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LucaniArt Magazine, settembre 2018

LE POESIE DI JORGE LUIS BORGES (SECONDA PARTE)

“Solo è il presente, solo. E’ la memoria che erige il tempo. Successione e inganno. Il viaggio dell’orologio. Né l’anno è meno
vano della vana storia”. Jorge Luis Borges

L’ALTRO, LO STESSO

“L’altro, lo stesso” è una raccolta di settantacinque componimenti in versi e prosa del


1964 ed è anche il libro preferito dallo stesso Borges, che nel prologo dice: “Dei
molti libri di versi che la mia rassegnazione, la mia negligenza, e talora la mia
passione, sono andate abbozzando, L’altro, lo stesso è quello che preferisco”. Ed
ancora poco più innanzi: “Vi si trovano altresì le mie abitudini: Buenos Aires, il culto
degli antenati, la contraddizione fra il tempo che trascorre e l’identità che perdura,
lo stupore che il tempo, di cui siamo fatti, possa essere condiviso”. Dato che contiene
componimenti raccolti nell’arco di trenta anni, “L’altro, lo stesso” può essere
considerata una cartina di tornasole dell’evoluzione poetica dello stesso Borges.
Usando le sue stesse parole: “È curiosa la sorte dello scrittore. Agli inizi è barocco,
vanitosamente barocco, ma dopo molti anni può raggiungere, con il favore degli
astri, non la semplicità, che non è niente, ma la modesta e segreta complessità”.
Questa raccolta poetica comincia con: “Insonnia” che descrive l’insonnia come notti
di ferro che si spera passino e giunga il risveglio che porta l’oblio. Lo stesso oblio che
l’amore e la notte nelle: “Due poesie inglesi” vengono paragonate alle onde del mare
e che portano doni e rifiuti, detriti e cose belle. Citando lo stesso Borges: “Le notti
son solite arrecare misteriosi doni e rifiuti” e più avanti: “La marea notturna mi ha
lasciato gli usati frammenti / e relitti: qualche odiato amico per ciarlare musica / per
i sogni, fumo di cenere amara. Ciò di cui il / mio cuore affamato non sa che farsi”,
per poi offrire alla donna che ama tutto quello che ha: “Posso darti la mia solitudine,
le mie tenebre, la fame / del mio cuore”. Buenos Aires ritorna ne: “La notte
ciclica”coi suoi sobborghi di periferia, con le sue piante ed i suoi marciapiedi rotti e
con il suo groviglio di strade dai nomi di ufficiali e generali dell’esercito argentino
periti in battaglia. Questa città, Buenos Aires, somiglia ad una rosa appassita. O le
riflessioni del dottor Francisco Laprida immaginate da Borges nella: “Poesia
congetturale” prima di essere assassinato dai guerriglieri ribelli. Il tema del tempo
ritorna in: “Una bussola” in cui tutto è contenuto nelle parole che pronunciamo e che
qualcuno scrive “l’infinito intreccio che è la storia del mondo” e più avanti: “C’è
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dietro il nome che non si nomina; / Oggi ho sentito gravitarne l’ombra / Nell’ego
azzurro, lucido e leggero / che teso sempre a un mare rassomiglia / insieme a un
orologio visto in sogno”, Sono presenti ne “L’altro, lo stesso” anche brani e versi
dedicati a poeti minori, a Matteo e Giovanni gli apostoli di Gesù, allo scrittore e
filosofo Gesuita seicentesco Baltasar Gracian, al corsaro inglese settecentesco
Alexander Selkirk, all’ex presidente argentino ottocentesco Sarmiento, ad un poeta
Sassone, ad un poeta minore nato nello stesso anno di Borges ossia nel 1899, ai più
famosi Edgar Allan Poe ed al filosofo Spinoza, fino allo scrittore spagnolo Rafael
Cansinos Assens contemporaneo dello stesso Borges. “Limiti” è una poesia sullo
spazio, sul tempo e sul dimenticare in cui Borges ad un certo punto si chiede: “se per
tutto c’è termine e c’è regola / E l’ultima volta e per sempre ed oblio. / Chi potrà
dirci a chi, in questa casa, / senza saperlo abbiamo detto addio?” e più avanti:
“credo udire nell’alba un frettoloso / Rumore, come gente che va via: / e’ quello che
m’ha amato ed obliato; / Già spazio, tempo, Borges mi abbandonano”. E i riferimenti
alla cultura ebraica di cui Borges era un profondo conoscitore non mancano, come ad
esempio in: “Golem” in cui per l’appunto l’attenzione è posta su questa figura
mitologica e cabalistica appunto il Golem, la materia informe, il primo Adamo. Ne:
“Il Tango” ritornano temi più terreni come ad esempio il ricordo delle zuffe e degli
omicidi dei “gauchos” che continuano a rivivere nei testi e nelle musiche di alcuni
tanghi. Infatti usando le parole dello stesso Borges: “C’è solo il tempo. Il tango crea
un confuso / Irreale passato, forse vero, / Un assurdo ricordo d’esser morto,
Battendomi, a un cantone del sobborgo”. Le riflessioni su Milton, su Cervantes e sul
ricordo che è l’unica cosa che rimane nel tempo ne: “L’Altro”. Ricordo o riflessione
che continua anche nella successiva meravigliosa: “Una rosa e Milton”. La poesia di
Borges si rivolge a se stesso ed indirettamente anche a noi suoi piccoli lettori ne:
“Lettori” in cui partendo da un vecchio titolo nobiliare l’hidalgo e da Cervantes
definisce la poesia così: “Ed è solo una cronaca di sogni” e più avanti: “Ho
seppellito, / Lo so, qualcosa d’immortale nell’ / Antica biblioteca del passato / in cui
lessi la storia dell’hidalgo. / I lenti fogli voglia un bimbo, grave / E sogna di cose
vaghe che ignora”. Ne “Il risveglio” invece racconta della luce che entra nel mattino
dalle finestre aperte e “le cose riprendono il posto” e più avanti: “E ritorna la
quotidiana storia: / La voce e il volto miei, timore e sorte” fino a sperare che “Se mi
portasse l’oblio quel mattino!”. In: “A chi non è più giovane” in cui come davanti ad
uno specchio, lo stesso poeta afferma: “La fine ormai t’è attorno. E questa casa / Ove
la sera lenta e breve, / E’ la strada che vedi tutti i giorni” . “Egli” in cui il poeta,
Borges stesso, si guarda allo specchio dell’anima e fraternizzando con Caino dice: “A
me l’eterno deve il gusto del fuoco dell’Inferno”. “Composizione scritta su un
esemplare delle gesta di Beowulf” in cui le gesta dell’eroe della mitologia
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scandinava Beowulf diventano un pretesto per parlare di poesia: “Quali ragioni, a


