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APPUNTI SU BLOCK NOTES


Fra Oriente e Occidente
Piccolo dizionario filosofico
A cura di Giorgio Peri
(non prendete - mi - vi troppo sul serio!)

1
Dedicato a te, carissima Bea!
Unica e impareggiabile.

La mia forza è non aver trovato una risposta a niente. (Cioran)

Ci sono alcuni che, come il profeta Ezechiele, hanno la vocazione a bucare i muri,
uscire da “dove stan tutti”, ma una volta usciti, restare dei nomadi in cerca di una
terra che non trovano.

Ciò che vi viene proposto non consiste in un immaginario sentiero


che vi porta da una qualche parte. No, è semplicemente uno
sradicarvi in modo che la vostra mente molli la presa.

"Mantieni anzitutto in pace te stesso e così potrai pacificare gli


altri: l'uomo operatore di pace giova più dell'uomo dotto".
(Imitazione di Cristo di San Giovanni della Croce)

FORSE NOI NON SAPPIAMO COSA STIAMO CERCANDO: in altre parole ciò
che cerchiamo è la risposta a una domanda che non conosciamo.
Cari amici lettori, tenete sempre presente che qui si sta solo giocando con concetti,
con i pensieri e con le parole! Quindi non prendete mai sul serio quanto scritto! E, se
potete, giocate anche voi (senza arrabbiarvi!) Grazie.
Non è solo così ma è anche così. La realtà non ha una fisionomia propria
indipendente dal punto di vista dalla quale la si considera. La sola prospettiva falsa è
quella che pretende di essere l'unica vera. La sicurezza è solo un modo per far si che
l'arroganza prevalga sulla vera conoscenza che si nutre, invece, di dubbio.
Io sono la più grande delle illusioni: tutto ciò che dico con tanta passione, è falso. Ma
questo falsità è, forse, un ponte al raggiungimento di ciò che è.
La verità non abita qui. Se state cercando la verità avete sbagliato indirizzo. Qui
troverete solo vuote parole e labili concetti che però potrebbero anche divertire.
Non sono una persona seria e non mi piacciono le persone serie: amo contraddirmi!
2
"Insistere a sostenere che le cose stiano proprio così come io le ho esposte non si
addice a persona che abbia senno." (Socrate - Platone)
Non importa se non capite. (Meister Eckhart)

-INDICE
*A
ACATALEPSIA-ATARASSIA

AGOSTINO
AMORE
ANASSIMANDRO

ANATTA

ANEDDOTI ZEN

ANGOSCIA

ARCHE'

ARISTOTELE

ASSOLUTO

ATOMO

AUTOCOSCIENZA

AVVOLTO CHE AVVOLGE

*B
BACONE
3
BERGSON

BIRRA

BOMBA ATOMICA

BOOTSTRAP
BRAHMAN
BUCHI NERI
BUDDA

*C
CAMPO QUANTISTICO

CAOS-COSMOS

CARTESIO

CASO-NECSSITA'

CATEGORIE

CATTIVERIA

CAUSA-EFFETTO

COLPA

COMPARAZIONE FILOSOFICA

COMPLESSITA'

CONDIZIONE DI POSSIBILITA'

CONFESSIONE

COLLOQUIO FRA EINSTEIN E TAGORE

CONOSCI TE STESSO

4
CORPO

COSCIENZA-CONOSCENZA

COSMOTEANDRISMO

CONTRARI

CULTURA

CUSANO

*D
DALAI LAMA
DECOSTRUZIONE
DEMOCRAZIA
DESIDERIO
DICHIARAZIONE UNIVERSALE
DIO
DONNA
DUALISMO
DUBBIO

*E
ECKHART

EINSTEIN

ELLENISMO

ENERGIA

ENSO
5
ENTAGLEMENT

ENTROPIA

EPICURO

EPOCHE'

ERACLITO

ESSERE

ETERNO RITORNO

ETICA DELLA RELAZIONE

*F
FAZANG

FELICITA'

FENOMENOLOGIA

FIBONACCI

FILOSOFIA

FILONE D'ALESSANDRIA

FISICA

FORMA

FREUD

*G
GIORDANO BRUNO

GIUSTIZIA
6
GODEL

GOLEM

GORGIA

GUERRA

GUGLIELMO DI HOCKAM

*H
HAMMURABI

HEGEL

HEIDEGGER

HO'OPONOPONO
HUME

*I
IKIGAI
ILLUMINAZIONE e ILLUMINISMO
INCOMPRENSIBILE - INCONOSCIBILE
INFERNO
INFINITO
INFORMAZIONE
INDIVIDUO
INQUINAMENTO
INTERDIPENDENZA-INTERCONNESSIONE
INTERNET
7
INVARIANTE
IO-EGO

*K
KANT

KITARO NISHIDA

KOAN

*L
LEOPARDI

LI SHI

LIBERTA'

LINGUAGGIO

LOGICA

LOGOS

*M
MAESTRO

MALE

MARX

MATEMATICA

MATERIA OSCURA - ENERGIA OSCURA

8
MATRIARCATO

MECCANICA QUANTISTICA RELAZIONALE

MENTE

MIO

MISTERO DELLA VITA

MISTICISMO

MONDO

MORALE

MORTE

*N
NAGARJUNA

NASH

NATURA

NEC SPE NEC METU

NEURONI

NEUTRINO

NICHILISMO

NIETZSCHE

NISARGADATTA MAHARAJ

NULLA

*O 9
OLOGRAMMA

oṁ

ONDA

ORACOLO DI DELFI

OSIRIDE

OSSERVATORE

*P
PAROLA

PAZIENZA

PECCATO ORIGINALE

PERSONA

PIRANDELLO

PIRRONE

PITAGORA

PLATONE

PLOTINO

POLITICA

POLYMATHIA

POMPONAZZI

PRAJNAPARAMITA e KARUNA

PRINCIPIO DEL TERZO ESCLUSO

PRINCIPIO DI INDIVIDUAZIONE
10
PROSPETTIVISMO

*R
RAGIONE

RAPA NUI

REALTA'

RELATIVISMO

RELAZIONE

RELIGIONI

RESURREZIONE

RETE DI INDRA

RICCHEZZA E POVERTA'

RORSCHACH

*S
SABBE DHAMMA ANATTA'

SAGGEZZA ORIENTALE

SAN GIORGIO

SCETTICISMO

SCIENZA

SCHIAVITU'

SCOTO ERIUGENA

SENECA
11
SHANKARA

SOCIETA'

SOCRATE

SOGGETTO-OGGETTO

SOGNO

SPAZIO-TEMPO

SPINOZA

STOICISMO

STORIA

SUTRA DEL CUORE

SUTRA DEL DIAMANTE

SUTRA DEL LOTO

*T
TAO

TARA

TEOLOGIA

TERRA

TOMMASO D'AQUINO

TONAL-NAGUAL

TORTURA

TRASCENDENTE-TRASCENDENTALE

TULPA
12
*U
UBUNTU

U.G.

UNO

UOMO

UPANISHAD

*V
VACUITA' -VUOTO

VANITA'

VERITA'

VIOLENZA

VITA

WU WEI

*Z
ZEN

ZERO

ZUANG ZI

---------------------------------------------------------------------------------------------------

COACERVO DI PENSIERI
13
A
-ACATALESSIA-ATARASSIA***

L'acatalessia, dal greco antico akatalepsia (parola composta dall' a -, privativo, e da,
cogliere), vuol dire "non comprensione" ed era la posizione teorica degli scettici che
sostenevano l'impossibilità di conoscere la verità.
L'acatalessia veniva contrapposta alle teorie degli stoici che al contrario affermavano
la possibilità della catalessi, dell'assenso, della comprensione.
Tra queste due posizioni radicalmente opposte ne derivava come conseguenza finale,
sostenuta dallo scetticismo, la sospensione del giudizio, (l'epochè) poiché non
risultavano disponibili sufficienti elementi per formulare un qualsivoglia
giudizio. Si giungeva allora all'atarassia, l'imperturbabilità.
14
L'imperturbabilità dello scettico non deriva dal raggiungimento di una retta
conoscenza del reale, ma piuttosto dalla consapevolezza che nessuna retta
conoscenza è possibile, che ogni presunta verità non è dimostrabile con assoluta
certezza. Anche le cause delle nostre emozioni, ciò che ci rende felici o angosciati,
rientrano, come tutto, in questa zona d'ombra che rende tutto trascurabile perché
potenzialmente illusorio. L'invito dello scettico è di fare epochè, di rivalutare (e
ridimensionare) ogni aspetto della vita in base alla riflessione sulla limitatezza della
mente umana, e raggiungere così una condizione di felicità perché sottratta all'errore
e all'incertezza che derivano dall'accettare acriticamente la realtà.
L'atarassia era sostenuta anche dagli stoici, così come anche dagli epicurei, ma per
loro il mantenersi lontano dalle passioni e dai desideri smodati non conseguiva dalla
convinzione di non poter attingere al vero, ma era invece la condizione primaria per
una vita serena, per il conseguimento dell' eudemonia.
-AGOSTINO***
Creazione dal nulla. Peccato originale. Massa Damnationis. Il sesso è peccato.
Misoginia pura. Se un pagano ha una virtù non è vera virtù. Guerra Giusta.
Complimenti Agostino! Una delle poche idee geniali fu invece quella di tradurre
(nonostante la poca dimestichezza con la lingua greca) la parola logos con relazione.
Agostino fu intollerante e lontano da ogni libertà personale: per lui contava solo Dio!
Secondo Agostino, Dio creò il mondo dal nulla mentre per Platone ciò non è
possibile: il demiurgo, che non è un dio ma un artigiano, crea il mondo dall'unione fra
le idee e la materia. Per i greci non si può creare dal nulla.
Agostino lega la nascita e la propagazione del peccato all'atto sessuale.
Il male è sorto dal libero arbitrio della volontà. Secondo la visione biblica il male
si origina per l’atto libero di una creatura garantendo così l’assoluta innocenza di Dio
rispetto al male compiuto dalle sue creature. Dunque, secondo Agostino, l'uomo
deve essere libero per spiegare così il male senza coinvolgere Dio. Questo
affermazione del libero arbitrio, però, non deve spingersi fino a negare il fatto che la
grazia sia necessaria e che preceda ogni merito da parte dell'uomo. In altre parole
siamo noi volere il bene ma è Dio a far sì che lo vogliamo effettivamente. "È certo
che siamo noi a fare, quando facciamo; ma è lui a fare sì che noi facciamo, fornendo
forze efficacissime alla volontà". Dio, con la sua grazia, prima opera senza di noi,
trasformando la nostra volontà da cattiva in buona; poi coopera con noi, sostenendo
la nostra volontà, resa ormai buona, e aiutandola a essere sempre più buona, cioè a
volere sempre più il bene, fino a volerlo pienamente. Come la volontà umana non
perde la sua libertà nel bene, venendo convertita e sorretta da Dio, così essa non
perde la sua libertà nel male, nemmeno quando Dio stesso la inclina al peccato. "Il
Signore opera nel cuore degli uomini per inclinare le loro volontà dovunque voglia.
15
Ora le volge al bene poiché egli è misericordioso, ora al male perché essi lo
meritano, sicuramente in base ad un giudizio suo talvolta chiaro, talvolta occulto,
ma sempre giusto". Dunque Agostino vuole mostrare che la grazia di Dio è
condizione necessaria del fatto che l’uomo voglia e compia liberamente il bene.
Però anche le volontà cattive sono in potere di Dio. La volontà è sempre libera ma è
buona e efficace nel bene solo se resa tale per grazia di Dio. Il libero arbitrio,
nell'attuale condizione umana, non basta per volere in modo buono e per osservare i
comandamenti. Dopo il peccato (originale) l'uomo ha volontà libera ma cattiva e
solo la grazia di Dio la può rendere buona. Dunque la grazie di Dio è la condizione
necessaria del fatto che l'uomo voglia e compia liberamente il bene. La volontà libera
può essere inclinata da Dio sia al bene che al male. Ciò non è molto chiaro, vero
Agostino?

Nel dialogo giovanile, il libero arbitrio è tratteggiato come un potere di


autodeterminazione che, in origine, è totale e che pone la volontà nel pieno dominio
di sé. Nel trattato della vecchiaia, invece, il libero arbitrio è dipinto come una
capacità di volere o non volere che però non è autosufficiente, ma ha un
insostituibile bisogno di essere “spinta” dalla grazia divina per determinarsi al
bene.

Costante lotta fra essere e non essere che, forse, sono però la stessa cosa.
"Noi siamo responsabili della nostra morte" dice Agostino. Ma se non abbiamo scelto
di nascere come potremmo esserlo?
La persona è volontà di scegliere fra l'essere (Dio) o il non essere (Nulla). Ogni
persona è una scintilla di Dio (sono però sempre due).
Agostino introduce nella teologia il peccato originale. Forse per un errore di
traduzione di un passo paolino.
Per Agostino il sesso è peccato mentre per Gesù condanna solo l'adulterio (Giovanni,
8:10-11).
Per Agostino esiste un presente di cose presenti, un presente di cose passate
(memoria) e un presente di cose future (attesa). Il tempo esiste solo nella mente
umana che ricorda, considera e aspetta (soggettivismo).
Agostino anticipo anche il cogito di Cartesio: Tu che vuoi sapere, sai se tu sei?
Gran bella domanda!
Dice poi che la vera virtù esiste solo all'interno della vera religione: quelle che sono
virtù per un cristiano sarebbero vizi per i pagani. Gran brutta sentenza!

16
Agostino, interpretando Paolo, sostiene che Dio ha diviso arbitrariamente
l'umanità in eletti e reprobi (massa damnationis non toccata dalla grazia che
redime dal peccato originale)! Aveva invece forse ragione Morgan-Pelagio che
affermava l'inesistenza del peccato originale? Comunque sia, la massa damnationis
è terrificante.
Agostino era pervaso da un triste sentimento di colpa universale e di peccato al quale
si rifarà anche Lutero.
Le donne non dovrebbero essere illuminate o educate in nessun modo. Dovrebbero,
in realtà, essere segregate poiché sono loro la causa di orrende e involontarie erezioni
di uomini santi. (Misoginia pura che scarica le proprie colpe sugli altri)
Due amori diedero dunque origine a due città, alla terrena l'amore di sé fino al
disprezzo di Dio, alla celeste l'amore di Dio fino al disprezzo di sé. (Agostino)
Siamo nel dualismo più esasperato frutto, forse, dei suoi trascorsi manichei.

-AMORE* **

Dialogo - preghiera

Mio Dio ti offro la mia ricchezza!


Non saprei cosa farne, sono solo cose.

Ti offro la mia intelligenza!


Troppo poco, sono solo concetti.

Ti offro il mio "io"!


Non basta ancora, è solo un'idea.

Ti offro l'amore!
Finalmente vai oltre le cose, i concetti, le idee
e parli la mia lingua.

Quando c’è l’Amore voi non siete; quando voi siete non c’è l’Amore.
Quando c’è il sé non c’è Dio, quando il sé scompare c’è Dio.
(Krishnamurti) 

Karuna è la compassione attiva che scaturisce dalla comprensione, dalla


consapevolezza (prajina) della natura interconnessa di tutti gli esseri: ciascuno di
noi non è solo in rapporto con gli altri, ma è costituito dagli altri. Karuna non ha
dunque bisogni di comandamenti divini e neppure imperativi kantiani.

17
Amore e vita
La vita è amore
L'amore è vita
E l'io può espandersi fino a tutto l'universo
O contrarsi fino a scomparire
 
 "Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi
amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli
altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli
altri». Questo disse Gesù dopo l'ultima cena. Chi costruisce muri sia fisici che
morali rispetta questo comandamento? Può dirsi cristiano?

Alla mia età ho incontrato tanta gente, ho sofferto e gioito, ma soprattutto ho


imparato ad amare l’amore e a rifiutare l’odio. (Leonardo Da Vinci)

Conoscenza (prajna) e amore (karuna) sono, forse, attività spirituali identiche.


Per questo, per conoscere una cosa bisogna amarla e per amare una cosa bisogna
conoscerla. (Kitaro Nishida)

Tutto ciò che è fatto per amore è sempre al di là del bene e del male. (Nietzsche)

L’Amore divino mi ha pervaso a tal punto che non v’è più posto per me stesso.

Amare qualcosa significa rigettare noi stessi e fare tutt’uno con l’altro da noi.
Nell’unione senza fratture di sé e dell’altro per la prima volta scaturisce il vero
amore. Che noi amiamo i fiori significa che noi facciamo tutt’uno con i fiori. Amare
la luna è coincidere con la luna. Più noi rigettando il nostro io diventiamo puramente
oggettivi, cioè senza-io, più l’amore diventa grande e profondo. (Kitaro Nishida)

Amare significa superare la separazione che ci divide: è desiderio di unità perché "io"
e l'"altro" non siamo più due. Ama e fai ciò che vuoi!

L'amore è la volontà di condividere la propria felicità con tutti. Essere felici e rendere
felici. Questo è il ritmo dell'amore. (Nisargadatta Maharaj)
Secondo Platone, ognuno di noi non è un uomo, ma il simbolo (la metà) di un uomo
che è alla ricerca del simbolo corrispondente. Questa ricerca è amore: l'amore è
dunque in noi il sentimento dell'insufficienza radicale del nostro io. Siamo
condannati all'amore! "L'amor che muove il sol e l'altre stelle" chiude Dante …

Karuna, Sympatehia, Compassione, Empatia: capacità di condividere i problemi


altrui visto che la presunta alterità è, forse, una semplificazione.
18
Colui che ama, ama al di là del premio e della rivalsa. (Nietzsche)

Anche il Buddhismo afferma che è giusto amare, nella vita, avendo però sempre
presenti la inconsistenza (anatta) e l'impermanenza (anicca) dei propri amori e della
propria esistenza, evitando cioè ogni forma di attaccamento eccessivo. Amare senza
attaccamento all'oggetto d'amore; vivere senza attaccamento alla vita.

L'amore supera di gran lunga la conoscenza. (Duns Scoto)

L'amore è superiore alla giustizia e alla libertà.

L'amore è altruismo che dona felicità.


Più mi dimentico di me, più amo ciò che sto facendo e più sono libero e felice:
capisco anche che la cosa che ho fatto non l'ho fatta io ma si è fatta da sola.

L'amore, che è il legame dell'unità, è la cosa più naturale, e niente è privo di tale
amore. Senza di esso niente potrebbe esistere. (Cusano)

La buona volontà non basta all’amore, perché l’amore senza la comprensione è


impossibile. Se non capiamo l’altra persona, anche se cerchiamo di offrirle gioia,
può succedere che la rendiamo più infelice in nome del nostro stesso amore.

Il pensiero orientale dice che l'amore per il prossimo è inutile in quanto sia l'io che
ama che l'altro che è amato sono vuoti, sono anatta (senza sé). Poi però leggo
Nisargadatta Maharaj che scrive: "Tu sei l'amore del sé che è in te per il Sé che è nel
Tutto" e poi ancora: "Quando penso di essere niente è saggezza. Quando penso di
essere ogni cosa è amore". Sembrano due posizioni inconciliabili ma non lo sono.
Sono solo parole diverse per dire la stessa cosa: è vero che amare è un'illusione ma
ricordiamo anche che noi siamo fatti di illusione.
Se mi riferissi solo alla vita degli uomini, ti direi che l'amore è il più grande dei beni.
Ma per colui che sta per essere assorbito in Tao, l'amore fa parte del passato e cade
nell'oblio. (Borel)
Amare è l'innocenza eterna, e l'unica innocenza è quella di non pensare. (Pessoa)
L'amore è l'unica verità che riconosco. La verità (se mai esiste) non libera nessuno,
l'amore invece libera.
Nessun peccato, nessun senso di colpa, nessun dualismo, nessun precetto, liberi
di amare serenamente qui ed ora senza bisogno di alcuna ricompensa!
Ogni giorno è la nostra grande occasione per dare piccoli segni d'amore.
Frasi fatte, vuoti concetti. Vi è un solo riferimento valido: un briciolo d'amore.
19
L'amore intellettuale dell'uomo verso Dio è l'amore stesso di Dio per se stesso
essendo l'uomo solo un modo di essere di Dio. (Spinoza)
Prometeo è un dio che soffre a causa della sua filantropia: amore per l'uomo, pietà per
chi è destinato a morire.
Ascolta come mi batte forte il tuo cuore. (Szymborska)
Il mondo è energia in perenne movimento che non si cura dell'uomo: solo
l'amore può dare un senso alla vita umana.
Senza amore non c'è filosofia. Senza amore non c'è nulla di significativo.
L'amore dell'altro ti dice ciò che tu sei. (Feuerbach)
L'amore non ha nulla da dimostrare, l'amore non ha nulla da giustificare, l'amore non
ha nulla da vendere. L'amore è dono di sé e armonia dell'essere.
Per l'amore non c'è mai l'essere stato, è sempre presente!
Vale più la verità o l'amore? Il mistero è troppo grande per essere convertito in verità:
basta l'amore!
Rosenzweig pensa che non la filosofia ma solo l'amore può vincere la morte: Dio e
l'uomo insieme salvano il mondo con l'amore.
L'energia dell'amore, forse, non ha bisogno di soggetti per essere tale.
Io sono solo ciò che ho amato!
L'amore della saggezza deve condurre alla saggezza dell'Amore.
Amare la Vita senza aggrapparsi avidamente ad essa è sintomo di umiltà. Essere
consapevoli che essa (la vita) non ti appartiene.
La produzione del molteplice da parte di Dio è un atto di amore così come il ritorno
del molteplice all'uno si realizza in un atto d'amore dell'uomo.
L'amore più forte è quello capace di mostrare la propria fragilità. Se ammetti la tua
fragilità forse sai capire anche quella degli altri.
Così io affermo che Amore fra gli dei è il più antico, il più degno di onore, quello che
più di tutti può fare che gli uomini acquistino felicità e virtù, e in vita e in morte.
(Platone)
Amore è Essere, tutto è Amore-Essere, che uno ne sia cosciente o no. (Isabella di
Soragna)
Eros è eterno, ma non è un Dio. È un'immensa forza primigenia che nasce nel
momento in cui la luce si separa dalle tenebre.
20 Infatti, stando alla mitologia, Eros è
figlio della notte. Non è un Dio, ma molto di più. Infonde il desiderio negli dei e negli
uomini. La nostra infatti è una specie desiderante. Che cosa desidera? Desidera
desiderare. Eros è il nome che la mitologia dette all'amore. E l'amore è il pilastro che
sorregge la nostra esistenza, alimenta i nostri desideri, scatena il furore delle passioni
e nutre la dolce tenerezza degli affetti. Si tinge - l'amore - di tutti i colori dell'iride.
Eros ama e infonde amore. Narciso è una sua creatura e anche Afrodite e anche
Lucifero lo è perché quasi sempre l'amore desidera il potere (n.d.r. ???) e il potere
esprime una tensione erotica. L'essere ha una curvatura erotica perché l'istinto di
sopravvivere non è altro che amore per sé, amore per gli altri e amore per l'altro. E
dunque il senso. Che cosa è mai il senso? Mi pongo da molti anni questa domanda e
alla fine sono arrivato ad una conclusione: il senso è anch'esso una forma di amore,
uno specchio in cui guardarti, un'anima che ti conforti e che tu conforti, un corpo che
vuoi possedere ed anche l'amore per il comando, il fascino della seduzione, la
malinconia dell'abbandono. E l'addio alla vita. Quello è l'estremo atto d'amore,
quando Eros ti chiude gli occhi e ti abbandona insieme al tuo ultimo respiro.
(Scalfari)
L'amore ignora le differenze. L'amore è il rifiuto di separare, di distinguere.
Invece dove c'è pensiero c'è dualità.

L'amore è la capacità di avvertire il simile nel dissimile. (Adorno)


L'amore è ebbrezza ... è un estatico rapimento che sale dalle profondità...energia
pulsante...alienazione di sé... orgiastico annullamento di sé... gioiosa potenza della
vita... ditirambo dionisiaco! L'ebbrezza è connessa alla perdita dell'individualità,
della forma, dell'io.
L'amore fa bene, risolve tutto. Io lo chiamo "il caldo buono". Avverti di essere
avvolto di un qualcosa di caldo e di morbido che ti fa bene, ti fa stare bene. A me
piace accarezzare questa situazione, accucciarmi in essa e starvi tante e tante ore.
Anche facendo le solite cose del giorno. Le fai con più serenità. E questo sono i
risultati sulla propria persona. Pensa poi alle persone che ti sono intorno. Si sentono
coinvolti, anche se li rimproveri o disapprovi qualche loro comportamento. Ma
soprattutto, se riesci a capire che tu sei negli altri e gli altri sono in te e che la cosa
più importante della vita non è ciò che riuscirai a prendere da essa, ma ciò che
riuscirai a darle.... Allora avrai imparato a vivere.... (Mimma De Maio)
Amare è l'innocenza eterna. Non esiste vera conoscenza senza compassione. L'amore
per la conoscenza e la conoscenza dell'amore. L'amore dice sono tutto mentre la
saggezza dice non sono niente.

21
Trovo molto tristi le persone senza slancio affettivo, che parlano d'amore ma non
danno mai amore con amore, che trattengono quasi sempre i propri sentimenti, gli
abbracci, e i baci... E hanno sempre un cupo retro pensiero e oscure paure....
L’arte suprema è quella di chi sa fare della vita stessa un’arte. La pittura o la musica
sono certamente dilettevoli, ma che sono esse a confronto di un’amicizia
delicatamente cesellata, a un amore gentile e perfetto? La forma sovrana della vita
è la convivialità, e una convivialità di cui ci prendiamo cura come di un’opera d’arte
sarebbe l’apice dell’universo" (Ortega).
Si ama per innatismo e si odia per cultura?
Se sei amore, non puoi amare l'altro perché sei l'altro. (Isabella di Soragna)
"La leggenda del grande inquisitore" da "I fratelli Karamazov" di Dostoevskij.
Vengono contrapposte due prospettive, due morali, due principi: quello della verità (o
giustizia) e quello della misericordia (o amore). Verità e giustizia sono solo vuote
parole senza l'amore.
-ANASSIMANDRO (610 a. C.)***
Principio degli esseri è l'Infinito (Apeiron). (Infatti) da dove viene la vita degli
esseri, là anche si compie, secondo una legge necessaria; poiché tutti debbono
pagare reciprocamente il fio e l'ingiustizia nell'ordine del tempo.
L'infinito è un concetto ostico per la grecità. Pare dunque possibile che
Anassimandro abbia trovato ispirazione nell'antico pensiero dell'Oriente ove
l'infinito indefinito è di casa.
La dove le cose hanno la loro origine, devono perire secondo necessità. Conviene
infatti che esse paghino il fio e siano giudicate per le loro ingiustizie secondo l'ordine
del tempo. (Nietzsche ove manca il "reciprocamente"). Ogni divenire come
emancipazione degna di castigo da parte dell'eterno essere; come un'ingiustizia
che deve espiata con la distruzione. La nascita degli esseri dall'indistinto Apeiron è
una colpa che merita un castigo! Questo è un concetto tipicamente orfico. Chi si
separa dal tutto deve pagare il fio. C'è un'ingiustizia che deve essere pagata con la
distruzione. L'individualizzazione è una colpa grave. La colpa è nascere come
individuo in quanto ciò rappresenta una defezione dall'essere indistinto
primordiale. Questo processo di individualizzazione potrebbe essere interpretato
come il vero peccato originale (inventato da Agostino, cristianamente parlando).
Infiniti mondi finiti che nascono e muoiono nel tempo e nello spazio. Eterno
ritorno della materia e quindi dell'energia. Gli uomini derivano i pesci per
evoluzione. Anassimandro grande pensatore immaginifico ma laico senza
rivelazione mitica e divina ma quasi scienziato moderno: disegna, ad esempio la
22
prima carta della terra con il mediterraneo al centro. Dice anche che la terra è un
cilindro e che il sole le gira intorno.

Ilozoismo (la materia - hile è vivente - zoe) panteistico della scuola di Mileto.
Secondo Rovelli, Anassimandro sostiene: (i) la naturalità delle cause dei fenomeni
meteorologici; (ii) la finitezza del corpo celeste chiamato Terra che “galleggia” nello
spazio, senza tendere verso alcun luogo; (iii) che il Sole e la Luna ruotano intorno
alla Terra, compiendo cerchi completi; (iv) che l’origine delle cose, l’identità nella
molteplicità, non è un elemento della natura, ma l’ápeiron, l’infinito, il non-
determinato; (v) che la trasformazione delle cose è determinata dalla necessità; (vi)
che il mondo nasce per separazione dal principio indistinto, così come caldo e freddo
nascono da questa separazione originaria.

L'ápeiron (in greco antico: ἄπειρον, ápeiron, composto da ἀ-, a-, «non», e


πεῖραρ, peirar, «limite» o «fine», forma ionica di πέρας, peras), il cui significato
letterale è «illimitato», «infinito» o «indefinito», rappresenta – secondo
la filosofia di Anassimandro – l'archè (ἀρχή), cioè l'origine e il principio costituente
dell'universo. Essendo opposto al definito e al determinato, esso genera una realtà
infinita, indeterminata, eterna, indistruttibile e in continuo movimento.
Secondo Giovanni Semerano, invece, ápeiron deriverebbe dalla parola
accadica eperu, che vuol dire "polvere, terra", derivante a sua volta dal lemma
biblico 'afar: con questa considerazione il filologo vuole dimostrare come
l'«infinito», a cui fa riferimento Anassimandro, abbia una stretta analogia con il
concetto cristiano-ebraico del ciclo vitale dell'uomo, definito nella Genesi con la
massima "polvere eri e polvere ritornerai". (fare confronti fra Anassimandro e il
cristianesimo pare però del tutto fuori luogo).
Principio ed elemento degli esseri è l'infinito. Li dove gli esseri hanno origine, li
hanno anche dissoluzione secondo necessità; essi pagano infatti, a vicenda, la pena e
il riscatto dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo.
23
«Anassimandro disse che il principio delle cose che sono è l'infinito (apeiron
indeterminato), da cui è la generazione alle cose che sono, e in cui (nell'apeiron)
avviene anche la corruzione (delle cose che sono) in seguito al debito: infatti le cose
che sono pagano le une rispetto alle altre il fio della loro ingiustizia secondo l'ordine
del tempo». (Giorgio Colli)
Ma da ciò da cui per le cose è generazione, sorge anche la dissoluzione verso di esso
secondo il necessario; essi si rendono infatti reciprocamente giustizia e ammenda per
l'ingiustizia secondo l'ordine del tempo. (Heidegger)
Hegel scrive che questo frammento, secondo lui, è di origine orientale. Bella
intuizione, caro Hegel!
L'Apeiron è origine delle cose pur non avendo una sua origine.
Dall'indeterminato Apeiron nascono i molti mondi che in esso poi si dissolvono.
L'Apeiron è divino? Divino orfico indiviso e originario che poi si spezza in parti?

-ANATTA in lingua pali (an-atman in sanscrito) -ATMAN***

Anatta significa che nessuna realtà sensibile o sovrasensibile, fisica o metafisica


può ritenersi autosufficiente e autonoma. Anatta è il contrario di assoluto,
autonomo, isolato e cioè di qualche cosa che esiste di per sé senza relazionarsi con
alcunché. Anatta: se tutto è relazione allora nulla di umano mi è estraneo, anzi
nulla di nulla mi è estraneo e nessun uomo è un'isola.

Se, come viene indicato dalla dottrina dell'anatta, le cose non hanno identità
propria, ne consegue che la vacuità del mondo coincide con la interdipendenza
degli elementi che lo costituiscono. Anzi, a rigore, non si dovrebbe neppure
parlare di elementi ma di relazioni di relazioni sempre cangianti ed aperte ad
una serie indefinita di possibilità come figure geometriche risultanti dalla
combinazione e dal vario intersecarsi di infinite linee. (Pasqualotto)

Atman, in sanscrito, significa sostanzialmente tre "cose". La prima è il Sé Universale


cioè lo Spirito Assoluto che coincide con il Brahman. La seconda è il sé particolare
identificabile con la nostra anima individuale denominato, in tal senso, jivataman.
L'ultimo significato è "sé" come pronome riflessivo. Buddha insegna che a nessuna
delle tre interpretazioni corrisponde qualche cosa di reale. Infatti non vi è nulla che
possa vantare esistenza autonoma, indipendente, separata, incondizionata.
Neppure il Brahaman! Tutto è relazione. Il sé particolare, anzi tutti i sé particolari
acquistano significato in relazione al Sé Universale che, a sua volta, ha significato in
relazione ai molti sé particolari di cui non può fare a meno. Le parti esistono nel
tutto e il tutto esiste nelle parti e nulla esiste in sé e per sé in una perfetta
24
relazionalità universale che vale per tutte le "cose" siano esse anime, coscienze
oppure semplicemente sassi.

In molti passi del canone buddista è ribadito che ogni elemento (dhamma) - e con ciò
si intendono enti materiali, contenuti psichici ed anche puri eventi - è privo di un sé,
di una sostanza o essenza propria, fissa e assoluta. In particolare ciò è detto in
estrema sintesi nella frase del Dhammapada "Sabbe dhamma anatta" cuore della
famosa teoria dell'anatta (not self, non sé) che coinvolge in primo luogo la qualità
del presunto nucleo immortale della personalità definito anima in occidente e atman
in sanscrito.

La teoria buddista del "non sé" (anatta, an-atman) non è nichilista ma è invece
relazionista. Essa infatti nega solo la pretesa di ogni "sé" (compreso il Sé
Universale, il Brahman) di porsi come Assoluto indipendentemente dalle altre
realtà. Dunque anche l'Assoluto è relazione.

Tutto ciò che esiste è privo di sé! Tutti i sé sono relazione. Tutte le realtà sono prive
di sé. Tutto ciò che esiste non è un'isola. Tutto ciò che esiste è relazionale.
L'identità è intrinsecamente relazionale.
Il Buddha rispose alla questiona del "sé" in modo analogo a quello con cui rispose
alle altre questioni metafisiche che riguardano il problema della infinità o finitezza
del mondo, o quello della permanenza o impermanenza dopo la morte: su tali
argomenti non si può sostenere alcuna tesi certa sia perché non c’è possibilità di
isolare, ossia di rendere assoluta nessuna tesi. In generale, a proposito dell’atman,
si può dire che il buddhismo delle origini sia giunto alla consapevolezza che non
se ne può verificare e, quindi, sostenere né l’esistenza né la non esistenza: è
dunque un problema indecidibile, e coloro che vogliono a tutti i costi una delle
due tesi finiscono per essere dogmatici.
Ogni realtà (compreso l'io) è priva di sé (anatta): ogni realtà è relativa ad altra realtà.
Ogni identità è costituita da alterità e non esiste identità autonoma.
Le difficoltà - a dire il vero non solo occidentali - di comprendere il concetto di
anatta proposto dagli insegnamenti del Buddha, si condensano soprattutto nel fatto
che esso implica un ripensamento radicale di quella nozione di identità personale
che appare tanto evidente da essere accettata come vera: il concetto di anatta infatti
conduce a intendere ogni ente - compreso quindi l'essere umano - non più come unità
indivisibile ma come molteplicità complessa che condiziona ed è condizionata.

Riprendendo e spiegando la psicologia buddista, Pasqualotto illustra le cause della


cosiddetta “atra bile“: essa dipenderebbe dall’errata convinzione che esista un “io”
(mentre per il buddismo ogni realtà è anatta, cioè priva di consistenza autonoma,
25
poiché “dipende talmente da altri che non è nulla per sé o in sé”) e dalla fallace
illusione di una consistenza assoluta di ciò che viviamo temporalmente. Per
Pasqualotto, la pratica-teoria buddista aiuterebbe a superare qualsiasi forma di
malinconia (aggressiva come masochista), eliminando l’attaccamento all’esigenza di
riconoscimento che abbiamo verso gli altri per approdare all’abbaya, la “non paura”,
tramite la serena accettazione della transitorietà e dell’inconsistenza.

Ognuna delle cose che pensiamo ci stia di fronte o intorno, esiste solo in modo
provvisorio e mutevole grazie sia al concentrarsi di un campo energetico e sia
alla presenza di un osservatore. Nessuna cosa-evento ha esistenza di perenne
immobilità e nessuna cosa-evento è in modo assoluto. Ciò anche perché ogni cosa-
evento è priva di sé autonomo e assoluto!

-ANEDDOTI ZEN***
Un giovane monaco incontrò un vecchio monaco che era assorto nei suoi pensieri.
Gli chiese: "Stai meditando?". Il vecchi rispose: "No, sto pregando". Il giovane chiese
ancora "Cosa stai chiedendo?". "Non sto chiedendo nulla" rispose il vecchio. "Strano"
commentò il giovane che poi aggiunse: "Chi stai pregando?". "Nessuno sto pregando"
ribatte il vecchio. "Ancora più strano" ammise stupito il giovane. Il vecchio capì il
suo stupore e rincarò dicendo: "C'è qualcosa di ancora più strano in questa faccenda.
Infatti qui nessuno sta pregando e questo nessuno non è diverso dal nessuno a cui
sono rivolte le preghiere". Per il giovane fu satori pieno!
Un filosofo contemporaneo si recò da un maestro zen e gli disse: "Sono venuto a
informarmi sullo Zen, su quali siano i suoi principi ed i suoi scopi". "Posso offrirti
una tazza di tè?" gli domandò il maestro. E incominciò a versare il tè da una teiera.
Quando la tazza fu colma, il maestro continuò a versare il liquido, che traboccò. "Ma
cosa fai?" sbottò il filosofo. "Non vedi che la tazza è piena?" "Come questa tazza"
disse il maestro "anche la tua mente è troppo piena di opinioni e di congetture perché
le si possa versare dentro qualcos'altro. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non
vuoti la tua tazza?".
Una ragazza rimane in cinta. I genitori chiedono conto dell'accaduto. Lei si giustifica:
"E' stato il monaco zen". I genitori della ragazza portano il nato al presunto padre
dicendo: "Nostra figlia dice che è tuo figlio. Tienitelo!" Il monaco risponde "Va
bene". Dopo un po’ di tempo la ragazza ritratta: "Non è figlio del monaco". I genitore
vanno a riprendersi il bimbo. E il monaco sorride al bimbo e a tutti.
"Maestro zen, ti prego parlami della verità..." "Non la conosco!" "Ma allora che
maestro sei?" "Sono il maestro che insegna la non verità!"

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"Maestro, cosa deve fare uno quando non ha più nulla?" "Deve buttarlo via..." "Ma
se non ha più nulla...come può buttarlo via?" "Se non riesce a buttarlo via... trattienilo
... ancor per un po'..."
Un tale andò da Hakuin e gli chiese: "Dove si va dopo la morte?" Hakuin rispose: "E
che ne so io?" L'altro replicò: "Ma come, non sei un maestro zen?" E Hakuin: "Sì, ma
non sono ancora morto!"
Nessun monaco zen sapeva descrivere il nulla. Poi un monaco si alzò, sorrise sereno
e se ne andò.
Kyōzan Ejaku chiese a Sanshō Enen: “Come ti chiami?”. Sanshō rispose: Ejaku”.
Kyōzan disse allora: “Ma Ejaku sono io!”. E Sanshō: “Bene, allora il mio nome è
Enen”. Kyōzan scoppiò allora in una grossa risata.

In sogno il maestro zen mi ha detto: "Chiedi ciò che vuoi, ti risponderò". "Dimmi
cos'è lo zen, se puoi" ho chiesto io. "Non lo so!" ha risposto lui ridendo a crepapelle.
L'imperatore Wu Liang chiese al grande maestro Bodhidharma: "Qual è il significato
supremo delle sante verità?". Bodhidharma disse: "Vuote e senza santità".
L'imperatore disse: "Chi mi sta di fronte rispondendomi così?". Bodhidharma
risposte: "Non lo so".
Tre monaci stavano meditando quando arrivò il temporale. Dopo un'ora uno disse:
"che lampi!". Dopo una seconda ora un altro disse: "che tuoni!". Il terzo allora
esclamò: "non si può fare tanto baccano mentre si medita".
La monaca Chiyono studiò per anni, ma non fu capace di trovare l’Illuminazione.
Una notte stava portando un vecchio secchio pieno d’acqua. Mentre camminava
solitaria guardava la luna piena riflessa nell’acqua del secchio. Improvvisamente, la
canna di bambù che sorreggeva il secchio, si ruppe e il secchio cadde a terra. L’acqua
fuggì via e il riflesso della luna scomparve.... e Chiyono diventò Illuminata. E scrisse
questi versi: “In un modo e nell’altro ho cercato di sorreggere il secchio sperando che
il debole bambù non si sarebbe mai spezzato. Improvvisamente il sostegno si è rotto.
Non più acqua, non più luna nell’acqua, il vuoto nelle mie mani”.
L'allievo chiese al maestro "Mi permetto di interrogarti sulla morte". Il maestro
rispose "Se non hai ancora capito cosa è la vita, come puoi capire cosa è la morte?"
Stamattina, mentre correvo sulla scogliera, ho notato una farfalla bianca che mi
seguiva. Incuriosito le ho chiesto "Chi sei?" "Sono la tua anima, non vedi come sono
pura e leggera?" "Io non ho un'anima, anzi io non esisto neppure!" "Neppure io
esisto" dice la farfalla-anima "eppure ci stiamo parlando!"

27
Due monaci arrivano a un fiume. Vi trovano una bella ragazza che chiede loro aiuto
per potere attraversare. Il più giovane prende in braccio la ragazza ed entra nell'acqua.
La ragazza lo abbraccia. Arrivati all'altra sponda, la ragazza bacia il monaco e se va
felice. I due monaci riprendono il cammino. Dopo un po', il monaco anziano dice al
giovane: "Mi è parso riprovevole il tuo attaccamento alla carne.". Il giovane risponde:
"Sono state dolci emozioni, ora però la mia mente è qui, libera... mentre la tua è
ancora prigioniera presso la ragazza...". I due riprendono il cammino in silenzio, ma
entrambi sereni!
Stavo camminando da solo, lei mi raggiunse e mi chiese: " dove vai?"... "non lo so"
risposi.... "bene stiamo facendo la stessa strada, camminiamo insieme" ... e, da allora,
non fummo più due...
Corro nel parco. In lontananza vedo uno strano personaggio, tunica bianca e lunghi
capelli bianchi che sbucano da un turbante. Costui, seduto a un tavolo, traffica con il
suo computer. Mentre mi avvicino lo guardo incuriosito. Lui guarda me e mi sorride.
Ricambio il sorriso e passo oltre. Al ritorno noto che, il santone indiano (penso io), è
ancora allo stesso posto. Sorrido felice...Giunto vicino lui si alza e mi viene incontro.
Mi chiede "Is your mind so strong as your legs?" "They are not two!" mi viene
spontaneo. Lui allora "Om, tat, sat" "Amen" dico io..."Santi (pace)" fa lui e io chiudo
con uno strano "Salam aleik" uscito da solo. Ci inchiniamo reciprocamente poi
ognuno per la sua strada...almeno i due corpi! Le anime invece se la ridono insieme
dopo questo strano dialogo ....
Una volta, un imperatore sognò di aver perso tutti i denti. Si svegliò spaventato e fece
chiamare un saggio in grado di interpretare il suo sogno. - Signore, che disgrazia! –
esclamò il saggio. Ciascuno dei denti caduti rappresenta la perdita di un famigliare
caro a Vostra Maestà . - Ma che insolente! – gridò l'imperatore. Come si permette di
dire tale fesseria? Chiamò le guardie ordinando loro di frustarlo. Chiese in seguito
che cercassero un'altro saggio. L'altro saggio arrivò e disse: - Signore, vi attende una
grande felicità! Il sogno rivela che lei vivrà più a lungo di tutti i suoi parenti. Il volto
dell'imperatore si illuminò. Chiese che venissero consegnate cento monete d'oro a
quel saggio. Quando costui lasciò il palazzo, un suddito domandò: - Com'è possibile?
L'interpretazione data da lei fu la stessa del suo collega. Tuttavia lui prese delle
frustate mentre lei ebbe delle monete d'oro!! - Mio amico – rispose il saggio. Tutto
dipende dalla prospettiva …
«Mentre il fondatore [Bodhidharma] era seduto in meditazione davanti al muro. Il suo
successore [Huike] era in piedi nella neve. Si tagliò un braccio e disse: "La mia mente
non è pacificata. Per favore pacifica la mia mente". Il fondatore disse: "Portami la tua
mente e io la pacificherò". Il successore disse: "Ho cercato la mia mente e non l'ho
trovata". Il fondatore disse: "Ho pacificato la tua mente».
28
-ARISTOTELE***
Negava la creazione e, probabilmente, anche la vita eterna individuale. Ma
ugualmente fu ispiratore di un certo cristianesimo medioevale (vero Tommaso?).
Forse perché chiamava la filosofia, in quanto scienza contemplativa, teologia?
Secondo la classica distinzione aristotelica, il corpo è il principio materiale di un
individuo e l'anima il suo principio formale.

Nega il vuoto e afferma che esiste un solo mondo finito. Invece esistono tantissimi
mondi finiti quasi a comporre un universo infinito e, in quanto al vuoto, Aristotele
aveva veramente torto: la materia è essenzialmente composta dal vuoto. L'unica
ragione per cui il nostro corpo e la sedia su cui siamo seduti ci sembrano cosi solidi
ed impermeabili, è perché tali quantità infinitesimali di materia sono tenute insieme
da forze che agiscono come invisibili ma come colle potentissime!

Vi ricordate l'horror vaqui medioevale ma di origine aristotelica secondo il cui


principio la natura disdegnerebbe il vuoto anzi, in natura, non esisterebbe il vuoto?
Ebbene tale orrore, oltre ad aver fatto notevoli danni psicologici all'uomo, sarebbe
anche del tutto infondato visto che l'intero universo sarebbe nato semplicemente da
una fluttuazione del vuoto e al vuoto ritornerebbe alla fine della sua storia. Il vuoto
sarebbe dunque pieno di potenzialità al contrario di quanto credevano Parmenide,
Aristotele, Cartesio e tanti altri. Il vuoto come condizione di possibilità di tutte le
cose eventi secondo il taoismo.

«Esiste negli esseri un principio rispetto al quale è necessario che si sia sempre nel
vero: è questo il principio che afferma che non è possibile che la medesima cosa
in un unico e medesimo tempo sia e non sia»: così, nella Metafisica di Aristotele,
viene presentato il Principio di Non Contraddizione, destinato a diventare la legge più
autorevole nella storia dell’intero pensiero occidentale. Oggi, tuttavia, diversi filosofi
sostengono che questa legge non ha validità universale, che vi sono situazioni in cui
una stessa cosa può insieme essere e non essere, e questo presunto assurdo si
realizza nel nostro mondo. Soprattutto nella fisica quantistica!!!

La filosofia nasce dallo stupore di fronte alla vita e dalla paura del mistero della
morte. Chi vive? Chi muore?

Per Aristotele l'Assoluto è totalmente impersonale.

È «giustificato – scrive Aristotele nella Fisica – che tutti considerino l’infinito come


principio: non è infatti appropriato né che esso esista invano, né che a esso
appartenga un’altra possibilità se non come principio. Ogni cosa, infatti, o è principio
o deriva da un principio; ma dell’infinito non c’è principio, poiché in tal caso esso
avrebbe un limite. E inoltre esso è ingenerato e incorruttibile, proprio come se fosse
29
un principio […]. E tale sembra essere il divino: difatti è senza morte e senza
distruzione, come asseriscono appunto Anassimandro e la maggior parte degli
indagatori sulla natura». (Rovelli)

Aristotele: la metafisica (termine non suo) è lo studio delle cause prime e supreme
(ma ci sono queste cause?) che sono la forma, la materia, l'origine e il fine. Per
esempio l'uomo è fatto di carne e ossa, ha un'anima che è la sua forma-essenza, è
stato generato ai genitori e tende alla conoscenza. Ma la metafisica è anche lo studio
dell'essere in quanto essere. A differenza degli eleati (univocità dell'essere) Aristotele
parla della molteplicità dell'essere (le categorie dell'essere) in riferimento però a un
unico principio: la sostanza o essenza (l'ousìa: forma, materia e sinolo). Seguono poi
l'accidente (il casuale), la qualità e la quantità, il dove e il quando, l'agire e il patire,
avere o giacere, la relazione. L'essere quindi può essere categoriale ma anche vero o
falso (logica), in potenza o in atto (divenire). Per Aristotele Dio (?) è pensiero di
pensiero che ama solo se stesso. E poi il mondo esiste non per un disegno
dell'Assoluto ma per il fatale anelito di tutte le cose alla perfezione, all'entelechia.
Per Aristotele l'anima è la forma del corpo (e non è quindi separabile da esso cioè non
pare essere immortale se non per quanto attiene forse l'intelletto attivo che viene però
dal di fuori) e non qualche cosa di distinto da esso come invece affermava Plato
che riteneva dualisticamente il corpo la prigione dell'anima.
Il tutto però sempre in presenza degli schiavi accettati come inferiori per natura
(occorre che molti uomini vivano una vita subumana affinché pochi altri ne possano
vivere una piena e perfetta). Ancora oggi non sembra essere cambiato molto.
Il sillogismo (invenzione di Aristotele) è un processo deduttivo basato, come
sempre, sull'induzione (intuizione) che, come ben sappiamo, è inaffidabile perché
dal particolare non si può mai ricavare l'universale certo e vero ma, solo più o
meno probabile.
Alla fine dice Aristotele che tutti fanno filosofia sia colore che la seguono e sia coloro
che la negano (infatti, per negarla, fanno filosofia).
Aristotele nega la creazione sostenendo l'eternità del mondo, nega anche la
provvidenza divina dicendo che Dio pensa solo a se medesimo. Probabilmente
nega anche l'immortalità dell'anima umana. Quindi non si comprende bene come egli
possa essere stato l'ispiratore di Tommaso e della scolastica. Poi Duns Scoto,
Ockham e Sigieri di Brabante (teoria della doppia verità che dice che una cosa può
essere più probabile secondo la ragione o secondo Aristotele per quanto l'opposto
debba essere accettato come vero sulla base della Fede) contestarono il Tommaso
aristotelico.
30
Dottrina aristotelica dell'universo ottimistica e teleologica: l'universo e, tutto ciò che
sta in esso, evolvono continuamente verso qualche cosa che è migliore di quel che
è avvenuto prima. Ciò non pare confermato né dall'entropia fisica e neppure dalla
continua presenza di guerre fra gli uomini.
Divide le virtù platoniche in due gruppi: etiche (coraggio, temperanza e giustizia) che
imparano con la pratica e dianoetiche (sapienza che viene divisa in sophia e
phronesis: la prima teorica e la seconda pratica) che si imparano dall'insegnamento.
Ricordiamo la catena della sapienza: Socrate - Platone - Aristotele - Alessandro!
La cattiva reputazione di cui soffre la fisica di Aristotele è in parte colpa dello stesso
Galileo, che nei suoi scritti attacca la teoria aristotelica a testa bassa, e fa apparire
sciocchi i suoi seguaci. Ne aveva bisogno a fini polemici. In parte è dovuto alla
separazione che si è scioccamente allargata fra le culture scientifica e umanistico-
filosofica. (Rovelli)
-ASSOLUTO***
L'Assoluto, l'incondizionato, per essere tale deve ricomprendere ogni cosa al suo
interno: altrimenti non sarebbe assoluto in quanto verrebbe condizionato
proprio da ciò che esso esclude! In conclusione, la nozione stessa di Assoluto è
contradditoria. Infatti, se c'è qualche cosa di esterno ad esso, l'Assoluto non è
più tale e, se invece non vi è nulla di esterno ad esso chi lo chiamerà Assoluto? Si
auto proclamerà Assoluto da solo? Dunque non vi può essere un Assoluto in sé e
per sé ma solo in relazione a un relativo che lo esige: alla fine anche l'Assoluto è
relazione!

Nagarjuna interpretato da Roveli affermerebbe l'assenza di ogni Assoluto e,


proprio per questo, la vita avrebbe senso.

Si tenga presente che non sorgere e non estinguersi significa l'aspetto assoluto
mentre il sorgere e l'estinguersi indica l'aspetto della pluralità fenomenica.

Dell'assoluto non si ossono dare ragioni, al massimo si possono dare ragioni che
non ci sono ragioni. (Kierkegaard)
Lo scorrere ciclico dell'esistenza è il samsara mentre ciò che è immobile si chiama
nirvana.

Brahman è un pensiero enigmatico che consiste nel porre una relazione, una
connessione fra il sé e l'assoluto, fra il microcosmo e il macrocosmo. Il
Brahaman è energia che, attraverso la parola articolata in enigma, lascia
intendere l'inesprimibile.
31
Procedendo nella via della Conoscenza aumenterà la provocazione fatta alla
nostra mente e capiremo che non c'è un Assoluto e che non c'è una mente
universale, né tanto meno una mente protagonista di qualcosa. Non c'è niente di
tutto questo: c’è soltanto la possibilità di togliere le attribuzioni date all'Assoluto,
che rappresentano tutte le qualità che in continuazione create e ricreate per dargli
una veste comprensibile. Perché, né il concetto stesso di "Assoluto" e nemmeno quel
termine linguistico sono in grado di esprimere ciò che sta oltre ogni comprensione
umana.

L'assoluto è, per Nagarjuna, il ricettacolo principale della contraddizione, la


proiezione eccellente dell'io e della sua sete di permanenza.

L'assoluto (tathata) non si pone in assoluta opposizione al mondo, ma, oltre al suo
aspetto sostanziale, definito immutabile, ha anche un aspetto funzionale che è in
accordo con la pluralità condizionata.

La teoria buddista del "non sé" (anatta, an-atman) non è nichilista ma è invece
relazionista. Essa infatti nega solo la pretesa di ogni "sé" (compreso il Sé
Universale, il Brahman) di porsi come Assoluto indipendentemente dalle altre
realtà. Dunque anche l'Assoluto è relazione.

