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poesia greca
Luigi De Cristofaro, L’episodio iliadico di Glauco e Diomede: mito, ele-
menti dialettali e motivi interculturali (Iliade, 6, 152-155; 167-177) 13
Bruna M. Palumbo Stracca, I canti di questua nella Grecia antica (i ):
il Canto della rondine (PMG 848) 57
storia antica
Umberto Bultrighini, Platone e la vox populi 81
Nicola Biffi, Un’epistola di Augusto a Gaio Cesare 99
Roberto Pedrotti, Casi di solidarietà tra milites in età triumvirale: una
forza politica emergente 109
cultura medioevale
Emanuele Piazza, Tracce di Sicilia in Gregorio di Tours 163
note di lettura
Francesco Berti, Unità e poesia in Marziale 175
Maurilio Felici, Tacito e il sistema giuspenalistico del primo principato:
una nota di lettura 179
recensioni
Nicola Muzalone, Carme apologetico, Introduzione, testo critico, tra-
duzione e note a cura di Gioacchino Strano (Francesco Corsaro) 187
Iohannis Pascoli e pago S. Mauri Leucothoe, primum edidit Vincenzo Fera
(Roberto M. Danese) 191
Sergio Audano, Classici lettori di classici (Giampietro Marconi) 195
Antonino Grillone, Gromatica militare: lo ps. Igino (Giampietro Mar-
coni) 197
10 sommario
1 Mi permetto di rimandare a De musicis: una rassegna telematica per lo studio delle musiche anti-
che come fatto storico, «RCCM», xlvi, 1, Roma, 2004, pp. 107-120 (apparso, in versione più breve, co-
me Presentazione di De musicis. Rassegna telematica annuale degli studi sulla musiche dei popoli antichi,
pubblicazione telematica, presso www.dismec.unibo.it).
2 Vedi Angela Bellia, Coroplastica con raffigurazioni musicali nella Sicilia greca (vi-iii sec. a.C.),
Pisa-Roma, Serra, 2009 (Biblioteca di «Sicilia Antiqua», iii); Gli strumenti musicali nei reperti del
Museo Archeologico Regionale ‘Antonino Salinas’ di Palermo, Roma, Aracne, 2009; Mito e rito nelle
raffigurazioni musicali dei pinakes di Lipari, «Imago Musicae», xxiii, Lucca, 2010, pp. 11-24; Strumenti
musicali e oggetti sonori nell’Italia meridionale e in Sicilia (vi-iii sec. a.C.), Lucca, Libreria musicale
italiana, 2012.
206 recensioni
In quest’opera eminentemente rivolta all’archeologia musicale, fa eccezione il pri-
mo capitolo («La musica a Locri Epizefirii: il quadro storico», pp. 13-24), che raccoglie
le fonti scritte in cui vi sia menzione di notizie attinenti alla musica e/o a eventi so-
nori; vi si ricollega la «Appendice i. Per una documentazione della musica a Locri Epi-
zefirii: le fonti scritte» (pp. 153-160) che offre i testi greci seguiti da traduzioni. Il capi-
tolo, piuttosto che offrire un vero e proprio ‘quadro storico’, si limita ad una rassegna:
essa sicuramente risponde ad esigenze di completezza rispetto al complesso delle te-
stimonianze (in accordo con l’intento indicato dal titolo), ma non appare raggiunto
l’obiettivo dichiarato di inserire la cultura musicale locrese nel «contesto delle vicen-
de politiche e sociali e del loro divenire storico» (p. 9); piuttosto, il capitolo si presen-
ta in parte come una elencazione di faits divers (sia detto: per i limiti stessi della do-
cumentazione, così ridotta ed erratica) e a volte pone sullo stesso piano fonti di epoca,
peso, valore, orientamento ideologico molto diverso. Ad esempio, mi chiedo quanto
sia lecito utilizzare IG ii, 3, 1244, del 328-7 a.C. (test. n. 23) e Aristox. fr. 112 Wehrli (apud
Ath. 1, 22b) per epoche precedenti al iv secolo a.C.: i due testi attestano sì «l’esecu-
zione di danze a Locri», ma in quale epoca? Soprattutto, la trattazione tende a rima-
nere poco legata al resto della trattazione, invece di utilizzare in modo più serrato i
riferimenti alle fonti scritte nel corso dell’analisi delle testimonianze iconografiche,
cosa che non sempre avviene; ciò proprio in considerazione della dichiarata volontà
di uno sguardo globale al fenomeno musicale, sicché le fonti scritte e quelle icono-
grafiche dovrebbero essere utilizzate insieme, per rispondere a specifici interrogativi
di ricerca, e non separatamente secondo le consuete partizioni accademiche.
