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(V) 40.

LA CRISI DELL’IMPRESA COMMERCIALE

1. Crisi dell’impresa e procedure concorsuali.

La crisi economica di un’impresa ed il conseguente dissesto patrimoniale dell’imprenditore


sono eventi che coinvolgono una gran massa di creditori. Si verificano dissesti a catena poiché
gran parte dei creditori sono loro stessi imprenditori che hanno a proprio carico altri
creditori. Quindi la crisi economica dell’impresa è un evento di fronte al quale i mezzi di tutela
individuale dei creditori risultano essere insufficienti ed inadeguati.
Il dissesto di imprenditori agricoli e piccole imprese resta affidato agli strumenti di diritto
comune. Per il dissesto di imprenditori commerciali non piccoli sono state previste speciali
procedure, le procedure concorsuali.
La legge regola 5 procedure:
- il fallimento
- il concordato preventivo
- la liquidazione coatta amministrativa
- l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza
- la speciale amministrazione straordinaria accelerata per le imprese di maggiori
dimensioni.
Pur presentando diversità di profili, le 5 procedure hanno dei caratteri costanti e comuni. Esse
sono innanzitutto procedure generali (perché coinvolgono tutto il patrimonio
dell’imprenditore) e collettive (perché coinvolgono tutti i creditori dell’imprenditore).

2. Le singole procedure concorsuali.

Diverse possono essere le cause di fallimento di un’impresa, la gravità , il rilievo economico.


Quindi diverse sono le procedure che si differenziano sotto alcuni aspetti:
- presupposti soggettivi ed oggettivi di applicazione
- finalità specificamente perseguita
- strumenti giuridici utilizzati
- autorità investita dalla procedura.
Il fallimento è il prototipo delle procedure. Ad esso sono soggetti gli imprenditori commerciali
insolventi. È una procedura giudiziaria che mira a liquidare il patrimonio dell’imprenditore
insolvente e a ripartirne il ricavato fra i creditori secondo i criteri ispirati dal principi della
parità di trattamento.
Nel sistema originario della legge fallimentare, il concordato preventivo presupponeva
l’insolvenza dell’imprenditore ma consentiva di evitare il fallimento quando l’imprenditore
presentava specifici requisiti di meritevolezza ed era in grado di garantire ai creditori il
pagamento di una percentuale consistente (non meno del 40%). A tal fine era necessario il
consenso di una maggioranza qualificata dei creditori. Specifiche finalità di conservazione
dell’impresa aveva l’amministrazione controllata. In presenza degli stessi requisiti
l’imprenditore poteva ricorrere a tale procedura quando si trovava in una situazione di
temporanea difficoltà . La moratoria nei pagamenti concessagli di massimo 2 anni e la
continuazione dell’attività avrebbero dovuto consentirgli il ritorno in bonis.
L’amministrazione controllata si risolveva spesso in un semplice differimento della
dichiarazione di fallimento. Dopo vari tentativi si è arrivati ad una profonda revisione della
legge fallimentare che mira ad evitare che la crisi d’impresa sfoci in fallimento. Così il nuovo
concordato preventivo che non presuppone più l’insolvenza dell’imprenditore ma una crisi
dell’impresa. Non è più richiesta la presenza di requisiti di meritevolezza. Il concordato può
quindi perseguire sia la liquidazione di tutto il patrimonio, sia il ritorno in bonis del debitore e
la prosecuzione dell’attività .
La liquidazione coatta amministrativa è invece una procedura che trova applicazione nei
confronti di determinate categorie d’imprese che svolgono attività di rilievo economico e
sociale e sono perciò sottoposte a vigilanza governativa. Al pari del fallimento porta
all’eliminazione dell’impresa dal mercato ma è una procedura amministrativa e non
giudiziaria.
L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese ha lo scopo di conciliare il
soddisfacimento dei creditori dell’imprenditore insolvente con il salvataggio del complesso
produttivo e la conservazione dei posti di lavoro. Consegue quindi la presenza di due fasi
(amministrativa e giudiziaria). La prima fase si apre con la dichiarazione dello stato di
insolvenza da parte dell’autorità giudiziaria che solo in un secondo momento ammette
l’imprenditore all’amministrazione straordinaria vera e propria dopo aver accertato che
ricorrono concrete prospettive di riequilibrio economico dell’impresa. Altrimenti dichiara il
fallimento. È devoluta all’autorità amministrativa (Ministero dello sviluppo economico) la
gestione della procedura che si caratterizza per la continuazione dell’esercizio dell’impresa
prima da parte di un commissario giudiziale e poi uno straordinario di nomina ministeriale.
Quest’ultimo provvede a predisporre ed attuare un programma finalizzato a soddisfare i
creditori entro 1 anno o a consentire che l’imprenditore recuperi la capacità di soddisfare
regolarmente le proprie obbligazioni attraverso un programma di risanamento di durata non
superiore ai 2 anni. Se questi obiettivi non sono realizzabili l’amministrazione si converte in
fallimento.
Punto critico però è l’eccessiva complessità della fase di apertura che conduce ad un elevato
ritardo dell’insediamento del commissario straordinario e della messa in atto di efficaci
misure per fronteggiare la crisi, ed emergenze scaturite con i casi Parmalat e Cirio hanno
introdotto regole speciali per la ristrutturazione delle imprese di maggiori dimensioni
(amministrazione straordinaria accelerata). Regole che prevedono l’immediata ammissione
dell’impresa all’amministrazione straordinaria da parte del Ministero dello sviluppo
economico su semplice richiesta della stessa finalizzata a realizzare un piano di risanamento.
Solo dopo l’apertura della procedura interviene l’autorità giudiziaria che verifica la condizione
di insolvenza del debitore.
41. IL FALLIMENTO

LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO

1. I presupposti del fallimento.

I presupposti sono:
- la qualità di imprenditore commerciale del debitore
- lo stato di insolvenza dello stesso
- il superamento di uno dei limiti dimensionali fissati dalla legge fallimentare
- la presenza di inadempimenti complessivamente superiori all’importo fissato dalla
legge.
In merito al presupposto soggettivo l’applicazione del fallimento subisce una duplice
limitazione in quanto:
- il fallimento è sostituito dalla liquidazione coatta amministrativa per alcune categorie
di imprenditori commerciali come imprese bancarie, assicurative e di intermediazione
mobiliare
- il fallimento cede il passo all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in
stato di insolvenza quando ricorrono i presupposti specifici per l’applicazione di tale
procedura.
Primo presupposto oggettivo del fallimento è lo stato di insolvenza dell’imprenditore che
avviene quando non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
L’insolvenza quindi si manifesta con l’inadempimento di una o più obbligazioni ma può
manifestarsi anche tramite pagamenti con mezzi anomali, fuga o latitanza dell’imprenditore,
chiusura dei locali d’impresa, ecc..
È evidente perciò la differenza tra insolvenza e inadempienza. La prima è una situazione del
patrimonio del debitore, la seconda è un fatto che rileva uno dei possibili indici di insolvenza.
Un imprenditore può aver pagato tutti i suoi debiti ma continuar ad essere insolvente se ha
pagato con mezzi anomali. Inoltre può essere inadempiente senza essere insolvente. Infine
non è insolvente chi versa in uno stato temporaneo di difficoltà .
Per aprire la procedura di fallimento bisogna quindi che sussistano insieme stato d’insolvenza
e inadempienza. Importante è che si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare
dei debiti scaduti e non pagati è complessivamente superiore a 30mila euro. In particolare
l’attuale disciplina prevede che non è soggetto a fallimento l’imprenditore che rispetta tutti e
3 i seguenti requisiti:
- aver avuto nei 3 esercizi antecedenti la data di deposito di istanza del fallimento un
attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a 300mila euro
- aver realizzato nei 3 esercizi antecedenti la data di deposito di istanza del fallimento
ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200mila euro
- avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a 500mila euro.
Superare uno solo dei limiti indicati comporta l’esposizione al fallimento.

2. Il fallimento dell’imprenditore cessato e defunto.

La cessazione dell’attività di impresa o la morte dell’imprenditore non impediscono la


dichiarazione di fallimento.
Il fallimento può essere dichiarato solo se non è trascorso più di 1 anno dalla cancellazione
dell’impresa dal registro delle imprese.
Il fallimento dell’imprenditore defunto può essere chiesto anche dall’erede, purchè l’eredità
non si sia già confusa nel suo patrimonio. Infatti la dichiarazione elimina la confusione.
Se l’imprenditore muore dopo la dichiarazione di fallimento la procedura prosegue contro gli
eredi.

