RIEPILOGO: Abbiamo detto che la definizione di estimo è la seguente: ‘’l’insieme dei principi logici e
metodologici che regolano e, quindi, consentono la motivata, oggettiva e generalmente valida formulazione
del giudizio di stima del valore dei beni economici, espresso in moneta.’’ In particolare la teoria abbiamo
detto che la teoria estimativa si fonda su 5 principi: 1) il valore dipende dallo scopo della stima (ci sono più
scopi e più valori); 2) la previsione è il carattere immanente di ogni giudizio di stima (quindi bisogna avere
questa capacità di prevedere qualcosa che ancora non si è verificato, e difatti, abbiamo imparato che il valore
è qualcosa che si vuole prevedere); 3) (invece) il prezzo che si identifica quale fondamento del giudizio di
stima (è ciò che si è già realizzato, quindi i prezzi si chiamano dati storici. Il valore invece è qualcosa che potrà
verificarsi. Difatti vi dissi che non si dice ‘’il valore di mercato di questo immobile è euro 200.000’’ ma ‘’il più
probabile valore di mercato’’ in quanto poi lo scambio si verificherà e sarà quello che sarà. Invece i prezzi
sono dati ormai consolidati che si riferiscono ad un passato); 4) il metodo estimativo è unico e si basa sulla
comparazione (Comparazione di beni analoghi, simili. Beni uguali non esistono, fossero anche villette a
schiera, ci sarà uno che ha deciso di mettere un tipo di mattonelle invece di un altro, qualcosa di diverso ci
sarà sempre. Quindi, beni simili per caratteristiche); 5) il giudizio di stima deve essere oggettivo e
generalmente valido e deve fondarsi sulla teoria dell’ordinarietà (cioè, bisogna prendere i dati, i prezzi
ordinari, dove ordinari significa più frequenti).
Abbiamo visto i valori: valore di mercato o di scambio, valore di costo (quando devo realizzare un progetto si
stima il valore di costo), il valore complementare, valore di trasformazione, valore di surrogazione. In realtà
esiste anche un valore d’uso su cui torneremo oggi. Abbiamo quindi detto che ci sono vari motivi, vari scopi
per cui si fa una stima e questa tabella ci dice delle cose, vogliamo compravendere un bene? Si stima il valore
di scambio. Vogliamo
prevedere i costi di un
progetto? Si stima il valore di
costo. Vogliamo stimare i
danni? Si stima il valore
complementare. Vogliamo
vedere se ci conviene o
meno fare un certo
investimento? Si stima il
valore di trasformazione.
Questo non è un elenco
esaustivo di tutti gli scopi
possibili, anzi, gli scopi sono
veramente tantissimi, caso per caso si verificherà qual è il motivo per cui va fatta una stima, ma una cosa è
certa: qualsiasi sia il motivo, dobbiamo andare a stimare un valore. Si dice che il valore da stimare rappresenta
il criterio di stima. Soffermiamoci su queste 3 colonne: criterio, metodo e procedimento. Lo scopo può essere
il più diverso possibile, a seconda dello scopo si va a stimare un valore, questo valore che si stima si chiama
‘’il criterio di stima’’. Che cos’è un criterio? Il criterio significa un punto di vista, il punto di vista sulla
questione. Devo compravendere una risorsa, qual è il punto di vista? È il valore di scambio/mercato. Quindi,
il valore che io devo andare a stimare è il punto di vista sulla questione, il punto di vista sullo scopo, viene
detto criterio. Quindi, se ci viene chiesto: Qual è il criterio di stima adottato? Ho adottato il criterio del valore
(esempio) di trasformazione. Invece, ben diverso è il metodo, abbiamo visto da uno dei principi che il metodo
è unico in estimo e si basa sulla comparazione, cioè la comparazione tra beni simili. Quindi non ci deve
meravigliare che la colonna numero 4 metodo di stima, abbia sempre comparazione in ogni riga, perché il
metodo è unico ed è quello della comparazione. Altra cosa ancora sono i procedimenti che rappresentano la
tecnica pratica, l’approccio pratico per fare la stima, cioè come stimo il valore di scambio, come lo individuo,
come giungo a dire 200.000 euro o 300.000 euro? Come stimo il valore di costo? Come faccio a dire che il
costo di quella villetta è 300.000 euro o 400.000 euro? Devo adottare una tecnica ben precisa, un approccio
ben preciso, ecco, questo si chiama procedimento. Quindi, si dice che devo utilizzare un procedimento e i
procedimenti in realtà possono essere di 3 tipi: procedimento analitico (per stimare ad esempio il valore di
scambio), il procedimento sintentico, il procedimento intermedio. Lo stesso possiamo dire per il valore di
costo (analitico, sintetico, intermedio), per il valore complementare, forse per gli altri due quello intermedio
si può omettere. D’altra parte i due principali sono sempre analitico e sintetico, spesso in un linguaggio più
abbreviato sentiamo dire ‘’faccio una stima sintetica’’, ‘’faccio una stima analitica’’, non è proprio corretto
però il linguaggio parlato ci può stare. Quindi, quando sentiamo: ‘’sto facendo una stima analitica’’ in realtà
si vuol dire: ‘’sto applicando un procedimento di stima analitico per stimare ad esempio il valore di costo’’.