volte mi domando, / mi muovono a studiar senza speranza, / Di precisione mentre il
buio avanza” e conclude: “Al di la di quest’ansia e del mio verso / Mi attende
l’insondabile universo”. L’omaggio al suo amato poeta Walt Whitman in: “Cadmen,
1892”. Il tema del labirinto ritorna ne: “Gli enigmi” in cui Borges sente un destino
tragico come chi era costretto a sciogliere gli enigmi di Proteo, la divinità greca del
mare ed oracolo in grado di cambiare forma in ogni momento. I miei componimenti
preferiti di “L’altro, lo stesso” sono la meravigliosa “Altra poesia dei doni” in cui
Borges ringrazia la diversità della vita e tutto il creato, tutto ciò che lo ha ispirato
nello scrivere poesie, i poeti che più ama e ogni cosa in questa “sorta” di preghiera
laica e religiosa al contempo, che esprime un senso di gratitudine verso la vita.
Parafrasando lo stesso Borges: “Voglio rendere grazie al divino / Labirinto di effetti e
di cause / Per la diversità delle creature / Che compongono questo singolare
universo, / Per la ragione, che non cesserà di sognare / Una mappa del labirinto, /
Per il viso di Elena e la perseveranza di Ulisse, / Per l'amore, che mi permette di
vedere gli altri / Come li vede la divinità” e prosegue “Per il mistero della rosa /
Che dona il suo colore e non lo vede” e più avanti “Per il mattino a Montevideo, /
Per l'arte dell'amicizia” e ancora “Per il mare, che è un deserto splendente / E un
simbolo di cose che ignoriamo, / Per la musica verbale d'Inghilterra, / Per la musica
verbale di Germania, / Per l'oro, che rifulge nei versi” ed ancora “Per Verlaine,
innocente come gli uccelli, / Per il prisma di cristallo e il peso di bronzo, / Per le
strisce della tigre, / Per le alte torri di San Francisco e dell'isola di Manhattan, / Per
il mattino in Texas, / Per il sivigliano che scrisse l'Epistola morale / E il cui nome,
com'egli avrebbe preferito, ignoriamo” e continua con: “Tutta la letteratura
spagnola, / Per il geometrico e bizzarro giuoco degli scacchi, / Per la tartaruga di
Zenone e la mappa di Royce, / Per l'odore medicinale degli eucalipti, / Per il
linguaggio, che può simulare la sapienza, / Per l'oblio, che annienta o modifica il
passato, / Per l'abitudine / Che ci ripete e ci conferma come uno specchio, / Per il
mattino, che ci dà l'illusione di un principio, / Per la notte, la sua tenebra e la sua
astronomia, / Per il coraggio e la felicità degli altri, / Per la patria, sentita nei
gelsomini / O in una vecchia spada, / Per Whitman e Francesco d'Assisi, che già
scrissero la poesia” e conclude così “Per il fatto che la poesia è inesauribile / E si
confonde con la totalità degli esseri / E non giungerà mai all'ultimo verso / E muta
secondo gli uomini, / Per Frances Haslam, che chiese perdono ai suoi figli / Perché
era così lenta a morire, / Per i minuti che precedono il sonno, / Per il sonno e la
morte, / Questi due tesori segreti, / Per gl'intimi doni che non enumero, / Per la
musica, misteriosa forma del tempo”. Ed infine: “Qualcuno” in cui c’è spazio per un
lampo di felicità, le parole di Borges si rivolgono a se stesso ed agli altri, come
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dinanzi ad uno specchio a noi suoi lettori, “a un tratto può sentire, mentre va per la
via / una misteriosa felicità / che non proviene dalla speranza / ma da un’antica
innocenza, / dall’intima radice o da un dio sperso”.

