCIETà All’interno della società del ‘500,
caratterizzata da cali e riprese in tutti i settori, si distinguevano due tipi di povertà: “poveri
congiunturali” cioè le loro condizioni disagiate dipendevano da una congiuntura sfavorevole,
“poveri strutturali” cioè coloro che erano in ogni caso inabili a procurarsi il necessario per vivere e
dovevano ricorrere alla carità del prossimo.
Quest’ultimi chiedevano l’elemosina ponendo le loro speranze nella carità dei buoni cristiani.
Inizialmente l’elemosina era socialmente accettata, ma successivamente si cominciò ad essere più
ostili poiché la strade si riempivano sempre più di mendicanti fino a diventare un fenomeno
allarmante. Questo portò alcune autorità cittadine a risolvere la questione in modo radicale cioè
emanando il divieto di mendicare oppure la centralizzazione delle elemosine o ancora l’espulsione
degli immigrati e nuove forme di lavoro coatto, fino a raggiungere la costruzione di luoghi di
reclusione dove internare i mendicanti per toglierli dalle strade e costringerli a lavorare. Questi,
quindi, si trasformavano di manodopera a basso costo.
L’EUROPA DEL 1600 Una gravissima carestia colpì l’Europa nel 1590. Questo innescò una
serie di reazioni a catena, la crescita demografica si rallentò in alcune regione e in altre si fermò
totalmente. Nei decenni precedenti si ebbe una processo di espansione produttiva (crescita della
domanda dei beni, miglioramenti all’aziende e ai metodi etc.) ma era molto fragile e bastarono,
infatti, pochi anni di sovrapproduzione e la conseguente caduta dei prezzi a metterlo in crisi.
Questa crisi non escluse nessun settore anche il commercio internazionale.
Molti storici hanno definito questo insieme di fattori negativi la “CRISI MALTHUSIANA”, derivante
dal fatto che la popolazione aveva raggiunto il massimo livello che le risorse disponibili potevano
consentire.
Il maggior sfruttamento delle terre fece peggiorare la loro produttività, di conseguenza il pane e i
beni di prima necessità divennero rari, questo comportò un peggioramento delle condizioni di vita.
Le varie difficoltà economiche comportavano il rinvio del matrimonio e quindi iniziavano a fare figli
molto più tardi, questo fece calare vertiginosamente il tasso di natalità (l’aggravante era che le
epidemie tendevano a colpire i giovani in età riproduttiva, gli anziani e i bambini).
Oltre al volto negativo ci fu un volto positivo cioè nelle campagne le aziende da frammentarie
passarono a unitarie e quindi più funzionali, la manodopera acquistò maggior potere contrattuale
(visto la rarità), e i salari recuperarono potere d’acquisto.
All’inizio del 1400 si avviarono una serie di viaggi ed esplorazioni mirate ad aprire una via
marittima verso l’Oriente.
Il progetto fu sostenuto ampiamente dal Portogallo e soprattutto da Enrico il Navigatore, che
istituì anche una scuola che mirava a preparare astronomi, geografi e navigatori. A partire dal 1415
i portoghesi conquistarono: Ceuta in Marocco, Madera e le isole Azzorre, spingendosi sempre più a
sud fino a conquistare Capo Verde e il Golfo di Guinea.
Nel 1487 Bartolomeo Diaz raggiunse la punta meridionale dell’Africa, chiamata da lui Capo di
Buona Speranza e nel 1497-98 Vasco da Gama portò a termine la circumnavigazione del
continente africano e raggiunse Calicut nell’India meridionale.
Questi successi portoghesi furono dovuti da alcuni innovazioni tecniche tipo: il timone a ruota, la
caravella (piccolo veliero a tre alberi che poteva viaggiare con poco equipaggio dando spazio così a
merci e provviste).
Questi viaggi erano finanziati dalla corona e da investimenti privati, soprattutto dai mercanti
italiani, che con l’avanzata dei turchi furono costretti ad abbandonare gli scali del Mediterraneo
orientale concentrandosi su quella iberica e soprattutto Portogallo e Andalusia.
Tra il 1442 e il 1462 il Portogallo divenne il principale fornitore d’oro in Europa (avevano fondato
un emporio fortificato sulle coste della Guinea, Sao Jorge de Mina) e dall’Africa arrivavano anche
altri merci tipo pepe e avorio e anche schiavi.
Il Portogallo riesportava queste merci verso altri paesi dell’Europa favorendo così l’arricchimento
della corona e dei mercanti.
Questi successi marittimi del Portogallo, risvegliarono l’attenzione della Spagna (nel 1479 era
avvenuta l’unione della corona della Castiglia e di Aragona grazie al matrimonio di due eredi al
trono Isabella e Ferdinando).
La popolazione in forte crescita e l’espansione dei commerci determinarono un generale aumento
della ricchezza del paese, questo incoraggiò la Spagna a lanciarsi nelle conquiste oltremare.
La prima conquista furono le isole Canarie, completata solo nel 1497 a causa della resistenza della
popolazione.
Nel 1492 i sovrani accolsero con favore la proposta di Colombo (aveva avanzato prima questa
proposta al re del Portogallo che si era mostrato, però, più interessato al proseguimento delle
spedizioni sulla costa africana), una proposta di spedizione navale basata sull’idea che la Terra
avesse una circonferenza del 30% (libro di Tolomeo) e che quindi per arrivare alle Indie fosse più
semplice e agevole la rotta verso occidente (Paolo Toscanelli).
LA PRIMA SPEDIZIONE La spedizione di Colombo si componeva di tre caravelle- la Nina, la Pinta
e la Santa Maria - e partì da Palos il 3 Agosto 1492.