Manca in questo capitolo, curiosamente, alcun cenno a Nosside (citata però negli
altri capitoli). Viceversa, alcune fonti appaiono non avere effettiva attinenza con
l’ambito musicale, se non accettando peculiari interpretazioni. Mi riferisco in parti-
colare a Clearco, fr. 47 Wehrli (apud Ath., 12, 541c-d; è la Testimonianza n. 25 nella
raccolta in «Appendice i»), che viene ricordato come testimonianza di canti popola-
ri locresi (prima ancora delle poche testimonianze sicure di ‘canti di Locri’: Clearco
fr. 33 Wehrli in Ath., 14, 639a e PMG 853, fr. 7 in Ath., 14, 697b-c). Il testo ricorda che
Dionisio il Giovane, dopo aver cosparso il pavimento dell’edificio più grande della
città con rami di serpillo e rose (l’A. traduce ÛÙÚÒÛ·˜ con «dopo aver fatto tappez-
zare», intendendo che si possa trattare anche di «una preziosa tappezzeria a ricami
floreali»; ma ‘tappezzeria’ è ambiguo, potendo suggerire che si tratti di decorazioni
parietali), nudo in mezzo alle fanciulle locresi fatte venire e egualmente nude, «non
si astenne da alcuna turpitudine, âd ÙÔÜ ÛÙÚÒÌ·ÙÔ˜ ΢ÏÈÓ‰Ô‡ÌÂÓÔ˜.». Qui Bellia tra-
duce «danzando sulla tappezzeria», (p. 159), ritenendo che kulindesthai vada inteso
«piuttosto come volteggiare o meglio danzare» (p. 22, nota 15);1 ne ricava, quindi, che
il passo possa riferirsi «all’esecuzione di altre singolari danze, probabilmente presenti
nella tradizione e nel costume di Locri» (p. 22), cioè di «danze erotiche» (p. 23). Ma
1 Si riprende un suggerimento di Mario Torelli, I culti in Locri, in Locri Epizefirii (xvi Convegno
internazionale di studi sulla Magna Grecia. Taranto, 3-8 ottobre 1976), Napoli, Arte Tipografica, 1977, p.
182, citato ancora nel commento ad loc. in Ateneo. I Deipnosofisti. I Dotti a banchetto, iii, a cura di
Luciano Canfora, Roma, Salerno, 2001, p. 1353, nota 2.
recensioni 207
tale interpretazione del verbo appare peculiare alla luce delle comuni occorrenze del
verbo (cfr. LSJ, GEL, sub voce); nel brano di Clearco non vi è alcuni indizio per una in-
terpretazione in senso musicale, mentre è chiaro che il kulindesthai è un banale ‘ro-
tolarsi’, cui è funzionale appunto il morbido tappeto di petali e foglie profumate; la
nudità del tiranno e delle fanciulle locresi conferma che qui opera il consueto topos
dell’insaziabilità erotica del tiranno; il ‘gioco delle colombe’ ricordato da Strabone
6, 1, 8, (richiamato a p. 23, nota 3) si inserisce nello stesso quadro. Similmente, sulla
base della notizia secondo cui Dionisio il Giovane, esule a Corinto, insegnava a mu-
siciste professioniste, riportata da Plu., Tim., 14, 3, l’A. ipotizza che tale insegnamen-
to da parte di Dionisio II «potesse comprendere anche quello di canti popolari, ed in
particolare quelli locresi, verosimilmente conosciuti da Dionigi durante la sua per-
manenza nella polis italiota» (p. 23): ma si tratta di una ipotesi puramente congettu-
rale, da relegare in nota, troppo labile per risultare davvero utile al quadro storico
che si intende delineare.