Mentre invece: ‘’ sto facendo una stima sintentica’’ ovvero ‘’sto applicando un procedimento di stima
sintetico ad esempio per stimare il valore di scambio o mercato’’, quindi questo sarebbe il linguaggio più
corretto. Si verificano spesso un po’ di confusioni, molte persone confondono criterio, metodo e
procedimento, o forse anche valore. Se applichiamo simultaneamente i 5 principi dell’estimo, non possiamo
sbagliare. Quindi, chiaro cos’è uno scopo, chiaro cos’è un valore (che si in realtà si definisce il criterio di
stima), chiaro cos’è il metodo di stima (ed è sempre la comparazione tra beni simili) e chiaro cos’è il
procedimento (l’approccio concreto, il modus operandi per giungere a stimare il valore e i procedimenti sono
in genere di 3 tipologie: analitico, sintetico e intermedio).
Abbiamo delle tipologie di beni (torneremo a vedere cos’è un bene). I beni che sono l’oggetto della nostra
stima, abbiamo visto proprio nella definizione di estimo la formulazione del giudizio di stima del valore di un
bene economico espresso in moneta, quindi noi stiamo stimando beni. D’altra parte, sempre tornando
all’esempio di casa nostra è ovvio che è un bene, poi vedremo perché è un bene. Ci sono dei beni che si
dividono in: beni prodotti e beni non prodotti, cioè i beni prodotti dall’uomo e i beni non prodotti dall’uomo.
Quindi, un immobile edilizio, casa mia, è un bene prodotto dall’uomo. Mentre un bene non prodotto cos’è?
È per esempio un terreno
agricolo, è vero che viene
coltivato e quindi anche
modificato dall’uomo,
però non è stato
prodotto dall’uomo. La
terra è quella. Poi ci sono
beni appropriabili e non
appropriabili, cioè dei
beni che possono essere
proprietà privata e beni
invece che sono pubblici. Quindi, un bene prodotto appropriabile è effettivamente casa nostra, un bene
prodotto e non appropriabile potrebbe essere ad esempio un parco… però quello lo vediamo prodotto nel
senso che è stato proprio piantumato ecc… però pure un bene culturale, e non è appropriabile. Come un
bene non prodotto appropriabile è sicuramente la terra, mentre un bene non prodotto non appropriabile
può essere una spiaggia, perché appartengono al demanio pubblico. Poi la spiaggia può essere data in
gestione, ma quello è un altro ragionamento, non viene mai venduta. E poi ci sono beni che non sono
prodotti, non sono appropriabili e sono addirittura illimitati, come l’aria, sono beni proprio illimitati, sempre
sono limitati sulla terra però tenendo conto proprio la disponibilità sicuramente possiamo assumerli come
illimitati, mentre gli altri sono scarsi… cioè i terreni, quelli sono e non è che si possono fabbricare da capo.
Quindi, se un bene è prodotto dall’uomo ed è appropriabile, quindi un appartamento, un ufficio, negozio, un
valore d’uso ce l’ha, un valore legato all’utilizzo del bene, quindi l’uso c’è, il bene lo utilizzo. E vediamo, in
realtà il valore d’uso c’è sempre, perché sia che un bene sia prodotto e appropriabile o non appropriabile,
sempre lo utilizzo, solamente cosa può accadere per il parco pubblico di cui prima o il bene culturale tipo la
reggia di Caserta? Che io lo uso fruendolo, non è che ne divento proprietario, lo uso con la fruizione, ma
sempre un utilizzo è. Quindi possiamo dire che nei beni prodotti appropriabili l’uso è esclusivo, cioè è
esclusivo del proprietario o dell’affittuario se dovessi darlo in affitto, ma nei beni non appropriabili l’uso
legato alla fruizione è inclusivo, e include l’intera comunità. In ogni caso, l’uso c’è sempre. Quindi, i beni siano
essi prodotti o non prodotti, siano essi appropriabili o non appropriabili hanno sempre un valore d’uso.