3. La dichiarazione di fallimento.

Il fallimento può essere dichiarato:


- su ricorso di uno o più creditori
- su richiesta del debitore
- su istanza del pubblico ministero.
Il primo caso è il più frequente e non è necessario che il credito vantato riguardi l’attività di
impresa.
Il secondo caso avviene quando il debitore ha interesse a provocare il proprio fallimento per
sottrarsi ad una serie di azioni esecutive individuali in atto. Diventa necessaria quando
l’inerzia provoca dissesto dell’impresa. L’imprenditore dovrà depositare presso la cancelleria
del tribunale una serie di documenti: scritture contabili e fiscali, indicazioni de ricavi degli
ultimi 3 esercizi, l’elenco nominativo dei creditori ecc..
Il pubblico ministero ha il potere-dovere di chiedere il fallimento quando l’insolvenza risulti
da fatti che configurano reati fallimentari.
Competente per la dichiarazione di fallimento è il tribunale del luogo dove l’imprenditore ha
la sede principale dell’impresa. Se la dichiarazione viene effettuata da un giudice
incompetente la procura immediatamente trasferisce le informazioni al tribunale competente
e tutti gli atti compiuti restano validi.
Se la sede principale è all’estero, il fallimento può essere dichiarato in Italia dove ha la sede
secondaria più importante. Inoltre è attuato il principio della perpetuatio iurisdictionis ovvero
che la giurisdizione italiana non viene meno.
Prima della riforma del 2006 il procedimento prevedeva che il tribunale decidesse sulla
domanda di fallimento in camera di consiglio e con rito sommario. Aveva la facoltà , ma non
l’obbligo, di ascoltare il debitore. Dopo la dichiarazione, questi poteva far valere le sue difese
presentando opposizione davanti al medesimo tribunale. L’opposizione però non sospendeva
l’esecuzione della sentenza. Con la riforma si è introdotta una disciplina più dettagliata. Il
tribunale continua a decidere sulla richiesta di fallimento con uno speciale procedimento in
camera di consiglio. La decisione va presa collegialmente ma durante il consiglio vanno
ascoltati anche il debitore e i creditori, avvisato con anticipo della data di riunione. Il tribunale
inoltre è dotato di poteri inquisitori e quindi può compiere tutte le indagini che ritiene
opportune. Il tribunale potrà quindi emettere provvedimenti cautelari o conservativi volti a
tutelare il patrimonio o l’impresa del debitore per la durata dell’istruttoria prefallimentare. Se
il tribunale ritiene di non dover accogliere la domanda di fallimento provvede con decreto
motivato che viene comunicato alle parti che possono proporre reclamo alla corte di appello
entro 30 giorni dalla comunicazione. Il fallimento, infine, è dichiarato con sentenza che
include anche alcuni provvedimenti quali la nomina del giudice delegato e del curatore;
ordina al fallito il deposito del bilancio, delle scritture contabili e fiscali, l’elenco dei nomi dei
creditori; fissa i termine relativi al procedimento dello stato passivo; conferma o revoca i
provvedimenti cautelari e conservativi emessi. La sentenza viene notificato al debitore, al
pubblico ministero, al curatore ed ai creditori. È resa pubblica mediante annotazione nel
registro delle imprese. La sentenza di fallimento è immediatamente esecutiva fra le parti.
4. Il reclamo. La revoca del fallimento.

La sentenza che dichiara il fallimento va impugnata mediante reclamo alla corte d’appello.
Possono proporre reclamo il fallito e qualsiasi interessato e deve essere depositato entro 30
giorni dalla comunicazione o dalla data di iscrizione nel registro delle imprese.
L’impugnazione non sospende gli effetti ma la corte può tuttavia sospendere la liquidazione
dell’attivo. Il fallimento deve essere revocato qualora si accerti che l’imprenditore non era
insolvente al momento della dichiarazione. Con la sentenza che accoglie il reclamo il
fallimento è revocato ma restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi
fallimentari. All’ex fallito non resta che rivolgersi nei confronti del creditore istante per
ottenere il risarcimento dei danni.

GLI ORGANI DEL FALLIMENTO

5. Il tribunale fallimentare.

Il tribunale che ha dichiarato il fallimento è investito dell’intera procedura fallimentare e ne


verifica il corretto svolgimento. In particolare:
- nomina il giudice delegato e il curatore, li sorveglia e li può sostituire
- sostituisce i componenti del comitato dei creditori
- decide le controversie relative alla procedura che non siano di competenza del giudice
delegato
- può chiedere chiarimenti ed informazioni al curatore, al fallito e al comitato.
Contro i decreti del tribunale fallimentare chiunque può opporre reclamo alla corte d’appello.
L’opposizione non sospende l’esecuzione del provvedimento.

6. Il giudice delegato.

Il giudice vigila sulle operazione del fallimento e controlla la regolarità delle procedure. In
particolare:
- nomina il comitato dei creditori
- forma lo stato passivo del fallimento e lo rende esecutivo con proprio decreto
- autorizza il curatore a stare in giudizio
- decide su reclami proposti conto gli atti del curatore e del comitato
- emette i provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio.
I provvedimento sono adottati con decreto motivato e chiunque può proporre reclamo al
tribunale fallimentare.

7. Il curatore.

Il curatore amministra il patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura.


È un pubblico ufficiale e viene di solito scelto tra avvocati, commercialisti o ragionieri. È
nominato dal tribunale. Talvolta l’incarico può anche essere concesso non ad un singolo ma ad
uno studio associato o società costituite fra tali professionisti. I creditori possono chiedere la
sostituzione del curatore indicando le ragioni e un nuovo nome da designare. Il curatore ha
diritto ad un compenso che consiste in una percentuale dell’attivo realizzato. Può essere
revocato in qualsiasi momento dal tribunale su richiesta del tribunale o del comitato.
Sono numerosi i compiti che gli sono assegnati ma la funzione principale è quella di
amministrazione del patrimonio, quindi conservare, gestire e realizzare il patrimonio. Per gli
atti che eccedono l’ordinaria amministrazione il consenso deve provenire dal comitato. Di tali
atti si deve informare anche il giudice.
Il curatore deve esercitare personalmente ma la delega ad altri è ammessa solo per singole
operazioni. Il compenso del delegato è detratto da quello del curatore.
Il curatore deve adempiere con diligenza i doveri del proprio ufficio. Egli è tenuto al
risarcimento dei danni provocati dalla sua gestione.

8. Il comitato dei creditori.

Il comitato vigila sull’operato del curatore, ne autorizza gli atti ed esprime pareri. È comporto
da 3 o 5 membri scelti fra i creditori e sono nominati dal giudice delegato entro 30 giorni dalla
sentenza di fallimento. La composizione del comitato è a discrezione del giudice che sceglie
tra i creditori che hanno manifestato disponibilità , ed inoltre può modificare la composizione
per motivi giustificati.
Il comitato delibera a maggioranza dei votanti e non possono votare i componenti che si
trovano in conflitto d’interesse. Il comitato nomina a maggioranza un presidente e ognuno di
loro ha diritto al rimborso spese o ad un compenso in misura non superiore al 10% di quello
liquidato al curatore.
Il parere del comitato è vincolante in alcuni casi:
- sulla restituzione dei beni mobili di terzi
- sulla continuazione temporanea dell’esercizio dell’attività d’impresa
- sull’affitto di azienda
- sulla proposta di concordato fallimentare.
Il comitato autorizza alcuni atti del curatore. In particolare:
- quelli eccedenti l’ordinaria amministrazione
- il subentro del curatore nei rapporti contrattuali pendenti
- la rinuncia all’acquisizione di beni della massa gravati da oneri
- la nomina di coadiutori del curatore
- approva il piano di liquidazione del curatore.
Inoltre possono ispezionare le scritture contabili ed i documenti del fallimento chiedendo
notizie e chiarimenti al curatore e al fallito.
I componenti del comitato sono soggetti a responsabilità secondo le regole previste per i
sindaci di società .

GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO

9. Effetti del fallimento per il fallito: effetti patrimoniali.

Gli effetti nei confronti del fallito possono distinguersi in patrimoniali, personali e penali.
Iniziamo dai primi.
Con la dichiarazione di fallimento il fallito perde l’amministrazione e la disponibilità dei suoi
beni che passano al curatore che li amministra. Lo spossessamento colpisce tutti i beni e i
diritti eccezion fatta per:
- i beni e diritti di natura strettamente personale
- gli assegni alimentari, stipendi, pensioni e salari che guadagna con la propria attività
- i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli
- le cose che non possono essere pignorate per legge.
Lo spossessamento si estende anche ai beni che pervengono al fallito durante il fallimento.
Con la dichiarazione di fallimento il fallito non perde la capacità di agire, ne la proprietà dei
beni di cui è stato spossessato fino a quando non siano trasferiti a terzi.
La perdita dell’amministrazione e della disponibilità del patrimonio comporta che il fallito
non può stare in giudizio nelle cause relative a rapporti patrimoniali compresi nel fallimento.
In suo luogo starà in giudizio il curatore.

10. Effetti personali e penali.

Con la dichiarazione il fallito vede limitati alcuni diritti civili quali il diritto al segreto
epistolare ed il diritto alla libertà di movimento.
La corrispondenza indirizzata al fallito che non sia persona fisica viene consegnata
direttamente al curatore. Inoltre è tenuto a comunicare al curatore ogni cambiamento della
propria residenza o domicilio e deve presentarsi agli organi della procedura ogni qualvolta è
chiamato per fornire informazioni o chiarimenti.
Il fallito non potrà essere amministratore, sindaco, revisore o liquidatore di società , ne potrà
svolgere le funzioni di tutore, notaio, arbitro, ne iscritto all’albo degli avvocati o dei
commercialisti. Con la chiusura del fallimento le incapacità civili cessano automaticamente.
La dichiarazione di fallimento espone il fallito a sanzioni penali per reati fallimentari quali:
- la bancarotta fraudolenta (caratterizzati dal dolo dell’imprenditore)
- la bancarotta semplice
- il ricorso abusivo al credito.

11. Effetti del fallimento per i creditori.

Il fallimento è diretto a soddisfare secondo parità di trattamento tutti i creditori del fallito al
momento della dichiarazione. Dalla sua data i creditori diventano creditori concorsuali
possono essere soddisfatti solo tramite la procedura fallimentare.
Acquistano però il diritto di partecipare alla ripartizione dell’attivo fallimentare solo in
seguito all’accertamento giuridico del loro credito. Diventano cosi creditori concorrenti.
Non tutti però sono sullo stesso piano. I creditori privilegiati hanno diritto di prelazione sul
ricavato della vendita del bene dell’oggetto della loro garanzia. Se non son totalmente
soddisfatti concorrono alla pari dei creditori chirografari. Dai creditori correnti vanno distinti
i creditori della massa cioè quelli che devono esser soddisfatti in prededuzione: prima dei
creditori concorrenti. Sono crediti prededucibili quelli qualificati per legge nonché le
obbligazioni sorte in funzione delle procedure concorsuali. Quindi sono creditori della massa
coloro che lo diventano dopo la dichiarazione del fallimento per atti compiuti dagli organi
fallimentari.
L’apertura del fallimento incide sulle modalità processuali di realizzazione del credito.
All’esecuzione individuale si sostituisce l’esecuzione collettiva fallimentare. Due sono i
principi cardine:
- ogni credito deve essere accertato giudizialmente nell’ambito del fallimento
- dal giorno della dichiarazione nessuna azione esecutiva individuale può essere iniziata.
Vi sono però delle eccezioni che riguardano:
- i creditori garantiti da pegno (vendita dei beni vincolati)
- le banche (su immobili ipotecati a garanzia di operazioni di credito fondiario)
- le banche, gli enti finanziari pubblici o privati (pegno su obbligazioni finanziarie).

12. Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori.

Fra il momento in cui si manifesta lo stato di insolvenza e quello in il fallimento è dichiarato


intercorre un certo intervallo di tempo ed in tale periodo l’imprenditore può aver compiuto
una serie di atti di disposizione. L’esigenza è quella di tutelare la massa dei creditori.
L’azione revocatoria non è di agevole esercizio e si ricorre alla specifica disciplina della
revocatoria fallimentare che si fonda su presupposti diversi.
Il principio ispiratore è che tutti gli atti posti in essere dall’imprenditore in stato di insolvenza
si presumono pregiudizievoli per i creditori. Il curatore che agisce in revocatoria è dispensato
dall’onere di provare il danno e la frode di questi atti. Infatti i presupposti sono:
- lo stato di insolvenza dell’imprenditore
- la conoscenza di tale stato da parte del terzo.
Se i presupposti son diversi, gli effetti son gli stessi. Cosi come il termine entro cui le azioni
devono essere esercitate, cioè entro 3 ani dalla dichiarazione di fallimento e non oltre i 5 anni
dal compimento dell’atto.
Vi è una categoria di atti che è priva di effetti nei confronti del credito e per i quali il curatore
non ha bisogno di agire in giudizio per l’accertamento della loro inefficacia. Questi sono:
- gli atti a titolo gratuito compiuti nei 2 anni anteriori alla dichiarazione
- i pagamenti di debiti che scadono nel giorno della dichiarazione.
Gli atti soggetti a revocatoria sono distinti in due categorie: gli atti anormali e gli atti normali.
I primi sono:
- gli atti a titolo oneroso caratterizzati da una notevole sproporzione fra le prestazioni
- i pagamenti di debiti pecuniari effettuati con mezzi anormali di pagamento
- i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie per debiti non scaduti e scaduti.
Rientrano nella categoria degli atti normali compiuti nei 6 mesi anteriori alla dichiarazione:
- i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati con mezzi normali
- gli atti costitutivi di diritti di prelazione per debiti sorti contestualmente
- ogni altro atto a titolo oneroso.
Non sono revocabili:
- i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività
- i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro a dipendente e collaboratori
- le vendite a giusto prezzo di immobili ad uso abitativo
- i pagamenti e le garanzie concesse su beni posti in essere in esecuzione di un piano che
appaia idoneo a consentire il risanamento.

13. Rapporti fra coniugi.

Il coniuge difficilmente ignora lo stato di insolvenza dell’imprenditore e non è raro che si


presti a far da tramite per atti pregiudizievoli. La disciplina della revocatoria fallimentare è
resa più drastica quando gli atti sono posti in essere fra i coniugi e ciò sotto un duplice
aspetto:
- è eliminato il limite temporale dettato in via generale e possono essere revocati tutti gli
atti di disposizioni fra i coniugi a partire dal momento in cui il fallito aveva iniziato
l’esercizio
- la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del coniuge è sempre presunta.
Sul coniuge graverà l’onere di provare che ignorava lo stato d’insolvenza.
14. Effetti del fallimento sui contratti in corso di esecuzione.

L’imprenditore è di regola al centro di rapporti che non hanno ancora avuto esecuzione al
momento della dichiarazione di fallimento.
Vi è un gruppo di contratti che si scioglie di diritto a seguito della dichiarazione e sono:
- i contratti di borsa a termine su merci e titoli (il carattere speculativo potrebbe
comportare situazioni pregiudizievoli)
- l’associazione in partecipazione in caso di fallimento dell’associante
- i contratti di conto corrente ordinario e bancario, commissione e mandato nel caso di
fallimento del mandatario
- l’appalto.
Vi è invece un secondo gruppo che nonostante il fallimento può essere ritenuto vantaggioso
per la massa di creditori, e sono:
- il contratto di locazione di immobili (il curatore può recedere in caso di fallimento sia
del conduttore che del locatore)
- l’affitto di azienda (entrambi le parti possono recedere entro 60 giorni)
- il contratto di assicurazione contro i danni in caso di fallimento dell’assicurato
- il contratto di edizione
- il contratto di cessione di crediti di impresa (factoring) in caso di fallimento del
cedente
- il leasing finanziario in caso di fallimento del concedente.
Infine vi è un terzo gruppo la cui sorte non è prefissata e restano sospesi in seguito al
fallimento e sarà il curatore a decidere se sciogliere il contratto o continuarlo. In caso di
scioglimento il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato
adempimento e diventa quindi creditore concorsuale. Rientrano in questo gruppo:
- il contratto di vendita con effetti obbligatori (nella vendita con effetti reali il contratto
non si scioglie)
- il contratto di vendita con riserva di proprietà (il fallimento del venditore non
comporta lo scioglimento)
- il contratto preliminare di vendita di immobili
- il mandato in caso di fallimento del mandante
- il leasing in caso di fallimento dell’utilizzatore
- l’associazione in partecipazione in caso di fallimento dell’associato.

