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ALTRI FLUSSI

La comunicazione politica della società civile

a cura di

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Rolando Marini

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© 2011 Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA


viale Filippetti, 28 – 20122 Milano
http://www.guerini.it
i-

e-mail: info@guerini.it
rin

Prima edizione: novembre 2011


Ma

Ristampa: V IV III II I 2011 2012 2013 2014 2015

Copertina di Giovanna Gammarota


do

Printed in Italy
lan

ISBN 978-88-8107-319-1
Ro

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limi-
ti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla
SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile
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e sito web www.aidro.org.
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INDICE

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Introduzione ia 9
di Rolando Marini
op

PARTE PRIMA CONTRIBUTI TEORICI E STORICO-SOCIOLOGICI 15


sc

Capitolo 1 17
Attori plurali nello spazio pubblico
er

di Rolando Marini
-p

1.1 La scomparsa dei gruppi e delle subculture, p. 17 1.2 Plurali-


ini

tà degli attori e interazione: l’agenda building, p. 26 1.3 Mass


media e arene: ulteriori dinamiche di interazione nello spazio pub-
r
Ma

blico, p. 37 1.4 Osservazioni conclusive, p. 41

Capitolo 2 49
do

Problematiche teorico-politiche della democrazia deliberativa


di Monia Andreani
lan

2.1 Democrazia e deliberazione nelle città-stato greche del V e IV


Ro

secolo a.C., p. 52 2.2 Il problema delle disfunzioni della demo-


crazia deliberativa, p. 57 2.3 La tradizione liberale e la tradizio-
ne repubblicana, p. 61 2.4 La democrazia deliberativa secondo
Habermas, p. 71
6

Capitolo 3 85
I movimenti collettivi tra arene sociali e arena dei mass media
di Lorenzo Mosca

3.1 Gli studi sui movimenti sociali e la comunicazione: una intro-


duzione, p. 85 3.2 Il ruolo dei media nella riflessione teorica e
nell’analisi empirica sui movimenti sociali, p. 88 3.3 Logiche di

ici
interazione fra media e movimenti sociali, p. 93 3.4 Movimenti

em
sociali e nuove tecnologie della comunicazione, p. 98 3.5 Movi-
menti sociali e comunicazione: osservazioni conclusive, p. 103

ad
Capitolo 4 113

cc
Le relazioni pubbliche e il sistema dell’informazione: un accesso alla
sfera pubblica
ia
di Marco Mazzoni
op

4.1 Uno sguardo storico alle relazioni pubbliche, p. 113 4.2 Il


sc

nuovo scenario delle relazioni pubbliche, p. 118 4.3 Le relazioni


pubbliche e i giornalisti, p. 123 4.4 L’interazione tra professioni-
er

sta delle relazioni pubbliche e giornalista, p. 127 4.5 Le relazioni


-p

pubbliche, una chiave d’accesso alla sfera pubblica, p. 132 4.6


Una breve conclusione, p. 134
ini

PARTE SECONDA STUDI DI AREA E DI CASO 141


r
Ma

Capitolo 5 143
Quando il brand diventa attivista. Tra legittimazione culturale e di-
do

scorso pubblico
di Michele Fioroni
lan

5.1 Nuovi ambiti e nuove forme di legittimazione per il brand, p.


Ro

143 5.2 Oltre la facciata: la sfida dell’etica parte dall’interno, p.


147 5.3 Dalla moda al cambiamento culturale, p. 150 5.4
Quando il brand modifica gli atteggiamenti e catalizza il cambia-
mento sociale, p. 154 5.5 Osservazioni conclusive, tra globale e
locale, p. 159
7

Capitolo 6 163
La Chiesa nel dibattito pubblico
di Rita Marchetti

6.1 Dal partito all’arena pubblica dei media, p. 163 6.2 La co-
pertura giornalistica degli interventi della CEI, p. 168 6.3 Quan-
do la Chiesa scende in campo, p. 171 6.4 La Chiesa fa notizia, p.

ici
174 6.5 Una strategia comunicativa di interazione reciproca, p.

em
179

Capitolo 7 187

ad
Il consumerismo e le associazioni dei consumatori

cc
di Giuseppe Maimone
ia
7.1 Dalla società dei consumi al consumerismo, p. 187 7.2 Na-
op
scita, sviluppo e regolamentazione delle associazioni dei consuma-
tori, p. 194 7.3 Le associazioni dei consumatori come grass-
sc

roots lobbies, p. 200 7.4 Come comunicano le associazioni dei


consumatori, p. 206 7.5 Conclusioni, p. 210
er
-p

Capitolo 8 215
Amnesty International: la comunicazione per i diritti umani
di Antonio Ciaglia e Francesca Miele
r ini

8.1 Amnesty International: da movimento prisoners oriented a


Ma

movimento human rights oriented, p. 215 8.2 Il campaigning di


Amnesty International: tecniche, flussi, destinatari, p. 219 8.3 Il
do

ruolo dei media nella comunicazione di Amnesty International: tra


promozione dei diritti umani e branding umanitario, p. 228 8.4
lan

Conclusioni. Amnesty International tra impegno sociale e costru-


zione di credibilità, p. 232
Ro

Capitolo 9 235
Is it only rock’n’roll? Il Live 8 come caso di rock umanitario
di Sara Minucci

9.1 Un media event globalizzato come strumento di agenda


building, p. 235 9.2 Le notizie politiche all’epoca delle soft
8

news, p. 238 9.3 Non è solo rock’n’roll: la costruzione


dell’evento, p. 240 9.4 La magia del Live 8: il media event come
rito di passaggio, p. 246 9.5 Il dopo Live 8: la portata politica
dell’evento, p. 248 9.6 L’importanza del piggyback effect e di
Internet, p. 254 9.7 Conclusioni, p. 257

Capitolo 10 261

ici
Il Web 2.0 come arena per il media criticism

em
di Sergio Splendore

10.1 Correggere l’agenda e contrastare i frame, p. 261 10.2 La

ad
trasparenza e il media criticism in Italia, p. 262 10.3 La blogo-

cc
sfera e il potere del link, p. 266 10.4 I social media, p. 270
10.5 I giornalisti e le pratiche bottum-up: altri flussi in redazione?,
ia
p. 274 10.6 Conclusioni, p. 276
op

Capitolo 11 281
sc

La Caritas italiana e l’immigrazione: il caso del Dossier


di Stefano Santoni
er
-p

11.1 Le attività di lobbying secondo la Caritas italiana, p. 282


11.2 Ricerche, rapporti e dossier sulle fragilità sociali. Il Dossier
ini

statistico immigrazione, p. 288 11.3 Dalle carenze del mondo


dell’informazione al ciclo delle Presentazioni del Dossier statisti-
r
Ma

co immigrazione, p. 291 11.4 Osservazioni conclusive, p. 297

Note biografiche sugli Autori 301


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INTRODUZIONE

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L’idea iniziale di realizzare questo volume nasce dalla mia sempre più
ia
ferma convinzione che per comprendere ciò che accade oggi nel cam-
po dell’opinione pubblica occorre rivolgere l’attenzione verso oggetti
op

di studio diversi da quelli consueti, in particolare prendendo le distan-


ze da quelli relativi agli attori centrali della scena pubblica e del si-
sc

stema politico.
Tante energie sono state spese finora, in Italia e negli altri Paesi
er

occidentali, nello studio della comunicazione politico-elettorale e


-p

dell’influenza da questa generata. A mio avviso, gli studi sulla comu-


nicazione politico-elettorale sono progressivamente entrati in una spe-
ini

cie di vortice provocato dai partiti, dai leader insieme con i loro con-
sulenti, e dai mezzi d’informazione fatto di ansie e ossessioni per gli
r
Ma

umori volubili della pubblica opinione, per la presenza e la presa di


parola nei media, per le strategie o le tattiche comunicative vincenti,
per la gestione simbolica degli eventi che iper-frammentano l’azione
do

politica e la rendono incapace di guardare ai cambiamenti e alle pro-


spettive di lungo termine.
lan

In parte questo si deve alla difficoltà per tutte le scienze sociali di


ricomporre entro letture unitarie e generalizzanti gli sforzi di ricerca
Ro

empirica profusi nel corso degli anni, vale a dire la difficoltà di portare
a sintesi i programmi di ricerca svolti in archi temporali lunghi. Cosa
che, nel campo della comunicazione politica e dell’opinione pubblica,
rimane ancora un compito largamente inevaso. In parte però, come di-
cevo, dipende dal fatto che il discorso pubblico sulle tematiche politi-
che spinge le domande di fondo degli studiosi a sovrapporsi pericolo-
10

samente a quelle del circuito politico-mediatico, finendo tutti per ap-


partenere a un’unica comunità interpretativa.
Occorrerebbe mettere in atto una serie di cambiamenti di direzione
nell’analisi dei processi di mutamento dell’opinione pubblica e della
comunicazione politica. I concetti chiave di un simile nuovo orienta-
mento potrebbero essere: lungo periodo, cultura politica, società civi-
le, nuove arene mediali, processi di costruzione del significato. La

ici
strada, che con questo volume si vuole cominciare a percorrere, è
quella che porta a rivolgere l’attenzione verso l’influenza che può de-

em
rivare dalla comunicazione (non sempre politica in senso canonico)
dei gruppi d’interesse, dei movimenti e delle imprese; ossia la comu-

ad
nicazione politica della società civile.
Se veramente pensiamo che quella delle nostre società sia una sfe-

cc
ra pubblica mediatizzata, non possiamo non vedere come proprio la
ia
centralità dei mezzi d’informazione, nel fornire visibilità e interme-
diazione, abbia spinto una pluralità di attori ad accedere alle arene
op

mediali in modo sempre più stabile, pluralizzandole. Sono molti gli


attori sulla scena pubblica offerta dai media di massa, e di conseguen-
sc

za sono molti i contenuti, le idee, i punti di vista (i frame) che la affol-


lano. Gli stessi attori tradizionali della politica, nonostante continuino
er

a sembrare predominanti, si trovano ad affrontare – a fatica – l’incre-


-p

mento della varietà delle questioni presenti nel dibattito pubblico.