Invece, non hanno un valore di scambio/mercato quelli che non sono appropriabili, non possono avere un
valore di scambio, quindi ecco perché la ‘’x’’ sta messa solo vicino agli appropriabili. Qui però si pone un
problema, un bene non appropriabile oggi, potrebbe diventare appropriabile un domani? Sì, nel senso che il
pubblico potrebbe decidere un giorno di vendere un certo bene, difficilmente la reggia di Casera di cui prima,
però alcuni beni pubblici potrebbero anche messi sul mercato, e allora a quel punto diventano appropriabili
e avranno un valore di scambio. Quindi, ad oggi ci sono beni pubblici e beni privati, e i beni pubblici non si
vendono, poi un giorno ovviamente potrà accadere. Non hanno un valore di costo, ovviamente tutti i beni
che non sono stati prodotti dall’uomo, hanno un valore complementare in genere, quindi questa capacità di
vivere insieme ad altri i primi tre, molto più difficile i beni non prodotti e neppure appropriabili e gli altri
illimitati. C’è il valore di trasformazione perché effettivamente come dicevamo anche il parco, anche il bene
pubblico può essere trasformato, anche sulla reggia di Caserta dei valori si fanno, delle trasformazioni
possono avvenire, mentre sui beni non prodotti e anche sui terreni è possibile fare delle trasformazioni,
mentre su quelli illimitati come l’aria questa cosa è più difficile. E il valore di surrogazione, un po’ come il
valore complementare soprattutto nei primi tre. Al di là della tabella che ci fa capire che esistono diverse
tipologie di beni e di valori, e quindi criteri di stima (non solo il valore d’uso ma soprattutto i primi cinque),
questo ci fa comprendere che caso per caso dobbiamo capire che tipologia di bene abbiamo e che tipo di
valore dobbiamo andare a stimare.
Aggiungiamo una cosa sull’ordinarietà, l’ordinarietà significa il dato più frequente. Supponiamo di avere una
serie di dati storici, i prezzi, e li mettiamo lungo quest’asse delle ascisse. Sempre quel famoso appartamento
a Montesanto, ne ho trovato uno analogo 500 euro al m2, un altro 1000 euro al m2, un altro 1500 al m2, un
altro 2000 al m2, facciamo che questo P’ è 2000 al m2, 2500, 2500 e così via… e sull’asse delle ordinate
mettiamo la percentuale con la quale si riscontrano questi valori, allora che vedo? Che in corrispondenza di
2000 euro al m2 c’è la percentuale maggiore, cioè per esempio il 60% dei prezzi che ho trovato si addensa a
2000 euro al m2, mentre qui in basso è solo il 5% dei prezzi trovati. Allora, è ovvio che io devo far riferimento
al prezzo più frequente, quindi tutti quelli che sono prezzi che si discostano o perché sono troppo bassi, o
perché sono troppo alti dal prezzo più frequente, in realtà non devono condizionare la stima, io devo far
riferimento ai prezzi frequenti all’ordinarietà. Ora qui siamo un po’ fortunati perché in questo disegno la
curva di distribuzione è una curva a campana ed è una curva simmetrica, viene detta curva di Gauss o
Gaussiana, e allora se la curva è simmetrica, facendo una media aritmetica viene proprio P’, ma non è sempre
così, non è detto che stiamo in corrispondenza di una
curva simmetrica e quindi, non posso operare una
media aritmetica, altrimenti i valori troppo alti o
troppo bassi condizionerebbero il valore più
frequente. Invece in questo caso, data la simmetria
della curva, si elidono un po’ a vicenda. È solo un
esempio questa di distribuzione Gaussiana, se fossi
fortunato e trovassi dei prezzi che si distribuiscono
così, allora anche facendo una media aritmetica non
sbaglierei, riuscirei a catturare il valore più frequente,
ovvero il valore ordinario. Ma se la distribuzione non è Gaussiana e quindi non simmetrica, ovviamente non
posso applicare nessuna media aritmetica, altrimenti non sarebbe rispettato il principio dell’ordinarietà.