15. L’esercizio provvisorio dell’impresa.

Con la dichiarazione di fallimento l’attività di impresa si arresta ed i beni sono destinati ad


essere liquidati. Si può comunque avere una continuazione provvisoria dell’attività per una
migliore liquidazione. Due sono le ipotesi:
- la prima si ha con la dichiarazione di fallimento ed il tribunale nella sentenza dichiara
la disposizione all’esercizio provvisorio
- la seconda interviene dopo che è stato nominato il comitato.
La continuazione è provvedimento che richiede particolare cautela date le conseguenze per i
creditori e il fallito.
LO SVOLGIMENTO DELLA PROCEDURA

16. L’accertamento del passivo.

L’accertamento del passivo è quella fase volta ad accertare quali creditori hanno diritto di
partecipare alla ripartizione dell’attivo.
la fase si apre con la domanda di ammissione dei creditori sollecitati dal curatore. La domanda
si presenta con ricorso da depositare presso la cancelleria del tribunale almeno 30 giorni
prima della data dell’udienza di esame dello stato passivo. Essa deve indicare la procedura a
cui si intende partecipare, le generalità del creditore, l’oggetto del credito. I creditori
privilegiati inoltre devono specificare il titolo. Alla domanda vanno allegati i documenti che
testimoniano il diritto.
Analoga domanda deve essere presentata per la restituzione o rivendicazione di beni di
proprietà di terzi in possesso del fallito.
In base all’attuale disciplina il curatore predispone un progetto di stato passivo nel quale deve
indicare:
- i crediti ammessi
- i crediti non ammessi
- i crediti ammessi con riserva.
In un separato elenco include i titolari di diritti su beni di proprietà o in possesso del fallito.
Per ogni diritto riconosciuto o meno deve motivare le proprie decisioni.
Il progetto viene depositato in cancelleria almeno 15 giorni prima di quello fissato per
l’udienza d’esame. I creditori e titolari possono prenderne visione e presentare eventuali
osservazioni scritte e documentate fino al giorno d’udienza.
Si apre cosi la fase di esame dello stato passivo che coinvolge il curatore e i creditori. Il giudice
esamine le posizioni di ogni singolo creditore e prende le decisioni.
Esaurite le operazioni il giudice forma lo stato passivo definitivo e lo dichiara esecutivo.
Si può proporre istanza di revocazione se si scopre che l’accoglimento o il rigetto di una
domanda è stato determinato da falsità , dolo, errore di fatto o mancata conoscenza di
documenti decisivi. Sono ammesse domande tardive, cioè presentate oltre il termine di 30
giorni prima dell’udienza e anche entro 12 mesi dal deposito del decreto ma in questo caso il
creditore tardivo dovrà provare che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile.
I creditori non ammessi possono opporsi, mentre i creditori ammessi possono impugnare il
decreto per escludere creditori che non ritengono debbano esserlo.

17. Liquidazione e ripartizione dell’attivo.

Alla liquidazione provvede il curatore che entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario
predispone un programma di liquidazione in cui si pianificano le modalità e i termini per la
realizzazione dell’attivo. Viene sottoposto all’approvazione del comitato. Se approvato viene
comunicato al giudice che autorizza l’esecuzione degli atti ad esso conformi e il curatore può
procedere agli atti di liquidazione.
Da evitare è la vendita dei singoli beni. È preferibile la vendita dell’azienda in blocco in modo
da evitare la disgregazione del complesso aziendale. La vendita dei singoli beni è ammessa
solo quando risulta avere un maggiore soddisfacimento rispetto alla vendita in blocco.
Le somme che si rendono via via disponibili sono ripartite fra i creditori in base alla
prededucibilità , ai creditori privilegiati e a quelli chirografari.
Quindi si pagano prima i creditori prededucibili con le disponibilità liquide, escluse quelle
ricavate da beni oggetti di pegno ed ipoteca riservata ai creditori garantiti. Quanto residua dal
soddisfacimento dei creditori prededucibili e dei creditori garantiti è ciò che spetta ai
creditori privilegiati.
Le somme che spettano ai creditori sono assegnate loro con periodiche ripartizioni parziali.
Ogni 4 mesi il curatore presenta al giudice un prospetto delle somme disponibili ed un
progetto di ripartizione. Per ordine del giudice il progetto viene depositato in cancelleria
dandone avviso a tutti i creditori che possono presentare reclamo al giudice. Scaduti i termini
per l’impugnazione il giudice rende esecutivo il progetto. Le ripartizioni parziali non possono
superare l’80% delle somme disponibili. Il 20% deve essere accantonato per eventuali
imprevisti.
Esaurita la liquidazione il curatore rende al giudice il conto della sua gestione. Approvato
nuovamente dal giudice in udienza viene liquidato il compenso al curatore e si procede alla
ripartizione finale con la quale si distribuiscono anche gli accantonamenti precedentemente
effettuati.

LA CESSAZIONE DEL FALLIMENTO

18. La chiusura del fallimento. L’esdebitazione.

Oltre che per concordato fallimentare il fallimento si chiude per una delle seguenti cause:
- mancata presentazione di domande di ammissione allo stato passivo
- pagamento integrale dei creditori ammessi al passivo e di tutti i debiti e le spese
- ripartizione integrale dell’attivo
- impossibilità di continuare utilmente la procedura per insufficienza dell’attivo.
La chiusura è dichiarata con decreto motivato del tribunale, su istanza del curatore o del
fallito.
Con la chiusura decadono gli organi preposti alla procedura e cessano gli effetti del fallimento
sia per il fallito che per i creditori. Il debitore rimane obbligato verso i creditori concorsuali
che riacquistano la possibilità di proporre azioni esecutive individuali. La liberazione del
fallito dai debiti residui può aversi o con concordato o tramite esdebitazione.
Questo è un beneficio concesso dal tribunale al fallito persona fisica in presenza di particolari
condizioni soggettive ed oggettive al fine di limitare l’esdebitazione a chi ne è meritevole e il
cui fallimento ha consentito il soddisfacimento parziale dei creditori concorsuali.
In quanto ai requisiti di meritevolezza è abilitato l’imprenditore che:
- ha cooperato con gli organi della procedura
- nei 10 anni precedenti non ha beneficiato di altra esdebitazione
- non ha distratto l’attivo o esposto debiti inesistenti
- non è stato condannato per bancarotta o per delitti contro l’economia pubblica,
l’industria e il commercio.
Contro il decreto che concede o nega l’esdebitazione chiunque può appellarsi alla corte
d’appello.
19. La riapertura del fallimento.

Il fallimento chiuso per ripartizione integrale o insufficienza dell’attivo può essere riaperto ma
sono necessarie le seguenti condizioni:
- devono essere trascorsi 5 anni dal decreto di chiusura
- nel patrimonio del fallito si rinvengono nuove attività .
La riapertura può essere richiesta dal debitore o qualsiasi creditore, anche nuovo.
Il fallimento riaperto si atteggia in parte come nuovo fallimento e in parte come continuazione
del precedente. Infatti al fallimento riaperto concorrono sia i nuovi che i vecchi creditori. Il
tribunale dovrà richiamare il giudice e il curatore del fallimento chiuso mentre il comitato
dovrà essere nuovo dovendo tener conto dei nuovi creditori.