L'Assoluto va forse inteso come una modalità relazionale ove tutto si


compenetra con tutto. Flussi di forze che evidenziano la dinamicità della
capacità relazionale. Le singole cose non hanno una vera natura propria ma
consistono della loro mutua interdipendenza. Non stiamo parlando della somma
di parti singole ma di una unità inscindibile data l'assolutezza dell'intero.
L'Assoluto non è altro dal finito, dal relativo ma non è neppure identico al finito.
L'Assoluto è diverso dal finito ma non è diviso dal finito.

La terra (l'Atman/Brahman) è miele per tutte le creature e tutte le creature sono miele
per la terra.

L'Assoluto personificato nella dimensione spazio - temporale caratteristica della


conoscenza religiosa occidentale appare come adulterato nella mediatezza della
propria rappresentazione derivante da mere determinazioni del pensiero umano.

L'Assoluto
Voi non siete il vostro corpo o la vostra mente
Voi siete l'Assoluto
Voi siete già assolutamente liberi
Non vi dovete trasformare in nulla di diverso
32
Lasciatevi fluire
Colui che cerca deve sparire
Voi siete quello che cercate
 
Cos'è?
Cos'è permanente nel transitorio?
Cos'è reale nell'irreale?
Cos'è invariante nel prospettico?

Ritornare all'Uno e al Tao, dunque, non significa andare in cerca né del luogo lontano
né del tempo remoto in cui essi sarebbero sepolti, ma significa essere consapevoli che
gli spazi circoscritti in cui si sta e i momenti limitati in cui si vive, sono
rispettivamente, infiniti ed eterni perché in costante collegamento con l'infinito ed
eterno Uno, con l'infinito ed eterno Tao.

L'assoluto ha quattro livelli. Almeno secondo quanto scrive Pasqualotto.


Considerando Plotino, i quattro livelli sono: En, Nous, Psyché, Physis. I quattro
livelli sono fra loro in relazione e il processo che permette di passare da un livello
all'altro è l'emanazione e non la creazione. Da rimarcare che i quattro livelli, secondo
Pasqualotto, si possono trovare anche nell'Induismo, nel Buddismo, nel Taoismo,
nella Kabbala e in alcuni mistici islamici (Ibn Arabi).
En è l'assoluto indeterminato, quindi è impossibile rappresentarlo in concetti,
parole e idee perché si pone oltre ogni capacità di rappresentazione umana.
Questo assoluto manca anche di autocoscienza e di qualsiasi dualismo.
Nous è l'assoluto determinato. Si manifesta a se stesso essendo autocosciente. Si
erge a kosmotheoros nel suo insito dualismo.
Psyché è l'assoluto delle forme ideali. Si manifesta come serie infinita di oggetti
mentali: concetti, idee, pensieri.
Physis è l'assoluto che si manifesta nelle forme materiali.

La vera devozione non è solo un appagamento sentimentale, un sentirsi protetti o


amati attraverso pratiche e rituali, ma è un tuffo nel profondo, ossia si tratta di
sparire totalmente nell’Inconoscibile Assoluto. Questo che cosa significa in
pratica? Saperlo soltanto o immaginarsi di farlo è come guardare un film che ci
riguarda marginalmente e che presto dimentichiamo. (Isabella di Soragna).

La fisica quantistica relazionale afferma (così almeno dice Rovelli) che non esiste
alcun assoluto indipendente dall'osservatore. Infatti ogni realtà dipende
dall'osservatore nel senso che fra osservatore e osservato esiste un stretta
relazione.

Esiste o non esiste l'Assoluto? Questa è una delle tre questioni indecidibili del
Buddha.
33
Ogni singolo fenomeno nell’universo È l’Assoluto.

Non solo non vi è alcun soggetto autonomo, ontologicamente solido e stabile; non vi
è nemmeno alcun “assoluto”: dal momento che ogni elemento del reale è un
aggregato di cause impermanenti e interdipendenti, nulla è davvero ab-solutus,
sciolto e libero da condizionamenti, ma ogni elemento appare e si dissolve in una
rete infinita e ininterrotta di relazioni.

L'uomo non ha accesso ad alcun tipo di assoluto. (Nietzsche)

Il Vedanta mira a ridurre le pretese e le presunzioni di autonomia degli enti


particolari potenziando al massimo le qualificazioni dell'Assoluto, mentre il
Buddhismo mira al medesimo scopo depotenziando al massimo l'idea stessa di
ente particolare autonomo. Tuttavia il Buddhismo, in questa prospettiva comune,
sembra andare più in là, verso un punto di fuga estremo: esso infatti attiva il
depotenziamento anche nei confronti del Sé Assoluto, mostrando che su di Esso non
può esser presa alcuna "posizione" , né in senso positivo, né in senso negativo, pena il
suo scadere a entità relativa. Perfino la posizione che lo assumesse come sunyata,
come Vacuità assoluta, non farebbe che ipostatizzarlo (individuandolo come una
realtà esistente), rendendolo oggetto di attaccamento e, quindi, fonte indiretta di
sofferenza.

Se si deve ammettere un Assoluto, questo non esiste come una realtà in sé e per sé,
ma dipende dalle esigenze empiriche degli esseri umani che cercano di salvarsi
dalle pene imposte dal fatto di essere nati, di vivere e di dover morire. Non vi può
essere un Assoluto vero e proprio, un Assoluto in sé e per sé, ma solo in rapporto
a un relativo che lo esige: essendoci quello, vi è anche questo. Intrinseca
contraddittorietà dell'Assoluto!

Ogni Assoluto, così come ogni sua determinazione, è vuoto di auto consistenza e
di eternità. Ogni assoluto è quindi anatta e aniccia! E' pure indecidibile se esista
o non esista un Assoluto. Anche per l'Assoluto vale dunque la frase "Sabbe
dhamma anatta" (tutte le realtà sono senza un vero sé ma sono invece pura
relazione).

Gli argomenti con contenuti infiniti non potranno mai essere risolti da menti
finite.

Quando guardi una cosa, vedi l'Assoluto ma ti figuri che sia ciò che appare
secondo il suo aspetto immediato: una nuvola, un albero, un fiore. Smetti di
assegnare nomi e forme a ciò che non ha forma e nome. (Nisargadatta Maharaj)

34
Crediamo di essere ciò che non siamo: persone che nascono e muoiono. Non
crediamo di essere ciò che siamo: l'Assoluto che non nasce e non muore.
(Nisargadatta Maharaj)

Tu sei l'Infinito concentrato in un corpo e in una mente. Per ora vedi solo il
corpo con la mente. Se insisti arriverai a percepire l'Infinito. (Nisargadatta
Maharaj)

Quando si parla non si dovrebbero utilizzare gli assoluti del tipo: sempre (tu sei
sempre stato cattivo) o mai (tu non mi hai mai amato), oppure tutto- nulla (io ti ha
dato tutto e tu non mai dato nulla) perché NON SI DEVE ANTROPOMORFIZZARE
L'ASSOLUTO! L'assoluto è scevro da ogni apposizione. L'assoluto è senza
attributi. L'Assoluto è ineffabile. L'Assoluto è al di là di ogni definizione e di ogni
possibile predicabilità. NON SI PUO' CHE TACERE! Non ha senso parlare
dell'Assoluto e non serve aggiungere niente, niente e poi niente. Insediatevi in quel
niente e rimanete lì tranquillamente! L'Assoluto non è in alcun modo
testimoniabile né dai sensi, né dalle parole e neppure dai concetti. Nell'Assoluto,
forse, non c'è niente di tutto quello che noi pensiamo, ma proprio niente: non c'è
bontà e nemmeno cattiveria e non c'è eternità. Ogni parola usata per definire
l'indefinibile è una parola sprecata.

La violenza è propria di ogni Assoluto. (Giorello) Forse, però, non è l'Assoluto che
esercita violenza ma è la mente umana che esercita violenza in nome del presunto
Assoluto.

Nell'Assoluto non c'è niente di tutto quello che voi pensate, ma proprio niente: non
c'è bontà e nemmeno cattiveria e non c'è neppure eternità. Nell'Assoluto non c'è
assolutamente niente e poi niente. L'Assoluto è soltanto vuoto assoluto. Ma dire che
è vuoto non significa quello che voi pensate, cioè non significa definirlo come
mancanza, ma significa definirlo come impossibile da definire: ineffabile!

Quando si spostano gli occhi dal relativo per posarli su una realtà che è assimilabile
all'Assoluto, si può soltanto constatare che niente diviene: tutto è!

Sia l'Assoluto che l'Io sono, alla fine, anatta e sunya! Ecco perché è possibile il
ricongiungimento fra i due enti che, alla fine, non sono due e non sono neppure
enti.

Mostrando che l'Assoluto è la risposta al bisogno di sfuggire al relativo, si finisce


per ammettere che esso dipende dal relativo e quindi non è più Assoluto.

35
Tutto ciò che l'uomo può pensare, è, per il fatto stesso che è pensato, condizionato e
contingente. Quindi anche ciò che è pensato come principio supremo, come
Assoluto, per il solo fatto di essere pensato, non può essere considerato assoluto.

L'Assoluto non va restrittivamente inteso come contrario rispetto alle realtà relative,
ma come ciò che consente a ogni realtà relativa di manifestarsi. L'Assoluto quale
condizione di possibilità del relativo.

Assoluto occidentale:
Apeiron di Anassimandro: infinito, indefinito, ineffabile.
Einai di Parmenide: l'Essere ingenerato ed eterno (il non essere non esiste), unico
(secondo la ragione) e continuo anche se percepito come molteplice (con i sensi),
immobile perché non diviene, simile a una sfera e quindi limitato.
Anypotheton (l'Incondizionato che fa il paio con l'invariante della fisica
quantistica) di Platone: Eikasia (immaginazione) e Pistis (credenza) nel campo
dell'opinione e Dianoia (ragione) e Noesis (intuizione intellettuale) nel campo della
conoscenza.
En epekeina ontos (l'Uno oltre l'ente esistente) di Plotino: ciò che è totalmente
ineffabile non può essere indicato nemmeno come UNO-BENE.
Theos (Dio) di Dionigi Aeropagita: secondo il vangelo è convertito da Paolo ad
Atene ma probabilmente si tratta di un autore neoplatonico ignoto forse del V o VI
secolo (influenzato da Proclo: Dionigi è detto il Proclo Cristiano) che parlò di
teologia negativa e di apofatismo (apofacità dell'essenza divina che sfugge a ogni
definizione).
Gottheit (Divinità) di Eckhart (contemporaneo di Dante): i fedeli devono "pregare
Dio" affinché li liberi da "dio", dove il primo è il "Dio è totale ed indefinibile, puro
ed assoluto, e il secondo è invece un mero essere superiore, un "sovra-essere", un
essere dalle funzioni totemiche, potremmo dire, sopravvissuto nell'immaginario
collettivo, ispirato dalla religiosità naturale. In definitiva, mentre il secondo è l'idea a
cui l'uomo ricorre per "chiedere", per cercare la consolazione quotidiana, quasi una
"superstizione", il primo è, appunto, "Colui che è", tanto indefinibile e totale che in
Lui, con Lui e per Lui non vi è altro che Esso.
Dio sive natura di Spinoza:  la sostanza unica, infinita ed eterna di cui parla Spinoza
non é altro che Dio stesso. La dimostrazione dell' esistenza di Dio coincide con quella
della sostanza. Egli infatti non é altro che la realtà stessa considerata nella sua
totalità, con tutte le sue infinite espressioni e manifestazioni. Gli attributi e i modi
della sostanza sono gli attributi e i modi di Dio. Le cose particolari sono solo
affezioni degli attributi di Dio, ossia modi mediante i quali gli attributi di Dio sono
espressi in maniera certa e determinata. Dio é la causa necessaria e necessitante di
tutte le cose. Non esiste nulla di contingente.

L'essenza del Dharma sta nella sua infinitezza che è sia spaziale che temporale, oltre
che linguistica e logica: proprio perché non se ne possono stabilire i confini sia nello
36
spazio che nel tempo, esso risulta inafferrabile da qualsiasi concetto o sistema di
concetti, e risulta quindi anche inesprimibile da qualsiasi parola e da qualsiasi
discorso. Ciò non significa, tuttavia, che di esso non si possa dire e sapere nulla o,
addirittura, che esso non esista. Anzi, esso si pone come condizione di possibilità di
ogni ente, di ogni dire e di ogni comprendere. L'importante è restare sempre
consapevoli che anche questa denominazione «condizione di possibilità» è,
inevitabilmente, inadeguata, non esaurisce cioè in maniera perfetta il significato e la
potenza dell'Assoluto, ma ne è soltanto una denominazione parziale, relativa e
provvisoria. In tale prospettiva il termine "vacuità" (Sunyata) può essere assunto
come quello che meglio rappresenta la funzione infinitamente "positiva " del
Dharma: contrariamente a quanto pensa il senso comune, "vacuità" non va intesa
come sinonimo di "nulla", ma come condizione di massima apertura che
consente il darsi e il dispiegarsi di ogni determinazione, di ogni "chiusura"
particolare. Il senso della "vacuità " può venire colto ricorrendo a varie metafore: essa
può essere paragonata allo spazio infinito che accoglie ogni dimensione e ogni figura;
oppure al tempo immenso da cui nasce ogni temporalità misurabile; o al silenzio che
è all'origine e alla fine di ogni suono e di ogni parola, oltre che tra suoni e parole; o
anche all'energia inesauribile che si manifesta nelle singole forze; o, ancora,
all'orizzonte logico che garantisce la formazione di ogni idea, di ogni concetto e di
ogni ragionamento. In breve il Dharma, in quanto Assoluto, proprio perché non
contenibile in alcuna forma, è l'origine sempre attiva di ogni forma relativa. È
quasi pleonastico osservare che, da questo punto di vista, gli stessi Dei delle diverse
religioni e perfino il Dio unico di quelle monoteistiche non possono pretendere, in
quanto determinati, di rappresentare compiutamente l'Assoluto, il Divino: essi
appaiono tutti come volti particolari di un'essenza "sovra essenziale" senza volto;
ovvero come forme particolari di un orizzonte illimitato che contiene ogni limitazione
possibile e, quindi, anche ogni formula prodotta dalle teologie catafatiche (positive).

L'assoluto è senza attributi. L'assoluto non è consapevole della sua esistenza e tu


ne sei dell'assoluto. (Nisargadatta Maharaj)
L'intelletto che comprende l'assoluto è semplicemente l'assoluto che riconosce se
stesso. (Vignoli)
Cos’eri otto giorni o mille anni prima di essere concepito? Ecco quello che siamo,
rimani lì. Lì c’è l’Assoluto, dove TU NON SAI. (Nisargadatta Maharaj)
Conosce la beatitudine dell'infinito, nondimeno gusta il finito con la pienezza del
godimento di chi non ha mai conosciuto nulla di più elevato.
Se, in mezzo alle forme delle cose, qualcuno può comprendere che esse sono solo
giochi di luce e di mente, egli percepisce l'assoluto....
L'assoluto può essere da noi pensato in molti modi. Secondo il taoismo il Tao (che è
sicuramente un assoluto) fa tutto senza fare
37 nulla: lascia solo che l'erba cresca e la
pioggia cada. Al lato opposto troviamo il pensiero di alcuni mistici islamici
medioevali secondo i quali Allah ricrea, in ogni momento, il mondo completo di ogni
cosa - evento comprese tutte le foglie degli alberi. Queste sono favole bellissime, ma
favole. Le favole sull'assoluto sono impareggiabili! Infatti le favole sull'io e sul
mondo sono molto meno interessanti.
Il relativo si scopre con l'intelligenza. L'assoluto si percepisce con l'intuito.
Dell'apeiron non si può dire nulla se non per negazione e quindi tacendo.
Il Supremo è al di là di tutte le distinzioni, e il termine "reale" non gli si addice,
perché in esso tutto è reale, e perciò non ha bisogno di essere definito così. È la fonte
stessa della realtà, dà realtà a tutto ciò che tocca. È impossibile capirlo a parole.
Anche una sublime esperienza diretta è solo una testimonianza e niente di più.

Se qualcosa non esiste e nemmeno il nulla esiste, allora …? La risposta è il silenzio


assoluto. La mente non comprenderà mai che cos’è il silenzio, poiché descrivendolo,
lo corrompi.
Senti profondamente che nulla è come appare. Non farti ingannare dalle
apparenze: è un miraggio costante. Non dire neppure che il mondo è illusione,
“maya”, perché anche questo è un concetto. Maya in realtà non esiste, dato che è
un’illusione. Allora tutto ciò che deriva da maya non esiste neppure. Lo stesso dicasi
per la Realtà Ultima, l’Assoluto, il Parabrahman, che diventano un porto rassicurante
per te, ma, purtroppo, sono ancora un modo di credere.
Aseità è un termine della filosofia scolastica, indicante la maniera di essere della
realtà assoluta, che non deriva da altro il principio della sua esistenza, bensì l'ha in sé
stessa: attributo tipico, perciò, della divinità.
L’Assoluto non sa di esistere: non sarebbe «Assoluto». Quindi non è oggettivabile,
concepibile.
OM racchiude in sé i tre tempi e l'aldilà del tempo: dentro e oltre il tempo.
Simile all'Uno di Plotino e al Dio di Spinoza anche il Brahman (di cui l'Atman è il
principio spirituale), l'Assoluto (non il Dio nominabile!!!) è infinito nel tempo e nello
spazio e senza definizione alcuna: è all'origine di tutto.
ATMAN-BRAHAMAN (respiro - ciò che cresce e fa crescere), (psychè - physis) si
manifesta in quattro modi classici: stato di veglia ove si godono gli stati naturali dei
sensi: conoscenza dei sensi ancora duale soggetto-oggetto; stato di sogno ove si ha
conoscenza delle cose interiori tipo immagini rappresentazioni: conoscenza per
concetti ancora duale; stato di sonno profondo quando però si raggiunge l'unità
gioiosa senza dualità: pura conoscenza non duale che porta gioia; il quarto livello è
38
innominabile perché va oltre anche all'unità non duale: non è né conoscenza e
neppure non conoscenza!
Se il Brahman è infinito e indefinito si manifesta in infiniti modi, in infiniti avatar
(incarnazioni del divino) che vanno dalle cose più meschine agli infiniti dei.
Politeismo nel monoteismo!
La respirazione (dialettica del vuoto) produce un'osmosi tra il piccolo corpo di ogni
singolo essere vivente e il grande corpo dell'universo infinito. Essa rende cosmico il
corpo e corporeo il cosmo custodendo l'Uno!

E' impensabile e indefinibile in quanto è l'Atman - Brahaman senza aggettivi perché


irrappresentabile (come il Dio ebraico)!
Dalla vibrazione iniziale nascono tutti gli esseri possibili e alla fine della loro
esistenza questi stati d'essere tornano alla vibrazione che poi cessa nel silenzio.
L'anima che ritorna all'Uno come in Plotino.
Noi siamo l'Assoluto mediato dalla mente. Siamo il Brahman senza rendercene
conto. Siamo la Coscienza Universale intrappolata in un corpo.

Sospendere (non eliminare) i sensi che ci disperdono nella molteplicità: una grande
epochè tipo lo joga. Arrivare all'atman universale senza più identificazione nell'atman
individuale. L'Assoluto è necessario per tutte le creature ma anche tutte le
creature (tutti i sé particolari siano essi dei, persone o cose) sono necessarie per
l'Assoluto. Tutte le creature sono necessarie per l'Assoluto: senza il piccolo sé non ci
sarebbe il grande Sé.
L'infinito Sé ha bisogno di infiniti piccoli sé ognuno dei quali è una
manifestazione dell'Unico grande Sé.
Politeismo e Monoteismo fusi insieme. Tutti i dhamma (tutte le realtà: dei, cose,
persone, pensieri) sono an-atman (senza sé, prive di sé).
Nessun ente, neppure l'Addoluto, è autonomo perchè ogni cosa è relazione. Si
esiste sempre mutevolmente e sempre in relazione con tutto il resto.
-ANGOSCIA***
Kierkegaard che scrive: “La disperazione è il terrore del vuoto, del non essere altro
che niente.” Intendendo con ciò significare che l'angoscia è la paura del vuoto.
In Occidente l'angoscia è la paura del vuoto - nulla! La paura della morte!
Paura di non essere più coscienti.

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Quando ci appare chiara la precrietà delle cose del mondo, degli enti in quanto
enti, la loro caducità, il loro dileguare sullo sfondo del vuoto - nulla, noi
occidentali ci facciamo prendere dall'angoscia. Nell'antico pensiero orientale
invece un tale cammino dovrebbe portare alla liberazione, al nirvana, alla
illuminazione!
Per l'antico pensiero orientale il vuoto - nulla è una condizione di possibilità per
tutto ciò che è. La morte è un illusione perché nessuno nasce e nessuno muore.
L'auto-coscienza individuale è un sogno che si dissolve nell'Assoluto (se mai
esiste). Assoluto libero dall'auto-coscienza!
-ARCHE'***
L'archè (in greco ἀρχή, che significa «principio», «origine»), rappresenta per
gli antichi greci la forza primigenia che domina e produce il mondo, da cui tutto
proviene e a cui tutto tornerà. In tedesco la parola grund indica il fondamento di
tutte le cose. Anarchè e abgrund, di conseguenza, significano, rispettivamente, senza
principio e senza fondamento.
Passiamo in rassegna i vari archè.
Talete parla dell'acqua.
Anassimene parla dell'aria.
Senofane parla della terra.
Eraclito parla del fuoco o logos.
Anassimandro parla dell'Apeiron.
Pitagora parla del numero.
Protagora parla dell'uomo.
Aristotele parla della sostanza.
Plotino parla dell'Uno.
Le religioni parlano di Dio.
Leopardi parla del Nulla ontologico che è libero fondamento del tutto.
L'antico pensiero orientale parla del vuoto come principio universale. Ma poi
aggiunge: il ritenere che ci sia un fondamento da ricercare costituisce l'illusione
primaria della mente non addestrata a considerare la realtà del mondo come
insostanziale e impermanente. L'antico pensiero cinese afferma pure che fra
principio (li) e fenomeno (shi) non esiste alcun impedimento ma solo profonda
relazione intrinseca (lishi wuai).
40
La moderna fisica quantistica ci racconta invece del campo quantistico di punto zero
(paragonabile al vuoto) dal quale originano particelle subatomiche che poi al campo
ritornano. Addirittura, da una fluttuazione di questo campo di vuoto, sarebbe nato,
secondo una teoria cosmologica, l'intero universo. Infatti, nella teoria quantistica dei
campi, il termine energia di punto zero è sinonimo di energia del vuoto. L'esistenza di
una energia non nulla associata al vuoto è alla base dell'effetto Casimir previsto,
teoricamente, nel 1947 e poi riscontrato dagli esperimenti.
-ATOMO***
GLI ATOMI SONO sostanzialmente RELAZIONE IN QUANTO COSTITUITI
PRINCIPALMENTE SPAZIO VUOTO!
Le particelle subatomiche, sono configurazioni dinamiche che non esistono in
quanto entità isolate, ma in quanto parti integranti di una inestricabile rete di
interazioni.
Infatti il 99,9999999% degli atomi della materia ordinaria è costituito da vuoto. La
struttura dell'atomo ricorda un Sistema Solare in miniatura, con il nucleo che occupa
pochissimo spazio, rispetto agli elettroni che vi orbitano attorno. Se potessimo
escludere tutto questo spazio vuoto e comprimere ciò che rimane, i 7 miliardi di
abitanti della Terra starebbero comodamente condensati in un cubo delle
dimensioni di una zolletta di zucchero.
La proporzione tra la materia solida e lo spazio vuoto in un atomo è pari un
milionesimo di milionesimo. Questo significa che se dividiamo lo spazio occupato
da un atomo in un milione di cellette e poi ogni celletta in un milione di parti, solo
una di queste è occupata da materia, tutte le altre sono vuote! E poiché tutto sulla
terra è fatto di atomi, ciò vuol dire che il nostro corpo e la sedia su cui siamo seduti,
sono composti da una quantità di spazio vuoto un milione di milioni di volte
maggiore dello spazio occupato dalla materia.
Un atomo si misura prendendo un metro e dividendolo per 10.000.000.000 (dieci
miliardi).
Tra la dimensione dell'atomo e quella del nucleo dell’atomo stesso c’e un rapporto
pari a quello fra la capocchia di uno spillo e la cupola della basilica di San Pietro a
Roma. Tutto il resto è vuoto! Dunque la materia è fatta di atomi "VUOTI".
A riconferma, se poniamo, ad esempio, che il nucleo di un atomo sia grande come
una mela, riscontreremo che gli elettroni (che sono puntiformi per quanto sono
piccoli, o, addirittura, sono onde di materia) stanno a un chilometro di distanza. Tutto
il resto è puro vuoto.

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Aristotele aveva veramente torto: la materia è essenzialmente composta dal vuoto.
L'unica ragione per cui il nostro corpo e la sedia su cui siamo seduti ci sembrano cosi
solidi ed impermeabili, è perché tali quantità infinitesimali di materia sono tenute
insieme da forze (relazioni) che agiscono in maniera invisibile seppur potentissime.
Quanti atomi ci sono in un pompelmo? Bene, immaginiamo che il pompelmo sia fatto
di soli atomi di azoto, cosa che non è vera, ma nel pompelmo ci sono anche degli
atomi di azoto. Per aiutarvi a visualizzare, gonfiamo ciascun atomo di azoto fino alle
dimensioni di un mirtillo. Allora quanto diventerebbe grande il pompelmo?
Prenderebbe la stessa dimensione della terra. Dunque, tra un frutto medio (mela, pera,
pompelmo) e un suo atomo vi è la stessa proporzione che esiste fra un piccolo frutto
(mirtillo, fragola, ciliegia) e la terra intera. Un atomo ha un diametro che è pari a un
metro diviso dieci miliardi.
-AUTOCOSCIENZA?***
L'autocoscienza è un valore?
Secondo Marx, la filosofia deve liberarsi di tutte le divinità celesti e terrestri perché
la suprema divinità è l'autocoscienza umana (e se, per caso, pure quest'ultima
fosse una semplice supposizione concettuale?).

Qual è la tua via?


Osservo le cose e le lascio andare.
E quando tutte le cose sono lasciate andare, cosa resta?
Resta la consapevolezza.
E quando lasci andare anche la consapevolezza?
Non lo so.
Ecco, dove tu non sai, lì c'è l'Assoluto che è l'abisso dell'ignoto.
C'è il mistero che non è un problema ma è pienezza.
Noi stessi siamo il mistero che, quindi, non è risolvibile.
Vivere sereni nel mistero.

Ci afferriamo a qualcosa per sentirci al sicuro: al corpo, alla mente, ai sensi. Non
capiamo che la vera pace è abbandonare tutto ciò. Quando passiamo dalla veglia
al sonno, dobbiamo abbandonare tutto ciò che costituisce lo stato di veglia. Nel
sonno, tutti i nostri rapporti e i nostri possessi scompaiono. Siamo costretti a
lasciarli andare. Ma non abbiamo paura di addormentarci, ci piace, accogliamo
volentieri il sonno. Ma abbiamo paura di questo balzo risvegliante nel vuoto
perché non ne abbiamo mai fatto l'esperienza. (Poonja)

"Il solo problema è l’identificazione a un’entità immaginata. Sparita l’identificazione


cosa rimane? Siamo tutto e siamo nulla. Anche questi concetti poi svaniranno come
42
tutto il resto e quello che siamo veramente brillerà senza che ce ne accorgiamo, le
azioni si faranno da sole e al meglio. Il sogno potrà svolgersi non solo senza
interferenze di un "io", ma anche senza una coscienza inventata." (Isabella di
Soragna)
Ricordare e, se possibile, ricostruire i nostri rapporti con l'Essere quali erano
prima dell'autocoscienza.

Hai paura di essere impersonale. Temi l'impersonalità dell'essere. Vuoi essere


una persona eterna. Questa è la tua condanna. (Nisargadatta Maharaj)

Heidegger fa notare che l'autocoscienza si crede di essere l'essere anche se non lo


è. Infatti è solo un "esserci". Heidegger pensa che i filosofi hanno perduto l'essere da
quando l'hanno fondato sull'autocoscienza.

L'autocoscienza è una idealità pura … senza realtà perché essa stessa, l'oggetto
di sé, non è un oggetto, non essendovi alcuna differenza dell'oggetto e di sé.
(Hegel)
Per noi occidentali Dio è onnisciente mentre per l'Oriente, l'Assoluto, forse, non
è neppure autocosciente!
Per l'Occidente la coscienza, l'autocoscienza è fondamentale sia per il singolo uomo
che per Dio cioè per l'Assoluto. Senza la coscienza non c'è il vero Essere ma c'è il
nulla, il terrificante nulla (horror vacui). Per l'antico pensiero buddista invece
l'autocoscienza è da superare anche per quanto attiene l'Assoluto e non solo per il
presunto singolo individuo. La vera liberazione si raggiunge, per l'antico
Buddismo, andando oltre la coscienza perché nessuna coscienza è mia!
Il Sé che è oggetto di riflessione non è più il Sé attivo e così siamo costretti ad
ammettere che l'autocoscienza, nel senso del Sé che riflette il Sé, è
un'impossibilità. (Nishida)
Il pensiero occidentale si basa su alcuni concetti fondamentali: l'ego, l'esistenza e la
conseguente autocoscienza. Ne deriva che la non esistenza dell'ego e
dell'autocoscienza sono molto temuti: sarebbe il nulla! Si teme di perdere la propria
la vita e di non esserci più. Si teme di perdere la propria autocoscienza alla quale
ognuno di noi è più affezionato che a qualsiasi altra cosa. Vogliamo essere vivi e
pensare a noi stessi che siamo vivi e alla nostra stessa mente che è, lei pure, viva.
Magari estendiamo questi stessi stati d'animo anche a Dio che, dunque, diventa puro
Essere autocosciente e onnipotente. E qui si arriva al culmine massimo immaginabile:
la vita eterna individuale! Un io che vive in eterno e che riflette in eterno su se
43
stesso. Questo è il massimo a cui un individuo occidentale può aspirare (sperando
però di non capitare all'inferno).
Anselmo d'Aosta afferma, nella sua prova dell'esistenza di Dio, implicitamente, che
l'esistenza è superiore alla non esistenza ma non lo dimostra. Gli viene istintivo
pensare ciò come veniva istintivo pensare che la terra fosse immobile al centro del
mondo. L'antico pensiero orientale supera il dualismo fra esistenza e non esistenza,
fra essere e nulla, fra autocoscienza e non coscienza. Supera il dualismo tramite un
agnosticismo prospettivista. Comunque anche Lucrezio e Nietzsche erano
abbastanza scettici sulla presunta superiorità dell'essere rispetto al non essere.
Noi occidentali contemporanei invece siamo ancora impigliati nella logica duale
senza renderci conto che la logica non descrive la realtà ma tenta di semplificare
sbrigativamente la complessità.
Secondo l'antico pensiero orientale, non è detto che "l'essere" sia sicuramente meglio
del "non essere". Ciò anche perché "essere" e "non essere" si danno vita a vicenda
essendo strettamente interconnessi. Dall'uno arriva l'altro e viceversa. E, infine, il
colpo finale e più ferale per noi occidentali: non è detto o dimostrato che
l'autocoscienza sia il meglio che possa capitare a un uomo. Tutt'altro. L'Oriente
arriva addirittura a ritenere che anche l'Assoluto potrebbe essere inconsapevole sia
del particolare che di sé stesso. Pertanto un Assoluto inconsapevole dove il "non
essere" non ha meno dignità dell'"essere". Un Assoluto ove i pensieri non hanno
proprietari perché sono solo relazioni intrinseche senza soggetto. Un Assoluto ove
non ci sono altri protagonisti se non l'energia primigenia che gioca con se stessa
senza neppure saperlo. Nessuno sa e niente accade. Mentre noi continuiamo a
giocare il nostro gioco umano di ombre cinesi, di maya induista, di ologrammi e di
molti altri simili abbagli.
La Non Autocoscienza nell'Assoluto.
Il satori è un momento di non mente! Viene meno l'autocoscienza …
Serve il congedo del pensiero da se stesso per una realizzazione pacificata
dell'ultima realtà, non più dispiegabile discorsivamente.

Così tra questa


Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.
(Leopardi)

La prima distinzione è quella fra l'Uno Assoluto (En di Plotino) e l'uno relativo (Nous
di Plotino). Il primo è oltre ogni possibile rappresentazione, senza autocoscienza e

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senza dualismo. Il secondo è autocosciente e, quindi, dualista. Come tale, da origine
al due e al molteplice.

En è l'assoluto indeterminato, quindi è impossibile rappresentarlo in concetti,


parole e idee perché si pone oltre ogni capacità di rappresentazione umana.
Questo assoluto manca anche di autocoscienza e di qualsiasi dualismo.
Nous è l'assoluto determinato. Si manifesta a se stesso essendo autocosciente. Si
erge a kosmotheoros nel suo insito dualismo.

L'Europa compose del Buddha un'immagine fatta di ciò che essa temeva per se
stessa: Il vuoto, il nulla, il non essere, l'assenza (anche di autocoscienza)!

Da che cosa la creazione sia sorta,


se sia tenuta salda oppure no,
Colui che la contempla nell’alto dei cieli,
Egli sicuramente lo sa – o forse non lo sa?
(Veda)

-AVVOLTO CHE AVVOLGE***


Come rendere l'idea di un avvolto che avvolge? Prendete due fazzoletti, due
tovaglioli di colori diversi, poneteli uno sull'altro e poi arrotolateli. L'uno conterrà
l'altro e sarà contenuto nell'altro. Anche il simbolo del taijitu esprime bene il concetto
in questione.

"inchiuso da quel ch'elli 'nchiude" dice Dante. Il punto di luce e le sfere di angeli
circondano l'universo, e insieme sono circondati dall'universo. "d'un cerchio lui
comprende, si come questo li altre".
Si tratta di una tre-sfera, la forma che Einstein ha ipotizzato essere quella del nostro
universo. Come ha potuto Dante anticipare Einstein di sei secoli? (Rovelli)

45
E' il pensiero ad originare l'essere oppure è l'essere a dar corpo al pensiero? L'avvolto
che avvolge! Pensiero, Essere e Linguaggio sono in stretta relazione, sono logos,
sono chiasma, sono plesso, sono l'avvolto che avvolge.

B
-BACONE (FRANCIS)***

Nel libro Illuminismo e illuminazione Pasqualotto racconta dettagliatamente le


profonde affinità tra il metodo di Bacone e quello di Buddha. Infatti la fase
catartica suggerita dal Buddha si articola in prescrizioni negative che corrispondono
quasi esattamente alle critiche agli idola (pars destruens in Bacone). In particolare le
"dicerie" e il "sentito dire" di cui parla il Buddha sembrano corrispondere a quei
pregiudizi derivanti dalla comunicazione e dal linguaggio (idola fori) di cui parla
Bacone. La logica, l'inferenza, il piacere della speculazione, le tradizioni e i testi
religiosi a cui allude il Buddha sembrano l'analogo di quel complesso di pregiudizi
derivanti dalle auctoritates imposte dai dogmatismi filosofici e religiosi (idola
theatri). Le apparenze e il verosimile contro cui Buddha mette in guardia richiama gli
inganni derivanti da una conoscenza superficiale perché limitata alla tradizione
(idola tribus). Infine l'idea "questo è il mio maestro" -che per il Buddha rischia di
diventare un'idea ossessiva -appare l'equivalente di quegli idola specus che per
Bacone derivano all'individuo "per causa dei libri che egli legge e dell'autorità di
coloro che egli ammira e onora". Per la pars costruens, entrambi si rifanno
all'esperienza.
Per Bacone l'uomo è più attaccato alle proprie idee che alle cose, ovvero l'uomo
spesso dà più valore alle proprie idee che alla realtà. Oltretutto l'uomo non
sopporta il dubbio e anela certezze.
« Gli idoli e le false nozioni che sono penetrati nell'intelletto umano fissandosi in
profondità dentro di esso, non solo assediano le menti in modo da rendere difficile
l'accesso alla verità ma addirittura (una volta che questo accesso sia dato e concesso)
di nuovo risorgeranno e saranno causa di molestia anche nella stessa instaurazione
delle scienze: a meno che gli uomini preavvertiti non si agguerriscano per quanto è
possibile contro di essi... »
Idola tribus, gli errori della tribù, quelli radicati nella specie umana, che è fatta in
modo tale che inevitabilmente commette errori. Il fatto stesso di essere uomini ci
porta ad errare; condizionamento sociale: dare troppa importanza ai sensi e alle

46
esperienze sensibili oppure vedere un finalismo nella natura che invece è tipicamente
nostro.
Idola specus, cioè gli errori della spelonca platonica, dovuti alla soggettività
particolare dell'uomo. Ogni uomo è fatto in modo tale che oltre agli errori che
commette in genere come uomo ci sono quelli legati alla sua particolare
individualità; pregiudizi dell'inconscio personale dipendenti da molti fattori fra i
quali anche il caso oltre che il proprio vissuto (tipo un padre autoritario).
Idola fori, gli errori della piazza, delle «reciproche relazioni del genere umano», del
linguaggio, che è convenzionale ed equivoco: le parole non sono le cose.
Idola theatri, gli errori della finzione scenica che Bacone imputa alla filosofia che ha
dato rappresentazioni non vere della realtà «favole recitate e rappresentate sulla
scena», e come è accaduto con il sistema aristotelico che ha descritto un mondo
fittizio non corrispondente alla realtà.
Possiamo, forse, anche riassumere così la faccenda dei quattro idoli:
GENERALIZZAZIONI E SEMPLIFICAZIONI: tutti i cigni sono bianchi! Ogni
effetto ha una causa! (così fa la tribù)
PREGIUDIZI: mi hanno insegnato così! (così ho vissuto)
SIGNIFICATO DELLE PAROLE: il destino, la vita, dio, l'io, il mondo... (il
linguaggio e i concetti)
SIGNIFICATO DELLE DOTTRINE: le belle favole antiche.... budda, socrate, gesù.
(le rappresentazioni del teatro)
In conclusione, si può sintetizzare il pensiero di Bacone dicendo che ciò che gli
individui della specie Homo sapiens sapiens (o stupidus stupidus come dice
Andreoli?) credono, quello che pensano e di conseguenza anche il loro agire, è
condizionato da una molteplicità di fattori: il luogo in cui nascono, il
determinato periodo storico, il contesto linguistico e culturale, le condizioni
economiche, le possibilità relazionali, le vicende biografiche, il patrimonio
genetico, la composizione fisica e chimica delle loro strutture neuronali. Dunque
tutto è relazione!

-BERGSON***

Bergson è dualista: la vita spinge verso l'alto mentre la materia (quel qualcosa di
inerte che l'intelletto vede come materia) cade verso il basso.

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La vita incontra la resistenza della materia così come una mano che deve entrare
in un sacco di terra. L'evoluzione della vita è però creativa e imprevedibile come
fosse un artista (no al meccanicismo e al neologismo).
Nell'uomo l'istinto (buono) si è diviso in intelletto (cattivo) che separa nello spazio
e isola nel tempo. "Materia e memoria" è il suo libro dove la memoria non è
un'emanazione della materia ma è quasi il contrario.
Non è vero che il reale nasce dal possibile ma è giusto il contrario: è il reale che da
origine al possibile. Altro dualismo!
L'intuizione è sintetica mentre l'intelletto è analitico.
Non ci sono le cose ma ci sono solo le azioni.
Un essere vivente è un centro d'azione.
Noi siamo liberi come gli artisti quando creano.
La vita è simile a una carica di cavalleria che tutto travolge compresa la morte.
La vita è anche come una granata che scoppia … ogni parte poi è una nuova granata
che scoppia di nuovo.
Bergson però non spiega mai le sua asserzioni: più che filosofia sembra un racconto
molto bello. Infatti prende un nobel in letteratura!
Non ha mai dubbi! Beato lui o povero lui?

-BIRRA E VINO***

I traci produssero la birra e pensarono che l'ebbrezza fosse cosa divina e ne resero
onore a Bacco - Dioniso (ex Pan). I rituale bacchico produce il cosiddetto entusiasmo
cioè l'ingresso del dio stesso nel suo adoratore che diviene quindi una cosa solo con
Bacco. Gli orfici riformano la questione raggiungendo l'entusiasmo senza bevande
alcoliche e credendo che l'anima si salverà, rinascerà, si reincarnerà. Ciò influenza
Pitagora che influenza Platone. Anche i misteri eleusini sono impregnati di orfismo.
Pitagora fu al tempo stesso matematico (scienza) e mistico (religione).
La birra è una delle più antiche bevande prodotte dall'uomo, risalente almeno al V
millennio a. C.  di cui rimane traccia su fonti scritte dell'Antico Egitto e
della Mesopotamia, presso i Sumeri i quali inventarono anche la cannuccia per
aspirare la bevanda. Anche il vino pare essere dello stesso periodo. I cinesi, peraltro,
producevano una bevanda simile alla birra, il kui, già nel 7.000 a.C.

Quella della birra è cultura che abbraccia diverse epoche e diverse aree, fin
dagli antichi egiziani i cui lavoratori pare
48 ne consumassero circa quattro 4 litri al
giorno, trattandolo come vero e proprio alimento, "pane liquido".  E
i babilonesi avevano leggi per preservare alti standard produttivi: la punizione per un
lotto scadente di birra era la morte per il mastro birrario incapace, condannato ad
annegarci dentro. Simbolo di convivialità e benessere nei Paesi del Nord,
i vichinghi credevano che nel Valhalla vivesse una capra gigantesca le cui mammelle
erano una scorta illimitata di birra.

Il bere ritualmente del vino precedentemente purificato e consacrato, che


diviene così la forma liquida della divinità era tipico sia dell'Induismo (Shiva era
la divinità in questione) che dei riti dionisiaci. Da rimarcare che Dioniso era,
secondo il mito, originario dell'India. Alessandro fu introdotto fin da giovane ai
misteri dionisiaci e lui stesso si paragonò a Dioniso nella sua spedizione in India: il
ritorno a casa. Mitiche le sue bevute di vino (rituali e non). Dopo la benedizione
rituale il vino diventava il sangue del Dio Dioniso (o Bacco o Orfeo).
Poiché quasi tutti i cereali che contengono certi zuccheri possono andare incontro ad
una fermentazione spontanea dovuta a lieviti nell'aria, è possibile che bevande simili
alla birra siano state sviluppate indipendentemente in tutto il mondo poco dopo che
una tribù o una cultura presero dimestichezza con i cereali. Test chimici condotti su
brocche antiche in ceramica hanno rivelato che la birra è stata prodotta per la prima
volta circa 7.000 anni fa sul territorio dell'attuale Iran, e che ciò è stata una delle
prime opere note di ingegneria biologica in cui è stato impiegato il processo della
fermentazione.
Si pensa che in Mesopotamia la traccia più antica di birra sia una tavoletta sumera di
6.000 anni fa che ritrae persone intente a bere una bevanda con cannucce di paglia da
un recipiente comune. Una poesia sumera risalente a 3900 anni fa che onora Ninkasi,
la divinità patrona della produzione della birra, contiene la più antica ricetta esistente
di birra, descrivendo la produzione di birra a partire dall'orzo per mezzo del pane.
« Ninkasi, tu sei colei che cuoce il bappir nel grande forno, Che mette in ordine le pile
di cereali sbucciati, Tu sei colei che bagna il malto posto sul terreno...
Tu sei colei che tiene con le due mani il grande dolce mosto di malto...
Ninkasi, tu sei colei che versa la birra filtrata del tino di raccolta,
È [come] l'avanzata impetuosa del Tigri e dell'Eufrate »

La birra viene citata inoltre nell'Epopea di Gilgamesh, in cui viene servita da bere
della birra al selvaggio Enkidu.
La birra divenne fondamentale per tutte le civiltà classiche dell'antico occidente che
coltivavano cereali, compreso l'Egitto, a tal punto che nel 1868 James Death ha
proposto la teoria nel suo libro The Beer of the Bible secondo cui la manna dal cielo
che Dio ha dato agli Ebrei era una birra a base di pane, simile al porridge,
chiamata wusa. L'antropologo moderno Alan Eames sostiene che la "birra è stata la
forza trainante che ha spinto gruppi nomadi ad una vita sedentaria... È stato questo
49
forte desiderio di avere materiale per produrre birra che ha portato alla coltivazione,
ad insediamenti permanenti e all'agricoltura".
Le conoscenze sulla birra vennero tramandate ai Greci: al riguardo Platone avrebbe
scritto che "Deve essere stato un uomo saggio a inventare la birra."
-BOMBA ATOMICA ***
Little Boy e Fat Man, i due ordigni che hanno raso al suolo Hiroshima e Nagasaki
nel 1945 hanno rilasciato una energia, rispettivamente, di 13-18 e 18-23 Kt
(Kilotrone: unità di misura, o meglio sarebbe dire di dismisura, della potenza
distruttiva dell'ordigno). Nel 1961 l'URSS ha testato la Bomba Zar, la più potente
bomba all'idrogeno sperimentata dall'uomo, che ha liberato 50.000 kT di energia
causando effetti devastanti. Dunque ci sono in giro bombe 2.500 volte più potenti di
quelle sganciate sul Giappone. E quante sono queste bombe? Sono un numero fra
15.000 e 70.000. Tirando le somme vi è una potenza distruttiva pari
2.500x20.000=50.000.000 (cinquanta milioni!) di volte quella della bomba di
Hiroshima. Quest'ultima fece, da sola, circa 100.000 morti.
Quanti morti ci dovremmo aspettare da una guerra nucleare nel ventunesimo secolo?
200 Milioni? 2 Miliardi? Oppure l'estinzione dell'intera umanità?

-BOOTSTRAP***
L'ipotesi, la filosofia del bootstrap ideata da Goffrey Chew nel 1960 si basa sulla
coerenza interna complessiva di un sistema del tipo: il Tao si conforma alle leggi
della sua propria natura e nega l'esistenza dei costituenti fondamentali della
materia e delle leggi fondamentali della natura date da qualche dio (concetto
tipicamente occidentale).
La realtà è una rete di relazioni ed ogni sua parte non può essere compresa se
non in rapporto al resto, cioè non esistono più proprietà fondamentali
indipendenti dalle connessioni con tutto il sistema.
Nessun ordine esterno impartito da qualche divinità ma coerenza interna tipica di
ciò che partecipa all'uno - tutto.
I fisici sono giunti a comprendere che tutte le loro teorie sono solo creazioni della
mente umana (pure essa necessaria per la coerenza interna del tutto) essendo ogni
cosa-evento connessa con ogni altra cosa-evento (quindi, per conoscere una sola
cosa-evento, bisognerebbe conoscere tutte le altre infinite cose-evento).
Non c'è alto e basso, non ci sono concetti più fondamentali di altri. Il mondo è
percepito come una rete in cui ogni singola parte dipende da tutte le altre e
nessuna è più fondamentale.
50
Nella teoria bootstrap degli adroni [In fisica un adrone (dal greco hadrós, forte) è
una particella subatomica composta (non elementare) soggetta alla forza nucleare
forte e formata da quark, in alcuni casi associati ad antiquark.] tutte le particelle
sono composte dinamicamente le une dalle altre in modo intimamente coerente e
in questo senso si può dire che esse si contengono reciprocamente. (Schrodinger)
-BRAHMAN - ATMAN***
Nelle Upanishad si sottolinea la fondamentale relazione tra il microcosmo-uomo, il
sé e l'Assoluto, il Brahman.

Il Brahman esalta il potere della parola che sta nella realizzazione del potere
benefico e produttivo che lega il contesto degli uomini a quello dell'ordine cosmico
nella consapevolezza della rete di relazioni che unisce tutti gli esseri. (Magno
reinterpretata)
Il Brahman si impone all'uomo come potere che lo trascende e che da ragione
dell'uomo stesso e del suo microcosmo.

Il Brahaman è energia potenza che, attraverso a parola articolatain enigma, lascia


intendere l'inesprimibile. Esso è ciò che "non è espresso dalla parola, ciò per cui la
parola si esprime". Il Brahman è potere di connessione. Il potere di connessione è
ben più di un potere generatore- creatore. (Magno)

La compenetrazione di parola-intelligenza-cosmo, come pare emergere dai frammenti


eraclitei (ricordiamo che Eraclito aveva 30 anni meno di Buddha), si mostra con
particolare incisività nel Brahaman.

L'Atman è il tutto visto dalla parte. Il Brahman è il tutto visto dal tutto. E non sono
due!

Pasqualotto parla però dell'Atman come di un sé particolare o individuale e di un sé


universale (Atman - Brahaman). Il primo va ricongiunto con il secondo. L'Atman è
miele per tutte le creature e tutte le creature sono miele per l'Atman. Lo spirito
assoluto (Dio occidentale) è cibo, è necessario per le creature. Questa prima parte ci è
molto famigliare. La seconda parte invece ci è molto ostica. Asserisce infatti che tutte
le creature (persone, animali, piante e pure i sassi) sono cibo, sono necessarie
all'Assoluto e alla sua essenza. Quindi l'Assoluto è tale grazie al relativo! Ha infatti
infinite possibilità di manifestarsi e tutte le infinite manifestazioni sono necessarie
all'Assoluto. Monoteismo e politeismo fusi insieme come, peraltro, accade anche nel
Cattolicesimo attuale con tutti i suoi vari santi e le sue frequenti apparizioni mariane.

Nel Buddismo si dice (in pali che è lingua dialettale e quindi non dotta come invece è
il sanscrito) SABBE DHAMMA ANATTA. Pasqualotto dice che è una delle frasi
51
più profonde dell'intero pensiero umano. Significa che tutte (sabbe) le realtà
(dhamma), tutto ciò che esiste (persone, anime, cose fisiche, eventi, pensieri,
coscienza) è privo di un sé (anatta). Nessuna cosa-evento è autonoma, indipendente,
isolata. Ciascuna cosa esiste da sola perché tutto è relazione. Per l'Induismo esiste
l'Atman mentre per il Buddismo tutto è an-atman. Per il Buddismo non esiste
vita post mortem.

Se so che io e gli altri esseri viventi abbiamo tutti la natura del Brahman in
quanto siamo tutti sue manifestazioni, non ho alcuna ragione per avere verso di
loro un comportamento ostile o anche solo indifferente. Un comportamento
negativo nei loro confronti sarebbe infatti, immediatamente, negativo nei miei
stessi confronti, in quanto tutti, io e gli altri, siamo relazioni e quindi parti di uno
stesso intero.

Ciò che non può essere espresso con la parola, ciò per mezzo del quale la parola
viene espressa, questo sappi che è il Brahman. Non ciò che [il volgo] venera come
tale. Ciò che non può essere pensato col pensiero, ciò per mezzo del quale,
dicono, il pensiero vien pensato, questo sappi che è il Brahman. Non ciò che [il
volgo] venera come tale. [ ... ] Io non credo di conoscerlo bene e neppure posso
affermare di non conoscerlo. Chi di noi sa questo, lo conosce». Quindi per il pensiero
del Vedanta il principio dell'universo è unico ma, in quanto infinito, non può
essere conosciuto da nessuna parola né da nessuna espressione finita: ogni
"teologia positiva " è considerata assurda in quanto pretende di nominare e definire
una realtà che è oltre ogni nome e ogni definizione, anche oltre quella,
massimamente ampia e profonda, che lo volesse fissare come con dizione di ogni
nome e di ogni definizione. Ciò non significa tuttavia che esso sia del tutto
sconosciuto e inconoscibile, dato che la sua presenza è attiva in ogni aspetto della
realtà: «Il Brahman è cibo, soffio vitale, vista, udito, mente, parola». La liberazione
(se così si può dire) è la percezione dell'identità fra jivAtman e Brahman, fra la
cosiddetta anima individuale e il respiro del mondo. L'anima individuale
(jivAtman) si ricongiunge con l'anima universale, con l'Assoluto (Brahman).
Similitudine con l'emanazione dall'Uno Plotiniano e ritorno all'Uno. Brahman non
ha nome né forma ed è aldilà del tempo e dello spazio, oltre causa-effetto. Tu sei
quello! Tat tvam asi (quello sei tu)! Non si può avere una diretta conoscenza del
Fondamento, se non attraverso l'unione e l'unione si può raggiungere solo con
l'annullamento di quell'ego preoccupato di se stesso, che è la barriera che separa il
"Tu" da "Quello".

Anche il Buddhismo, come il Vedanta, mantiene ferma una posizione "apofatica" la


quale sospende ogni pretesa di dire qualcosa di preciso e di compiuto
sull'Assoluto. Non si può dire nulla, nemmeno che è o che non è, perché ogni

52
espressione umana, sia positiva che negativa, in quanto necessariamente finita e
contingente, non può pretendere di cogliere qualcosa di infinito e di eterno.

