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LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
I presupposti sono:
- la qualità di imprenditore commerciale del debitore
- lo stato di insolvenza dello stesso
- il superamento di uno dei limiti dimensionali fissati dalla legge fallimentare
- la presenza di inadempimenti complessivamente superiori all’importo fissato dalla
legge.
In merito al presupposto soggettivo l’applicazione del fallimento subisce una duplice
limitazione in quanto:
- il fallimento è sostituito dalla liquidazione coatta amministrativa per alcune categorie
di imprenditori commerciali come imprese bancarie, assicurative e di intermediazione
mobiliare
- il fallimento cede il passo all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in
stato di insolvenza quando ricorrono i presupposti specifici per l’applicazione di tale
procedura.
Primo presupposto oggettivo del fallimento è lo stato di insolvenza dell’imprenditore che
avviene quando non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
L’insolvenza quindi si manifesta con l’inadempimento di una o più obbligazioni ma può
manifestarsi anche tramite pagamenti con mezzi anomali, fuga o latitanza dell’imprenditore,
chiusura dei locali d’impresa, ecc..
È evidente perciò la differenza tra insolvenza e inadempienza. La prima è una situazione del
patrimonio del debitore, la seconda è un fatto che rileva uno dei possibili indici di insolvenza.
Un imprenditore può aver pagato tutti i suoi debiti ma continuar ad essere insolvente se ha
pagato con mezzi anomali. Inoltre può essere inadempiente senza essere insolvente. Infine
non è insolvente chi versa in uno stato temporaneo di difficoltà .
Per aprire la procedura di fallimento bisogna quindi che sussistano insieme stato d’insolvenza
e inadempienza. Importante è che si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare
dei debiti scaduti e non pagati è complessivamente superiore a 30mila euro. In particolare
l’attuale disciplina prevede che non è soggetto a fallimento l’imprenditore che rispetta tutti e
3 i seguenti requisiti:
- aver avuto nei 3 esercizi antecedenti la data di deposito di istanza del fallimento un
attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a 300mila euro
- aver realizzato nei 3 esercizi antecedenti la data di deposito di istanza del fallimento
ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200mila euro
- avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a 500mila euro.
Superare uno solo dei limiti indicati comporta l’esposizione al fallimento.
3. La dichiarazione di fallimento.
La sentenza che dichiara il fallimento va impugnata mediante reclamo alla corte d’appello.
Possono proporre reclamo il fallito e qualsiasi interessato e deve essere depositato entro 30
giorni dalla comunicazione o dalla data di iscrizione nel registro delle imprese.
L’impugnazione non sospende gli effetti ma la corte può tuttavia sospendere la liquidazione
dell’attivo. Il fallimento deve essere revocato qualora si accerti che l’imprenditore non era
insolvente al momento della dichiarazione. Con la sentenza che accoglie il reclamo il
fallimento è revocato ma restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi
fallimentari. All’ex fallito non resta che rivolgersi nei confronti del creditore istante per
ottenere il risarcimento dei danni.
5. Il tribunale fallimentare.
6. Il giudice delegato.
Il giudice vigila sulle operazione del fallimento e controlla la regolarità delle procedure. In
particolare:
- nomina il comitato dei creditori
- forma lo stato passivo del fallimento e lo rende esecutivo con proprio decreto
- autorizza il curatore a stare in giudizio
- decide su reclami proposti conto gli atti del curatore e del comitato
- emette i provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio.
I provvedimento sono adottati con decreto motivato e chiunque può proporre reclamo al
tribunale fallimentare.
7. Il curatore.
Il comitato vigila sull’operato del curatore, ne autorizza gli atti ed esprime pareri. È comporto
da 3 o 5 membri scelti fra i creditori e sono nominati dal giudice delegato entro 30 giorni dalla
sentenza di fallimento. La composizione del comitato è a discrezione del giudice che sceglie
tra i creditori che hanno manifestato disponibilità , ed inoltre può modificare la composizione
per motivi giustificati.
