Ad esempio, quando io ero piccolo, miei genitori lavoravano molto e la mia mamma
arrivava molto stanca del lavoro e solo ci chiedeva di pulire i piati e la cucina, il piacere
che io o trovato nel fare questo compito in compensazione per tutto quello che faceva
la mia mamma e vedere la sua gioia quando lo faceva mi portava un piacere molto più
profondo da quello che poteva ottenere con qualsiasi altra cosa, e solo il ricordarlo mi
porta piacere, nel senso di "delectatio", e questo piacere mi fa molto felice. Quindi
piacere e felicità sono cose diverse ma non c'è felicità senza piacere, sia quello
sensibile in piccola misura e sempre nel giusto mezzo, sia principalmente quello più
profondo, quello spirituale.
Si vede quindi che se la felicità si trova quando la volontà possiede quello che desidera,
e questo si raggiunge per mezzo di azioni, ma la "ποίησις" rivolta all'esterno non può
garantire la felicità. È invece la "πρᾶξις", quella attività immanente che rimane dentro
di noi quella che ci da la vera felicità, in concreto il conoscere giacché ci da un possesso
vero, pieno, che non finisce mai, della cosa desiderata o amata.
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