SABBE DHAMMA ANATTA Sabbe (tutti) Dhamma (tutto ciò che esiste a qualsiasi
livello: dai pensieri alle cose) Anatta (privo di sé): tutte le realtà sono prive di sé!!!!
Quindi nessuna cosa è indipendente, isolata, autonoma ma ogni cosa esiste solo come
relazione in continuo mutamento. Il buddismo qui esposto si allontana
dall'induismo che invece affermava il grande sé e il piccolo sé. Per il buddismo la
coscienza pura non ci può essere perché la coscienza è sempre relazione cioè
coscienza di qualcosa.
Brahman non può essere definito da parola o idea: è l'Uno davanti a cui si ritraggono
le parole. (Sankara)
L'Assoluto infinito ed eterno senza essere dio e senza essere l'essere è Brahaman
detto anche GivAtman individuale e particolare e Brahman universale e infinito (e
non Brahama che insieme a Visnu e Shiva rappresenta la cosiddetta trimurti divina
indù che fa parte del Brahaman insieme anche alle mille creature fino alla merda dei
serpenti: una è la cosa più alta e l'altra è quella più bassa) è al di la di ogni definizione
perché definire significa dividere.
Assomiglia all'energia creatrice indefinibile di nome Apeiron o al Dio di Spinoza o
all'Uno di Plotino. Ogni cosa è Brahaman. E ciò vale sia sotto l'aspetto cosmologico
sia sotto l'aspetto psicologico. Entrambi sono divisi in quattro stadi: 1°: conoscenza
duale (soggetto che conosce e oggetto conosciuto) per sensazioni da svegli con i
sensi attivi, 2° conoscenza duale (soggetto che conosce e oggetto conosciuto) per
concetti e immagini, 3°: sonno profondo dove si raggiunge l'unità (non più
dualismo) in presenza di sola conoscenza che produce gioia: il puro pensiero, 4°:
siamo al livello innominabile oltre l'unità, oltre la conoscenza: impensabile,
indescrivibile, indicibile, indefinibile, irrapresentabile. Esso è infinitamente Atman -
Brahaman!
Non ci sono più né parole e neppure immagini. Silenzio! AUM. A è il primo stato, U
è il secondo, M è il terzo, il punto (bindu) è il quarto. L'anima individuale si
congiunge l'anima assoluta.
Dalla vibrazione iniziale (bindu: il punto sopra la emme di AUM) nascono tutti gli
esseri che alla fine della loro esistenza ritornano nella vibrazione che anticipa il
silenzio e l'Assoluto da cui tutto proviene e tutto ritorna. Il ritorno all'Uno di
plotiniana memoria! Itinerario della mente e del corpo all'UNO ASSOLUTO. La
realtà, che è Unità tutta interconnessa, trascende il linguaggio ordinario.
Esperienza non verbale della realtà. Sospendere i sensi e i concetti per arrivare a
53
una identificazione globale. Tutte le creature, tutti gli ATMAN individuali (uomini,
dei, divinità, piante e sassi) sono indispensabili per il BRAHMAN: infatti l'esistenza
dell'Assoluto dipende dalle sue parti che sono le infinite manifestazioni
dell'Assoluto infinito.
Secondo la Ghita, alla fine del suo itinerario individuale il sé (Atman) ritorna divino
(Brahman). La parte ritorna al tutto. Ma restano due o diventano uno? La Ghita
questo non lo dice e gli interpreti si dividono in monisti e dualisti.

Sankara è un monista convinto: l'unica realtà è Brahman di cui anche Krisna è un


manifestazione mentre la molteplicità è un miraggio. Ci sono poi i monisti dialettici
e i dualisti.

Secondo una scuola di pensiero particolare (Abhinavagupta) i sensi sarebbero come


divinità che possono operare in noi la grande rivoluzione (vedi anche U.G.). Nella
Ghita si parla del supremo sé indistruttibile e del corpo distruttibile.

Non si devono piangere i cambi di stato del supremo sé che trasmigra perché allora
bisognerebbe anche piangere il passaggio dalla giovinezza alla maturità. Se una cosa
(il supremo sé) esiste non può diventare inesistente e viceversa (il corpo). Quindi
inutile piangere il sé perché se è esistente non potrà mai diventare inesistente e
viceversa per il corpo che quindi, essendo soggetto a fine, non deve essere pianto. Il
supremo sé non muore quando muore il corpo.

Noi siamo già Brahman ma non ce ne rendiamo conto. Noi siamo l'Assoluto
mediato dalla mente e dal corpo. Dentro di noi tutto cambia continuamente
compresi i pensieri. Ma c'è anche l'immutabile: Atman - Brahman. L'Atman è la
manifestazione individuale del Brahaman.
Brahaman è l'inconscio collettivo, è Dio, è l'Assoluto, è la Realtà (oppure
chiamiamolo come vogliamo). Non puoi conoscerlo ma solo viverlo.
L'anima individuale (jivatman), se vuole trovare se stessa, deve, paradossalmente,
uscire, perdersi nell'intero universo e poi in esso ritrovarsi , scoprire che in
definitiva, essa coincide con l'anima universale, con l'assoluto manifestato, con il
Brahaman. Da rimarcare che le teorie buddiste del'anatta (ogni realtà è priva di sé, e
anche l'io lo è!) e del paticcasamuppada (ogni forma-realtà è condizionata perché
in relazione con tutte le altre) supererà anche questa concezione induista.
-BUCHI NERI***
Dentro il nostro universo esistono delle realtà che sono completamente diverse
dall'universo stesso: i buchi neri! Un buco nero, dice John Wheeler, è come u uomo
vestito di nero che balla il valzer in una sala poco illuminata con una donna vestita di
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bianco. Sappiamo che c'è solo perché vediamo qualcosa di chiaro volteggiargli
intorno.
Essi, pur essendo corpi enormi, hanno le stesse tre semplici caratteristiche delle
particelle subatomiche: massa, eventuale carica elettrica e spin. Sappiomo anche che
sono caldi secondo la teoria sostenuta da Hawking (più sono grandi e meno sono
caldi). Il calore però non può uscire dal buco nero. E', forse, il calore del nulla!
(propone Rovelli) Inoltre il tempo, di fronte alla sua enorme massa, tende a fermarsi.
Al centro della nostra galassia esiste un buco nero con la massa di quattro milioni di
stelle. Lo hanno chiamato Sagittarius A* (abbreviato Sgr A*). E' lui che disturba, con
la sua spropositata potenza, le comunicazioni terrestri.
Come si forma un buco nero? Accade quando una stella ha consumato tutto
l'idrogeno e colassa su se stessa dando origine al buco nero. L'intera massa della
stella viene concentrata nello spazio di una molecola.
Cosa succede alla materia che cade nel centro del buco nero? Forse la materia emerge
in un altro universo? Forse anche il nostro universo è nato da un buco nero apertosi in
un universo precedente? Questo si chiede Rovelli.
Non ci è dato di sapere cosa succeda al loro interno. Sono un mistero.
Per ottenere una spece di buco nero bisognerebbe comprimere l'intera massa della
terra dentra una biglia di un centimetro!
Partendo da questo abnorme presupposto, come si può pretendere di sapere cos'è
l'universo, cos'è la realtà, cos'è la verità, cos'è il mondo? Consideriamo poi, ultimo
ma non meno importante, che ogni cosa evento è in stretta relazione con ogni altra
cosa evento dell'universo! UNA CONFUSIONE FANTASTICA. Ahahahahah ….

Formula dell'entropia dei buchi neri di Hawking!


S è l'entropia, c è la veloctà della luce, k è la costante di Boltzmann, A è l'area
dell'orizzonte degli eventi (la superficie del buco nero), ћ è la costante di Plank,
G è la costante di Newton.

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In questa formula si fondono le quattro costanti della fisica: c che riguarda la
relatività, k che riguarda la termodinamica, G che caratterizza la gravità e ћ che
è alla base della meccanica quantistica. Una vera meraviglia scolpita sulla tomba
di Stephen!
-BUDDHA-BUDDISMO***
"Giusto, Kalama, è giusto che voi abbiate dubbi e perplessità, perché sono dubbi
relativi ad argomenti controversi. Ora ascoltate, Kalama, non fatevi guidare
dall'autorità dei testi religiosi, né solo dalla logica e dall'inferenza, né dalla
considerazione delle apparenze, né dal piacere della speculazione, né dalla
verosimiglianza, né dal rispetto per il vostro maestro. Ma, Kalama, quando capite
da soli che certe cose sono non salutari (akusala), sbagliate e cattive, allora
abbandonatele, e quando capite da soli che certe cose sono salutari (kusala) e buone,
allora accettatele e seguitele". (questo è il canone pali che parla di buddismo hinaiana
- piccolo veicolo ove si liberano dal samsara solo pochi eletti in assenza del bodisatva
che vuol liberare tutti nel mahaiana - grande veicolo). "Nulla va accettato per fede ma
tutto va sperimentato" direbbe Hume in accordo con Buddha.

Avere una convinzione - dice il Buddha - di qualsiasi tipo; eternalista, nichilista,


eccetera, al di là del fatto che la cosa possa essere vera o no, avere una convinzione
dunque significa attaccarsi a una cosa e cominciare a contrapporsi agli altri,
significa cominciare a dire: "Io ho la verità e gli altri sono nell'errore, e quindi li
devo o convertire o eliminare, eccetera". Allora il Buddha dice: "La verità è una
cosa viva che non può essere fermata in una convinzione". E il non attaccamento
di cui parla il Buddha è proprio il lasciare andare tutte le convinzioni e trovarsi
quindi di fronte alla vita, alla realtà, al mistero della morte, con una mente che non
presume di avere già, di sapere già la risposta.

Buddha ed Eraclito non hanno bisogno di alcun Dio. Buddha è l’uomo più senza Dio,
eppure il più vicino. Lui non parla mai di Dio, perché non fa proiezioni. Dentro di sé
non ha alcuna paura che lo spinga a creare una proiezione. È senza paura, per cui Dio
scompare: è la tua paura a creare Dio. E quando Dio scompare, l’esistenza intera è a
tua disposizione perché tu ne gioisca e celebri.

Più che un sistema teoretico il buddhismo si offre come un percorso etico -


gnoseologico, con lo scopo di far emergere e dissolvere l’ignoranza e gli errori in cui
si radica la visione ordinaria del mondo. Il suo messaggio di fondo consiste
nell’insegnamento di una via per liberarsi dal dolore, dalla sofferenza, dal disagio
esistenziale in tutte le sue forme, facendo emergere il cosiddetto risveglio o
illuminazione (bodhi), cioè la possibilità di una concreta liberazione dal malessere
che ogni esistenza reca con sé. Le strofe più note del testo Dhammapada (XX, 277-
279) indicano che tutti gli esseri condizionati (dhamma) dipendono da cause, sono
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impermanenti (anicca) e privi di consistenza ontologica (anattā). Ma il fulcro del
messaggio – la sua intuizione fondamentale e, apparentemente, la più paradossale – è
che non esiste alcun “ego” o “soggetto” da liberare: proprio l’idea che vi sia un
soggetto determinato in attesa di risveglio va dissolta, dal momento che la fissazione
sull’identità di un soggetto definito è proprio ciò che causa il protrarsi del disagio.
Non solo non vi è alcun soggetto autonomo, ontologicamente solido e stabile; non vi
è nemmeno alcun “assoluto”: dal momento che ogni elemento del reale è un
aggregato di cause impermanenti e interdipendenti, nulla è davvero ab-solutus,
sciolto e libero da condizionamenti, ma ogni elemento appare e si dissolve in una
rete infinita e ininterrotta di relazioni. (Ghilardi)

L'Europa compose del Buddha un'immagine fatta di ciò che essa temeva per se
stessa: Il vuoto, il nulla, il non essere, l'assenza (anche di autocoscienza)!

Buddha afferma che il vero errore è credere in una unica verità che sia anche
assoluta e eterna. Prospettivismo ante litteram.

Buddha dubita dell'esistenza di un'anima individuale immortale che possa


reincarnarsi per scontare gli errori commessi nelle vite precedenti.

Buddha insegna che nessun essere è una cosa semplice e indipendente dalle altre.
Il Buddismo è un sistema basato sulla categoria della relazione. Ciò è in
contrasto con il sistema platonico - aristotelico basato sulla categoria della
sostanza. Il buddhismo dice che il mondo è un insieme di forze momentanee
(dharma) in relazione causale reciproca. Si fa l'esempio della ciotola: fatta di terra,
acqua, fuoco, aria nonché dal vasaio! Non esiste situazione logica, fisica o metafisica
che non comporti la RELAZIONE! Ogni realtà non si costituisce prima
autonomamente e poi entra in relazione con le altre realtà ma si costituisce, fin
dalla sua origine, sempre e necessariamente in relazione con altre realtà. Non
bisogna mai dimenticare di essere costuiti dal mondo intero senza dualismo alcuno!
Non si deve, quindi, voler conquistare il mondo che è, al pari di noi, vuoto di sé e
impermanente! Anche le verità, gli assoluti, i concetti sono anatta e anicca!

Nel buddhismo non è corretto parlare di essere e di non-essere nei termini


dell’originaria contrapposizione occidentale tra essere eterno ed immutabile
(eternalismo) e non-essere altrettanto assoluto (nichilismo), ma che comunque si
possa parlare di essere, cioe di modalita di esistenza delle cose, facendo riferimento
alla nozione di nesso causale. Si introduce qui il secondo elemento portante del
pensiero buddhista, l’idea che tutto cio che esiste lo faccia come prodotto e
condizionato, originato in dipendenza da una serie complessa e ramificata di
interazioni causali. Questo concetto contrasta con coloro che sostengono l’eternita
di un Se immutabile e i sostenitori del totale annichilimento alla morte.
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Buddha trasmette il messaggio che, per cercare di vivere serenamente, bisogna
dar luogo a una intelligenza (prajna) compassionevole (karuna). I più, però,
vivono nell'ignoranza (avidja) dell'egoismo. Ciò perché non si rendono conto che
tutto è relazione essendo ogni cosa, compreso il tanto amato ego, vuota (anatta) e
impermanente (anicca).

Da nessuna parte il Buddha insegnò mai qualcosa a chicchessia. (Nāgārjuna)

U.G. (Uppaluri Gopala Krishnamurti) addirittura dice che Buddha fu il più grande
fra gli impostori.

Ciò che verrà dopo la morte, secondo il messaggio originario del Buddha, nessun
essere umano può sapere che cosa sarà. (Pasqualotto)

L'impossibilità di dire qualcosa circa l'essenza della realtà (che comunque esiste)
è più volte ribadita dai discorsi del Buddha.

La vera salvezza per il buddismo consiste nel non essere più consapevole di se
stesso. E qui, per noi occidentali, casca l'asino e non si rialza mai più! Incominciamo
a chiedere, a chiederci: "Ma chi si salva se io non sono più consapevole?" In questo
ultimo ragionamento c'è sempre un "io" di troppo, un "io" ineliminabile che non
vuole tramontare e mollare la presa!

Gli insegnamenti del Buddha non parlano mai del bene e del male in senso assoluto,
ma, molto più modestamente, di salutare (ciò che fa bene al rapporto) e di nocivo (ciò
che fa male al rapporto perché "proteggendo me stesso proteggo gli altri e
proteggendo gli altri proteggo me stesso. Nella relazione l'interesse è sempre
comune! Questa comunque è per Buddha una verità relativa mentre quella assoluta
prevede anche il superamento dei concetti di "io" e di "altri". (Pasqualotto
interpretato)

L'Hinayana (piccolo veicolo) si sarebbe fermato alla vacuità della persona (la
dottrina dell'anatman) accordando ai dharma un certo grado di sostanzialità che,
invece, il Mahayana (grande veicolo) nega.

La meditazione buddista vuole eliminare la teorizzazione astratta e far emergere il


vuoto non come concetto ma come esperienza. La verità non esiste come scoperta
teorica o atto noetico, ma è lo svelamento intuitivo della natura fondamentale degli
enti. (Pasqualotto)

U.G. dice che il Buddha era il più grande ciarlatano mai esistito.
Se incontri il Buddha, uccidilo!
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Cos'è il Buddha? Merda secca!
E' qui raffigurata una visione del mondo nel quale l’attività concettuale umana non si
costituisce a partire dal fondamento della verità: e ciò in quanto il principio è
l’assolutamente indifferente, vuoto!

Nagarjuna dice che Buddha ha potuto trasformare se-stesso soltanto a causa


dell’interdipendenza e della vacuità di tutte le cose, di tutti i fenomeni.

Buddha da la precedenza all'ortoprassi rispetto alla ortodossia. Ciò significa che


vale molto di più il giusto comportamento che le giuste idee. Agostino invece diceva
che le buone azioni dei pagani non contano nulla.

La più radicale delle versioni sul pensiero del Buddha è quella avanzata da Walpola
Rahula il quale sostiene decisamente che Buddha si espresse negativamente sia nei
confronti dell’atman individuale (jivataman) sia nei confronti di quello
universale (Atman) e trascendentale: infatti il famoso passo del Dhammapada
“Sabbe dhamma anatta” si riferirebbe non solo alle cose o stati condizionati
(samkhara ) ma anche a quelli ritenuti incondizionati, come l’Atman assoluto -
Brahman e il Nirvana ( Nibbana ). Ora, è da notare che la frase “Sabbe dhamma
anatta” non è da tradursi come con “tutti i dhamma non esistono” ma con “tutti di
dhamma sono senza sé”: non è, in altri termini, da scambiare con una negazione
l’affermazione della qualità condizionata di ogni dhamma. Ciò significa che ogni
dhamma– ossia ogni oggetto e aspetto della realtà sia fisica che mentale e, quindi,
anche l’idea di sé personale e Sé metafisico- esistono, ma esistono in forma
condizionata , vale a dire non come realtà autonome, astratte, assolute.

Gli indecidibili di Buddha:


Il mondo è finito o infinito? (di quale mondo stiamo parlando …?) (cosmo-logia)
Cosa succede all'anima dopo la morte? (di quale anima stiamo parlando …?)
(psico-logia)
Esiste o non esiste l'Assoluto (il Thatagata, colui che viene e, allo stesso tempo,
colui che va )? (teo-logia)

Buddha parla delle cose che non ha spiegato:


Se l'universo è eterno o no.
Se l'universo è finito o no.
Se l'anima è la stessa cosa del corpo o no.

Buddha scelse il «Nobile silenzio» come risposta a ogni quesito riguardante la


verità ultima: è infatti possibile parlare delle diverse tappe dell'itinerario di
realizzazione, quando ancora vige l'utile convenzione di distinguere soggetto da
oggetto, individuo da individuo, cosa da cosa, nibbana da samsara. Ma della meta
finale, della verità suprema (paramattha sacca), nulla si può dire, perché qui sia
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l'oggetto raggiunto, sia il soggetto che l'ha raggiunto sono infiniti, non più suscettibili
di alcuna qualificazione, persino di questa che dice «non più suscettibili di alcuna
qualificazione».

Il Buddha sostiene che ciò che noi comunemente chiamiamo "io" o "individuo" è solo
una combinazione di forze e di elementi, mentali e fisici, che cambiano in
continuazione. L'io infatti ha una natura vuota, insostanziale (anatta, senza atman). Le
azioni non sono il frutto della persona ma, viceversa, la persona è il frutto delle
azioni. Comunque ricordiamoci sempre che il Buddhismo non nega in modo
assoluto alcunché. In generale, a proposito dell'atman si può dire che il Buddhismo
delle origini sia pervenuto alla consapevolezza che non se ne può verificare né
l'esistenza e neppure la non esistenza in quanto trattasi di un problema indecidibile. Il
Buddhismo non nega tout-court l'esistenza dell'io, ma nega che esso si possa dare
come sostanza, ossia in modo autonomo, puro, assoluto, in una parola come
semplice «se stesso» (atman).

Gli originari insegnamenti del Buddha non contengono affermazioni né favorevoli né


contrarie all'esistenza di Dio, ma ricorrono a una serie di argomentazioni - che, con
linguaggio moderno, potremmo definire "agnostiche" - circa l'impossibilità, per
l'uomo, di risolvere razionalmente questo problema, al pari di quello relativo
all'immortalità dell'anima e di quello concernente l'infinità del cosmo. In questo
atteggiamento e in questa prospettiva, gli insegnamenti del Buddha risultano
incredibilmente vicini alle posizioni assunte da Kant in quella parte della Critica
della ragion pura dedicata alle antinomie in cui incorre la ragione quanto pretende di
andare oltre i propri limiti. Ricordiamo sempre che il buddismo non nega in modo
assoluto alcunché, al massimo sospende il giudizio (scrive Pasqualotto).

Il buddismo divenne religione solo a partire dal II° secolo dopo Cristo cioè oltre
mezzo millenio dopo la nascita di Buddha.

Nel canone pali, il Buddha attribuisce ad un maestro di una terra lontana di nome
Araka - forse Eraclito (nato però trenta anni dopo Buddha: 566 a.c. contro 535 a.c.) -
il suo stesso insegnamento in merito alla transitorietà di tutte le cose: il mondo è
flusso continuo e impermanente. Buddha non pretende di aver scoperto nulla di
nuovo e originale ma si pone nel solco di una più antica saggezza.

Il processo di condizionamenti reciproci diventa " umanamente" insopportabile se -


come avviene nella maggioranza dei casi - si lascia la mente in balia dei sensi e degli
impulsi, ossia se si lascia che divenga preda dell'ignoranza sempre associata
all'attaccamento. Ma in che consiste l'ignoranza? Essa non coincide, certo, con la
scarsità di nozioni, ma con l'illusione che vi sia qualcosa di sostanziale e di
permanente. Tale ignoranza-illusione crea le premesse perché sorga e si sviluppi
ogni sorta di attaccamento: attaccamento all'oggetto delle sensazioni; attaccamento al
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desiderio di possederlo; attaccamento al desiderio di consumarlo; attaccamento al
desiderio di utilizzarlo in vista di uno scopo; attaccamento allo scopo; e infine, ma
soprattutto, attaccamento all'io come soggetto del sentire, del possedere,
dell'utilizzare e del finalizzare. Così, la mente che ignora la natura insostanziale
(anatta) e impermanente (anicca) della realtà tutta - sia oggettiva che soggettiva -
finisce inevitabilmente con l'attaccarsi a qualcosa che crede autonomo e
permanente. L'ignoranza (avidya) ritiene il soggetto separato e indipendente
dall'oggetto e il pensiero non solo diverso ma anche diviso dall'essere.

Una delle tesi centrali del Buddhismo è quella della negazione dell'idea di atman
(sostenuta invece dai Vedanta), passata alla storia come «dottrina dell'anatta». Il
Buddhismo ritiene che nessun aspetto della realtà, sia materiale che spirituale, può
essere considerato come atman nel senso di "se stesso", ossia come fenomeno
autonomo, irrelato, autosufficiente. Ciò vale anche per l'anima individuale.

La sostanza del buddismo non consiste in un insegnamento teorico bensì nel come si
vive. Per il buddismo non è importante il dogma bensì il come uno vive!

Per il buddismo non è possibile afferrare l'entità personale, dividendola


dualisticamente in soggetto - oggetto. Evitando questa divisione, si arriva a percepire
l'io così com'è, senza limitarlo con il nostro limite. Bisogna oltrepassare il limite di
ogni piccolo "io" arrivando all'unità tra il mio "io" e il mondo esterno: io sono il
mondo e il mondo è il mio "io". Questo lo chiamiamo mu -ga, cioè "nulla - io".
(Shoten Minegishi)

Le quattro Nobili Verità


(Si cerca di percepire la “causa” della sofferenza, visto che il principio è: la
sofferenza non va sopportata, tollerata o accettata, ma va eliminata … e se così non
fosse? E se la sofferenza fosse ineliminabile e, dunque, da sopportare stoicamente?)
1°-DUKKHA- (diagnosi) Si può cogliere il significato di dukkha ricordandosi di
associare sempre l'idea di sofferenza a quella di impermanenza (anicca): ogni
elemento, fenomeno o aspetto dell'esistenza, per quanto stabile possa apparire, si
rivela essere, sempre e comunque, impermanente; e, in quanto impermanente,
produce sofferenza in chi continua, invece, a crederlo permanente. In particolare,
poi, è da notare che se tutto viene riconosciuto e dichiarato impermanente, anche la
sofferenza deve essere riconosciuta impermanente.

2°-TANHA- (eziologia, spiegazione) La seconda delle quattro Nobili Verità è quella


relativa all'origine di dukkha, ossia a tanha (sete, desiderio, brama che può derivare
dal piacere dei sensi, dall'esistere e divenire o dal non esistere annullandosi).
All'origine di ogni forma di brama sta la falsa opinione che vi sia un io separato
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e autonomo come soggetto del bramare; quindi, in definitiva, l'origine ultima di
sofferenza sta in moha (illusione) o avijja (ignoranza), ossia nell'ignorare che non c'è
alcuna sostanza chiamata "io", la quale possa vantare la prerogativa di essere il
centro di ogni attività, compresa quella del bramare.

3°- NIRVANA- (prognosi positiva) La terza Nobile Verità esposta dal Buddha
sostiene che esiste una via alla liberazione dall' onnipotenza di dukkha, un itinerario
verso la cessazione di dukkha, che assume il nome di nibbana (nirvana in sanscrito).
Per ottenere questa liberazione è necessario estirpare la radice principale di dukkha
che, come si è visto, è tanha, il desiderio, la brama. Più in particolare, nibbana è
definibile come estinzione del desiderio (raga), dell'odio (dosa), dell'illusione (moha).
In ogni caso nibbana non va affatto inteso - come spesso è stato fatto da interessati
detrattori del Buddhismo - nel senso di «estinzione del sé», ossia nel senso di
annichilimento dell'io, di distruzione della personalità: per il semplice fatto che non
risulta esserci alcun sé da estinguere, alcun io da sopprimere, alcuna personalità da
disfare. Ancora più sbagliato sarebbe pensare che il nibbana, la condizione di stabile
non-attaccamento, è conseguibile solo dopo la morte: come si è già accennato, il
Buddha ha proclamato la possibilità di ottenerlo in questa stessa vita, se e in
quanto si intraprende, con determinazione e costanza, il cammino che conduce alla
cessazione di dukkha (dukkhanirodha).

4°- OTTUPLICE SENTIERO o SENTIERO DI MEZZO. (la medicina, la terapia) La


quarta Nobile Verità ci spiega di evitare i due estremi: quello della ricerca della
felicità mediante la soddisfazione dei piaceri, e quello della ricerca della felicità
attraverso l'automortificazione, la macerazione e l'ascetismo. Estremi, questi,
contro i quali il Buddha mise più volte in guardia, in quanto egli stesso li praticò
giungendo a conoscerne i limiti e la pericolosità. Il Sentiero di Mezzo viene
designato anche col nome di «Nobile Ottuplice sentiero» (ariya attangika magga), e
raffigurato con l'immagine della ruota a otto raggi. A ciascun raggio corrisponde una
qualità da coltivare. Compassione e saggezza date dalla consapevolezza che ogni
cosa-evento è insostanziale (anatta) e impermanente (anicca) ed esiste solo in
relazione a tutte le altre cose - evento.

Giuste Azioni
1-Non uccidere: nessuna guerra santa buddista.
2-Non prendere ciò che non è dato: diverso da non rubare che implica la proprietà
privata di un io che possiede.
3-Non avere rapporti sessuali illeciti: non fare soffrire alcuno.
4- Non offendere: né con le parole e neppure con i silenzi: in nessun modo.
5- Non assumere sostanze inebrianti: per avere attenzione e concentrazione limpide.
(un po’ sgangherati e approssimativi anche questi comandamenti come quasi tutti
quelli delle varie religioni)

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Viene ribadito il fatto che una buona condotta morale (etica) si accompagna a
un'attività conoscitiva (gnoseologia) corretta, incentrata cioè su capacità di attenzione
e di concentrazione non contaminate.

Chi fa il male lo fa per ignoranza dice Buddha (e anche Socrate). Costui scambia
l'egoismo del'io per la regola della vita e del mondo. E' ancora vittima del velo di
Maia.

La vera natura del Budda è l'Energia cosmica che sostiene ogni cosa-evento
compreso gli infiniti presunti ego.
La caratteristica che determina l'originalità degli insegnamenti del Buddha rispetto a
quelli di altri fondatori di religioni universali: egli non parla come Dio, né come
Figlio di Dio, né in nome di Dio come suo Profeta. Le sue parole nascono da
un'esperienza tutta umana, originata e accompagnata da una riflessione sul
problema del dolore. Buddha, a differenza dell'induismo, pensa che ognuno possa
ottenere l'illuminazione a prescindere dalla classe sociale.

L'originalità degli insegnamenti del Buddha sta nell'atteggiamento non-metafisico -


più che antimetafisico - talmente chiaro e articolato da far supporre che egli abbia
anticipato alcune fondamentali tesi di Kant sui limiti della ragione umana e alcuni
orientamenti di fondo della moderna prospettiva scientifica.

La dottrina buddhista si differenzia dall'induismo perché prende le distanze dal rito


(caste comprese), dal sacrificio e dalle sacre scritture.

I testi buddisti non sono testi sacri, non sono dogmatici e non sono la verità
unica. Essi sono invece il resoconto di esperienze di uomini particolarmente sensibili
e dotati di misticismo e di razionalità allo stesso tempo. Nulla di divino. Nel
Buddhismo infatti non è presupposta l'esistenza di una potenza infinita e
trascendente alla quale l'uomo tenta di congiungersi. Ne, tantomeno, il
Buddhismo ritiene possibile che tale potenza possa assumere la figura, benché solo
immaginata, di persona onnipotente. Da rimarcare che "persona onnipotente" sembra
essere un ossimoro vista l'origine e l'etimologia della parola "persona" che sta ad
indicare prima maschera e poi individuo.

Nel Buddhismo mancano sia la creazione che il giudizio finale.

Ma che cosa è rimasto in comune tra il Budda che raccomanda ai propri discepoli di
essere ciascuno "lampada a se stesso" e la devozione dei tibetani nei confronti del
Dalai Lama?

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Quella di Buddha fu un'impronta laica e individualista che fu mantenuta dalla
corrente Hinayana mentre l'altra corrente, quella Mahayana, pratica la compassione
verso gli altri (ma se l'io è relazione, chi sono gli altri?).
Da rimarcare comunque che Budda è stato l’unico, tra coloro che sono considerati
fondatori di religioni (???), a dichiararsi e comportarsi come puro essere umano.
Oltretutto ha invitato tutti a dubitare di tutto. Lui compreso!

La filosofia del Budda viene chiamata dharma-adharma: la dottrina della non


dottrina.

Buddha non ha mai affrontato alcune questioni che sono: l'anima è mortale o
immortale? Il mondo è finito o infinito? Esiste il tatagata (l'assoluto cioè sciolto da
ogni condizione)? Buddha dice che occuparsi di ciò è perdere tempo come se uno
fosse stato colpito da una freccia e volesse, prima di toglierla, sapere dettagli su chi
l'ha scoccata.

Riassumendo Budda dice (qui non si parla né di dei, né di realtà ultrasensibili):


1) la vita è sofferenza;
2) si soffre perché si desidera;
3) si desidera per ignoranza;
4) si deve vincere l'ignoranza percorrendo l'ottuplice sentiero...di conseguenza, a
ritroso, diminuiranno desiderio e sofferenza!
Concludendo, secondo il buddismo, non vi può essere comportamento
compassionevole [qualità morale] disgiunto dalla consapevolezza
dell’interrelazione di tutte le cose e di tutte le azioni [qualità della conoscenza].
Forse però sarebbe forse meglio dire che l'unica via autentica è quella che ognuno si
traccia da sé come scrive Michelstaedter e come dice anche lo zen.
Te stesso, così come ognuno nell'intero universo, merita il tuo amore e il tuo affetto.
Superamento del Sé che è pura illusione. (Budda)
Occultamento del Sé. (Lao Tzu)
Una sortita fuori dalle mura del proprio Sé...
Il buddismo risale dietro i concetti generali fino al concepire stesso e raggiunge la
redenzione del mondo nell'estinzione del concepire.

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Buddha dice che il suo insegnamento è come una zattera che serve per attraversare il
fiume della vita. Una volta arrivati dall'altra sponda la zattera va abbandonata e non
portata sempre con sé. Noi occidentali invece abbiamo religioni dogmatiche i cui
insegnamenti sono sacri e inviolabili e non vanno mai abbandonati.
Budda è solo un uomo e non si proclama nemmeno profeta. Dice: "Fate bene ad avere
dei dubbi. Non credete ai testi sacri. Non credete troppo alla logica e alla inferenza.
Infine e soprattutto non date troppo ascolto al vostro maestro". Non c'è verità
assoluta. La mente umana è limitata e non può spiegare se il mondo è finito o
infinito, se l'anima è mortale o immortale, se l'Assoluto esiste o non esiste.
Chiesero al Buddha: "Esisterai dopo la morte"? Rispose: "No, non ci sarò più.
Scomparirò dall'esistenza come una fiamma che si estingue. Vi chiedete forse dove
sia andata una fiamma, una volta spenta? Essa si estingue, svanisce".
L'attaccamento (raga) alle cose del mondo è samsara (illusione) mentre il lasciar
scorrere gli avvenimenti del mondo (vivendoli senza rimanerci aggrappati) è nirvana.
Tutto qui, senza peccati e redentori.
Línjì Yìxuán (?-866), uno dei maestri più rilevanti e originali della storia del Chán,
usava esortare: «[s]e incontrate il Buddha, uccidetelo!». Infatti il punto è vedere la
realtà così com’è, non copiare pedissequamente il Buddha o seguire il proprio
maestro. Cioè si tratta di riuscire a vedere la realtà «spoglia di tutte le sovrastrutture
che l’occhio umano attribuisce alle cose (e a se stesso). In questo modo, cercare il
Buddha significa perderlo, cercare il Dharma significa allontanarsene. Il Buddha e il
Dharma non sono che nomi che gli uomini danno, non la vera realtà». Perfino l’idea
della buddhità e del Buddha non sono che degli impedimenti se si vuole percorrere la
Via più autentica.

Nel buddismo l'universo viene inteso come una rete infinita di interconnessioni
reciproche tra elementi. Stessa cosa accade nelle teorie di alcuni fisici qauntistici:
Heisenberg e Stapp, ad esempio.

In molti testi buddisti, così come nella meccanica quantistica, l'osservatore stesso è
inteso come uno degli elementi della rete e non più come osservatore esterno, quasi
un Kosmotheoros!

Il buddismo, dunque è in sintonia profonda con la moderna fisica. Lo è però anche


con parte della filosofia del novecento: Bergson, Husserl, Whitehead, Fromm.

Durante il medioevo circolò in Europa un testo del settimo secolo intitolato Vita
bizantina di Barlaam e Josafat scritto da un monaco del monastero di S. Saba in
Palestina. Una altra fonte parla invece di La Storia di Barlaam e Ioasaf, composta tra
la fine del X e l’inizio dell’XI secolo da Eutimio di Iviron, un aristocratico ostaggio
65
circasso educato all’alta cultura dei palazzi di Costantinopoli e diventato poi monaco
sul Monte Athos. In tale testo, comunque, si afferma che Buddha (Josafat o Joasaf)
era un martire cristiano santificato dalla Chiesa. In seguito la qualifica di Santo gli
venne revocata; come accadde anche a San Giorgio.

C
-CAMPO QUANTISTICO ***

La speculazione filosofica contemporanea ritiene che il vuoto non rientri nel


campo dell'indagine filosofica e lo lascia agli studi della fisica che,
reinterpretando la materia come forza e il vuoto come
un campo "potenzialmente attivo", ha abbandonato del tutto l'antica concezione
del vuoto. Secondo infatti la teoria dei campi, il vuoto "fisico" non significa
assenza di essere, il non essere degli eleati, ma è una realtà potenzialmente
attiva, nel senso che è un vuoto che vive e che s'inserisce nel processo continuo
della creazione e distruzione della materia.

La vecchia idea del vuoto, che lo assimilava a puro spazio, al nulla, è essa pure
cambiata. Dopo aver creato, negli anni trenta e quaranta, la teoria quantistica
relativistica dei campi, i fisici cessarono di concepire il vuoto nei termini tradizionali
Il vuoto, lo spazio in realtà sono fatti di particelle e antiparticelle che spontaneamente
si creano e si annichilano. (Pagels)
Il tutto non è altro che un campo di energia. In alcuni posti il campo energetico è
più compatto e ci appare come materia, in altri punti il campo è meno compatto e ci
appare come aria. Ma è un unico campo di energia. Concetti simile viene espresso
nel taoismo a proposito di anima e corpo
La gravita quantistica a loap ci dice che esistono atomi di spazio-tempo che sono
quindi quantizzati e probabilistici. Questi atomi di spazio-tempo sono separati ma tra
loro non esiste niente, neppure il vuoto. Questa teoria cancella anche il mitico Big
Bang e, come origine dell'universo, si pensa a una oscillazione, a una contrazione
dell'universo stesso seguita da una espansione, quasi un respiro cosmico.
Il vero Sé coincide con la dimensione del predicato e non con quella del soggetto;
coincide per esempio con la dimensione verbale del “vedere” e non con la
soggettività che pretende di esserne protagonista. Il vero Sé è piuttosto una sorta di
campo impersonale e universale di consapevolezza; di volta in volta esso si
specifica in ego o atti particolari.

66
Il termine platonico chōra: (“matrice, ricettacolo”) non è forma né materia. Anche il
basho di Nishida non è forma né materia; anzi, è proprio un dispositivo nel quale si
risolvono e cadono simili opposizioni. La dimensione antinomica che lega-e-separa io
e mondo, interno ed esterno, visibile e invisibile viene al contempo assunta e sciolta
per ciò che possiede di contrastivo, di inconciliabile, di incomponibile. Le
opposizioni elementari non vengono cioè eliminate né rimosse, ma trasformate in
opposizioni relazionali, complementari. Non si tratta di affermare o negare in modo
assoluto uno o l’altro dei termini in opposizione; né si tratta di sussumere
l’opposizione in un momento superiore, che dialetticamente assorbe e porta a verità i
due momenti contrastanti. “Luogo” è il campo tensionale nel quale le dicotomie
appaiono, ma in cui anche si sciolgono, vengono liberate dalla loro contraddittorietà
in quanto riassorbite in quello sfondo che le avvolge. La loro identità sostanziale
sfuma, viene assorbita nel processo relazionale che evidenzia invece la dinamica
compositiva che lega le identità l’una all’altra. Il campo in cui i fenomeni si danno
li rivela a se stessi come non-sostanziali, ovvero come aperti alle infinite relazioni
che li aprono al contatto con l’alterità e non li chiudono in una identità metafisica. Il
“luogo del nulla assoluto” lascia intendere ogni fenomeno non nella sua astratta
separatezza, nella sua presunta identità sostanziale, bensì nella sua costitutiva e
generale apertura alla ulteriorità che lo circonda e lo attraversa, nella non-
ostruzione (li shi wuai)che lo collega a tutto ciò che in apparenza “non è” quello
stesso fenomeno, ma che lo costituisce di fatto nel suo differenziarsi da esso.

Il campo quantistico è un campo che può assumere la forma di particelle subatomiche


e delle loro interazioni superando così l'antica dualità fra spazio e materia (ove
le particelle solide che si muovono nello spazio). Il campo quantistico è visto come
l'entità fisica fondamentale: un mezzo continuo presente ovunque nello spazio anzi,
per meglio dire, il campo è lo spazio. Le particelle subatomiche sono soltanto
condensazioni locali del campo quantistico, concentrazioni di energia che vanno
e vengono perdendo il loro carattere individuale e dissolvendosi nel campo
soggiacente ad esse.

Noi possiamo considerare la materia come costituita dalle regioni dello spazio nelle
quali il campo è estremamente intenso diventando la sola realtà. La concezione delle
cose e dei fenomeni fisici come manifestazioni effimere di una entità
fondamentale soggiacente non è solo un elemento di fondo della teoria dei campi,
ma anche un elemento basilare della concezione orientale del mondo.

Come i fisici anche i pensatori orientali considerano questa entità soggiacente e tutte
le sue manifestazioni fenomeniche che sono transitorie e illusorie. L'unica differenza
consisterebbe nel fatto che il campo quantistico spiegherebbe solo alcuni fenomeni
fisici mentre per il pensiero orientale ricondurrebbe ogni fenomeno alla sua essenza
che sarebbe al di là di tutti i concetti e di tutte le idee.

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I fisici, ed Einstein in particolare, cercarono di unificare i vari campi in un unico
campo onnicomprensivo senza riuscirci. Il pensiero orientale ha invece le sue
certezze: Il Brahman degli Indù, il Dharmakāya dei Buddisti, il Tao dei Cinesi
possono essere visti come il campo unificato fondamentale da cui nascono non solo i
fenomeni studiati in fisica ma anche tutti gli altri fenomeni.

Nella concezione orientale, la realtà soggiacente a tutti i fenomeni trascende tutte


le forme e sfugge a tutte le descrizioni e specificazioni. Di essa, perciò, si dice
spesso che è senza forme, vacua e vuota. Ma questa vacuità non deve essere presa per
semplice non-essere. Essa è, al contrario, l'essenza di tutte le forme e la sorgente di
tutta la vita. I Buddisti esprimono l'idea del vuoto o vacuità con il termine Śūnyata
che significa un vuoto vivo che da origine a tutti gli enti del mondo fenomenico. I
Taoisti attribuiscono una analoga creatività, immensa e incessante, al Tao che
anch'essi indicano come vuoto: "Il Tao dei cieli è vuoto e senza forma". Quindi ha la
possibilità di contenere una infinità di cose. Dunque un vuoto con un potenziale
creativo infinito.

Come il campo quantistico, il vuoto genera una infinita varietà di forme che sostiene
e, alla fine, riassorbe. Le manifestazioni fenomeniche del vuoto, come le particelle
subatomiche, non sono statiche e permanenti ma dinamiche e transitorie; entrano
nell'esistenza e svaniscono in una incessante danza di energia: "Da dove viene la vita
degli esseri, la anche si compie, secondo una legge necessaria; poiché tutti debbono
pagare reciprocamente il fio e l'ingiustizia nell'ordine del tempo" scrive
Anassimandro nel sesto secolo avanti Cristo. Essendo manifestazioni effimere del
campo quantistico o del vuoto, le cose in questo mondo non hanno alcuna
identità di fondo. Anche il tanto amato Ego pare essere una semplice onda sul mare
senza reale esistenza propria.

Oppure possiamo anche pensare all'Ego come a una particella subatomica elementare
che non è nient'altro che una momentanea concentrazione di energia in una parte
del campo di appartenenza senza però essere distinta dal resto del campo.
Oppure possiamo ancora paragonare l'Ego al concetto taoista di ch'i che è l'energia
vitale, un campo di energia. Quando il ch'i si condensa ci appare come cosa visibile e
allora ci sono le forme. Quando si rarefà, la sua visibilità si annulla e allora non ci
sono le forme. Vuoto e forma interagiscono incessantemente generandosi a
vicenda: coesistono e cooperano essendo due aspetti della stessa realtà.

Il vuoto non è non-essere ma contiene la potenzialità di tutte le forme del mondo.


Queste forme, a loro volta, non sono entità fisiche indipendenti, ma soltanto
manifestazioni transitorie del vuoto, del campo soggiacente ad esse.

In fisica il campo è un insieme ove si fondono spazio e tempo, energia e materia,


causalità e casualità, osservatore e osservato. Lo spazio non è più qualcosa di diverso
dalla materia! 68
L'antico pensiero orientale si occupa stranamente anche del "campo". Si legge infatti
nella Bhagavad Gita (Il canto del Beato testo del terzo secolo prima di Cristo):
<<Sappi innanzi tutto che per conoscere veramente il campo, ovvero il mondo
naturale, non basta solo ascoltare il processo di una miriade di cose che lo
compongono. Per capire la natura stessa è necessario conoscere la consapevolezza
umana. Conoscere qualcosa significa essere consci di questa […] Ma anche il
sistema nervoso stesso fa parte della natura; ciò che tu usi per conoscere il mondo, la
natura, è anch'esso natura. Così ciò che viene conosciuto non può davvero essere
separato dal suo conoscitore>>. Balzano all'occhio soprattutto le vistose affinità con
il pensiero di Merleau-Ponty che non si stanca mai di ripeterci che noi ne siamo del
mondo e che conoscitore e conosciuto sono vicendevolmente avvolti.

-CAOS-COSMOS***

Il Χάος è, per la Teogonia di Esiodo, l’entità primigenia in assoluto, il dio più


antico, e non può che essere uno ‘spalancamento senza margini’, un baratro infinito,
uno spazio immenso privo di sponde, perche, altrimenti, margini e sponde
sarebbero anteriori o almeno coetanei: avremmo allora due entità primarie, non una:
le sponde e l’interstizio fra loro. E le sponde del caos non potrebbero che essere
terreno, cioè Terra, che invece Esiodo dice subito di seguito essere nata in un secondo
tempo dal Caos stesso. Dunque il caos è, per Esiodo, vuoto o, quasi, il nulla (il
baratro infinito, appunto! nella accezione negativa dell'horror vacui?). Aristotele però
interpreta il caos come spazio vuoto riempito poi dalla terra e dal cielo.

I nostri concetti di ordine e disordine sono antropomorfici e dualistici.


Da sempre l'uomo cerca IL CODICE che ha permesso il passaggio dal CAOS al
COSMOS. Ebbene quel codice, forse, è l'uomo stesso!
Gli uomini chiamano disordine ciò che non riescono a capire perché non corrisponde
ai loro schemi mentali.
L'espressione caos deterministico è, in un certo senso, una contraddizione in termini.
Però illustra un tipo di comportamento molto affascinante, equidistante sia dal caos
assoluto che dal determinismo assoluto. Proprio li dove accadono le cose interessanti.
E' un comportamento irregolare, ma che segue regole definite. Parzialmente
prevedibile, parzialmente imprevedibile, ma con norme e strutture di fondo: come la
vita stessa!

L'entropia di un sistema chiuso macroscopico, quale è l'universo, misura il suo


disordine. Essa evolve da stati a bassa entropia a stati ad alta entropia (e non
viceversa). Insomma aumenta il caos. Il mondo non va dal disordine all'ordine ma
viceversa.
69
Quel battito d'ali sul computer del metereologo Lorenz nel 1961 ha segnato una delle
più grandi, se non la più grande frattura epistemologica nella fisica di questo secolo.
Perché avrebbe sconfitto definitivamente il determinismo e la causalità rigorosa della
meccanica classica, dimostrando sul campo che l'evoluzione dei sistemi dinamici
non lineari e comunque dei sistemi divergenti, cioè di gran parte dei sistemi che
operano nel mondo macroscopico, è imprevedibile: lo scorrere di un fiume, il meteo,
l'economia, il sistema solare, la vita stessa e quant'altro.

Il passaggio dal Kaos al Kosmos forse non è mai avvenuto, se non nella mente
umana. La sostanza dell'Essere è, forse, il Kaos dove appaiono i tratti dell'Infinito e
dell'Assoluto prima che la coscienza cerchi di ricondurli al Kosmos.
Il caos resta caos anche lo chiami cosmos. Noi, forse, chiamiamo ordine ciò che non
lo è.
La contraddizione interna ad ogni sistema: concordanza discorde, armonia
dissonante, cosmico caos.
Le leggi di Keplero, Galilei, Newton sono formule matematiche che cercano di
descrivere il mondo senza riuscirci fino in fondo (approssimazione poi corretta da
leggi seguenti). Lo stesso Einstein sosteneva (semplificando) che nessuna formula
matematica potrà mai descrivere la realtà. Noi uomini vogliamo l'ordine (cosmos)
perché temiamo il disordine (caos).
"Nell'universo in cui viviamo tutto procede spontaneamente verso il disordine, la
perdita di ordine e di organizzazione" dice Edoardo Boncinelli che continua : "Ogni
essere vivente crea ordine localmente e temporaneamente ma a spese di un aumento
della disorganizzazione di ciò che lo circonda, in modo che il saldo totale è sempre
comunque a favore di un aumento del disordine".
L'ego è un cosmo che si auto ritiene individualizzato così come un fiocco di neve
è acqua individualizzata.

-CARTESIO***

Si può dubitare di tutto, ma non del fatto che dubito, ossia, dice Cartesio, che esiste
un io che dubita. E no! L'io è di troppo, caro Cartesio. Esiste il dubbio: questa era
l'unica conclusione possibile nella logica.
Cartesio dubita per affermare l'io mentre Buddha insegna a dubitare anche dell'io.
Cogito ergo sum? Oppure "penso di pensare" o meglio ancora "il pensiero è proprio
mio?". Buddha, al proposito, sviluppa un discorso complesso che non azzera la
realtà dell’io ma nega che esso si possa dare da solo, autonomo, assoluto. L'ego è
invece relazione! L’io che dubita di tutto non ha consistenza se non nella sua attività
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dubitante, ossia non esiste che in rapporto a ciò di cui dubita. L’essere coscienti non
si da mai come attività isolata, ma implica sempre, necessariamente, l’essere
coscienti di qualcosa. Ciò significa che l’io in se può essere frutto solo di astrazione:
di fatto esso si mostra sempre come realtà di funzioni relazionate. Quindi nessun
nichilismo buddista.
Cartesio avrebbe, forse, dovuto a limitarsi ad un semplice: esiste il pensiero, esiste il
dubbio. Chi è infatti che "cogita"? Io? Io chi? Forse l'io è solo una convenzione
sociale utile per lo sviluppo e la crescita dell'uomo sia come specie (filogenesi) e sia
come individuo (ontogenesi). Ma pur sempre una convenzione sociale.
Cartesio fonda l'IO con la famosa frase "cogito ergo sum". Cartesio fonda la filosofia
dell'io: il centro è fissato nell'ego e non in qualche cosa di trascendente o immanente
ad esso esterno. Esiste questo io? Mostramelo, se puoi! Noi, forse, siamo solo il
frutto di infinite relazioni.
L'io che dubita di tutto non ha consistenza al di fuori della sua attività
dubitante, ossia non esiste se non in rapporto a ciò di cui dubita. In termini
gnoseologici più semplici: l'essere coscienti non si dà mai come attività "pura ",
isolata, ma implica, sempre e necessariamente, l'essere coscienti di qualcosa, al
punto che non è mai possibile rintracciare né un luogo né un momento in cui essa
esista in sé e per sé. Si può essere coscienti non solo di oggetti o di eventi, ma anche
di idee, di teorie e di stati d'animo, ma in ogni caso la coscienza dovrà sempre avere
un contenuto, concreto o astratto che sia. Ciò significa che l'io come realtà in sé può
esser frutto solo di astrazione: di fatto esso si mostra sempre come realtà
"implicata" , come fenomeno costituito di funzioni relazionate. L'io, come il profumo
di un fiore, esiste, ma esiste come realtà condizionata, non come sostanza in sé e per
sé.

La separazione operata da Cartesio e la concezione meccanicistica del


mondo hanno portato nello stesso tempo benefici e danni; si sono rivelate
estremamente utili per lo sviluppo della fisica classica e della tecnologia, ma
hanno avuto, forse, conseguenze nocive per la nostra civiltà. 

Il Dio orologiaio di Cartesio che, una volta azionato il meccanismo cosmico, si mette
in disparte.