Il comitato delibera a maggioranza dei votanti e non possono votare i componenti che si
trovano in conflitto d’interesse. Il comitato nomina a maggioranza un presidente e ognuno di
loro ha diritto al rimborso spese o ad un compenso in misura non superiore al 10% di quello
liquidato al curatore.
Il parere del comitato è vincolante in alcuni casi:
- sulla restituzione dei beni mobili di terzi
- sulla continuazione temporanea dell’esercizio dell’attività d’impresa
- sull’affitto di azienda
- sulla proposta di concordato fallimentare.
Il comitato autorizza alcuni atti del curatore. In particolare:
- quelli eccedenti l’ordinaria amministrazione
- il subentro del curatore nei rapporti contrattuali pendenti
- la rinuncia all’acquisizione di beni della massa gravati da oneri
- la nomina di coadiutori del curatore
- approva il piano di liquidazione del curatore.
Inoltre possono ispezionare le scritture contabili ed i documenti del fallimento chiedendo
notizie e chiarimenti al curatore e al fallito.
I componenti del comitato sono soggetti a responsabilità secondo le regole previste per i
sindaci di società .
Gli effetti nei confronti del fallito possono distinguersi in patrimoniali, personali e penali.
Iniziamo dai primi.
Con la dichiarazione di fallimento il fallito perde l’amministrazione e la disponibilità dei suoi
beni che passano al curatore che li amministra. Lo spossessamento colpisce tutti i beni e i
diritti eccezion fatta per:
- i beni e diritti di natura strettamente personale
- gli assegni alimentari, stipendi, pensioni e salari che guadagna con la propria attività
- i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli
- le cose che non possono essere pignorate per legge.
Lo spossessamento si estende anche ai beni che pervengono al fallito durante il fallimento.
Con la dichiarazione di fallimento il fallito non perde la capacità di agire, ne la proprietà dei
beni di cui è stato spossessato fino a quando non siano trasferiti a terzi.
La perdita dell’amministrazione e della disponibilità del patrimonio comporta che il fallito
non può stare in giudizio nelle cause relative a rapporti patrimoniali compresi nel fallimento.
In suo luogo starà in giudizio il curatore.
Con la dichiarazione il fallito vede limitati alcuni diritti civili quali il diritto al segreto
epistolare ed il diritto alla libertà di movimento.
La corrispondenza indirizzata al fallito che non sia persona fisica viene consegnata
direttamente al curatore. Inoltre è tenuto a comunicare al curatore ogni cambiamento della
propria residenza o domicilio e deve presentarsi agli organi della procedura ogni qualvolta è
chiamato per fornire informazioni o chiarimenti.
Il fallito non potrà essere amministratore, sindaco, revisore o liquidatore di società , ne potrà
svolgere le funzioni di tutore, notaio, arbitro, ne iscritto all’albo degli avvocati o dei
commercialisti. Con la chiusura del fallimento le incapacità civili cessano automaticamente.
La dichiarazione di fallimento espone il fallito a sanzioni penali per reati fallimentari quali:
- la bancarotta fraudolenta (caratterizzati dal dolo dell’imprenditore)
- la bancarotta semplice
- il ricorso abusivo al credito.
Il fallimento è diretto a soddisfare secondo parità di trattamento tutti i creditori del fallito al
momento della dichiarazione. Dalla sua data i creditori diventano creditori concorsuali
possono essere soddisfatti solo tramite la procedura fallimentare.
Acquistano però il diritto di partecipare alla ripartizione dell’attivo fallimentare solo in
seguito all’accertamento giuridico del loro credito. Diventano cosi creditori concorrenti.
Non tutti però sono sullo stesso piano. I creditori privilegiati hanno diritto di prelazione sul
ricavato della vendita del bene dell’oggetto della loro garanzia. Se non son totalmente
soddisfatti concorrono alla pari dei creditori chirografari. Dai creditori correnti vanno distinti
i creditori della massa cioè quelli che devono esser soddisfatti in prededuzione: prima dei
creditori concorrenti. Sono crediti prededucibili quelli qualificati per legge nonché le
obbligazioni sorte in funzione delle procedure concorsuali. Quindi sono creditori della massa
coloro che lo diventano dopo la dichiarazione del fallimento per atti compiuti dagli organi
fallimentari.