Ovviamente, ciò non toglie che tale raccolta sia sicuramente utile in sé, tanto più
che è corredata dalla comoda «Appendice i» di cui si è detto (purtroppo quest’ulti-
ma è funestata da una quantità notevolissima di errori nel testo greco, quasi esso non
sia stato soggetto a revisione; qualche refuso anche nelle traduzioni; talvolta, senza
apparente ragione, il testo greco continua oltre la parte tradotta in italiano).
Dopo il primo capitolo inizia la parte sicuramente più efficace e interessante del
volume, dedicata alla documentazione archeologica. In accordo con quanto detto
nell’«Introduzione», cioè che, nello studio dell’iconografia musicale (e ovviamente
non solo in quella musicale), «ciascun particolare musicale assume uno specifico va-
lore se considerato non isolatamente, ma in funzione degli altri elementi della rap-
presentazione e in relazione alla religiosità del contesto di riferimento» (pp. 9-10),
l’esposizione è organizzata, appunto, per contesti di riferimento, distinguendo gli
ambiti cultuali da quelli funerari.
Il secondo capitolo, il più corposo, illustra dunque «La musica nella sfera del sa-
cro» (pp. 26-120); è una scelta intelligente aver distinto la documentazione secondo il
santuario o l’area di rinvenimento: il santuario di Persefone in contrada Mannella
(pp. 26-64), l’area sacra di Afrodite in contrada Marasà-Centocamere (pp. 65-77), i cul-
ti domestici nell’abitato in contrada Centocamere (pp. 78-91), infine il santuario ru-
pestre di Grotta Caruso (pp. 92-120). L’A. passa in rassegna «i materiali di interesse
musicale» provenienti da questi contesti: si tratta in particolare di testimonianze ico-
nografiche, cioè per la gran parte pinakes di v e iv sec. a.C., con scene musicali miti-
che o rituali, e in misura minore coroplastica, prodotta o comunque rinvenuta in lo-
co raffigurante suonatori (umani o divini); in un caso, un resto di uno strumento, un
aulos. Con grande accuratezza, per i vari materiali vengono forniti tutti i dettagli di-
sponibili di inventariazione e di scavo; di ogni reperto discusso è fornita una foto e,
in vari casi, un disegno ricostruttivo; le immagini sono in genere di buona qualità,
alcune realizzate dall’A., ma in alcuni casi non troppo perspicue (vd. ad es. pp. 85 e
86), data la consunzione delle superfici; in ogni caso la notevole accuratezza della de-
scrizione verbale permette di ovviare a tale inconveniente.
Si tratta di raffigurazioni di cui (senza tener conto dell’ostacolo costituito dallo stato
di conservazione, talora frammentario) è spesso difficile l’esatta interpretazione, e
208 recensioni
l’A. si è mossa con determinazione in questo ginepraio. Penso, ad es., alla scena del
tipo 10/13 dal Persephoneion, in cui appaiono tre fanciulle che si tengono per mano e
sembrano muoversi davanti a o in direzione di un personaggio femminile seduto; la
prima delle tre fanciulle tiene un kalathos. Una offerta ad una defunta? Una proces-
sione di offerenti? Una danza connessa ai servizi rituali in onore della dea? Un «vero e
proprio choros», in connessione con «una reale cerimonia prenuziale», come sostiene
l’A. (p. 30)? Di certo, qui e in tutti altri casi, l’A. ha il merito di dar conto delle molte in-
terpretazioni avanzate negli studi, e di suggerire, per ogni particolare delle scene ana-
lizzate, una ricca messe di rimandi alle fonti e alla letteratura secondaria di supporto;
numerosi anche i confronti con materiale analogo proveniente da altri contesti ma-
gno-greci e sicelioti, aspetto in cui si apprezza la ampia esperienza dell’A. nel campo.