Dicevamo innanzitutto cos’è un bene, dobbiamo partire da un presupposto che l’essere umano percepisce
bisogni, questo è il primo punto. Allora la prima domanda è: ma cos’è un bisogno? È qualcosa di cui avverto
una carenza, di cui avverto una mancanza, cioè un bisogno scatta quando io avverto che mi manca qualcosa.
Banalmente un bisogno primario, bere, io avverto il bisogno di bere, quindi mi viene sete perché il mio
organismo avverte la mancanza d’acqua e proprio perché avverte la mancanza, scatta il bisogno. Questo
possiamo dirlo un po’ su tutto, vestirsi, ho freddo d’inverno, avverto la mancanza di qualcosa che mi copre.
Questo possiamo applicarlo sempre, sto facendo queste lezioni online da quando è arrivato il coronavirus
usando questa lavagnetta, andai a comprare la lavagnetta prima del lockdown perché avvertivo la mancanza
di uno strumento per fare lezione, ho avvertito la mancanza di uno strumento, in questo caso tecnologico, e
ho cercato di soddisfare questa mancanza. È vero che ci sono dei bisogni primari, mangiare, bere e così via
che stanno in testa alla piramide, e poi ci sono bisogni man mano meno essenziali fino a giungere ai bisogni
culturali e così via. Ma qualsiasi sia il bisogno è sempre perché avverto la mancanza di qualcosa, quindi
banalmente, la mancanza d’acqua, di cibo, di abiti, di un tetto sopra la testa e così via. Però anche la mancanza
di strumento tecnologico, la mancanza di colmare, di arricchire la mia cultura come un libro e così via. È
sempre avvertire la mancanza di qualcosa, se non avverto qualcosa che manca non scatta il bisogno, non
scatta questo dover in qualche modo colmare una lacuna. E il bene cosa fa? Un bene cerca di soddisfare il
bisogno, ma perché ci riesce? Perché il bene ha certe caratteristiche. Quindi, non riuscirei a bere la tavoletta
grafica come non riuscirei a scrivere con la bottiglietta d’acqua, ognuno di questi beni soddisfa un bisogno
perché ha quelle caratteristiche. Naturalmente il bisogno talvolta è anche soddisfatto da un servizio, quindi
talvolta un bene e talvolta un servizio. Per esempio ora siamo a casa nostra, però quando andavamo
all’università per seguire estimo, mi dovevo spostare, e allora alcuni di noi prendevano il treno piuttosto che
la metropolitana, e quindi soddisfacevano il bisogno di spostamento attraverso un servizio che ci dava l’ente
di gestione delle ferrovie. Quindi, i bisogni sono soddisfatti da beni perché hanno certe caratteristiche, ma
sono soddisfatti anche da servizi (di trasporto e così via) perché hanno certe caratteristiche (i servizi culturali
anche). Perché parliamo di beni economici? Perché in realtà questi beni si scambiano sul mercato. Ci sono
beni appropriabili che si scambiano sul mercato, beni non appropriabili che comunque potrebbero essere
scambiati sul mercato, ci sono servizi che fanno
riferimento a libero mercato come la telefonia mobile
oppure servizi effettivamente che appartengono anche a
una gestione pubblica e allora più che il prezzo di un
biglietto, viene stabilita una tariffa per consentire a tutti
l’accesso a quel servizio. Ma anche le abitazioni, talvolta
interviene il pubblico con dell’edilizia sociale per poter
fare in modo a classi meno ambienti di poter soddisfare il
proprio bisogno primario dell’abitazione. Insomma,
possono esserci tante sfaccettature anche in questo caso
tra l’essere un bene pubblico privato, di fruizione
piuttosto di esclusività, ma una cosa è certa, un bene
esiste perché abbiamo un bisogno, un servizio esiste perché abbiamo un bisogno, quel bene ha
caratteristiche ed è in grado di soddisfare quel bisogno, quel servizio ha certe caratteristiche e quindi è in
grado di soddisfare quel bisogno e il bisogno scatta quando ne avverto la mancanza, finché non avverto la
mancanza non ho bisogno di quel bene o di quel servizio. Quello di cui ci occupiamo sono beni, le opere di
architettura, di ingegneria, le infrastrutture, i terreni agricoli, le aree fabbricabili, sono beni o no? Lo sono,
prodotti o non prodotti che siano, soddisfano bisogni e anche se fossero pubblici, non appropriabili come
beni culturali, offrono dei servizi e quindi comunque soddisfano bisogni in questo caso di tipo culturale.