Il 12 Ottobre Colombo giunse in un’isola dell’attuale arcipelago delle Bahamas, che battezzò con il
nome di San Salvador. Lasciò San Salvador dopo soli due giorni per proseguire la sua spedizione
giungendo a isole più grandi battezzati da lui con il nome di Cuba e Espanola, attuale Santo
Domingo.
Tornò in Spagna nel 1493 con un ricco assortimento di monili d’oro donatogli dagli indigeni,
questo incoraggiò la Regina ad organizzare una seconda spedizione pochi mesi dopo.
Nel frattempo, però, Isabella si rivolse al papa Alessandro VI chiedendogli di stabilire chi fossero i
legittimi possessori delle nuove terre appena scoperte, e fu stipulato il Trattato di Tordesillas nel
1494 con il Portogallo.
TRATTATO DI TORDESILLES L’Oceano Atlantico venne diviso da una linea longitudinale che
passava a 370 leghe dalle isole di Capo Verde: tutte le terre a est della linea sarebbero stati di
dominio del Portogallo; invece tutte le terre a ovest di dominio spagnolo.
LA SECONDA SPEDIZIONE La seconda spedizione di Colombo non ebbe i risultati sperati anche
se furono scoperte ed esplorate altre isole ma non si trovarono né oro, né spezie e né cose
preziose.
LA TERZA SPEDIZIONE La terza spedizione di Colombo avvenne nel 1498 e in questo caso
approdò sulla terraferma, cioè nell’attuale Venezuela. Qui trovò grossi quantitativi di oro e di
perle. Tuttavia la sua cattiva amministrazione dei territori coloniali provocarono dei gravi disordini
e quindi lui fu arrestato e ricondotto in Spagna.
LA QUARTA SPEDIZIONE La quarta spedizione di Colombo avvenne nel 1502 ma che ebbe poca
fortuna.
Tra i gli uomini che accompagnarono Colombo durante la spedizione vi erano gli hidalgos, un certo
numero di cavalieri non insigniti ufficialmente di titolo nobiliare, qualche borghese e molti artigiani
e contadini in cerca di fortuna, e qualche donna.
Colombo morì, così, nel 1506 dimenticato da tutti e in povertà a causa di quest’ultima spedizione,
ma i viaggi continuarono anche dopo la sua morte.
Nel corso dei viaggi effettuati tra il 1501 e il 1507 Amerigo Vespucci scoprì che le terre nuove non
erano propaggini dell’Asia ma un nuovo continente.
PRIMA FASE DELLA CONQUISTA A partire dal 1508 questi viaggi si trasformarono in vere e
proprie imprese di conquista. I primi territori occupati furono: Portorico, Giamaica e Cuba (qui si
trovò molto oro e questo permise alla Castiglia di sostituirsi al Portogallo che era il principale
fornitore di metalli preziosi).
Gli spagnoli seguirono il modello portoghese: le spedizioni erano organizzate allo stesso modo e gli
insediamenti avevano carattere di scali commerciali come quelli portoghesi.
A Siviglia la regina Isabella fondò nel 1503 la Casa de Contratacion.
SECONDA FASE DELLA CONQUISTA La seconda fase dell’occupazione spagnola in America iniziò
nel 1519, quando Hernan Cortés esplorando le coste della penisola dello Yucatan trovò una civiltà
molto più ricca di quelle incontrate in precedenza e si lanciò nella conquista di questi territori, che
fu terminata solo due anni dopo.
ATZECHI Cortes venne a contatto con gli Atzechi che risiedevano nel territorio del Messico
centrale. Questi inizialmente era una popolazione nomade, che successivamente si stabilì
sull’altopiano messicano nel XIV, fondandovi la propria capitale Tenochtitlan. Erano dotati di un
organizzazione militare e grazie a ciò nel ‘400 avevano esteso il loro controllo territoriale,
imponendo alle varie città-Stato della regione di pagare alla città capitale dei tributi, che
consistevano in tessuti, oro, piumaggi preziosi e gioielli.
Tenochtitlan era un enorme centro urbano dotato di acquedotti e fontane ed era divisa in quattro
quartieri ciascuno dei quali composto da un’ottantina di calpulli ( una via di mezzo tra il clan
familiare e un’associazione di mestiere). Loro detenevano la proprietà collettiva della terra e
presiedevano all’organizzazione della vita dei membri. Ai vertici della gerarchia sociale vi era una
ricca e potente nobiltà da cui provenivano i capi militari, i funzionari pubblici e l’alto clero. La
carica di imperatore era ereditaria e infatti la mobilità sociale era molto ridotta. Alla base della
gerarchia sociale vi erano schiavi, prigionieri di guerra o condannati per gravi delitti o debiti.
Utilizzavano il bronzo, avevano un calendario formato da 13 mesi ognuno dei quali costituito da 20
giorni, fausti o infausti. La vita sociale e quella individuale erano regolati in base ai principi di
ordine cosmico.
Cortes fu inizialmente accolto pacificamente, infatti fu molto semplice per lui insiediarsi al potere.
Ma i suoi metodi brutali spinsero la popolazione a ribellarsi e cacciare Cortes, che riuscirà a
riconquistarla solo nel 1521.
MAYA Un’altra popolazione dell’America centrale era quella Maya i cui primi insediamenti
risalivano al II millennio a.C. Il loro territorio era pieno di luoghi di culto, ognuno dotato di
completa autonomia, dove il clero vivevano in permanenza e i contadini dei dintorni si recava per i
culti religiosi e per portare i loro prodotti al mercato. Accanto al clero esisteva una potente nobiltà
che aveva il monopolio della terra e imponeva pesanti tributi ai contadini. Essi avevano un
complesso sistema di scrittura e possedevano un’importante conoscenza dell’astronomia. Si
opposero al dominio spagnolo in modo molto verace. Francisco de Montejo impiegò circa
vent’anni per portare a termine la conquista.