Cartesio scrive:<<non accogliere come vero se non ciò che è evidentemente tale, cioè
ciò che è "chiaro e distinto">>. Chiaro e distinto per chi? Questo è il tranello in cui
non si accorge di cadere Cartesio. Infatti non esiste un chiaro e distinto assoluto, a
prescindere da una mente che valuti queste due qualità. E ciò che è chiaro e distinto
per una certa visione prospettica non lo è per un'altra visione prospettica.
Cartesio agiva ancora sicuro di un mondo ove il soggetto distaccato valuta e giudica
71
le mere cose in base a idee chiare e distinte. Siamo ancora nel campo del
Kosmotheoros cioè colui che osserva il mondo dall'esterno quasi fosse un dio. In
realtà noi ne siamo del mondo e non potremo mai vederlo dal di fuori. Non c'è più un
puro soggetto che osserva un mero oggetto ma chiasma, avvolgimento reciproco fra i
due.
Nietzsche invita ad essere "più prudenti di Cartesio che rimane imprigionato nella
trappola delle parole".
-CASO -NECESSITA'***
La necessità del caso.
L'essere del divenire.
L'unita del molteplice.
(Nietzsche)
Il caso (tùkè) e la necessità (anankè): nulla di più inconciliabile, sembrerebbe, a
prima vista. Infatti il caso non ha regole mentre la necessità tutto costringe.
Eppure, alla fine, sono le due facce della stessa medaglia, come spesso accade. Per
spiegarci meglio facciamo un esempio semplice. All'inizio di ogni partita di calcio
l'arbitro lancia una monetina per stabilire chi sceglierà il lato del campo in cui
giocare. Ovviamente potrà uscire testa o croce. Nessuno lo può sapere essendo questo
un dominio del puro caso. Ma lo stesso lancio di monetina avviene in molti,
moltissimi altri stadi di calcio: in serie A, B, C, dilettanti, amatori, giovani, etc. etc. E
ciò va esteso a tutti gli stadi del mondo arrivando quindi a interessare migliaia e
migliaia di diversi avvenimenti. Ecco allora che il caso lascia il posto alla necessità.
Infatti siamo quasi sicuri che, su tanti eventi, la metà delle volte uscirà testa e l'altra
metà delle volte uscirà croce. Dunque il puro caso (senza legge alcuna) riguarda il
singolo evento o i pochi eventi mentre la necessità riguarda i grandi numeri. I due
presunti nemici non sono però così diversi come poteva sembrare a prima vista. E ciò
vale, forse, per molti altri dualismi: materia e spirito, bene e male, vero e falso, essere
e non essere, etc. etc. …
Il Caso, come è inteso da me, è un principio a sé, dato dalla osservazione, ed è
essenziale alla spiegazione della formazione naturale: ed è un principio, che non
contraddice punto quell’altro, pure sperimentale, della necessità. Si abbina con esso,
come, ad esempio, il principio della gravità dei corpi si abbina coll'altro della
dilatabilità loro per effetto del calore. E da ciò consegue, non solo che l’affermazione
del Caso non importa la negazione della necessità, ma anzi che il Caso stesso va
concepito come necessario. (Ardigò)

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La necessità del caso! (Ardigò, positivista, afferma che esistono solo i fatti e
Nietzsche, prospettivista, afferma che esistono solo le opinioni).
Secondo Nietzsche la necessità meccanica non è un fatto: la necessità non è un fatto
ma una interpretazione. Infatti siamo stati noi a introdurre questo concetto
interpretando l'accadere come conseguenza di una necessità che impera al di sopra
dell'accadere. Ciò perché abbiamo pensato ad autori delle cose e non a una rete di
relazioni fra eventi.
"Per caso" - questa è la più antica nobiltà del mondo, che io ho restituito a tutte
le cose, io le ho redente dall'asservimento allo scopo. Lasciate che il caso venga a
me: egli è innocente, come un fanciullino. (Nietzsche)

Secondo la teoria evolutiva che Monod ratificherà in biologia molecolare nel 1964 il
caso innova e la necessità conserva.
Il caso, in quanto perturbatore, negatore delle leggi, del destino, della ragione ideale,
è eminentemente il “distruttore” di “ciò che c’è” e di ciò “che vale”. Ciò perché la
costanza della necessità (la causalità lineare) è ogni tanto rotta da un metaforico
irrompere del caso che sovverte tutto, trasforma, fa essere ciò che non c’era prima. Il
caso è l’irriverente per eccellenza, la bestia nera di tutte le teologie, l’intruso che
bisogna nascondere e negare. Nel migliore dei casi è antipatico, turba, fa paura e in
qualche caso terrorizza. (Tamagnone)
Il caso contro la ragione? Sicuramente contro la ragione di Parmenide, di Platone, di
Aristotele, degli Stoici, di Plotino, di San Tommaso, di Cartesio, di Spinoza, di
Leibniz e di Hegel! Ma in perfetto accordo con la ragione scientifica del XXI secolo.
Nel determinismo si sostiene che nei processi c’è “esclusivamente” necessità: il
caso viene esluso. Nell’indeterminismo c'è invece coesistenza del caso e della
necessità. La scienza del XX° secolo ha dimostrato, nei vari ambiti della realtà, che
l’indeterminismo esiste, ed è l’agente di tutti i processi innovativi dei sistemi atomici
e molecolari inorganici fino a quelli biologici e genetici.
Il grande matematico e filosofo del secolo scorso Bruno de Finetti afferma che
l'incertezza non è eliminabile: possiamo diminuirla ma non farla sparire e
dobbiamo, quindi, accettarla come compagna della nostra vita. Ovviamente il duce
del fascismo non gradì!
-CATEGORIE ***
Le categorie sono l'attribuzione di un predicato ad un soggetto: l'erba è verde.
Per Aristotele le categorie sono i gruppi o i generi sommi che raccolgono tutte le
proprietà che si possono predicare dell'essere. Sono i predicamenti dell'essere, che
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si riferiscono a qualità primarie (le essenze immutabili degli oggetti), o secondarie
(gli accidenti che possono cambiare). Le categorie sono in tutto dieci: la sostanza,
la qualità, la quantità, la relazione, il dove, il quando, il giacere, l'avere, l'agire, il
subire. Ogni elemento della realtà può essere fatto rientrare in una di queste categorie.
Ne consegue che le categorie di Aristotele hanno un valore oggettivo, perché si
riferiscono a degli enti concreti. I nostri giudizi le adoperano non soltanto secondo un
rapporto puramente logico tipico del sillogismo, ma riunendole grazie alla
capacità intuitiva di cogliere le relazioni effettivamente esistenti tra gli oggetti
reali. Con Aristotele siamo ancora nel paradigma ove la mente cerca di descrivere la
realtà e, cioè, è la mente che si adegua alle cose, ai fenomeni.
Con Kant avviene la rivoluzione copernicana. Infatti è il mondo fenomenico che si
adegua ai principi a priori della sensibilità (spazio e tempo) e alle categorie
dell'intelletto (quantità, qualità, relazione e modalità). Con Kant non stiamo più
parlando delle categorie dell'Essere ma di categorie dell'intelletto.
Dilthey afferma che le categorie formali (Aristoteliche e kantiane) sono fondate
sulla ragione mentre quelle reali (Diltheyane) sono fondate sulla connessione
vitale stessa, sulla relazione. Le categorie di cui si servono le Scienze dello Spirito
non sono date a priori ma dipendono dal loro stesso oggetto. In conclusione le
categorie formali sono proiezioni di quelle reali mentre la genesi delle categorie della
vita è interna alla vita stessa che è connessione, relazione dinamica. Risulta
evidente la centralità e la fondamentale importanza della CONNESSIONE, della
RELAZIONE in queste affermazioni dilteyane. La vita esiste come relazione di un
tutto con le sue parti e il significato è la categoria più comprensiva sotto cui può
essere colta la vita.
Ogni domanda che ci facciamo sull'essere è una domanda interna all'essere.
Aristotele, Kant e altri filosofi elencavano le categorie presumendo di farlo dal suo
esterno. Noi però, secondo Merleau-Ponty, siamo consapevoli che "nessuna risposta
può dissipare il mistero del nostro rapporto con l'essere".
Dopo la rivoluzione copernicana di Kant abbiamo anche la rivoluzione della
rivoluzione fatta da Kitaro Nishida che dice: "non è che essendoci il singolo
individuo c'è l'esperienza, ma essendoci l'esperienza c'è il singolo individuo".
Questa affermazione fa il paio con quella di Nietzsche: "l'io non è il proprietario
del pensiero ma è un pensiero fra i tanti".
Abbiamo iniziato con Aristotele che cerca di descrivere l'Essere e finiamo con
Nietzsche che nega la sostanzialità autonoma dell'io grazie a un approccio
assimilabile al buddismo ove la relazione è essenziale!

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-CATTIVERIA***
Secondo il dizionario la cattiveria è l'attitudine a offendere, a fare del male.
Deuteronomio, 2:33-34 – Sotto la guida di Dio, gli israeliti sterminarono
completamente gli uomini, le donne ed i bambini di Sicon. – “Non vi lasciammo
nessuno in vita.“
Deuteronomio, 20:16 – “Nelle città di questi popoli che il Signore, il tuo Dio, ti dà
come eredità, non conserverai in vita nulla che respiri.”
Deuteronomio, 28:53 – La punizione di Dio per i disobbedienti prevedeva che questi
mangiassero “il frutto del proprio seno, le carni dei propri figli e delle proprie figlie.“
Matteo, 5:17 – “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son
venuto per abolire, ma per dare compimento.” – Gesù appoggia gli omicidi di massa,
gli stupri, le schiavitù, le torture e gli incesti descritti nel Vecchio Testamento?
Senti che puzza, scappano anche i cani. Sono arrivati i napoletani. (Salvini)
OFFENCE BEST DEFENCE !!! E' forse questo il nuovo Vangelo?
«Ma mai nessuno che se la stupri (rivolto a Cecile Kyenge allora ministro della
Repubblica), così tanto per capire cosa può provare la vittima di questo efferato
reato? Vergogna». L’invito choc è arrivato da Dolores Valandro! (Lega Nord)

La segregazione produce rabbia, l'odio chiama odio. Ce ne scordiamo sempre quando


cacciamo gli stranieri di casa, quando neghiamo loro la sopravvivenza.
La cattiveria è degli sciocchi, di quelli che non hanno ancora capito che non vivremo
in eterno. (Merini)
La cattiveria umana, che è grande, si compone in gran parte di invidia e di paura.
(Maurios)
L'onesta malvagità cristiana. (Kierkegaard)
La triste verità è che molto del male viene compiuto da persone che non si decidono
mai ad essere buone o cattive. (Arendt)

La cattiveria è un difetto? Quasi tutti rispondono di si. Però si riferiscono


sempre alla cattiveria degli altri e mai alla propria che viene o ignorata o
giustificata. I cattivi sono sempre e solo gli altri! Invece bisognerebbe sempre
partire da una serena e profonda autocritica sia a livello individuale che a quello
sociale di appartenenza: religione, partito, paese d'origine, pensiero in generale e
quant'altro!
Forse hanno ragione Buddha, Socrate e altri grandi del passato che attribuiscono la
cattiveria egocentrica all'ignoranza? Più sono stupidi epiù sono cattivi?
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La cattiveria nasce da sentimenti negativi come la solitudine, la tristezza e la rabbia.
Viene da un vuoto dentro di te che sembra scavato con il coltello, un vuoto in cui
rimani abbandonato quando qualcosa di molto importante ti viene strappato via. (Ryū
Murakami)

Volevamo combattere i cattivi. [...] Se per caso in questo mondo ci fossero stati
cattivi, noi li avremmo combattuti. Li avremmo combattuti con i pugni alzati. Di
quello ero certo. Ma i cattivi non esistono. Il mondo è pieno di complessità e non
esistono cattivi che si riconoscono così, a occhio nudo. È una cosa penosa e
drammatica. (Tatsuhiro Satō)

-CAUSA-EFFETTO***

La relazione cosmica
Tutto è interconnesso
Ogni cosa è causata da tutte le altre
E causa tutte le altre essendone anche effetto.

C'è una causa per ogni cosa? Perché cercare le cause? L'idea di una causa unica è
illusoria. Tutto è la causa di ogni cosa e di tutto essendo tutto in relazione con
tutto. (Nisargadatta Maharaj)

Secondo Kant, in pratica, le cose che accadono non sono tra loro in un rapporto di
causa-effetto. È, piuttosto, la nostra mente che individua questa relazione. È la
nostra mente che, quando vede un fenomeno, va subito a ricercarne la causa.

Il mondo segue davvero il principio di causa-effetto, dunque, o questa è solo una


creazione della nostra mente? Nessuno può dirlo, secondo Kant. Il rapporto di causa-
effetto, come tutti i rapporti tra fenomeni, è di fatto, però, un nostro modo di
interpretare la realtà.

Hume dice che il principio di causa-effetto trae origine solo dall'abitudine.


Dio stesso sarebbe originato dal nostro concetto di causa-effetto. Infatti, poiché per
esempio, per costruire un vaso serve una causa efficiente cioè un demiurgo, un
artigiano, si è ritenuto che per fare il mondo sia servito un dio quale agente invisibile.

Nietzsche osserva che quello di causa-effetto è un concetto pericoloso finché si pensi


a qualcosa che causa e a qualcosa su cui si produce un effetto. La sua riflessione lo
porta così a considerare il valore puramente illusorio della stessa nozione di soggetto
agente visto che trattasi di una mera finzione. Assieme a tale nozione occorre
naturalmente abbandonare anche quella di oggetto sul quale si produrrebbe l'effetto.

76
Soggetto - oggetto e causa - effetto sono comodi concetti umani che, però, non sono
reali. Nella realtà esistono infatti solo molteplici relazioni prospettiche.
Causa e effetto non sono nel mondo ma nella mente che vuol spiegare, vuole capire.
Come si può, chiederebbero i Vedici Induisti, difendere l’idea che la causalità
governi il mondo fenomenico mentre simultaneamente si sostiene che non c’è alcuna
misurabile transizione temporale dalla causa verso l’effetto, come i Buddisti
sembrano sostenere?
La visione di Laplace della possibilità di calcolare tutto il futuro del mondo fisico in
base a un insieme esauriente di dati sullo stato attuale è un'espressione estrema del
determinismo. Tuttavia questo ideale razionale di determinismo matematico basato
sull'idea di causa subì una graduale erosione nel confronto con la realtà fisica. I
fenomeni non lineari, la teoria quantistica e l'avvento dei potenti metodi numerici
hanno mostrato che i problemi ben posti sono ben lungi dall'essere i soli a riflettere i
fenomeni reali. (Hilbert)
Siamo stati dominati per secoli dal determinismo, dalla previsione quasi scontata di
ciò che è il mondo, di ciò che è il suo costruttore immaginario, aprendo lo scenario ad
un cosmo regolato solamente da una catena di cause ed effetti. Crediamo che non sia
possibile che certi effetti non implicano alcuna causa, la meccanica del nostro
universo ci appare tutta prevedibile come se non esistesse niente che non possa essere
compreso attraverso una computazione classica (vi ricordate di Laplace?). Eppure,
accanto alla causalità si affianca la casualità, ciò che avviene per caso, rispetto a
ciò che è prevedibile. “La teoria dei quanti prende atto di questa indeterminazione: la
sua conseguenza diretta è l’imprevedibilità … Il fattore quantico, però, rompe la
catena delle cause: e fa si che si diano effetti prive di cause.
Il filosofo cattolico Vittorio Possenti afferma che il caso non esiste essendo
semplicemente il prodotto da cause a noi è sconosciute. Ciò corrisponde al pensiero
di Einstein, di cui Possenti è ammiratore. Ma la meccanica quantistica non ha questa
visione del mondo affermando che il caso, senza cause, è insito nella natura delle
particelle subatomiche. Casualità che Einstein, sempre convinto dell'armonia cosmica
di pitagorica memoria, non volle mai accettare.

Causalità, tempo e spazio sono prodotti della mente umana. Nell'Assoluto non
esistono.

La teoria quantistica richiede una sorta di principio di causalità temporale inversa, in


quanto l’osservazione effettuata oggi può in qualche modo determinare la realtà
del passato remoto. Così scrive a questo proposito il fisico John Wheeler: ‘la fisica
quantistica dimostra che ciò che l’osservare farà in futuro definisce ciò che accade
77
nel passato, che può essere remotissimo e precedere anche la comparsa della vita.
Wheeler qui attribuisce alla mente (l’osservatore ) un ruolo fondamentale e collega
l’esistenza della mente nelle ultime fasi dell’evoluzione cosmica alla creazione
stessa dell’universo. John Wheeler ammette l’ipotesi: che la decisione
dell’osservatore di determinare un mondo ibrido potrebbe così venir dopo che quel
mondo stesso ha preso ad esistere!

-COLPA -NEMICI***
La mente umana tenta sempre di buttare la responsabilità su qualcun altro. Se
sei arrabbiato, lo sei perché qualcuno ti ha insultato: lui ha creato la tua rabbia. Se sei
triste, qualcuno ti rende infelice e triste. Se sei frustrato, qualcuno ti mette i bastoni
tra le ruote. È sempre responsabile qualcun altro, mai tu. Questo è l’atteggiamento
della mente: gettare la responsabilità su qualcun altro. In questo modo tu sei libero
dalle responsabilità. Se invece si capisse che il mondo è relazione, la società è
relazione, forse si incomincerebbe a cambiare ciò che noi chiamiamo "se stessi".
Il nazismo è stato un feroce scatenarsi dia aggressività. Il nazismo ha cavalcato la
violenza estrema. La giustificazione idelogica immediata per la brutalità e la violenza
era la superiorità della razza e della civiltà germanica, l'esaltazione della forza, la
lettura del mondo in termini di scontro invece che di collaborazione, il disprezzo
per chiunque fosse debole. Una sorgente centrale delle emozioni che danno forza
alla destra non il sentimento di essere forti ma è la paura di essere deboli. Secondo
Mein Kampft il motivo per cui bisogna dominare gli altri deriva dal terrore che
altrimenti ne saremo dominati. Il motivo per cui preferiamo combattere piuttosto che
collaborare è che siamo spaventati dalla forza degli altri. Il motivo per cui bisogna
chiudersi in una identità, un gruppo, un Volk, è per costruire una banda più forte delle
altre bande ed esserne protetti in un mondo di lupi. Ne seguirono 70 milioni di
morti. E non fu colpa degl altri ma della stupida paura degli altri. (Rovelli)

Viviamo in un mondo in cui i problemi non sono mai stati così complessi. Ma il
mondo dei social, con una presunta conoscenza illimitata a portata di click, pensa che
le soluzioni siano sempre e comunque semplici. Dunque si semplifica e si
generalizza. E se i problemi non si risolvono, è sempre colpa di qualcun altro o,
meglio ancora, di un complotto. Mnacano cultura, competenza e rispetto. Sembra di
vivere in un enorme bar di periferia ove tutti gridano, tutti sanno tutto e, di
conseguenza, insultano chi non la pensa come loro. Meno si ha conoscenze specifiche
su una materia, più si sopravvaluta le proprie competenze, perché non ci si rende
conto di quanto, in realtà, è complessa tale materia. In altre parole: si crede che i
problemi siano facili, che a complicarli siano i “professoroni” sulla base di chissà
quali oscuri interessi e, di conseguenza, che le soluzioni sarebbero lì, a portata di
mano, se solo si volesse davvero cambiare. A cambiare veramente, invece, è la
78
disponibilità della “generazione Wikipedia” a farsi strumentalizzare, e a non vedere
l’ora di correre dietro al prossimo pifferaio: più sporco, più rozzo, più terra-terra del
precedente. Peccato che prima o poi arriverà il momento della definitiva
disillusione, della presa di coscienza che nessun pifferaio potrà guarirci il cancro
con l’avocado o diminuire le tasse mentre aumenta le spese.

Quando l'ego ha il sopravvento sulla relazione, accade che un io accusa l'altro di


essere colpevole di qualche cosa, anzi, di qualsiasi cosa. Incolpare l'altro significa
distruggere la relazione per salvaguardare l'illusoria immagine del proprio ego.
In realtà, forse, essendo ogni persona frutto di innumerevoli relazioni fin dalla
nascita, la colpa o il merito dei suoi comportamenti dovrebbero essere divisi fra tutti i
soggetti che hanno interagito alla formazione del singolo individuo: madre, padre,
famigliari, preti, mestri, amici, società e qunt'altro tipo il caso e la necessità. Si
preferisce invece colpevolizzare il singolo per semplificare la questione dimenticando
che nessun uomo è un'isola.
Si tende a dare sempre la colpa a qualche cosa di esterno a se stessi sia il se stesso un
individuo o una società. Ciò per alleviare il proprio malessere di fondo senza essere
costretti a indagare al proprio interno. In tal modo ci si coalizza contro il nemico
inconsapevoli della relazione profonda che ci lega a tutti e a tutto.
"Tanti nemici, tanto onore" è una frase che denota la pochezza di chi la pronuncia.
Infatti costui, per sentirsi vivo e realizzato, ha bisogno di avere tanti nemici. Costui
non capisce che la vera realizzazione si ottiene invece tramite una rete di relazioni
positive, vale a dire tramite tanti amici!
L'intento della propaganda sovranista è quella di creare un 'sentiment' negativo nei
confronti della figura di papa Bergoglio, additandolo come un progressista nemico
degli italiani e dei valori tradizionali. La creazione di "nemici" (siano progressisti,
tecnocrati, migranti o il Papa) serve a compattare i militanti, ma soprattutto a dare
forma e visibilità a nuove comunità che vivono ai margini della cultura dell'ultra-
destra reazionaria. Come dire? Molti nemici, molto consenso.
Il presidente della provincia di Bolzano ha giustificato la legge di dubbia
costituzionalità che vieta agli italiani non residenti di comprare una casa da quelle
parti con «la difesa della Heimat». La sua idea di Patria (Heimat) si identifica con la
meravigliosa porzione di terra che gli è capitata in sorte e che non vuole più
condividere con chi arriva da fuori. Un tempo l’avremmo bollata come la bizzarria
selvatica di un popolo di confine, ma ora è diventata la spia di uno stato d’animo
diffuso, proprio perché i confini sono spariti. Per secoli hanno significato dazi e
guerre, ma anche appartenenza e identità. La libera circolazione di merci e persone è
stata salutata come il trionfo della pace e della libertà, e lo è, ma ha prodotto di
rimbalzo un senso di disorientamento e una reazione di chiusura. Il nuovo è visto
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come una minaccia, la contaminazione come un contagio. Il turista, in fondo, è un
migrante con i soldi. Entrambi invadono i paesaggi amati per peggiorare la qualità
della vita di chi ci è nato: il migrante abbassando il costo del lavoro, il turista alzando
quello delle abitazioni. Ci sarebbero i vantaggi dell’apertura, ma in questa fase storica
di spossatezza sociale non vengono considerati. Sta succedendo, a livello collettivo,
ciò che capita a ogni individuo nei periodi bui della vita. Quando ci si chiude in casa
e non si ha voglia di vedere nessuno. E piuttosto che conoscere le cose che
verranno, si preferisce rimpiangere quelle che non torneranno più. (Gramellini)

Un "ismo" è un sistema di pensiero che spesso pretende di dare una spiegazione totale
e definitiva e la sua efficacia redentrice racchiude in sé i germi del disprezzo della
realtà. Il filosofo francese Gustave Thibon ha scritto: «In due parole: diffido degli
“ismi” tanto quanto sono attaccato alle realtà sulle quali vengono a innestarsi, come il
verme che s’intrufola in un frutto. Gli “ismi” — e Dio sa se pullulano oggi in tutti i
campi — sono parassiti ideologici che svuotano le cose della loro sostanza
proiettandole fuori dai loro confini». L’ismo è un suffisso che spesso tradisce la
realtà per l’idolatria. La sovranità e il popolo non vanno confusi con il sovranismo e
il populismo. Così dice la lingua italiana. Così lo ribadisce la Costituzione italiana.
(Grasso)
In presenza di un ego molto radicato e in assenza di un'etica della relazione, si tende a
semplificare la complessità del processo relazionale con un liberatorio "è colpa
TUA! È colpa SUA!". È sempre colpa di qualcun altro!
La colpa è sempre dell'altro, degli altri che, in quanto colpevoli, diventano anche
nemici da abbattere ad ogni costo.
L'altro è sempre un nemico e mai un'opportunità a meno che sia uno del tuo clan, del
tuo partito, della tua piccola patria.
Manca, in quasi tutti noi, l'umiltà e l'autocritica. E' molto più semplice rinforzare il
proprio narcisismo incolpando l'alterità. Ma l'altro siamo noi e noi siamo l'altro.
Siamo in strettissima in relazione. Non capire ciò significa regredire a livello infantile
allorchè l'io si afferma opponendosi.
-COMPARAZIONE FILOSOFICA ***
La comparazione interculturale è, sulla base del concetto di relazione intrineca,
consapevole che ogni comparazione produce una trasformazione sia nei termini
comparati sia nel soggetto che compara. (Pasqualotto)
La comparazione, dice Pasqualotto, è la modalità fondamentale del confronto senza
sintesi forzate, del dialogo tra realmente differenti. Il pensiero in qualche modo
deve condursi fino al limite in cui rimettere in discussione i propri stessi presupposti,
fino al punto da esporre al rischio essenziale le proprie radici: pensare l’altrove
significa anche ripensare se stessi.
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Non filosofia comparata ma filosofia come comparazione.

Ciò che si rivela essenziale, nell'epoca dell'avvento della cultura globale, è


rompere gli schemi preconcetti che ipostatizzano le culture, o, peggio, ne isolano
una in particolare facendola assurgere a cultura dominante a discapito delle
altre. (Nishida interpretato da Ghilardi)
Si dice che chi non conosce le lingue straniere non conosce nemmeno la propria;
così, non si può davvero conoscere una cosa se non comparandola ad altre.
(Nishida)
Ricordiamo pure che, nella comparazione, non vi può essere né alcuna
prospettiva privilegiata, né una sintesi di molteplici prospettive, ma solo un
orizzonte sempre aperto - e quindi, per definizione, mobile e infinito - che
consente il prodursi di una serie illimitata di onfronti trasformativi. (Pasqualotto
La filosofia è la verità imperiale dell'Occidente, che intima al resto del mondo di
sottomettersi con una pura e semplice adesione, essendosi screditato come
irrazionale. (Eboussi Boulaga filosofo africano)
Se il conoscere non è altro che un implacabile atto di confronti, allora ogni
tentativo di comparazione filosofica è un esercizio originario del pensiero.
Dunque l'attività del comparare è alla radice del pensiero stesso. (Pasqualotto)
La comparazione filosofica (o filosofia come comparazione) si distingue dalla
filosofia comparata soprattutto perché rinuncia alla pretesa che un soggetto
neutro ed astratto, disincarnato e disinteressato (n.d.r. una specie di
kosmotheorós), assuma, analizzi e confronti oggetti ritenuti altrettanto neutri ed
astratti.
L'attività del comparare è alla radice del pensiero stesso. (Pasqualotto)
Non riuscirai a capire le tesi di base della tua civiltà, se la tua civiltà è l'unica che
conosci. (Watts)
Ogni volta che le radici si intrecciano e si accolgono reciprocamente, è come se
diventassero una sola natura. (Teofrasto)
Lo sguardo della filosofia come comparazione, consapevole di essere una variabile
dipendente, non pretende di costruire alcuna panoramica oggettiva: esso sa,
infatti, che le cose e le forze incluse in ogni panoramica sono le stesse che lo
condizionano, tanto da costituirlo in un incessante processori trasformazione.
(Pasqualotto)
Il soggetto della comparazione non è antecedente né indipendente rispetto ai
termini comparati. I termini da comparare non sono antecedenti né indipendenti
rispetto a un soggetto che li compara. I termini comparati e il soggetto che li
81
compara appartengono tutti ad uno stesso campo determinato dalla loro
interazione.
Ricordo che da bambino (dieci anni circa) avevo tre grandi punti di riferimento: il
nonno paterno, la maestra e il prete. Loro, per quella piccola mente in crescita, erano
anche la vera fonte della saggezza. Il nonno (nato nel 1886) era un comunista
umanitario nel senso che avrebbe voluto difendere i poveri senza però fare del male a
nessuno. La maestra era monarchica e, in subordine, anche un po’ fascista visto che
suo marito era stato ripetutamente il podestà del nostro borgo. Comunque una
stupenda persona. Anche lei nata nel secolo diciannovesimo. Infine il prete (anche lui
dello stesso secolo). Un tipo strano ma affascinante. A quell'epoca non capivo cosa
mi piacesse di lui. Ma poi compresi. Era libero da schemi e anche un po’ libertino
nelle sue frequentazioni femminili. Mi propose di entrare in seminario ma rifiutai
perché anche a me piacevano le compagnie femminili e, soprattutto, a causa della
comparazione filosofica! Già, ma in quei tempi non sapevo cosa fosse questa
comparazione filosofica che, inconsapevolmente, praticavo. Vediamo, dunque, di
capire cos'è la comparazione filosofica. Ebbene, le tre persone che avevano
condizionato la mente di questo bambino, avevano visioni del mondo diverse, molto
diverse. Perché? Chi aveva ragione e chi torto? Dura la scelta a quella età! E così,
senza rendermene neppure conto, praticai la comparazione filosofica. In questo
contesto non si deve scegliere fra il nonno, la maestra e il prete ma si mettono in
relazione le loro storie e le loro idee così come sono, senza giudizi preconcetti. Alla
fine si capisce che sono diverse prospettive sulla stessa realtà. Ognuno dice la sua in
base alla sua vita e alle sue relazioni esistenziali. E non c'è sintesi che possa risolvere
le discrepanze se non una grande apertura mentale e una dolce empatia. Grazie
nonno! Grazie maestra! Grazie prete!
-COMPLESSITA' ***
La complessità è contraddizione! L'accettazione della complessità e
l'accettazione della contraddizione.
Il paradigma della complessità implica il paradigma della relazione e non quello
della individuazione.

Nell'interpretazione classica quando in un ragionamento compare una contraddizione


è un segno di errore. Occorre fare marcia indietro e imboccare un altro ragionamento,
di contro, nella visione complessa, quando si arriva per vie empirico - razionali a
delle contraddizioni, questo significa non già un errore ma il raggiungimento di una
falda profonda della realtà che, proprio perché è profonda, non può essere
tradotta nella nostra logica. Dunque la logica tradizionale non può descrivere le
realtà più profonde ove accade che il principio del terzo escluso decade visto che
è anche così ma non solo così!

82
Il pensiero complesso deve affrontare la difficoltà del misurarsi con unità che si
dividono e con legami che tendono all'unità: «La difficoltà del pensiero complesso
consiste nel dover affrontare l'accozzaglia (il gioco infinito delle inter-retroazioni), la
correlazione dei fenomeni tra loro, la nebbia, l'incertezza, la contraddizione». Il vero
problema, infatti, è rappresentato proprio dalla contraddizione: «La breccia
microfisica rivelò l'interdipendenza del soggetto e dell'oggetto, l'introduzione
dell'alea nella conoscenza, la dereificazione della nozione di materia, l'irruzione
della contraddizione logica nella descrizione empirica». Come è possibile, dunque,
conciliare la consapevolezza della complessità dell’esperienza – e quindi di ciò che
ordinariamente si assume come “reale” – con il principio logico, ma anche
ontologico, della non contraddizione? Come conciliare il pensiero complesso e il
fondamento stesso del pensare? Andando oltre pensando che è anche così ma non è
solo così …

Geometria euclidea e non euclidea

Nella geometria euclidea esiste una sola retta passante per un punto esterno alla retta
stessa mentre la somma interna degli angoli di un triangolo misura 180 gradi.

Nella geometria iperbolica esistono infinite rette parallele mentre la somma degli
angoli interni a un triangolo è inferiore a 180 gradi.

Nella geometria ellittica non esistono rette parallele perché tutte le rette si incontrano
mentre la somma degli angoli interni a un triangolo è superiore a 180 gradi.

Ma che cosa è una retta euclidea? La linea retta è quella che è situata ugualmente
rispetto a tutti i suoi punti. Cosa significa ciò?

Logica che va oltre il principio del terzo escluso.

Il principio del terzo escluso afferma che, in un dato momento, il fenomeno A non
può anche essere non A: come a dire, ad esempio, che l'universo o è finito oppure è
infinito. La logica di Nagarjuna invece asserisce che, allo stesso tempo, l'universo è
finito, infinito, finito e infinito insieme, né finito e neppure infinito.
83
Gödel

Ogni sistema logico - matematico, se completo, potrebbe anche essere contradditorio.


Come a dire che se Dio è in ogni luogo, deve stare anche all'inferno.

-CONDIZIONE DI POSSIBILITA'***
Per Agostino la grazia divina è la condizione di possibilità del bene e della
conseguente salvezza individuale.
Per Plotino l'Uno è nulla (di determinato e quindi condizione di possibilità per ogni
determinazione) e non ha bisogno di nulla! (Pasqualotto)
Per Kant le condizioni di possibilità della conoscenza precedono ogni esperienza
empirica, non possono essere raggiunte dai sensi ma devono essere descritte da
un'analisi critica svolta dalla ragione.
Per l'induismo la parola (vac) è la condizione di possibilità dell'universo intero.
Per il Tao il vuoto è la condizione di possibilità di tutte le cose evento.
Il Caos non è la negazione o la assenza di ordine, ma la condizione di possibilità di
ogni ordine.
L'Assoluto come condizione di possibilità del relativo ma anche il relativo come
condizione di possibilità dell'Assoluto. Pura relazione fra i non - due secondo il
pensiero buddista più profondo.
Il campo quantistico della moderna meccanica quantistica come condizione di
possibilità delle particelle subatomiche, dello spazio - tempo, della energia -materia.
-CONFESSIONE***
Un caro amico, sacerdote cattolico, mi dice scherzosamente, ma non troppo: "Non
senti la necessità di confessarti?". "Se vuoi, possiamo parlarne" faccio io.
"Parliamone allora" dice lui benevolo. "Se non esistesse il mio io, chi si
confesserebbe?". Lui sbalordito: "IL TUO IO E' CHIARO E DISTINTO! E' COSI'
NATURALE E ISTINTIVO CAPIRLO CHE NON SFUGGE A NESSUNO DI
BUON SENSO! Ti faccio qualche esempio …". Vedendolo un poco pensoso sugli
esempi da citare lo precedo: "Chiaro e distinto come le presunte idee di Cartesio? O
naturale e istintivo come pensare che la terra sia piatta o sia al centro del mondo?
Questo intendevi?". "Non solo questo, ma anche le scritture ove si attesta il peccato
originale …". "Già, il peccato originale … e se non si trattasse altro della nascita di
un ego personale che si oppose al tutto di cui era, è e sarà parte indistinta? Senza un
conclamato ego chi peccherà?". Un poco alterato l'amico ribatte: " Senza un vero io
ognuno potrà fare ciò ch vuole senza pagarne le conseguenze …". "Cerchiamo di
superare sensi di colpa orfici. Nessuno84ha chiesto di nascere. Forse nessuno è
veramente nato. Siamo semplicemente l'Assoluto mediato dalla nostra piccola mente
che vede separato ciò che separato non è". Con un sorriso amaro l'amico cerca una
ultima certezza: "In conclusione, qual è la tua morale di vita?". "Ogni morale è
umana, troppo umana. Ma se proprio ne vuoi una, DUBITA E AMA altro non puoi".
E qui finisce la confessione. Mi accorgo però di essermi dimenticato di parlargli
dell'etica della relazione!

-CONOSCI TE STESSO***

Se non conosci bene te stesso, come fai a conoscere un altro?


E quando conosci te stesso, tu sei l'altro.
(Nisargadatta Maharaj)

L'esortazione "Conosci te stesso" era una sentenza iscritta nel tempio di Apollo a
Delfi, in quanto la si considerava pronunciata dal dio. Gli studiosi concordano sul
fatto che con questa sentenza Apollo intimasse agli uomini di riconoscere la propria
limitatezza e finitezza.
Questa frase va, dunque, interpretata nel senso di "conosci il tuo limite" perché, come
dice anche Aristotele: "Chi non conosce il suo limite, tema il destino".
Alcuni l’hanno letto come un ordine a riconoscere la propria limitatezza (Eschilo) e
di conseguenza un inno alla moderazione (Socrate). Ma altri, al contrario, l’hanno
visto come un invito a ritrovare la scintilla di divinità interiore (Platone), fino a farla
coincidere con quella del creatore cristiano, cioè la Verità tout court (Sant’Agostino).
Sii e basta. Non devi fare nulla. Sii. Non c'è bisogno di scalare montagne o giacere in
caverne. Non dico nemmeno " sii te stesso " poiché tu non conosci te stesso. Ti basti
essere! (Nisargadatta Maharaj)
Conosci "te stesso” significa un “te stesso” che però non è separato da tutto il
resto. Un te stesso che è invece in relazione con tutto il resto!

Conoscere se stessi? Può uno specchio rispecchiare se stesso?


"Conosci te stesso!" Grande frase socratica. C'è però un problema: chi conosce (il
soggetto) e il conosciuto (l'oggetto) non sono due. Solo lasciando in pace questo
presunto io, esso se ne andrà.
Montaigne (1533), a proposito del conosci te stesso, dice che ciascuno è convinto di
capirsi a dovere ma, in realtà, nessuno ci capisce niente.
"Se non conosci te stesso, chi altro vuoi conoscere?" dice Nisargadatta. Che poi
aggiunge "Dire "conosco me stesso" è una contraddizione, perché ciò che è
"conosciuto" non può essere il "me stesso".
85
Dunque è possibile conoscere se stessi? Chi conosce e chi è conosciuto non sono
forse un unicum? Senza la dualità chi conosce e chi è conosciuto? "...crediamo di
vedere noi stessi e non vediamo che l'ombra di noi stessi".

Conosci te stesso: precetto impraticabile nella caverna. (Weil)

Qualunque cosa tu percepisca, tu non sei quello. Non sei il corpo, non sei la mente,
non sei le tue idee.

Il corpo è fatto di cibo come la mente di pensieri.

Non ti occorre sapere chi sei. Ti basti sapere che cosa non sei. Ciò che sei non lo
saprai mai, perché ogni scoperta rivela nuove dimensioni da conquistare. L'ignoto
non ha limiti.

E se, per caso, il vero mistero non fosse il mondo o il divino ma fossimo noi
stessi?

Nome e forma, coscienza e incoscienza sono categorie al di fuori di me. Io sono ciò
che sono. Cioè sono relazione.

Tu sei l'Infinito concentrato in un corpo. Per ora vedi solo il corpo. Se insisti
arriverai a percepire l'Infinito.

-CORPO***

Il nostro corpo viene letteralmente dalle stelle, stelle che ora magari non esistono più!
Infatti le esplosioni stellari lasciano dietro di sé gli elementi costitutivi dei futuri
sistemi planetari. Quindi gli atomi di cui siamo composti, da quelli di calcio nelle
ossa al ferro del nostro sangue, ma anche ossigeno e carbonio, sono stati sintetizzati
in stelle miliardi di anni fa, e poi diffusi in antichissime supernovae. L'idrogeno insito
in ogni molecola d'acqua del nostro corpo ha invece una provenienza ancora più
antica: viene direttamente dal Big Bang. Il 50-75% del nostro corpo proviene quindi
dal sussulto originario dell'Universo.

Si calcola che il corpo perda, per morte delle cellule (apoptosi), cento miliardi di
cellule al giorno e che ogni anno cambiamo tutte le cellule dell’organismo (ad
esclusione di quelle nervose e muscolari).

I nostri atomi si scambiano continuamente con quelli dell'universo al punto che


ogni anno il 98% del nostro corpo si rinnova. Ogni nostro respiro mette in
circolo miliardi e miliardi di atomi, già riciclati nelle ultime settimane del
86
respiro di altri viventi. Nulla di ciò che ora forma i miei geni esisteva un anno fa.
Tutto viene rinnovato, rigenerato ogni momento, attingendo a quella fonte di
materia e di energia che è l'universo. La mia pelle si rinnova ogni mese e il mio
fegato ogni sei settimane. Possiamo dire che, tra tutti gli esseri dell'universo, noi
siamo tra i più riciclati! (Coyne)

"Credo la resurrezione della carne". Il termine «carne» designa l'uomo nella sua
condizione di debolezza e di mortalità.  La «risurrezione della carne» significa che, dopo
la morte, non ci sarà soltanto la vita dell'anima immortale, ma che anche i nostri «corpi
mortali» (Rm 8,11) riprenderanno vita".

Nel taoismo cinese non esiste il dualismo fra anima e corpo essendo entrambi pensati
come soffio di energia più leggero o più pesante. I taoisti li ritengono in tale stretta
relazione che curando l'uno si cura anche l'altra e viceversa.

"Dicono alcuni che il corpo è séma (segno, tomba) dell’anima, quasi che ella vi sia
sepolta durante la vita presente; e ancora, per il fatto che con esso
l’anima semaínei (significa) ciò che semaíne (significhi), anche per questo è stato
detto giustamente séma. Però mi sembra assai piú probabile che questo nome lo
abbiano posto i seguaci di Orfeo; come a dire che l’anima paghi la pena delle colpe
che deve pagare, e perciò abbia intorno a sé, affinché sózetai (si conservi, si salvi, sia
custodita), questa cintura corporea a immagine di una prigione; e cosí il corpo, come
il nome stesso significa, è séma (custodia) dell’anima finché essa non abbia pagato
compiutamente ciò che deve pagare. Né c’è bisogno mutar niente, neppure una
lettera". (Platone)

Come si fa a dire che il corpo è puro? Il corpo è una cosa sporca che produce urina e
feci. È un mulino per feci e tu dici “sono questo”: lo onori finché la Forza lo
mantiene, poi quando questa lo abbandona, ti affretti a liberartene! Non essere il
padrone di un mulino di feci, ma dell’Eterna Realtà. (Nisargadatta Maharaj)

Quando dici ”sono il corpo” sei all’inferno. Quando capisci che non lo sei, realizzi
che sei ovunque. Questo è il paradiso. (Nisargadatta Maharaj)

Eri una goccia quando stavi nel grembo materno e un giorno ridiventerai una goccia
di nuovo. Tutto sparisce quando sarai nella tomba. Allora perché amare questo
corpo? Ama piuttosto il Sé che non muore mai. (Nisargadatta Maharaj)

Il mio corpo non ha le mie stesse idee. (Barthes)

Ti riduci ad essere un corpo e costantemente ti preoccupi. Perché? Pensando che sei


un corpo ti sei ridotto a una minuscola creatura. Il corpo non è nulla: viene da zero e
ritornerà presto allo zero. (Nisargadatta Maharaj)
87
-CONOSCENZA -COSCIENZA (cit) ***

Accanto a ciò che sappiamo e a ciò che sappiamo di non sapere c’è anche lo
sterminato dominio di ciò che non sappiamo neppure di non sapere.
Il più grande nemico della conoscenza non è l'ignoranza, è l'illusione della
conoscenza. (Hawking)
La coscienza è interazione di campi d'energia all'interno del cervello.
Per l'Occidente la coscienza, l'autocoscienza è fondamentale sia per il singolo uomo
che per Dio cioè per l'Assoluto. Senza la coscienza non c'è il vero Essere ma c'è il
nulla, il terrificante nulla (horror vacui). Per l'antico pensiero buddista invece
l'autocoscienza è da superare anche per quanto attiene l'Assoluto e non solo per il
presunto singolo individuo. La vera liberazione si raggiunge, per l'antico
Buddismo, andando oltre la coscienza perché nessuna coscienza è mia!
Il pensiero occidentale si basa su alcuni concetti fondamentali: l'ego, l'esistenza e la
conseguente autocoscienza. Ne deriva che la non esistenza dell'ego e
dell'autocoscienza sono molto temuti: sarebbe il nulla! Si teme di perdere la propria
la vita e di non esserci più. Si teme di perdere la propria autocoscienza alla quale
ognuno di noi è più affezionato che a qualsiasi altra cosa. Vogliamo essere vivi e
pensare a noi stessi che siamo vivi e alla nostra stessa mente che è, lei pure, viva.
Magari estendiamo questi stessi stati d'animo anche a Dio che, dunque, diventa puro
Essere autocosciente e onnipotente. E qui si arriva al culmine massimo immaginabile:
la vita eterna individuale! Un io che vive in eterno e che riflette in eterno su se
stesso. Questo è il massimo a cui un individuo occidentale può aspirare (sperando
però di non capitare all'inferno).
L'antico pensiero orientale invece … sabbe dhamme anatta! (tutti i fenomeni, tutte le
realtà fisiche e metafisiche, sono vuote di un vero sé ed esistono solo come
relazione). Il tanto amato ego cambia aspetto e, da monolite incondizionato, diventa
una relazione condizionata da tutto e da tutti. E questo è solo il primo passettino.
Infatti, secondo l'antico pensiero orientale, non è detto che "l'essere" sia
sicuramente meglio del "non essere". Ciò anche perché "essere" e "non essere" si
danno vita a vicenda essendo strettamente interconnessi. Dall'uno arriva l'altro e
viceversa. E, infine, il colpo finale e più ferale per noi occidentali: non è detto o
dimostrato che l'autocoscienza sia il meglio che possa capitare a un uomo.
Tutt'altro. L'Oriente arriva addirittura a ritenere che anche l'Assoluto potrebbe
essere inconsapevole sia del particolare che di se stesso. Pertanto un Assoluto
inconsapevole dove il "non essere" non ha meno dignità dell'"essere". Un Assoluto
ove i pensieri non hanno proprietari perché sono solo relazioni intrinseche senza
88
soggetto. Un Assoluto ove non ci sono altri protagonisti se non l'energia
primigenia che gioca con se stessa senza neppure saperlo. Nessuno sa e niente
accade. Mentre noi continuiamo a giocare il nostro gioco umano di ombre cinesi, di
maya induista, di ologrammi e di molti altri simili abbagli.
La conoscenza attraverso la sofferenza (páthos máthos) è una dei temi ricorrenti della
tragedia greca e in particolare di Eschilo.
Secondo la Mandukya Upanishad (terzo secolo a. C.) i primi due gradi della
conoscenza sono quelli tramite i sensi (quando l'oggetto è davanti a noi) e
tramite i concetti (quando l'oggetto manca). Siamo nel mondo duale della
apparenza e della rappresentazione direbbe Schopenhauer. Quando poi si supera il
dualismo di soggetto e oggetto e si coglie l'unità del tutto (ove esiste solo la pura
conoscenza senza più soggetto e oggetto) si è superato il mondo delle apparenze e
della rappresentazione quasi sognate. Il quarto e ultimo modo d'essere (turia) arriva
allorché sparisce anche la conoscenza e non c'è più differenza fra conoscenza e non
conoscenza. E' un modo di essere impensabile perché indefinibile e innominabile!
Esso è l'Atman-Brahman! Infinitamente! Da non indicare né con le parole, né con le
immagini e neppure con i concetti! AUṀ (con il punto, bindu sopra la M) La A
rappresenta il primo grado di conoscenza, U il secondo, Ṁ il terzo mentre il quarto
modo di essere è l'insieme di tutto). La vibrazione di AUṀ sta ad indicare l'Assoluto
da dove tutto deriva e a cui tutto ritorna come in Plotino.
Non ipotizzare cosa troverai quando la conoscenza sarà andata via, non stare a sentire
quelli che ti parlano di beatitudine, immensità, amore, non credergli, tu non potrai
mai sapere cosa troverai in quel momento perché tu non ci sarai. (U.G.)
L'ignoto di coloro che conoscono diventa il noto per coloro che non sanno di non
sapere.
Risulta evidente che senza l’intenzionalità della coscienza, la vita degli uomini
occidentali risulterebbe priva di significato.

Un tipo di conoscenza che ci ponga in rapporto diretto e non mediato con il mondo
esterno è per Nietzsche sostanzialmente impossibile in ragione della duplice
falsificazione: attraverso i sensi e attraverso la mente. Noi, in realtà, non sappiamo
cos'è la conoscenza!
L'individuo, credendo di aver coscienza di sé, non ha realmente coscienza che della
società. (Fouillée) E in effetti, cosa abbiamo noi di nostro, che venga da noi stessi?
Niente o quasi niente. La nostra lingua viene dalla società, la nostra educazione viene
dalla società (religione compresa) e, di conseguenza, la nostra stesa coscienza non
può che essere di origine sociale.
89
Per Nietzsche la conoscenza è interpretazione. Al Fatto della conoscenza Nietzsche
contrappone una molteplicità indefinita di Interpretazioni: non esistono i fatti ma le
interpretazioni. La conoscenza umana non ha che fare con verità assolute o con fatti
universali ma con il carattere illusorio e ipotetico della dimensione fenomenica. Non
bisogna ascoltare i teorici della conoscenza perché essi sono rimasti impigliati a
penzoloni nei lacci della grammatica!
Tutta la conoscenza che un individuo può strappare dalla realtà empirica
dell'immagine fisica del mondo è essenzialmente solo un'ipotesi di lavoro che non
contiene nulla di assoluto.
Nietzsche pensa che la nostra conoscenza sia erronea in quanto noi conosciamo le
cose solo dopo averle modificate. "Dobbiamo amare e coltivare l'errore, esso è la
matrice della conoscenza" dice ancora Nietzsche. Ma viene da chiedersi: "Errore
rispetto a che cosa se la cosa in sé non esiste?"
La civiltà occidentale si è sempre basata sull'arco della conoscenza: induzione e
deduzione che porterebbero alla verità (ma così non è, purtroppo). Il pensiero
orientale invece è conscio che non si potrà mai dare la risposta definitiva: a ogni
domanda risponde anche con un'altra domanda.
L'errore fondamentale che l'umanità ha compiuto a un certo punto è stato
sperimentare la separazione dalla totalità della vita: l'individualizzazione. In quel
momento l'uomo, con la coscienza di sé, si è separato definitivamente dalla vita che
lo circondava e l'isolamento è stato tale da provarne paura. Il bisogno di tornare di
nuovo a fare parte di questa totalità ha creato un intenso bisogno di assoluto,
nella speranza che gli obiettivi di tipo spirituale - Dio, la verità o la realtà - lo
aiutassero a tornare a far parte di quel tutto. Tuttavia lo stesso tentativo di divenire un
tutt'uno o di integrarsi nuovamente nella totalità della vita lo ha allontanato sempre di
più. (U.G) L'individualizzazione è forse il peccato originale?

E' meglio chiedersi “com’è che nasce questa coscienza?” piuttosto che domandarsi
“di chi è la coscienza?". (Coomaraswamy)
La coscienza umana è sempre coscienza di qualche cosa e quindi in rapporto ai suoi
contenuti. Non ci possono essere coscienze vuote.
Tutto ciò che percepisci è un prodotto della coscienza. Quello che chiami materia è in
se stesso coscienza. Tu sei lo spazio in cui si muove. Tu sei il tempo in cui dura.
(Nisargadatta Maharaj)
Coscienza vuota non significa coscienza annullata: essa, per essere «libera da ogni
ostacolo» deve essere «concentrata», ossia coltivare l'attenzione a cogliere il vuoto
delle cose e a fare il vuoto dentro di sé. Si è anche visto che la formula «mondo
come vacuità» indica impossibilità di esistenza separata {anatta) e impossibilità di
90
permanenza {anicca) non soltanto in riferimento agli oggetti e ai fenomeni del mondo
esteriore, ma anche in relazione ai contenuti della coscienza. Tuttavia tale formula
è talmente pregnante che consente di esplicitarne anche un significato che aumenta
l'intensità dell'idea di vuoto, quello per cui assenza di assolutezza e di permanenza
caratterizzano addirittura la coscienza stessa che coglie ed esprime tale assenza.
Si arriva perfino a concepire l'impermanenza dell'idea di coscienza che indica la
possibilità del vuoto del vuoto (per non attaccarsi neppure al vuoto)!

Noi occidentali usiamo i verbi "percepire ", "cogliere ", "comprendere" per illustrare
l'idea del vuoto nel Buddhismo zen, ma in realtà essi richiamano significati soltanto
gnoseologici, ossia limitati all'ambito della conoscenza. Invece, per tutto il
Buddhismo e in particolare per il Buddhismo zen, non si tratta mai di sola
conoscenza intellettuale, ma di una conoscenza che coinvolge in ogni momento tutta
l'esistenza, che determina, cioè, non solo un nuovo modo di vedere, una nuova
"teoria", ma un nuovo modo di vivere, una nuova esperienza. Segno evidente e
altamente significativo di questa estensione oltre il mero livello gnoseologico è dato
dalla pratica della meditazione che coinvolge, in ogni sua fase, il corpo oltre che la
mente. Fin dalle sue origini il Buddhismo, già con gli insegnamenti del Buddha, ha
insistito sulle costanti interrelazioni tra aspetti psicologici e aspetti fisiologici che
connotano la vita di ciascuno: interrelazioni che si rafforzano e si sviluppano in
particolare durante la pratica della meditazione, tanto da renderla un vero e proprio
esercizio psicofisico.

La coscienza è il solo strumento che abbiamo per esaminare la coscienza. (Talbot)


La conoscenza è la spina che serve per togliere l'altra spina: l'ignoranza. Tolta
l'ignoranza anche la conoscenza va superata perché è pur sempre una spina pungente:
la conoscenza è l'ego!
La dotta ignoranza di Cusano è la raggiunta consapevolezza del non sapere, è la
critica della conoscenza finita e la tensione verso l'assoluto che, però, non si potrà
mai cogliere appieno.
La conoscenza della nostra propria esistenza è intuitiva. La conoscenza dell'esistenza
di Dio è dimostrativa. La conoscenza delle cose presenti è sensitiva. E se Locke si
sbagliasse su tutti i fronti?
La coscienza non è altro che energia.
Cerchiamo la coscienza con la coscienza: chi cerca l'io è ancora l'io!
La coscienza, il corpo, il mondo, le galassie si mantengono solo sostenuti da
un’effimera ragnatela spazio-temporale che, al primo stormir di foglie, si romperà.
La coscienza è solo la narrazione di sé.
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La coscienza è dubbio e responsabilità.
Tutte le nostre cosidette conoscenze e convinzioni, dalle più fortuite questioni di
geografia e di storia alle leggi più profonde della fisica atomica o financo della
matematica pura o della logica, tutto è un edificio fatto dall'uomo che tocca
l'esperienza solo lungo i suoi margini. (Quine)
Vogliamo capire l'incomprensibile. Vogliamo descrivere l'indescrivibile. Basterebbe
invece dire più semplicemente: "Non lo so .... sto ancora e sempre cercando."
Indaga su tutto, non credere a niente. Tutto quello che ti hanno detto su di te, viene
dall’esterno, quindi abbandonalo. (U.G.)
Nulla si sa, tutto si immagina. (Fellini)
La coscienza di sé non è la conoscenza di sé.
Invito i filosofi a scendere nella sala macchine delle neuroscienze ed i neuroscienziati
a salire sul ponte della filosofia [.......] Insieme, forse, riusciremo a capire l'elemento
materiale più complesso dell'universo: il cervello e la coscienza. ( Edelman)
La religione, la filosofia, la matematica, la fisica, la morale, la logica non sono altro
che nomi...Cerchiamo l'unica matrice che sta dietro.
La coscienza umana è finita e corruttibile. (Pomponazzi, Dilthey e alcuni altri)
Conoscere il mondo? La mente è parte del mondo ... anzi, la mente crea il mondo!
Conoscere Dio? Se Dio esiste dovrebbe essere infinito e, quindi, indefinito,
ineffabile, inconoscibile!
Il cieco attaccamento verso l'oggetto della conoscenza è la via che mena fuori dalla
vera conoscenza.
Nella triade: conoscitore, conoscenza e conosciuto, solo il termine medio è un dato di
fatto. Chi conosce? Che cosa è conosciuto? L'unica cosa certa è che c'è in atto un
conoscere. La conoscenza, come l'essere e l'amore, è un riflesso della tua vera natura.
Il conoscitore e il conosciuto li aggiunge la mente. È nella natura della mente creare
una dualità di soggetto - oggetto dove non c'è.

Dialogo fra un intervistatore (I) e Nisargadatta Maharaj (N).


I: "Sostenete che senza di me il mondo non esisterebbe, e che il mondo e la
conoscenza che ne ho, sono tutt'uno. La scienza è arrivata alla conclusione
opposta: il mondo esiste come una cosa concreta e continua, mentre io sono un
sottoprodotto dell'evoluzione biologica del sistema nervoso, il quale, prima che una
sede di coscienza, è un meccanismo di sopravvivenza per l'individuo e la specie. La

92
vostra è una visione soggettiva, mentre la scienza tenta di descrivere
oggettivamente. È inevitabile questa contraddizione?"
N: "La confusione è apparente e solo verbale. Ciò che è, è, né soggettivo né
oggettivo. La materia e la mente non sono che due aspetti della medesima
energia. Se vedi la mente come una funzione della materia, avrai la scienza; se
vedi la materia come un prodotto della mente, avrai la religione". (l'idealismo
direi … n.d.r.)
I: "Ma qual è la verità? Che cosa viene prima, la mente o la materia?"
N.: Né l'una né l'altra, perché nessuna appare da sola. La materia è la forma, la
mente è il nome. Insieme, fanno il mondo. Onnipervasiva e trascendente è la realtà,
puro essere-conoscenza-beatitudine: la tua stessa essenza.
Ciò che è inaspettato a un livello, può essere previsto con certezza su uno più alto.
Dopotutto, siamo confinati nei limiti della mente. In realtà non accade nulla, passato
e futuro non esistono; tutto appare, niente è.

Senza la coscienza non esisterebbe l'essere (ma anche viceversa!). L'avvolto che
avvolge.

La creazione è il prodotto naturale della coscienza. Grazie alla coscienza si


manifestano le apparenze. La realtà è oltre la coscienza.

La coscienza (cit) è una delle tre caratteristiche del Brahaman. Le altre due sono sat
(l'essere) e ananda (la beatitudine)

Il soggetto è, in realtà, uno solo (la coscienza assoluta) mentre soggetto e oggetto
sono strettamente interconnessi. Noi non siamo distinti da tutto ciò che ci circonda.
Siamo gocce dell'oceano della consapevolezza. Brahman è tutte le cose e cioè
l'oceano stesso.