Allora, come diceva la definizione di estimo, ci occupiamo del giudizio di stima espresso in moneta di beni
economici.
Rimane un’altra questione, abbiamo detto che c’è un valore di uso di un bene, un valore di scambio o valore
di mercato, un valore di costo, un valore complementare, un valore di surrogazione e di trasformazione. Li
abbiamo definiti un po’ tutti tranne il valore d’uso, abbiamo detto grossomodo è un valore legato all’uso,
però adesso lo definiamo nel dettaglio. Facciamo un disegno degli assi cartesiani, sull’asse delle ascisse
mettiamo le quantità di un certo bene, sull’asse delle ordinate mettiamo la disponibilità a pagare per un
certo bene, quindi Q (espressa in numero) e DAP (espressa in euro). Facciamo una domanda, noi siamo circa
100 persone, supponiamo che di un certo bene si abbia un solo elemento, una sola quantità, ad esempio
immaginiamo per un momento di essere in presenza, immaginiamo che faccia caldo è estate e immaginiamo
che abbiamo sete, siamo in aula, un caldo pazzesco, la sete ci divora, le macchinette fuori sono esaurite,
arriva uno da fuori e ha una bottiglietta d’acqua, soltanto una e dice io ve la vendo. La nostra disponibilità a
pagare è pari a 50 centesimi quando costa normalmente alla macchinetta oppure qualcuno è disposto a
pagare un po’ di più? Pur di accaparrarmi la bottiglietta d’acqua io sarei disposto a pagare di più. Quindi
vediamo cos’è la disponibilità a pagare, quando appunto io sono disposto a sborsare in termini monetari per
accaparrarmi un bene, per avere, ottenere quel bene. Quindi, facciamo che io sia disposto a pagare
addirittura 10 euro, che significa 20 volte in più, perché usualmente la bottiglietta ha un prezzo di 50
centesimi. Però sono disposto a pagare 10 euro. Supponiamo che però questo signore, la disponibilità di un
bene ne ha 2, quindi la disponibilità di un bene aumenta. In genere che succede? Succede che sono disposto
a pagare un po’ meno, più cresce la disponibilità di un bene, meno sono disposto a pagare. Quindi, se fossero
disponibili due quantità, io sono disposto a pagare 8 euro a bottiglietta, se ne voglio comprare due 16 euro.
La disponibilità a pagare diminuisce perché la quantità di bene disponibile aumenta. Continuiamo il disegno,
magari 3, 4, 5, 6, 7 quantità. All’aumentare della quantità, diminuisce la disponibilità a pagare, allora in
corrispondenza di due quantità abbiamo 8, in corrispondenza di 3 quantità facciamo 6, in corrispondenza di
4 quantità facciamo 4 euro, in corrispondenza di 5 quantità facciamo 3 euro, in corrispondenza di 6 quantità
facciamo 2 euro, ad un certo punto mi accorgo che funziona la fontanina col refrigeratore ecc… non sono
disposto a pagare più niente fino quindi ad arrivare a 0 euro. Morale: la disponibilità a pagare è funzione della
scarsità del bene, più il bene è scarso più sono disposto a pagare, più il bene è disponibile sul mercato, meno
sono disposto a pagare. Ora succede che poi nella pratica, effettivamente noi andiamo alla macchinetta e
troviamo un prezzo, quindi significa che io personalmente ho una certa disponibilità a pagare, ma poi
considerato a tutta la società che sono dei consumatori, e tutte le ditte che producono le bottigliette d’acqua
che sono i produttori, trovano un accordo. E allora io, trovo il prezzo fatto, ma quel prezzo fatto è un prezzo
di equilibrio tra i consumatori e i
produttori, e allora supponiamo che io
poi scopra che il prezzo della bottiglietta
d’acqua in realtà è 3 euro. Quindi, questo
era quanto ero io disposto a pagare, ma
alla fine trovo il prezzo, perché trovo
quel prezzo? Ho scritto Pm (prezzo di
mercato), perché quel prezzo nasce, si
forma dall’incontro tra la domanda e
l’offerta. E quindi nessuno mai avrebbe
comprato a 10 euro e così via, ma a 3. Per
il momento diciamo che PM è il prezzo.
