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Lluís Clavell

Pablo Gómez-Lobo Peñaloza


Lettura di testi filosofici II
10/3/21

Felicità e contemplazione cap. V-VIII


C’è una contradizione fra sostenere che felicità e piacere sono cose diverse, e allo
stesso tempo che la felicità si trova in quello che dà il piacere più profondo? Spiega
questa affermazione: la bevanda felicità diventa per noi accessibile solo mediante
l’agire che resta immanente in colui che agisce. Spiega il rapporto fra conoscenza e
amore.

Mi sembra molto utile iniziare la riflessione con un ragionamento di un filosofo


spagnolo, José Ortega y Gasset, che diceva che il piacere che segue al mangiare ha
come scopo il mantenimento della vita, giacché se non fosse piacevole nessuno
mangerebbe e tutti moriremmo. Così si può dire anche del piacere sessuale, l'atto è
piacevole perché ci siamo affini a trasmettere la vita. Dunque si vede come non c'è
contradizione nel sostenere che felicità e piacere sono cose diverse. Il piacere sensibile
è una sensazione fugace che non si cerca per sé stesso, ma per altri beni, quindi se si
assolutizza il piacere e se cerca il piacere per il piacere si arriva ad una distruzione
dell'uomo. Il piacere spirituale, fa riferimento ad un possesso più profondo dei beni, un
possesso che rimane e che in certo modo si può dire che è "infinito", giacché questo
piacere rimane nel tempo.

Ad esempio, quando io ero piccolo, miei genitori lavoravano molto e la mia mamma
arrivava molto stanca del lavoro e solo ci chiedeva di pulire i piati e la cucina, il piacere
che io o trovato nel fare questo compito in compensazione per tutto quello che faceva
la mia mamma e vedere la sua gioia quando lo faceva mi portava un piacere molto più
profondo da quello che poteva ottenere con qualsiasi altra cosa, e solo il ricordarlo mi
porta piacere, nel senso di "delectatio", e questo piacere mi fa molto felice. Quindi
piacere e felicità sono cose diverse ma non c'è felicità senza piacere, sia quello
sensibile in piccola misura e sempre nel giusto mezzo, sia principalmente quello più
profondo, quello spirituale.

Si vede quindi che se la felicità si trova quando la volontà possiede quello che desidera,
e questo si raggiunge per mezzo di azioni, ma la "ποίησις" rivolta all'esterno non può
garantire la felicità. È invece la "πρᾶξις", quella attività immanente che rimane dentro
di noi quella che ci da la vera felicità, in concreto il conoscere giacché ci da un possesso
vero, pieno, che non finisce mai, della cosa desiderata o amata.

E quindi arriviamo alla partecipazione dell'amore, che si svolge in desiderio di possesso


dell'oggetto amato e gioia quando questo oggetto è finalmente posseduto. E questo si
rende possibile attraverso il conoscere. La felicità resta legata all'amore, solo si è felice
se si ama e questo amore richiede la presenza dell'amato, presenza che viene attuata
tramite la conoscenza. Quindi l'amore rende possibile una conoscenza che
chiamammo contemplazione.

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