Da decenni l’orizzonte culturale della politica è mutato, con la de-
ini

strutturazione delle stesse semantiche della politica fatta dai leader, dai
partiti e dalle istituzioni. I nuovi concetti (prima ancora dei nuovi te-
r
Ma

mi) che hanno conquistato legittimità e diritto di cittadinanza nello


spazio pubblico sono numerosi e riguardano campi della vita sociale
prima esclusi dalla sfera politica. La politica è quindi diventata qual-
do

cosa di più ampio e più variegato.


lan

Un notevole e non meno importante processo di diversificazione


ha riguardato i mezzi di comunicazione. Già nel mondo dei media tra-
dizionali, a stampa ed elettronici, si è ampliato lo spettro delle voci e
Ro

delle espressioni che si sono date la forma di emittenti e fornitori di


informazione. Poi vi si è aggiunto Internet, assieme a una serie di di-
spositivi che rappresentano una pluralità di modi di accesso ai conte-
nuti. Ciò è talmente rilevante da implicare nuove concettualizzazioni
delle relazioni sociali e, in fondo, della stessa società. Sono stati ad
esempio rivalutati concetti come quelli di ‘comunità’ e di ‘rete’, e si
11

intravede un percorso ancora lungo di ridefinizione delle mappe teori-


che e delle scienze sociali e della comunicazione.
A partire da questa nuova situazione sociale e dei media, sembra
necessario assumere più lucida consapevolezza del fatto che è in corso
una pluralizzazione delle arene mediali. Vi sono produttori di infor-
mazione e di altri contenuti che operano in settori non tradizionali e
non di massa dello spazio pubblico; e vi sono pubblici che fruiscono

ici
di tali mezzi, e attraverso di essi hanno l’opportunità di accedere a
frame diversi e spesso alternativi rispetto a quelli fruibili tramite i me-

em
dia tradizionali. Siamo quindi in una situazione di arene mediali plu-
rime e di universi simbolici plurimi, in cui certamente è difficile se

ad
non impossibile individuare posizioni di predominanza.
Entro tale quadro può essere meglio compresa una visione della

cc
sfera pubblica come uno spazio o un ambiente nel quale le relazioni si
ia
instaurano e si dispiegano tra quattro aggregati di attori: quello della
politica, quello dei media, quello dei pubblici e quello della società ci-
op

vile. Quest’ultimo aggregato non è sempre stato considerato nella va-


lenza autonoma di produttore di comunicazione e di costruttore di
sc

frame, che (seguendo appunto lo schema quadrangolare suddetto) en-


tra a pieno titolo nel circuito delle influenze intrecciate e interrelate.
er

È proprio a quest’area dello spazio pubblico che il volume Altri


-p

flussi rivolge l’analisi. Tutti gli attori della società civile vengono ana-
lizzati come produttori di discorso pubblico (e quindi di comunicazio-
ini

ne politica), e un’attenzione particolare viene dedicata alla loro rela-


zione con i mezzi d’informazione, sia tradizionali che digitali. Gli at-
r
Ma

tori sociali qui presi in considerazione (movimenti, gruppi d’interesse,


imprese) sono rappresentati nel loro sforzo di adeguare le proprie
prassi comunicative e i propri linguaggi a quelli dei media di massa,
do

che ovviamente tendono a mantenere le prerogative e, in fondo, i pri-


lan

vilegi dei mediatori, potendosi permettere di chiedere agli altri di ade-


guarsi. E appare molto diffusa la strategia, soprattutto da parte dei
movimenti, di bypassare i vincoli imposti dai media mainstream (per-
Ro

sonalizzazione, spettacolarizzazione ecc.), spostandosi su Internet e


sulle arene digitali. Da queste ultime parte una pressione, diretta e in-
diretta, verso i media ufficiali, a modificare consuetudini, modelli ope-
rativi e, in ultima istanza, visioni del mondo.
Qui tocchiamo un punto la cui importanza non deve essere limitata
al rapporto tra arene mediali tradizionali e arene mediali digitali. La
comunicazione politica di cui parliamo va vista come orientata al
12

cambiamento culturale della pubblica opinione, e non a influenzare at-


teggiamenti di breve-medio periodo come il favore verso il governo o
gli orientamenti di voto. La posta in gioco delle dinamiche di intera-
zione nella sfera pubblica è rappresentata dal mutamento (o conserva-
zione) delle mappe cognitive, dei sistemi di valore e dei frame che le
persone utilizzano per partecipare alla vita.
Nella prima parte del libro si affrontano questioni essenzialmente

ici
teoriche. Due excursus di tipo sociologico e filosofico, uno sull’agen-
da building e l’altro sulla deliberazione, si propongono come orizzonte

em
generale della riflessione sulla comunicazione politica della società
civile. Segue un saggio sul collegamento tra i movimenti sociali e le

ad
arene mediali da essi privilegiate, con l’apertura alle nuove problema-
tiche concettuali e teoriche che questo scenario comporta. Successi-

cc
vamente, il fuoco dell’analisi viene spostato verso un argomento di
ia
confine tra vari approcci e discipline, quello delle relazioni pubbliche;
in questo caso le attività di comunicazione del mondo delle imprese
op

vengono lette nella prospettiva di una partecipazione al discorso pub-


blico e non in vista dell’antica costruzione dell’immagine.
sc

Nella seconda parte del volume viene proposta una serie di studi di
area o di caso, e quindi si cerca di fornire esempi emblematici e spac-
er

cati significativi delle realtà e delle tematiche illustrate prima in chia-


-p

ve teorica. Si analizza di nuovo il mondo dell’impresa, ponendo però


lo sguardo sull’attivismo sociale dei brand, al confine tra responsabili-
ini

tà sociale, marketing e pubblicità. Non poteva mancare un’analisi de-


dicata alla Chiesa cattolica in Italia, vista come attore tra gli attori del-
r
Ma

la scena pubblica; a tal fine, dopo un inquadramento preliminare, vie-


ne proposta un’indagine sugli interventi della CEI nel dibattito politico
ed etico. Di uno dei movimenti sociali più trascurati dagli studi socio-
do

politici, quello del consumerismo, si presenta poi una ricostruzione


lan

storica e un’indagine diretta delle forme di comunicazione in Italia.


Un saggio è dedicato a un movimento che ha aperto la strada a una
nuova concezione dei diritti, ossia Amnesty International. Di questo
Ro

attore così rilevante a livello globale, si illustra e discute il percorso di


evoluzione sia della cultura, sia delle forme di comunicazione. L’im-
portanza dell’universo musicale, come mondo di costruzione dei si-
gnificati della politica, viene trattata nel saggio che propone un’inda-
gine sugli eventi mediali del cosiddetto rock umanitario. Una succes-
siva analisi riguarda un settore della sfera pubblica online: il mondo
dei blog che si occupano di qualità dell’informazione e contribuiscono
13

a creare quell’elemento, considerato proprio della cyberdemocrazia,


che è la trasparenza. Infine, l’analisi è rivolta a un gruppo d’interesse
generalista, che cioè si occupa di difendere non interessi privati ma
interessi diffusi: la Caritas viene studiata nella veste di produttore di
dati e informazioni specializzate e nel rapporto con i mezzi d’informa-
zione.
In sintesi, si tratta di una proposta per iniziare percorsi di studio su

ici
di un campo in cui, come spesso accade nelle scienze sociali, il cam-
biamento è non solo veloce ma anche multidimensionale.

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Rolando Marini

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(settembre 2011)

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CAPITOLO 7

IL CONSUMERISMO E LE ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI


di Giuseppe Maimone

ici
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ia
7.1 Dalla società dei consumi al consumerismo
op

Il consumo è un’attività che ognuno di noi svolge quotidianamente du-


sc

rante tutto l’arco della giornata. A volte gli atti di consumo sono così
routinari che si può dire vengano svolti senza nemmeno una lucida
er

consapevolezza di quello che si sta facendo. Tutto ciò ci fa pensare


-p

che la dimensione del consumo sia strettamente legata a quella


dell’esistenza umana, ma anche che fondamentalmente lo sia sempre
ini

stata. Tutte le società, anche le più antiche, hanno organizzato attività


di vario tipo intorno e in conseguenza del consumo, a partire dalle re-
r
Ma

lazioni di scambio, siano state esse liquidate attraverso il baratto oppu-


re attraverso forme più evolute, nate soprattutto dopo la diffusione del
denaro. Il consumo diviene momento di produzione simbolica collega-
do

ta allo status: «[…] persino nelle società preistoriche ciò che conta
non è la pura sopravvivenza ma come ci si ripara, cosa si mangia e
lan

con chi si beve» (Sassatelli, 2004, p. 104). Si pensi poi alle forme di
comunicazione destinate a favorire il consumo. Basti ricordare che an-
Ro

che negli scavi della Pompei imperiale sono state ritrovate forme sep-
pur arcaiche di pubblicità.
Il passaggio verso una nuova fase storica e sociale però si ha con
l’avvento della modernità, nel momento in cui si è avviato un processo
di nuova assegnazione di significato al consumo, ispirato alla cosid-
detta filosofia del ‘consumismo’, mettendo così in moto quella che
viene chiamata la «rivoluzione consumista»: «[…] il passaggio dal
188

consumo al consumismo si ha nel momento in cui il consumo […] ha


acquisito nella vita della maggior parte delle persone una importanza
particolare, se non centrale, trasformandosi nello scopo stesso dell’esi-
stenza» (Bauman, 2007, tr. it. 2008, p. 36). Non è possibile indicare un
periodo preciso per aiutarci a collocare storicamente tale passaggio,
ma è possibile affermare che questa che viene definita una vera e pro-
pria rivoluzione sia emersa gradualmente sotto la spinta di numerosi

ici
fattori (Sassatelli, 2004): sia fenomeni sociali e culturali (come l’in-
cremento delle possibilità di mobilità o l’evoluzione dei rapporti tra

em
sessi); sia fenomeni economici (si pensi al rafforzamento del sistema
commerciale e al successivo sviluppo dei consumi del Sei-Settecento,

ad
accompagnatosi al consistente sviluppo delle classi medie).
La società che gradualmente si è sviluppata sotto la spinta che ha

cc
fatto del consumo un suo tratto caratterizzante è connotata da determi-
ia
nate peculiarità e può essere definita ‘società consumista’. In questo
tipo di società tutti gli individui possono essere riconosciuti come con-
op

sumatori, con una sostanziale differenza rispetto al passato: mentre in


precedenza il commercio, o meglio ancora il rapporto consumatore-
sc

produttore, era regolato principalmente dalle cosiddette «leggi suntua-


rie» (Appadurai, 1986), le quali consistevano in vere e proprie dispo-
er

sizioni normative – che limitavano il lusso nella moda maschile e fem-


-p

minile, e a volte obbligavano determinati gruppi sociali a indossare


segni distintivi – in quella che viene definita la società consumista, in-
ini

vece, il ruolo di ordinatore sociale può essere attribuito alla moda del
periodo. Come ha sottolineato Appadurai: «[…] i consumatori moder-
r
Ma

ni sono vittime della velocità della moda tanto quanto i consumatori


delle società primitive sono vittime della stabilità di leggi suntuarie
che vietano selettivamente l’utilizzo e il possesso di numerosi beni»
do

(ivi, p. 32). Il termine moda deriva dal latino modus, e tra i suoi signi-
lan

ficati ha anche quello di norma, regola, ed è proprio questo aspetto che


qui si vuole mettere in risalto: affermando che i consumatori sono vit-
time della velocità della moda qui si intende sottolineare che essi nel
Ro

momento dell’acquisto vengono influenzati da tutta una serie di signi-


ficati che sono predominanti all’interno della società e da essa vengo-
no regolati (anche se in maniera implicita).
Detto questo, si capisce che parlare di una rivoluzione consumista
significa essenzialmente parlare di una rivoluzione culturale, nel senso
che il passaggio verso quella che abbiamo definito società consumista
è caratterizzato da una serie di cambiamenti nello stile di vita che han-
189

no pervaso tutta la società. Il cambiamento principale riguarda il modo


di intendere il concetto di desiderio e felicità:

[…] il consumismo, in netto contrasto con le precedenti forme di vita, asso-


cia la felicità non tanto alla soddisfazione dei bisogni, ma piuttosto alla co-
stante crescita della quantità e dell’intensità dei desideri, il che implica a sua
volta il rapido utilizzo e la rapida sostituzione degli oggetti con cui si pensa e
si spera di soddisfare quei desideri (Bauman, 2007, tr. it. 2008, p. 40).

ici
em
Quello che Bauman ha spiegato con tanta chiarezza rappresenta allo
stesso tempo l’elemento caratterizzante e la principale fonte di ripro-

ad
duzione del consumismo.
Dunque, nella ‘società consumista’ non ha senso parlare di con-

cc
sumo se non lo si colloca in un’ottica legata a fenomeni non solo eco-
nomici ma più ampiamente socio-culturali. Basti pensare al fatto che
ia
nel momento dell’acquisto, oltre al calcolo del rapporto tra costi e be-
op

nefici ricevuti vengono attivate tutta una serie di funzioni simboliche e


cerimoniali con le quali si impregnano i beni materiali. Seguendo que-
sc

sta logica, dunque, i beni materiali hanno cominciato ad assumere


molteplici significati sociali che poco a poco hanno addirittura sosti-
er

tuito i tradizionali significati funzionali da essi veicolati (Codeluppi,


-p

1992). Un ruolo importante, anche se non l’unico, in questo sistema di


diffusione di riferimenti simbolici, viene svolto dalla pubblicità e dal
marketing, che si pongono come obiettivo quello di rendere acquista-
ini

bile un prodotto, anche attraverso la veicolazione verso l’esterno dei


r

significati (spesso incoerenti con la natura delle merci) con cui inten-
Ma

dono impregnare i beni materiali che di volta in volta offrono sul mer-
cato. Le attività legate alla comunicazione sono diventate man mano
do

così importanti da imporre in un certo senso uno sforzo da parte delle


aziende per la valorizzazione di tutte le componenti estetiche ed e-
lan

spressive contenute nei beni stessi, al fine di aumentarne appunto la


vendibilità: «le imprese si concentrano sul design, sul marketing, sulla
Ro

comunicazione e sulla distribuzione, cioè su tutte le funzioni immate-


riali, delegando a fornitori esterni tutti gli aspetti propriamente mate-
riali del ruolo aziendale, a cominciare dalla produzione vera e propria»
(ivi, p. 47).
A questo punto del discorso nasce un dubbio: in una società così
intesa, si può affermare che il consumatore sia un soggetto autonomo,
che attua scelte consapevoli e arbitrarie? La domanda è lecita in quan-
190

to, come abbiamo finora visto, la capacità della moda – quel comples-
so sistema di riferimenti sociali e culturali predominanti nella società
– di influenzare i consumatori nei loro atteggiamenti e nelle loro scelte
non è meno efficace di quella messa in campo dalle antiche leggi sun-
tuarie, nonostante la prima non abbia (sempre) a che fare con imposi-
zioni normative.
Dal punto di vista del consumatore le teorie economiche e sociali

ici
che si sono succedute nel corso degli anni hanno visto cambiare quello
che si poteva considerare il cardine del sistema produttivo. I primi

em
studi legati ai consumi, riconducibili in particolare alla prima metà del
Novecento, partivano dagli assunti liberisti e consideravano il consu-

ad
matore come una sorta di sovrano. La teoria in questione, denominata
del «consumatore sovrano», trae spunto dalla cosiddetta analisi margi-
nalista messa a punto da autori come Jevons, Menger e Walras1, e si
cc
ia
basa sulla concezione secondo la quale «da ogni consumatore parti-
rebbero delle scelte che, sommandosi a quelle di altri consumatori,
op

creano una domanda alla quale la produzione non potrà fare a meno di
rispondere» (Sassatelli, 2004, p. 77). Secondo la teoria economica del
sc

consumatore sovrano, quindi, se è vero che esiste un sistema di riferi-


menti sociali che influenza le scelte dei consumatori, è anche vero che
er

questo sistema è a sua volta influenzato dalle decisioni, dalle caratteri-


-p

stiche, insomma dagli acquisti che vengono effettuati da parte dei con-
sumatori stessi, che quindi possono, con le loro scelte, determinare le
ini

caratteristiche del sistema produttivo.


Questo paradigma comincia a vacillare nel secondo dopoguerra,
r
Ma

quando alcuni studiosi riprendono il discorso che nel secolo preceden-


te era stato sviluppato da Karl Marx ne Il Capitale (1867), nel quale si
afferma che, per far funzionare il sistema capitalistico, i bisogni degli
do

esseri umani debbono sempre conformarsi al sistema produttivo, il


lan

quale stimola l’animo umano a percepire una quantità crescente di bi-


sogni, manipolando i desideri per le merci. Autori come Adorno, Hor-
kheimer (1947) e Marcuse (1964) fanno proprio questo concetto e lo
Ro

approfondiscono con una valutazione sociale e culturale: attraverso i

                                                            
1
Gli autori in questione concentrandosi sul lato della domanda, criticano la posizione
classica (di autori come Smith e Mill) per cui il prezzo di un bene è determinato dal
suo costo di produzione, ossia dal prezzo dei fattori della produzione, e arrivano a so-
stenere che quando un bene finale arriva sul mercato, questo avrà un prezzo che di-
pende dall’utilità che i compratori si aspettano di trarne.
191

concetti di «industria culturale»2 e di «uomo a una dimensione»3, i so-


ciologi della Scuola di Francoforte vogliono mettere in risalto una
nuova forma di alienazione, che dal mercato arriva alla sfera culturale,
come prodotto del capitalismo basato sul consumo. L’industria cultu-
rale viene vista come un sistema «funzionalmente destinato alla pro-
duzione di significato» e la pubblicità come «un meccanismo finaliz-
zato al trasferimento di questi significati al mondo della vita quotidia-

ici
na» (Sassatelli, 2004, p. 99). In questo contesto, dunque, viene total-
mente capovolta la gerarchia sviluppata in precedenza, che considera-

em
va il consumatore come il vero sovrano del sistema produttivo e come
gestore dei possibili cambiamenti dei significati predominanti all’in-

ad
terno della società: smascherando il carattere manipolatorio della di-
mensione simbolica dei beni, qui il titolare del potere sovrano viene

cc
individuato in quella che in precedenza è stata definita la moda del
ia
momento. Il consumatore altro non è che un soggetto non razionale,
che non riesce nemmeno più a distinguere le sue reali esigenze e nelle
op

sue pratiche di consumo viene totalmente orientato dagli imperativi


produttivi, a loro volta funzionali alle logiche di dominio vigenti nel
sc

sistema sociale.
In posizione intermedia tra questi due modi polarmente opposti di
er

concepire i rapporti di potere all’interno del mercato e della società, si


-p

colloca una terza strada, che parte dal riconoscimento di una potenzia-
le sovranità del consumatore, o quantomeno di una sua libertà di arbi-
ini

trio: quelli che vengono definiti fenomeni del consumismo altro non
sono che espressioni di libere scelte dei consumatori stessi, e quindi
r
Ma

propri della loro sovranità. In questa terza via si afferma che in realtà,
                                                            
2
L’espressione «industria culturale» viene utilizzata per la prima volta da Max Hor-
do

kheimer e Theodor W. Adorno, i principali esponenti della Scuola di Francoforte, in


Dialettica dell’Illuminismo (1947, tr. it. 1997) per indicare il processo di riduzione
lan

della cultura a merce. Con questa nozione i due filosofi volevano evidenziare come
l’industria culturale sia man mano arrivata a designare una fabbrica del consenso che
Ro

ha liquidato la funzione critica della cultura. Essa fonda la sua funzione sociale
sull’obbedienza, lasciando che le catene del consenso si intreccino con i desideri e le
aspettative dei consumatori.
3
Con il concetto di «uomo ad una dimensione» Marcuse (1964, tr. it. 1999) voleva
sottolineare come «le tendenze prevalenti nella società stavano conducendo alla costi-
tuzione di enormi organizzazioni pubbliche e private che minacciavano di sommerge-
re la vita sociale» (Held, 2006, p. 324). Questo stato di cose, secondo Marcuse, viene
rafforzato dal fatto che quelle che si possono definire sub-culture sono travolte dalla
pervasività dei mass media che producono una cultura sostanzialmente confezionata e
omogenea.
192

tuttavia, esistono circostanze strutturali, dovute a inefficienze, rendite,


distonie, che insidiano quella sovranità del consumatore, di cui si è
appena parlato, innanzitutto sul piano della circolazione e accessibilità
di corrette informazioni. Queste distorsioni strutturali sono situate a
monte dei mercati e producono i loro effetti perversi in quanto non
vengono percepite dai consumatori; sono inoltre protette da equilibri
che nessuno ha interesse a mettere in discussione: nella quotidianità

ici
queste alterazioni si traducono nella scarsa trasparenza che spesso si
mette in campo da parte dei produttori, con una conseguente mancan-

em
za di corretta informazione per il consumatore; oppure nella possibili-
tà di una vera e propria frode perpetuata ai danni di singoli consuma-

ad
tori; o ancora in un aumento dei prezzi non giustificato.
Insomma, la questione sembra essere giocata tra pochi e ben orga-

cc
nizzati produttori contro tanti e individualizzati consumatori (ivi) ed è
ia
proprio per sopperire a questa sorta di disparità che a partire dalla
prima metà del Novecento nascono dei movimenti che hanno l’obietti-
op

vo di aumentare la coscienza del consumatore e soprattutto superare il


carattere individualistico del suo ruolo, aspetto che ne aumenta la vul-
sc

nerabilità. Una spinta alla formazione di questi movimenti è stata sicu-


ramente data dal fervore politico-sociale che ha caratterizzato l’intero
er

Novecento: le lotte del movimento femminista già a partire dai primi


-p

anni del secolo cominciavano a dare i loro risultati in termini di diritto


di voto4; sempre nello stesso periodo si intensificavano le lotte sinda-
ini

cali per i diritti dei lavoratori, le quali portarono alle prime forme di
sciopero generale e alla nascita e al successivo sviluppo delle prime
r
Ma

sigle sindacali5; nel 1962 la biologa statunitense Rachel Carson, criti-


cando nel suo Silent Spring (Primavera Silenziosa) l’uso indiscrimina-
to che si faceva allora dei pesticidi, favoriva la sensibilizzazione
do

dell’opinione pubblica americana sui temi ambientalisti, con la conse-


lan

guente nascita dei movimenti ecologisti a difesa dell’ambiente. Così i


Ro

                                                            
4
Il primo Paese in Europa a concedere il diritto di voto alle donne fu nel 1918 la Rus-
sia, seguita nel 1928 dalla Gran Bretagna; la Spagna e il Portogallo lo concessero nel
1931, la Francia nel 1944, l’Italia nel 1946. Negli Stati Uniti il diritto di voto per le
donne fu concesso a partire dal 1919.
5
Il primo sciopero generale in Italia risale al 1904 e fu organizzato per dimostrare
solidarietà verso 4 minatori sardi uccisi dalle truppe inviate da Giolitti a sedare una
rivolta proletaria scoppiata per reclamare migliori condizioni lavorative e salari più
alti. Nel 1906, invece, nasce la CGL (Confederazione generale del lavoro), che si tra-
sformerà, nel 1944, nella Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL).
193