INCAS Un’altra popolazione con cui gli spagnoli vennero a contatto fu quello degli Incas. Questo
impero era fondato sulla continuità territoriale e sul controllo politico attuato mediante
l’inserimento dei governati locali all’interno di un sistema di potere centralizzato. Al vertice della
struttura vi era il sovrano, l’Inca, che esercitava il potere assoluto e la società era fortemente
gerarchizzata. Ogni villaggio possedeva collettivamente la terra e i contadini erano tenuti a
coltivare i campi dei signori del clero, oltre ai propri. Essi dovevano fornire, inoltre, lavoro gratuito
per la costruzione di strade e canali di irrigazione. Erano abili ingegneri e attribuivano grande
importanza alla divinazione. Non conoscevano la scrittura ma, grazie a un sistema di cordicelle
colorate, erano in grado di tenere i conti, elaborare statistiche e comunicare informazioni. Questa
società così gerarchizzata favorì, paradossalmente, l’inserimento dei spagnoli.
Nel 1500 Pedro Alvarez Cabral, navigatore portoghese, in una spedizione scoprì il Brasile che
diventò la più grande colonia del Portogallo (ma non ebbe grandi attenzioni poiché non fu trovato
né oro e né cose di valore).
Nel 1498 Vasco de Gama arrivò a Calicut, formando un vasto impero marittimo denominato
Estado de India che mirava di rompere il monopolio arabo e indiano del commercio delle spezie e
assicurare così il monopolio di tutte le merci che arrivavano in Europa al Portogallo.
Questo impero era formato da piccoli insediamenti, sia sulla terraferma e sia sull’isole, situati in
posizione strategica per il controllo delle vie marittime, alcuni di essi fungevano da fortificazione
altri come scali commerciali, il tutto grazie ad accordi con i sovrani locali e grazie alla strategia
attuata dall’ammiraglio Alfonso de Albuquerque (sfruttare le varie rivalità interne).
La penetrazione portoghese in Oriente, però, fu tutt’altro che pacifica e molte volte ricorse all’uso
della forza.
Gli egiziani, i vari sultani dell’India e dell’Indonesia e i turchi tentarono a più riprese (1509, 1511,
1538) di coalizzarsi contro i portoghesi ma furono sempre sconfitti dalla superiorità delle navi
armate di cannoni, da queste vittorie i portoghesi riuscirono a imporre ai convogli marittimi
orientali il pagamento di una serie di pedaggi utilizzando, delle volte, anche la pirateria (non
ottennero mai il controllo del Mar Rosso).
La spedizione grandiosa fu di Ferdinando Magellano, convinto di una passaggio che avrebbe
permesso di raggiungere le Indie, convinse Carlo V a finanziare l’impresa. Nel 1520 riuscì a
superare la punta meridionale dell’America, attraversando lo stretto che da lui prese il nome, si
affacciò in un grande oceano sconosciuto agli occidentali a cui fu attribuito il nome di Pacifico (in
tutti e tre mesi della sua navigazione restò calmo per questo motivo gli fu attribuito questo nome).
Raggiunse le Marianne e poi le Filippine dove fu ucciso dagli indigeni, ma la spedizione nonostante
ciò, continuò e solo una nave rientrò in patria su cinque.
Nel 1557 i portoghesi riuscirono ad ottenere dalla Cina il permesso di installarsi a Macao e di
trasformarsi in agenti commerciali esteri dell’Impero cinese, sia verso l’India e l’Occidente e verso
il Giappone (da questo derivano le maggior entrate).
La corona portoghese aveva lasciato il commercio africano al monopolio di compagnie
commerciali private, accontentandosi solo di un 5%, invece per quanto riguarda il commercio
indiano decise di dichiarare il monopolio reale che andava obbligatoriamente convogliato alla Casa
da India di Lisbona (fondata da Vasco de Gama) da qui le merci passavano ad Anversa dove fu
fondata la Casa da India nel 1508 (nel 1520 gli introiti derivanti dal commercio delle spezie
costituiva il 40% di tutte le entrate della corona).
L’assoggettamento e le conquiste furono possibili:
1) Per il superiore equipaggiamento militare degli spagnoli.
2) Il favore con cui furono accolti dalle popolazioni sottomesse.
3) Il mancato diffondersi delle notizie tra le popolazioni assoggettate.
4) Le malattie cioè i popoli assoggettati non avevano alcuna difesa immunitaria contro i nuovi
agenti patogeni portati dagli europei.
5) La privazione della loro cultura connessa con la mancanza e l’insufficienza della scrittura.
Si considera che nel 1605 nell’America centrale si contano un poco più di un milione di abitanti
confronto a 25 milioni nel 1519.
L’organizzazione dei nuovi territori e la loro colonizzazione da parte degli spagnoli si basò
sull’esportazione del modello urbano castigliano. Nel 1523 Carlo V stabilì ufficialmente le regole
relative alla dislocazione territoriale delle città e alla distribuzione e organizzazione dello spazio.
Contemporaneamente gli spagnoli introdussero la struttura territoriale della parrocchia, in modo
che l’affermazione delle autorità civile andasse di pari passo con quella dell’autorità religiosa.
Nel 1502 Isabella ordinò di assegnare a ogni comunità indigena uno spagnolo di provata moralità
che amministrasse la giustizia e proteggesse gli abitanti da qualsiasi abuso.
Nacque l’encomienda, per esportazione di un modello europeo, esse consisteva in una serie di
villaggi e città sottoposti al dominio reale e che la corona di Castiglia affidava a una persona
meritevole che veniva chiamato l’encomendero. L’encomendero aveva il compito di riscuotere
dagli abitanti le tasse e le prestazioni convenute cioè lavorare per lui, in cambio egli si impegnava a
proteggerli e a garantire loro l’istruzione religiosa.