Pensiamo di essere sempre coscienti mentre siamo in stato di maya che favorisce la
costruzione dell'ego (che è sempre duale perché ognuno vive in un suo mondo) in
contrasto con la Coscienza Assoluta. Dualismo cancellato dalla presa di coscienza
non duale che esiste solo il soggetto supremo, la coscienza pura (purusha, IL
TESTIMONE), esiste solo l'Assoluto, solo il Brahman è (senza poter essere
conosciuto: non può essere capito ma solo vissuto). Il buddismo poi mette in
dubbio anche ciò nel senso che depotenzia pure l'Assoluto!

Quando si cerca di esprimere l'inesprimibile ci si contraddice inevitabilmente.

Nel Brahman non esiste il due, esiste solo l'uno. Nel buddismo pure quello è
incerto!

93
L'autore preesiste all'azione? Al contrario: l'azione è un fatto, l'autore è un concetto
mentale. Il tuo stesso linguaggio mostra che l'azione è certa, l'autore no; spostare la
responsabilità è un gioco squisitamente umano.

Dato il numero infinito di fattori necessari all'accadere di qualsiasi cosa, si può


solo ammettere che tutto sia responsabile di tutto, anche in senso lato.

La coscienza di essere l'autore dell'azione è un mito fondato sull'idea illusoria


del "me" e del "mio".

Ciò che cerchi con tanta passione, è semplicemente colui che sta cercando.
Abbiamo paura di perdere la nozione delle cose e di lasciare i nostri beneamati
concetti.
L'ignoto è ciò che siamo.
Il mondo ci appare immenso e costante quando in realtà è solo il nostro ologramma, è
il nostro computer interno che lo forma: un uomo sotto effetto di droga, un'ape o un
marziano lo vedrebbero ben diversamente. Del mondo si può dire che appare e non
che è. (Isabella di Soragna)

Che strana creatura l'essere umano: brancola nel buio con espressione intelligente.
(Kodo Sawaki Roshi)

I corpi sono percepiti con delle qualità che in realtà non appartengono a loro ma sono
qualità della mente: la rosa e il suo profumo, l'usignolo e il suo canto, la farfalla e i
suoi colori. La natura è una faccenda insipida, senza suoni, senza colori, senza
profumi … solo un turbinio di materia senza fine, senza scopo. (Whitehead citato da
Balsekar)
Io vedo il mio albero e voi vedete il vostro ma ciò che è l'albero in sé nessuno lo sa.
Perché la vita dovrebbe avere un significato? Perché dovrebbe esserci uno scopo per
vivere? La vita in se stessa è tutto quello che c'è. E' la nostra ricerca di un
significato che ha fatto diventare la vita un problema.
-COSMOTEANDRISMO
Cosmoteandrismo è il termine usato da Raimon Panikkar (filosofo catalano-indiano
nato nel 1918) per descrivere la propria visione della realtà, secondo la quale ogni
ente reale mostra una dimensione di coscienza, di libertà (o di infinità) e di
materialità. In questo modo, i tre mondi (umano, divino e cosmico), pur
distinguibili e gerarchicamente ordinabili, non sono separabili: ne risulta
l'impossibilità di parlare di un uomo che non abbia un corpo materiale o di
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un Dio autosussistente, privo di qualsiasi corporeità e di qualsiasi rapporto con il
mondo.
Questa proposta tenta di superare la pretesa monistica di ridurre tutta la realtà ad
un'unica sostanza (si pensi a Spinoza, o all'identificazione parmenidea tra essere e
pensare), e al contempo di non ricadere nell'alternativa dualistica di fratturare
la realtà in più sostanze indipendenti (si pensi a Cartesio).
Per Panikkar, la realtà è unica e multiforme, e non può essere ridotta né ad un solo
modo di pensare, di parlare, di essere, né ad una opposizione tra fazioni in eterna
incomprensione.
Panikkar evidenzia che non si tratta di un'idea originale bensì di una rappresentazione
della realtà (in termini di tre mondi) che si è costantemente ripresentata nella storia
del pensiero, in quasi tutte le culture (al di là del fatto che, a seconda della diverse
mentalità, la triade assumesse la fisionomia di cielo-terra-inferi, passato-presente-
futuro o Dei-uomini-Mondo).
Più nel dettaglio, ogni essere, dalla più semplice particella di materia al più
complesso organismo dotato di autocoscienza, presenta tutte e tre le
caratteristiche: così anche la pietra mostra l'appartenenza, oltre che ovviamente
all'ambito della materialità, a quello del pensiero e a quello della libertà (o divinità,
o infinità, come sembra attestato - oltre che dalla scienza moderna - dal fatto che la
materia conserva a tutti i livelli la capacità di stupirci e di mostrare aspetti sempre
nuovi ed imprevedibili).
Per questo motivo (e specificamente per il fatto che il pensiero, nonostante tutti gli
sforzi - non del tutto infruttuosi - di spingersi sempre più in profondità nella
conoscenza delle cose, segni il passo e sia costretto ad ammettere che le profondità
che scopre si rivelano sempre più profonde) il cosmoteandrismo afferma che
il pensiero non è tutto, così come non lo è la materia, e che il pensare e l'essere non
sono identici (ricordando tuttavia che non si dà l'uno senza l'altro).
In definitiva, va recuperata qui l'idea classica di anima mundi (di cui parlano
anche Platone, Plotino, Marsilio Ficino), per la quale il mondo è un organismo
vivente e tutto è essenzialmente legato a tutto il resto. Per Ficino, in particolare, la
terra è un animale vivo, perché da ogni parte genera esseri viventi: «Chi è sì semplice
che dica la parte vivere, e il tutto non vivere? Vive adunque tutto il corpo del Mondo.
[...] Chi negherà viver la Terra, e la Acqua, le quali danno vita agli animali generati
da loro?» (Sopra lo amore ovvero Convito di Platone).

-CONTRARI ***
È facile scegliere un estremo, una polarità. Scegliere contemporaneamente
ambedue le polarità - essere distaccato e amare - cosa significa? Significa che sei
sveglio; fai tutto ciò che è necessario fare, ma rimani sveglio, sei distaccato. In questo
caso sei in grado di vivere in questo mondo, senza farne parte. In questo caso puoi
essere nel mondo e il mondo non sarà in te. (Eraclito interpretato da Osho)
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Un approccio filosofico è logico; ecco perché Aristotele dice che l’uomo è un essere
razionale. Mentre Eraclito dice che l’uomo è irrazionale, poiché la tua stessa
ragione ti rende irrazionale. Nel momento in cui scegli la parte hai falsificato tutto.
Ora questa parte esisterà solo nella tua mente. Nell’esistenza è sempre unita al suo
opposto, non è mai sola.

Invero ogni essere è altro da sé e ogni essere è se stesso. Che l'altro e se stesso
cessino di opporsi, questo è il perno del Tao. (Chuang Tzu o Zhuangzi)

Non un contrasto statico ove i contrari si fronteggiano nella loro reciproca


estraneità ma un contrasto dialettico dove un termine sussiste solo perché sussiste
il termine opposto, dove, cioè, si realizza, dinamicamente, una complementarietà
ontologica: essere e non essere si danno nascita fra loro!

Affermazione. Negazione dell'affermazione. Negazione della negazione


dell'affermazione. Balzare oltre le contraddizioni senza nichilismo o pessimismo.

Per hoc illud atque per illud hoc. Attraverso (a causa di) questo quello; e
attraverso quello questo.

Ogni volta che si vuol ottenere una cosa, bisogna accettare che in essa ci sia
qualche cosa del suo opposto.

Una volta riunificato esterno e interno, male e bene, e tutti i cosiddetti contrari, si può
tornare al "prima" di aver mangiato la mela dall'albero della "conoscenza", si può
tornare al paradiso terrestre della coscienza unificata e indivisibile: inutile cercare
di conoscerla, poiché in tal modo la bugia esistenziale ci costerà di nuovo la cacciata
dal paradiso in cui già siamo … senza "saperlo". (Isabella di Soragna)
I contrari non hanno posto alcuno nell'assoluto: semplicemente svaniscono.
-CULTURA***
La cultura non è mai unica, è sempre una sovrapposizione di strati, e più strati
abbiamo e più la nostra cultura è ricca. Ricchezza del mescolamento e non paura del
diverso. (Rovelli)

Non esiste la cultura A e la cultura B come entità separate ma esistono le culture


come relazioni. Una cultura non esiste indipendentemente dalle altre. (Nishida)

La cultura è un dialogo interminabile che ci arricchisce continunando a nutrirci di


esperienze, sapere e soprattutto scambi. (Rovelli)

Ciascuna identità culturale si forma e si determina in rapporto con le altre. (Nishida)


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Bisogna fare prevenzione. Prevenzione da quale malattia infettiva? “Dal vuoto di
cultura che genera la diffusione della droga. Dove c’è il vuoto di cultura, non c’è
apertura di mondi. E questo vuoto si riempie con la droga, con la schiavitù degli
oggetti, i vestiti, il cellulare. Il vuoto di cultura genera nuove forme di schiavitù”.
E come avverrebbe questa prevenzione? Attraverso l’eros, con l’erotizzazione della
cultura. Insomma una vera e propria erotica dell’insegnamento! (Recalcati)

Questa è la cultura: un dialogo interminabile che ci arricchisce continuando a nutrirsi


di esperienze, sapere e soprattutto scambi. (Rovelli)

Mentre la cultura occidentale può essere considerata come intellettuale, quella


orientale (che sono peraltro moltplici) è più centrata su una pratica spirituale e
morale. Noi vogliamo capire la realtà, loro vogliono viverla al meglio.

La cultura occidentale prende le mosse da Platone e dalla sua ontologia. E' e rimane,
dopo tutto, una cultura del pieno e dell'intero, della cosa intesa come omogeneità e
presenza, come saturazione e concentrazione. Una cultura accumulatrice che pensa il
mondo, nel suo insieme, come un immenso ammasso riempito di cose e di oggetti,
di forme, di qualità e di enti (il mondo invece è, forse, solo relazione! n.d.r.). Per
l'Occidente felicità e pienezza sembrano due sinonimi. Nozioni buddiste e orientali
come nirvana e sunyata (vacuità) sono rimaste a lungo confinate nell'esotismo e
nell'estraneità. […] La cultura occidentale è, allora, ben prima che lo denunciasse
Heidegger, una cultura refrattaria all'assenza, alla mancanza, a quell'autentico
"buco" che l'ovale disegnato dal numero "zero", non solo graficamente, sembra
riprodurre. Insomma, la cultura occidentale ha paura del nulla perché vuole
sempre troppo, sicchè alla fine, verrebbe da dire citando ironicamente il monito del
proverbio, "chi troppo vuole nulla stringe". […] La cultura occidentale, con le sue
filosofie e le sue teologie malate d'eternità, non riesce a fissare il volto positivo
del nulla. (Tagliapietra)

Islam is a essential part of the Western Culture. (Bausani 1974) Infatti il Corano si
basa sulla erdità biblica e, in parte, cristiana. Poi però, l'Islam è anche un importante
veicolo di conoscenza che permette all'Occidente di avere di nuovo accesso alla
grecità aristotelica oltre che ad altre antiche conoscenze greche quali la geometria. Da
non dimenticare che gli arabi ci portano i numeri indiani e l'algebra.

Tutto quello che conosci è tutto ciò che è stato immesso in te dalla cultura, tutto ciò
che gli altri hanno detto e pensato. Così tu puoi esserci e mantenere quell'identità
tutto il tempo, sia che sia sveglio sia che stia dormendo, solo attraverso la conoscenza
che hai delle cose. E questa conoscenza è stata messa in te dalla cultura o dalla
società. (U.G.)

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Ciascuna cultura va vista come una realtà che ha bisogno delle altre culture per
costituirsi e svilupparsi. Si può dunque parlare di una “produzione di culture per
mezzo di decostruzioni di identità”, o, meglio, di “costruzione di culture per mezzo di
contaminazioni”.

Complessità ed incompletezza sono caratteristiche proprie di ogni fenomeno


veramente culturale. Ogni cultura è incompleta in quanto bisognosa di un’alterità in
grado di farla emergere nella sua natura (non identitaria) e arricchirla, come appunto
quella natura complessa e ricca di differenze che essa può possedere già al suo
interno. (Maffiotti)

Da Parmenide in poi, la nostra cosmovisione divide il reale in due sfere ontologiche


distinte e opposte: da un lato l’Essere (regno dell’unicità e della verità oggettiva, non
soggetto al divenire e dotato di tutti gli attributi positivi), dall’altro il non essere
(regno del molteplice e dell’opinabile, soggetto al divenire e fonte di ogni errore
conoscitivo ed etico). Parmenide divide e dstingue anche essere, pensiero e
linguaggio. Transitata senza problemi per il monoteismo cristiano, questa partizione
ontologica fondamentale viene declinata nella modernità come opposizione di natura
e cultura. La prima è il regno dell’invarianza e dell’oggettività, di ciò che può essere
conosciuto con certezza, di ciò che fonda e connette tutto il reale. La seconda è
invece il regno mutevole delle opinioni, dei desideri, delle passioni, dei valori. Prima
facie, la partizione sembrerebbe implicare l’uguale statuto ontologico di tutte le
culture a fronte della natura, in una molteplicità irriducibile di punti di vista e
prospettive. La modernità, però, non l’ha mai declinata in questi termini libertari e ha
applicato fin da subito un curioso trucco naturalizzante: poiché la nostra cultura è
l’unica fra tutte ad aver accesso, grazie alla scienza, al piano della natura, e
quindi a conoscere le leggi invarianti che governano l’essere, ne segue che essa è
anche l’unica cultura naturale, la sola i cui presupposti e i cui modi non derivino
dagli accidenti della storia, ma siano fondati nelle leggi dell’Essere. In quanto tale,
essa è chiamata a portare i suoi valori, le sue conoscenze e il suo modo di costruire
umani al di fuori dei suoi confini, facendo accedere tutti quanti alla civilizzazione –
se il caso, con l’uso della forza.
La cultura greca fu il prodotto di una serie di culture mediterranee, da quella micenea
a quella egiziana, da quella fenicia a quella, addirittura, babilonese. La cultura greca
non solo nacque grazie a delle contaminazioni, ma anche si sviluppò nella
contaminazione: per fare un esempio assai noto a chi studia filosofia e storia della
filosofia, una notevole parte della filosofia greca non fu prodotta in madrepatria,
ma nelle colonie greche in terre straniere, dove la contaminazione con gli
‘indigeni’ costituiva la normale condizione di vita. Inoltre, la cultura romana –che
parte della mia generazione ha percepito come cultura monolitica prevalentemente
autoctona– ha addirittura teorizzato giuridicamente la possibilità di questa continua
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contaminazione. Ad esempio: il diritto romano riconobbe la cittadinanza a tutti i
popoli sottomessi, i quali non vennero intesi solo come schiavi in quanto vinti, ma
potevano diventare cittadini romani e addirittura «liberi». Ma, anche a prescindere dai
riconoscimenti giuridici, la civiltà romana, di fatto, si formò attraverso gli apporti
provenienti dall’Africa, dalla Gallia, dal Nord e dall’Est. Uno degli esempi più
significativi di questo apporto ‘straniero’ alla cultura romana è costituito dalla figura
del più grande filosofo latino, Seneca, che era spagnolo. Si può dunque parlare di una
“produzione di culture per mezzo di decostruzioni di identità”, o, meglio, di
“costruzione di culture per mezzo di contaminazioni”. (Si tratta, ovviamente, di
contaminazioni ‘governate’, che producono anche forme di controllo e di coercizione,
non solo scambi ‘idilliaci’!). Per giungere a tempi più vicini a noi, l’esempio degli
Stati Uniti prova in modo chiarissimo e macroscopico il fatto che l’identità è stata e
continua ad essere prodotta grazie all’apporto di contaminazioni. È da ricordare a
questo proposito che oggi all’interno dei laboratori scientifici delle più grandi
università americane (Yale, Boston, etc.) la percentuale dei ricercatori di origine
orientale oscilla tra il 40% e il 50% e che il 70% di loro non è di origine
anglosassone. (Ma si dovrebbe anche ricordare che quel 30% di ‘origine
anglosassone’ è in realtà formato da discendenti di emigrati dall’Europa,
impossibilitati, quindi, a vantare qualsiasi titolo di ‘purezza etnica’!). (Pasqualotto)

A ben guardare la storia del pensiero filosofico occidentale e orientale, dovremmo


notare quanto essa sia prossima alla dimensione religiosa, spesso attraverso la
mediazione del mito, e come esso sia caratterizzato da una certa dimensione di
irrazionalità estatica, vicina all’esperienza mistica, come ad esempio nella
contemplazione della unitarietà del reale in base ad un principio divino (Pensiero
Vedanta), o della natura (Pensiero Cinese - Taoismo), o della physis o dell’essere
(Eraclito, Parmenide, Platone, Aristotele, Plotino). (Maffiotti)

In ogni caso il pensiero filosofico delle origini sembra ovunque vicino alla messa a
tema del problema della salvezza e del destino dell’essere umano considerato in
principal modo come mortale, e quindi sempre alla ricerca della dimensione più
profonda della vita e del rapporto che ogni essere umano dovrebbe avere con
l’alterità. Pressoché ogni filosofo e ogni filosofia dell’antichità, ovunque nel mondo,
attuava una pratica basata su degli esercizi spirituali di auto-realizzazione.
(Maffiotti)

La proposta di intendere la cultura come intercoltura deve combattere su due fronti:


quello tradizionale che ha utilizzato ogni differenza culturale come pretesto per
conflitti senza fine; e quello attuale che tende a distruggere ogni differenza culturale
in nome di una universale libertà di consumo che si rivela invece essere una
particolare libertà di arricchimento da parte di pochi. (Pasqualotto)

-CUSANO***
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Nicolò Cusano (1401-64): l'infinito non ha rapporto alcuno con le cose finite e,
per questo, ci resta non conoscibile. Vi è una strutturale sproporzione. Questo da
origine alla dotta ignoranza. Ricerca per approssimazione della verità che, di per sé,
è irraggiungibile. Nell'infinito ha luogo la coincidenza degli opposti (siamo quindi
oltre il principio di non contraddizione!) La misura e la cosa misurata rimarranno
sempre diverse. L'intelletto aspira alla verità come un poligono aspira al cerchio
senza poterci mai riuscire. In Dio massimo e minimo coincidono. Tutto è in tutto:
vento nel vento, fiore nel fiore, acqua nell'acqua: ciascun essere riassume
l'universo. Dio è nell'universo e in ogni cosa e l'uomo è un dio umano.
Cusano tenta un superamento del comune modo di ragionare che è fondato sul
principio si non contraddizione. Egli può tentare una giustificazione della
possibilità di questo superamento sfruttando la genesi platonica dei tre gradi della
conoscenza: percezione sensoriale (eikasia-immaginazione e pistis-credenza),
ragione (dianoia) e intelletto (noesis). La percezione sensoriale è sempre positiva o
affermativa. La ragione, che è discorsiva, afferma o nega, tenendo distinti gli opposti
(affermando l'uno nega l'altro e viceversa) secondo il principio di non contraddizione.
L'intelletto, invece, essendo al di sopra di ogni affermazione e negazione razionale,
coglie la coincidenza degli opposti con un atto di superiore intuizione.
"Se consideri con acutezza quanto già detto, non ti sarà difficile vedere il fondamento
di verità di quella espressione di Anassagora che <ogni cosa è in ogni cosa> verità
forse più profonda di quanto Anassagora stesso non pensasse. Infatti, poiché dal
primo libro risulta che Dio è in tutte le cose in maniera tale che tutte sono in lui, e
poiché ora si consta che Dio è in tutte le cose quasi mediante l'universo, ne viene che
tutte le cose sono in tutte e ogni cosa e in ognuna. L'universo, per un certo qual
ordine di natura, ha preceduto ogni cosa come realtà perfettissima, giacchè ogni cosa
potesse essere in ogni cosa. In ogni creatura l'universo è l'essere di quella stessa
creatura, e così ogni cosa riceve tutte le cose, in modo che in esse siano il suo stesso
essere contratto".
Se così è, allora, ciascun essere è contrazione dell'universo, così come questo, a sua
volta, è contrazione di Dio. Il che significa che ciascun essere riassume l'intero
universo e Dio. Tutto l'universo è fiore nel fiore, è vento nel vento, è acqua
nell'acqua e tutto è in tutto secondo l'antica massima di Anassagora
«In modo incomprensibile, dunque, al di sopra di ogni discorso razionale, vediamo
che il massimo assoluto è l'infinito cui nulla si oppone e con il quale il minimo
coincide»
Tutto ciò che si concepisce che è, non è più di quanto non è.

100
Scrive Eugenio Vignali che l'esperienza di unità con l'intero creato, descritta da
alcuni mistici occidentali, è, probabilmente, quanto di più assimilabile al bodhi
(illuminazione) della cultura vedica o al satori della tradizione Zen. Si tratta, in
ultima analisi, del superamento dell'illusione, quasi onirica, che ci porta a
considerare qualunque espressione della realtà come qualcosa di separato e di a
se stante. E' una condizione che, quando raggiunta, permette al soggetto di
percepire la propria fusione con l'Assoluto. Il suo effetto è la consapevolezza che il
mondo, così come percepito attraverso i sensi e interpretato attraverso la ragione, è
l'espressione di una realtà che va oltre l'ordinaria sperimentazione. Probabilmente
quanto sopra è ciò che ha vissuto il grande filoso e mistico Nicolò Cusano nel suo
viaggio di ritorno per mare a Venezia da Costantinopoli nel 1437. In quel viaggio egli
ricevette "il dono superiore del padre dei lumi" cioè un'intuizione profonda e
rivelatrice sulla natura ultima della realtà che influenzerà il suo pensiero e sarà
rispecchiata nelle sue numerose opere. L'intuizione dell'unità del tutto oltre
l'apparente diversificazione di forma è, secondo Cusano, un dono che l'individuo
riceve e non un raggiungimento speculativo. Essendo un uomo di Chiesa, per lui si
tratta di un dono di Dio.
"E' come se nell'unità assoluta, che è la verità, ogni alterità fosse intuita non quale
alterità, ma quale unità".
"Vedere la causa assoluta, che è la causa di tutte le cose, è assaporare te con la mente,
o Dio."
Da quel momento, Cusano, cercherà di riconciliare i dogmi e i misteri della
tradizione cristiana con la nuova visione unitaria e, pur utilizzando nelle sue opere
vari nomi alternativi a quello di Dio (Uno, Uno Assoluto, Massimo Assoluto, Non
Altro, ecc.), egli mantiene di fondo un approccio sempre coerente senza mai correre il
rischio di essere scomunicato come era capitato invece a Meister Eckhart.
Cusano fu anche matematico e uomo di scienza che influenzò Copernico, Galileo e
Keplero. Scrisse: "Tutto ciò che può essere conosciuto dipende dalla conoscenza
dell'unità che, in ogni scienza, costituisce tutto ciò si può sapere" e ancora "Non si
conosce la parte se non si conosce il tutto; il tutto infatti da la misura della
parte".
Fin dai suoi primi scritti Cusano è comunque consapevole della difficoltà di
trasmettere, attraverso il linguaggio, un concetto quale quello dell'unità del tutto
e della simmetrica difficoltà di chi ascolta a comprendere.
"Per chi desidera cogliere il senso dell'unità del tutto è necessario elevare l'intelletto
al di sopra della forza delle parole piuttosto che insistere sulle proprietà dei vocaboli
che non possono arrivare, in modo adeguato, a misteri così elevati".
101
"Quanto più dunque l'intelletto stesso si astrae dalla propria alterità, per poter
ascendere maggiormente all'unità semplicissima, tanto più esso diviene perfetto e
alto".
Vale la pena sottolineare il passaggio relativo all'astrazione dalla propria alterità
quale via per l'ascesa dell'intelletto all'unità. Una indicazione che si ritrova anche
nella tradizione yogica del Vedanta.
"L'intelletto non potrà cogliere se steso (o qualunque altro oggetto intellegibile) nella
sua essenza, se non in quella verità che è l'unita infinita di tutte le cose".
Il cardinale tedesco, vissuto nel periodo di transizione tra Medioevo ed età moderna,
fu il primo pensatore a rifiutare il sistema cosmologico aristotelico. Considerando la
sua visione delle cose, molti storici della filosofia tendono ad etichettarlo a pieno
diritto come pensatore moderno. Cusano scardina la concezione tradizionale del
cosmo, tant'è che lo si può considerare il precursore di Copernico – e questo lo
sostiene anche Bruno – anche se il suo intento non era rivoluzionario e lo sviluppo
teorico del suo pensiero non si deve intendere come una critica alla scolastica. La
principale innovazione del sistema cusaniano deriva dalla negazione dell'esistenza
delle sfere celesti e quindi del limite da esse imposto. Il suo è un cosmo privo di
confini e, secondo il suo punto di vista, non è possibile sostenere che al centro di
tutto vi è la Terra come erano soliti fare gli aristotelici, né tantomeno parlare di
sfericità del cosmo (o di qualsivoglia altra forma geometrica ad esso attribuita):
Cusano afferma infatti l'idea di un universo indefinitamente esteso – non si parla
ancora di universo infinito, dato che il termine usato dall'autore è interminatum e non
infinitum. Ad ogni modo, lo spazio fisico così definito assume una dimensione
puramente relativistica – ed è per questo che non è possibile individuare un centro
assoluto del cosmo.

Dio, secondo Cusano, sfugge alla logica razionale e trascende il linguaggio


umano. L'esempio migliore impiegato da Cusano per esprimere questo aspetto è
probabilmente l'immagine di Dio come infinita circonferenza, figura che la mente
umana non può rappresentare. La conoscenza del Divino, essendo limitata ad una
prospettiva relativa, potrà allora essere soltanto una “dotta ignoranza” che riconosce
i propri limiti, per usare l'espressione che dà il titolo all'opera principale di Nicola
Cusano.

Altro concetto princeps del pensiero cusaniano è quello di coincidentia


oppositorum. Con questo termine si intende una caratteristica divina secondo la
quale due concetti apparentemente in contrasto tra di loro sono di fatto
inscindibili l'uno dall'altro.

102
D
-DALAI LAMA***
Non mi piacciono le formalità. Non c'è nessuna formalità quando nasciamo e
nessuno quando moriamo. Nel frattempo dovremmo trattare gli altri come fratelli e
sorelle perché tutti noi vogliamo vivere una vita felice. Questo è il nostro scopo
comune e il nostro diritto e dovere.
Domandarono al Dalai Lama: “Qual è la cosa che La sorprende di più
dell’umanità...?” Risposta: ” Gli uomini, perché perdono la salute per guadagnare
soldi, poi spendono i soldi per riavere la salute. E per pensare con ansia al futuro si
scordano del presente, quindi finiscono per non vivere né il presente né il futuro. E
vivono come se non dovessero mai morire … e muoiono come se non avessero mai
vissuto …”
Viviamo la vita con la mente sgombra e il cuore aperto. “Uno dei punti più importanti
dell'insegnamento del Dalai Lama è che se davvero vuoi aiutare le persone, prima
devi aiutare te stesso e lavorare sulle tue dinamiche interiori, in qualunque modo ti
risulti efficace allo scopo”, spiega Goleman. “Nel mio caso si tratta della
meditazione. Trascorrere del tempo in sua compagnia è stata un’esperienza che mi ha
ispirato - da allora ho preso i miei momenti di meditazione molto più seriamente, e ne
percepisco tutti i benefici. Sono più gentile, mi piaccio di più, piaccio di più a mia
moglie, sento dentro di me maggiore energia, ne avverto un beneficio concreto. Il
viaggio che lui delinea per ciascuno parte da dentro di noi, e poi ci spinge ad agire.
Lui dice che tutti abbiamo un modo per agire, ma che dobbiamo farlo fin da adesso
per dare vita a una forza in grado di fare del bene”. È proprio in questo stato mentale
nitido e quieto che il Dalai Lama ritiene che possiamo essere in grado di superare
le nostre emozioni distruttive, come la paura e la rabbia, e adoperare quella chiarezza
interiore per aiutare coloro che abbiamo intorno. Comincia tutto dallo sviluppo e
dalla coltivazione della nostra routine di “igiene emotiva”.
Facciamo pratica della “compassione universale”. “Si riferisce alla compassione
nei confronti di chiunque, ovunque, che secondo me è uno standard piuttosto alto per
le persone”, osserva Goleman. “È più un ideale al quale aspirare”. Il Dalai Lama
afferma che la nostra capacità di pensare e di comportarci in modo gentile nei
confronti degli altri faccia parte del nostro corredo biologico, e che nel momento in
cui decideremo di darle la priorità, essa sia in grado di giocare un ruolo più
importante nelle nostre vite. Gli studi scientifici dimostrano quelli che sono i reali
103
benefici della compassione - dipende solo dal volerlo riconoscere e dal metterlo in
pratica. La compassione rende il gioco più equo, che poi è un primo decisivo passo
per trovarci tutti insieme ad affrontare i problemi del mondo.
Ripensiamo il modo in cui viene concepita l’istruzione. Nel suo libro Goleman spiega
che il senso della compassione innato nel genere umano si palesa nella maggior
parte dei neonati e dei bambini grazie al loro desiderio di condividere e di essere
reciprocamente gentili. Quella priorità però comincia a svanire man mano che i
ragazzini si trovano a passare attraverso sistemi più competitivi come quello della
scuola. “Resta sempre lì dov’è”, aggiunge. “Lo avvertiamo nei confronti delle
persone a noi care. Ma la domanda è: possiamo ampliarne la portata?”. Uno degli
obiettivi del Dalai Lama per il mondo è quello di creare un sistema d’istruzione che
non si limiti a sviluppare delle buone menti (prajna), ma delle persone buone
(karuna). L’apprendimento sociale ed emotivo dovrebbe essere valorizzato tanto
quanto la bravura a scuola, da insegnanti che preparino quelle giovani menti alle
strade che dovranno percorrere. Provate a immaginare quanto diverse sarebbero le
cose se solo scoprissimo come riconoscere le emozioni distruttive e affrontarle in
modo costruttivo fin dal principio, e invece di perdere di vista quella compassione, la
conservassimo quale componente principale delle nostre interazioni quotidiane.
Ancora una volta la scienza sostiene l’idea che i bambini abbiano bisogno di questo
senso di consapevolezza tanto quanto gli adulti.
Schieriamoci contro le ingiustizie. Il Dalai Lama traccia una chiara distinzione fra
l’essere compassionevoli e l’essere passivi. I tre pilastri della sua “società equa”
includono correttezza, trasparenza e responsabilità, e quando ci si trova di fronte
all’ingiustizia quei valori spesso richiedono che si agisca. Non otterremo alcun
cambiamento limitandoci a manifestare la nostra partecipazione morale alle vittime -
dobbiamo impegnarci, e prepararci ad essere la loro voce, a offrire il nostro aiuto in
un modo che potranno trovare di loro utilità, e andare alla ricerca delle radici della
corruzione così che possa essere affrontata e trasformata. Lui lo considera il lato
“muscolare” della compassione. “Una delle domande più difficili qui - argomenta
Goleman - è: ‘Che fare con gli individui che sono semplicemente cattivi?’”. “Lui
risponde che c’è bisogno di opporsi al male che fanno, ma che bisogna altresì
distinguere l’attore dall’azione, e non arrendersi di fronte alle persone. Lui dice di
essere contrario alla pena di morte, ad esempio, perché è convinto che le persone
siano in grado di redimersi - anche coloro che hanno compiuto azioni terribili. Me è
altrettanto convinto che le persone debbano scontare le conseguenze delle proprie
azioni. È una distinzione di particolare rilievo”.
Facciamo sì che la mission aziendale sia il genere umano. La scienza ci dice che i
soldi non sono la chiave della felicità, quindi perché dovremmo vivere all’interno di
un’economia che alimenta quell’idea? Il 104Dalai Lama parte da questa verità e la porta
un po’ più in là per spiegare che il solo modo in cui il mondo degli affari può
produrre del bene a livello sociale è quello di prendere in considerazione
il benessere di ciascun cittadino del pianeta, invece di concentrarsi su un piccolo
contingente d’azionisti. È convinto della necessità di ricalibrare la nostra percezione
del profitto, del benessere e del successo, affinché s’includa fra essi questo senso
d’altruismo globale. Gli affari potranno diventare una forza positiva quando
sostituiranno l’interesse egoistico con la compassione, e si adopereranno le proprie
capacità e la propria influenza per ridurre l’ineguaglianza economica invece di
peggiorarla.

Diamo sempre una mano. Molto spesso il modo migliore di adoperare la propria
intelligenza, la compassione e il talento è investirli in qualcuno che abbia davvero
bisogno del vostro aiuto. Il Dalai Lama spiega che questo compito risulterà
probabilmente scomodo, spingendoti a superare dei limiti che non hai mai incontrato
prima, ma anche che questo è uno dei modi in cui ti renderai conto che le tue azioni
potranno avere delle conseguenze concrete. Per agire come una forza coesa e unita
dobbiamo impegnarci per coloro che sono indifesi, disabili, impoveriti o svantaggiati
in modi che vanno ben oltre la loro capacità di reagire. E tutto ciò non si può
liquidare con la semplificazione della parola “carità”. Il Dalai Lama è convinto che
per combattere davvero l’ingiustizia non dobbiamo solo alleviare i problemi di oggi,
ma prevenirne l’insorgenza in seguito. Il Dalai Lama si fa promotore di un ruolo più
importante delle donne nella leadership, per aiutare a guidare questo cambiamento
di portata globale.

Facciamo la vostra parte nel guarire il pianeta. Che il genere umano abbiamo
svolto un ruolo significativo nel deterioramento del nostro ambiente non è una novità,
ma invece di concentrarci sulle “impronte dei nostri passi”, il Dalai Lama ci chiede di
dare invece maggiore potere alle “impronte delle nostre mani”, o all’impatto che
possiamo avere.
Adoperiamo il nostro potere personale in nome del bene. Il Dalai Lama parte con
l’obiettivo di trovare la pace interiore. Da lì ci possiamo indirizzare verso un dialogo
collaborativo e la risoluzione dei conflitti. Se di fronte a conversazioni e sfide difficili
ci porremo con compassione e un senso di equilibrio allora riusciremo a sostituire la
solita mentalità del “noi contro di loro” con una che tenga invece a mente che siamo
tutti nella stessa barca. Come Goleman ha potuto osservare trascorrendo del tempo in
compagnia di Sua Santità (??? N.d.r.), le divisioni sono solo illusioni, frammenti
della nostra immaginazione, e conservano solo il potere che scegliamo di attribuire
loro. Se tutti riuscissimo a imparare ad 105entrare vicendevolmente in contatto, in
relazione a un livello personale, potremmo sentirci sorpresi dalle nostre capacità di
liberarci dei pregiudizi, riconoscendo tante delle somiglianze che condividiamo con i
nostri presunti nemici. La vera compassione non conosce confini, ed è per questo
che il Dalai Lama è convinto che sia quel singolo elemento presente in ogni essere
umano in grado di cambiare il mondo, se decidessimo di agire in base ad esso.
Quel che seminiamo, raccogliamo. Ma i risultati che raccogliamo non vengono
accumulati da un Dio, fornito di una specie i sistema di retribuzione, ma ritornano
come costi o ricavi quotidiani in termini di qualità delle relazioni interpersonali.
-DECOSTRUZIONE ***

<<Il pensiero ha impigliato il cervello nel tempo>>. <<Tempo e pensiero sono


incastrati l'uno nell'altro>>. Così si esprimono rispettivamente Krishnamurti e
Merleau-Ponty la cui filosofia "è essenzialmente una filosofia del Tempo". Come
uscirne? Come liberarci? Vediamo le strade seguite da quattro filosofi: Simone Weil
(tramite la decreazione), Maria Zambrano (tramite la disnascita), Jaques Deridda
(tramite la decostruzione) e Merleau-Ponty (tramite la destituzione del senso
istituito).
La decreazione di Simone Weil
Dio non può essere presente nella creazione che sotto forma di assenza.
La Creazione, per Dio, non è consistita nell'estendersi, ma nel ritirarsi. Egli ha
cessato di "comandare ovunque ne aveva il potere" (frase molto, molto umana!
n.d.r.). A conferma di ciò anche Rabbi Isaac Luria, uno dei più grandi cabalisti di tutti
i tempi, scrisse che Dio si ritirò da se stesso in se stesso e, con questo atto, fece in sé
posto al vuoto creando così un posto per il mondo futuro.
Dio non può amare in noi che questo consenso a ritirarci per lasciare passare, come
egli stesso, creatore, si è ritirato per lasciarci essere.
Secondo il pensiero cristiano di Simone Weil, Dio, creando il mondo, oltre che un
atto di amore, ha messo in campo un gesto di umiltà: si è ritirato lasciando spazio
ad altro da sé. Ci ha dato la libertà, sempre secondo Weil, di essere diversi da Lui e
quindi, anche di sbagliare e di peccare contro di lui. Un grande gesto quello divino: il
sapersi limitare per dar spazio agli altri. L'uomo dovrebbe quindi adeguarsi a
quanto voluto da Dio lasciando, a sua volta, opportunità agli altri superando
l'egoismo tipico della specie umana.
La contraddizione è il nostro cammino verso Dio perché noi siano creature e la
creazione stessa è contraddizione. E' contraddittorio che Dio, che è infinito, che è
tutto, a cui non manca nulla, faccia qualcosa che è fuori di lui, che non è lui, pur
106
procedendo da lui. La creazione vista come contraddittoria perché Dio, a cui non
manca nulla, fa spazio a qualcosa di esterno alla sua completezza. Mi viene da
pensare che, forse, questa strada potrebbe essere seguita anche dagli uomini i quali,
pur essendo molto, molto incompleti, non sono quasi mai disposti ad aprirsi ad altri
orizzonti nuovi e diversi. Preferiscono barricarsi nella chiusa roccaforte del loro
presunto invincibile ego.
La disnascita di Maria Zambrano
L'uomo è una creatura in continua gestazione. Nasce e rinasce continuamente:
disnascere per imparare a rinascere sempre nuovi. Il discorso sulla nascita è un
tema caro, oltre che a Maria Zambrano, anche a Merleau-Ponty.
L'alba ha più valore della morte nella storia umana, l'alba della condizione umana che
si annuncia più e più volte e torna a riapparire dopo ogni sconfitta. La storia intera
si potrebbe infatti definire come una sorta di aurora ripetuta e mai pienamente
riuscita, protesa verso il futuro. Il sole nasce e tramonta ogni giorno ma, per
Zambrano, è l'alba la più significativa perché sempre portatrice di nuove
aspettative anche se mai pienamente realizzate. Anche su questo argomento si nota
una somiglianza notevole con il "sempre di nuovo" di Merleau-Ponty.
E l'uomo non è mai compiuto, la sua promessa supera in tutto la sua riuscita e
continua la sua lotta costante, come se l'alba, invece di avanzare, si estendesse, si
dilatasse, e la sua ferita si aprisse più in profondità per dare modo a questo essere
incompiuto di nascere […] L'uomo nasce come il prodotto di un lungo sogno […] E
avanza a tentoni sognando attivamente, sognando se stesso. L'uomo, essere sempre
in ricerca e mai pienamente realizzato, avanza all'oscuro mentre sogna di riuscire
finalmente a vincere la sua guerra contro se stesso nascendo finalmente compiuto.
Eppure, nonostante i reiterati tentativi, la completezza resterà una chimera.
Ricordare è "un dis-nascersi del soggetto per andare a riprendere ciò che in lui o
intorno a lui è nato", per "riscattarlo dalla oscurità e dargli occasione di rinascere,
perché nasca in altro modo, questa volta nel campo della visione". E per liberare i
"vissuti" dal loro labirinto, per farli rinascere "con spazio, tempo, luce" la memoria
discende fino agli inferi dell'anima, della psiche, fino alla zona psico-fisica"; poiché,
anche se in modo oscuro essa "mantiene in sé la fiamma dell'origine celeste così
come il collegamento con le viscere". Le viscere e la fiamma di origine celeste che
devono convivere in ogni uomo: problema basilare. Il subconscio quasi
animalesco, ferino che lotta con l'anima quasi divina.
"Colui che conosce se stesso conosce il suo Dio", afferma la Zambrano,
rammentando quella tradizione orientale in cui l'avventura filosofica è rappresentata
in forma di viaggio […] "essere filosofo significa mettersi in cammino", "tendere
107
alla trasformazione di se stessi, alla metamorfosi interiore", "alla nuova nascita o
nascita spirituale", per questo l'avventura del filosofo mistico è definita come "un
cammino verso la luce". Ricordiamo che la filosofia, per Maria Zambrano consiste
nella trasformazione del sacro nel divino. Per sacro si intende tutto ciò che è
viscerale, oscuro, passionale. Ebbene, tutto ciò "aspira ad essere salvato nella luce"
attraverso l'Amore.
La decostruzione di Jaques Derrida
Decostruzione è termine introdotto nel lessico filosofico da Heidegger in Essere e
tempo […] Ciò che Heidegger intende "distruggere" o "decostruire" […] è la "storia
dell'ontologia" cioè quella concezione, comune alla metafisica occidentale da
Parmenide a Nietzsche, che identifica l'essere con gli enti, ossia con gli oggetti
presenti […] La larga diffusione del termine decostruzione nella cultura recente è
tuttavia dovuta a Deridda, che a partire dallo scritto Della Grammatologia (1967) usa
il concetto di decostruzione come critica del logocentrismo, vale a dire come
contestazione del privilegio accordato dalla tradizione metafisica alla presenza e alla
voce come incarnazione del lògos e come quel medio espressivo capace di rendere
disponibile l'essere per un soggetto finito.
Deridda sottolinea che la figura centrale nel discorso del logocentrismo è Platone che,
nel Fedro (mito di Theuth) si schiera apertamente contro la scrittura e a favore
dell'oralità. <<E allora, chi ritenesse di poter tramandare un'arte con la scrittura, e chi
la ricevesse convinto che da quei segni scritti potrà trarre qualcosa di chiaro e di
saldo, dovrebbe essere colmo di grande ingenuità>>. Questo fa dire Platone a Socrate
convinto che il filosofo non affidi le cose di maggior valore alla scrittura ma
all'oralità visto che chiarezza e compiutezza sono tipiche dell'oralità.
 Oltre a ciò, consideriamo anche il logos-rapporto, inteso come capacità di fare
concepire l'essere a un uomo, a una persona finita. Anche questo rapporto è, forse,
da decostruire perché, come direbbe Merleau-Ponty, l'uomo non è mai esterno
all'essere.
<<Deridda riconosce i limiti immanenti alla nozione di auto-oltrepassamento, e in
questo senso vede la possibilità di un'uscita dalla tradizione solo attraverso una
pratica decostruttiva che, mentre ripercorre la storia della filosofia e, in generale,
della cultura occidentale, mira a depotenziare la compattezza metafisica e a introdurvi
fratture, spostamenti, decentramenti, che consentano di liberare ciò che in essa resta
rimosso o escluso. Dalla fine degli anni Ottanta questa attitudine decostruttiva si è
sempre più diretta verso i presupposti politici e istituzionali della pratica filosofica,
alla quale Deridda attribuisce il ruolo di mantenere l'apertura verso un avvenire che è
l'avvenire della democrazia. Da qui il tentativo di decostruire le istanze
identificatorie che precludono l'apertura 108all'altro, sia esso l'evento o l'estraneo, e
che agiscono a livello dell'identificazione personale, dell'economia, dell'ontologia,
della politica, del linguaggio, della cultura e della nazione>>.
Siamo partiti dalla decostruzione del logos inteso come parola non scritta tipica della
tradizione filosofica socratico - platonica. Siamo poi passati alla pratica decostruttiva
come grimaldello per uscire dalla tradizione della filosofia occidentale. Bisogna
infatti saper superare la cultura codificata indirizzando la decostruzione verso i
molti suoi ambiti: politica, linguaggio, economia.
Ciò che sembra antitetico è, in realtà, complementare. Questa è la grande dottrina
della decostruzione che, in fin dei conti, si riduce a una questione di giustizia.
Destituire il senso istituito di Maurice Merleau-Ponty
<<Merleau-Ponty non è stato il filosofo della torre d'avorio ma dell'impegno in senso
profondo, con immensa e scomoda onestà intellettuale […] senza mai rinunciare alla
domanda fondamentale circa "la cosa stessa" la primordialità che sottende
l'esperienza come il silenzio sottende il linguaggio. Sempre faceva ritorno al patto
primordiale che lega l'uomo al mondo. In questo, forse, è l'ultimo filosofo e il primo
dei non-filosofi, preso in una volontà di non-possesso, in una finale esitazione o
"balbettio" (come disse Lacan) che fu la sua qualità>>. Sembra doveroso sottolineare
"la volontà di non-possesso" e "una finale esitazione" qualità molto rare per un
filosofo occidentale: non per nulla fu forse "il primo dei non filosofi". Merleau-Ponty
è stato personaggio di grande impegno anche nella vita politica. Il suo rigore morale e
la sua intelligenza lo hanno però allontanato dalle facili posizioni di asservimento.
Ricordiamo, al proposito, le sue diatribe con Jean-Paul Sartre e il loro distacco dopo
aver collaborato per molti anni alla rivista Tempi Moderni. Il motivo della rottura fu
la diversa visione sulle mire espansionistiche dell'Unione Sovietica. A voler ben
vedere bisogna ammettere che Merleau-Ponty aveva una capacità intuitiva del futuro
e una libertà di pensiero ben superiori a quelle del suo amico Sartre.
La sua grande perspicacia la si coglie nella seguente semplice affermazione tratta dal
suo libro Fenomenologia della percezione ove scrive: <<La vera filosofia consiste
nel reimparare a vedere il mondo>>. In queste pochissime parole è evidente il
grande progetto di destituire il senso istituito. Il suo spirito critico lo porta a superare,
andar oltre gli insegnamenti ricevuti. Ciò anche tramite la "superriflessione".
<<Altrimenti detto, noi intravediamo la necessità di un'operazione diversa dalla
conversione riflessiva, più profondamente di quest'ultima, intravediamo la necessità
di una specie di superriflessione che tenga conto anche di se stessa e dei mutamenti
che essa introduce nello spettacolo, che quindi non perda di vista la cosa e la
percezione grezza, e infine non le cancelli, non recida, attraverso un'ipotesi di
inesistenza, i legami organici della percezione e della cosa percepita, e assuma
109
viceversa il compito di pensarli, di riflettere sulla trascendenza del mondo come
trascendenza, di parlarne non secondo la legge dei significati delle parole, inerenti al
linguaggio dato, ma grazie a uno sforzo, forse difficile, che impiega questi significati
per esprimere, al di là dei significati stessi, il nostro contatto muto con le cose,
quando esse non sono ancora cose dette>>.
<<Il filosofo è sempre implicato nei problemi che pone, e non c'è verità se, per
valutare ogni enunciato, non si tiene conto della presenza del filosofo che enuncia>>.
Reimparare a vedere il mondo destituendolo dal senso istituito: andare oltre i
significati attribuiti alle cose per giungere al contatto diretto con le cose stesse tramite
la percezione grezza. La superriflessione che, ricordiamolo, è la riflessione che
tiene conto dei mutamenti che essa stessa produce nel mondo e sulle cose, ebbene
la superriflessione può portare a una vera rivoluzione nel percepire perché non è
condannata "a mettere nelle cose ciò che poi fingerà di trovarvi". Del tipo: "l'albero è
verde"; lui, l'albero, non lo sa di essere verde, non è interessato alla questione. Noi
invece, che abbiamo messo il verde sull'albero, ci stupiamo poi di trovarcelo. "Ci si
immerga nel mondo anziché dominarlo" dice Merleau-Ponty. Dobbiamo quindi
vivere il mondo dal di dentro anziché catalogarlo e studiarlo dal di fuori.
Per Merleau-Ponty il filosofo è l'uomo che si risveglia e che parla misurando ogni
volta l'inadeguatezza della sua parola e la necessità di non rinunciarvi. La
filosofia di Merleau-Ponty è stata fin dall'inizio interrogazione aperta, ricerca del
senso dell'essere delle cose e si è andata sempre più indirizzando verso un'ontologia
radicalmente ripensata in cui il senso è sempre più qualcosa di non concluso, di non
compatto, più uno scarto che una pienezza.
Concludiamo questo paragrafo confrontando il pensiero di Merlea-Ponty sia con
quello del grande orientale Doghen che visse nel tredicesimo secolo dopo Cristo.
<<Noi non siamo gli spettatori di questa realtà, noi siamo la realtà>> dice
Doghen. Il filosofo americano Robert Nozick, più giovane di una trentina di anni
rispetto al filosofo francese, scrive invece: <<Respirare il mondo, magari talvolta
sentire perfino che è il mondo a respirare noi, può essere un'esperienza profonda
di non separatezza dal resto dell'esistenza>>. Entrambe queste asserzioni sono
improntate all'idea che "noi ne siamo del mondo" espressione molto cara a Merleau-
Ponty. E, da dentro il mondo, dobbiamo reimparare a percepire il mondo.
-DEMOCRAZIA ***
Dice Popper che la democrazia non può compiutamente caratterizzarsi solo come
governo della maggioranza. Infatti una maggioranza può governare in maniera
tirannica (la maggioranza di coloro che hanno una statura inferiore a 6 piedi può
decidere che sia di coloro che hanno una statura superiore a sei piedi a pagare tutte le
110
tasse). In una democrazia i poteri dei governanti devono essere limitati ed il criterio
della democrazia è questo: in una democrazia i governanti - cioè il governo - possono
essere licenziati senza spargimenti di sangue. In altre parole, è evidente che in una
società aperta le istituzioni non possono permettere ai prepotenti ed ai potenti di
schiavizzare i mansueti: e questo è un limite alla libertà, che non può essere illimitata.
C'è un limite anche alla tolleranza: se noi la estendiamo agli intolleranti, se non siamo
disposti a proteggere una società tollerante contro l'attacco degli intolleranti «allora i
tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi». «Si deve proclamare il diritto di
sopprimere gli intolleranti, se necessario anche ricorrendo alla forza, qualora essi,
ripudiando ogni argomento "ricorrano all'uso dei pugni e delle pistole".»

Letteralmente la parola democrazia significa potere al popolo. Ora chiediamoci:


il popolo ha le capacità e la possibilità di gestire il potere? E infine: ma cosa è
esattamente un popolo se non un insieme conflittuale di interessi?
Platone, nella Repubblica VIII, dice che gli stati storicamente realizzati dipendono dai
loro cittadini. Aggiunge anche che l'antagonismo fra ricchi e poveri rompe l'unità
dello stato e lo indebolisce mentre le diseguaglianze sociali e l'assenza di valori
creano miseria e criminalità.
Quando si naviga, ci si affida a marinai esperti o a dilettanti che non hanno mai preso
un remo? La risposta è scontata, la domanda è retorica. E allora, perché gli affari
dello Stato (all'epoca di Platone era la polis) devono essere affidati a persone senza
preparazione? Platone disdegna la democrazia e propone il governo dei filosofi, cioè
di se stesso!
La timocrazia (da timé; considerazione, onore) è, nella teoria politica platonica, la
forma di potere di coloro che ricercano gli onori per placare la loro ambizione.
Nella oligarchia hanno invece il sopravvento uomini avidi di ricchezza (prevale il
censo). Nell’oligarchia “si plaude e si ammira il ricco”. All’opposto la costituzione
democratica è dominata dai poveri “che massacrano parte dei ricchi e parte esiliano
mentre si dividono con quelli che restano l’amministrazione e le magistrature, il più
delle volte spartendole a sorte”. La tirannide poi, per Platone, è lo sbocco naturale
della democrazia che, per l'abuso della liberta, degenera perché il confondere la
libertà con la licenza porta all'anarchia.
L'oclocrazia (dal greco antico: ὅχλος, óchlos, moltitudine o massa, e κρατία, kratía,
potere) si configura come uno stadio di governo deteriore nel quale la guida della
pόlis è alla mercé di volizioni delle masse.
L'onagrocrazia (dal greco ὄναγρος ònagros, somaro selvatico). L’ha coniata
Benedetto Croce per indicare la forma di potere gestita dai somarelli, ovvero coloro
che non hanno avuta tanta voglia di studiare. 
111
-DESIDERIO: mi mancano le stelle! ***
L'origine della parola desiderio è una delle più belle e affascinanti che si possa
incontrare attraverso lo studio della meravigliosa disciplina che è l'etimologia. Questo
termine deriva dal latino e risulta composto dalla preposizione de- che in latino ha
sempre un'accezione negativa e dal termine sidus che significa, letteralmente, stella.
Desiderare significa, quindi, letteralmente, "mancanza di stelle", nel senso di
"avvertire la mancanza delle stelle", di quei buoni presagi, dei buoni auspici e quindi
per estensione questo verbo ha assunto anche l'accezione corrente, intesa come
percezione di una mancanza e, di conseguenza, come sentimento di ricerca
appassionata.

Eros è eterno, ma non è un Dio. È un'immensa forza primigenia che nasce nel
momento in cui la luce si separa dalle tenebre. Infatti, stando alla mitologia, Eros è
figlio della notte. Non è un Dio, ma molto di più. Infonde il desiderio negli dei e negli
uomini. La nostra infatti è una specie desiderante. Che cosa desidera? Desidera
desiderare.
Il desiderio metafisico ha un’altra intenzione: desidera ciò che sta al di là di tutto
quello che può semplicemente completarlo[..] Il Desiderio è desiderio
dell’assolutamente Altro. (Levinas)
Buddha dice che "la vita è sofferenza, si soffre perché si desidera e si desidera per
ignoranza". Posso non concordare caro Buddha? Le generalizzazioni semplificative
non hanno valore nei fatti ma valgono solo per le idee. Infatti non sempre la vita è
sofferenza: è anche così ma non è solo così! Si soffre perché si desidera? Non
sempre, a volte il desiderio è gioia. Si desidera solo per ignoranza? Non sembra
proprio! Ciao Buddha.