20. Il concordato fallimentare.

È un modo di chiusura del fallimento tramite il pagamento parziale dei creditori e può giovare
sia ai creditori che al fallito.
La proposta può essere presentata da uno o più creditori, da un terzo in qualsiasi momento, in
genere dopo che sia formato lo stato passivo. Anche il fallito può proporre il concordato ma
dopo 1 anno dalla dichiarazione di fallimento.
Il contenuto della proposta è vario. Si può prevedere:
- il pagamento immediato di una percentuale (concordato remissorio)
- il pagamento differito dell’intero credito (concordato dilatorio)
- il pagamento in percentuale e differito (concordato misto)
- la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica ed interessi
economici omogenei offrendo trattamenti differenziati fra le diverse classi.
Persone diverse dal fallito possono obbligarsi in via principale è il caso dell’assuntore del
concordato. Questo si obbliga in solido con il fallito (accollo cumulativo) o può restare il solo
obbligato se si prevede la liberazione immediata del fallito (accollo liberatorio).
La proposta è soggetta all’esame del giudice che è tenuto a richiedere il parere vincolante del
comitato e quello no vincolante del curatore. Il giudice ordina la comunicazione della proposta
e fissa il termine entro il quale i creditori devono far pervenire al tribunale la loro
dichiarazione di dissenso. Non è necessario che i favorevoli esprimano il loro voto in quanto il
silenzio vale come consenso.
Hanno diritto di voto i creditori chirografari ammessi al passivo. Non possono votare:
- i creditori privilegiati se ad essi si offre l’integrale pagamento a meno che non
rinuncino al loro privilegio
- il coniuge, i parenti e gli affini del fallito
- le società appartenenti al medesimo gruppo di quella fallita
- coloro che sono diventati cessionari di un credito verso il fallito dopo la dichiarazione.
È richiesto il consenso dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al
voto.
Se il concordato è approvato si apre il giudizio di omologazione. Possono opporsi i creditori
dissenzienti, il fallito e altri interessati. Il comitato deposita una relazione con il suo parere
definitivo. Il tribunale valuta la regolarità della procedura. Quando diventa definito il decreto
che omologa il concordato, il fallimento si chiude ed il curatore deve rendere il conto della sua
gestione.
Il concordato produce effetti per tutti i creditori anteriori al fallimento. Il concordato è
eseguito dal fallito sotto la sorveglianza del giudice, del curatore e del comitato che restano in
carica anche dopo l’omologazione.
Gli effetti possono cessare per risoluzione (inadempimento del concordato quando non
vengono costituite le garanzie promesse o il proponente non adempie regolarmente agli
obblighi) o per annullamento (disposto dal tribunale su istanza del curatore quando si scopre
che il passivo era stato dolosamente esagerato). Annullato o risolto il concordato si riapre il
fallimento automaticamente.

IL FALLIMENTO DELLA SOCIETA’

21. Il fallimento delle società .

Al fallimento delle società è in via di principio applicabile la disciplina fin qui esposta.
Falliscono solo le società che esercitano un’impresa commerciale se superano le soglie
dimensionali.
La legge non specifica a chi compete l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento. Preferibile è
l’opinione che ritiene legittimati gli amministratori.
Ogni qual volta la legge richiede che sia sentito il fallito dovranno essere sentiti gli
amministratori o i liquidatori della società fallita. Sugli stessi grava l’obbligo di comunicare
ogni cambio di residenza o domicilio.
Nelle società di capitali, al curatore è riservato l’esercizio sia dell’azione sociale di
responsabilità sia di quella spettante ai creditori sociali contro amministratori, organi di
controllo, direttori generali e liquidatori. Il curatore deve essere autorizzato dal giudice. Nei
confronti di amm, sindaci, dg e liquidatori sono applicabili le sanzioni penali per i reati di
bancarotta semplice e fraudolenta.
La proposta e le condizioni del concordato fallimentare devono essere approvate:
- nelle società di persone dai soci che rappresentano la maggioranza del capitale
- nelle società di capitali e nelle cooperativa dagli amministratori.
Il fallimento è causa legale di scioglimento delle società di persone, non lo è più per le società
di capitali.

22. La posizione dei soci nel fallimento della società .

Per i soci a responsabilità limitata il fallimento comporta che il giudice può ingiungere loro
per eseguire i conferimento ancora dovuti.
Nelle società in nome collettivo, in accomandita semplice e nell’accomandita per azioni, il
fallimento della società produce anche il fallimento dei soci a responsabilità illimitata.
Il fallimento della società determina il fallimento anche dei soci occulti, quelli accertati
successivamente.
Anche gli ex soci illimitatamente responsabili falliscono poiché sono responsabili per le
obbligazioni anteriori. Il fallimento però può essere dichiarato solo se non è trascorso più di
un anno da quando sono state realizzate le formalità necessarie per rendere noti ai terzi tali
fatti. Lo stesso vale per i soci che hanno perso la responsabilità illimitata in seguito a
trasformazioni, scissioni o fusioni.
23. Fallimento e patrimoni destinati.

L’attuale disciplina detta alcune regole applicabili alle spa che hanno costituito patrimoni
destinati.
Se la società ha costituito un patrimonio destinato operativo e non consente di soddisfare
integralmente le relative obbligazioni non viene dichiarato il fallimento e non è prevista
alcuna procedura concorsuale. I creditori insoddisfatti possono chiedere la liquidazione del
patrimonio destinato. Se invece consente il soddisfacimento integrale allora viene dichiarato il
fallimento e la gestione del patrimonio è destinata ad un curatore.
Il curatore può esercitare l’azione revocatoria contro gli atti pregiudizievoli per i creditori del
patrimonio generale che incidono sul patrimonio destinato. Egli dovrà vagliare la possibilità
di cedere a terzi il patrimonio separato o destinarlo in liquidazione. Se il patrimonio separato
è incapiente il curato con l’autorizzazione del giudice lo pone in liquidazione.
Regole più favorevoli sono quelle previste per il finanziamento destinato. In caso di fallimento
occorre distinguere:
- se il fallimento impedisce la realizzazione o continuazione dell’affare il contratto si
scioglie e il finanziatore può insinuarsi al passivo per l’intero importo del
finanziamento ancora non rimborsato
- se l’affare non è impedito dal fallimento il curatore può decidere di subentrare nel
contratto assumendone i relativi oneri. Ove il curatore non subentri nel contratto, lo
stesso finanziatore può chiedere al giudice di realizzare o continuare l’operazione in
proprio o affidandola a terzi insinuandosi nel fallimento in via chirografaria per
l’eventuale credito residuo. Altrimenti il contratto si scioglie.
42. IL CONCORDATO PREVENTIVO. GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI
DEBITI

1. Caratteri generali. Presupposti.

L’imprenditore può evitare che la crisi sfoci in fallimento regolando i propri rapporti con i
creditori mediante un concordato preventivo. Il presupposto oggettivo di questa procedura è
lo stato di crisi economica dell’imprenditore, cioè una difficoltà temporanea e reversibile che
non consente di soddisfare regolarmente i creditori.
Se la crisi è temporanea e reversibile il concordato mira a superare tale situazione attraverso
il risanamento economico e finanziario. Se la crisi è definitiva e irreversibile il concordato può
essere attuato prima che sia dichiarato il fallimento.
È un concordato giudiziale (in quanto non basta l’approvazione della maggioranza qualificata
dei creditori ma è necessaria anche l’omologazione da parte del tribunale) e di massa (in
quando è produttivo di effetti per tutti i creditori anteriori).
Il concordato serve ad evitare le gravi conseguenze patrimoniali, personali e penali del
fallimento e conserva l’amministrazione dei beni e la gestione dell’impresa. Quindi il
concordato è un beneficio concesso all’imprenditore. La legge non fissa particolari condizioni
soggettive, può presentare proposta qualsiasi imprenditore commerciale in stato di crisi che
superi i limiti dimensionali.
Non è necessario soddisfare per intero i creditori privilegiati ma comunque devono essere
soddisfatti in misura non inferiore a quanto potrebbero conseguire sul ricavato in caso di
liquidazione.
In merito al contenuto valgono le regole del concordato fallimentare. Può pertanto perseguire
la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma; può
consistere in una dilazione dei termini di pagamento; nel soddisfacimento parziale dei
creditori; può prevedere la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica ed
interessi comuni omogenei.