primi movimenti sociali prendono forma attraverso delle vere e pro-


prie mobilitazioni di uomini e donne attorno a interessi e speranze
comuni, favorendo la possibilità di mettere in discussione le proble-
matiche sociali, per cercare di individuare e di diffondere il giusto e
l’ingiusto (Neveu, 2001), e per cercare di prendere parte ai processi
decisionali che regolano la vita sociale.
Quanto appena detto vale anche per spiegare la nascita dei movi-

ici
menti che si proponevano la presa di coscienza dell’opinione pubblica
verso i temi legati alla società consumista, al consumo e al consumato-

em
re. Questi movimenti poco a poco si trasformarono in vere e proprie
associazioni organizzate con lo scopo di difendere i consumatori: co-

ad
minciarono così a partire campagne di stampa finalizzate alla sensibi-
lizzazione verso un consumo critico e con l’obiettivo di smascherare i

cc
fenomeni più gravi e più dannosi nei quali si manifesta la strategia di
ia
profitto dell’impresa, «promuovendo la formazione di un soggetto col-
lettivo in grado di influenzare i processi produttivi attraverso giudizi
op

etici mediati dall’agire di mercato quotidiano» (Leonini, Sassatelli,


2008, p. 5). Le associazioni e le esperienze così individuate possono
sc

essere racchiuse sotto un unico macro-movimento, che viene denomi-


nato consumerism, in italiano ‘consumerismo’: si definisce consume-
er

rismo la totalità di quelle azioni, soprattutto se organizzate in politiche


-p

e strategie, con cui si cerca di colpire le distonie situate a monte dei


mercati, mirando in tal modo a modificazioni strutturali del sistema
ini

sociale per produrre avanzamenti in direzione della sovranità del con-


sumatore. Ciò che sta dietro questo concetto è proporre il consumatore
r
Ma

come parte attiva della produzione e come soggetto collettivo che pos-
sa con le sue scelte influenzare le caratteristiche del mercato di riferi-
mento, proponendo modi diversi di interazione tra consumatori e pro-
do

duttori. Si ritorna così a quanto detto a proposito della teoria economi-


lan

ca che vede il consumatore come una sorta di sovrano dei rapporti so-
ciali all’interno del mercato: solo rafforzando questi movimenti e que-
ste pratiche di consumo si possono abbattere le differenze e il forte
Ro

sbilanciamento nella partita giocata (come detto prima) tra i produttori


ben organizzati e i consumatori ancora troppo concentrati nella loro
dimensione individualistica.
Illustrato il quadro generale entro cui ci si muoverà in questo con-
tributo, c’è da dire che lo scopo d’ora in avanti sarà quello di analizza-
re il modo in cui le associazioni a difesa dei consumatori nate sotto la
spinta ‘consumerista’ si muovono per riformulare l’assetto gerarchico
194

che regola il mercato del consumo. Si proporrà un’analisi delle asso-


ciazioni italiane, tenendo in considerazione le attività che esse svolgo-
no come vera e propria lobby, cercando così, da un lato di influenzare
le istituzioni prendendo parte attiva nella definizione dei provvedi-
menti normativi che di volta in volta vengono adottati, e dall’altro di
autolegittimarsi agli occhi dell’opinione pubblica come ‘istituzioni’ a
cui fare riferimento. Inoltre verranno prese in considerazione le attivi-

ici
tà di comunicazione (mediate o dirette) rivolte ai consumatori, le quali
hanno lo scopo di migliorare l’informazione su alcuni aspetti critici, e

em
di promuovere la sensibilizzazione verso un consumo più responsabi-
le. A supporto dell’analisi che qui verrà effettuata, sono state realizzate

ad
alcune interviste per mezzo telefonico o telematico a esponenti delle
associazioni italiane.

cc
ia
7.2 Nascita, sviluppo e regolamentazione
op

delle associazioni dei consumatori


sc

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente le associazioni a difesa


dei diritti dei consumatori sono nate sotto la spinta consumerista del
er

Novecento, quando si capì che l’unica possibilità che aveva a disposi-


-p

zione il consumatore per instaurare un equilibrio di poteri all’interno


del mercato era quella di agire e essere considerato come un unico
ini

grande soggetto collettivo, superando l’individualismo e quindi l’iso-


lamento. Tutto questo al fine di permettere un migliore funzionamento
r
Ma

dei sistemi economici, emarginando le imprese scorrette, consolidando


i diritti del cittadino e promuovendo lo sviluppo economico e sociale.
La nascita di questi movimenti fu sostenuta congiuntamente dall’inte-
do

resse crescente di sociologi ed economisti verso la materia e il consi-


lan

stente aumento dei fenomeni di organizzazione spontanea di consuma-


tori, ma non si tradusse immediatamente nell’adozione di misure legi-
slative che ne potessero regolamentare la natura: «[…] occorrerà un
Ro

lungo periodo di tempo per sensibilizzare l’opinione pubblica e ri-


chiamare l’attenzione dei legislatori sui problemi dei consumatori»
(Alpa, 2008, p. 4). Non sarà compito di questo saggio approfondire le
problematiche legate alle normative vigenti nel diritto interno e nel di-
ritto comunitario riguardanti la tutela dei consumatori: qui ci si limite-
rà alla ricostruzione di un excursus storico riguardante i principali e-
195

lementi che hanno favorito la nascita e la successiva espansione dei


movimenti e delle associazioni in difesa dei consumatori.
Le prime esperienze legate al consumerismo vengono registrate
negli Stati Uniti, e, per quanto detto sinora, non sembra un caso che
sia proprio il Paese in cui si radica precocemente il sistema capitalisti-
co tipico della società dei consumi a essere la patria delle prime forme
di movimento in difesa dei consumatori. Il processo che gradatamente

ici
ha portato alla formazione delle prime associazioni negli USA parte già
nel 1890 quando viene promulgato lo Sherman Act, che aveva lo sco-

em
po di dichiarare reato tutte le azioni tendenti a creare un profitto da
una situazione di monopolio, in modo da aumentare le opportunità di

ad
concorrenza. Col passare degli anni la motivazione di questa legge di-
venne la tutela dei cittadini dalle pratiche commerciali: furono quindi

cc
la lotta al capitalismo aggressivo e alle frodi a provocare questa prima
ia
ondata di consumerism.
Dopo questa prima fase caratterizzata dal riconoscimento a livello
op

normativo di un certo squilibrio di poteri all’interno del mercato, ver-


so la metà degli anni Trenta i consumatori iniziarono a reagire in ma-
sc

niera più consapevole dei propri diritti, riuscendo a ottenere un raffor-


zamento delle leggi che avrebbero combattuto le pratiche commerciali
er

illecite e fraudolente. Risale proprio a questo periodo, di intense prote-


-p

ste della società civile, la nascita dei fenomeni organizzativi che die-
dero vita alle prime riviste nate con l’obiettivo di vigilare sulla qualità
ini

e sui prezzi dei prodotti6. I problemi affrontati da tali associazioni an-


tesignane furono principalmente, da un lato, la necessità di avere più
r
Ma

informazioni da parte del consumatore in modo da aumentarne la con-


sapevolezza nell’atto dell’acquisto, e, dall’altro, quello di avere una
rappresentanza politica che potesse dare forza alle tante voci sparse e
do

ancora disunite del nascente consumerismo. Uno dei passaggi più im-
lan

portanti di questa fase fu la presa di coscienza – anche da parte del le-


gislatore – dell’esistenza di un nuovo soggetto portatore di diritti. Fino
a quel momento, infatti, la legislazione si era concentrata quasi esclu-
Ro

sivamente sulla figura del lavoratore come soggetto meritevole di tute-


la: con l’avvio dei movimenti di consumatori, però, ci fu un allarga-
                                                            
6
In quegli anni nelle case americane cominciò ad essere diffuso un opuscolo informa-
tivo dal nome Care and Repair of the House; inoltre risale al 1927 la pubblicazione
del Consumers’ Research Bulletin, che in soli cinque anni arrivò a 42.000 abbona-
menti, e quando nel 1936 uscì il primo numero di una pubblicazione concorrente,
Consumers Union Reports, la coscienza dei consumatori era ormai una realtà diffusa.
196

mento di prospettiva, e si cominciò a ragionare non più in base ai dirit-


ti dei soli lavoratori, ma in base a quelli della più ampia categoria dei
consumatori. Un ruolo importante in questo cambiamento di visione e
di impostazione fu svolto sicuramente dalle donne, particolarmente
dalle casalinghe, le quali nel periodo degli acquisti di massa erano co-
loro che andavano a fare la spesa, che gestivano i bilanci della fami-
glia e naturalmente erano i soggetti che più di altri soffrivano la quali-

ici
tà scadente dei prodotti e i loro prezzi elevati: in altri termini, furono i
soggetti che prima di altri cominciarono a sviluppare una certa sensi-

em
bilità verso i temi del consumerismo.
Nel vecchio continente invece ci si mosse con un po’ di ritardo ri-

ad
spetto agli Stati Uniti. Le prime organizzazioni di consumatori si pos-
sono rintracciare a partire dal 1947 in Danimarca, ed è del 1955 l’isti-

cc
tuzione in Gran Bretagna del Consumer Council, con il quale il Go-
ia
verno assicurava ai consumatori la possibilità di esprimersi su materie
riservate fino a quel momento esclusivamente a commercianti e pro-
op

duttori. Sulla strada del riconoscimento della titolarità di diritti speci-


fici, tuttavia, la CEE aspettò gli anni Settanta (e quindi all’incirca quin-
sc

dici anni dopo la firma dei Trattati di Roma) per prendere una posizio-
ne specifica riguardo alla tutela dei consumatori. In quegli anni, infat-
er

ti, in seno alla comunità europea ebbe luogo un intenso dibattito sulla
-p

possibilità di estendere il sistema dei diritti e delle relative tutele an-


che alla figura del consumatore; da realizzare attraverso il controllo
ini

legislativo della concorrenza, col fine di fissare limitazioni alle prati-


che produttive e di mercato che operassero a danno dei consumatori
r
Ma

(Alpa, 1995). Questa prima fase si concluse nel 1973 con l’approva-
zione da parte del Consiglio d’Europa del testo definitivo della Carta
europea di protezione dei consumatori, che precisa per la prima volta
do

la definizione di consumatore («ogni persona fisica o morale alla qua-


lan

le siano venduti beni o forniti servizi per uso privato») e ne sancisce i


diritti fondamentali, innanzitutto il diritto alla protezione della salute e
della sicurezza. Successivamente l’Unione Europea perfezionò il si-
Ro

stema legislativo in materia di tutela del consumatore e con il Trattato


di Amsterdam del 1997, all’articolo 153, si arriva all’obbligo per le
istituzioni dell’Unione di tenere conto delle esigenze dei consumatori
nella definizione e nell’attuazione di altre politiche o attività comuni-
tarie e all’obbligo per gli Stati di contribuire al conseguimento di que-
sti obiettivi attraverso l’adozione di misure legislative nel quadro della
realizzazione del mercato interno.
197