L’apertura del fallimento incide sulle modalità processuali di realizzazione del credito.
All’esecuzione individuale si sostituisce l’esecuzione collettiva fallimentare. Due sono i
principi cardine:
- ogni credito deve essere accertato giudizialmente nell’ambito del fallimento
- dal giorno della dichiarazione nessuna azione esecutiva individuale può essere iniziata.
Vi sono però delle eccezioni che riguardano:
- i creditori garantiti da pegno (vendita dei beni vincolati)
- le banche (su immobili ipotecati a garanzia di operazioni di credito fondiario)
- le banche, gli enti finanziari pubblici o privati (pegno su obbligazioni finanziarie).
L’imprenditore è di regola al centro di rapporti che non hanno ancora avuto esecuzione al
momento della dichiarazione di fallimento.
Vi è un gruppo di contratti che si scioglie di diritto a seguito della dichiarazione e sono:
- i contratti di borsa a termine su merci e titoli (il carattere speculativo potrebbe
comportare situazioni pregiudizievoli)
- l’associazione in partecipazione in caso di fallimento dell’associante
- i contratti di conto corrente ordinario e bancario, commissione e mandato nel caso di
fallimento del mandatario
- l’appalto.
Vi è invece un secondo gruppo che nonostante il fallimento può essere ritenuto vantaggioso
per la massa di creditori, e sono:
- il contratto di locazione di immobili (il curatore può recedere in caso di fallimento sia
del conduttore che del locatore)
- l’affitto di azienda (entrambi le parti possono recedere entro 60 giorni)
- il contratto di assicurazione contro i danni in caso di fallimento dell’assicurato
- il contratto di edizione
- il contratto di cessione di crediti di impresa (factoring) in caso di fallimento del
cedente
- il leasing finanziario in caso di fallimento del concedente.
Infine vi è un terzo gruppo la cui sorte non è prefissata e restano sospesi in seguito al
fallimento e sarà il curatore a decidere se sciogliere il contratto o continuarlo. In caso di
scioglimento il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato
adempimento e diventa quindi creditore concorsuale. Rientrano in questo gruppo:
- il contratto di vendita con effetti obbligatori (nella vendita con effetti reali il contratto
non si scioglie)
- il contratto di vendita con riserva di proprietà (il fallimento del venditore non
comporta lo scioglimento)
- il contratto preliminare di vendita di immobili
- il mandato in caso di fallimento del mandante
- il leasing in caso di fallimento dell’utilizzatore
- l’associazione in partecipazione in caso di fallimento dell’associato.
L’accertamento del passivo è quella fase volta ad accertare quali creditori hanno diritto di
partecipare alla ripartizione dell’attivo.
la fase si apre con la domanda di ammissione dei creditori sollecitati dal curatore. La domanda
si presenta con ricorso da depositare presso la cancelleria del tribunale almeno 30 giorni
prima della data dell’udienza di esame dello stato passivo. Essa deve indicare la procedura a
cui si intende partecipare, le generalità del creditore, l’oggetto del credito. I creditori
privilegiati inoltre devono specificare il titolo. Alla domanda vanno allegati i documenti che
testimoniano il diritto.
Analoga domanda deve essere presentata per la restituzione o rivendicazione di beni di
proprietà di terzi in possesso del fallito.
In base all’attuale disciplina il curatore predispone un progetto di stato passivo nel quale deve
indicare:
- i crediti ammessi
- i crediti non ammessi
- i crediti ammessi con riserva.
In un separato elenco include i titolari di diritti su beni di proprietà o in possesso del fallito.
Per ogni diritto riconosciuto o meno deve motivare le proprie decisioni.
Il progetto viene depositato in cancelleria almeno 15 giorni prima di quello fissato per
l’udienza d’esame. I creditori e titolari possono prenderne visione e presentare eventuali
osservazioni scritte e documentate fino al giorno d’udienza.
Si apre cosi la fase di esame dello stato passivo che coinvolge il curatore e i creditori. Il giudice
esamine le posizioni di ogni singolo creditore e prende le decisioni.