La corona introdusse il corregimiento , una forma di giurisdizione pubblica affidata a funzionari
regi, con questo Carlo V mirava al recupero della corona di terre e giurisdizione.
Venne creata il Consejo de Indias a Madrid per la gestione complessiva degli affari americani e che
aveva il compito di preparare le ordinanze relativa ai nuovi territori e di istruire le pratiche
provenienti da essi.
I nuovi territori furono suddivisi in due viceregni: la Nuova Spagna e la Nuova Castiglia, ciascuna
dotata di propri organi di governo e governata da un proprio viceré.
Questa nuova politica attuata non fu sempre delle migliori, molti spagnoli consideravano gli
abitanti dei nuovi territori come dei trofei da esibire e molti altri, invece, non provarono alcuna
simpatia e infierirono su loro con assoluta crudeltà. Una tra le ragioni principali della crudeltà
furono dovuti alla convinzione da parte degli spagnoli di convertire i pagani alla fede cristiana.
Ai funzionari del regno si affiancarono così molti missionari, spicca il nome di Bartolome de Las
Casas, che da encomendero si trasformò in estremo difensore degli indigeni denunciando tutte le
forme di crudeltà che erano costretti a subire. Queste furono portate alla luce solo da Filippo II che
nel 1573 emanò un ordinanza in cui sottoscriveva di trattare gli indigeni con umanità e di usare la
persuasione al posto della forza.
Le conseguenze di queste conquiste furono evidenti a tutti. Furono trovati molti giacimenti d’oro e
d’argento in Perù e in Messico e molti indigeni furono messi a lavorare in queste minieri, ma i loro
fisici gracili non reggeva tanta fatica quindi tendevano a morire proprio per questo motivo furono
affiancata dai schiavi neri. Questo permise alla corona di Spagna di arricchirsi molto, ma tutto ciò a
danno delle manifatture spagnole. L’abbondanza di oro influenzava il valore dei metalli preziosi,
che perdevano potere d’acquisto rispetto ad altri prodotti e in particolare a quelli agricoli ( si
svalutò anche il valore delle monete). Per effetto dell’inflazione i prezzi dei prodotti spagnoli si
lievitarono e di conseguenza si diffusero i prodotti più economici proveniente dalle regioni
europee. L’inflazione si diffuse seguendo principalmente le vie del commercio della penisola
iberico diffondendosi in tutta Europa e favorendo di conseguenza l’esportazione di merci più
convenienti provenienti dalle aree più periferiche dell’Europa, es la Polonia.
Verso il XVI le comunità mercantili dell’Europa occidentale acquisirono nuovi mercati per i loro
prodotti, locali o coloniali. Oltre alle spezie, infatti, in Europa arrivarono mais, cacao, tabacco,
patata, pomodoro cambiando così i consumi europei e l’intera economia.
3 CAPITOLO LA RIFORMA
All’inizio del ‘500 si avvertiva l’esigenza di una profonda riforma della Chiesa, che comportasse in
realtà un ritorno alla semplicità e alla purezza delle origini. Chi richiedeva questo ritorno alla
semplicità delle strutture ecclesiastiche ne individuava le cause e le conseguenze, cioè:
assenteismo dell’alto clero, sfarzo smodato della Curia romana, eccessivo coinvolgimento del
papato negli affari politici e mondani. Infatti la nomina a capo di un vescovato o di un’abbazia era
prima di tutto un affare politico e coloro che ricoprivano quel ruolo non aveva alcun interesse a
esercitare quelle cariche, a dimostrazione di ciò loro preferivano risiedere a Roma o nella loro
corte invece delle località sperdute a loro assegnate e per questi motivi veniva nominato un vicario
in modo da sostituirli fisicamente (il più delle volte i vicari erano analfabeti, concubinari e rozzi).
Inoltre tutti i proventi delle terre di proprietà dell’istituzione religiosa lasciavano il paese dirette a
Roma dove il prelato risiedeva, e dove attraverso questo commercio riusciva a mantenere tutto lo
sfarzo principesco delle dimore cardinalizie, il tutto a scapito del commercio locale del paese da cui
partivano le merci. Questo commercio però non bastava e infatti a ciò si aggiungeva un’altro
mezzo per racimolare risorse ovvero la concessione di indulgenze in cambio di elemosina.
Nel 1517 il papa Leone X introdusse l’indulgenza plenaria , essa prevedeva che venisse stabilita
una quantità di denaro per coloro che si fossero pentiti dei loro peccati e avessero deciso di
richiedere la carità; la giustizia umana si spingeva fino a monetizzare le varie offese e a stabilire la
somma che doveva essere pagata per cancellarle. Questa raccolta “delle offerte” era affidata
all’opera di appositi predicatori che attraverso dei slogan facili da memorizzare, riuscivano a
convincere e a diffondere la propria opera.
MARTIN LUTERO Lutero nacque nella Germania centrale, da una famiglia abbastanza agiata.
Studiava diritto all’università quando, a 22 anni, fu colpito da un fulmine, questo evento scatenò in
lui una profonda crisi esistenziale, che lo indusse a entrare nel convento degli agostiniani della
città, dove iniziò un lungo periodo di penitenza e di studio. La sua formazione fu profondamente
influenzata dalla teologia di Sant’Agostino e si fondava sulla convinzione che la salvezza non si
poteva raggiungere se non attraverso la grazia gratuitamente concessa da Dio.
Le basi della teoria della salvezza, per Lutero, erano: “ Solo attraverso la fede, solo attraverso la
grazia, solo attraverso la scrittura”.