Ancora diverso, e di più recente realizzazione rispetto alle altre re-


altà citate, è il passaggio che ha portato alla normativa della tutela del
consumatore in Italia. La regolamentazione di questo settore infatti era
in principio delegata alle singole Regioni7, che avevano l’autorità di
varare le proprie politiche di promozione e regolamentazione del
commercio, ognuna valida nel proprio territorio di competenza. Verso
la fine degli anni Ottanta si susseguono così le leggi «in materia di as-

ici
sistenza e tutela dei consumatori» dell’Abruzzo, della Lombardia, del
Veneto, del Piemonte, della Toscana, delle Marche e dell’Umbria, e

em
nei primi anni Novanta queste esperienze vengono adottate anche dal-
le altre Regioni italiane. Un aspetto importante di queste leggi è rap-

ad
presentato dal fatto che ogni Regione cominciò a dotarsi di un «elen-
co/registro delle Associazioni consumatori-utenti» ritenute idonee,

cc
sulla base di specifici requisiti, per accedere ai contributi regionali e
ia
per essere rappresentate nella Consulta e nelle commissioni, comitati,
gruppi di lavoro regionali dove è prevista la rappresentanza di tali ca-
op

tegorie di cittadini (Alpa, Levi, 2001). Si comincia così a dare un vero


e proprio assetto istituzionale a quelli che fino a quel momento erano
sc

semplici movimenti spontanei di consumatori che cercavano di auto-


rappresentarsi.
er

Solamente a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, sotto


-p

la spinta delle normative che intanto arrivavano dall’Unione Europea,


l’ordinamento della tutela dei consumatori comincia ad avere un respi-
ini

ro nazionale anche in Italia: viene promulgata infatti nel 1998 la legge


generale sui diritti dei consumatori e degli utenti (Legge 30 luglio
r
Ma

1998, n. 281), considerata a tutti gli effetti l’atteso bill of rights dei
consumatori nell’ordinamento italiano (ivi). Bisogna però aspettare il
2005 per l’entrata in vigore di un vero e proprio Codice del consumo
do

(varato attraverso il Decreto Legislativo 6 Settembre 2005, n. 206, re-


lan

cante il riassetto della normativa posta a tutela del consumatore), nel


quale sono confluiti i principali passaggi normativi che, in maniera
segmentaria, avevano regolato la materia fino a quel momento.
Ro

L’approvazione del Codice segna una pietra miliare nella tutela dei
consumatori italiani soprattutto per la rilevanza che il nuovo ordina-
mento assume in politica del diritto: l’opera di riassetto attivata dal
Codice assume come filo conduttore tutte le fasi del rapporto di con-
                                                            
7
Le deleghe vennero attribuite alle Regioni attraverso il DPR 24 luglio 1977 n. 616
(Alpa, 2001).
198

sumo, dalla pubblicità alla corretta informazione, dal contratto, alla


sicurezza dei prodotti, fino all’accesso alla giustizia e alle associazioni
rappresentative dei consumatori.
Un passaggio importante contenuto inizialmente nella Legge
281/1998, e successivamente confluita nel Codice del consumo, ri-
guarda la creazione del CNCU (Consiglio Nazionale Consumatori e U-
tenti), un organo rappresentativo delle associazioni dei consumatori e

ici
degli utenti a livello nazionale, del quale fanno parte i rappresentanti
delle associazioni dei consumatori riconosciute8 e un rappresentante

em
delle Regioni e delle Province autonome. Il CNCU ha sede presso il
Ministero dello Sviluppo Economico e si propone come obiettivo il

ad
miglioramento e il rafforzamento della posizione del consumatore-
utente all’interno del mercato. I compiti del Consiglio sono quelli di

cc
esprimere pareri, formulare proposte, promuovere studi e ricerche e
ia
favorire l’accesso dei consumatori alla giustizia. Nonostante il CNCU
sia oggetto di alcune critiche dovute principalmente alla sua colloca-
op

zione presso un ministero economico, bisogna riconoscere che l’istitu-


zione di questo organismo consultivo fa sì che le istanze dei consuma-
sc

tori e delle loro associazioni siano portate all’attenzione del Governo e


siano oggetto di analisi e di confronto con le esigenze dei produttori,
er

continuando e legittimando così presso l’opinione pubblica quel pro-


-p

cesso di istituzionalizzazione delle associazioni cominciato con le


prime esperienze degli elenchi regionali.
ini

Come abbiamo già visto, in alcune esperienze la regolamentazione


normativa della materia arrivò piuttosto in ritardo rispetto alla forma-
r
Ma

zione delle prime esperienze di associazionismo: lo stesso successe


anche in Italia. Se è vero che il Codice del consumo venne varato so-
lamente nel 2005, è anche vero che la nascita della prima associazione
do

dei consumatori italiana risale al lontano 1955, quando, grazie all’ini-


lan

ziativa di Vincenzo Dona venne formata l’Unione Nazionale Consu-


matori. L’associazione nacque come evoluzione di un’associazione
romana di utenti dei servizi pubblici, e si propose da subito l’obiettivo
Ro

di rappresentare la voce dei consumatori, allora ancora privi di rappre-


sentanza. Mentre, infatti, il cittadino-lavoratore cominciava ad avere
                                                            
8
Attualmente le Associazioni che fanno parte del CNCU sono 17: Acu, Adiconsum,
Adoc, Adusbef, Altroconsumo, Assoutenti, Casa del consumatore, Centro tutela con-
sumatori e utenti-Bolzano, Cittadinanzattiva, Codacons, Codici, Confconsumatori,
Federconsumatori, Lega Consumatori, Movimento Consumatori, Movimento Difesa
del Cittadino, Unione Nazionale Consumatori (si veda il sito ufficiale del CNCU).
199

diritti sempre più forti, il cittadino-consumatore era ancora poco preso


in considerazione dalla legislazione, con la conseguente mancanza di
protezione di fronte alle frodi commerciali molto frequenti in quegli
anni. La nascita dell’Unione Nazionale Consumatori, e la sua succes-
siva espansione9, dopo qualche anno diede il via allo sviluppo dell’as-
sociazionismo anche in Italia: nel 1973, dopo una battaglia civile per
la revisione dei foglietti informativi dei medicinali, nasce il Comitato

ici
Difesa Consumatori (successivamente diventato Altroconsumo); nel
1976 partono una serie di campagne a difesa dei consumatori denomi-

em
nate ‘guerra alla Sip’, che portarono alla formazione, nel 1986, del CO-
DACONS (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’am-

ad
biente e dei diritti degli utenti e dei consumatori); nel 1977 nasce la
Lega Consumatori ACLI, con l’obiettivo principale di educare i cittadi-

cc
ni alla gestione del bilancio familiare, all’autotutela della salute e alle
ia
scelte di alimentazione. Dopo queste esperienze il consumerismo co-
minciò a diventare così importante che negli anni Ottanta anche le
op

principali sigle sindacali cominciarono a dotarsi di proprie associazio-


ni: nel 1987 la CISL crea l’Adiconsum, alla quale fanno seguito, nel
sc

1988, le nascite dell’ADOC, Associazione nazionale per la difesa e l’o-


rientamento dei consumatori, e della Federconsumatori, associazioni
er

nate sotto l’impulso rispettivamente di UIL e CGIL.


-p

Elemento di congiunzione di tutte queste associazioni è la promo-


zione, la rappresentanza e la difesa degli interessi dei consumatori, at-
ini

tuate perseguendo attività di sostegno, formazione e informazione nei


confronti dei cittadini che molto spesso si trovano indifesi e disorien-
r
Ma

tati rispetto alle truffe e a quelle che nel paragrafo precedente sono
state definite le distonie del mercato. L’importanza di questi obiettivi
così definiti sta nella ricerca che questi si propongono di creare una
do

tendenza contraria rispetto a quella predominante nel tessuto sociale


lan

italiano, e che pensa i cittadini come fautori del proprio destino: molto
spesso, infatti, c’è la convinzione da parte dei cittadini che la colpa di
una qualsiasi frode sia dovuta alla poca accortezza di chi vi è incappa-
Ro

to piuttosto che alla malafede di chi l’ha macchinata. Le associazioni


dei consumatori da sempre cercano di ribaltare questa forma mentis
così diffusa nella società, mirando a sanzionare i soggetti che falsano
il mercato approfittando della buona fede dei consumatori, e cercando
                                                            
9
Nel 1973 l’UNC poteva già contare su 50.000 soci paganti, numero che per molti anni
nessuna associazione italiana riuscì a raggiungere.
200

di proporsi agli occhi del cittadino come istituzione verso la quale po-
ter fare riferimento nelle controversie con gli attori scorretti presenti
nel mercato.
Nonostante il ritardo con cui sono nate le prime esperienze di as-
sociazionismo, con la successiva espansione della regolamentazione
del sistema consumerista in Italia, e nonostante i limiti di sensibilità e
consapevolezza dell’opinione pubblica italiana, non si deve commette-

ici
re l’errore di considerare il movimento italiano inferiore a livello di
‘potenza di fuoco’ rispetto agli altri Paesi europei. Anzi, grazie soprat-

em
tutto all’approvazione del Codice del consumo nel 2005, l’Italia è riu-
scita a dotarsi di una legislazione più raffinata e impegnata in difesa

ad
del consumatore. Se a questo aggiungiamo il continuo lavoro sul cam-
po effettuato grazie ai numerosi sportelli informativi presenti nel terri-

cc
torio, presso i quali lavorano operatori del settore e volontari, si capi-
ia
sce come il sistema consumerista italiano stia lavorando in maniera
efficiente per recuperare la strada persa negli anni rispetto agli altri
op