Apprezzabile, inoltre, è la notevole cautela nell’avanzare ipotesi, come dimostra il
ricorrere di espressioni dubitative quali «si può/potrebbe ipotizzare» o di verbi
prudenti come ‘suggerire’, ‘richiamare’, ‘evocare’ e consimili. In molti casi le ipotesi
interpretative appaiono condivisibili, e si muovono con prudenza rispetto alla lette-
ratura precedente, anche se poteva essere opportuno spiegare per quale motivo esclu-
dere le altre ipotesi formulate da precedenti studiosi, cosa che di rado (p. 75) avviene.
Talora le prove argomentative tratte dalle fonti scritte non hanno il valore di pro-
va che gli si attribuisce, o almeno occorre maggior cautela di quella usata. Ad esem-
pio, sicuramente non sbaglia l’A. a ipotizzare che le scene del tipo 10/13 siano un «ve-
ro e proprio choros»; però, non si può sostenere tale interpretazione, ben possibile sul
piano iconologico (sia chiaro!), interpretando come ‘danzare’ il verbo ·›˙ÂÈÓ usato
nell’Inno a Demetra, vv. 3-8 e 417-428 per l’azione compiuta da Persefone e dalle sue
compagne allorché la fanciulla viene rapita da Ade: qui il verbo è indubitabilmente
‘giocare’, come nell’episodio di Nausicaa che gioca con le compagne in riva al mare,
in Od., 6, 99-101 (dove la menzione della molpé, ‘canto ritmato’ non muta la sostanza)
richiamato dalla stessa autrice in nota 2, p. 36; è però vero che ‘danza’ e ‘gioco (di ti-
po ritmico)’ sono attività simili; ed è vero che in Od., 8, 370-380, Odisseo assiste ad
una sorta di danza con la palla (qualcosa di paragonabile alla nostra ‘ginnastica rit-
mica’); ma appunto qui il testo epico usa çÚ¯‹Û·Ûı·È.
A volte, la stessa A. tende a sovrapporre diverse interpretazioni, tanto che risulta
difficile orientarsi per il lettore nel labirinto delle possibilità. Così avviene per l’in-
terpretazione dei pinakes in cui una fanciulla, portata su un carro da una figura ma-
schile (Ade?, lo sposo?) tiene in mano una palla: prima (pp. 34-35) si accenna alla de-
dica della palla come aparché al momento delle nozze, a simboleggiare l’abbandono
dei giochi infantili; poi (p. 36), però, si ricorda che «la palla può essere anche un par-
ticolare oggetto sonoro», nella forma di sonagli sferici di terracotta contenenti al lo-
ro interno palline di argilla; è chiaro che la palla come oggetto di gioco e la palla-so-
naglio di terracotta sono due oggetti ben diversi (per uso e consistenza), e l’oggetto
raffigurato nella scena non può essere contemporaneamente l’uno o l’altro, sicché i
due rimandi non possono essere messi sullo stesso piano come avviene nel testo.