Convinto delle proprie teorie Lutero cominciò a diffonderle e nell’ottobre del 1517, rese pubbliche
le 95 tesi sulla dottrina delle indulgenze (si dice affiggendoli sulla porta della cattedrale di
Wittenberg). In esse egli non si limitava a denunciare solo gli abusi ma affrontava anche, per
demolirlo, lo stesso fondamento dottrinario dell’indulgenza, sostenendo che solo Dio, e non il
papa, aveva il potere di rimettere le pene da Lui inflitte.
Queste 95 tesi ebbero un successo incredibile e furono stampate migliaia di copie. All’interno di
esse vi era un chiaro attacco alla Chiesa di Roma e la reazione di quest’ultima non tardò ad
arrivare: l’immediata denuncia dei contenuti da parte del vescovo e un processo contro Lutero per
eresia. Si concluse nel 1520 con una sentenza di scomunica.
Lutero rispose con un’opera “Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca” in cui si rivolgeva alla
nobiltà invocando una riforma della Chiesa e contestando l’esistenza stessa del clero.
Scrisse anche una seconda opera “Della cattività babilonese della Chiesa” in cui negava la validità
dei sacramenti introdotti dalla tradizione, riconoscendo solo quella del battesimo e dell’eucarestia;
e una terza opera “ La libertà del cristiano” in cui sosteneva il principio della libertà interiore
dell’uomo, padrone della sua anima e libero dalla costrizione di pratiche esteriori. Tutti questi
scritte ebbero un successo incredibile.
La questione di Lutero si trasferì da un solo piano religioso anche al piano politico e dopo
l’elezione di Carlo d’Asburgo a imperatore nel 1521 fu convocata a Worms la << Dieta della
nazione tedesca>> cioè l’assemblea degli “stati” dell’Impero, composta da setti principi elettori,
dai principi territoriali e dalle città. All’interno di questa Dieta si affrontò anche la questione di
Lutero, poiché spettava all’autorità imperiale rendere esecutivo il provvedimento di scomunica.
Federico il Savio di Sassonia riuscì ad ottenere che gli fosse concesso un salvacondotto affinché
potesse comparire di fronte all’imperatore e all’assemblea e fare atto di sottomissione. Lutero si
presentò di fronte alla Dieta, ma a tutte le contestazioni risposte con un netto rifiuto e quindi fu
bandito dalle terre cristiane. Federico il Savio gli offrì un posto sicuro in cui rifugiarsi, facendolo
nascondere nel suo castello, qui egli continuò a scrivere e a studiare, dedicando maggior parte del
suo tempo alla traduzione della Bibbia in tedesco.
La situazione andò piano piano radicalizzandosi trasferendosi sul piano politico, il quale Lutero non
aveva mai attaccato e dando così avvio a una serie di rivolte.
1 RIVOLTA La prima fu quella dei Cavalieri, che tra il 1521 e il 1525, scatenarono un attacco
contro i grandi feudatari, dai quali furono duramente sconfitti.
2 RIVOLTA La seconda fu la guerra dei Contadini. A partire dal ‘500 le comunità rurali della
Germania avevano conosciuto un notevole sviluppo, il rapporto con i signori feudatari era regolato
da un “patto” che non poteva essere violato da nessuna delle due parti. Sulla spinta, però,
dell’espansione del mercato e dell’aumento dei prezzi sui prodotti agricoli molti signori stavano
adottando una politica che mirava ad alterare quegli accordi, cioè: aumento delle tasse, la confisca
dei terreni ai vassalli e la limitazione della libertà personale.
Le prime rivolte scoppiarono in Germania sud-occidentale nel 1524 e in pochi mesi si estesero a
quasi tutte le regioni centro-meridionali. I contadini cercarono di organizzarsi, dandosi un
programma e delle parole d’ordine, che confluirono in un documento, I dodici articoli dei contadini
tedeschi. Questo documento si aprivano con due rivendicazioni: la prima che sottolineava il diritto
delle comunità a scegliere il proprio parroco che predicasse secondo il vangelo; la seconda che
prescriveva che le tasse dovute alla Chiesa dovessero servire al sostentamento del parroco e
nient’altro.
Ad infiammare ulteriormente queste rivolte vi fu la predicazione di un ex allievo di Lutero, Thomas
Muntzer che si staccò dal pensiero del maestro, mettendo in discussione l’ordine sociale e politico
della società. Muntzer sosteneva che solo il “popolo dei semplici” potesse avere accesso alla
parola divina e inoltre predicava l’avvento di una teocrazia. La reazione dei vertici fu violenta,
Muntzer fu catturato, torturato e ucciso e tutte le bande rivoluzionarie di contadini furono isolate
e sconfitte.
ULDRYCH ZWINGLI Zwingli fu influenzato da Erasmo e la sua predicazione si basava su un
cristianesimo depurato dalla superstizione cioè dalla credenza del potere miracolistico di riti,
immagini e devozioni. Fu nominato parroco della Chiesa di Zurigo, dove iniziò un programma di
riforma della Chiesa locale che si basava sull’abolizione del culto dei santi, la condanna della
dottrina del Purgatorio e la contestazione della gerarchia ecclesiastica e del celibato dei preti.
Questo programma suscitò le reazioni del vescovo di Costanza, da cui Zurigo dipendeva così, nel
1523, il Consiglio della città convocò un’assemblea di fronte la quale Zwingli presentò i suoi 67
articoli di fede, fondandosi principalmente sulla lettura filologica delle Sacre Scritture (ES: La messa
era una semplice commemorazione dell’Ultima cena).
Poiché nessuno riuscì a contraddirlo in maniera convincente i suoi 67 articoli furono approvati
dall’assemblea, e adottati a fondamento della Chiesa di Zurigo. Queste riforme religiose furono
accompagnate da una serie di provvedimenti politico- sociali, quali la creazione di una “cassa”
municipale per l’assistenza ai poveri, un tribunale dei costumi e una scuola di studi biblici.