-DICHIARAZIONE UNIVERSALE ***

Il primo documento postbellico che affonda antiche radici di carta e pensieri nella
migliore filosofia della nostra tradizione è la  Dichiarazione Universale dei diritti
dell’Essere Umano , del 1948. Idealmente apre l’epoca dei grandi documenti normativi
che insieme hanno prodotto l’incarnazione normativa della ragione pratica. E’
un’alba di cognizione del valore  che nasce, indubbiamente, dalla cognizione del dolore,
come la Dichiarazione del 1948 esplicita con cristallina chiarezza nel suo Preambolo: il
principio di pari dignità va affermato contro il principio di discriminazione – qualunque ne
sia la base: razza, nazione, classe, religione, genere, orientamenti ideologici e politici. Perché
è quel principio che ha prodotto “il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani”,
che a loro volta “hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza
dell’umanità ….”. In queste parole risuona indubbiamente la nozione kantiana
112
dell’età adulta dell’uomo, l’età della ragione e dell’autonomia – quando l’uomo
diventa sovrano di se stesso, capace di dare a se stesso la legge (senza più l'assillo di
autorità che decidono per lui). Eccolo, il primo valore e la prima radice d’Europa, che
sprofonda ben oltre Kant.  Dignità . E’ il pensiero di Pico della Mirandola che a
questa radice dà vita: la grande idea dell’uomo creatore di se stesso, perché non ha
una natura completamente stabilita ma la fa cammin facendo, perché vive di libertà.
“Dignità”. Consideriamo l’Articolo 1 della Dichiarazione del ’48: “Tutti gli esseri
umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Sono dotati di ragione e
coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

-DIO***

Per noi occidentali Dio è onnisciente mentre per l'Oriente, l'Assoluto, forse, non
è neppure autocosciente!
Gli uomini, che credono all'esistenza di una identità personale, credono anche ad
un Dio personale e quanto più credono alla propria identità personale, tanto più
credono ad un'identità personale di Dio. (Pasqualotto)
Per Scoto Eriugena, Maister Eckhart e Leopardi Dio è il Nulla! Da Lui veniamo
e a Lui torniamo. Meraviglioso! Direbbe l'antico pensiero Orientale.
Il movimento di negazione, tipico della teologia negativa, che, in alcuni casi, conduce
Eckhart a considerare Dio come l'Uno, altrove lo conduce a considerarlo come
nulla. Dio è il nulla in quanto è principio senza principio, è il non-fondato.

L'Uno non indica un predicabile. In questo senso, esso è il nulla, ossia totale
assenza di distinzione, al di là dell'essere identico a sé stesso, perché in questo caso
esso sarebbe ancora qualcosa.
Creiamo Dio a causa della nostra paura, della nostra necessità e del nostro bisogno.
Ci sentiamo talmente inermi nella nostra infelicità, talmente incapaci, talmente
impotenti nel nostro dolore, che a causa di questa paura creiamo un Dio a cui
possiamo rivolgere delle preghiere, al quale poter dire: "Non mi dare tanti guai", un
Dio che possiamo adorare per sentire che, se Lo adoriamo, Lui sarà sempre ben
disposto nei nostri confronti. Credi che Dio possa essere prevenuto? Credi che
pregando starà dalla tua parte e se non lo preghi non starà dalla tua parte?
Dio è un mistero, non un sillogismo. Coloro che cercano dimostrazioni dell’esistenza
di Dio stanno semplicemente cercando di fare l’impossibile; non può essere data
nessuna dimostrazione. (Osho interpreta Eraclito)

Dio è il giorno e la notte, l’inverno e l’estate, la guerra e la pace, sazietà e desiderio.


(Eraclito)

113
Secondo il mistico Sufi di nome Hallaj (poi decapitato e chiamato il Giordano
Bruno dell'Islam) Dio è l'unico essere esistente. Il Sé diviene un punto di
percezione e conoscenza illusorio, un costrutto astratto di attributi dei quali il
mistico si deve spogliare.

Non si muove foglia che Dio non voglia. (Corano VI, 59) Dio guida che vuole e svia
chi vuole. Per l'Islam Dio è Re e non Padre e, quindi, può anche permettersi di non
essere buono. Ma, dico io, anche un padre può permettersi di non essere buono.
Tant'è che il Dio Padre ci può indurre in tentazione.

Dio, per lasciar apparire il mondo, nell'assoluto non luogo del suo essere infinito (En-
Sof), si ritira. Egli si inabissa affinché il mondo sia.
Nel migliore dei casi l’uomo proietta su Dio il suo personale senso di giustizia, nel
peggiore gli accessi di violenza e il desiderio di vendetta. Dio non castiga e non è il
braccio secolare delle sentenze degli uomini. Dio non è come noi, non ha nemici
ma solo figli, sue creature emanazione dell’Amore gratuito. Custodisce i figli vicini e
cerca quelli che si sono allontanati. Riallaccia rapporti, non mantiene il punto e fa
sempre il primo passo. Ma non lo riconosciamo! Preferiamo il grande castigatore
a Colui che agisce con Misericordia. La punizione, infatti, rientra nei nostri
schemi, la Misericordia no. La punizione ci fa sentire forti, la Misericordia deboli. La
punizione giustifica il nostro modo ordinario di valutare, la Misericordia lo
contraddice
Nella teoria dell'En Sof (termine che significa infinito - infinitamente e facente capo
alla Kabbalah ebraica), si sottolinea la natura impersonale e neutra di ciò che
impropriamente, ossia in modo troppo umano, troppo determinato,
denominiamo Dio. In realtà En Sof non indica alcunché di specifico essendo
indefinito ma allude a Ciò che il pensiero non può raggiungere, all'unità
indistinguibile, alla radice di tutte le radici. Proprio perché non indica alcunché di
definito e di determinato, si può dire che si manifesti come Nulla (un nulla però non
nichilista perché contente in sé tutte le infinite potenzialità). En Sof non crea ma
permette agli esseri di essere ritirandosi. Quante e quali assonanze: con la
decreazione di Simone Weil, con il Tao cinese e con l'Uno di Plotino!
Il monaco Anselmo d'Aosta (nato nel 1033) si propose di dimostrare l'esistenza di
Dio con un ragionamento (a priori) che, in seguito, verrà chiamato da Kant
"argomento ontologico". Dio viene definito come "l'essere di cui non si può pensare
nulla di maggiore (aliquid quo nihil maius cogitari possit)". Questo "essere" deve
però anche esistere perché, se non esistesse, non sarebbe più il "maggiore". Sorgono
però alcune critiche. La prima è la più semplice: si possono pensare le isole felici o le
montagne d'oro ma non per questo esistono. Infatti tra le parole, i pensieri e la realtà
114
passa una bella differenza. La seconda critica si basa sul fatto che Dio è un assoluto e,
quindi, un infinito ineffabile: pertanto anche impensabile da parte di una mente
finita come quella dell'uomo. La terza critica è la più radicale e viene dall'antico
pensiero orientale. Anselmo afferma implicitamente che l'esistenza è superiore alla
non esistenza ma non lo dimostra. Gli viene istintivo pensare ciò come veniva
istintivo pensare che la terra fosse immobile al centro del mondo. L'antico pensiero
orientale supera il dualismo fra esistenza e non esistenza, fra essere e nulla, fra
autocoscienza e non coscienza. Supera il dualismo tramite un agnosticismo
prospettivista. Comunque anche Lucrezio e Nietzsche erano abbastanza scettici sulla
presunta superiorità dell'essere rispetto al non essere. Noi occidentali
contemporanei invece siamo ancora impigliati nella logica duale senza renderci conto
che la logica non descrive la realtà ma tenta di semplificare sbrigativamente la
complessità. Infine il monaco Gaunilone faceva notare al suo maestro Ambrogio
d'Aosta che quando pronunciamo il nome "Dio" non sempre andiamo al di là del
suono fisico della parola (flatus vocis dirà poi Roscellino). Anselmo parte da
un’alternativa: che Dio sia o non sia. Negli scritti chan, al contrario, il principio
è e non è: è indeterminata forza neutra che struttura il mondo senza
alcuna intentio: senza alcun significato. Per Anselmo ciò che è, e non può non
essere: l’attività intellettiva umana, strutturata attraverso il principio di non
contraddizione, può corrispondere a Dio. Dio si basa dunque sul principio di non
contraddizione?
Dio, forse, è la forma delle forme. Dio, forse, è la relazione fra tutte relazioni.
Prego il mio Dio perché liberi il mio io dal mio io.
Io sono perché Dio è. Dio è perché io sono. I due sono Uno. Nessuna dualità.
L'avvolto che avvolge.
Il mio rapporto con Dio è bellissimo perché non duale, infatti non siamo mai in due.
Quando ci sono io … non c'è lui e quando c'è lui non ci sono io. E questo secondo
caso è semplicemente meraviglioso!

Dio è verità e la verità è divina. Antichi pensieri dualistici?

James dice che Dio collabora con l'uomo al miglioramento del mondo. Non è però
onnipotente e infinito perché, se così fosse, non permetterebbe il male mentre l'uomo
non sarebbe libero.

Secondo il filosofo e psicologo pragmatista James si deve parlare della finitezza di


Dio, un Dio non più onnipotente, ma avente funzioni, spazi e tempi simili a quelli
umani.
115
Per Nietzsche la morte di Dio è una formula che esula dal solo piano religioso e
morale. Fuor di metafora, si può dire che le ricerche matematiche, fisiche e
psicologiche della nostra epoca si trovarono di fronte una realtà molto meno
definita e calcolabile di quel che si credeva: una realtà complessa! Tra gli elementi
che rivelarono la loro inconsistenza ontologica vi è l'anima, l'io. Quindi, più che della
morte di Dio, si dovrebbe parlare della morte dell'io nel senso che l'io va inteso più
come finzione con una funzione che come sostanza.

Nolite quaerere a Deo nisi Deum. (Agostino) Non chiedete nulla a Dio se non Dio
stesso. La preghiera che non chiede è un frammento di Dio.

Dio, tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, a difendere fino all'ultimo la
tua casa in noi. (Hilleum, ebrea vissuta nei campi di concentramento tedeschi)

L'idea di Dio - Bene unisce gli uomini mentre le religioni li dividono.

Per i Sumeri Dio era come un gomitolo ingarbugliato in cui era impossibile trovare il
bandolo.

Nei testi del filosofo Reale si tende a vedere Dio anche dove non pare esserci come,
ad esempio, nel demiurgo platonico e nel motore immoto aristotelico.

"Tutte le cose sono piene di piene di dèi." Frase attribuita a Talete che fu anche il
primo filosofo scienziato della storia.

Dio è, in un certo senso, un ossimoro: è l'inesplicabile ove tutto si spiega.

La vita del mondo che verrà è più necessaria Dio che a noi.

Prego sempre il vero Dio di liberarmi dalla vita eterna individuale. Non sono
infatti così narciso da sperare che il mio misero ego (se mai esistesse …) venga
conservato in eterno. Meglio disperderlo nel grande Tutto! Il piccolo atman induista
(se non è già an-atman buddista) fuso, superando ogni dualità, nel grande Brahman!

Prego sempre il vero Dio di liberarmi dal dio feticcio e totem antropomorfo che serve
agli uomini per esorcizzare le loro paure e poter sperare che si realizzino i loro
desideri. NEC SPE NEC METU.

Nella distanza che lo separa da Dio e che gli appare intollerabile l'uomo cede alla
tentazione della prossimità e si fabbrica l'idolo di dio. L'idolo è un dio assente, è

116
un dio privo di Dio, un dio a portata di mano e a portata di bocca; e l'idolatria è
sempre sostituzione al Dio altro e veritiero da parte del dio facile e rassicurante.

L'esperienza religiosa non è automaticamente esperienza di fede e il moltiplicarsi di


gesti rituali o di aggregazione nel nome di dio non sono necessariamente indizi di
fede.

Quando la legge è avulsa dalla misericordia, quando dio diventa il complice


dell'oppressione e della violenza, allora il vero Dio non è la dove ci sono credenti
che pensano di rifarsi a lui; Dio è altrove!

Io invoco la terra intera e tutti i profeti


e li scongiuro:
Alzate la testa verso il cielo e sputateGli in faccia.
O cieli, voi non avete un Dio dentro di voi …
(Katzenelson, poeta ebreo morto ad Auschwitz)

L'uomo ha il diritto di chiedere conto a Dio dei suoi peccati, delle sua mancanze e
infedeltà, e può forzarlo al pentimento e ad atti riparatori della sua colpa, perché Dio
stesso ha bisogno di espiazione. (Eckardt, teologo ebreo)

Il nostro è un Dio persona e solo nei confronti di un Dio personale ci può essere lo
scopo ultimo di possederlo. (Cantalamessa) Possedere un persona? Possedere Dio?
Di che cosa stiamo parlando?

La fede non è di per sé un dono, la fede è una risposta libera a un comunicarsi di


Dio come dono. Insomma dualismo puro fra due attori: un Dio che si offre e un ego
che accetta o respinge. E se, magari, Dio ed io non fossimo due?

Nel parlare di Dio la patristica ha attinto largamente dai filosofi: da Platone a Plotino
o da Aristotele come ha poi fatto anche Tommaso d'Aquino.

Non mi piace una religione dove conversione significa dire "Si" al ruolo di servitore
e dove Dio viene appellato Signore.

Non c'è da stupirsi se gli uomini nello sforzo di decifrare l'enigma (importante per la
loro esistenza) sono giunti a rappresentazioni di Dio infinitamente diverse, né se
hanno trasferito sull'idea di Dio la conoscenza che avevano di se stessi e del proprio
rapporto con il mondo. Colpiti da un sentimento di dipendenza impotente, essi hanno
proiettato i desideri e i timori in un Essere superiore che fosse capace di
soddisfarli e difenderli.

117
Un vero credente è tollerante perché ha dentro di sé anche un non credente. Un
intollerante è sempre un non credente che vuol mascherarsi da credente.

Mi piace ricordare quel passaggio di un grande filosofo stoico, Epitteto, ove si dice
che tutto è parte del divino: ogni creatura deve recitare la sua parte e allora
l'usignolo canterà, la formica raccoglierà il grano per il suo inverno e io, come uomo,
devo recitare la parte che mi è stata affidata, cantando e danzando di fronte agli dei.
"A te, dice appunto Epitteto, spetta soltanto di rappresentare bene qualunque
sia la persona che ti è stata destinata".

"Non seguirete altri déi tra le divinità dei popoli che vi circondano, perché il Signore
tuo Dio, che sta in mezzo a te, è un Dio geloso; che non si accenda l'ira del Signore
tuo Dio e ti faccia scomparire dalla faccia della terra". Dt 6,6
Si può adorare un Dio lento all'ira ( n.d.r. … ma questa è una dote per Dio?) ma che
non lascia senza punizione (Es 34, 6-7), che castiga la colpa dei padri nei figli e nei
figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione?
« Giorno d'ira quel giorno, giorno di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di
sterminio, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità, giorno di
squilli di tromba e d'allarme sulle fortezze e sulle torri d'angolo. »
Alla fine capirai che Dio non si può capire visto che un Dio capito non sarebbe
più Dio ma lo diventerebbe chi lo ha capito. (Tersteegen)
Nonostante tutto continuero comunque a dare del tu a Dio.
Le questioni fra il mio io e il mio Dio (se esiste un io, se esiste un Dio e se i due sono
veramente distinti) saranno o non saranno affari miei?
Nulla, nulla assolutamente esiste, eccetto Lui: Allah. (Ibn Arabi)
Dio non esiste e noi siamo il suo popolo eletto. (Allen)
Non so bene chi fra Dio e l'io esista veramente. Alla fine se la sbrigheranno fra di
loro!
Anche Iddio ha il suo inferno: è il suo amore per gli uomini. (Nietzsche)
Dio è morto; a causa della sua compassione per gli uomini è defunto Iddio.
(Nietzsche)
Se io non fossi, neanche Dio sarebbe: io sono causa originaria dell’essere Dio, da
parte di Dio; se io non fossi, Dio non sarebbe Dio”. (Meister Eckhart)

118
Il dio, per Eraclito, è la coesistenza dei contrari, è la follia, è l'indifferenziato (il
subconscio). Per l'uomo invece una cosa è bella e giusta mentre l'altra è brutta e
cattiva.
Per Leibniz, Dio si comporta come un buon principe verso i suoi sudditi o come un
buon padre verso i suoi figli! Più antropomorfismo di così …
Chi è Dio? A me lo chiedi? Non saprei! Prova a chiederlo a Lui? Se Dio vuole, si
descriva: è conoscibile o inconoscibile? è presente o è assente? è persona o no? è
dimostrabile o è indimostrabile? o è semplicemente un'idea di infinito, di infiniti?
La tradizione cabalistica ci introduce ai dieci nomi di Dio: YHVH (il tetragramma
impronunciabile, l'ineffabile, il nome del nome), ADNY, YAH, EL, ELHOA,
ELOHIM, EHYE'H, CHADDAI, EL CHADDAI, TSEVAOT.
Il Dio ebraico - cristiano, creatore e padrone, ordina all'uomo di non mangiare il
frutto proibito. L'uomo lo mangia ugualmente e cade in disgrazia presso Dio. In
questa storia non si capisce chi ne esce peggio tra l'uomo disobbediente e il dio
vendicativo. Per fortuna è solo un aneddoto. O no?
Se Dio ci ha creati dal nulla per amore, perché poi molti, troppi soffrono, senza
colpa, una vita di stenti e di dolore?
"Uno, dio, tra gli dei e tra gli uomini il più grande, non simile agli uomini né per
aspetto né per intelligenza... tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero sente...
senza fatica tutto scuote con la forza del pensiero... sempre nell'identico luogo
permane senza muoversi, né gli si addice recarsi qui o là." Questo scrive Senofane,
filosofo greco del sesto secolo prima di Cristo che critica l'antropomorfizzazione
degli dèi, resi simili agli uomini sia nell'aspetto fisico che in quello morale. Tale
operazione fu, a suo parere, fatta erroneamente da Omero e da Esiodo.
La gente Lo cerca lontano, che peccato! Sono come coloro che, immersi nell'acqua,
chiedono disperatamente da bere. (Hakuin)
Il pensiero occidentale si basa sul fondamento irrinunciabile dell'esistenza di un dio
che ha fissato le regole all'inizio dei tempi. Per il pensiero orientale non esiste nulla
di simile. Dio non è un ente, posto di fronte a me, che mi detta i comandamenti
comportamentali.
Può Dio punire gli uomini per le loro colpe e i loro peccati? Forse lo può fare solo se
è un dio antropomorfo.
Un solo dio e tante religioni, come è possibile? … Hai presente le macchie di
Rorschach?

119
E' satanico uccidere in nome di Dio. (Papa Francesco). Domanda: vale anche per
Giordano Bruno e altri come lui? Vale anche per i catari e altri come loro?
Abbandonarsi a Dio perché Lui solo esiste. Non io, ma TU DIO sei il vero SE'!
Tutti adorano Dio, ma non sanno cos’è. Dio, forse, è solo un pensiero.
Dio è un'essenza simile a niente e quindi, non può assomigliare a niente.
Il Dio nato dalla paura e dalla speranza, modellato dal desiderio e
dall'immaginazione, non può essere la Mente e il Cuore dell'Universo.
(Nisargadatta Maharaj)
Dio esiste soltanto per la volontà che lo richiede in virtù della sua libertà. Questo
pensa Kant....
Dov'era Dio prima che la mente umana lo pensasse?
La certezza che Dio esiste è la volontà che Dio esista!
Perché dio ha fatto un patto, una alleanza con gli ebrei e non anche con i pigmei, con
gli incas, con gli aborigeni?
Dio esiste! Dio non esiste! Nessuna delle due affermazioni è dimostrabile...
Dio è il tutto e il nulla.... certezza e incertezza... caso e necessità.

Dice Odifreddi: "… non si può dimostrare nulla di ciò che non è già implicito
negli assiomi e quindi per dimostrare l'esistenza di Dio bisogna in qualche modo
postularla".

Noi parliamo con Lui soltanto quando in noi non c'è più parola.

Nomi dell'unico Nome.

Dio è l'inconcepibile al di qua e al di la del tutto.


Tutto è Dio. Non vi sono “altri”.
Se i triangoli si inventassero un dio, lo farebbero con tre lati!
"Dio si presenta a noi con il volto degli altri" ci dice Levinas eliminando dogmi e
imposizioni.
E se Dio fosse ateo?
Mio Dio, io so bene che tu non sei come mi hanno raccontato, mio Dio tu sai bene
che io non sono come cedo di essere, però sorridiamo insieme del tuo e del mio

120
presunto essere divisi: nessuna divisione perché la divisione è illusione. Siamo
diversima non divisi.
Mio Dio, mi sono perso per strada mentre ti seguivo. Ma, forse, anche tu, mio Dio, ti
sei perso mentre mi precedevi....forse...
E' la divinità che ha creato l'umanità a sua immagine e somiglianza oppure è
l'umanità che ha creato la divinità a sua immagine e somiglianza?
Dio, quel giorno, era andato in Vaticano a piangere: Bernardino Ochino dice che il
papato è opera del demonio.
Una volta, ricordo, ho bussato alla porta di Dio... non era in casa. Poi lui busso alla
mia porta... ero in casa... ma non gli aprii. Così, per ora, non ci siamo ancora visti.
Se la creazione è stata libera, perché Dio non ha scelto un universo migliore nel quale
il male non esistesse?
Dice Pico della Mirandola che l'infinitezza di Dio non può essere colta dalla nostra
limitata intelligenza. Dio supera tutto quello che può essere pensato. Solo il mistico
silenzio ci può avvicinare a lui. Incominciamo a vivere quando ci liberiamo di questo
corpo di morte (altro che resurrezione dei corpi!)
L'io è solo una finzione scenica, una nuvola nel cielo, un'onda sul mare; insomma l'io
non è realtà ma finzione: solo Dio-Tutto-Energia esiste: da lui veniamo, a lui
torniamo.
Siamo solo ologrammi di Dio...
"E' più facile parlare con Dio che parlare di Dio" dice Kafka. Infatti cercare di
descrivere l'Assoluto significa sminuirlo visto che l'Assoluto non è percepibile né dai
sensi né dai concetti e neppure dalle idee.
L'amore intellettuale di Dio (Spinoza) porta il saggio oltre l'individualità, oltre lo
spazio-tempo, nella intuitiva beatitudine infinita liberandolo dalla paura atavica della
morte.
Dio, SE ESISTE, non esiste alla stessa maniera degli altri esseri.
Dire "Dio è persona" mi pare una contraddizione. Infatti la persona, per essere tale,
ha bisogno degli altri. Mi chiedo: Dio ha bisogno di noi? Se ha bisogno non è
perfetto! Quindi o Dio è perfetto oppure è persona....
Caro Dio, chiunque tu sia, vorrei ricordarti che la giustizia è fondata sul nulla! Solo
l'amore ha un senso... quindi, se non l'hai già fatto, chiudi l'inferno.
Perché introduci un agente esterno? Il mondo si ricrea da se stesso. È un processo
senza fine, il transitorio che genera il transitorio.
121 È il tuo io che ti fa pensare che
debba esserci un agente. Crei un Dio a tua immagine, anche se è squallida. Con il
film della tua mente proietti un mondo e anche un Dio per dare al mondo una causa e
uno scopo. È tutta immaginazione. Balzane fuori.

Possiamo sperare che l'universale proposito salvifico di Dio si rivelerà efficace e che
egli sarà infine 'tutto in tutti', vale a dire che conseguirà il divino obiettivo di salvare
tutta la creazione. (Gerald O'Collins e Mario Farrugia)
Dio è assente dal mondo afferma Simon Weil.
Una verità che è passata per altre mani è una verità censurata, e il Dio che l'uomo
incontra alla fine della catena di distribuzione ecclesiastica, è un Dio censurato... (Uta
Ranke-Heinemann)
Heidegger critica la sequenza: essere... sacro... divino...Dio. Dio è... ma cosa significa
"è"???
Teologia apofatica: Tommaso dice che nessun nome può descrivere Dio.
Mi è stato chiesto: credi in Dio? Ho risposto: spero che lui creda in me perché io non
credo nel mio presunto io.
Se ci si radica nell'Assoluto cosa sarà mai la morte?

Dialogo - preghiera

Mio Dio ti offro la mia ricchezza!


Non saprei cosa farne, sono solo cose.

Ti offro la mia intelligenza!


Troppo poco, sono solo concetti.

Ti offro il mio "io"!


Non basta ancora, è solo un'idea.

Ti offro l'amore!
Finalmente vai oltre le cose, i concetti, le idee
e parli la mia lingua.

-DONNA -DONNE***

Chiamare la donna il sesso debole è una calunnia; è un' ingiustizia dell'uomo nei suoi
confronti. Se per forza si intende la forza bruta, allora si, la donna è meno brutale
dell'uomo. (Gandhi)
122
Ebbene sì, donne e uomini pensano in modo diverso. Le donne sono più empatiche,
gli uomini più razionali. A Londra, The Times ha sparato la notizia in prima pagina,
poiché lo studio dell’Università di Cambridge che sembra dimostrarla è il più vasto
mai realizzato. Ben 670 mila persone sono state sottoposte a svariati test online per
concludere che «l’analisi dei “tipi di cervello” ha rivelato che le femmine tipiche
hanno, in media, più probabilità di essere di tipo emotivo e che i maschi tipici hanno
più probabilità di essere di tipo sistematico». I quattro ricercatori di Cambridge
hanno identificato cinque sottotipi di cervello lungo una «scala E-S» dove «E» sta per
empatia, ovvero la capacità di leggere le emozioni altrui e rispondere di conseguenza,
e «S» sta per sistematizzazione, ovvero l’abilità di comprendere le regole seguite
dall’altro e reagire a modo. Risultato: le donne sono più interessate alle emozioni e
alle persone, gli uomini ai fatti e ai meccanismi. C’entrano fattori genetici, biologici
(specie ormonali) e fattori ambientali e di educazione. Scrivono i ricercatori: «Tutto
suggerisce che le pressioni di selezione evolutiva hanno favorito la specializzazione
del cervello nel campo culturalmente associato a quel sesso». Quindi, cura degli altri
per le donne, e lavoro e società per gli uomini. Le donne pensano empatico perché lo
sono o perché “lavorano” con l’empatia? Probabilmente, se esaminassimo un bravo
mammo, scopriremmo un cervello tendente alla «E» di molto empatico e, in un’
ingegnere donna un cervello incline all’estremo «S» cosiddetto maschile.
I ricercatori di Cambridge sono stati categorici: «Usare i nostri risultati per
discriminare in base al sesso sarebbe pernicioso, perché conta sempre il singolo
individuo». Insomma, se è vero che il cervello si plasma su ciò che facciamo, e il
test fosse ripetuto su sole neuroscienziate, l’esito tenderebbe verso il virile estremo
«S». Verso l’ipotetica «P» di parità.

Abbiamo creato nel mondo una società fondata sul maschio, orientata verso la guerra.
La donna è stata esclusa, non ha partecipato alla sua costruzione; la donna è buio, è
pace, è silenzio, passività, compassione, non è guerra; la donna è sazietà, non è
desiderio. (Eraclito commentato da Osho)

Sentire il dovere di dedicare ancora attenzione particolare alle donne nel XXI°
secolo significa semplicemente che siamo messi male, molto male! Femminicidi,
sopprusi di ogni genere. Che dolore! Forse ha ragione lo scrittore Camilleri
quando dice: "E' ora di cedere il comando alle donne perché sono più
equilibrate degli uomini".

Salomone, che, probabilmente, non era la saggezza del popolo, diceva: "Più terribile
della morte è la donna, solo l'uomo timorato di Dio ne può scampare, mentre il
peccatore ne è avvinto, abbindolato". Nel frattempo si era fatto un bel harem …

Poi è arrivato Cristo, che le donne le ha rispettate. C'è stata quindi anche una cultura
che, faticosamente e contro le chiese, ha dato valore alla donna, alla femminilità, alla

123
sua resilienza. Ma se, come di questi tempi sta succedendo, precipitiamo nell'uomo
pulsionale, la donna ritorna ad essere la preda.
«Le donne sono destinate principalmente a soddisfare la lussuria degli uomini. Dove
c’è la morte ivi c’è il matrimonio, dove non c’è matrimonio ivi non c’è morte» (San
Giovanni Crisostomo).
"Le donne non dovrebbero essere illuminate o educate in nessun modo. Dovrebbero,
in realtà, essere segregate poiché sono loro la causa di orrende e involontarie erezioni
di uomini santi". (Sant'Agostino)
Tra i grandi pensatori, Confucio accennava a malapena alle donne ed in tutti i suoi
insegnamenti dava per scontato che fossero subordinate agli uomini, all'interno di un
ordine patriarcale. Buddha insegnava che le donne potevano diventare sagge,
illuminate. Ma per fare questo dovevano essere messe alla prova tre volte, prima che
fosse permesso loro di farsi monache. Questo solo a condizione che la monaca sul
gradino più alto della gerarchia monastica fosse comunque inferiore al monaco al
livello più basso. Mosè era convintamente patriarcale. Nella Torah, non c'è
praticamente nulla che indichi una specifica preoccupazione per i diritti delle donne.
Maometto fu sostanzialmente diverso. Predicò in modo esplicito la parità assoluta
tra donne e uomini come principio fondamentale della vera spiritualità e prese
diverse misure concrete per migliorare nel profondo lo status e il ruolo delle donne in
Arabia, durante la sua vita. Maometto era vicino alla causa delle donne perché era
nato povero e diventò orfano molto presto. Era anche analfabeta e illetterato. Sapeva,
come pochi altri sanno, cosa significassero la povertà e l'esclusione sociale.

-DUALISMO (advaita: non duale) ***

Il termine è attestato per la prima volta nel 1700 da Thomas Hyde  nella sua Historia


religionis veterum persarum, dove si descrivono l'antichissima religione persiana
di Zoroastro e quella fondata da Mānī (215-277), predicatore e teologo nato nel regno
dei Parti e vissuto nell'Impero sassanide, identificando in esse la costante lotta tra due
principi, la Luce e le Tenebre, ossia il Bene e il Male, coevi, indipendenti e
contrapposti, dal cui esito temporaneo dipende ogni aspetto dell'esistenza e della
condotta umana.
L'alternativa al dualismo fra vero e falso, fra cosa in sé e fenomeno, fra bene e
male è il prospettivismo. (Nietzsche)
Le pratiche spirituali – fisiche e mentali – alle quali si sottopone il mistico sono intese
a raggiungere uno stato di non dualità nel quale non ha più senso parlare di soggetto
conoscente e oggetto conosciuto.

124
Per il pensiero occidentale l'Uno detto o pensato implica automaticamente il Due,
perché comporta necessariamente il riferimento al soggetto che lo dice o lo pensa.
La nozione che il vedente è diverso dal visto è un’affermazione mentale. Si conclude
che in effetti “sei quello che osservi”.

Esistono differenze ma non divisione o dualità: tutto è uno! L'entaglement


(l'intreccio, la relazione) lo dimostra: la distanza è solo una nostra percezione
necessaria per la nostra sopravvivenza come individui (se il leone si avvicina io
scappo) ma non è l'unica realtà.
Non vi è questo soggetto particolare opposto a quello, né soggetto separato
dall'oggetto, così come non vi son essere e nulla in qualità di principi scissi e, quindi,
in opposizione inconciliabile. Ogni apparenza di origine e dissoluzione è solo una
descrizione provvisoria: ogni fenomeno è non nato e la sua natura è
fondamentalmente vuota. Ogni interpretazione parziale è falsa in quanto frutto della
mente che discrimina, divide non riuscendo a percepire la infinita relazionalità degli
eventi cioè delle cose fenomeniche.
Noi siamo il mondo ed il mondo è noi.

125
Nishida afferma che è possibile dire sia che «sono le cose che muovono l’io»,
accentuando in tal caso il carattere panenteistico dell’attività creativa, in cui il
soggetto è strumento per il farsi di qualcosa che in realtà lo sopravanza infinitamente
e lo ricomprende; sia che «è l’io che muove le cose», privilegiando in tal caso la
considerazione della funzione formatrice del soggetto creatore. Sé e mondo oggettivo
si interpenetrano, hanno una medesima radice; «non c’è un io separato dal mondo
che l’io vede». Nishida cita poi tre fonti diverse, una indiana (sabbe dhamma
anatta), una occidentale (l'Uno di Plotino) e una cinese (il Tao), per mostrare
come il pensiero della non-dualità non sia una prerogativa di questa o quella
cultura, ma corrisponda al livello più profondo di tutte le culture, che in tale
livello si riconoscono nella loro unità essenziale.

In occidente, partendo da Parmenide e Gorgia in poi, si è affermato e radicato il


concetto logico-filosofico che l'essere e il non essere sono alternativi nel senso che
una cosa-evento, un ente (quale può essere un uomo) può essere o non essere ma mai
entrambe le cose insieme (principio del terzo escluso: tertium non datur). Noi
occidentali (ad oggi praticamente quasi tutti gli abitanti della terra) li siamo rimasti.
Ci siamo auto incatenati a questo dualismo che si rivela abbastanza efficiente dal
punto di vista pratico ma non altrettanto da quello esistenziale visto che procura
profonde angosce all'umanità che teme la morte (il non essere che annulla
l'essere). L'antico pensiero orientale asseriva invece che l'essere e il non essere si
abbracciano reciprocamente, si avvolgono l'uno nell'altro, si originano a
vicenda. In tal modo, l'uomo (cioè l'io, l'ego) è libero sia dal peso della vita che da
quello della morte. In conclusione, dice l'antico pensiero orientale, è anche così ma
non è solo così! L'essere non esclude il non essere. Che altro dire ancora?
E' il pensiero che crea il dualismo. E' il linguaggio che crea il dualismo. Il
dualismo è solo un concetto. Il dualismo è solo mente. La fuori non ci sono colori,
sapori, odori, suoni, cose! La fuori c'è solo energia. La stessa unica energia che siamo
noi.
Sia il dualismo che il non-dualismo (che non è il monismo che afferma l'uno e nega il
due) sono degli -ismi e, come tali, non sono adatti a descrivere la vera realtà. Il
vero non-dualismo, quello non ideologico, deve avere in sé i semi del proprio
superamento come il dito che indica la luna. Anzi, nel non dualismo vero, non vi è né
il ditto e neppure la luna! E' già tutto qui e ora: non vi è via da percorrere, non vi
è chi la percorre e non vi è metà da raggiungere! Nella realtà esistono infinite
differenze (forme, colori, suoni) ma nessuna vera separazione. Le cose eventi
sono tutte interconnesse: il fiore non è separato dall'acqua, l'acqua non separata dalle
nubi, le nubi non sono separate dal mare e così via. Se il Tutto è veramente tutto
deve essere già qui e comprendere la mia parvenza di io. Stessa cosa vale per
l'Assoluto.
126
Noi immaginiamo che noi siamo qui mentre Dio (L'Assoluto) è là, da un'altra
parte. Ma non è così perché non siamo due.
Quel che si pensa di essere (l'io della logica razionale) e quel si pensa di percepire (il
mondo della logica razionale) sono tutt'uno (tu se ciò, tu sei quello, tat tvam asi).
La conseguenza più vistosa, l'aspetto più eclatante del principio di indeterminazione
di Heisenberg (meccanica quantistica) è che ne deriva anche l'impossibilità di una
<<rigorosa separazione del mondo in soggetto e oggetto>> come scrive lo stesso
Heisenberg nel suo famoso libro "Fisica e Filosofia".
La visione unitaria o della non-dualità ha caratterizzato molta della speculazione
filosofica, teologica e mistica degli ultimi tremila anni. In sintesi, il principio unitario
afferma che la realtà, intesa come tutto ciò che esiste, è unica e inscindibile, e la
sua differenziazione è solo apparente, vale a dire formale ma non sostanziale. Tale
idea, comunemente espressa come “tutto è uno”, definisce dunque la cornice ideale
più grande possibile, quella che comprende ogni altra visione. Proprio questa sua
caratteristica la rende autenticamente “universale”, ovvero onnicomprensiva e senza
alternative.
Nel relativo tutto diviene ma quando ci si colloca dove nulla diviene (l'Assoluto), si
constata che non c'è forma, non c'è spazio, non c'è tempo e non c'è nulla di ciò che
genera la dualità.

Prima di nascere eravamo l'indistinto, il non duale. Poi si è formato l'ego che ha
opposto a sé il mondo e dio cioè il distinto, il duale. Comunque già in questa
esistenza si può vivere nel duale intravedendo però il non duale. Alla fine
"torneremo" nell'indistinto non duale. Da rimarcare che il tempo è una invenzione
della mente e quindi il prima e il dopo sono solo dualità.
Il duo Socrate - Platone pensa che la felicità consista in una vita mista di piacere (di
origine animale, dicono loro) e di pensiero (di origine divina, dicono sempre loro).
Dualismo mistico religioso dell'Orfismo in merito alla visione della natura dell'uomo.
Il cristianesimo ammette la dualità uomo - Dio mentre, per il pensiero religioso
induista orientale, l'uomo è solo una manifestazione divina (avatar) essendo tutt'uno
con Lui: Atman e Brahman. Il buddismo poi invita a superare anche Atman e
Brahman!
Le cose contemporaneamente sono e non sono senza che in ciò vi sia
contraddizione.
Corpi, menti e mondo sono solo nomi e forme sovrapposti alla realtà non-duale.
La dualità è sogno.
127
Dove c'è dualità c'è paura e l'uno adora l'altro. Solo dove esiste dualità l'uno adora
l'altro.
Immaginate una goccia dell'oceano che si pensasse separata dall'oceano e soffrisse di
solitudine. Sarebbe come l'uomo!
Se vedi ancora un mondo fuori e distinto da te, allora non sei ancora arrivato alla
meta ...
Crediamo di essere una entità separata... però, quando si rompe un vaso, lo spazio al
suo interno diventa una cosa sola con lo spazio all'esterno!
Non essere mai due ... altrimenti ti perderai …
La nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell'universo, e ciò che
accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi
dell'anima. (Jung)
Secondo l'interpretazione della Scuola di Copenaghen della teoria quantistica è
impossibile una netta separazione fra l'io e il mondo.
Se, su un foglio bianco tracci una linea divisoria, hai disegnato il diavolo! Colui che
rompe l'armonia del Tutto portando la dualità, la molteplicità.
Noi occidentali viviamo il mondo della bipolarità - soggetto ed oggetto - con una
coscienza incentrata su un io frutto del logos greco. Nelle culture altre, a base mitico
-rituale, dominava, invece, la coscienza impersonale, non egocentrata, che riceveva il
suo senso da “intelligenze e volontà estranee”. Qui l’uomo non è autonomo come
quello occidentale con la sua razionalità, non riesce a dare “esistenza e senso al
mondo”, ma ha “canoni interpretativi della realtà”, che gli consentono una visione del
mondo “altra” rispetto a quella occidentale.
Non ci sono più l'essere necessario e gli enti contingenti: tutto è contingente in modo
necessario. Sparisce il dualismo necessità-contingenza.

Il pensare è tutto nella dualità.

La distinzione fra spirito e corpo è dubbia: entrambi sono riconducibili a un


organismo, a un intero, a un holon, all'energia.
Passare oltre: non pensare più in senso dualistico, liberarsi di ogni attaccamento, non
pretendere di sapere cosa è bene e cosa è male.
Non si può distinguere il danzatore dalla danza o l'onda dal mare.

128
Il dualismo fra io e non io è la problematica di fondo da affrontare. Capire
pienamente l'assenza di divisione fra soggetto e oggetto equivale a raggiungere
l'illuminazione che va oltre il dualismo.
Soggetto e oggetto non sono due diversi (Merleau-Ponty); Il soggetto, l'io è pura
finzione scenica: di per sé non esiste (pensiero orientale); l'oggetto, il mondo esiste
solo di fronte a una coscienza (meccanica quantistica).
Maya è l'equivalente di nama (nome) e rupa (forma) e quindi è l'atto di dividere
(radice sanscrita dva da cui diavolo e dualismo) è l'illusione che vela il sottostante
Brahaman che è l'Uno non monistico ma semplicemente senza dualità: la figura e
lo sfondo non sono separabili mentre è altresì impossibile imprigionare il mondo
reale nella rete mentale di parole e concetti. Sospendere i sensi e i concetti per
arrivare a una identificazione globale.
Senza dualismo non esiste neppure la morte.
Dio del bene e dio del male (Zoroastro, Mani, Gnosticismo), Essere e non essere
(Parmenide, Gorgia), Mondo materiale e mondo delle idee (Platone), Teoria e prassi
(grecità), Corpo e anima (Cristianesimo), Res extensa e res cogitans (Cartesio),
Fenomeno e noumeno (Kant), Apparenza e realtà (Bradley), Soggetto e oggetto
(pensiero logico), Scienze fisiche e scienze spirituali (Dilthey), Struttura e
sovrastruttura (Marx), Conscio e inconscio (Freud), Spazio e tempo (fisica classica),
Tautologia e empirismo (logica pura), Sincronia e diacronia (linguistica), Autentico e
in autentico (Heidegger), Progressista e conservatore (politica), Vero e falso
(gnoseologia), Giusto e sbagliato (morale). Qualche esempio di dualismo tipico del
pensiero occidentale. E se fossero tutte vuote divisioni mentali?

-DUBBIO***
"Insistere a sostenere che le cose stiano proprio così come io le ho esposte non si
addice a persona che abbia senno." (Socrate - Platone)
"E' giusto che voi abbiate dubbi e perplessità". (Buddha)
Il dubbio è uno dei nomi dell'intelligenza. (Borges)
Dice Nagarjuna che pretendere la conoscenza assoluta porta alla rovina, mentre
praticare un genuino metodo scettico può portare l’essere umano verso la vera
conoscenza ultima, se per caso esiste.
Bisogna saper mettere a nudo tutti i presupposti - a cominciare da quello della
nostra identità - che si sono sedimentati e cristallizzati nella mente e nella cultura;
parimenti bisogna mettere in discussione tutte le nostre certezze, a cominciare da
quelle del valore assoluto della scienza o della religione. (Pasqualotto)
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Quando sulla strada della vita vi imbattete nei Punti Interrogativi, nei
sacerdoti del Dubbio Positivo, allora andate sicuro che sono tutte brave
persone, quasi sempre tolleranti, disponibili e democratiche. Quando
invece incontrate i Punti Esclamativi, i paladini delle Grandi Certezze, i
puri dalla Fede incrollabile, allora mettetevi paura perché la fede
(qualsiasi tipo di fede) molto spesso si trasforma in violenza. (De
Crescenzo)
Il dubbio non è piacevole (non è poi così spiacevole! ndr), ma la certezza è ridicola.
Soltanto gl'imbecilli sono sicuri di ciò che dicono. (Voltaire)
Dubita e ama. Altro non puoi.

È bene diffidare delle persone che coltivano certezze, che non dubitano mai. È
bene diffidarne perché possono rivelarsi persone pericolose. Il dubbio è
l’intelligenza del pensiero. La certezza ne è la pigrizia, l’estrema e letale pigrizia.
Dubitare è il fatto di esitare tra due cose, due opzioni, due affermazioni, è
riconoscere che la verità non è evidente e che essa può presentarsi sotto forme
diverse, talvolta contraddittorie. Dubitare è dar prova di umiltà, ammettere i
limiti del proprio sapere e della propria volontà di apprendere. Dubitare è
amare con la certezza che i sentimenti sono veri. È lasciare la porta aperta
all’immaginazione, alla creazione, alla fantasia. Nel verbo latino dubitare è presente
una dualità. Si dubita perché la verità non è un blocco di cemento o di marmo, perché
può avere delle incrinature e anche un suo rovescio. Per il semplice fatto che la verità
gira, così come gira la Terra; e, questo sì, è un fatto che s’impone con la forza
dell’evidenza. L’uomo che coltiva certezze non fa altro che aggrapparvisi con tutte
le forze, perché, se perde le sue certezze, si sente perduto. E quando è assalito dal
dubbio, sprofonda nel panico. Non è abituato a considerare che esistono altri
paesaggi, altri confini, altre immagini del mondo. Chi dubita, invece, è superiore a
chi vive esclusivamente di certezze. Il mondo, infatti, è complesso, e non dubitare
vuol dire semplificarlo all’estremo, fino a tradirlo e a sfigurarlo. Il fanatismo ha la
sua origine nelle certezze indubitabili, siano esse religiose o ideologiche. È convinto
di possedere la verità, l’unica, la propria. Per il fanatismo è un fatto evidente, uno
stato d’animo immodificabile. Di conseguenza, il fanatismo non si fa domande. Si
risparmia quel lavoro interiore che lascerebbe filtrare il dubbio. Come dice Pascal,
«Quando si dubita, si cerca». Ebbene, il fanatico non cerca, perché ha già trovato.
Non perde tempo a mettersi in discussione. Si costruisce una fortezza all’interno
della quale tutto gli dà ragione. Da qui, la nascita delle catastrofi e la fine della
saggezza. Chi dubita ha senso dello humour, sa ridere, sa praticare la leggerezza.
Per Aristotele, «il dubbio è il principio della saggezza». La saggezza, infatti, è
quella capacità di umiltà che non afferma nulla con la forza dell’evidenza, e lascia
invece indovinare situazioni in cui la verità potrebbe manifestarsi là dove meno la si
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aspetta. Nell’ambito della fede religiosa, il nemico è proprio il dubbio e, dopo Il
nome della rosa di Umberto Eco, il nemico è il riso. È normale che tutte le
religioni condannino chi dubita. La fede deve essere incrollabile, non deve patire
oscillazioni né esitazioni né vuoti d’aria. La fede annienta il dubbio. Il filosofo
ebreo Mosè Maimonide (1135-1204) scrive: «Dio vi preservi e ci preservi dal
dubbio, e allontani da voi e da noi i pensieri che inducono al dubbio e alla
tentazione». Perché, in tal caso, sarebbe a rischio l’intero edificio della fede. Come
scrive William Blake (1757-1827) in Auguries of Innocence, «Se il sole e la luna si
trovassero a dubitare / la loro luce si spegnerebbe all’istante». Dove ancora una volta
si evidenzia il potere dei due astri, il fatto che dalla loro luce dipende la nostra vita.
Tuttavia l’uomo è debole, e ha bisogno di dubitare per meglio trovare il proprio
cammino. È vero che la scienza si afferma veicolando certezze, frutto in ogni caso
delle sue ricerche. Ma non si tratta dello stesso tipo di certezze del fanatico. La
matematica non dubita. Ma chi manipola le idee e dichiara che solo la sua idea è
quella giusta non è uno scienziato. È un apprendista dittatore. E ogni dittatura si
basa sull’ignoranza. Mentre il dubbio mette appunto in discussione la totalità delle
rappresentazioni. Come ha ben enunciato Cartesio, il dubbio deve essere metodico.
Quando il filosofo dice «penso dunque sono», acquisisce sì una certezza, la certezza
di essere, ma l’acquisisce dopo che ha pensato: in altri termini, dopo che, per
raggiungerla, ha passato in rassegna una quantità d’idee. È vero che dubitare di
continuo non è propriamente l’ideale. Se passiamo la vita a dubitare, non prenderemo
mai nessuna decisione. Ma è anche vero che, se si prende una decisione senza
pensare, senza riflettere, senza dubitare, essa, inevitabilmente, risulterà inadeguata.
Come il dubbio è pericoloso per lo spirito religioso, così può essere disastroso per
chi ne è minato. Come indica La Rochefoucauld nelle sue Massime, «la gelosia si
nutre del dubbio, e diventa furore, o tende a diventarlo, non appena si passa dal
dubbio alla certezza». La gente ama le personalità che affermano senza dubitare. Se
un candidato alle elezioni si mette a dubitare è perduto. La gente dirà: non si può dar
fiducia a quest’uomo. Non sa che strada prendere. Esita. Cambia spesso parere. E in
effetti sono la demagogia e la menzogna a imporre il bisogno della certezza. Il che è
l’esatto contrario del dubbio, il quale coincide con l’ossessione della verità e dalla sua
complessità. Tutt’altra cosa per l’artista. Non può esistere creazione senza la
ricerca di strade diverse tra loro, di modi d’agire diversi tra loro, senza la volontà di
plasmare il reale, di trasformarlo e di re-inventarlo in forma artistica. Ricordo di
aver assistito alle prove di uno spettacolo diretto da Antoine Vitez. Un regista che si
nutriva costantemente della forza del dubbio. Dopo aver maturato l’idea di allestire
una certa scena in un certo modo, cambiava opinione e proponeva il tutto un modo
diverso, e così di seguito, fino a che l’idea giusta non s’imponeva in maniera decisiva
e indubitabile. Ma, fino a quel momento, quanti dubbi e quanto lavoro! Beati coloro
che hanno acquisito la certezza della felicità! Io non ne ho alcuna, a parte la certezza
che la vita non è né un picnic di primavera né una serata di gala né una distesa di
bellezza e di grazia. È il dubbio a farmi da guida, in ogni circostanza. E ne sono
felice! (Tahar Ben Jelloun)
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Ogni epoca ha conosciuto i suoi «spacciatori di certezze». Ma soprattutto nei
momenti di «crisi» — quando le paure e le insicurezze prendono il sopravvento — il
loro ruolo si rafforza ancora di più. Rivendicando l’«infallibilità» della propria
«chiesa» (religiosa o laica, poco importa!) si muovono negli ambiti più diversi per
offrire risposte certe alle incertezze del presente, per propinare un «modello
unico» in grado di porsi come antidoto alla pericolosa deriva della pluralità, della
molteplicità, della mutazione.
Lo «spacciatore di certezze» fonda la sua forza sulla presunzione del possesso della
«verità». E chi crede di possedere la verità è nemico del dubbio, del dialogo, della
discussione. Non prova nessun interesse per l’ascolto dell’«altro». Anzi considera chi
la pensa diversamente come una «pecorella smarrita» da ricondurre all’ovile.
La visione dogmatica solleva i fragili destinatari dalla difficoltà della scelta: nel caos
del molteplice si evita il naufragio aggrappandosi al salvagente della verità. Anche
sul piano della politica — il fenomeno è stato ampiamente studiato – i regimi
totalitari, per esempio, sollevano i cittadini dal peso della decisione, arrogandosi
il diritto di indicare l’unica opzione possibile.
Chi osa avanzare critiche alla «verità assoluta», chi osa esprimere dubbi e riserve
sull’infallibilità degli «spacciatori di certezze» viene considerato un pericoloso
«eretico» o viene bollato con il marchio di «relativista». I dogmatici (coloro che,
vivendo nelle certezze, pensano di non sbagliare mai) hanno offerto un identikit (a
loro uso e consumo) del dissidente relativista. Essere relativisti per costoro significa
mettere tutto sullo stesso piano, rinunciare alla ragione, disprezzare la scienza,
coltivare l’irrazionalismo, discreditare l’universale, negare l’esistenza di ogni valore.
Ma quale relativista di buon senso potrebbe riconoscersi in questo specioso e
strumentale «ritratto»?
Nel corso dei secoli numerosi autori, da punti di vista diversi, hanno tessuto l’elogio
del dubbio. Per Montaigne l’atto stesso del filosofare si fonda sulla pratica del
dubitare («]…] filosofare è dubitare», scrive negli Essais II, 3, p. 619), perché
«soltanto i pazzi sono sicuri e risoluti» (I, 26, p. 271). Del resto, «le credenze, i
giudizi e le opinioni degli uomini» sono soggetti agli stessi limiti a cui, in natura,
sono sottoposte tutte le cose: se quest’ultime «hanno le loro rivoluzioni, la loro
stagione, la loro nascita, la loro morte […] quale autorità assoluta e permanente
andiamo loro attribuendo?». (II, 12, p. 1059). Montaigne, insomma, ci mette in
guardia: non bisogna correre il rischio di scambiare i nostri punti di vista per
verità eterne e universali. Pensiamo all’uso distorto della parola «naturale»: «Le
leggi della coscienza, che noi diciamo nascere dalla natura – osserva Montaigne (I,
13, p. 1059) – nascono dalla consuetudine». Detto in altri termini: noi tendiamo a
considerare «naturale» ciò che fa parte dei nostri costumi. Bollare, per esempio,
l’amore omosessuale come un atto «contronatura» – è una maniera arrogante di
attribuire alla natura la nostra visione del mondo. Spacciamo, insomma, la
nostra «verità» per qualcosa di oggettivo, derivante dalla natura. Pensiamo al
nostro presente, anche per mostrare che i classici non si studiano per superare un
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esame o per conseguire una laurea. Per i fanatici della «famiglia naturale», infatti,
l’unica unione possibile sarebbe solo quella destinata alla procreazione. Così l’amore
ridotto a pura ferinità pretenderebbe di cancellare con un colpo di spugna altre forme
secolari di relazioni erotiche e sentimentali: l’amore di una donna per una donna o di
un uomo per un uomo.
Nessuna filosofia potrà mai rivendicare il possesso di una verità assoluta valida
per tutti gli esseri umani. Perché credere di possedere l’unica e sola verità significa
sentirsi in dovere di imporla, anche con la forza, per il bene dell’umanità. Il
dogmatismo, infatti, produce fanatismo e intolleranza in ogni campo del sapere:
sui piani dell’etica e della religione, della filosofia e della scienza considerare la
propria verità come l’unica possibile significa negare ogni ricerca della verità.
Basta rileggere alcune pagine di Giordano Bruno per capirlo. Questo geniale eretico
non «perì accidentalmente in un incendio», ma fu bruciato a Roma, in campo de’
Fiori, il 17 febbraio del 1600. Il filosofo dell’universo infinito descrive in maniera
originale l’importanza della quête filosofica. Negli Eroici furori, infatti, si
appropria degli schemi classici della lirica d’amore per adattarli alla ricerca
della sapienza. Caratterizzata dal desiderio inappagato di un amante che tenta di
abbracciare l’irraggiungibile amata, la relazione amorosa viene piegata a
rappresentare l’eroico percorso del furioso verso la conoscenza. Animata da
un’inesauribile passione, questa milizia filosofica diventa così espressione di
un’impossibilità, di una privazione, di una caccia segnata dall’inafferrabilità della
preda. Il filosofo, innamorato della sapienza, sa bene che l’unica sua vocazione sarà
quella di inseguire la verità. E nel De minimo, Bruno sottolinea la vitale importanza
del dubbio nell’avventura della conoscenza: Chi desidera filosofare, dubitando
all’inizio di tutte le cose, non assuma alcuna posizione in un dibattito prima di aver
ascoltato le parti in contrasto e dopo aver ben considerato e confrontato il pro e il
contro, giudichi e prenda posizione non per sentito dire, secondo le opinioni dei più,
l’età, i meriti e il prestigio, ma sulla base della persuasività di una dottrina organica
e aderente alla realtà.
Bisogna dubitare di ogni cosa e non scegliere tenendo conto delle opinioni dei più,
dell’età, del prestigio e (io aggiungerei) anche del colore della pelle, del potere
economico o di altre forme di false auctoritates. Bruno condanna due posizioni
opposte ma complementari che finiscono per negare la ricerca della verità: tra il
«tutto sappiamo» degli aristotelici (che non cercano la verità perché credono di
possederla) e il «nulla sappiamo» degli scettici (che non cercano la verità perché
credono che non esista), si colloca la posizione mediana dell’autentico filosofo che
identifica la sua stessa vita con il perenne inseguimento della verità. Per Bruno
ciò che conta non è il possesso della sapienza, ma piuttosto la postura da tenere lungo
il percorso di avvicinamento alla sapienza. L’essenza della philo-sophia sta nel
mantenere sempre vivo l’amore per la sapienza. Ecco perché la cosa più importante
non è arrivare primi, non è vincere il palio. È molto più importante, invece, correre
con dignità: è l’esperienza in sé della corsa che ci rende migliori, che ci fa più
sapienti. «Non è sol degno d’onore quell’uno che ha meritato il palio – scrive Bruno
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nella Cena de le Ceneri – ma ancor quello e quel altro, ch’ha sì ben corso […] ben
che non l’abbia vinto».
Chi è sicuro di possedere la verità, insomma, non ha bisogno di cercarla, non sente
più la necessità di dialogare, di ascoltare l’altro, di confrontarsi in maniera autentica
con la varietà del molteplice. Chi ama la verità, invece, sente il bisogno di cercarla
continuamente. Ecco perché il dubbio non è in contrasto con la verità ma, al
contrario, ne stimola la ricerca. Quando si crede veramente nella verità, si sa che
l’unico modo per mantenerla viva è proprio quello di metterla continuamente in
dubbio.
Solo la consapevolezza di essere destinati a vivere nell’incertezza, solo la presa
d’atto della nostra fragilità e fallibilità, solo la coscienza di essere esposti al rischio
dell’errore possono permetterci un autentico incontro con gli altri, con quelli che
pensano in maniera diversa da noi. Le paure suscitate dal dubbio sono umane e
benefiche, mentre l’arroganza che deriva dal presunto possesso della certezza genera
terribili paure per il futuro della civile convivenza e per l’avventura stessa della
conoscenza. Per questa ragione, la pluralità delle opinioni, delle lingue, delle
religioni, delle culture, dei popoli, deve essere considerata come un’immensa
ricchezza in grado di rendere l’umanità più umana. Accettare la fallibilità della
conoscenza, riconoscere l’importanza del dubbio, ammettere la forza vitale
dell’errore non significa abbracciare l’irrazionalismo e l’arbitrio. Ma significa
esercitare, in nome del pluralismo, il diritto alla critica e rivendicare la necessità di
dialogare soprattutto con chi si batte per valori diversi dai nostri.
Nessuno meglio di Lessing ha spiegato che agli esseri umani non è dato
possedere la verità, ma solo cercarla: Il valore dell’uomo non sta nella verità che
qualcuno possiede o presume di possedere, ma nella sincera fatica compiuta per
raggiungerla. Perché le forze che sole aumentano la perfettibilità umana non sono
accresciute dal possesso, ma dalla ricerca della verità. Il possesso rende quieti,
indolenti, superbi. Se Dio tenesse chiusa nella mano destra tutta la verità e nella
sinistra il solo desiderio sempre vivo della verità e mi dicesse: scegli! Sia pure a
rischio di sbagliare per sempre e in eterno mi chinerei con umiltà sulla sua mano
sinistra e direi: Padre, dammela! La verità assoluta è per te soltanto.
Una profonda lezione di umiltà, un efficace antidoto contro l’intolleranza, contro la
xenofobia, contro le più vergognose declinazioni dell’egoismo. Parole che non
aiutano solo a orientarsi nel mondo della doxa, delle opinioni, della convivenza
civile. Ma che aiutano a orientarsi anche nel mondo della ricerca scientifica. Non a
caso Albert Einstein – uno dei più grandi scienziati della storia dell’umanità – nel
discutere alcuni ostacoli apparsi nel cammino verso la scoperta dei fondamenti della
fisica teorica concluderà il suo articolo ricordando la libertà di ogni studioso di
«scegliere la direzione del proprio sforzo». Libertà che trova proprio nelle parole di
Lessing la sua più alta espressione: «Ogni uomo – scrive Einstein – può trarre
conforto dalle meravigliose parole di Lessing, secondo cui la ricerca della verità è più
preziosa del suo possesso». (Nuccio Ordine)

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Crediamo in tante cose per sentito dire, in terre e genti lontane, paradisi e inferni, dei
e dee, perché ce ne hanno parlato. Similmente, ci hanno descritto noi stessi, i nostri
genitori, il nome, la posizione, i doveri e così via. Non ci siamo mai preoccupati di
verificare. La strada che conduce alla verità passa attraverso la distruzione del falso.
Per farlo, devi mettere in questione le credenze più inveterate. La peggiore di
queste è l'idea di essere il corpo. Con il corpo arriva il mondo; con il mondo, Dio, che
si suppone abbia creato il mondo, e così s'incomincia: paure, religioni, preghiere,
sacrifici, ogni sorta di sistemi, per proteggere e sostenere l'uomo-bambino,
terrorizzato da mostri di sua fattura. Renditi conto che ciò che sei non può nascere
né morire, e che tutte le sofferenze cessano quando scompare la paura. (Nisargadatta
Maharaj)

Quanto più penso, tanto più dubito!