Se era disponibile una quantità di bene,
ero disposto a pagare 10, ma in realtà se
la compro davvero quanto spendo? 3
euro. Quindi, volevo comprare una bottiglietta, ero disposto a pagarla pure 10 euro, ma in realtà la pago 3,
e questo si può dire per tutti questi rettangolini (i rettangolini segnati in verde con le righe diagonali), volevo
comprarne 2, sarei stato disposto a pagare 8 euro, ma in realtà pago 3 e così via. 5 bottiglie le compro o non
le compro se PM è 3? Per una avrei voluto spendere 10, in realtà pago 3, per due avrei voluto spendere 8 a
bottiglia e in realtà pago 3+3, per tre avrei voluto spendere anche 6 euro a bottiglia, invece il prezzo di
mercato è 3, per quattro avrei speso 4 euro a bottiglia ma il prezzo è 3 non 4, e se la disponibilità di bottiglie
è 5 e io ero disposto a pagare 3 euro e costa 3, la compro o no? La compro, e se le voglio tutte e 5
naturalmente pago 5x3=15 se le volessi tutte e 5. Quindi, in realtà se io le volessi tutte e 5, pagherei
3+3+3+3+3, e invece ero disposto a pagare 10+8+6+4+3, e invece, se sono 6 le bottiglie sul mercato e io
quindi avevo una disponibilità a pagare 2 euro e invece costa 3, sta sesta bottiglia la compro o no? No, e la
settima? No, e così via.. arriverà addirittura allo 0. Se io posso andare alla fontanella a riempire la borraccia
perché devo comprare la bottiglia? E allora in realtà quando il prezzo di mercato supera la disponibilità a
pagare, non compro più niente. Disegniamo in blu questa parte qui incrociata al contrario, cioè tutto il grafico.
E in rosso solamente questa parte di sotto fatta a zig zag. Vediamo, qual è il valore d’uso del bene? Il valore
d’uso è il blu, il verde o il rosso? Quello che vediamo indicato in rosso è il valore di mercato/scambio, perché
in realtà è quello che tu paghi di fatto, cioè il rosso, noi abbiamo detto che compriamo fino a 5, e cosa spendo
per comprare 5 bottigliette? 3+3+3+3+3. Quindi, questo è il valore di scambio/mercato. Il valore d’uso è il
blu perché io ero disposto a pagare tutti quei soldi pur di usare le bottiglie. Quindi, io ero disposto non a
pagare 3+3+3+3+3, ma ero disposto a pagare 10+8+6+4+3 per usarle, per bere. E quindi, in realtà quella
somma 10+8+6 ecc… è il valore d’uso, il valore che attribuisco all’uso. Quindi il blu è quando sono disposto a
pagare, il rosso è quando pago davvero e Il verde cos’è? Ciò che di fatto ho risparmiato, ciò che di fatto non
pago. Cioè, ero disposto a pagare il blu perché attribuivo quel valore per usare le 5 bottiglie, ho pagato il
rosso, di fatto il verde non l’ho pagato, è ciò che risparmio e si chiama la rendita del consumatore (R), talvolta
lo troviamo anche come surplus. E allora, guardiamo che quindi il valore d’uso lo possiamo definire adesso,
è uguale al valore di scambio + R. Allora esiste una relazione tra valore di uso e valore di scambio, ecco perché
quando abbiamo definito i 5 valori dell’estimo in realtà là dentro c’è anche l’uso intrinsecamente, perché il
valore d’uso è strettamente legato al valore di scambio ed esiste una relazione ben precisa che mi dice che il
valore d’uso è uguale al valore di scambio + la
rendita del consumatore. Questa relazione l’ha
messa in evidenza un economista che si chiama
Marshall. E quindi, questa equazione di Marshall mi
mette in evidenza la relazione esistente tra valore
d’uso e valore di scambio. Ma se il prezzo di
mercato fosse stato fissato a 10 euro, ci sarebbe
stata la rendita del consumatore? No. E se fosse
stato fissato a 0 euro? Sarebbe stata tutta rendita
del consumatore. Ci sono due estremi: o tutta
rendita (ero disposto a pagare ma non pago nulla)
oppure nessuna rendita (cioè il prezzo di mercato è
proprio pari al massimo della mia disponibilità a
pagare). Facciamo un’altra retta che passa un po’ per il punto medio di tutti questi
intervalli, come se infittissimo man mano gli istogrammi, questa linea in nero che mette
insieme questi istogrammi si chiama ‘’curva di domanda’’. Molte volte potremmo trovare
questo grafico con la curva di domanda D, che esprime la relazione tra disponibilità a
pagare e disponibilità del bene. Quindi non abbiamo istogrammi ma in genere abbiamo
una curva che può essere una retta come potrebbe essere anche un po’ più curva se il fenomeno non è
strettamente lineare. Una curva di domanda è una relazione che lega la disponibilità alla quantità di bene
disponibile. E in realtà cosa sottintende? Il valore d’uso di fatto, se consideriamo la curva e basta, poi se
mettiamo un prezzo di mercato individuo per quale quantità stavamo operando e individuo appunto il valore
d’uso, di scambio, rendita del consumatore come abbiamo fatto prima. Questa è una curva di domanda
individuale perché ho immaginato che ogni persona risponde per sé stesso, però come vedremo c’è anche
una curva collettiva, aggregata.