Zwingli si distingueva da Lutero su un’importante punto dottrinario, ovvero la messa. Per Lutero la
messa non era un sacrificio ma il corpo e il sangue di Cristo erano presenti nel pane e nel vino della
messa; invece per Zwingli la messa era la semplice commemorazione dell’Ultima cena.
Entrambi però condannavano la correnti degli anabattisti (il battesimo degli adulti) e si trovavano
d’accordo sul fatto che i veri cristiani erano solo coloro che seguivano alla lettera le parole del
Vangelo e quindi si rifiutavano di andare in guerra e uccidere.
Questa corrente suscitò le reazioni delle autorità civili che attivarono una forte repressione nei
loro confronti.
Fin dall’inizio la Riforma religiosa s’intrecciò con le questioni di carattere politico ed economico.
Federico il Savio, infatti, appoggiò Lutero chiedendo che fosse processato in Germania per
affermare la propria autonomia rispetto alle autorità romane; lo smantellamento della gerarchia
ecclesiastica e la confisca dei beni della Chiesa era a favore, di conseguenza, dei poteri laici.
La Riforma aveva dissolto la tradizionale gerarchia della Chiesa romana, fondata sull’autorità locale
dei vescovi ma facente capo a un potere sovranazionale come la Curia e il papa, e affidava alle
autorità laiche solo il compito di proteggere le Chiese locali.
I principi tedeschi, le autorità di Zurigo e tutti i poteri laici videro nella Riforma un’opportunità per
accrescere la portata dei loro poteri all’interno dei propri territori, ma tuttavia la divisione religiosa
comportava gravi problemi all’interno della società e del territori e nessuna autorità era disposta a
tollerarla.
All’interno dell’Impero furono perciò convocate una serie di Diete al fine di trovare un assetto
giuridico- religioso che tenesse conto delle trasformazioni avvenute ma allo stesso tempo che
salvaguardasse la pace e l’ordine.
1 DIETA Dieta di Spina, convocata nel 1526 fu stipulato il principio di territorialità, in base al
quale ogni principe era lasciato libero di decidere se applicare o meno l’editto di Worms (Questo
editto dichiarava Lutero un fuorilegge e vietava la lettura o il possesso dei suoi scritti e permetteva
a chiunque di uccidere Lutero senza subire conseguenze legali) e bandire il luteranesimo dai suoi
domini.
2 DIETA La seconda Dieta fu tenuta sempre a Spina, nel 1529. Qui si introdusse un principio di
tolleranza a favore delle minoranze, ma solo per quelle cattoliche all’interno dei territori luterani.
3 DIETA Carlo V riuscì a raggiungere una tregua in Italia e nel 1530 chiese la convocazione di
un’ulteriore Dieta. Essa si svolse ad Augusta, qui erano presenti anche i luterani rappresentati da
Filippo Melantone. Quest’ultimo presentò all’assemblea un documento, la Confessio Augustana,
suddiviso in 28 articoli. I primi 21 sottolineavano tutti gli elementi di contatto tra cattolicesimo e
luteranesimo, e solo gli ultimi 7 ribadivano i punti più controversi quali la giustificazione per sola
fede, il matrimonio dei preti, la natura della messa. Bastò questo per rendere il documento
inaccettabile, e suscitare la reazione di Carlo V che ordinò di applicare l’editto di Worms, di
restituire i beni confiscati alla Chiesa e ripristinare l’autorità dei vescovi.
Di tutta risposta i protestanti si riunirono nella Lega di Smalcalda, opponendosi ai suoi ordini. Carlo
V non poteva permettersi di aprire un nuovo fronte di guerra per questo decise di chiedere una
tregua, ma questa non servì per mettere fine al conflitto.
I principi cattolici allora decisero di riunirsi anche loro in una lega, sotto la guida del duca di
Baviera. Carlo V preoccupato decise di chiedere la convocazione di un concilio generale al papa,
che rifiutò, quindi decise di avviare dei colloqui religiosi in cui cattolici e luterani si confrontassero
sulle varie posizioni. Nel 1541 a Ratisbona si cercò di creare un equilibrio tra i luterani e i cattolici,
ma anche questo tentativo fallì e la guerra tra i due riprese.
Carlo V riportò anche una vittoria militare, ma non riuscì a raggiungere l’obiettivo della
riunificazione religiosa, così nel 1555 si arrivò alla stipulazione di una pace, la pacificazione di
Augusta. Attraverso essa l’imperatore accettava lo stato di fatto della frattura religiosa e lo
regolava secondo due principi: i sudditi erano tenuti a seguire la confessione religiosa del loro
principe territoriale, e la Chiesa rimaneva proprietaria dei benefici ecclesiastici di coloro che
fossero passati al luteranesimo dopo il 1552, mentre perdeva quelli confiscati prima di quella data.
GIOVANNI CALVINO Calvino aveva una formazione umanistica e una vastissima cultura. Della
sua conversione alla Riforma nel 1533 si sa ben poco, ciò che è certo e che nel 1534 a Parigi rischiò
di essere arrestato come eretico e dovette fuggire. Trovò rifugio, inizialmente, a Strasburgo
successivamente a Ferrara per fermarsi nel 1536 a Ginevra, dove era molto conosciuto (era
conosciuto poiché aveva scritto l’opera più importante e celebre della Riforma, l’Institutio
Christianae Religionis).
I rapporti con la città di Ginevra s’incrinarono, tanto che se ne dovette allontanare per poi
ritornare nel 1541. Calvino riuscì a trasformare, in pochi anni, Ginevra in una comunità governata
secondo i suoi principi e nel centro propulsore di una dottrina religiosa destinata ad avere una
larga diffusione.
La dottrina di Calvino prendeva le mosse dalla dottrina di Lutero, dal quale condivideva il principio
della giustificazione per sola fede, ma era più vicino a Zwingli nel considerare i sacramenti come
puro segno della fede interiore e nel ridurre la messa a un semplice rito di commemorazione
dell’Ultima cena.