"Non seguitemi, potrei sbagliare..." dice Ario.
"Vi insegnerò a dubitare" diceva Pomponazzi "ma attenti a non fare la fine delle
caldarroste …"
Se insegni, insegna anche a dubitare di ciò che insegni. (Ortega y Gasset)
Nulla è per me perfettamente comprensibile. Suppongo quindi che né io (se un io
esiste) né altri sappiamo.
Il dubbio è il mio passato. Il dubbio è il mio presente. Il dubbio è il mio futuro.
Eppure non sono depresso...tutt'altro!
Sia il dubbio che la fede vanno praticati con moderazione per evitare guai peggiori.

E
-ECKHART***

Eckhart non salvaguarda sufficientemente da distinzione tra Dio e le creature e si


presta ad una lettura panteista. Nei suoi scritti, in particolare nei "Sermoni",
numerose espressioni restarono ambigue e molti teologi dell'epoca lo attaccarono
proprio sul piano della retta dottrina. (Enciclopedia Cattolica)
Niente è fuori da Dio. Tutte le creature sono in Dio e sono la sua propria divinità.
Il conoscente e il conosciuto sono una sola cosa. Le persone semplici immaginano
di dover vedere Dio come se Egli fosse là e loro qua. Non è così. Dio ed io siamo
uno nella conoscenza.
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Tutto sarebbe donato a chi rinunciasse a se stesso assolutamente, anche per un
solo istante. 
Perché vai cianciando di DIO? Qualsiasi cosa tu dica di Lui non è vera.
Riguardo alla coincidenza, dibattuta nell'ambito dell'Ordine domenicano, nella prima
quaestio delle Quaestiones parisienses, Eckhart risponde che pensiero ed essere sono
la stessa cosa, ma Dio va identificato con l'Uno, nome che si dà a ciò che è ben al di
là dell'ente e dell'essere stesso, e Dio è in primo luogo pensiero, da cui l'essere
scaturisce.

Abbandonare ogni pensiero, ogni idea, ogni conoscenza - «Vuoi conoscere Dio
nel modo divino, così che la tua conoscenza diventerà pura ignoranza e oblio di
te stesso e di tutte le creature?» e «Non è portando al sicuro i sensi che si può
realizzare ciò».

La perfetta assenza di una meta e la rinuncia di ogni volontà - «dunque vi dico


in assoluta verità: finché avrete dei desideri, Dio li soddisferà, avrete desiderio di
eternità e di Dio fino a che non sarete perfettamente poveri. Poiché è più povero
solo chi non vuole nulla e non desidera nulla.»

La ragione e l'intelligenza non sono strumenti per arrivare all'esperienza


divina - « potrebbe Dio aver necessità di una luce per vedere che è sé stesso?
Oltre la ragione, che cerca, c'è un'altra ragione, che non cerca oltre »

La rinuncia del pensiero dualista - « l'occhio, nel quale io vedo Dio, è lo stesso
occhio, da cui Dio mi vede; il mio occhio e l'occhio di Dio, sono un solo occhio e
una sola conoscenza »

Allontanare il tempo dalla vita quotidiana - « alla maniera di ciò che non ho
generato, non potrò mai morire, quello in cui sono vicino a ciò che genero, quello
per me è mortale; per questo è necessario che si guasti col tempo »

Approfondimento dell'attenzione - « ciò per gli uomini saggi è una questione di


conoscenza mentre per i semplici è una questione di fede »

Nella teologia negativa di Eckhart, Dio è «al di là di ogni conoscenza» (Quinta


Predica, 42). Eckhart contesta quindi che l'Uno abbia le qualità mondane come
"bontà" o "saggezza". Mehr noch, auch „Sein“ sei von ihm nicht aussagbar: «Io
dico anche: Dio è un Essere? - non è vero; è (molto più) un essere che trascende
l'essere e una nullità che trascende l'essere »
Dio non è da nessuna parte. Non è né qui e né là. Non è nel tempo e non è nel
luogo.
Meister Eckhart sosteneva che si può arrivare al punto di usare Dio esattamente come
136
se fosse non solo una persona, ma una cosa. Meister Eckhart usa affermazioni molto
forti e metafore ancora più forti sostenendo che, spesso, anche gli stessi cristiani
finiscono per "trattare Dio come una vacca o una capra quando Gli chiedono
qualcosa in cambio di qualcosa d'altro". (Pasqualotto)

Il movimento di negazione, tipico della teologia negativa, che, in alcuni casi, conduce
Eckhart a considerare Dio come l'Uno, altrove lo conduce a considerarlo come
nulla. Dio è il nulla in quanto è principio senza principio, è il non-fondato.

L'Uno non indica un predicabile. In questo senso, esso è il nulla, ossia totale
assenza di distinzione, al di là dell'essere identico a sé stesso, perché in questo caso
esso sarebbe ancora qualcosa.

L'uomo che oltrepassa ogni molteplicità, penetra in Dio, non perché si eleva a Dio,
ma perché muore a se stesso, rinuncia a sé, ad ogni volontà, ogni desiderio, ed è
penetrato così da Dio. Penetrato da Dio, l'uomo penetra in Dio e diviene così uomo
nobile, Uno con l'Uno stesso.

Meister Eckhart consiglia a chi intende realizzare se stesso: «devi prima di tutto
abbandonare te stesso . . . poiché soltanto chi abbandona la propria volontà e se
stesso, ha abbandonato davvero tutte le cose».

"Paolo si alzò da terra e, con gli occhi aperti, vide il nulla … e questo nulla era Dio"
dice Meister Eckhart contemporaneo di Dante. Per raggiungere questo nulla, questo
silenzioso deserto da dove proviene il Dio Trinitario, la creatura deve svuotarsi, deve
previamente essere diventata nulla. "Poiché … la natura di Dio è quella di non
essere simile ad alcuno, noi dobbiamo necessariamente giungere al punto di essere
niente, per poter essere trasportati in quello stesso essere che egli è" aggiunge il
mistico tedesco. A questo punto subentra "indicibilmente grande gioia (la grande gioia
di coloro che gustano Dio): stare all'esterno come all'interno, abbracciare ed essere
abbracciati, contemplare ed essere la stessa cosa contemplata … e Dio non trova
in sé alcuna differenza fra se stesso e quest'uomo." L'avvolto che avvolge!
Dio è tutto e nulla poiché essendo totale è indefinibile. Proprio per questo Eckhart
nella nota predica "Beati pauperes in Spiritu" invoglia i fedeli a "pregare Dio"
affinché li liberi da "dio" (il primo maiuscolo, il secondo minuscolo), dove il primo è
il "Dio Eckhartiano" (per così dire), totale ed indefinibile, puro ed assoluto, e il
secondo un mero essere superiore, un "sovra-essere", un essere dalle funzioni
totemiche, potremmo dire, sopravvissuto nell'immaginario collettivo, ispirato dalla
religiosità naturale. In definitiva, mentre il secondo è l'idea a cui l'uomo ricorre per
"chiedere", per cercare la consolazione quotidiana, quasi una "superstizione", il
primo è, appunto, "Colui che è", tanto indefinibile e totale che in Lui, con Lui e per
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Lui non vi è altro che Esso.
Nel Prologo all'Opus tripartitum afferma che Dio è l'essere e l'essere è Dio, la
creazione attraverso la moltiplicazione è un progressivo allontanamento dall'unità e
perfezione originaria, in cui ogni ente è e vive solo in quanto partecipe in qualche
modo e forma della natura divina.

La conseguenza dell'abbandono della conoscenza, volontà, tempo, l'io, ecc. è una


profonda calma: « chi ha realizzato Dio sente il gusto di tutte le cose in Dio ».

Meister Eckhart mette l'accento, inoltre, sul fatto che l'apprendimento di questa
condizione dello spirito può essere raggiunta solamente dopo lunghi anni di esercizio
e la paragona all'apprendimento della lettura e della scrittura. Sebbene a quei tempi
(come ai nostri) la preghiera contemplativa fosse fortemente diffusa nella
popolazione, la radicalità delle sue affermazioni lo portarono al conflitto con la Curia
Romana. Ai tempi moderni le sue indicazioni potrebbero essere ancora difficili da
seguire, visto che l'attitudine verso "il tempo" e la razionalità dominano
fortemente le condizioni di vita.

Nella teologia negativa di Eckhart, Dio è «al di là di ogni conoscenza». Eckhart


contesta quindi che l'Uno abbia le qualità mondane come "bontà" o "saggezza".
«Io dico anche: Dio è un Essere? - non è vero; è (molto più) un essere che trascende
l'essere e una nullità che trascende l'essere »

Se Aristotele poneva il pensiero divino di sé al di sopra dell'essere, ignorando una


realtà ancora più alta, Eckhart pone in risalto il pensiero della tarda grecità (Plotino e
Proclo) per l'intuizione di un principio oltre il pensiero, che si può raggiungere in
un'unità mistica attraverso la filosofia. La ricerca dell'Uno è cosa diversa e più alta
della ricerca della verità o del bene, che sono ancora ricerca dell'Essere.

Il pensiero e l'essere divino è la causa degli enti; in quanto è universale e


indeterminato, «non è un ente e tende al non-ente». Crea ed è il fine degli enti, per
cui è prima e più importante dell'essere per la metafisica, bene e male sono qualità
degli enti, mentre vero e falso sono nell'anima che contiene immagini di questi, nate
con la mediazione dei sensi, la memoria, la volontà o il giudizio. Poiché non è un
ente, e diversamente da questi, l'anima non è determinata a conoscere sé stessa, può
puntare al pensiero divino, ma nasce orientata verso gli enti, che le impediscono di
pensare ed essere nel pensiero divino, e poi di giungere ad unità con l'Uno, oltre il
pensiero.

Secondo Eckhart, Dio è sine modo, impredicabile come l'Uno di Plotino. L'Io si
tiene lontano da questa identità finché utilizza la mediazione della memoria, del
giudizio, della volontà e dei cinque sensi, e finché forma il suo contenuto con
immagini di enti determinati, che sono finiti e periscono nel tempo. La finitezza nella
qualità e nella quantità, nell'occupare
138uno spazio e un tempo, e il manifestarsi con la
mediazione di qualche attributo della coscienza, sono modi dell'ente e non propri del
manifestarsi divino, che è immediato, posto non in relazione alle sue qualità appare
come l'anima che lo ospita, e con l'infinità di tutti i suoi attributi.

Con questi motivi metafisici, è spiegata la mistica del ritorno all'Uno. Nel momento
del ritorno all'Uno, si realizza una teologia negativa che riguarda anche la vita
spirituale, le leggi e riti della religione: la perfezione morale e l'imitatio Cristi sono
per «l'essere ciò che Dio è», come Lui, non in unità con Esso. La persona rinuncia
a tutto ciò che è opera dell'individualità: non sente desiderio o timore; rinuncia ad
avere, agire, conoscere; rinuncia all'esercizio della memoria, dei sensi, del giudizio
etico o estetico. Il percorso esclude i viaggi, l'impegno politico, l'arte, le scienze e le
opere.

Eckhart sente troppo angusto il concetto di "essere" per applicarsi a Dio e


giunge così, per conservare a Dio la libertà da ogni limitata categoria, ad
associargli piuttosto il "non-essere". Più dell'essere/non-essere Eckhart trova
adeguato a Dio il concetto di "intelligere". E se proprio si volesse predicare dell'essere
di Dio, la sua pienezza contemplerebbe ogni creatura e la molteplicità non troverebbe
più terreno proprio. Ogni particolare sparirebbe in se stesso e si conserverebbe
invece solo come predicato di Dio e sua espressione. Tornano immagini tipicamente
neoplatoniche: Dio è una sfera infinita che trova il suo centro ovunque e la sua
circonferenza in alcuna parte; Dio è fonte di luce da cui emana la molteplicità, e così
via. Tutti temi questi che resteranno distanti e incomprensibili ai polemici ed
aristotelici scolastici. La metafisica di Eckhart ha il suo corrispondente nella
psicologia e nella mistica: l'anima scopre Dio nella radicale negazione di ogni essere e
di se stessa, al di là di ogni discorso, in un contatto immediato che si realizza nell'
"apex mentis ", nella scintilla dell'anima: progressiva deificazione possibile in virtù
della mediazione del Cristo. Condizione di questo cammino verso Dio è vedere
" tutte le cose e noi stessi come un puro nulla "; suo esito è la rinascita dell'uomo in
Dio, o addirittura, come accade ai mistici e santi, l'unione totale con Dio. In questo
culmine della fede, in questo " sprofondare nel punto centrale dell'anima ", l'uomo
diventa quasi letteralmente Dio, separato dall'essenza divina solo da ciò: che l'uomo
è Dio "per grazia" e Dio è tale "per natura".

Meister Eckhart dichiara apertamente di non trovare alcuna significanza nella


sofferenza né tanto meno crede nell'umiltà. Altrettanto negativa è la misericordia
se messa in atto per ricevere il premio della vita eterna. Quest'ultima si consegue
solo fondendosi con Dio.

Dio è un'essenza simile a niente, e che non può assomigliare a niente. Lo dovete
comprendere cosí: in quanto questa potenza è simile a niente, in tanto proprio è simile
a Dio. Essa è simile a niente, proprio come Dio è simile a niente.
139
-EINSTEIN***
Non cè dubbio che Albert Einstein sia stato il più grande scienziato del XX secolo,
l'uomo che ha visto più a fondo nei segreti della natura. Questo significa che tutto
quello che pensava va preso per buono? Che non sbagliava mai? Tutt'altro. Anzi:
pochi scienziati hanno accumulato errori quanto lui. Pochi scienziati hanno
cambiato idea tante volte quanto lui. Non parlo degli errori della vita quotidiana,
opinabili, e comunque affari suoi; parlo di veri errori scientifici: idee sbagliate,
predizioni sbagliate, equazioni sbagliate, affermazioni su cui lui stesso è tornato
indietro, o più tardi smentite dai fatti. Qualche esempio. Oggi sappiamo che l'universo
è in espansione. Il fisico belga Lamaitre lo aveva capito proprio usando le teorie di
Einstein, e glielo aveva comuicato. Einstein ha risposto che l'idea era una sciocchezza;
per poi rimangiarsi l'affermazione quando negli anni Trenta l'espansione dell'universo
è stata effettivamente osservata. Altra conseguenza della sua teoria è l'esistenza dei
buch neri. Einstein non l'aveva capito, e sull'argomento ha scritto lavori sbagliati,
sostenendo che l'universo finisce sul bordo del buco nero. Ancora un'altra
conseguenza della sua teoria è l'esistenza delle onde gravitazionali, di cui oggi
abbiamo buona evidenza diretta. Einstein ha scritto che queste onde esistono, poi che
non esistono, sbagliando 'interpretazione della sua stessa teoria, per poi ricambiare
idea di nuovo e convincersi che esistono. Quando ha scritto la teoria della relatività
ristretta, Einstein non ha usato la nozione di spaziotempo. Questa, cioè l'idea di un
continuo di quattro dimensioni che include sia spazio che tempo, è dovuta a
Minkowski, che ha riscritto la teoria di Einstein usando questo concetto. Quando
Einstein ne è venuto a conoscenza, ha sostenuto che si trattava di un'inutile
complicazione da matematici. Per poi cambiare idea poco dopo e usare proprio la
nozione di spaziotempo per scrivere la relatività generale. Sull'argomento della
matematica in fisica, Einstein cambierà continuamente idea, sostenendo varie cose in
contraddizione l'una con l'altra nel corso della sua vita. Prima di scrivere le equzioni
giuste della teoria della relatività generale, il suo maggior trionfo, Einstein ha
pubblicato una serie di articoli, tutti sbagliati, e ciascuno con un'equazione diversa. Ha
addirittura pubblicato un lavoro dettagliato e complesso dove dimostra che la teoria
non deve avere la simmetria … che invece poi avrà! Negli anni finali della sua vita, si
ostina a voler scrivere una teoria unificata di gravità ed elettromagnetismo, senza
comprendere che, si capirà poco dopo, l'elettromagnetismo è una componente di una
teoria più ampia (la teoria elettro-debole) e quindi il progetto di unificarlo con la
gravità era viziato alla base. Anche nelle grandi discussioni sulla meccanica
quantistica, Einstein cambia idea ripetutamente. All'inizio sostiene che la teoria sia
contradditoria. Poi accetta l'idea che non lo sia, e si limita a insistere che la teoria deve
essere incompleta, non descrive tutta la natura. Della relatività generale, a lungo è
stato convinto che le equazioni non potessero avere soluzioni in assenza i materia, e
quindi il campo gravitazionale dipendesse dalla materia, per poi cambiare idea,
quando De Sitter e altri gli mostrano esplicitamente che si sbaglia, e finire per
140
interpretare il campo gravitazionale come un'entità reale autonoma, che esiste di per
sé. Nello straordinario lavoro del 1917 in cui fonda la cosmologia moderna,
comprende che l'universo può essere una tre-sfera e introduce la costante
cosmologica, la cui esistenza è stata oggi verificata, Einstein riesce a sommare un
clamoroso errore di fisica: l'idea che l'universo non debba cambiare nel tempo, e un
clamoroso errore di matematica: non si accorge che la soluzione che scrive è instabile,
e quindi non può descrivere l'universo reale. Con il risultato che l'articolo è al tempo
stesso un insieme strepitoso di idee nuove e rivoluzionarie e un ammasso di errori
seri. Tutti questi cambimenti di opinione ed errori tolgono qualcosa alla nostra
ammirazione per Albert Einstein? No. Al contrario. Ci insegnano invece, io credo,
qualcosa sull'inteligenza. L'intelligenza non è contraddirsi sulle proprie opinioni. E'
essere pronti a cambiarle. (Rovelli)
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“La teoria funziona, ma difficilmente ci avvicina al segreto del Grande Vecchio”,
scrisse Albert Einstein nel dicembre 1926. “E comunque sono convinto che Lui non
gioca a dadi”.
Einstein rispondeva così a una lettera del fisico tedesco Max Born. Il cuore della
nuova teoria della meccanica quantistica, sosteneva Born, palpita in modo
casuale e incerto, come se soffrisse di aritmia. Mentre la fisica prima dei quanti
consisteva nel fare questo per ottenere quello, la nuova meccanica quantistica
sembrava dire che quando facciamo questo, si ottiene quello solo in base a una
certa probabilità. E in alcune circostanze potremmo ottenere altro.
Einstein non era d’accordo, e la sua insistenza sul fatto che Dio non gioca a dadi con
l’Universo ha avuto eco per decenni; un’idea familiare e sfuggente quanto la celebre
formula E = mc2. Che cosa voleva dire? E cosa intendeva Einstein con “Dio”?
Hermann e Pauline Einstein erano ebrei Ashkenazi non osservanti. Nonostante il
secolarismo dei genitori, il novenne Albert scoprì e abbracciò l’ebraismo con passione
e per po’ fu un ebreo ligio e praticante. Seguendo l’usanza ebraica, i suoi genitori
invitavano un povero studioso a condividere un pasto con loro ogni settimana, e dal
povero studente di medicina Max Talmud (poi Talmey) il giovane e impressionabile
Einstein imparò a conoscere la matematica e le scienze. Lesse tutti i 21 volumi
di  Popular Books on Natural Science di Bernstein (1880). Talmud lo guidò poi
alla Critica della ragione pura di Immanuel Kant, da cui passò alla filosofia di David
Hume. Da Hume, fu un passo relativamente breve quello verso il fisico austriaco
Ernst Mach, il cui stridente marchio filosofico di empirista “vedo-o-non-credo”
richiede un rifiuto totale della metafisica, comprese le nozioni di spazio e tempo
assoluto e l’esistenza degli atomi.
Ma questo viaggio intellettuale aveva messo in luce senza mezzi termini il conflitto
tra scienza e sacra scrittura. L’ormai dodicenne Einstein si ribellò. Sviluppò una
profonda avversione ai dogmi della religione che sarebbe durata per tutta la vita,
un’avversione che si estendeva a tutte le forme di autoritarismo, compreso
l’ateismo dogmatico.
I vantaggi di questa dieta giovanile a base di filosofia empirica si mostrarono ad
141
Einstein circa quattordici anni dopo. Il rifiuto di Mach dello spazio e del tempo
assoluti contribuì a plasmare la teoria della relatività speciale (compresa l’iconica
equazione E = mc2), che Einstein formulò nel 1905 mentre lavorava come “esperto
tecnico, terza classe” presso l’Ufficio svizzero dei brevetti di Berna. Dieci anni dopo,
lo scienziato completerà la trasformazione della nostra comprensione dello spazio e
del tempo con la formulazione della sua teoria della relatività generale, in cui la forza
di gravità è sostituita dalla curva dello spazio-tempo. Ma con l’invecchiamento (e
la saggezza), l’uomo rifiutò l’empirismo aggressivo di Mach, e una volta dichiarò che
“Mach era tanto bravo in meccanica quanto scarso in filosofia”.
Col tempo Einstein si spostò verso una posizione molto più realista. Preferiva
accettare realisticamente il contenuto di una teoria scientifica, come una
rappresentazione “vera” e contingente di una realtà fisica oggettiva. Sebbene non
volesse saperne della religione, la fede che aveva portato con sé dal suo breve flirt con
l’ebraismo divenne il fondamento su cui costruire la sua filosofia. Alla domanda sulle
basi della sua posizione realista, egli rispose: “Non ho un’espressione migliore del
termine “religiosa” per la mia fiducia nel carattere razionale della realtà e nel suo
essere accessibile, almeno in una certa misura, alla mente umana”.

Ma il Dio di Einstein era un quello della filosofia, non della religione. Quando
molti anni dopo gli fu chiesto se credeva in Dio, egli rispose: “Credo nel Dio di
Spinoza, che si rivela nella legittima armonia di tutto ciò che esiste, ma non in un
Dio che si occupa del destino e delle azioni dell’umanità”. Baruch Spinoza,
contemporaneo di Isaac Newton e Gottfried Leibniz, aveva concepito Dio come
identico alla natura. Per questo era considerato un pericoloso eretico e fu scomunicato
dalla comunità ebraica di Amsterdam.
Il Dio di Einstein è infinitamente superiore, ma impersonale e intangibile, sottile ma
non malizioso. Egli è anche fermamente determinista. Per quanto riguarda Einstein,
la “legittima armonia” di Dio è stabilita in tutto il cosmo dalla stretta osservanza dei
principi fisici di causa ed effetto. Così non c’è spazio per il libero arbitrio nella
filosofia di Einstein: “Tutto è determinato, sia all’inizio che alla fine, da forze sulle
quali non abbiamo alcun controllo… tutti noi balliamo una melodia misteriosa,
suonata a distanza da un giocatore invisibile”.
Le teorie della relatività speciale e generale hanno fornito un nuovo modo di
concepire lo spazio e il tempo e le loro interazioni con la materia e l’energia. Queste
teorie sono del tutto coerenti con la “legittima armonia” stabilita dal Dio di Einstein.
Ma la nuova teoria della meccanica quantistica, che Einstein aveva contribuito a
fondare nel 1905, raccontava una storia diversa. La meccanica quantistica riguarda le
interazioni che coinvolgono la materia e le radiazioni, alla scala di atomi e molecole,
sullo sfondo passivo dello spazio e del tempo.

All’inizio del 1926, il fisico austriaco Erwin Schrödinger aveva trasformato


radicalmente la teoria, formulandola in termini di ‘funzioni d’onda’
dall’interpretazione piuttosto oscura. Schrödinger stesso preferì interpretarle
142
realisticamente, come delle “onde di materia”. Ma cresceva il consenso, fortemente
promosso dal fisico danese Niels Bohr e dal fisico tedesco Werner Heisenberg, sul
fatto che la nuova rappresentazione quantistica non doveva essere presa troppo alla
lettera.
In sostanza, Bohr e Heisenberg sostenevano che la scienza aveva finalmente risolto i
problemi concettuali coinvolti nella descrizione della realtà da cui i filosofi ci avevano
messo in guardia per secoli. Bohr dice: “Non esiste un mondo quantistico. C’è solo
la descrizione astratta della fisica quantistica. È sbagliato pensare che il compito
della fisica sia quello di scoprire come è la natura. La fisica riguarda ciò che
possiamo dire della natura”. Questa affermazione vagamente positivista è stata
ripresa da Heisenberg: “Ci dobbiamo ricordare che ciò che osserviamo non è la
natura in sé ma la natura esposta al nostro metodo di interrogazione”. La loro
‘interpretazione di Copenhagen’ largamente antirealista – con il rifiuto che la funzione
d’onda rappresenti lo stato fisico reale di un sistema quantistico – divenne
rapidamente il modo dominante di pensare della meccanica quantistica. Variazioni più
recenti di tali interpretazioni antirealiste suggeriscono che la funzione d’onda sia
semplicemente un modo di “codificare” la nostra esperienza, o le nostre convinzioni
soggettive derivate dalla nostra esperienza fisica, permettendoci di usare ciò che
abbiamo imparato in passato per predire il futuro.
Questo era del tutto incoerente con la filosofia di Einstein. Einstein non poteva
accettare un’interpretazione in cui l’oggetto principale della rappresentazione – la
funzione d’onda – non è “reale”. Non poteva accettare che il suo Dio permettesse che
la “legittima armonia” si scombinasse completamente su scala atomica, portando
indeterminismo e incertezza, con effetti che non possono essere interamente e
inequivocabilmente previsti dalle loro cause.
Era questo il palcoscenico per uno dei dibattiti più celebri di tutta la storia della
scienza, quello tra Bohr ed Einstein sull’interpretazione della meccanica quantistica.
Si trattava di uno scontro tra due filosofie, due gruppi contrastanti di preconcetti
metafisici sulla natura della realtà e su ciò che ci si potrebbe aspettare da una sua
rappresentazione scientifica. Il dibattito è iniziato nel 1927 e, sebbene i protagonisti
non siano più con noi, è ancora molto vivo.
E irrisolto.
Non credo che Einstein ne sarebbe stato particolarmente sorpreso. Nel febbraio 1954,
appena 14 mesi prima di morire, in una lettera al fisico americano David Bohm
scriveva: “Se Dio ha creato il mondo, la sua principale preoccupazione non era certo
quella di renderlo facile da capire”. (Jim Baggott)

-Colloquio fra Einstein e Tagore

Il 14 luglio del 1930, Caputh, periferia di Berlino. Un uomo si avvicina a una casa in
legno. Ha una veste molto particolare, soprattutto per i tedeschi dell'epoca, che lo
guardano incuriositi. L'uomo è indiano, ha una barba lunga, bianca. Sembra un
santone, un mistico dalla fronte ampia. Al di sotto di questa, due occhi vivaci, che
143
osservano, scrutano. Lo accompagna un altro uomo, in abiti più tradizionali, almeno
per gli occidentali: è il dottor Mendel, l'amico comune, l'anello di congiunzione che
sta per unire due delle più grandi menti al mondo. Lui, "l'asceta", è Rabindranath
Tagore, poeta e filosofo indiano - nonché premio Nobel nel 1913 - nato in una
famiglia di bramini, la casta sacerdotale induista. La casa a cui ha appena bussato è il
"buen retiro" di Albert Einstein, scienziato geniale che ha teorizzato la Relatività
Ristretta e Generale, e che qui ama passare il suo tempo libero, lontano dal caos della
città.

Due figure così lontane, almeno in apparenza. Due uomini che hanno dedicato la loro
vita ad aspetti così lontani tra loro: la spiritualità e la scienza. Due uomini che vivono
agli antipodi, uno in Germania e l'altro in India. Ed è proprio questo che ha stuzzicato
la curiosità del dottor Mendel, che tanto ha insisto affinché i due s'incontrassero.
"Cosa mai potrebbe nascere dall'incontro di queste due figure?", si chiede da qualche
giorno il dottore, che però ha colto una sottigliezza. Nonostante la palese diversità,
pensa Mendel, i loro pensieri hanno molti punti in comune, a partire dall'amore per la
conoscenza.
E il pensiero di Mendel trova riscontro nella lunga chiacchierata che i due tengono nel
salotto della casa in legno, opportunamente registrata e poi trascritta in un articolo che
apparirà l'anno successivo nella rivista Modern Review.
Le due menti ci mettono poco a carburare, evitando qualsiasi tipo di convenevoli. Lo
scienziato tedesco domanda a bruciapelo: "Credi che il divino sia isolato dal
mondo?". La risposta di Tagore è immediata: "Non è isolato. L’infinita personalità
dell’uomo comprende l’universo. Non c’è nulla che non possa essere compreso dalla
personalità umana, e questo prova che la verità dell’universo è una verità umana".
Ma Einstein ribatte prontamente: "Ci sono due diverse concezioni sulla natura
dell’universo: il mondo come unità dipendente dall’umanità, e il mondo come
realtà indipendente dal fattore umano". Tagore prende una manciata di secondi, e
con calma risponde: "Quando l'universo è in armonia con l’uomo, conosciamo l'eterno
come Reale e ne sentiamo la bellezza". "Ma questa è una concezione puramente
umana dell’universo", la pronta battuta di Einstein, che però non riesce a proseguire,
interrotto immediatamente dal poeta: "Il mondo è un mondo umano - afferma
piantando gli occhi vivaci in quelli del tedesco - la sua visione scientifica è anch’essa
quella di un uomo scientifico. Pertanto il mondo senza di noi non esiste; è un mondo
relativo, la cui realtà dipende dalla nostra coscienza. C’è una qualche misura di
ragione e di piacere che gli conferisce verità ed è la misura dell’uomo eterno le cui
esperienze sono rese possibili attraverso le nostre esperienze". Lo scienziato tenta di
mettere all'angolo il mistico: "Questa è una realizzazione dell’entità umana". "Sì
certamente, un’entità umana che noi dobbiamo comprendere per mezzo delle nostre
emozioni e attività. Noi comprendiamo l’uomo supremo, che non ha limitazioni
individuali, per mezzo delle nostre limitazioni".
144
Una breve pausa, poi prosegue, evidenziando le differenze delle loro materie: "La
scienza si occupa di ciò che non è confinato nell’individuale; è il mondo impersonale
e umano delle Verità. La religione realizza quelle Verità e le unisce con i nostri
bisogni più profondi. La nostra coscienza individuale della Verità guadagna così un
significato universale. La religione conferisce valore alla Verità, e noi conosciamo
la Verità così bene attraverso la nostra armonia con essa". Incalzato dalla risposta di
Tagore, Einstein controbatte, chiedendogli se la verità, allora, o la bellezza, non sia
indipendente dall’uomo. "No", afferma l'indiano."E se gli esseri umani non ci
fossero più, l'Apollo del Belvedere non sarebbe più bello?". La risposta di Tagore è
sempre negativa, "No!".
Un sospiro, Einstein riflette su quanto detto dal suo ospite: "Concordo con questa
concezione della bellezza, ma non con quella della verità". "Perché no? - chiede
Tagore - La verità è realizzata attraverso gli uomini". "Non posso provare che la
mia concezione sia giusta - afferma socraticamente lo scienziato - ma questa è la mia
religione". Tagore avanza, quindi, la sua spiegazione: "La bellezza è insita nell'idea di
perfetta armonia, cioè nell’essere universale; la Verità è la perfetta comprensione
della mente universale. Noi individui ci avviciniamo a queste attraverso i nostri errori
e sviste, con il sommarsi delle nostre esperienze, attraverso l'illuminazione delle
nostre coscienze. Come potremmo altrimenti conoscere la verità?". "Non posso
provarlo - ripete Einstein - ma io credo nell’argomento pitagorico che la verità sia
indipendente dagli esseri umani".
"L’intera mente umana comprende la verità; le menti indiane e quelle europee si
incontrano in una comprensione comune", ribadisce il poeta indiano, a cui, però,
Einstein risponde con un dubbio: "Il problema è se la verità sia indipendente dalla
nostra coscienza". Dubbio prontamente fugato da Tagore: "Ciò che noi chiamiamo
Verità giace nell’armonia tra l’aspetto soggettivo e quello oggettivo della realtà, i
quali appartengono entrambi all’uomo super-personale". Il tedesco, non trovandosi
d'accordo, afferma: "Noi facciamo cose con le nostre menti, anche nella nostra vita
quotidiana, per le quali non siamo responsabili. La mente riconosce delle realtà
esterne a essa, indipendenti da essa. Per esempio - indicando il tavolino in legno
vicino a loro - se nessuno fosse in questa casa, il tavolo resterebbe dov’è". "Certo,
rimane fuori dalla mente individuale, ma non dalla mente universale. Il tavolo è ciò
che è percepibile da qualche tipo di coscienza che possediamo".
Sul viso di Einstein spunta un sorriso, quasi si aspettasse quella risposta: "Ma se
nessuno fosse in casa, il tavolo continuerebbe a esistere, e questo è già scorretto dal
suo punto di vista, perché noi non possiamo spiegare cosa significa dire che 'il tavolo'
è lì, indipendentemente da noi. Il nostro punto di vista naturale sull’esistenza della
verità separata dall’umanità non può essere spiegata o provata, ma è una credenza
che non può mancare a nessuno, neanche a esseri primitivi. Noi attribuiamo alla
verità un’oggettività superumana. Ci è indispensabile – questa realtà che è
indipendente dalla nostra esistenza e dalla nostra esperienza e dalla nostra mente –
145
anche se non possiamo spiegare cosa significa".
Piccato dalla risposta dello scienziato, Tagore risponde: "La scienza ha provato che
il tavolo come oggetto solido è un’apparenza e perciò quella cosa che la mente
umana percepisce come tavolo non esisterebbe senza la mente. Allo stesso tempo
si deve ammettere il fatto che la realtà fisica definitiva non è altro che una
moltitudine di centri di forze elettriche in movimento, che appartiene anch’essa alla
mente umana. Nell’apprendimento della verità c’è un conflitto esterno tra la mente
umana universale e la stessa mente confinata nell’individuo. Il processo continuo
di riconciliazione prosegue nella scienza, nella filosofia, e nell’etica. In ogni caso, se
ci fosse una qualsiasi verità assoluta staccata dall’umanità, per noi sarebbe
assolutamente non esistente.
Il sorriso di Einstein diventa una risata, e divertito esclama: "Mi permetta, ma allora io
sono più religioso di voi!". A questa affermazione, Tagore replica: "La mia religione è
nella riconciliazione dell’uomo super-personale, dello spirito universale, nel mio
essere individuale".
Da questo incontro nacque una sincera amicizia, e tante altre chiacchierate. Tagore
tornò a visitare lo scienziato. Il loro incontro dovrebbe essere ricordato come un
chiaro segno di vicinanza tra scienza e religione, due mondi che possono coesistere
nel mondo e nell'uomo, a dispetto dei guelfi e ghibellini che ancora oggi si fanno la
guerra senza rendersi conto che, in effetti, sono due facce, due realtà, appartenenti alla
stessa medaglia.

-ELLENISMO***

L'ellenismo, conseguenza di Alessandro Magno, fa scoprire all'uomo, che prima era


cittadino della polis, di essere un individuo. L'uomo, signore a se stesso, si gonfia di
egoismo individualista. L'ellenismo perde il senso della trascendenza (l'anima è
mortale anche se si è molto attaccati all'io: l'inespugnabile fortezza del nostro logos
che è il vero Assoluto delle filosofie elleniste), del sopra-sensibile, della spiritualità
in antitesi con Platone e Aristotele. Insomma si interessano più di phronesis che di
sophia.
Piena coerenza fra dottrina praticata e vita al modo di Socrate. Autarchia: bastare a
se stessi. Atarassia: assenza di ogni turbamento dell'animo (più un annullamento
che una crescita).
Il vero bene e il vero male non dipendono dalle cose ma dalle opinioni che noi ci
facciamo delle cose.
Svuotare la vita umana dalle passioni sembra però troppo: non è più vita anche se è
chiaro che sono le passioni a determinare l'infelicità dell'uomo soprattutto se non le
controlla minimamente. Si dovrebbe superare le passioni avvicinandosi però in
146
questo modo più alla morte che alla vita? La morte non è però più il male assoluto.
Come nell'antico pensiero orientale.
L'Ellenismo è legato all'Oriente: Pirrone aveva seguito Alessandro ed aveva
incontrato maghi e gimnosofisti mentre Zenone era un semita ebraico. Con Diogene
(allievo di Antistene il cinico) l'impegno esistenziale viene anteposto a ogni
dottrina e a ogni procedimento razionale (direi che costui era zen prima dello
zen!).
Diogene praticava un vivere senza mete con la libertà anarchica (e quasi animalesca,
provocatoria) posta al di sopra delle convenzioni sociali di tutto il resto. Praticava
anche la paressia (libertà di dire tutto) e si diceva cittadino del mondo (a.polis).
Cratete fu suo discepolo e predicava la vanità dei beni del mondo. Fu detto l'Apritore
di porte perché era così affabile che nessuno gli teneva la porta chiusa.
-ENERGIA***
E=MC2
L'energia è impersonale.
Dio è energia e l’energia è verità. La puoi sentire qui e ora: tu sei energia, gli uccelli
che cantano tra gli alberi sono energia, gli alberi che svettano nel cielo sono energia;
le stelle che si spostano, il sole che sorge ogni giorno: tutto è energia. E l’energia non
è né buona né cattiva. L’energia è sempre neutrale. Quindi non c’è nessun bisogno di
creare un diavolo, nessun bisogno di spiegare nulla: l’energia è neutrale. (Osho
interpreta Eraclito)
Qualsiasi forma di stabilità dell'energia, come la materia, è illusoria perché è
momentanea ed effimera; questo stadio è il risultato di equilibrio che essa ha
raggiunto, che durerà fino a quando le condizioni che lo hanno reso possibili non
muteranno.
Le energie essenziali che si muovono nel cosmo e nell’uomo sono sempre le
stesse, ma con la differenza che noi continuiamo a credere a delle entità separate: io
qua e il mondo là.
Per poter viaggiare alla velocità della luce servirebbe un'energia infinita! A tale
velocità il tempo si annulla e lo spazio sparisce mentre la massa diventa infinita.
Stupefacente: stiamo parlando di una prospettiva totalmente diversa da quella
normale, solita. Altre categorie! Senza tempo, senza spazio in un infinito oceano di
energia! Stiamo forse parlando di un Assoluto?

147
Sembra emergere che la somma totale dell'energia dell'universo sia pari a zero. Infatti
l'energia positiva dei vari campi delle particelle viene azzerata dalla negatività dei
campi gravitazionali.
L'idea che la fisica potesse fare a meno della materia e comprendere tutto in termini
di sola energia era molto forte alla fine del secolo diciannovesimo (a riprova che chi
dice "la scienza vede tutto fatto di sola materia" non sa proprio nulla di scienza).
Pochissimi anni dopo la pubblicazione del libro di Poincare' La scienza e l'ipotesi
(nel 1905), Einstein scopre la formula "e=mc2", che mostra che la materia può sparire
e diventare energia e viceversa, rendendo ancora più evanescenti le due nozioni di
energia e materia. Oggi è abbastanza normale fra i fisici che la materia è una delle
possibili forme dell'energia. Tuttavia anche oggi non è che l'energia sia una cosa
molto chiara dal punto di vista di "che cosa davvero sia". Il più grande fisico
della seconda metà del 20° secolo, Feynman, nel suo libro di testo la mette così: "non
sappiamo bene cosa stiamo calcolando, ma sappiamo che riusciamo sempre a
calcolare una quantità, che chiamiamo 'energia', che resta sempre eguale in tutti i
processi fisici (trasformandosi da un tipo di energia ad un altro). (Rovelli)
Lo spirito e il corpo (tipico dualismo occidentale) sono entrambi null'altro che
energia! Ma nessuno sa bene cosa sia l'energia! Si torna da capo nel gioco dell'oca
della fisica e della filosofia.
Noi vediamo, sentiamo, parliamo, ma non sappiamo quale energia ci fa vedere,
sentire, parlare e pensare. E quel che è peggio, non ce ne importa nulla. Eppure
noi siamo quell'energia. Questa è l'apoteosi dell'ignoranza umana. (Einstein)
Che cosa è questa energia? Non ci crederete, ma nessuno lo sa! Si sa solo che, pur
variando di forma, è sempre costante. Tutto ciò … ci deve indurre a meditare.
-ENSO'***

L'enso', con un solo tratto di pennello, riesce a rendere visibile il culmine di


un'esperienza che va oltre ogni forma di dualismo: esso risulta da un gesto
148
artistico estremamente ridotto che si propone come segno sensibile di
un'illuminazione raggiunta, di un risveglio ottenuto. (Pasqualotto)
La forma del cerchio rappresenta "l'infinito che è il fondamento di tutti gli esseri".
Questo dice anche Anassimandro: "L'infinito (apeiron) è l'origine di tutti gli esseri".
La circonferenza del cerchio distingue (ma non separa) due spazi: quello interno
(finito) e quello esterno (infinito). Il primo rinvia al samsara e il secondo al nirvana.
Il samsara è lo spazio tempo in cui si danno le determinazioni, le separazioni e le
opposizioni. Il nirvana invece richiama la condizione in cui si è dissolta ogni
determinazione, separazione ed opposizione.
Quest'ultimo spazio infinito che può essere assunto come uno dei simboli del
nirvana, non è però l'opposto di uno spazio finito, emblematico del samsara, perché
ogni spazio finito appartiene allo spazio infinito. Allora si può dire che il samsara
è il nirvana solo se si è capaci di vivere contemporaneamente nel samsara e nel
nirvana, cioè, in termini figurali, se si è capaci di stare in un cerchio con una
circonferenza determinata sapendo, nel contempo, che tale cerchio appartiene
necessariamente ad un cerchio senza circonferenza, ossia ad un orizzonte infinito.
(Pasqualotto)
Questa sorta di doppia vita testimonia, in definitiva, la capacità di stare nel mondo
senza appartenere al mondo.
-ENTAGLEMENT***
Pensiamo a ciò che ci ha insegnato la fisica quantistica: prima che il Big Bang creasse
il mondo, c’era una sola unità e oggi i quanti ancora si comportano come se facessero
parte di quell’indistinguibile uno.
L'Entaglement è la relazione dell'universo e nell'universo!
L'entaglement è il principio di non localizzazione nel senso che due particelle
entagled (ingarbugliate) si comportano come un unico ente pur se sono
lontanissime fra di loro.
In base alla meccanica quantistica, due eventi possono essere correlati in modo
istantaneo indipendentemente dalla loro distanza. Vediamo di semplificare per
cercare di capire meglio. Poniamo che due particelle subatomiche (ma anche due
atomi opportunamente trattati) abbiano interagito e poi siano state allontanate, in
direzioni opposte, ad altissima velocità (le particelle subatomiche viaggiano a
velocità prossime a quelle della luce). Ebbene certe loro caratteristiche (tipo lo spin),
restano collegate nonostante la distanza enorme. Se, ad esempio varia lo spin di una
delle due, contemporaneamente varierà anche quello dell'altra a prescindere dalla
distanza. Due sistemi fisici interagenti devono essere trattati come un sistema
149
unico, descritto da un unico stato quantico: uno stato "entangled", ovverosia
"intrecciato". Ciò, in parole semplici, significa che lo spazio e il tempo non
esistono nel senso che presupponeva la meccanica della fisica non quantistica.
Per la nuova meccanica quantistica invece l'universo è tutto strettamente
intercorrelato: è una rete di connessioni senza effettive distanze e tempo. Ecco
perché si potrebbe dire che ogni cosa è in relazione con il tutto.
Nei test di Bell, coppie di particelle entangled, come appunto coppie di fotoni,
vengono generate e dirette verso punti diversi, dove si misurano le loro proprietà. Se
le misurazioni coincidono, nonostante la distanza, le possibilità sono due: o la
misurazione di una particella influenza istantaneamente anche l'altra, oppure le
proprietà intrinseche non esistono e sono create dalla misurazione stessa - che
sarebbe come dire che il vostro peso non esiste finché non decidete di salire su una
bilancia.
 
Entrambe le possibilità contraddicono l'ipotesi del realismo locale di Einstein, l'idea
cioè che l'Universo abbia proprietà intrinseche che non dipendono dalle nostre
osservazioni, e che un oggetto possa essere influenzato soltanto da ciò che si trova
nelle sue immediate vicinanze.

Einstein è stato, anche in questo comparto, un pioniere. Infatti nel 1935 insieme con
Podolsky e Rosen formulava il celebre "paradosso EPR" (dalle iniziali dei tre
scienziati) che metteva in evidenza, appunto come fosse paradossale il fenomeno
dell'entanglement. Doveva essere, la sua, un'altra dimostrazione in polemica contro la
meccanica quantistica. Però, anche in questo caso, Einstein sbagliava. Infatti, negli
anni intorno al 1980, si riuscì sperimentalmente a provare che questo strano, assurdo
legame istantaneo tra ciò che accade in luoghi molto distanti può davvero esistere.
Due corpi possono essere molto distanti nello spazio, ma dal punto di vista della
meccanica quantistica è come se fossero un'entità unica.
Come può essere possibile ciò visto che nessuna informazione può viaggiare a una
velocità superiore a quella della luce? Forse non esiste lo spazio come lo intendiamo
comunemente? Forse sono correlazioni al momento non spiegabili? O forse ogni cosa
è correlata con tutte le altre visto che al momento del Big Bang tutto era in unico
luogo (se così possiamo dire)? Quello che sembra emergere è il carattere non
separabile della realtà a livello quantico. La separazione spaziale fra due particelle
non è dunque sufficiente per assicurare che tutte le loro proprietà siano localizzate
dove esse si trovano: esistono proprietà comuni che dipendono dalle interazioni di
entrambe con l'ambiente circostante.
Le due particelle sembrano mantenere il ricordo della loro correlazione iniziale.
Questo strano fenomeno della meccanica quantistica ci ricorda la erste Natur citata
150
da Merleau-Ponty allorché parla di Schelling: "Questa erste Natur è l'elemento più
antico, un "abisso di passato" che rimane sempre presente in noi e in tutte le
cose. Questa erste Natur è trama fondamentale di ogni vita e di ogni esistente,
qualcosa di spaventoso, un principio barbaro che può essere superato, ma mai messo
da parte". Commento stupendo, a parte quel "qualcosa di spaventoso" che parrebbe
più attinente, più consono al peggiore dei subconsci di freudiana memoria. Anche i
geni, Einstein, Schelling, Merleau-Ponty, a volte, forse, esagerano nei loro giudizi.
Però rendono bene l'idea anche attraverso immagini innovative, uniche, forse un po’
estreme.
Marcello Cini invece scrive molto più semplicemente: "Per coloro che vedono la
realtà con gli occhiali della meccanica quantistica il paradosso non esiste. Essi
sostengono infatti che non ha senso parlare della direzione dell'asse di polarizzazione
di un fotone finché essa non venga misurata […] sono le due misure a determinare le
due direzioni". Ricordiamo sempre che in fisica quantistica la misurazione è un
operazione impegnata nel senso che determina, fissa gli oggetti sub-atomici come
sottolinea anche Merleau-Ponty: "L'esperimento è appunto un violentare la natura".
Anche Murray Gell-Mann, lo scopritore dei quark, anche lui si rapporta con
l'entaglement e lo fa in maniera abbastanza critica. Scrive infatti: "Bertlmann è un
matematico che indossa sempre un calzino rosa e uno verde. Se vedi solo un suo
piede e scorgi un calzino verde, sai immediatamente che l'altro calzino deve essere
rosa. Eppure da un piede all'altro non si propaga nessun segnale".
Concludiamo il discorso intorno all'entaglement proponendo un colloquio fra il fisico
austriaco Anton Zeilinger e il Dalai Lama. Il primo dice: "La cosa si fa ancora più
strana, e davvero complicata, se parliamo di tre particelle. Possiamo anche andare
oltre e parlare di quattro, cinque o sei particelle". Chiede il Dalai Lama: "Intendete
dire che l'intero Universo è entagled al suo interno?" Il fisico risponde: "E' una bella
idea, ma non vorrei prendere posizione in proposito, dal momento che, in quanto
fisico, non saprei come sottoporla a controllo. L'eroe intellettuale e filosofico in
questo campo fu Niels Bohr che fece un'affermazione di grande saggezza: "Nessun
fenomeno è un fenomeno fino a quando non è un fenomeno osservato". In altre
parole non dovremmo parlare di un fenomeno se non lo osserviamo in un
esperimento reale>>. Il Dalai Lama chiude la questione "Uno dovrebbe
probabilmente vivere molto a lungo per controllare sperimentalmente, per essere in
grado di vedere il Tutto>>. Dunque potrebbe anche essere che tutto l'universo è
entagled (intrecciato). Noi però non lo potremo probabilmente mai verificare".
L'entaglement della meccanica quantistica è stato assimilato, da alcuni studiosi
di psicologia, all'inconscio collettivo di Jung. In entrambi i casi infatti si fa

151
riferimento a un intreccio profondo, a una relazione atavica che va oltre il principio di
individuazione del singolo evento - fenomeno.
-ENTROPIA ***
È possibile dare una spiegazione semplificata dell'entropia, interpretandola come il
"grado di disordine" di un sistema. Quindi un aumento del "disordine" di un
sistema è associato a un aumento di entropia, mentre una diminuzione del "disordine"
di un sistema è associata a una diminuzione di entropia; è necessario però chiarire che
il disordine è relativo, e per questo la spiegazione semplificata non è equivalente a
quella esatta; ciò però serve a rappresentare il concetto.
Per maggiore chiarezza, nella figura seguente sono mostrate tre configurazioni dello
stesso sistema costituito da 24 oggetti, in cui si ha un aumento di disordine (cioè un
aumento di entropia) andando da sinistra a destra e una diminuzione di disordine
(cioè una diminuzione di entropia) andando da destra a sinistra.