Allo stesso modo, per le scene di tipo 8/1 sempre dal Persephoneion, con Apollo che
tiene una lira al cospetto di Ade e Persefone assisi, si afferma, nel volgere di poche
righe che, «come in questa scena, […], la lyra nei pinakes locresi da un lato connota
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l’iconografia del dio, dall’altro può evocare il potere della musica di agevolare i riti
di passaggio e di allontanare le forze negative che possono rendere difficile o impe-
dire le nozze», e che «va anche considerato che lo strumento potrebbe essere un sim-
bolo della classe giovanile e un richiamo ai rituali iniziativi maschili» (p. 55), affer-
mazione cui segue una illustrazione dell’uso della lyra nei riti di passaggio, come per
Apollo Hyakinthos ad Amicle (p. 56); se ne deduce che Apollo «potrebbe essere una
proiezione della realtà maschile e ricoprire il ruolo di ‘mediatore’ per le ragazze» che
passavano all’età adulta (ibid.; osservo en passant che Ar., Lys., 1296-1321 e E., Hel.,
1465-1478 non dimostrano una associazione fra Apollo e i rituali prenuziali, come
sembra suggerirsi nel testo). Tali interpretazioni sono tutte possibili, e l’idea di un
Apollo ‘mediatore’ maschile per le ragazze pronte al matrimonio che svolgevano i
loro rituali nel santuario di Persefone è sicuramente stimolante; ma le interpreta-
zioni della lyra proposte sono tutte egualmente e contemporaneamente valide? la ly-
ra è attributo di Apollo, e quindi un puro segno di identificazione del dio, privo di va-
lore semantico suo proprio? o ha valore apotropaico? o ‘simboleggia’ la classe
giovanile? Le tre cose sono diverse. È sicuramente vero, d’altra parte, che le imma-
gini e i loro singoli elementi sono o possono essere polisemiche: è merito dell’A. aver
valorizzato la ricchezza di interpretazioni possibili, ma può capitare che alcune pos-
sibilità risultino reciprocamente esclusive, o comunque diversamente plausibili.
In un caso, si può nutrire un dubbio sulla plausibilità dell’interpretazione propo-
sta dall’A., cioè nel caso dei pinakes di tipo 10/11, con una scena di simposio che mo-
stra una figura femminile, ben vestita, che suona l’aulos, incoronata da un erote, di-
stesa su una kline accanto ad un giovane, anch’egli reclinato, che da dietro poggia la
mano destra sul seno della ragazza, all’ombra di un albero da frutta (melograno?) su
cui si arrampica un erote: la scena, per l’A., «sembrerebbe evocare un atto di culto o
una festa nuziale a cui si partecipava con un adeguato abbigliamento, come nel sim-
posio», un «pasto rituale» all’aperto (p. 61); la presenza dell’aulos, usato nei riti nu-
ziali, potrebbe anzi rafforzare il legame «con la sfera nuziale e il banchetto dopo il
gamos vero e proprio» (p. 62).1 Ma il gesto esplicitamente sessuale pare escludere, a
parere di chi scrive, connotazioni sacre e/o nuziali: la scena si ricollega bene, invece,
alle molte raffigurazioni di scene simposiali in cui si esalta la forza dell’eros rigorosa-
mente extraconiugale nel simposio, in cui appunto le auletrides, ben distinte dalle
donne di rango cittadino, avevano ruolo centrale;2 si pensi ad Ar., V., 1368 sgg. Cer-
to, c’è da chiedersi perché raffigurare una scena di simposio eroticamente connota-
ta su un pinax dedicato in un Persephoneion: una domanda che si lascia aperta. Nello
stesso tempo, per sostenere l’interpretazione proposta dall’A. c’è da chiedersi: per-
ché mostrare la novella sposa nell’atto di suonare l’aulos? ciò ha paralleli, iconogra-
1 Rimando per comodità a quanto osservato dal sottoscritto in Chi “pratica la musica” e chi “non
sa suonare la lira” (a proposito di [Xen.] Ath. resp. 1, 13), «RFIC», cxxx, 3, Torino, 2002, pp. 299-336.
2 Cfr. le osservazioni della stessa in Per un’etnomusicologia storica del mondo antico, in Etnomusi-
cologia storica del mondo antico. Per Roberto Leydi, a cura di Donatella Restani, Ravenna, Longo, 2006,
pp. 3-6.