Esaurite le operazioni il giudice forma lo stato passivo definitivo e lo dichiara esecutivo.
Si può proporre istanza di revocazione se si scopre che l’accoglimento o il rigetto di una
domanda è stato determinato da falsità , dolo, errore di fatto o mancata conoscenza di
documenti decisivi. Sono ammesse domande tardive, cioè presentate oltre il termine di 30
giorni prima dell’udienza e anche entro 12 mesi dal deposito del decreto ma in questo caso il
creditore tardivo dovrà provare che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile.
I creditori non ammessi possono opporsi, mentre i creditori ammessi possono impugnare il
decreto per escludere creditori che non ritengono debbano esserlo.
Alla liquidazione provvede il curatore che entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario
predispone un programma di liquidazione in cui si pianificano le modalità e i termini per la
realizzazione dell’attivo. Viene sottoposto all’approvazione del comitato. Se approvato viene
comunicato al giudice che autorizza l’esecuzione degli atti ad esso conformi e il curatore può
procedere agli atti di liquidazione.
Da evitare è la vendita dei singoli beni. È preferibile la vendita dell’azienda in blocco in modo
da evitare la disgregazione del complesso aziendale. La vendita dei singoli beni è ammessa
solo quando risulta avere un maggiore soddisfacimento rispetto alla vendita in blocco.
Le somme che si rendono via via disponibili sono ripartite fra i creditori in base alla
prededucibilità , ai creditori privilegiati e a quelli chirografari.
Quindi si pagano prima i creditori prededucibili con le disponibilità liquide, escluse quelle
ricavate da beni oggetti di pegno ed ipoteca riservata ai creditori garantiti. Quanto residua dal
soddisfacimento dei creditori prededucibili e dei creditori garantiti è ciò che spetta ai
creditori privilegiati.
Le somme che spettano ai creditori sono assegnate loro con periodiche ripartizioni parziali.
Ogni 4 mesi il curatore presenta al giudice un prospetto delle somme disponibili ed un
progetto di ripartizione. Per ordine del giudice il progetto viene depositato in cancelleria
dandone avviso a tutti i creditori che possono presentare reclamo al giudice. Scaduti i termini
per l’impugnazione il giudice rende esecutivo il progetto. Le ripartizioni parziali non possono
superare l’80% delle somme disponibili. Il 20% deve essere accantonato per eventuali
imprevisti.
Esaurita la liquidazione il curatore rende al giudice il conto della sua gestione. Approvato
nuovamente dal giudice in udienza viene liquidato il compenso al curatore e si procede alla
ripartizione finale con la quale si distribuiscono anche gli accantonamenti precedentemente
effettuati.
Oltre che per concordato fallimentare il fallimento si chiude per una delle seguenti cause:
- mancata presentazione di domande di ammissione allo stato passivo
- pagamento integrale dei creditori ammessi al passivo e di tutti i debiti e le spese
- ripartizione integrale dell’attivo
- impossibilità di continuare utilmente la procedura per insufficienza dell’attivo.
La chiusura è dichiarata con decreto motivato del tribunale, su istanza del curatore o del
fallito.
Con la chiusura decadono gli organi preposti alla procedura e cessano gli effetti del fallimento
sia per il fallito che per i creditori. Il debitore rimane obbligato verso i creditori concorsuali
che riacquistano la possibilità di proporre azioni esecutive individuali. La liberazione del
fallito dai debiti residui può aversi o con concordato o tramite esdebitazione.
Questo è un beneficio concesso dal tribunale al fallito persona fisica in presenza di particolari
condizioni soggettive ed oggettive al fine di limitare l’esdebitazione a chi ne è meritevole e il
cui fallimento ha consentito il soddisfacimento parziale dei creditori concorsuali.
In quanto ai requisiti di meritevolezza è abilitato l’imprenditore che:
- ha cooperato con gli organi della procedura
- nei 10 anni precedenti non ha beneficiato di altra esdebitazione
- non ha distratto l’attivo o esposto debiti inesistenti
- non è stato condannato per bancarotta o per delitti contro l’economia pubblica,
l’industria e il commercio.