Affrontiamo adesso il tema dello sviluppo sostenibile. Nell’anno 1000 la popolazione mondiale era di 300
milioni di abitanti, nell’anno 2000 era 6 miliardi. La cosa curiosa è che l’umanità ha raggiunto il primo miliardo
di abitanti a metà più o meno del 1800, quindi per millenni la popolazione mondiale non aveva mai raggiunto
(pensiamo all’anno 1000) 300 milioni. E
quando è comparso l’uomo sulla terra?
Intorno ai 2 milioni di anni fa,
naturalmente dai primi ominidi a noi.
Effettivamente ne sono passati di anni
finché non arrivassero le prime civiltà.
Pensiamo un po’ più di un milione di anni
per arrivare a 10.000 anni fa e 10.000 anni
fa sono le prime civiltà e tanto per
intenderci, 4000 anni fa le civiltà del
medio Oriente, la nascita del popolo
ebraico e dopo tutti questi anni dobbiamo
attendere 1000 anni ancora per giungere
a 300 milioni. Dopo 100 anni, 330 milioni, dopo altri 100 anni 380 milioni, poi 420, 460, 500 milioni di abitanti
tra il 1500 e il 1600. 600 milioni tra il 1600 e il 1700, 720 milioni tra il 1700 e il 1800, e intorno al 1850
l’umanità raggiunge un miliardo di abitanti. Passano meno di 100 anni per approdare al 1900 ovvero 120 anni
fa, 1,7 miliardi di abitanti. E guardiamo il grafico, 2 miliardi siamo intorno agli anni 20, 3 miliardi dopo la
guerra mondiali prima del boom degli anni ’60, 4 miliardi intorno al 1970, 5 miliardi intorno al 198-86, 6
miliardi alla fine del millennio, nel 2020 7,7 miliardi. Ora noi in Italia siamo 60 milioni di abitanti più o meno,
pensiamo cosa contiamo rispetto a 7,7 miliardi. Questo cosa significa? Significa che la produzione globale è
in forte crescita perché la popolazione vuole soddisfare bisogni, più gente c’è e più bisogni si devono
soddisfare. Quindi, è vero che ci sono paesi più poveri che probabilmente non condizionano così fortemente
la produzione di beni e servizi quanto i paesi più ricchi, perché la loro condizione richiede veramente di
soddisfare i bisogni primari. Ma paesi come la Cina, come l’India, altroché, sono in crescita anche economica
molto forte e quindi la produzione aumenta, il prodotto globale lordo aumenta, guardiamo il petrolio, c’è
una crescita super esponenziale tra il 1900 e il 2000 come dire di estrazione e produzione di petrolio e si
pensa che intorno al 2050 a poco a poco, le risorse diventano sempre più scarse e quindi entro il 2100 l’era
del petrolio sarà terminata. Se si brucia petrolio e combustibili fossili ovviamente la concentrazione di
anidride carbonica aumenta, e ancora esponenzialmente tra il 1900 e il 2000, diciamo che tutto nasce con la
rivoluzione industriale nella metà dell’800, però gli effetti maggiori sono a partire dal 1900 in poi, le
temperature medie sulla superficie terrestre aumentano, è frutto ovviamente di una maggiore
concentrazione di anidride carbonica, i consumi mondiali di energia aumentano esponenzialmente. La
produzione e l’estrazione di materiali, legno, metalli, minerali, materiali sintetici aumenta.. e quindi più
aumenta la popolazione, più aumenta la pressione degli esseri umani sul pianeta terra. Questo mette in crisi
l’ecosistema terrestre, tant’è vero che
molte specie ormai vegetali sono
minacciate e quindi rischiano
l’estinzione. Nel famoso anno 1000
quando sulla terra c’erano 300 milioni
di abitanti, la città più popolosa al
mondo era Cordova con 450 mila
abitanti e Kyoto la capitale del
Giappone 180 mila abitanti, Istanbul
300 mila abitanti e così via. C’è da dire
che nel passato ci fu una città ancor più
popolosa di quelle che vediamo
all’anno mille e che però perse abitanti: Roma. Raggiunse anche 1 milione di abitanti per poi declinare dopo
la caduta dell’impero e poi riprendersi, oggi ha circa 3 milioni di abitanti. Nel 1800 la città più popolosa era