2. L’ammissione al concordato.

La procedura inizia con la domanda di ammissione del debitore alla quale devono essere
allegati: un’aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria
dell’impresa; uno stato analitico delle attività con i relativi valori.
La domanda e gli allegati devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista
scelto dal debitore.
Ricevuta la domanda il tribunale svolge un controllo preliminare volto ad accertare l’esistenza
dei presupposti per la procedura. Se l’accertamento ha esito negativo il tribunale dichiara
inammissibile la proposta di concordato e verifica l’esistenza dei presupposti per la
dichiarazione di fallimento. Se invece dichiara ammissibile la proposta dichiara aperta la
procedura di concordato, designa gli organi della procedura (il giudice delegato e un
commissario giudiziale), ordina la convocazione dei creditori, fissa la somma che ritiene
necessaria come acconto sulle spese della procedura ed il termine entro il quale il debitore
deve depositarla nella cancelleria.
Il debitore conserva l’amministrazione dei beni e la gestione dell’impresa anche se è vigilato
dal commissario giudiziale e per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione ha bisogno del
consenso del giudice.
Gli effetti per i creditori anteriori son gli stessi del fallimento. Dal momento dell’inizio della
procedura questi non possono iniziare azioni esecutive individuali sul patrimonio del
debitore. Restano sospese le prescrizioni e non si verificano le decadenze. Non trova invece
applicazione la disciplina della revocatoria fallimentare e del fallimento per i contratti in corso
di esecuzione.

3. Lo svolgimento della procedura.

Il procedimento si articola in 2 fasi: l’approvazione della proposta da parte dei creditori e la


successiva omologazione del concordato da parte del tribunale.
L’approvazione del concordato preventivo avviene in apposita adunanza dei creditori e vi
partecipa il commissario giudiziale che illustra ai creditori la proposta definitiva la quale
diventa immodificabile con l’inizio delle proposte di voto. Se la proposta è respinta il tribunale
dichiara d’ufficio inammissibile la proposta e dichiara il fallimento. Se il concordato è stato
approvato si apre il giudizio di omologazione.
In questa sede il tribunale effettua un controllo sulla regolarità della procedura e sul risultato
della votazione. Se i risultati sono positivi il tribunale omologa con decreto il concordato
altrimenti lo respinge e dichiara il fallimento con sentenza.

4. Esecuzione. Risoluzione ed annullamento del contratto.

Con il decreto di omologazione la procedura si chiude e il concordato si svolge sotto la


vigilanza del commissario giudiziale. Qualora il concordato consiste nella cessione dei beni ai
creditori il tribunale nomina uno o più liquidatori ed un comitato di 3 o 5 creditori.
Il concordato può essere risolto od annullato negli stessi casi previsti per il concordato
fallimentare. La risoluzione però non può essere domandata se l’inadempimento è di scarsa
importanza. In caso di risoluzione o annullamento il tribunale deve verificare se sussistono le
condizioni per la dichiarazione di fallimento.
L’apertura del fallimento crea due problemi:
- il primo problema è se i termini a ritroso per l’esercizio dell’azione revocatoria
fallimentare decorrano dalla data del decreto all’ammissione del concordato o da
quella successiva della dichiarazione di fallimento (prevalente è la prima soluzione)
- gli atti legalmente compiuti in esecuzione del concordato preventivo non sono soggetti
ad azione revocatoria. Coloro che sono diventati creditori dell’imprenditore durante il
concordato devono essere considerati nel successivo fallimento creditori della massa
(quindi soddisfatti in prededuzione) o devono essere considerati concordati
concorrenti (quindi soddisfatti in percentuale).

GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI

5. Caratteri generali. Disciplina.

Questi sono accordi stipulati tra l’imprenditore in stato di crisi ed una maggioranza dei
creditori i quali una volta pubblicati nel registro delle imprese ed ottenuta l’omologazione del
tribunale consentono di porre gli atti compiuti in esecuzione degli stessi al riparo dall’azione
revocatoria fallimentare, qualora la crisi non sia superata e sopraggiunga il fallimento.
Gli accordi differiscono dal concordato poiché non costituiscono un concordato giudiziale e di
massa poiché non vengono stipulati nell’ambito di una procedura giudiziale e vincolano solo i
creditori che vi aderiscono.
Gli accordi differiscono anche dai piani di risanamento poiché questi ultimi conseguono tale
risultato senza bisogno di preventivo accordo dei creditori, senza essere pubblicati nel
registro delle imprese e senza omologazione del tribunale ma non conferiscono certezza ai
loro effetti non essendo soggetti a controllo giudiziale.
All’accordo devono aderire i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti. Dopo la
stipula del contratto bisogna chiedere l’omologazione al tribunale inviando la
documentazione richiesta per il concordato preventivo. L’accordo è pubblicato nel registro
delle imprese. Dal giorno di pubblicazione acquista efficacia e può essere eseguito. Il tribunale
dovrà omologare con decreto motivato contro il quale è possibile proporre reclamo davanti
alla corte d’appello.
Anche questa procedura per i creditori anteriori vieta di intraprendere azioni cautelari
esecutive o individuali. Però i creditori estranei che non hanno ricevuto regolare pagamento
possono compiere atti esecutivi e comunque sono liberi di presentare in qualsiasi momento
domanda di fallimento.
43. LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA

1. Caratteri generali.

La liquidazione coatta amministrativa è una procedura concorsuale a carattere


amministrativo a cui sono assoggettate determinate categorie di imprese indicate da leggi
speciali. Si tratta solitamente di imprese pubbliche o di imprese private sottoposte a controllo
pubblico per il rilievo economico e sociale della loro attività .
La liquidazione coatta può essere disposta non solo quando vi è lo stato di insolvenza ma
anche per gravi irregolarità di gestione o violazione di norme di legge regolamentari.
L’autorità competente a disporre la liquidazione coatta è l’autorità amministrativa individuata
dalle singole leggi speciali.
Il fine della liquidazione coatta è diverso da quello del fallimento. La liquidazione coatta
prevede l’eliminazione dal mercato dell’impresa colpita dal relativo provvedimento e ciò
tramite una procedura di liquidazione che prevede anche il soddisfacimento dei creditori.

2. Il provvedimento di liquidazione. L’accertamento dello stato di insolvenza.

La liquidazione è disposta con decreto dell’autorità governativa che ha la vigilanza


sull’impresa. Entro 10 giorni dalla sua data il decreto deve essere pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale e comunicato per l’iscrizione al registro delle imprese.
La stessa autorità nomina gli organi della procedura: il commissario liquidatore ed il comitato
di sorveglianza.
Il commissario si occupa a svolgere l’attività di liquidazione secondo le direttive impartite
dall’autorità di vigilanza.
Il comitato è composto da 3 o 5 membri scelti fra persone esperte nel ramo di attività
esercitate dall’impresa. Ha funzioni consultive e di controllo.
Resta di competenza sempre dell’autorità giudiziaria l’accertamento dell’eventuale stato di
insolvenza, accertamento che per le sole imprese private procede o segue il provvedimento
amministrativo di apertura della liquidazione coatta. Per gli enti pubblici economico
l’accertamento preventivo non sussiste.
L’accertamento preventivo dello stato di insolvenza di un’impresa privata può essere richiesto
da uno o più creditori, dall’imprenditore o dall’autorità governativa. Prima di provvedere il
tribunale deve sentire il debitore. La sentenza che accerta lo stato è comunicata all’autorità
governativa entro 3 giorni perché disponga la liquidazione.
L’accertamento successivo, cioè di società che si trova già in liquidazione coatta, può essere
richiesto dal commissario o dal pubblico ministero. Anche in tal caso lo stato di insolvenza è
dichiarato con sentenza ed il tribunale è tenuto a convocare l’imprenditore per concedergli il
diritto di difesa.
Gli effetti prodotti dalla liquidazione sono diversi a seconda che sia stato o meno accertato lo
stato di insolvenza. In entrambi i casi si applicano le norme in tema di fallimento sul
patrimonio del debitore (spossessamento) e se l’impresa è una società restano sospese le
funzioni degli organi sociali. Solo se è stato accertata l’insolvenza trovano applicazione le
norme relative agli atti pregiudizievoli ai creditori e le sanzioni penali disposte per il
fallimento.
La liquidazione coatta di una società non si estende mai ai soci illimitatamente responsabili ai
quali si applica la disciplina della revocatoria fallimentare.
3. Il procedimento. Chiusura.