Contro il decreto che concede o nega l’esdebitazione chiunque può appellarsi alla corte
d’appello.
19. La riapertura del fallimento.
Il fallimento chiuso per ripartizione integrale o insufficienza dell’attivo può essere riaperto ma
sono necessarie le seguenti condizioni:
- devono essere trascorsi 5 anni dal decreto di chiusura
- nel patrimonio del fallito si rinvengono nuove attività .
La riapertura può essere richiesta dal debitore o qualsiasi creditore, anche nuovo.
Il fallimento riaperto si atteggia in parte come nuovo fallimento e in parte come continuazione
del precedente. Infatti al fallimento riaperto concorrono sia i nuovi che i vecchi creditori. Il
tribunale dovrà richiamare il giudice e il curatore del fallimento chiuso mentre il comitato
dovrà essere nuovo dovendo tener conto dei nuovi creditori.
È un modo di chiusura del fallimento tramite il pagamento parziale dei creditori e può giovare
sia ai creditori che al fallito.
La proposta può essere presentata da uno o più creditori, da un terzo in qualsiasi momento, in
genere dopo che sia formato lo stato passivo. Anche il fallito può proporre il concordato ma
dopo 1 anno dalla dichiarazione di fallimento.
Il contenuto della proposta è vario. Si può prevedere:
- il pagamento immediato di una percentuale (concordato remissorio)
- il pagamento differito dell’intero credito (concordato dilatorio)
- il pagamento in percentuale e differito (concordato misto)
- la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica ed interessi
economici omogenei offrendo trattamenti differenziati fra le diverse classi.
Persone diverse dal fallito possono obbligarsi in via principale è il caso dell’assuntore del
concordato. Questo si obbliga in solido con il fallito (accollo cumulativo) o può restare il solo
obbligato se si prevede la liberazione immediata del fallito (accollo liberatorio).
La proposta è soggetta all’esame del giudice che è tenuto a richiedere il parere vincolante del
comitato e quello no vincolante del curatore. Il giudice ordina la comunicazione della proposta
e fissa il termine entro il quale i creditori devono far pervenire al tribunale la loro
dichiarazione di dissenso. Non è necessario che i favorevoli esprimano il loro voto in quanto il
silenzio vale come consenso.
Hanno diritto di voto i creditori chirografari ammessi al passivo. Non possono votare:
- i creditori privilegiati se ad essi si offre l’integrale pagamento a meno che non
rinuncino al loro privilegio
- il coniuge, i parenti e gli affini del fallito
- le società appartenenti al medesimo gruppo di quella fallita
- coloro che sono diventati cessionari di un credito verso il fallito dopo la dichiarazione.
È richiesto il consenso dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al
voto.
Se il concordato è approvato si apre il giudizio di omologazione. Possono opporsi i creditori
dissenzienti, il fallito e altri interessati. Il comitato deposita una relazione con il suo parere
definitivo. Il tribunale valuta la regolarità della procedura. Quando diventa definito il decreto
che omologa il concordato, il fallimento si chiude ed il curatore deve rendere il conto della sua
gestione.
Il concordato produce effetti per tutti i creditori anteriori al fallimento. Il concordato è
eseguito dal fallito sotto la sorveglianza del giudice, del curatore e del comitato che restano in
carica anche dopo l’omologazione.
Gli effetti possono cessare per risoluzione (inadempimento del concordato quando non
vengono costituite le garanzie promesse o il proponente non adempie regolarmente agli
obblighi) o per annullamento (disposto dal tribunale su istanza del curatore quando si scopre
che il passivo era stato dolosamente esagerato). Annullato o risolto il concordato si riapre il
fallimento automaticamente.
Al fallimento delle società è in via di principio applicabile la disciplina fin qui esposta.
Falliscono solo le società che esercitano un’impresa commerciale se superano le soglie
dimensionali.
La legge non specifica a chi compete l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento. Preferibile è
l’opinione che ritiene legittimati gli amministratori.
Ogni qual volta la legge richiede che sia sentito il fallito dovranno essere sentiti gli
amministratori o i liquidatori della società fallita. Sugli stessi grava l’obbligo di comunicare
ogni cambio di residenza o domicilio.