Paesi.
sc

7.3 Le associazioni dei consumatori come grass-roots lobbies


er
-p

Abbiamo visto la nascita, lo sviluppo e gli obiettivi che si propongono


le associazioni dei consumatori. Cominciamo adesso ad addentrarci in
ini

quelle che sono le attività svolte per incrementare i meccanismi di


rappresentanza e tutela del consumatore. Come già detto, una delle at-
r
Ma

tività più importanti, se non la più importante, riguarda l’attivazione di


tutta una serie di ‘pressioni’ verso le istituzioni in modo da influenzare
le loro scelte. Questa attività ricalca uno dei fondamenti storici dei
do

primi movimenti consumeristi, e cioè quello di dare la possibilità al


lan

consumatore di essere riconosciuto come soggetto facente parte del


sistema produttivo. Ritorna così ancora una volta lo scopo principale
dell’associazionismo e dei movimenti della prima ora, e cioè quello di
Ro

fare del consumatore un attore collettivo, in modo da implementarne


la forza difensiva.
Le associazioni operanti all’interno del panorama italiano collabo-
rano da sempre con le istituzioni per rafforzare la tutela del consuma-
tore e, anche nella stesura delle principali norme che regolano il con-
sumerismo in Italia, le associazioni dei consumatori hanno avuto un
importante ruolo di stimolo prima, e di concertazione e partecipazione
201

diretta poi. La già citata Legge 281/1998, infatti, rappresenta non solo
il distillato delle azioni di tutela che le associazioni mettevano in cam-
po già dalle prime esperienze, ma fu anche preceduta da tutta una serie
di audizioni in cui le associazioni portavano al legislatore le loro ri-
chieste e le loro esigenze. Negli anni seguenti alla stesura della Legge
281, la partecipazione delle associazioni dei consumatori nei processi
decisionali si evolve sensibilmente, grazie anche al già citato CNCU, il

ici
quale può essere considerato a tutti gli effetti il ‘parlamentino’ del
consumerismo italiano: grazie alla creazione di questo organo, infatti,

em
le associazioni dei consumatori sono riuscite a inserirsi nel dibattito
normativo come veri e propri stakeholders con i quali le istituzioni

ad
hanno dovuto instaurare un confronto diretto, per conoscerne i pareri e
le esigenze, e per tenerne conto nel momento in cui sono state prese

cc
decisioni. In questo modo le associazioni, singolarmente o collettiva-
ia
mente con il CNCU, hanno seguito passo dopo passo la genesi del Co-
dice del consumo del 2005, fornendo molto materiale di lavoro alla
op

commissione e sedendo ai tavoli di confronto al pari di gruppi di inte-


resse già consolidati come Confindustria e le principali sigle sindacali.
sc

Certo esiste ancora una lacuna nel rapporto istituzionale tra il Go-
verno e le associazioni dei consumatori, poiché queste ultime non
er

vengono stabilmente chiamate a partecipare ai tavoli di concertazione


-p

tra l’esecutivo e le parti sociali. Tuttavia, il riconoscimento sociale,


politico-istituzionale e mediale della loro rappresentanza è notevol-
ini

mente cresciuto.
In tal senso, le associazioni dei consumatori possono essere consi-
r
Ma

derate delle lobby ‘generaliste’, non tanto per la loro scarsa specializ-
zazione, quanto piuttosto perché gli interessi a cui queste fanno rife-
rimento sono interessi pubblici e generali, che riguardano sostanzial-
do

mente tutta la popolazione (tutti i cittadini nella veste di consumatori).


lan

Attingendo dalla terminologia e dall’esperienza americana, l’attività


delle lobby così individuate può essere anche definito grass-roots lob-
bying. Questo tipo di lobbismo (definito anche people’s lobbying) cer-
Ro

ca di implementare il coinvolgimento dei cittadini nei processi deci-


sionali delle istituzioni ai vari livelli, e spesso esercita una pressione
sull’opinione pubblica ancor prima che sul legislatore.
Senza approfondire il delicato discorso legato al lobbismo, ci limi-
teremo qui a ragionare sulla reale fattibilità del considerare le associa-
zioni dei consumatori delle grass-roots lobbies.
202

Vale la pena di proporre una precisazione. In linea di massima si


può affermare che le più importanti attività che vengono svolte dai
gruppi di pressione riguardano principalmente il portare a conoscenza
del legislatore, o di qualsivoglia decision maker, determinati problemi
o situazioni, e cercare di difendere gli interessi che ne derivano. Tali
interessi, però, possono essere sia pubblici (ossia generali) che privati
(ossia particolari): le specifiche tecniche delle lobby possono essere

ici
usate «sia per difendere interessi privati o di corporazione, che per
campagne di azione civica a cura dell’associazionismo libero su obiet-

em
tivi e temi di pubblica utilità» (Trupia, 1989, p. 157). Il grass-roots
lobbying si occupa esattamente di questi ultimi, facendo della natura

ad
sociale della propria agenda un tratto caratterizzante. Ma qual è il con-
fine entro il quale stabilire quelli che sono i temi di pubblica utilità, e

cc
che fanno diventare le lobby in questione lobby di pubblico interesse?
ia
Ci sembra di dover assumere come valida la risposta per cui la natura
di associazioni dedite al pubblico interesse viene stabilita attraverso
op

due variabili: a) l’apertura di tali gruppi all’ingresso di nuovi associati;


b) l’operare di questi attorno a issue socializzanti, che riguardano, cioè,
sc

l’intera collettività, e ne aggregano attenzione e coinvolgimento (ivi).


In base a quanto appena stabilito, possiamo quindi definire le as-
er

sociazioni dei consumatori delle grass-roots lobbies, ossia gruppi di


-p

pressione che curano pubblici interessi? Per quanto riguarda la loro


apertura alle nuove adesioni, le associazioni in questione gestiscono
ini

con trasparenza e con la massima disponibilità l’ingresso di nuovi so-


ci; inoltre, fanno proprio delle denunce provenienti dalla società civile
r
Ma

il loro punto di forza, coinvolgendo i cittadini nelle loro attività di tu-


tela del consumatore. In ordine al secondo punto, come detto, le asso-
ciazioni cercano di attivare nei tavoli di confronto con le istituzioni la
do

rappresentanza degli interessi dei consumatori tutti.


lan

Grazie al tipo di azioni che le associazioni dei consumatori pren-


dono in prestito dai gruppi di pressione e dal lobbismo, queste riesco-
no a perseguire due importanti obiettivi: il primo, come detto, è quello
Ro

di innalzare il consumatore a soggetto collettivo per aumentare la for-


za delle sue istanze; il secondo consiste nel divenire una ‘istituzione’ a
cui tutti i cittadini possano fare costantemente riferimento. Ovviamen-
te, come si vedrà, implica anche un terzo obiettivo: quello di instaura-
re una relazione stabile con i mezzi d’informazione.
Lo scetticismo che in Italia avvolge la materia consumerista costi-
tuisce un ostacolo; ma le associazioni dei consumatori cercano di in-
203

nalzare il livello di fiducia dei cittadini verso se stesse. Per attivare


questa controtendenza, e per dimostrare la loro forza, spesso le asso-
ciazioni si inseriscono nel dibattito pubblico indicando, attorno a de-
terminate issue, proposte alternative rispetto a quelle che vengono fuo-
ri dai canali istituzionalizzati (istituzioni, partiti, sindacati e grandi
gruppi imprenditoriali). Si tratta di conquistarsi una legittimità ad agi-
re come partner stabile della concertazione sugli interventi di politica

ici
economica, sui provvedimenti di tutela ecc. Ciò non può avvenire se
le associazioni non acquisiscono visibilità e credibilità nel dibattito

em
pubblico, attraverso e nei media. Ed è di questo che ci si occuperà più
approfonditamente nel prossimo paragrafo. Comunque, va sottolineato

ad
che tra la natura di attori della concertazione delle politiche economi-
che e quella di attori del dibattito pubblico vi è un legame molto stret-

cc
to, anche se la visibilità sui media comporta problemi specifici, che
ia
non la rendono un fatto ‘automatico’.
Federconsumatori e ADUSBEF, qualche anno fa, ottennero una si-
op

gnificativa visibilità attraverso la contestazione del tasso di inflazione


pubblicato dall’ISTAT, e in particolare sul metodo in cui questo veniva
sc

calcolato. Un episodio legato a questa controversia risale agli anni


2008 e 2009, quando l’ISTAT inserì nuovi beni e servizi nel paniere u-
er

sato per calcolare la variazione dei prezzi. La critica delle associazioni


-p

si basò proprio su questo aspetto, poiché, nella loro valutazione, non


sarebbe stato l’inserimento di nuove voci a conferire maggiore atten-
ini

dibilità alla misurazione dell’inflazione, il cui dato era distorto a causa


della sottostima effettuata su determinate voci di spesa10. Individuando
r
Ma

un proprio paniere, le associazioni calcolarono un tasso di inflazione


alternativo (ad esempio, nel 2008 era stimato al 5,9%, a fronte di un
tasso ufficiale ISTAT del 3,3%). Le associazioni si proponevano così
do

come punto di riferimento alternativo per la società civile e per i mez-


lan

zi d’informazione su questioni sensibili, come possono essere appunto


le issue economiche, specialmente in tempi di crisi. Capitalizzando
tale reputazione e istituzionalizzazione, le associazioni dei consumato-
Ro

ri possono affacciarsi con accresciuta autorevolezza ai grandi tavoli di

                                                            
10
In un comunicato stampa congiunto, Federconsumatori e ADUSBEF individuarono
queste spese nei costi dell’abitazione e nei servizi finanziari e assicurativi, come ad
esempio i costi sulla RCA.
204

concertazione della politica economico-finanziaria, come nel caso del-


le cosiddette manovre11.
La vicenda della contestazione del tasso ISTAT di inflazione è solo
uno degli aspetti emersi e assurti a notorietà, proveniente da una molto
più vasta attività di ricerca e indagine sul mercato, sul mondo del con-
sumo e sul comportamento delle imprese. Elementi caratteristici di ta-
le attività (divenuta parte primaria del consumerismo nel mondo occi-

ici
dentale e anche fonte di notevole fama) consiste nel produrre test
comparativi sui prodotti in commercio in un determinato settore mer-

em
ceologico, valutandone le proprietà di maggiore rilevanza rispetto ai
diritti dei consumatori. Sulla pubblicazione di tali test, ad esempio, si

ad
è largamente basata la linea editoriale della rivista Altroconsumo. Le
attività di ricerca si estendono poi ad altri oggetti d’indagine, sia sotto

cc
forma di monitoraggio sistematico che sotto forma di ‘inchieste spot’.
ia
Appare chiaro come la produzione di dati e informazioni di questo ti-
po abbia finalità di lungo periodo concernenti l’accreditamento delle
op

associazioni nel mondo dell’informazione e, per conseguenza, nel di-


battito pubblico.
sc

Le attività cosiddette di ‘pressione’, pertanto, non si concentrano


esclusivamente sulle istituzioni, ma anche sulle imprese, soprattutto
er

quelle che erogano servizi piuttosto che beni: un altro filone ‘lobbista’
-p

di interventi, infatti, vede le associazioni dei consumatori attivarsi per


l’avvio di inchieste legate al monitoraggio dei servizi offerti da enti
ini

privati o misti, con l’obiettivo di individuare eventuali ‘trappole’ per il


consumatore. Tali inchieste di solito sono accompagnate da denunce
r
Ma

sui media, che obbligano le imprese coinvolte a ritornare sui propri


passi adeguando scelte e comportamenti in base alle rivendicazioni dei
do

                                                            
11
Un esempio alquanto recente di questa operazione si è mostrato in occasione della
lan

manovra economica proposta dal Governo Berlusconi nel maggio 2010. La manovra
prevedeva un introito di 24 miliardi che sarebbero entrati nelle casse dello Stato spal-
Ro