La liquidazione coatta amministrativa si sviluppa come il fallimento attraverso le fasi


dell’accertamento dello stato passivo, della liquidazione dell’attivo e del riparto del ricavato
fra i creditori.
La formazione dello stato passivo è differente. Non è necessaria una domanda di ammissione
dei creditori e lo stato passivo è formato di ufficio dal commissario liquidatore sulla base delle
scritture contabili e dei documenti dell’impresa. Egli stesso è tenuto a comunicare entro un
mese le somme risultanti a credito di ciascuno. Manca la fase di verificazione dello stato
passivo ed infatti è lo stesso commissario a depositarlo nella cancelleria. Col deposito diventa
esecutivo. Da questo momento si può aprire una fase contenziosa davanti all’autorità
giudiziaria con la proposizione di opposizioni e impugnazioni da parte dei creditori.
Più snella è la liquidazione dell’attivo. Vi provvede sempre il commissario anche se per la
vendita in blocco o di immobili è necessaria l’autorizzazione dell’autorità di vigilanza ed il
parere del comitato.
Per la ripartizione dell’attivo valgono gli stessi criteri dettati in tema di fallimento. Prima
dell’ultimo riparto il commissario deve sottoporre all’autorità amministrativa di vigilanza il
bilancio finale di liquidazione con il conto della gestione ed il piano di riparto fra i creditori
accompagnati da una relazione del comitato. L’autorità ne autorizza il deposito presso la
cancelleria del tribunale e liquida il compenso al commissario. Si apre a questo punto un’altra
fase giudiziaria. Il tribunale può essere investito delle contestazioni nel termine di 20 giorni.
Le contestazioni sono decise in camera di consiglio. In mancanza di queste, il bilancio finale e
il piano di riparto si intendono approvati. Il commissario provvede alla ripartizione finale e
alla cancellazione della società nel registro delle imprese.
La liquidazione si può chiudere anche tramite concordato. La procedura però presenta
notevoli differenze e si caratterizza per il fatto che non è richiesta l’approvazione dei creditori.
La proposta presentata dall’imprenditore, da uno o più creditori o da un terzo, previa
l’autorizzazione dell’autorità di vigilanza, è approvata direttamente dal tribunale sentito il
parere di quest’ultimo. I creditori possono far valere le loro ragioni al tribunale solo prima
dell’approvazione e il tribunale comunque può approvare il concordato se si oppongono tutti i
creditori. Contro il decreto del tribunale si può proporre reclamo alla corte d’appello.
44. L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DELLE GRANDI IMPRESE
INSOLVENTI

1. Caratteri generali.

Con tale procedura si vuole conciliare il soddisfacimento dei creditori dell’imprenditore


insolvente con il salvataggio del complesso produttivo in crisi e la conservazione dei posti di
lavoro. Tale procedura dagli anni 70 ha ricevuto varie riforme per renderla sempre più
efficace e successivamente (2004) è stata riservata alle imprese di maggiori dimensioni che
intendono perseguire un programma di risanamento.
Quindi ha finalità conservative del patrimonio produttivo mediante prosecuzione,
riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali.
L’amministrazione straordinaria è considerata una procedura concorsuale nel contempo
giudiziaria ed amministrativa, articolata in due fasi: la dichiarazione dello stato di insolvenza
da parte dell’autorità giudiziaria e la successiva ed eventuale apertura della procedura di
amministrazione. Competente è sempre l’autorità giudiziaria che ha il compito anche di
accertare lo stato del passivo e la ripartizione dell’attivo. All’autorità amministrativa spetta la
gestione della procedura caratterizzata dall’automatica continuazione dell’esercizio
dell’impresa insolvente da parte di un commissario. Inoltre provvede anche a predisporre il
programma di risanamento.

2. Presupposti. Dichiarazione di insolvenza.

La procedura si applica alle imprese commerciali, anche individuali, soggette a fallimento e


che rispondono a determinati requisiti e condizioni. Vale a dire:
- hanno un numero di dipendenti non inferiore a 200 da almeno 1 anno
- hanno debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi tanto del totale
dell’attivo dello SP che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni
dell’ultimo esercizio
- sono in stato di insolvenza
- presentano concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico.
Quest’ultima condizione avviene dopo l’apertura della procedura articolata in 2 fasi.
Nella prima il tribunale si limita ad accertare lo stato di insolvenza e deve astenersi dal
dichiarare il fallimento. Si dà cosi avvio ad un procedimento diretto ad accertare se esistono
concrete prospettive di risanamento e che può avere un duplice sbocco: l’apertura
dell’amministrazione straordinaria o la dichiarazione di fallimento.
Lo stato di insolvenza è dichiarato tramite sentenza dal tribunale del luogo dove ha la sede
principale l’impresa insolvente ed è comunicata e resa pubblica con le stesse modalità
previste per la dichiarazione di fallimento. Comunicata entro 3 giorni al Ministero dello
sviluppo economico. Con la sentenza il tribunale nomina il giudice delegato, 1 o 3 commissari
giudiziali e dà avvio al procedimento per la formazione dello stato passivo.
Gli effetti differiscono dalla dichiarazione di fallimento. L’imprenditore insolvente conserva
l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa che continua sotto la vigilanza del
commissario giudiziale. Il tribunale tuttavia può affidare la gestione dell’impresa al
commissario e in tal caso l’imprenditore perde l’amministrazione e la disponibilità di tutto il
suo patrimonio. Nel contempo i creditori non possono proseguire o intraprendere azioni
esecutive individuali.
Se è insolvente la società gli effetti si estendono anche ai soci illimitatamente responsabili
compresi i soci receduti, esclusi o defunti se la dichiarazione è pronunciata entro l’anno
successivo alla data in cui lo scioglimento del rapporto sociale è divenuto opponibile ai terzi e
sempre che l’insolvenza della società attenga a debiti contratti prima di tale data.
Gli effetti si estendono anche ai soci occulti.

3. Apertura dell’amministrazione straordinaria.

L’apertura è subordinata all’accertamento che ricorrano concrete prospettive di recupero


dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali. Tale risultato deve potersi realizzare
tramite uno dei seguenti indirizzi alternativi:
- cessione dei complessi aziendali sulla base di un programma di prosecuzione
dell’esercizio di impresa di durata non superiore ad 1 anno
- ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa sulla base di un programma di
risanamento di durata non superiore a 2 anni.
L’accertamento deve essere fatto in tempi brevi e il commissario giudiziale redige una
relazione contenente una motivata valutazione circa l’esistenza di tali condizioni e depositarla
in cancelleria entro 30 giorni dalla dichiarazione dello stato di insolvenza. La relazione viene
trasmessa anche al Ministero dello sviluppo economico.
Entro 30 giorni dal deposito della relazione il tribunale assume le sue determinazioni, tenuto
conto del Ministero e delle osservazioni dell’imprenditore, dei creditori e di ogni interessato.
Se ritiene che le prospettive di risanamento siano concrete dichiara aperta la procedura di
amministrazione straordinaria. Altrimenti dichiara il fallimento. Con il decreto di fallimento il
tribunale nomina il giudice delegato, il curatore e cessano le funzioni degli organi nominati
precedentemente. Se invece si apre la procedura di amministrazione si adottano i
provvedimenti opportuni per la prosecuzione dell’attività la cui gestione deve essere affidata
al commissario giudiziale prima di passare in mano del commissario straordinario.
L’amministrazione infatti si svolge ad opera di 1 o 3 commissari straordinari nominati dal
Ministero. Il commissario straordinario ha la gestione dell’impresa e l’amministrazione dei
beni dell’imprenditore, nonché degli eventuali soci a responsabilità illimitata.
Il Ministero nomina anche un comitato di sorveglianza composto da 3 o 5 membri, di cui 1 o 2
creditori chirografari e nomina anche il presidente di tale comitato. Il compito del comitato è
di esprimere pareri sugli atti del commissario.
All’amministrazione straordinaria si applicano le disposizioni sulla liquidazione coatta.
Il divieto di azioni esecutive individuali a carico dei creditori ha carattere assoluto. Nel caso
della conversione della procedura in fallimento le azioni revocatorie possono essere
promosse dal commissario straordinario solo se è stata autorizzata l’esecuzione di un
programma di cessione dei complessi aziendali.
Tutti i contratti continuano ad avere esecuzione fino a quando il commissario straordinario
non decide se subentrare nel contratto o scioglierlo. A tale regola fanno eccezione: i contratti
di lavoro subordinati e il contratto di locazione di immobili.
I crediti dei terzi derivanti dalla prosecuzione dell’attività sono soddisfatti in prededuzione
anche se la procedura si converte in fallimento.
4. Lo svolgimento della procedura.