Nelle società di capitali, al curatore è riservato l’esercizio sia dell’azione sociale di
responsabilità sia di quella spettante ai creditori sociali contro amministratori, organi di
controllo, direttori generali e liquidatori. Il curatore deve essere autorizzato dal giudice. Nei
confronti di amm, sindaci, dg e liquidatori sono applicabili le sanzioni penali per i reati di
bancarotta semplice e fraudolenta.
La proposta e le condizioni del concordato fallimentare devono essere approvate:
- nelle società di persone dai soci che rappresentano la maggioranza del capitale
- nelle società di capitali e nelle cooperativa dagli amministratori.
Il fallimento è causa legale di scioglimento delle società di persone, non lo è più per le società
di capitali.
Per i soci a responsabilità limitata il fallimento comporta che il giudice può ingiungere loro
per eseguire i conferimento ancora dovuti.
Nelle società in nome collettivo, in accomandita semplice e nell’accomandita per azioni, il
fallimento della società produce anche il fallimento dei soci a responsabilità illimitata.
Il fallimento della società determina il fallimento anche dei soci occulti, quelli accertati
successivamente.
Anche gli ex soci illimitatamente responsabili falliscono poiché sono responsabili per le
obbligazioni anteriori. Il fallimento però può essere dichiarato solo se non è trascorso più di
un anno da quando sono state realizzate le formalità necessarie per rendere noti ai terzi tali
fatti. Lo stesso vale per i soci che hanno perso la responsabilità illimitata in seguito a
trasformazioni, scissioni o fusioni.
23. Fallimento e patrimoni destinati.
L’attuale disciplina detta alcune regole applicabili alle spa che hanno costituito patrimoni
destinati.
Se la società ha costituito un patrimonio destinato operativo e non consente di soddisfare
integralmente le relative obbligazioni non viene dichiarato il fallimento e non è prevista
alcuna procedura concorsuale. I creditori insoddisfatti possono chiedere la liquidazione del
patrimonio destinato. Se invece consente il soddisfacimento integrale allora viene dichiarato il
fallimento e la gestione del patrimonio è destinata ad un curatore.
Il curatore può esercitare l’azione revocatoria contro gli atti pregiudizievoli per i creditori del
patrimonio generale che incidono sul patrimonio destinato. Egli dovrà vagliare la possibilità
di cedere a terzi il patrimonio separato o destinarlo in liquidazione. Se il patrimonio separato
è incapiente il curato con l’autorizzazione del giudice lo pone in liquidazione.
Regole più favorevoli sono quelle previste per il finanziamento destinato. In caso di fallimento
occorre distinguere:
- se il fallimento impedisce la realizzazione o continuazione dell’affare il contratto si
scioglie e il finanziatore può insinuarsi al passivo per l’intero importo del
finanziamento ancora non rimborsato
- se l’affare non è impedito dal fallimento il curatore può decidere di subentrare nel
contratto assumendone i relativi oneri. Ove il curatore non subentri nel contratto, lo
stesso finanziatore può chiedere al giudice di realizzare o continuare l’operazione in
proprio o affidandola a terzi insinuandosi nel fallimento in via chirografaria per
l’eventuale credito residuo. Altrimenti il contratto si scioglie.
42. IL CONCORDATO PREVENTIVO. GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI
DEBITI
L’imprenditore può evitare che la crisi sfoci in fallimento regolando i propri rapporti con i
creditori mediante un concordato preventivo. Il presupposto oggettivo di questa procedura è
lo stato di crisi economica dell’imprenditore, cioè una difficoltà temporanea e reversibile che
non consente di soddisfare regolarmente i creditori.
Se la crisi è temporanea e reversibile il concordato mira a superare tale situazione attraverso
il risanamento economico e finanziario. Se la crisi è definitiva e irreversibile il concordato può
essere attuato prima che sia dichiarato il fallimento.
È un concordato giudiziale (in quanto non basta l’approvazione della maggioranza qualificata
dei creditori ma è necessaria anche l’omologazione da parte del tribunale) e di massa (in
quando è produttivo di effetti per tutti i creditori anteriori).