PER LE SEI CORDE

Borges era un appassionato di tanghi e di milonghe, infatti diceva: “Io direi che il
tango e la milonga esprimono in maniera diretta qualcosa che i poeti, molte volte,
hanno voluto fare con le parole: la convinzione che combattere può essere una
festa”. E questa raccolta di undici poesie intitolata “Per le sei corde” del 1965 è piena
di riferimenti al tango e soprattutto alla milonga, cioè alle sale in cui si balla il tango.
I protagonisti delle milonghe di Borges sono tutti “gauchos” o “compadritos” cioè
delinquenti e capo quartieri, gente incline alla rissa, attacca brighe dal coltello facile.
Gente povera che vive ai margini delle città argentine e che non ha saputo o non ha
voluto modernizzarsi nell’Argentina ottocentesca ed inizio novecentesca. Con il loro
linguaggio, il loro vestiario, le loro regole. Da un certo punto di vista somigliano ai
personaggi descritti da Pasolini nei suoi primi romanzi e nei suoi primi film, i
cosiddetti “sotto proletari” delle borgate romane de “Ragazzi di vita” o di “Una vita
violenta”. Le milonghe scritte da Borges e pubblicate nella raccolta “Per le sei
corde”sono come documenti di fatti di cronaca, delitti ed assassinii. Sei corde perché
sono immaginate come canzoni vere e proprie, infatti come dice lo stesso Borges nel
prologo: “Nel modesto caso delle mie milonghe, il lettore deve supplire la musica
assente con l’immagine di un uomo che canticchia, sulla soglia del suo androne o in
un emporio, accompagnandosi con la chitarra. La mano indugia sulle corde e le
parole contano meno degli accordi”. Nella “Milonga dei due fratelli” si narrano le
vicende dei due fratelli Iberra di cui uno ammazza l’altro ed è paragonato a Caino
che ammazzò Abele. Per Borges è bene ricordarlo che la storia si ripete sempre e con
piccole variazioni. . O nella “Milonga di Jacintho Chiclana” in cu Borges narra le
vicende di questo “gauchos” valoroso e valente. Nella “Milonga di don Nicanor
Paredes” il cui incipit è: “Ecco per un arpeggio e ora, / Se voi me lo permettete, /
Voglio cantare, signori, / Per Don Nicanor Paredes” che è un elogio alla valenza ed
allo sprezzante coraggio di questo “compadritos”, che camminava fiero nel quartiere
Palermo a Buenos Aires e che alla fine: “Ora egli è morto e mi dico: / Don Nicanor,
lei che farà / In un cielo senza cavalli / Né invito, rilancio e assi?”. La stessa fine di
Saverio Suarez detto il “Cileno” in: “Un coltello nel nord” che in vita ha commesso
innumerevoli omicidi. O il bullo de: “Il fantoccio” che muore con un proiettile nella
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carne, perché come dice lo stesso Borges: “L’uomo come è risaputo, / Ha un


contratto firmato / Con la morte. A ogni angolo / Lo aspetta la mala sorte”. Lo stesso
destino tocca ad Alejo Albornoz il personaggio della “Milonga di Albornoz” che:
“morì come se non gli importasse. / Penso che gli piacerebbe / sapere che la sua
storia / Va oggi in una milonga. / Il tempo è oblio e memoria”. “Per le sei corde” è
una raccolta di versi, storie di piccoli delinquenti e capo quartieri, noti solo nelle
cronache giudiziarie, a cui la penna di Borges ha saputo donare un attimo di
immortalità.

Mariano Lizzadro

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