Con l’attuale disciplina la continuazione dell’esercizio d’impresa è automatica in quanto


essenziale per la conservazione del complesso aziendale.
Inoltre in tempi brevi il commissario straordinario deve predisporre e presentare al Ministero
dello sviluppo economico un programma per il recupero dell’equilibrio economico optando
per uno dei due indirizzi alternativi. Il programma deve tendere a salvaguardare l’unità
operativa dei complessi aziendali tenuto conto degli interessi dei creditori.
Col programma di cessione si avvia una fase di liquidazione destinata a soddisfare i creditori
con il ricavato delle cessioni mentre l’attività sarà continuata eventualmente dai cessionari.
Col programma di ristrutturazione si tende a risanare l’impresa in modo che l’imprenditore
possa essere in grado di soddisfare i creditori. Il programma deve perciò indicare i tempi e le
modalità di soddisfazione. L’esecuzione del programma è autorizzato dal Ministero, sentito il
comitato di sorveglianza, entro 30 giorni dalla presentazione. Nel corso della procedura il
programma può essere modificato o sostituito adottando l’altro indirizzo.
Per evitare che vengano chiusi i canali del finanziamento bancario è prevista la concessione
della garanzia dello Stato a favore delle banche che erogano finanziamenti per la gestione
corrente e la riattivazione. Lo Stato interviene come semplice garante e diviene a sua volta
creditore di massa per il recupero delle somme pagate.
Il trasferimento in blocco dei beni è agevolato sotto più profili. La vendita può avvenire anche
a trattativa privata se il valore supera l’equivalente di 100milioni di lire. Inoltre può essere
concesso un consistente sconto sul valore del complesso aziendale a chi acquista aziende non
ancora risanate e che continuano a produrre perdite. Infatti nella determinazione del valore si
tiene conto anche della redditività anche negativa non solo all’epoca della stima ma anche nel
biennio successivo alla vendita. L’acquirente però si deve impegnare a continuare l’attività per
almeno 2 anni e a mantenere per lo stesso periodo i livelli di occupazione stabiliti all’atto di
vendita.
L’amministrazione prevede due forme di distribuzione dell’attivo:
- gli acconti (possono essere disposti dal commissario in qualsiasi momento, hanno
carattere provvisorio e sono ripetibili. Possono essere distribuiti indipendentemente
dal tipo di programma adottato ed è data preferenza ai crediti dei lavoratori
subordinati)
- i riparti (possono essere effettuati solo dopo che lo stato passivo è stato reso esecutivo.
Sono possibili solo quando il programma adottato prevede la cessione dei complessi
aziendali).
Avvenuta l’integrale cessione dei complessi aziendali nei termini stabiliti dal programma, il
tribunale dichiara con decreto la cessazione dell’esercizio dell’impresa. A partire da tale
momento l’amministrazione straordinaria perde la propria funzione conservativa ed è
considerata mera procedura concorsuale liquidatoria.

5. Cessazione della procedura.

Termina per conversione in fallimento o con la chiusura della procedura.


La conversione in fallimento può essere disposta nel corso della procedura quando risulta che
la stessa non può più essere proseguita. La conversione è disposta dal tribunale con decreto
motivato, su richiesta del commissario straordinario sentiti il Ministro, il comitato e
l’imprenditore.
Sono cause generali di chiusura:
- concordato
- la mancata presentazione di domande di ammissione al passivo
- il recupero da parte dell’imprenditore della capacità di soddisfare regolarmente i
creditori.
Se è stato autorizzato un programma di cessione dei beni si chiude:
- quanto tutti i crediti ammessi sono soddisfatti
- quando è comunque compiuta la ripartizione finale dell’attivo.
La chiusura è disposta con decreto motivato dal tribunale ed è reclamabile alla corte di
appello.
Se l’amministrazione straordinaria si chiude per ripartizione integrale e vi sono creditori
ancora insoddisfatti il tribunale può ordinare la riapertura del fallimento. La sentenza però
non comporta la ripresa della procedura, bensì la sua conversione in fallimento.
La cessazione dell’amministrazione straordinaria può aversi per concordato, proposto
dall’imprenditore o da un terzo dopo che lo stato del passivo è reso esecutivo. La proposta
deve essere autorizzata dal ministro ed è assoggettata alla stessa disciplina prevista per il
concordato nella liquidazione coatta.

6. L’amministrazione straordinaria speciale del decreto legge 347/2003 (decreto Marzano).

L’amministrazione straordinaria è procedura complessa e lunga che può creare turbative e


mesi di aspettative. Per evitare tali inconveniente il d.l. 347/2003 ha introdotto regole speciali
per la ristrutturazione delle imprese di maggiori dimensioni, regole volte a velocizzare i tempi
di procedura dell’amministrazione straordinaria.
La nuova procedura è applicabile alle imprese soggette al fallimento che versano in stato
d’insolvenza e abbia da almeno 1 anno:
- non meno di 500 dipendenti
- debiti per non meno di 300milioni di euro.
Inoltre l’impresa deve intendere di voler perseguire il recupero dell’equilibrio economico
attraverso un programma di ristrutturazione.
L’ammissione viene disposta direttamente dal Ministro sulla base della semplice richiesta
dell’impresa in crisi. Con il decreto il debitore viene spossessato e la gestione viene assunta
dal commissario straordinario. Scatta il divieto per i creditori di intraprendere azioni
esecutive individuali.
Con la sentenza che dichiara lo stato di insolvenza hanno inizio gli effetti dell’amministrazione
straordinaria.
Entro 180 giorni dalla nomina, il commissario deve presentare al Ministro il programma di
ristrutturazione. Qualora il programma non è accettato dal Ministro, il commissario può
prevedere un programma di cessione dei beni, altrimenti la procedura si converte in
fallimento.
Il commissario anche prima dell’approvazione può però :
- pagare i debiti anteriori all’apertura della procedura con l’autorizzazione del giudice
delegato
- compiere le operazioni necessarie per la salvaguardia della continuità aziendale delle
altre imprese del gruppo
- ottenere che queste ultime siano ammesse ad amministrazione straordinaria con la
procedura accelerata.
Solo il commissario straordinario è legittimato a proporre il concordato, che è parte
integrante del programma di ristrutturazione. Il concordato si propone con istanza del giudice
delegato cui va allegata copia del programma autorizzato dall’autorità governativa. Il
concordato può perseguire la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti
attraverso qualsiasi forma. Si può inoltre prevedere l’accollo dei debiti da parte di un
assuntore a cui può essere trasferito l’intero attivo ed anche le azioni revocatorie promosse
dal commissario straordinario fino alla data delle sentenza di approvazione del concordato.
La proposta viene alla fine pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
La proposta impone un’accelerazione alla fase di accertamento del passivo. Si interrompe la
normale procedura di accertamento dei singoli crediti: gli elenchi dei creditori ammessi, non
ammessi e ammessi con riserva vengono predisposti dal giudice delegato con la
collaborazione del commissario. Contro lo stato passivo reso esecutivo possono essere
proposte opposizioni e impugnazioni secondo le regole del fallimento nel breve periodo di 15
giorni.
Si passa alla fine all’approvazione. Il concordato deve ottenere l’approvazione dei creditori
che rappresentano almeno la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove vi siano diverse
classi di creditori è prevista l’approvazione di ciascuna classe.
Per agevolare l’approvazione opera però il meccanismo di silenzio-assenso come nel
concordato fallimentare.
Ottenuta l’approvazione il concordato viene approvato con sentenza dal tribunale. Il tribunale
può approvare il concordato anche quando vi sono delle opposizioni se ritiene che i creditori
dissenzienti possano risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alla
altre alternative.
Il passaggio della sentenza di approvazione determina la chiusura della procedura di
amministrazione straordinaria. Se la proposta è rifiutata il commissario straordinario può
presentare nei successivi 60 giorni al Ministro un programma di cessione dei beni. Altrimenti
la procedura si converte in fallimento.

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