Il concordato serve ad evitare le gravi conseguenze patrimoniali, personali e penali del
fallimento e conserva l’amministrazione dei beni e la gestione dell’impresa. Quindi il
concordato è un beneficio concesso all’imprenditore. La legge non fissa particolari condizioni
soggettive, può presentare proposta qualsiasi imprenditore commerciale in stato di crisi che
superi i limiti dimensionali.
Non è necessario soddisfare per intero i creditori privilegiati ma comunque devono essere
soddisfatti in misura non inferiore a quanto potrebbero conseguire sul ricavato in caso di
liquidazione.
In merito al contenuto valgono le regole del concordato fallimentare. Può pertanto perseguire
la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma; può
consistere in una dilazione dei termini di pagamento; nel soddisfacimento parziale dei
creditori; può prevedere la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica ed
interessi comuni omogenei.
2. L’ammissione al concordato.
La procedura inizia con la domanda di ammissione del debitore alla quale devono essere
allegati: un’aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria
dell’impresa; uno stato analitico delle attività con i relativi valori.
La domanda e gli allegati devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista
scelto dal debitore.
Ricevuta la domanda il tribunale svolge un controllo preliminare volto ad accertare l’esistenza
dei presupposti per la procedura. Se l’accertamento ha esito negativo il tribunale dichiara
inammissibile la proposta di concordato e verifica l’esistenza dei presupposti per la
dichiarazione di fallimento. Se invece dichiara ammissibile la proposta dichiara aperta la
procedura di concordato, designa gli organi della procedura (il giudice delegato e un
commissario giudiziale), ordina la convocazione dei creditori, fissa la somma che ritiene
necessaria come acconto sulle spese della procedura ed il termine entro il quale il debitore
deve depositarla nella cancelleria.
Il debitore conserva l’amministrazione dei beni e la gestione dell’impresa anche se è vigilato
dal commissario giudiziale e per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione ha bisogno del
consenso del giudice.
Gli effetti per i creditori anteriori son gli stessi del fallimento. Dal momento dell’inizio della
procedura questi non possono iniziare azioni esecutive individuali sul patrimonio del
debitore. Restano sospese le prescrizioni e non si verificano le decadenze. Non trova invece
applicazione la disciplina della revocatoria fallimentare e del fallimento per i contratti in corso
di esecuzione.
Questi sono accordi stipulati tra l’imprenditore in stato di crisi ed una maggioranza dei
creditori i quali una volta pubblicati nel registro delle imprese ed ottenuta l’omologazione del
tribunale consentono di porre gli atti compiuti in esecuzione degli stessi al riparo dall’azione
revocatoria fallimentare, qualora la crisi non sia superata e sopraggiunga il fallimento.
Gli accordi differiscono dal concordato poiché non costituiscono un concordato giudiziale e di
massa poiché non vengono stipulati nell’ambito di una procedura giudiziale e vincolano solo i
creditori che vi aderiscono.
Gli accordi differiscono anche dai piani di risanamento poiché questi ultimi conseguono tale
risultato senza bisogno di preventivo accordo dei creditori, senza essere pubblicati nel
registro delle imprese e senza omologazione del tribunale ma non conferiscono certezza ai
loro effetti non essendo soggetti a controllo giudiziale.
All’accordo devono aderire i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti. Dopo la
stipula del contratto bisogna chiedere l’omologazione al tribunale inviando la
documentazione richiesta per il concordato preventivo. L’accordo è pubblicato nel registro
delle imprese. Dal giorno di pubblicazione acquista efficacia e può essere eseguito. Il tribunale
dovrà omologare con decreto motivato contro il quale è possibile proporre reclamo davanti
alla corte d’appello.
Anche questa procedura per i creditori anteriori vieta di intraprendere azioni cautelari
esecutive o individuali. Però i creditori estranei che non hanno ricevuto regolare pagamento
possono compiere atti esecutivi e comunque sono liberi di presentare in qualsiasi momento
domanda di fallimento.
43. LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA
1. Caratteri generali.
1. Caratteri generali.