Pechino con 1 milione e 1000, Londra 860 mila, dopo Istanbul c’è Parigi e addirittura Napoli con 430 mila
abitanti nella Top ten mondiale, capitale di un regno all’epoca. Nel 1900 Londra 6 milioni e mezzo, New york
4,2 ecc… all’inizio del secolo attuale nel 2000 la città più
popolosa al mondo era Tokyo 28 milioni di abitanti, città
del Messico 18,1, Bombay 18 milioni, San Paolo ecc…
Questo è il mondo attuale, quindi significa consumo di
risorse e soprattutto non può funzionare il modello
classico dell’economia per cui: le risorse per produrre
beni e servizi (in termini per esempio di energia elettrica
ecc..) le risorse vanno prese dalla terra, l’economia fa
proprio questo trasforma le risorse del pianeta in beni e
poi però produce rifiuti e questo non può funzionare, non
è logico tutto ciò e non è logico con 7,7 miliardi e con
quelle città sui 20 milioni di abitanti. Quindi si dice oggi che bisogna attivare un processo di economia
circolare, l’economia non può essere lineare, il cerchio si deve richiudere, non può essere un modello lineare.
Estraggo risorse, le trasformo per farle diventare beni e poi scarico rifiuti nell’ambiente di nuovo, questo non
va bene, devo fare in modo che il rifiuto o meglio lo scarto di un processo produttivo diventi l’input per un
altro processo produttivo. Quindi, rifiuti 0 o prossimi allo 0¸ovviamente perché c’è sempre qualcosa che non
si può proprio riutilizzare del tutto. E quindi fare in
modo che il modello classico lineare dell’economia
diventi circolare, l’input per un nuovo processo
produttivo è quello dello scarto di un altro processo
produttivo. Quindi anche l’estrazione di risorse, in
un certo senso non finisce in un rifiuto ma in un
processo virtuoso di continua rigenerazione dei beni.
Quest’altra immagine fa capire come oggi abbiamo
fortunatamente una parte di terra costruita del
pianeta ancora pari al 2%. Parte del territorio non è
utilizzabile, sono ghiacciai, rocce, deserti, poi
abbiamo la terra arabile, pascoli permanenti e poi
foreste e aree boschive che ovviamente se andiamo
a tagliare ci roviniamo da soli. Quindi, dobbiamo
usare in maniera oculata le risorse del pianeta che
hanno queste caratteristiche e c’è questa nozione
che dice: se questa fosse una comunità
immaginiamo in astratto, non è un modello reale,
che stesse in una bolla isolata, potremmo calcolare
quanto pesa sul pianeta, pensiamo un attimo ad una
comunità completamente isolata, si dice che quella
comunità ha un’impronta sul pianeta, si chiama
l’impronta ecologica, quindi incide in parte sull’area
produttiva, in parte sul mare produttivo, in parte
sulla terra necessaria per l’energia, in parte sulla terra costruita e in parte sulla terra per la biodiversità.
Quindi, il modello vuol dire: tu devi avere delle impronte sempre più piccole, non sempre più grandi,
altrimenti se pesi troppo sul pianeta vai a distruggere la terra produttiva, le risorse, estrarre le risorse,
costruire sempre in ogni luogo e ovviamente far diminuire la terra per la biodiversità. Quindi, lo sviluppo
sostenibile¸è lo sviluppo che pensa ad una compatibilità tra delle attività umane su come devono impattare
sul pianeta perché purtroppo il mondo è questo, la
popolazione è quella che abbiamo visto, i consumi sono
quelli che abbiamo visto e noi altro non abbiamo che un
impatto sul nostro pianeta. Questo quindi cosa implica
nell’estimo? Implica che probabilmente i valori
aumentano, non è vero che ci sono solo valori d’uso, di
scambio, trasformazione ecc… ma soprattutto
aumentano anche gli oggetti della valutazione. Non ci
sono solo case, terreni e aree edificabili, ma forse
paesaggi? Quindi, la nozione di sviluppo sostenibile
amplia il campo di applicazione dell’estimo e della
valutazione.