Secondo Calvino la grazia era un dono gratuito di Dio e in base ai suoi imperscrutabili disegni, Egli
la donava ad alcuni e la negava ad altri. Questa era la dottrina della predestinazione: alcuni erano
da Dio destinati ad essere salvati, altri a essere dannati. L’individuo, quindi, non poteva far nulla
per meritare la salvezza, doveva comunque sforzarsi di fare del bene ma tutto ciò rendeva
superflua la lettura della parola di Dio, la predicazione e l’esistenza di una Chiesa.
Calvino al suo ritorno a Ginevra attuò un programma riformatore degli ordini religiosi e politici
della città, trasformandola in una vera comunità cristiana: i “pastori” avrebbero dovuto spiegare la
parola di Dio e amministrare i sacramenti; i “dottori” interpretare le Scritture; i “diaconi” aver cura
dei poveri; gli “anziani” vigilare sull’osservanza di tutte le leggi morali e civili. A capo della Chiesa
fu istituito il Concistoro, un organo collegiale formato da anziani e pastori, che aveva anche il
compito di vigilare sulla condotta delle magistrature cittadine.
Ginevra divenne così un punto di riferimento e di attrazione per tutti quegli evangelici costretti a
fuggire dalla propria città (Calvino sotto il punto di vista dottrinale fu intransigente).
Il Luteranesimo rimase confinato in Germania al contrario il Calvinismo si diffusa a macchia d’olio:
in Francia, Svizzera, Olanda, Ungheria. Sul perché di questa diffusione possiamo riprendere le due
tesi più accreditate:
- Max Weber La dottrina calvinista dell’ascesi laica e della santificazione del lavoro fosse
congeniale allo sviluppo del capitalismo e che il calvinismo si fosse diffuso nelle aree più
avanzate dal punto di vista economico.
- Natalie Zemon Davis Analizzò come affrontarono il calvinismo alcune categorie della
popolazione a Lione, precisamente gli operai tipografici e le donne. I primi gruppi calvinisti
costituitisi in Francia avevano una forte impronta comunitaria. Gli operai dell’industria
tipografici videro in queste pratiche religiose un’occasione di un egualitarismo, invece le
donne vi videro l’opportunità di una partecipazione più attiva alle pratiche del culto. Ma
queste pretese furono sconfessate dalle pratiche religiose e da Calvino poiché l’eguaglianza
riguardava la sfera spirituale e non quella sociale; e alle donne non era loro compito
prendere parola in pubblico. Sia Lutero sia Calvino assegnavano inediti compiti di guida
spirituale ai padri di famiglia, estendo così la subordinazione delle donne ai loro mariti
anche sulla sfera religiosa oltre a quelle sociali e giuridiche. In compenso però si alzò il
tasso di alfabetizzazione.
LA RIFORMA IN INGHILTERRA Il distacco della Chiesa inglese da quella romana venne da ragioni
personali o politico- dinastiche più che religiose. Enrico VIII non aveva avuto un erede maschio
dalla moglie Caterina D’Aragona, e chiese dunque al papa di dichiarare nullo il matrimonio in
modo da poter sposare una dama di corte, ovvero Anna Bolena. Ma papa Clemente VII Medici
rifiutò, allora il re si rivolse al Parlamento, che tra il 1532 e il 1534 approvò una serie di atti con i
quali si ruppero piano piano tutti i legami tra la Chiesa inglese e quella romana, cioè abolendo il
trasferimento delle rendite ecclesiastiche e negando la competenza del papa nelle nomine dei
benefici. Nel 1535 fu emanato, ufficialmente, l’Atto di Supremazia, con il quale si conferiva al re il
titolo di Capo Supremo della chiesa d’Inghilterra. Successivamente furono soppressi tutti gli ordini
religiosi e tutti i beni furono incamerati dalla corona, però dal punto di vista dottrinario non era
cambiato nulla.
Durante il regno di Enrico VIII furono ribaditi il celibato dei preti, la dottrina della
transustanziazione e i sette sacramenti. Con la morte di Enrico e l’ascesa al trono del figlio Edoardo
VI il partito protestante guadagnò il favore della corte. Nel 1549 fu ufficialmente adottato il Book
of Common Prayer, redatto dall’arcivescovo Cranmer. Il processo di riforma si arrestò nel 1553
quando salì al trono la sorellastra di Edoardo, Maria Tudor, detta la sanguinaria per la sua feroce
repressione del protestantesimo. Il processo di riforma riprese anni più tardi con l’ascesa al trono
di Elisabetta I.
LA RIFORMA IN ITALIA La riforma in Italia fu incarnata da Erasmo, che inizialmente fu un
seguace di Lutero. Il Sacco di Roma del 1527 fu la spinta decisiva a richiedere un cambiamento
all’interno della Chiesa, perché questo evento fu interpretato come una punizione divina.
All’interno della Curia si faceva sempre più forte la richiesta di una convocazione di un concilio
generale, ma il papa cercò di evitarlo poiché poteva essere minato il suo ruolo.
In Italia si diffusero diversi gruppi religiosi ognuno con la propria dottrina che richiedeva il
cambiamento. Il più importante fu quello di Napoli di Juan de Valdes.
5 CAPITOLO LA CONTRORIFORMA
Carlo V premeva affinché cattolici e luterani s’incontrassero e trovassero punti di accordo
dottrinari e ponessero fine alla divisione religiose, ma papa Clemente VII si oppose sempre alla
convocazione di un concilio e all’avvio di una discussione ufficiale sulla riforma della Chiesa (per
diversi motivo uno tra i quali è che lui era figlio illegittimo e quindi non avrebbe potuto accedere
alle cariche ecclesiastiche).