mati in due anni. La legge in questione venne subito criticata da Rosario Trefiletti,
presidente Federconsumatori, e Elio Lannutti, presidente di ADUSBEF – Associazione
Difesa Utenti Servizi Bancari e Finanziari, nata nel 1987 e specializzata nel settore
bancario, finanziario e assicurativo – in quanto si ravvisava una scarsa equità e una
forte incidenza economica per i soli cittadini, e più in generale per il ceto medio. I
rappresentanti delle associazioni, però, non si fermarono qui: misero subito a punto
una contro-manovra da 52 miliardi, che non toccava pensionati e lavoratori, ma si
concentrava principalmente su «evasori, banchieri, assicuratori e riciclatori», e, più in
generale, sui soggetti che negli ultimi anni, secondo le associazioni, avevano incre-
mentato il loro profitto attraverso azioni al limite della legalità.
205

consumatori. Inoltre, il passo successivo di queste attività, molto spes-


so, è il passaggio dall’inchiesta all’advocacy (cioè all’azione legale):
quando viene accertato un caso di scarsa trasparenza o di violazione
delle garanzie contrattuali, le denunce vengono rivolte alle autorità ga-
ranti, che possono decidere di multare le imprese in questione per ave-
re avuto un comportamento non corretto. Una vicenda emblematica da
questo punto di vista riguarda gli operatori telefonici Tim e Vodafone,

ici
i quali, dopo un’inchiesta portata avanti da Altroconsumo, vennero ac-
cusati di scarsa trasparenza nell’aumento delle tariffe. I risultati

em
dell’inchiesta vennero denunciati all’Antitrust (Autorità garante della
concorrenza e del mercato), che decise di sanzionare le due compagnie

ad
telefoniche con 500 mila euro ciascuna per «modifica unilaterale e si-
stemica dei piani tariffari senza fornire adeguate informative al con-
sumatore»12.
cc
ia
Oltre a quelle che si possono definire azioni di ‘contrasto’, come
quella di cui abbiamo appena parlato, però, ci sono anche azioni di
op

pressione – sempre verso le imprese che in un certo senso possono


sc

definirsi positive in quanto mirano a una tutela preventiva. Battaglie


‘contro’, condotte a difesa degli utenti o degli azionisti sono entrate
er

nella storia del consumerismo italiano. Ne sono esempi eccellenti


quelle che hanno portato ai rimborsi delle vittime dei fallimenti Par-
-p

malat, Cirio e Giacomelli, grazie alle quali i risparmiatori hanno recu-


perato centinaia di migliaia di euro; oppure quelle per lo stop agli ad-
ini

debiti truffaldini sulle bollette telefoniche dei servizi 899. È anche ve-
ro, però, che anche altri interventi hanno segnato una significativa vit-
r
Ma

toria per il consumerismo: si tratta di azioni preventive, come le aboli-


zioni delle penali da pagare in caso di estinzione dei mutui (raggiunta
dopo la decisione del Parlamento di affidare la materia a un accordo
do

ABI-CNCU); o anche la stesura, in collaborazione con l’Ordine dei No-


lan

tai, di importanti Guide su temi fondamentali per il cittadino come


l’acquisto dell’abitazione13.
Le azioni che abbiamo appena definito ‘preventive’ riguardano an-
Ro

che gli accordi che le associazioni dei consumatori fanno con determi-
nate aziende, sedendo a molti tavoli di confronto per informare i Con-
sigli di amministrazione delle imprese sulle esigenze dei consumatori.

                                                            
12
Fonte: comunicato stampa Altroconsumo del 16 febbraio 2009.
13
Le esperienze in questione ci sono state segnalate dall’ufficio stampa dello stesso
CNCU.
206

Spesso questo dialogo, soprattutto con le aziende che erogano servizi


pubblici, si traduce nell’affidamento alle associazioni di determinati
compiti, come ad esempio quello di monitorare l’efficacia e la qualità
dei servizi offerti in modo da aumentarne il livello. Questa funzione
viene stabilita da norme interne alle aziende e in particolare dalle Car-
te dei servizi. In questo modo le associazioni riescono a ottenere un
controllo costante non solo dei servizi, ma anche del comportamento

ici
delle stesse aziende e, grazie anche agli accordi di conciliazione con le
imprese, riescono attivamente a risolvere molti contenziosi in modo

em
rapido ed economico per il consumatore. Uno dei principali accordi di
conciliazione degli ultimi anni riguarda quello tra le associazioni fa-

ad
centi parte del CNCU e Trenitalia: il Protocollo d’intesa, che in fase
sperimentale si riferiva al periodo dal 1 gennaio 2009 al 1 gennaio

cc
2010, prevedeva un accordo col quale le parti si impegnavano a com-
ia
porre in maniera amichevole le eventuali controversie insorte tra la
stessa Trenitalia e gli utenti dei servizi da essa offerti. Il meccanismo
op

prevedeva che i reclami dei viaggiatori dovessero essere valutati da


una commissione composta da un rappresentante di Trenitalia e da un
sc

delegato dell’Associazione dei consumatori scelto dal consumatore


stesso a rappresentanza delle proprie ragioni. Gli esiti positivi della
er

fase sperimentale permisero la stesura di un nuovo Protocollo d’intesa


-p

con l’obiettivo di estendere e semplificare la conciliazione e di rendere


più efficace lo strumento per la risoluzione extragiudiziale delle con-
ini

troversie tra i viaggiatori e l’azienda.


r
Ma

7.4 Come comunicano le associazioni dei consumatori


do

Fin qui abbiamo prevalentemente parlato delle azioni rivolte alle isti-
lan

tuzioni e agli attori del mercato. Vediamo adesso come le associazioni


svolgono un’altra attività altrettanto importante, non separabile e anzi
fortemente integrata con quella lobbistica e di advocacy, e cioè quella
Ro

della comunicazione verso l’esterno, e in particolar modo verso il con-


sumatore. Se infatti è vero che le attività di pressione sono importanti
per garantire la necessaria rappresentanza dei consumatori, è anche
vero che le associazioni stesse necessitano di comunicare le loro atti-
vità di pressione, le loro inchieste e il monitoraggio, in modo da ri-
spondere a due necessità: quella di informare i cittadini sull’evoluzio-
ne del mercato e sulle potenziali trappole che vi si insidiano, e quella
207

di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi del consumerismo e più


in generale sull’attivazione di meccanismi legati a un consumo più re-
sponsabile. Per fare questo le associazioni dei consumatori si affidano
a due tipi di comunicazione, quella rivolta direttamente ai consumatori
e quella mediata dai mezzi di informazione.
Le associazioni, infatti, sono in costante contatto con i principali
canali di informazione e con i giornalisti, in un rapporto che viene sol-

ici
lecitato a volte dall’una, a volte dall’altra parte. Non sono i soli gior-
nalisti a contattare i rappresentanti delle associazioni, ma sono anche

em
quest’ultimi che, grazie alla diffusione di comunicati stampa che ven-
gono successivamente ripresi dai mezzi d’informazione, riescono a

ad
richiamare l’attenzione dei media sui temi consumeristi e a ottenere
quella visibilità di cui necessitano. Da questo punto di vista risulta
molto importante l’esperienza di Help Consumatori. Help Consumato-
cc
ia
ri è un’agenzia online di informazione nata nel 2004 da un progetto
del Ministero dello Sviluppo Economico – grazie anche alle pressioni
op

rivolte a questo dal Movimento Difesa del Cittadino, e più in partico-


lare dal suo presidente Antonio Longo – con l’obiettivo di far circolare
sc

le notizie consumeriste. Nonostante il progetto prevedesse inizialmen-


te una scadenza, vista la sua riuscita si è deciso di continuare a fornire
er

informazioni tramite questo strumento. Attualmente l’agenzia, gestita


-p

da Consumedia (una società cooperativa) e a partire dal 2009 affianca-


ta da un comitato editoriale composto da membri di tredici tra le mag-
ini

giori associazioni di consumatori italiane14, riesce a rivolgersi ai mass


media, alle istituzioni nazionali e locali, all’associazionismo consume-
r
Ma

rista, al mondo sindacale, ai partiti politici e più in generale a tutti i


cittadini che si registrano sul portale www.helpconsumatori.it. Suppor-
tata da questa struttura, Help Consumatori è in grado di svolgere una
do

funzione di veicolo dell’informazione consumerista a 360 gradi, rap-


lan

presentando i punti di vista e le iniziative di tutti i soggetti che a vario


titolo hanno da dire o fanno qualcosa nell’universo del consumo, dalle
istituzioni alle aziende, dalle associazioni ai cittadini, caratteristica che
Ro

                                                            
14
Ne fanno parte: Pietro Giordano (Adiconsum), Flavio Mollicone (Adoc), Liliana
Cantone (Altroconsumo), Mario Finzi (Assoutenti), Giovanni Ferrari (La casa del
consumatore), Liliana Ciccarelli (Cittadinanzattiva), Mara Colla (Confconsumatori),
Rita Battaglia (Federconsumatori), Lorenzo Miozzi (Movimento Consumatori), Anto-
nio Longo (Movimento Difesa del Cittadino), Pietro Praderi (Lega Consumatori),
Massimiliano Dona (Unione Nazionale Consumatori). Fonte: sito ufficiale Help Con-
sumatori.
208

ne fa non solo l’agenzia di informazione per eccellenza delle associa-


zioni dei consumatori, ma anche lo strumento di informazione online
più diffuso e più importante nel panorama consumerista italiano.
Il rapporto che in questo modo si può venire a creare tra i giornali-
sti e i rappresentanti delle associazioni spesso fa sì che questi ultimi
vengano chiamati a presenziare alle trasmissioni televisive e radiofo-
niche più sensibili ai temi concernenti la tutela del consumatore, por-

ici
tando le esperienze maturate nel campo dell’attivismo e presentandosi
come veri e propri esperti a cui fare riferimento sulle materie econo-

em
miche e del consumo. A volte è proprio questa loro specializzazione a
rappresentare per il giornalista una fonte di stimolo a contattare le as-

ad
sociazioni dei consumatori: è questo il caso della già citata ADUSBEF,
che, specializzata nei servizi bancari e finanziari, spesso viene chiama-

cc
ta in causa quando c’è da discutere su questi temi, i quali sono di diffi-
ia
cile comprensione non solo per il cittadino ma spesso anche per lo
stesso giornalista.
op

Dunque la tutela del consumatore sta diventando un aspetto molto


importante anche tra gli addetti all’informazione.
sc

Intanto, va sottolineato il fatto che i programmi televisivi e le ru-


briche a stampa incentrati sulla promozione e difesa dei diritti dei con-
er

sumatori, o ancora più basilarmente sull’educazione al consumo re-


-p

sponsabile, sono proliferati nell’ultimo decennio e sono divenuti un


genere consolidato nel panorama dell’informazione. Anche i media
ini

diventano paladini del consumatore, advocates delle cause del consu-


merismo: il che dimostra il tentativo, da parte del mondo della comu-
r
Ma

nicazione, non solo di promuovere ma anche di assecondare un cam-


biamento culturale in atto.
Sempre più spesso programmi come Mi manda Rai tre, Comin-
do

ciamo Bene, Occhio alla spesa (tutti nel palinsesto della Rai) cercano
lan

di ampliare la loro offerta di approfondimento informativo affiancando


ai classici ospiti in studio – quali politici, sindacalisti, rappresentanti
istituzionali – gli esperti del consumerismo, che continuano così a per-
Ro

seguire l’obiettivo di creare attorno a sé la percezione di affidabilità


data dalla competenza e dall’impegno concreto.
Come detto, però, oltre alla comunicazione mediata c’è anche
quella indirizzata direttamente al cittadino, e nello specifico al consu-
matore. È questo il caso delle campagne informative, che, molto spes-
so, oltre a essere veicolate sui media, vengono diffuse attraverso il la-
voro ‘sul campo’, grazie a banchetti presenti nelle principali piazze;
209

oppure attraverso i numerosi sportelli informativi sparsi sul territorio.


Ogni associazione, infatti, ha delle sedi locali che utilizza non solo
come quartier generale per la pianificazione delle strategie da attuare
localmente, ma anche come punto di riferimento per le eventuali de-
nunce da parte dei cittadini.
Quello degli sportelli risulta essere un aspetto chiave, anche a li-
vello comunicativo, perché molte delle problematiche che possono

ici
sorgere per i consumatori nelle varie città (orari dei negozi non rispet-
tati, l’aumento dei prezzi nei supermercati, la spazzatura che non vie-

em
ne raccolta) influiscono direttamente nella vita quotidiana delle perso-
ne e spesso «diventano occasioni di battaglie che sono molto più effi-

ad
caci e molto più visibili di quelle nazionali»15.
Come si può notare anche nel caso dell’agenzia online, le associa-

cc
zioni dei consumatori sono anche molto attente a mantenere una solida
ia
comunicazione con il cittadino attraverso l’utilizzo di Internet. Tutte le
associazioni hanno un proprio sito all’interno del quale il consumatore
op

può mantenersi informato sull’evoluzione del mercato dei beni e dei


servizi, grazie anche all’iscrizione gratuita alle newsletters offerte. Il
sc

sito Internet, oltre a essere anche un ottimo mezzo di diffusione delle


campagne informative di cui abbiamo appena parlato, permette inoltre
er

di utilizzare un importante strumento per sensibilizzare i cittadini ver-


-p

so i temi del consumerismo e per mobilitare il mondo del consumeri-


smo: è questo il caso delle petizioni online, grazie alle quali si riesce a
ini

mettere in atto una partecipazione alla cosa pubblica che parta dal bas-
so garantendo un elevato grado di coinvolgimento del consumatore e
r
Ma

del cittadino.
Un altro strumento di comunicazione molto importante risulta es-
sere quello delle pubblicazioni, siano esse redatte sotto forma di fogli
do

informativi, riviste o guide per il consumatore. In queste pubblicazioni


lan

le associazioni inseriscono i principali risultati delle azioni di monito-


raggio svolte, fornendo pareri, commenti e informazioni utili al citta-
dino per imparare a riconoscere le ‘trappole’ e a saperle evitare. Spes-
Ro

so queste pubblicazioni diventano un supporto fondamentale per vei-


colare le campagne di cui si fanno carico le associazioni: «[…] duran-
te tutta la durata della campagna la maggior parte delle attività dell’as-
sociazione si focalizzano su quel determinato argomento e anche le
                                                            
15
Dall’intervista ad Antonio Longo, presidente Movimento Difesa del Cittadino, rea-
lizzata nel mese di luglio 2010.
210

riviste contengono mensilmente articoli sul tema dell’anno»16. Per ri-


spondere a questa esigenza risulta essere molto importante anche l’uti-
lizzo degli opuscoli informativi: ad esempio nel marzo del 2010, a
supporto della campagna che la vedeva impegnata sulla sicurezza ali-
mentare, l’Unione Nazionale Consumatori ha presentato un opuscolo
dal titolo Conosci le etichette, all’interno del quale erano inserite in-
formazioni utili per riconoscere un buon prodotto – dal latte al vino,

ici
dal pane alla pasta, dalle uova ai formaggi – partendo appunto dalla
lettura delle informazioni contenute nelle etichette.

em
ad
7.5 Conclusioni

Nel presente contributo, dopo un’introduzione storica e concettuale,


cc
ia
abbiamo cercato di analizzare l’operato delle associazioni dei consu-
matori, individuando i meccanismi che queste mettono in atto per im-
op

plementare la tutela del consumatore e degli utenti. Un discorso che in


queste ultime pagine si vuole affrontare riguarda per così dire i risulta-
sc

ti che l’associazionismo consumerista ha ottenuto nel corso degli anni,


e quelli che ancora deve ottenere. Un primo aspetto concerne il fatto
er

che le lotte per il consumatore e per il cittadino che le associazioni


-p

hanno svolto, e che continuano a svolgere, possono essere considerate


a tutti gli effetti il punto di partenza di molti cambiamenti sociali av-
ini

venuti all’interno della società italiana; così come è avvenuto e sta av-
venendo nelle altre società industriali avanzate. Come abbiamo visto
r
Ma

sia i media che le istituzioni, anche se in maniera timida, sono sempre


più vicini ai temi consumeristi e alle rivendicazioni che provengono
dai consumatori. A questi, soprattutto negli ultimi anni, si sono ag-
do

giunte anche le stesse aziende, avviando quella che viene definita la


lan

‘responsabilità sociale d’impresa’, e cioè la manifestazione della vo-


lontà delle imprese di gestire efficacemente le problematiche d’impat-
to sociale e di rilievo etico al loro interno e soprattutto nei loro am-
Ro

bienti di attività. Anzi, si può dire che la responsabilizzazione sociale


delle imprese sia uno dei frutti della pressione in vario modo esercitata
dal movimento consumerista sul comportamento di singole imprese e
sul mondo produttivo-industriale in generale. Così, sempre più spesso
                                                            
16
Dall’intervista a Luisa Crisigiovanni, rappresentante di Altroconsumo all’interno
del CNCU, realizzata nel mese di luglio 2010.
211

le aziende modificano i propri statuti e si affidano a pubblicità che ne


mettano in risalto l’attenzione verso l’aspetto ecologista (si pensi alla
comunicazione della Renault), verso il contrasto al lavoro minorile
(soprattutto dopo il caso Nike); oppure sottolineino la loro attenzione
nei confronti di fenomeni sociali di vario tipo (come ad esempio la
veicolazione di una nuova immagine femminile non necessariamente
legata agli standard di bellezza attuali, portata avanti dalla Dove). Tut-

ici
to questo si può più semplicemente racchiudere in una più ampia at-
tenzione e vicinanza nei confronti del consumatore. Di certo andrebbe

em
valutata caso per caso l’effettiva onestà delle imprese che dimostrano
una sorta di sensibilizzazione verso determinati temi, ma il fatto che le

ad
issue storicamente portate avanti dalla comunicazione sociale dell’as-
sociazionismo civico vengano veicolate anche da entità produttive che
si basano sulle leggi del profitto, rappresenta comunque un notevole
cc
ia
traguardo raggiunto, insieme ad altri fattori, dalle attività del movi-
mento consumerista.
op

Nonostante questo, però, la maturità raggiunta dal mondo consu-


merista italiano è ancora insufficiente. In precedenza si è affermato
sc

che il consumerismo italiano sta lavorando in maniera intensa ed effi-


cace per recuperare la strada persa negli anni rispetto agli altri Paesi; e
er

da quanto si è descritto e analizzato, questa affermazione viene sicu-


-p

ramente confermata. Ma c’è un aspetto che deve essere valutato e ap-


profondito, e cioè che una delle debolezze dei movimenti sociali ita-
ini

liani incentrati sul consumerismo è la scarsa militanza della società


civile che sta dietro la loro struttura, soprattutto in rapporto all’attivi-
r
Ma

smo che pervade i partiti politici oppure le associazioni sindacali. An-


che dalle interviste che abbiamo effettuato, infatti, risulta evidente che
la maggior parte dei cittadini si rivolge alle associazioni stesse per ri-
do

solvere una propria controversia contro una qualsivoglia impre-


lan

sa/azienda/ente, oppure per denunciare un disservizio o una truffa; e


che gli stessi cittadini, una volta risolto il proprio problema, non sen-
tono il desiderio o, ancor più, il dovere civico di partecipare attiva-
Ro

mente al movimento consumerista e di farne parte, condividendone


(come sarebbe tipico della militanza) le istanze ideologiche17. Ancora
una volta risulta evidente come ci sia un’insufficiente diffusione della
cultura della difesa del consumatore e addirittura un forte scetticismo
                                                            
17
Dall’intervista ad Antonio Longo, presidente Movimento Difesa del Cittadino, rea-
lizzata nel mese di luglio 2010.
212

della società nei confronti della materia consumerista, una materia che
si fonda sull’associazionismo; su un mondo che avrebbe ancora molte
battaglie da sostenere.
Proprio considerando le lotte che l’associazionismo consumerista
deve ancora combattere, c’è un altro aspetto che merita un approfon-
dimento critico: si tratta dell’efficacia della comunicazione messa in
campo dalle associazioni.

ici
Se da una parte è vero che nel corso degli anni le associazioni
hanno migliorato le loro azioni di comunicazione, riuscendo a creare

em
campagne di informazione abbastanza efficaci o implementando in
maniera sensibile la qualità dei propri siti Internet, è anche vero che ci

ad
sono molte fasce della popolazione che ancora oggi non posseggono le
cognizioni di base per tutelarsi preventivamente, e che forse non sono

cc
nemmeno a conoscenza del lavoro che viene svolto dalle associazioni.
ia
Inoltre, ancora più importante, l’obiettivo che queste perseguono è
rappresentato non solo dal miglioramento dell’informazione consume-
op

rista ma anche dalla sensibilizzazione del cittadino verso una cultura


del consumo critico. In tale prospettiva, appare evidente come la coo-
sc

perazione dei mezzi d’informazione divenga ancora più importante.


Su questo fronte, l’associazionismo consumerista italiano ha fatto
er

molto, proponendosi sempre più frequentemente come fonte autorevo-


-p

le, necessaria o addirittura indispensabile; creando ampie opportunità


per avere voce nei media.
ini

Però il pubblico di massa non è ancora abbastanza ricettivo rispet-


to ai temi del consumerismo, e questo fa sì che soltanto segmenti di
r
Ma

nicchia del mondo dell’informazione siano sensibili, aperti e cooperativi.


Ciò si collega inevitabilmente con un problema che – senza entra-
re nel merito della questione legata alla libertà di stampa – colpisce
do

più in generale il sistema informativo italiano considerato nel suo


lan

complesso: l’informazione, a partire da quella televisiva per arrivare a


quella locale a stampa, passando per quella settimanale ‘di attualità’
(cioè i settori più popolari), tende a concentrarsi più sulla cronaca a
Ro

carattere sensazionalistico, sulla mondanità e sullo spettacolo, invece


che sui reali problemi della società.
Per ovviare a questa situazione le associazioni, da un lato conti-
nuano a considerare importante il rapporto coi giornalisti, per la pos-
sibilità che hanno, attraverso i media, di raggiungere un maggior nu-
mero di persone; ma, dall’altro, si dimostrano molto attive a livello
213

territoriale, manifestando la loro vicinanza ai cittadini e facendo pro-


prio della ‘lotta’ sul territorio un loro punto di forza.

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