Il suo successore Paolo III si mostrò invece più disponibile: incaricò alcuni prelati di redigere un
Consiglio di emendamenti ecclesiastici e di proporre una serie di importanti misure moralizzatrici,
nominò cardinali alcuni rappresentati del partito delle riforme e accettò la richiesta di convocare
un concilio. La città prescelta per il primo concilio fu Trento e nel 1545 i lavori si aprirono.
Il concilio fu molto lungo e travagliato, si terminò dopo vent’anni, nel 1563 dopo una sospensione
di dieci anni dal 1552 al 1562 dovuta all’ostilità di papa Paolo IV.
I luterani non parteciparono al Concilio tranne per una breve apparizione e l’imperatore Carlo V
richiese che le questioni dottrinarie fossero posposte a quello dei problemi disciplinari. Il risultato
fu l’accoglienza in modo positivo di molte critiche sul piano disciplinare ma la totale opposizione
alle critiche dottrinarie adottando così un atteggiamento intransigente.
Furono approvati:
- I decreti dogmatici Ribadiscono le posizioni dottrinarie contestate dai riformati ma
chiusero alcune questioni dubbiose su alcuni precetti della Chiesa, tipo la natura del
sacramento del matrimonio. Si riaffermarono quindi le dottrine della giustificazione per
fede e per opere, della natura del sacrificio della messa, della possibilità dell’uomo di
scegliere tra bene e male e del valore operativo dei sacramenti della Chiesa. Si ribadì che i
sacramenti erano sette e si stabilì uno statuto diverso per gli ecclesiastici rispetto ai laici
con l’obbligo al celibato.
- I decreti disciplinari Affrontavano gli abusi ecclesiastici e si proponevano di eliminarli
rafforzando il potere gerarchico dei vescovi sui parroci. Si stabiliva che essi dovevano
risiedere obbligatoriamente nella loro diocesi, che il clero della parrocchia doveva ricevere
un’adeguata preparazione frequentando delle scuole apposite. La registrazione sui dei
registri di matrimoni, battesimi, nascite e morti e che il matrimonio era valido solo se fatto
attraverso un rito pubblico con dei testimoni. Per facilitare l’insegnamento della dottrina
cristiana fu elaborato il catechismo.
Queste riforme comportarono un forte clima di repressione. I libri e le altre pubblicazioni furono
poste sotto severe controllo e nel 1559 fu stilato il primo “Indice dei libri proibiti” (seguirono una
seconda e una terza edizione e della Bibbia fu proibita la diffusione in volgare) e fu costruita
un’apposita commissione che si sarebbe occupata della materia cioè la Congregazione dell’Indice.
Nel 1542 il papa aveva creato un tribunale provvisorio per coordinare la lotta contro l’eresia
affidandone il controllo alla Congregazione dell’Inquisizione universale, dopo il Concilio essa
acquistò un enorme potere (già nel 1517 era molto attiva con la persecuzione delle minoranze
religiose tipo gli ebrei). In Spagna si aveva l’Inquisizione spagnola, negli stati italiani l’Inquisizione
romana e in Francia l’Inquisizione non fu mai ammessa e la repressione fu affidata a dei tribunali
laici.
Oltre a tutte le forme repressive il Concilio comportò anche un attenzione particolare alle attività
di pedagogia, dalla predicazione all’istruzione( anche se il Concilio non affrontò direttamente la
questione). Gli ordini religiosi si fecero carico di questa attività, attraverso le missioni e l’intensa
opera di evangelizzazione. Negli anni ’20 e ’30 furono creati nuovi ordini, quali i teatini, i
cappuccini e i barnabiti. Molto persuasiva fu l’azione svolta da quest’ultimi nei confronti degli
ordini e dei monasteri femminili, ponendo l’attenzione su una rigorosa disciplina, sulla clausura e
l’obbligo al celibato.
L’istruzione dei fanciulli fu un altro importante aspetto della pedagogia della riforma cattolica, e
negli anni ’30 furono fondate due nuove scuole: la Compagnia di Sant’Orsola per l’istruzione delle
bambine, e la Compagnia di Gesù per i fanciulli ( i chierici pronunciava i consueti tre voti cioè
castità, povertà e obbedienza aggiungendone un quarto quale la speciale obbedienza al papa).
Furono fondati nuovi collegi poiché i gesuiti si specializzarono in due settori: quello delle missioni o
quello dell’istruzione. Questi collegi si diffusero a macchia d’olio in tutta Europa per il loro
programma innovativa infatti vennero utilizzati metodi didattici del tutto innovativi come il teatri,
la musica e la danza.
Una ruolo importante ebbe l’arte che attraverso la creazione di uno stile architettonico proprio
della Chiesa si rendeva immediatamente riconoscibile e riconducibile a loro (facciata maestosa e
navata rettangolare).
Tutti i campi del sapere furono posti sotto stretta sorveglianza e il punto da cui non dovevano
differire era l’aristotelismo ufficiale della Chiesa. Tutte le minoranze religiose, che fino ad allora
erano state tollerate, furono sottoposte a nuove vessazione, tipo la creazione di appositi spazi
detti ghetti in cui risiedere e si diffuse il fenomeno del proselitismo: dovevano indurli a convertirsi.
Il clima di intolleranza si estese anche sui culti popolari tradizionali, ponendo un attenzione
maggiore al fenomeno della stregoneria. Inizialmente si pensava che fosse una semplice
superstizione ma successivamente attraverso la diffusione di una trattato riguardante l’argomento
si diede vita a una vera e proprio caccia alle streghe. Le persone accusate di ciò subivano terribili
pressioni fisiche e psicologiche mirate alla confessione, molti confessavano per porre fine al
supplizio. La stragrande maggioranza degli accusati furono di sesso femminile.