Formula dell'entropia dei buchi neri di Hawking!


S è l'entropia, c è la veloctà della luce, k è la costante di Boltzmann, A è l'area
dell'orizzonte degli eventi (la superficie del buco nero), ћ è la costante di Plank,
G è la costante di Newton.
In questa formula si fondono le quattro costanti della fisica: c che riguarda la
relatività, k che riguarda la termodinamica, G che caratterizza la gravità e ћ che
è alla base della meccanica quantistica. Una vera meraviglia!

152
-EPICURO***

Già 300 anni prima di Cristo il filosofo Epicuro ci insegnava:


1. Non aspettarsi dagli dei un’equa partizione del bene e del male.
2. Non temere la morte più della vita.
3. Riconoscere la felicità come bene supremo che allontana i dolori fisici, l’ansia e
l’inquietudine dell’animo, ovvero porta alla loro rimozione. Prepararsi ad essa per
tempo ci dà in premio la beatitudine.
4. La felicità richiede uno stile di vita saggio, come d’altra parte è possibile solo con
la felicità.
5. Nella scelta giusta dei piaceri, ci aiuta la natura, che ha reso il necessario
facilmente raggiungibile, il superfluo difficile da ottenere.
Epicuro e non Democrito è il filosofo che veramente " 'l mondo a caso pone" scrive
Reale citando Dante. Reale però non pensa che questo è un grande complimento e
non certo un'offesa visto che la quantistica pone la casualità fra le sue tre doti
fondanti (insieme con la granularità e l'interconnessione).
Epicuro viveva nascosto (contro la polis e la politica) e diceva che a chi non
accontenta del poco, nulla basta. L'unica salvezza può venire solo da se stessi visto
che la natura non ha fine alcuno e gli dei sono lontani. Lucrezio trasformò in
poesia la filosofia di Epicuro (che fu un dittatore nel senso che le sue idee non
venivano discusse ma prese come dogmi quasi religiosi). Scrive Lucrezio: "Che male
sarebbe mai stato per noi non essere nati?" Dunque, per Lucrezio la non esistenza
non è un male! Stessa cosa pensa il Buddismo o, per lo meno, alcune sue tendenze.
"Egli passò in avanti viaggiando lontano, al di là dei bastioni fiammeggianti del
mondo, spaziando lontano con la mente e con lo spirito, attraverso l'universo
immisurato …" così scrive Lucrezio a proposito di Epicuro e ancora … "Ogni uomo
fugge da se stesso eppure da quel se stesso, in realtà, non ha potere di fuggire".
Epicuro predicava il piacere terreno (o per lo meno l'assenza di dolore) senza credere
alla vita ultraterrena mentre il Cristianesimo rimanda tutto all'altra vita, quella
ultraterrena.
Nel De finibus bonorum et malorum (II, 12), Cicerone va sostenendo che inserire il
piacere tra le virtù, come fa Epicuro, è l’equivalente di introdurre una prostituta tra
signore per bene! (le signore per bene?)
-EPOCHE'***

153
La sospensione del giudizio o epoché (traslitterazione del greco antico "ἐποχή" ossia
"sospensione") è l'astensione da un determinato giudizio o valutazione, qualora
non risultino disponibili sufficienti elementi per formulare il giudizio stesso.
Concettualmente è il contrario del pregiudizio e cioè del giudizio formulato in
assenza di elementi adeguati al quale viene tuttavia accordata la piena convinzione
di validità. L'epochè è un valido antidoto contro il fanatismo.
Termine fondamentale della filosofia di Husserl (filosofo che Paci ebbe come punto
di riferimento per tutta la vita), l'Epochè si traduce in una ricerca di senso continua e
inesausta che presuppone un abbandono di tutte le categorie di pensiero che siamo
abituati ad utilizzare. In questo senso è emblematico l'episodio che Paci stesso
racconta riguardo al suo approccio all'epochè. Studente di Filosofia, si recò
nell'ufficio di Antonio Banfi (il suo “maestro” per eccellenza) per chiedere
spiegazioni sul concetto di Epochè. Banfi gli chiese di descrivere un vaso che si
trovava lì vicino a loro. Tuttavia, qualunque definizione Paci provasse a dare (colore,
forma geometrica, uso) cadeva in una categoria di giudizio posteriore all'oggetto
stesso, o soggettiva (il colore dipende dalla luce, la forma geometrica si rifà a
categorie astratte che l'uomo ha inventato, l'uso è indipendente dall'oggetto stesso).
L'epochè, quindi, si costituisce come ricerca di una visione “originaria”. Compito
difficilissimo (Husserl lo definiva impossibile ed inevitabile), l'esercizio dell'epochè
non si deve tradurre in un'impossibilità di giudizio, ma nella consapevolezza che
qualunque giudizio è parziale, soggettivo. Se applicata alla vita, all'esistenza,
l'epochè si traduce in una continua ricerca dell'Originario, della Verità, una verità
ulteriore, che si annida nel mondo, negli altri, negli oggetti, nei luoghi, in tutto ciò
che forgia la nostra esistenza. Una verità che l'uomo può cercare, e che si annida nel
percorso stesso di ricerca e riflessione, e soprattutto nella capacità di creare Relazioni
autentiche.
In Tempo e verità Paci individua nell'epochè quasi un carattere religioso, criticando la
ridotta disamina del concetto da parte di Heidegger e Lévinas, che lo considerarono
come se fosse un metodo puramente gnoseologico.

-ERACLITO***

Il dio il cui oracolo è a Delfi


non parla né occulta
ma dà presagi.

Eraclito si esprime come l’oracolo di Delfi. Egli dice che Dio, la Totalità, il Tutto,
non parla mai in termini di sì o di no, ma si limita a fornire presagi. È poetico. Si
esprime mediante simboli. Non cercare d’interpretarli. Se li interpreti, ti sfuggirà
l’essenza. Limitati ad osservare! E lascia che il simbolo entri profondamente in te
e s’imprima nel tuo cuore. Non cercare di trovarne subito il significato, perché chi lo
154
troverà? Se lo troverai tu, sarà il tuo significato. Lascia che il segno, il simbolo, si
imprima nel tuo cuore, e un giorno la vita ti svelerà il significato. Vivi insieme a lui e
permettigli di essere. (Osho interpreta Eraclito)
Eraclito dice il logos è l'intelligenza che connette, che crea relazioni.
La compenetrazione di parola-intelligenza-cosmo è una caratteristica dei frammenti
eraclitei ed è in assonanza con il concetto induista di Brahman.
Relazioni e connessioni: intero e non intero, convergente e divergente, consonante e
dissonante. Non è però sufficiente conoscere questa struttura di interconnessioni
che regola il mondo e la vita, ma è necessario praticare, nell'esistenza
quotidiana, le conseguenze di tali relazioni.
Ascoltando non me ma il Logos, è saggio riconoscere che tutte le cose sono una
sola.

Armonia come unità nascosta delle apparenti dissonanze.


L'io credo è morbo sacro.
Il dio, per Eraclito, è la coesistenza dei contrari, è la follia, è l'indifferenziato (il
subconscio). Per l'uomo invece una cosa è bella e giusta mentre l'altra è brutta e
cattiva.
Noi siamo e non siamo.
Ogni cosa è quello che è … solo se si oppone alle altre cose.
Il conflitto (polemos, logos, fuoco) è padre di tutte le cose e di tutti i re. Comunque
anche il conflitto è relazione.
Dopo la morte attendono gli uomini cose che essi non immaginano e non
sperano.
L'armonia nascosta vale di più di quella che appare.
Trastulli di bimbi sono le credenze degli uomini.
Immortali mortali, mortali immortali: viventi la morte di quelli, morenti la vita di
questi.
Alcuni visitatori
trovarono inaspettatamente Eraclito
che si riscaldava vicino al fuoco;
egli disse loro: Anche qui sono gli dèi.

Chi non spera non troverà l’insperato.


155
Produrre armonia mediante conflitto.

Questo cosmo né alcuno degli dei lo fece né alcuno degli uomini, ma fu sempre,
ed è e sarà, fuoco di eterna vita, che si accende con misura e si spegne con
misura.

Come cani abbaiano contro chiunque non conoscano.

Lo studiare molte cose non insegna ad avere intelletto.

Non è un bene per gli uomini che le cose vadano sempre come essi vogliono.

Non bisogna comportasi come figli dei padri.

Quelli che cercano l’oro scavano molta terra e ne trovano poco.

I porci godono del fango più dell’acqua chiara.

Demone è all’uomo la sua indole.

A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove.

Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo.

Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte
una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità
del mutamento si disperde e si raccoglie, viene e va.

L'uno è fatto di tutto e tutto discende dall'uno.

Tutte le cose sono uno scambio del fuoco (energia), e il fuoco (energia) è uno
scambio di tutte le cose, come le merci sono uno scambio dell’oro e l’oro uno
scambio delle merci.

Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai
trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo lógos (la sua relazione con
l'universo?) .

La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il


vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi.
156
Il sole è nuovo ogni giorno.

Il tempo è un bimbo che gioca, con le tessere di una scacchiera: di un bimbo è il


regno.

Come gli dei e gli infiniti, pure gli uomini sono e non sono.
Tutto accade seguendo la legge della contesa (polemos) e della necessità (anankè)
dice Eraclito escludendo però tychè (fortuna).
Il dio è giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazietà e fame e muta
come il fuoco (l'energia).
Il principio e la fine non hanno motivo.
I più vivono come se avessero ciascuno una loro mente.
Gli uomini vivono in una specie di sogno ove credono di essere un individuo
concreto e reale separato dagli altri.
Tutti gli esseri e me stesso siamo una sola cosa.
Il principio dell'eterno generare ama tenersi nascosto.
La physis di Eraclito è simile al Tao: da tutte le cose l'uno e dall'uno (la natura) tutte
le cose. E' energia diffusa in ogni essere vivente che lo fa crescere e lo nutre
attraverso connessioni di contrari. Il tao e la physis non trascendono le cose. Sono
invece la loro via. La natura ama nascondersi e opera secondo Logos: legare, mettere
in rapporto (è saggio dire che tutte le cose sono una) e Syllapsis: riunire. Anche
Polemos (il contrasto che però non è la stasi cioè la guerra interna) è fondamentale
per la natura.
La via del cielo è diminuire a chi ha in eccedenza e aumentare a chi non ha a
sufficienza. La natura e il tao producono connessioni, rapporti che sono però anche
conflittuali (logos - polemos). Armonia mediante conflitto!
Si racconta che Eraclito "alla fine, preso dal fastidio degli uomini, se ne andò a
vivere sui monti nutrendosi d'erba e di piante selvatiche".
La ben nota difficoltà per qualunque traduttore di Eraclito è riuscire a rendere le
figure retoriche e combinatorie, i giochi di parole, le assonanze, le ambivalenze
sintattiche e semantiche con cui questo autentico maestro della lingua greca ha
espresso la ricchezza del suo pensiero. E' ovvio che è impossibile trovare espressioni
equivalenti a un linguaggio di 2500 anni fa, che oltre tutto si collocava agli albori del
sapere filosofico. Nello stesso tempo, ritengo sarebbe un grave danno interpretativo
darsi per vinti ed effettuare una mera trasposizione verbale, rinunciando perlomeno
157
allo sforzo di rendere qualcosa, anche solo un’ombra, della bellezza e densità
dell’originale; tutte le traduzioni italiane a me note, del resto, hanno cercato di
‘tradurre’ al lettore moderno, e non solo ‘tradire’, lo spirito del testo eracliteo, questa
sua linea di tensione alla ricerca della ‘parola-forza’ che veicoli potentemente un
‘pensiero-realtà’, un ‘logos-legge’. Non importa quanto felici siano i risultati, basta
almeno restituire il senso di una ricerca espressiva mirante a esprimere un mondo, il
mondo. Certo, la polisemia dei termini eraclitei rende inevitabile in molti casi
riportarli tra parentesi in greco, o addirittura lasciarli nel testo traslitterati.
(Mouraviev)

Normalmente attribuiamo a Eraclito un concetto di logos, e a ragione. Egli sembra


effettivamente aver sviluppato la nozione di una divinità pancosmica (o un mondo
panteistico) dotata di un’anima cosmica e capace di parlarci e di insegnarci la verità .
Tuttavia, egli lo chiama con molti nomi diversi, nessuno dei quali è esaustivo: logos,
ethos divino, l’Uno sapiente, il Comune, l’Ambiente, e via dicendo (si potrebbe fare
il confronto con le numerose parole e forme verbali usate da Parmenide per esprimere
la sua nozione di Essere). Egli non ha mai tentato di raggiungere l’univocità o una
corrispondenza biunivoca tra il suo linguaggio e il mondo esterno: più che
descriverlo more geometrico, lo ha raffigurato, dipinto, rappresentato. (Mouraviev)

=ESSERE**
L'Essere contrapposto al Non Essere. Questo è uno dei principi fondanti della
filosofia occidentale che si chiede fin dall'inizio: "che cos'è l'essere?". Invece
l'antico pensiero orientale si regge sul concetto di relazione. Relazione intrinseca
e intransitiva che, alla fine, lega anche Essere e Non Essere.
Essere e pensiero si danno solo in una relazione di reciprocità.
Pensiero, Essere e Linguaggio sono in stretta relazione, sono chiasma, sono
l'avvolto che avvolge.
Parmenide distingueva invece Essere, Pensiero e Linguaggio: "è necessario dire e
pensare che l'essere è". Da qui iniziarono le divisioni, le distinzioni, le dicotomie
tipiche de pensiero occidentale portate avanti anche da Platone e Aristotele. Si pensa
di osservare, analizzare la realtà dal di fuori come se si fosse un Kosmotheoros.
L'essere non è una somma di enti ma è un insieme di relazioni.
Leopardi dice che dall’apparente non essere come nulla nasce l’essere.
La dove noi non siamo, si sta bene. Nel passato noi non siamo più ed esso ci appare
bellisimo. (Cechov)
Sarebbe riduttivo associare l'unicità dell'Essere (asserita da Ibn Arabi mistico
andaluso nato nel XII secolo) al panteismo, in quanto essa indica qualcosa di più di
158
questo. Diremmo più correttamente: si tratta sì una forma di panteismo, che allo
stesso tempo va al di là del panteismo materialistico. Gli enti, infatti, non sarebbero
dotati di esistenza propria ma esisterebbero solo in virtù di altro, come ologrammi
proiettati da una fonte luminosa.

Per misurare quanto abbia pesato nella storia della filosofia occidentale il
concetto di "essere" basti ricordare che da Parmenide a Heidegger esso ha
costituito un tema ineludibile per quasi tutti i pensatori.
Per noi occidentali "essere" e "non essere" sono alternativi. Vi è chi sostiene
l'essere (i sostanzialisti come Parmenide) e chi sostiene il non-essere (i nichilisti
come Gorgia). Per l'Oriente invece "essere" e "non essere" sono in relazione
dinamica, sono complementari perché senza l'uno non ci sarebbe neppure
l'altro. Anche Platone, nel Sofista, arriva a questa stessa conclusione (vedi anche
Eraclito).
"Quando diciamo "non essere", non diaciamo qualcosa di contrario all'essere,
ma soltanto qualcosa di diverso". (Platone: Sofista257b 3-4)
Nello Shobogenzo di Dogen (XIII secolo) si legge: "Essere-tempo significa che il
tempo è l'essere, l'esistenza è tempo. Il significato centrale dell'essere-tempo è
che tutti gli esseri nel mondo intero sono in relazione reciproca e non possono
mai essere separati dal tempo". Dunque esseri e cose esistono solo in quanto
sono tempo e relazione. Fuori dal tempo e dalla relazione nulla può esistere.
"Per noi orientali Vuoto è il nome più alto per indicare quello che Ella vorrebbe dire
con la parola Essere" (Heidegger e il giapponese).
E' l'essere che da origine al pensiero o è il pensiero che concepisce l'essere? L'avvolto
che avvolge e che viene avvolto.
Esse est percipi vel percipere. (Berkley) (Essere è essere percepiti o percepire: le idee
e le cose vengono percepite dagli spiriti che percepiscono)
L’essenza dell’essere è di non averne una, e non perché essa si nasconda nel
lasciare apparire gli enti ma perché è presente in tutte le prospettive in cui si disperde
e parla in ogni prospettiva in cui si dà. Che dell’essere non ne sia nulla significa che
nulla è ciò che può esserne di lui. L’essere non è ciò in cui le interpretazioni
(af)fondano le loro pretese di verità né il testo su cui si misura la loro fedeltà. Le
interpretazioni sono l’essere di cui parlano. L’essere è il gioco in cui le
interpretazioni misurano la forza che le sostiene: gioco di prevaricazione più che
gioco della “verità. (Dionigi parlando di Nietzsche)

Per quanto attiene al dualismo essere-non essere, il pensiero orientale è ricchissimo


di prospettive che si intrecciano molto bene con meccanica quantistica e
159
fenomenologia. Noi ci limiteremo qui a citarne un paio iniziando da quanto recita
l'antico testo taoista del quinto secolo avanti Cristo intitolato Tao Tê Ching <<Essere
e non essere si danno nascita tra loro>>. Anche J. Kirshnamurti scrive qualcosa di
simile: <<Il fondamento è vuoto, è il vuoto>>. Questa ultima affermazione ricorda
molto da vicino il pensiero Merleau-Ponty ove parla di filosofia senza fondamento
(ab-grund, an-archè).
<<Qui, ciò che si dice dell'essere e ciò che si dice del nulla fa tutt'uno, è il rovescio e
il diritto del medesimo pensiero; la visione chiara dell'essere quale esso è sotto i
nostri occhi - come essere della cosa che è tranquillamente, ostinatamente se stessa,
poggiante su se stessa, non io-assoluto - è complemento o anche sinonimo di una
concezione di sé come assenza ed elusione. L'intuizione dell'essere è solidale con una
specie di negintuizione del nulla>>. Merleau-Ponty entra subito nel vivo della
questione: essere e nulla non sono veramente due, sono solo due facce della stessa
medaglia tant'è che: <<Colmare la fessura è in realtà scavarla […] il nulla si scava e
si riempie con lo stesso movimento>>.
<<Ma ciò non è forse dovuto al fatto che questo pensiero è inafferrabile? Esso
comincia con l'opporre assolutamente l'essere e il nulla e finisce con il mostrar che, in
un certo qual modo, il nulla è interno all'essere, il quale è l'unico universo>>.
Essere o non essere? Per Shakespeare sono due realtà opposte: l'una nega l'altra.
Infatti bisogna scegliere fra vivere o morire. Situazione tipica del modo di pensare
occidentale che si basa sempre e comunque sul principio del terzo escluso
aristotelico. Merleau-Ponty va oltre: l'essere e il non essere non si escludono a
vicenda. Ciò che è, non deve per forza annullare il nulla. L'essere è pieno di buchi, di
tagli, di trasparenze. Dialettica fra l'essere e il nulla. Si avvolgono a vicenda. Ogni
termine è valido solo se si rapporta al termine opposto.
<<La profondità dell'essere, che non è riconosciuta se non con la nozione di infinito
[un fondo inesauribile dell'essere che non è soltanto questo e quello, ma avrebbe
potuto essere altro (Leibniz) o è effettivamente più di quanto sappiamo (Spinoza, gli
attributi sconosciuti)…>>. Sia in questo passo di Merleau-Ponty e sia nel precedente
di Bohm sembra si stia parlando dell'Essere selvaggio, della "dimensione grezza
dell'essere carnale precedente il costituirsi del soggetto e dell'oggetto".
Importante anche ricordare che, qualsiasi cosa pensiamo dell'essere, noi, secondo
Merleau-Ponty, ne siamo completamente dell'essere, lo viviamo, lo abitiamo, siamo
istallati in esso. Ogni domanda che ci facciamo sull'essere è una domanda interna
all'essere. Aristotele, Kant e altri filosofi elencavano le categorie dell'Essere
presumendo di farlo dal suo esterno. Noi, sempre secondo Merleau-Ponty, siamo
anche consapevoli che "nessuna risposta può dissipare il mistero del nostro
rapporto con l'essere". Noi e l'essere siamo
160 avvolti e coinvolti gli uni nell'altro. Noi
diamo espressione all'essere con il nostro pensiero, con il nostro linguaggio
innovativo e, d'altro canto, senza l'essere, noi non saremmo. Chiasma fra l'uomo e
l'essere. Anche se l'essere rimane, per principio, non oggettivabile, profondo,
multivoco. Infatti l'essere è animato da una profondità originaria che non ne permette
una oggettivazione definitiva. L'essere rimane quindi sempre anche celato. Questa
è anche una critica alla scienza moderna, alla sua fiducia un po’ cieca nelle proprie
elaborazioni.
Per Merleau-Ponty, l'Essere si rende visibile tramite gli enti: l'Essere è il "darsi a
vedere" delle cose. L'Essere sboccia ovunque, sempre di nuovo, ripetutamente come
fosse la natura a primavera. L'Essere zampilla, rinascendo ogni volta in forme sempre
diverse, come una fontana libera e anarchica. L'Essere è multivoco e non
oggettivabile e non si lascia facilmente catalogare.
Chiudiamo il discorso con un pensiero Merleau-Ponty: <<In quanto assolutamente
opposti, Essere e Nulla sono indiscernibili>>.
Nel confronto con le tradizioni orientali, pensa Merleau-Ponty, per l'Occidente non si
tratta di dismettere la propria identità - ciò che, del resto, sarebbe impossibile -
quanto piuttosto di riprendersela. L'esigenza di elaborare una nuova ontologia per
"ritrovare il rapporto con l'essere" si accompagna quindi, né può essere altrimenti, a
quella di "storicizzare" il pensiero dell'Occidente. Riaprire le possibilità di avere un
rapporto diretto con l'essere prima che la razionalità, tagli, affetti l'essere a
pezzettini. Ricordiamoci, ancora una volta, che noi ne siamo dell'essere come dice
anche Merleau-Ponty. Vi è un avvolgimento fra l'essere e l'io perché l'io arricchisce,
con il suo contributo, l'essere e, d'altro canto, senza l'essere non ci sarebbe alcun ego.
La nostra filosofia occidentale sta perdendo il rapporto originale con l'Essere
che è stato invece fin dal suo inizio, un punto cardine: consideriamo, ad esempio,
l'Apeiron di Anassimandro o la sfera di Parmenide. Prima di ogni filosofia,
incontrando ciò che la realtà non è, oltre, fino a giungere a prima di un ego oggetto di
conoscenza: il pre-riflessivo, quello che non è riflessione.
In occidente, partendo da Platone e Aristotele in poi, si è affermato e radicato il
concetto logico-filosofico che l'essere e il non essere sono alternativi nel senso che
una cosa-evento, un ente (quale può essere un uomo) può essere o non essere ma mai
entrambe le cose insieme (principio del terzo escluso: tertium non datur). Noi
occidentali (ad oggi praticamente quasi tutti gli abitanti della terra) li siamo rimasti.
Ci siamo auto incatenati a questo dualismo che si rivela abbastanza efficiente dal
punto di vista pratico ma non altrettanto da quello esistenziale visto che procura
profonde angosce all'umanità che teme la morte (il non essere che annulla l'essere).
L'antico pensiero orientale asseriva invece che non esistono né l'essere e neppure il
non essere liberando, in tal modo, l'uomo 161(cioè l'io, l'ego) sia dal peso della vita che
da quello della morte. In conclusione, dice l'antico pensiero orientale, non vi è essere
né non-essere né unità né dualità. Che altro dire ancora?
«L'Essere è generato dal Non-essere» dice il Tao Te Ching. Cosa significa?
«All'inizio era il nulla». A nostro avviso questa affermazione non significa che il
Nulla, come ente separato, sia dislocato in un tempo primordiale, ma significa che
esso, come condizione di possibilità di ogni ente, è sempre «all'origine di ogni ente.
In altri termini, ci sembra che la relazione tra Nulla ed enti sia analoga a quella tra
Caos {huntun) e «ordini», per la quale il Caos non è la negazione o la assenza di
ordine, ma la condizione di possibilità di ogni ordine. Ci sembra importante notare
a questo proposito che il termine hunmang, normalmente reso con «Caos
primordiale», sia stato di recente tradotto, molto opportunamente, con «Ordine
Caotico Primordiale»

Severino dice che Parmenide, quando afferma che solo l'essere è, nega l'esistenza
delle singole cose. Quindi l'albero, la casa, la stella non sono (sono solo maya
direbbero in Oriente). La tesi di Parmenide è che l'Essere è uno, immobile, isotropo
(uguale in tutte le direzioni) e continuo mentre è la molteplicità illusoria. L'Oriente
invece parla di assenza di divisioni ma non di assenza di diverstà.
L'essere è. Il non essere non è. L'Essere collegato alla Verità e il Non Essere
collegato alla Non Verità. Un vero e totale dualismo, caro Parmenide! Poi arriva
anche la semplificazione totale se aggiungi che il pensiero e l'essere sono la stessa
cosa.
Essere, Verità, Realtà, Uno, Tutto. Non essere, Opinione, Apparenza, Molti, Nulla.
Tutte vuote parole?
L'essere è uno solo in quanto al concetto (eidos), e invece molteplice quanto
all'evidenza dell'esperienza sensibile (energeia). (Proclo parlando del pensiero di
Parmenide)
E' come se in mezza al nostro essere ci fosse un non essere.

Anselmo d'Aosta e Cartesio dicono, nella prova ontologica, che esistere è meglio
che non esistere senza però dimostrarlo. Per l'antico pensiero orientale invece
essere e non essere non sono due valori opposti in cui uno è meglio dell'altro. Poi
rincara la dose affermando che lo stato supremo della realtà è oltre la coscienza.

L'essere e il non essere si danno nascita fra loro. (Tao The Ching)
Scrive Anassimandro nel primo frammento filosofico pervenutoci: « Principio degli
esseri è l'infinito ... da dove infatti gli esseri hanno origine, ivi hanno anche la
dissoluzione secondo necessità: poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e
l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine
162del tempo » oppure <<Da dove viene la
vita degli esseri, là anche si compie, secondo una legge necessaria; poiché tutti
debbono pagare reciprocamente il fio e l'ingiustizia nell'ordine del tempo>>.
Anche un canto rigvedico conferma: «Solo il Questo respirava immobile, non c'era
altro. Allora non c'era né l'essere né il non essere, né l'aria né di sopra il cielo [...]
non c'era né morte né immortalità, né giorno né notte. »
Chi cerca è solo un concetto. Ciò che viene cercato è solo un concetto. Bisogna
annientare i concetti nell'essere. Conosciamo i concetti ma non il silenzio.
Il senso autentico dell'essere non è la verità... è la vita!
Il vero contrario del puro essere non è il nulla ma l'essere in concreto.
L'essere tende a fenomenizzarsi in presenza di una coscienza.
Nessuna risposta può dissipare il mistero del nostro rapporto con l'essere.
L'essere e il non essere non si escludono a vicenda. Anzi!
Dice Severino che nulla, di ciò che appare, appare così come è nel tutto; e tutto ciò
che appare è immutabilmente nel suo concreto dimorare nel tutto. Nemmeno
l'apparire, ossia la stessa comprensione astratta dell'essere, appare così come essa
dimora nel tutto: la comprensione astratta dell'essere comprende astrattamente anche
se medesima: l'apparire - in cui l'essere necessariamente si rivela - non coglie la
concreta relazione in cui esso stesso si trova col tutto. Tutto ciò che appare (e
dunque lo stesso apparire) differisce pertanto dall'essere: ma nel senso che ciò
che appare è l'essere stesso in quanto astrattamente manifesto, ossia è l'essere stesso
nel suo nascondersi nell'atto in cui si rivela. In Ritornare a Parmenide si dice appunto
che ciò che appare è "l'esito di una comprensione astratta della totalità
immutabile". Ciò che appare non aggiunge dunque nulla all'essere (cioè
all'immutabile): appunto perché ciò che appare è l'essere. Eppure ciò che appare
differisce dall'essere: appunto perché l'essere, apparendo, non si rivela in tutta
la sua pienezza.
Il pensiero di Anassagora presenta analogie con quello di Empedocle, secondo cui
nulla nasce e nulla perisce, ma nascita e morte sono solo termini convenzionalmente
utilizzati dagli esseri umani per identificare mescolanza e disgregazione delle parti
dell'Essere: “insieme erano tutte le cose e l'intelletto le separò e le pose in ordine”.
Il nous era stato quindi la vera causa del mondo e del divenire cosmico.
Tutto che si concepisce che è, non è più di quanto non è... (Cusano)
La conoscenza cerca la totalità dell'essere, senza riuscirci mai! Infatti l'essere è così
generale che nessuno lo potrà mai conoscere.
163
La differenza ontologica è così la differenza tra l'essere e l'esserci, ossia tra l'essere in
quanto tale e l'essere in quanto astrattamente manifesto. [...] La differenza ontologica
è un evento interno all'immutabile: l'apparire attuale, in cui si disvela l'eterno, è un
momento dell'eterno."
La percezione sensibile umana coglie il divenire dell'essere. La intuizione mistica
umana coglie la vera essenza dell'ESSERE.
Il palco che divide l'esistenza dalla non esistenza è molto instabile, ciò che non esiste
non vuol dire che non c'è, come ciò che non c'è non vuol dire che non esiste.
Attraverso questa separazione binaria dell'esistenza noi abbiamo costruito solo un
criterio delle verità, sgretolando la conoscenza in tante briciole di menzogne.
E' l'essere a parlare in noi e non noi a parlare dell'essere.

La razionalità fa a pezzi l'Essere! Infatti, per capirlo, lo divide .


Meditare è andare oltre … ove accade che l'essere è vissuto come non essere e il non
essere è percepito come l'essere.
Dopo aver eliminato il mio essere ho eliminato anche il mio non-essere.
Gorgia scrive:
Nulla è; (ontologia)
Se anche qualcosa fosse, non sarebbe conoscibile; (epistemologia)
Se anche qualcosa fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile agli altri. (dialettica)
Parmenide ribatte: solo l'essere è mentre il non essere non è.
Taoismo: Essere e non essere si danno nascita fra loro. Relazione dialettica fra
essere e non essere presente anche nel Sofista di Platone.
Dice Nisargadatta (e sembra Merleau-Ponty): "Lo stupore di fronte all'infinita portata
dell'essere nella sua inesauribile creatività e trascendenza, l'assoluta impavidità che
nasce dalla scoperta della natura illusoria ed effimera di ogni modalità della
coscienza. Riconoscere la fonte come fonte, l'apparenza come apparenza, e se stessi
come la fonte, coincide con l'autorealizzazione".

È nella natura dell'essere, vedere l'avventura nel divenire, come è nella natura del
divenire cercare la pace nell'essere. Questo alternarsi di essere e divenire è
inevitabile; ma la dimora è oltre.

Ciò che si dice dell'essere e ciò che si dice del nulla fa tutt'uno, è il rovescio e il dritto
del medesimo pensiero. Essere e non essere si danno nascita fra loro. In quanto
164
assolutamente opposti, l'essere e il nulla sono indiscernibili, quando vediamo l'essere
il nulla è subito là, e non al margine. (Merleau-Ponty)
L'essere non è mai semplicemente uguale a se stesso ma è sempre anche altro da
sé.
Egualmente, in verità, mio caro, tutte queste creature, pur nascendo dall’essere, non
sono coscienti del fatto che provengono dall'essere. Tutte quante, che siano tigre o
leone, lupo o cinghiale, verme o farfalla, mosca o zanzara, qualunque cosa esse siano,
mantengono la loro individualità. (Chandogya Upanishad)
Ciò che percepiamo è l'Essere sempre intrecciato con il Non Essere. L'Essere infatti è
pieno di buchi, di fessure, di trasparenze che svelano il Non essere. Ma l'Essere è più
grande di quanto percepiamo in quanto l'Essere non si rivela mai in tutta la sua
essenza che è l'Assoluto. Assoluto che non percepibile né dai sensi, né dai concetti e
neppure dalle idee. Assoluto chiamato Brahman dagli induisti, Apeiron da
Anassimandro, Dharmakaya [Dharmakaya letteralmente significa il "corpo" (kaya)
dell'insegnamento del Buddha (Dharma), la via della comprensione e dell'amore.
Prima di lasciare il mondo, il Buddha disse ai suoi discepoli: "Solo il mio corpo
lascerà questo mondo. Il mio corpo di Dharma rimarrà con voi per sempre". Nel
Buddhismo Mahayana, il termine ha finito con il significare "l'essenza di tutto ciò
che esiste". Tutti i fenomeni - il canto degli uccelli, i caldi raggi del sole, una tazza
di tè caldo, sono manifestazioni del Dharmakaya. In conclusione il Dharmakaya è la
vera realtà percepita da chi è risvegliato, illuminato (dunque da un Buddha).
All'interno del Dharmakaya vi è una segreta dimensione detta yangsang-né ove
emerge l'inseparabile uinione della materia - energia con il vuoto.
Anche noi siamo della stessa natura di queste meraviglie dell'universo] dei buddisti
(tra i quali primeggia Nagarjuna -150 d.c. - e la sua dottrina Madhyamika - Via di
mezzo ove si afferma che ogni fenomeno - evento sia fisico che mentale, è di per sé
vuoto-anatta ed ha un senso solo in rapporto a tutti gli altri fenomeni - eventi senza
per questo dar luogo a dualismo). L'Assoluto è altresì chiamato Uno da Plotino, Tao
dai Cinesi e Nagual dagli sciamani atzechi come ci racconta Don Carlos Castaneda.
-ETERNO RITORNO***
Tutto si ripete, infinitamente uguale a se stesso, esattamente come penavano gli Stoici
col loro eterno ritorno e più tardi Nietzsche ed Eliade? Il principio dell’Ordine
presuppone la ripetizione assoluta di leggi strutturali, fisse ed immutabili. Così
volevano i Descartes, gli Spinoza e i Leibniz, convinti, con eserciti d’altri teologi-
ontologi, che il sesto giorno il Buon Dio aveva finito il lavoro. Un “tutto fatto!” che
da allora avrebbe dovuto procedere ed evolvere in modo perfettamente
conseguenziale fino alla Fine, con soddisfazione di tutti, perché si possa dire:
«Finalmente qualche cosa di immutabile, di sicuro, di certo!» Per fortuna che ogni
165
tanto ci sono i Feynman a dirci: "Bisogna concluderne che la fisica, scienza
profondamente esatta, è ridotta a calcolare la sola probabilità di un evento, invece di
prevedere che cosa accade in ciascun caso singolo? Ebbene, sì. È un ripiegamento,
ma le cose stanno proprio così: la Natura ci permette di calcolare soltanto delle
probabilità. Con tutto ciò la scienza è ancora in piedi".

-ETICA DELLA RELAZIONE***


Scrive Pasqualotto: "Tanto più profondo è il vero sapere (prajna), tanto più
profonda diventa la compassione (karuna) verso tutti gli esseri. Infatti se ci si
rende conto che il proprio io e quello degli altri esseri viventi non sono, come
ritiene il senso comune, atomi isolati o punti irrelati, ma campi di forze
interagenti o incroci di linee, allora si può anche comprendere che tutto quello
che accade a un ente, animato o inanimato, condiziona tutti gli altri enti, e
viceversa. In questa prospettiva parlare di egoismo e di altruismo non ha allora
più senso, per il semplice motivo che non sussiste più né l'idea di ego né quella di
altro: l'etica non consiste più in una serie di precetti o di norme che predicano o
impongono a ciascun ego il dovere di una relazione amorosa con altri ego; ma
consiste nella pratica dei modi di interrelazione, di inter-essere, evidenziati dal
conoscere la qualità insostanziale (anatta) e impermanente (anicca) di ogni ego".
Ciascuno non è solo in relazione con altri ma è costituito da altri. Bisogna
sostituire l'etica ego-logica con quella eco-logica, quella atomistica con quella
sistemica, quella sostanzialistica con quella funzionalistica. Sym-patheia!

"Quando mai il male potrà attaccarsi a colui che è consapevole che è uno con gli
altri? Dimmi: esiste una via migliore verso il Bene se non la conoscenza
dell’Unità?". (Ellam Onru)

La tradizione cristiana parte da un "Ama il tuo Dio e quanto più amerai il tuo
Dio, non ucciderai". In essa è presente una derivazione dall’alto. Io non uccido
te in nome di Dio, mentre in Oriente io non uccido te in nome tuo o in nome di
quella relazione per la quale, se io uccido te, uccido una parte di me stesso.
(Pasqualotto)

Può esistere una morale che non si basa sull'io, sulla sua libertà, sulla sua
responsabilità, sul premio e sulla pena?
L'antico pensiero orientale si basa sul fatto che, se si capisce e si penetra a fondo
l'interdipendenza di ogni fenomeno con ogni altro fenomeno, se si comprende la
stretta relazione di tutto con tutto e, di conseguenza, di tutti con tutti, non si
compie soltanto un'operazione intellettuale, ma anche un'operazione etica che ci
mette nelle condizioni di mutare il rapporto con gli altri esseri. Quando si realizza che
ciascun essere dipende dagli altri esseri, si capisce anche chiaramente che il
166
comportamento compassionevole risulta necessario per la sopravvivenza di tutti.
Infatti il bene di uno solo a scapito degli altri non porta da nessuna parte mentre una
buona relazione giova a tutti visto che tutto è interconnesso con tutto. Dall'etica di
Budda fino al teorema matematico di John Nash " nessuno riesce a migliorare in maniera unilaterale il
proprio comportamento. Per cambiare, occorre agire insieme" e ai recenti neuroni specchio, il messaggio che

ne esce è sempre uguale: facciamo tutti parte di uno stesso tessuto d'insieme ed è
quindi naturale e spontaneo aiutarsi a vicenda. Questa è l'etica della relazione.
Come ben si comprende, qui non sono necessari premi e punizioni per
incentivare un io recalcitrante a fare il bene e ad evitare il male ma ciò viene
spontaneo in base a un rapporto di profonda empatia con tutti e con tutto.

Ognuno di noi non è nessuno se non sa di essere figlio della propria madre e del
proprio padre, fratello della propria sorella, del proprio fratello, nipote del proprio
nonno, e dei propri zii. Chi siamo noi indipendentemente da questa rete di relazioni?
(Antico detto cinese)

Seguendo il concetto di anatta non si elimina in tal modo l'idea di responsabilità


personale e tutto ciò che essa comporta dal punto di vista sia etico che giuridico? In
effetti si cela qui, a questa svolta del pensare comune impressa dal Buddhismo, un
pericolo gravissimo: quello di interpretare l'applicazione della teoria dell'anatta alla
pratica dell'etica come un invito nichilistico alla totale deresponsabilizzazione. Per
rispondere rapidamente a questa obiezione si può ripresentare il problema
invertendone i termini, ossia facendo notare i difetti intrinseci al modello teorico che
interpreta e giudica l'azione umana sulla base dell'idea di responsabilità. Il principale
di questi difetti consiste nel fatto che ogni azione viene accompagnata, a seconda che
sia ritenuta buona o cattiva, dalla nozione di merito o demerito: chi fa una buona
azione è motivato dalla speranza di un riconoscimento positivo che può derivare da
un'autorità divina, da un'istituzione politica, da un consenso sociale o anche dalla
propria coscienza morale; chi fa un'azione cattiva è motivato da un interesse
personale il cui soddisfacimento è chiamato " merito" da chi la esegue e "demerito"
da chi la subisce. In ogni caso si ha un prevalere di un proprio interesse, di un
interesse "privato" fondato sull'accrescimento della potenza dell'io. Cosa accade,
invece, se questo interesse non c'è o è minimo? Cosa avviene quando il senso
dell'io è atrofizzato o addirittura assente? Accade che l'azione risulta del tutto
disinteressata e, in quanto tale, si pone al di là del livello in cui può essere
qualificata come "buona " o "cattiva ": non può essere qualificata come
"buona" perché essa è indifferente all'interesse del riconoscimento; non può
essere qualificata come "cattiva ", dato che è indifferente all'interesse privato
che muove ogni azione definita "cattiva" . Il livello a cui si pone questo tipo di
azione disinteressata fondata sull'assenza di io è talmente alto che non ha
bisogno del concetto di responsabilità: questo concetto è ancora necessario solo a
quegli individui che si credono autonomi e che, per convivere, hanno bisogno di
167
un'autorità morale, civile o religiosa alla quale "rispondere" delle loro azioni,
sperando di ottenere meriti, ricompense o assoluzioni, ovvero temendo di
ricevere giudizi di demerito, pene o castighi. Ma tale concetto non è più
necessario quando non c'è più un io che spera o teme. Allora la teoria del karma
intesa come sistema di retribuzione morale può valère soltanto per tutti coloro che
non hanno ancora realizzato la consistenza relativa e impermanente del proprio io,
ossia per tutti coloro che, per fare una buona azione, hanno ancora bisogno di sperare
in una ricompensa futura, o per quelli che, per evitare di farne una cattiva, hanno
ancora bisogno di temere un castigo futuro. Invece, per i liberati, i realizzati, i
risvegliati o illuminati, la teoria del karma vale solo come chiarimento della
consapevolezza che ogni azione è risultato di una rete - virtualmente infinita - di
cause e che produce una rete - altrettanto virtualmente infinita - di effetti. Per costoro,
allora, l'io non è più rappresentabile come un punto unitario e stabile dove
convergono delle linee che rappresentano le cause e da cui si originano delle linee
che rappresentano gli effetti, ma viene esperito come un nodo variabile costituito dai
diversi "fili" che rappresentano cause ed effetti. È tuttavia da ricordare che il karma
così inteso, come rete dinamica, non significa affatto l'annientamento del karma
inteso come sistema di linee retributive, ma ne è il superamento: questo in perfetta
sintonia col fatto che la teoria dell'anatta si pone al di là e non al di qua
dell'esperienza dell'io. Detto altrimenti: se l'idea di karma servisse a spiegare il
rapporto causa-effetto facendo ancora riferimento all'io come centro unitario e
invariabile, allora l'intera riflessione buddhista sull'anatta finirebbe per essere
inconsistente, e diventerebbe perfino legittimo parlare di reincarnazione,
intendendola semplicisticamente come passaggio di un'anima da un corpo
all'altro. Ma, se l'idea di anatta è il motivo centrale dell'originalità buddhista, allora
la nozione di karma va riferita a una situazione in cui il soggetto non è che un
momentaneo incrocio di linee di forza convenzionalmente denominate "cause" ed "
effetti ". Ciò non significa tuttavia che l'idea di karma come rapporto causa-effetto
con al centro il soggetto sia del tutto inconsistente e inutile: essa, però, serve solo
fintantoché si impone la necessità empirica o psicologica di un riferimento al
soggetto. Quando questa necessità è radicalmente dissolta, l'idea di karma cambia
stato e, al limite, si dissolve anch'essa. È allora che si ha il nibbana (nirvana). Ebbene,
il nibbana, l'estinzione della sofferenza e dei suoi motivi, può anche coincidere -
come sostengono molte Scuole mahayaniche - col samsara, cioè con il ciclo delle
esistenze dominate dalla sofferenza, ma è da precisare che questa coincidenza la
sperimenta solo chi è andato al di là del samsara, non chi ne è rimasto prigioniero.
(Pasqualotto)

F
-FAZANG ***
168
Nato nel 643 in Cina scrisse il Trattato sul Leon d'oro dove si celebrano due concetti
fondamentali quali l'interconnessione i tutti gli elementi della realtà e la relazione
fra l'uno e i molti: non c'è mare senza onde e non ci sono onde senza mare!
L'Uno (l'oro) (Li) e i Molti (il leone) (Shih) "sono" nel senso che ciascuno è qualcosa
di definito che non si confonde con l'altro; ma, contemporaneamente, "non sono" nel
senso che ciascuno, per sussistere come qualcosa di definito, ha bisogno dell'altro.
La mente (xin) di Fazang e l'anima (psyché) di Platone funzionano come un "campo"
in cui interagiscono - distinti ma complementari - i due poli opposti denominati Li
(Uno) e Shih (Molti) da Fazang e on (essere) e me on (non essere) da Platone.
-FELICITA'***
Sii felice
Se vuoi dare felicità, sii felice!
Cogli l'Unico che tutto muove 
E rimetti tutto a Lui
Astieniti dal desiderio e dalla paura
Abbandona ogni controllo
E ogni senso di responsabilità

La felicità è come una farfalla


Se la insegui, non la acchiapperai mai
Se ti metti seduto serenamente
Può accadere che lei venga da te …

"Non avere fame, non avere sete, non avere freddo. Chi gode di questo stato può
rivaleggiare in felicità con dio stesso" dice Epicuro. Questo è il piacere catastematico
cioè durevole e tipico di chi si accontenta del poco: non si deve sciupare ciò che si
sta godendo con ciò che ci manca! Non bisognerebbe avere rimpianti. Non
disturbare la perfezione, la divinità dell'attimo presente con la tensione ansiosa
verso il futuro o con il rimpianto malinconico verso il passato.

La felicità è qualcosa di individuale. È una sensazione positiva, piacevole, che


appartiene all'io. La gioia appartiene invece a una condizione che riguarda il
noi: l'io insieme all'altro, la relazione. Si trasmette e la si riceve, ma riguarda
sempre un insieme di relazioni. Apparteniamo a una società troppo complessa perché
non venga considerata la condizione degli altri. Come fa uno a essere felice se ogni
giorno vede persone che soffrono?
Capita, a volte, di essere felici senza sapere il perché... spero che possa capitare a tutti
voi!
169
La felicità è direttamente o inversamente proporzionale alla conoscenza? Insomma è
più felice chi sa o chi ignora..?
La felicità non è qualcosa di già pronto che trovi per caso o che compri o che
qualcuno ti regala. Proviene dalle tue azioni, dalle tue relazioni e dalle tue
sensazioni.
La felicità totale, la beatitudine, risulta del “vivere l’Indicibile”- in realtà non
definibile - di cui parlavano S. Francesco: essere completi in sé stessi, implica non
desiderare più nulla. Il bene ed il male appaiono come ombre indissolubili.
La felicità, la possibilità di vivere una vita felice è strettamente dipendente dalla
nostra natura: saremo felici nella misura in cui sapremo realizzare la nostra natura,
ciò che noi siamo veramente.

La vita perfetta è la vita del pensiero e della verità (questo pensano i filosofi greci).
Noi siamo il nostro intelletto che è parte dell'intelletto divino (dualismo?) infatti una
parte della nostra anima non è mai discesa in terra ma è sempre rimasta
nell'intellegibile, nel mondo delle idee (questo dice Plotino). Platonicamente noi
siamo la nostra anima razionale!

Ogni individuo persegue sempre quello che egli crede essere la sua felicità.
Il principio della massima felicità di Bentham dice: "Coloro che insegnano la
moralità del sacrificio vogliono che gli altri si sacrifichino per loro".
L'uomo è l'essere che necessità di un onorevole futuro per poter vivere nel presente.
Tutti cercano la felicità, ma credono di trovarla per mezzo di oggetti o di
persone esterni. La presenza del vero Sé è la sola, vera felicità.

Dicono esista l'uomo più felice della terra: sarebbe il monaco buddista Ricard .
Perché è felice? L'unica risposta che si dà è "l'altruismo": la sua beatitudine risiede
nella sua capacità di disinteressarsi a se stesso, ai suoi problemi, ai suoi pensieri.
Riesce a non concentrarsi sul suo ego, fonte di infelicità, stress e negatività. "Dire
sempre 'io', 'io', 'io', tutto il giorno è deprimente. Ed è una condizione infelice,
perché riduce tutte le cose belle presenti a semplici strumenti".
-FENOMENOLOGIA***
Quattro parole segnano la fenomenologia: il fenomeno - l'apparire (l'apparenza)
- la coscienza - la relazione (interdipendenza senza alcuna realtà isolata). Cioè, a
dire, il fenomeno è l'apparire alla coscienza di una profonda relazione!

170
“La mia è una fenomenologia relazionistica che vorrebbe tener conto di tutta la storia
del pensiero fenomenologico e superare l’esistenzialismo”. (Paci)
La fenomenologia è la filosofia della coscienza in quanto scienza delle essenze
che trova il suo fondamento nell'originaria e primigenia coscienza.
La filosofia, vista storicamente, è la coscienza che si sviluppa. Dove c'è coscienza, lì
c'è filosofia.
Le cose esterne sono, in ultima analisi, eventi della mia coscienza compresa la
materia.
Se ogni fenomeno è in divenire significa che ogni fenomeno è impermanente, un
processo transitorio. Ma anche ogni attimo è impermanente! Cosa resta? Nulla di
nulla: anche lui impermanente.
La fenomenologia era per Husserl il ritorno alle “cose stesse” – spiega Paci in un
fondamentale articolo di “Aut Aut” del 1957 – ma non è facile comprendere cosa
intendesse Husserl per la “cosa stessa”. La ‘cosa’ non consegue al giudizio: è
anteriore al giudizio sul mondo, alla separazione ‘giudicativa’ tra soggetto e
oggetto.

La fenomenologia di Husserl ci invita a ritornare alle cose stesse superando le


parole che sono solo dei surrogati della realtà. Distinzione fra noesis (l'atto
mentale) e noema (il fenomeno a cui l'atto è diretto). Merlea-Ponty va oltre questa
distinzione. Però non dobbiamo separare le cose da come esse ci appaiono:
l'importanza dell'apparenza!
Il compito della fenomenologia è quello di analizzare ciò che appare alla coscienza
nel suo apparire: il fenomeno. Si deve tener conto della maniera soggettiva
dell'apparire del fenomeno: non abbiamo mai a che fare con le cose senza tener
conto del loro modo di apparire soggettivamente.
Rapporto di correlazione tra il soggetto e le cose. La fenomenologia è indagine di
correlazione. Kant parla del fenomeno e del noumeno. Nietzsche, rifacendosi a Kant,
dice che la cosa in sé non è conoscibile mentre solo il fenomeno appare alla nostra
coscienza.
La coscienza è riferita ad oggetti ed è sempre coscienza di qualche cosa.
Intendere è tendere verso qualche cosa e questo è ciò che fa la coscienza verso le
cose. Husserl usa il termine "evidenza" per dirci della intenzionalità della coscienza:
seguire la tensione verso l'evidenza.
Descrizione, semplice descrizione dell'evidenza senza pregiudizi. Dobbiamo ridurre
l'essere degli oggetti al loro apparire soggettivo e contingente per l'uomo; questa è
171
la riduzione fenomenologica, la riduzione dell'essere degli oggetti al loro
apparire.
Abbiamo poi l'epochè husserliana che è la sospensione del giudizio riguardante
l'essere degli oggetti indipendentemente dalla coscienza.
C'è pure la "fondazione" che insegna che un vissuto B presuppone un precedente
vissuto A come condizione di possibilità per il vissuto B.
La fenomenologia resta un processo di lavori in corso e di costante rinnovamento.
L'essere è l'apparire in senso fenomenologico.
Husserl filosofo trascendentale: Kant scrive: « Chiamo trascendentale ogni
conoscenza che si occupa non di oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli
oggetti, in quanto questa deve essere possibile a priori ».
La fenomenologia è analisi della coscienza intenzionale e non si da alcuna
coscienza intenzionale che sia isolata. Un oggetto qualsiasi non è mai isolato ma è
una potenzialità della mia coscienza. Non è mai isolato in quanto un vaso, ad
esempio, mi rimanda alla terra di cui è fatto, al fuoco che l'ha cotto, all'acqua
che può contenere o all'aria che lo riempie quando e vuoto (buddismo!) …. Un
contesto di continui rimandi husserliani. Gioco di rimandi che formano un orizzonte
per Husserl.
Gli orizzonti, a loro volta, rimandano ad altri orizzonti. E tutti gli orizzonti di
orizzonti formano il mondo in senso fenomenologico.
Non è più il mondo come insieme di cose una accanto all'altra ma irrelate: non è
il grande contenitore con dentro tutte le piccole cose separate l'una dall'altra.
No, l'orizzonte di orizzonti (e quindi di rimandi) è il mondo della vita
(LEBENSWELT).
Anche il mondo che la scienza pretende di indagare in maniera vincolante, questo
grande oggetto contenete tutti gli oggetti, ebbene anche questo presunto mondo
scientifico si riferisce all'apparire.
Ricordiamo ancora che un oggetto qualsiasi non è mai isolato ma è una potenzialità
della nostra coscienza nel suo apparire ad essa.
Nel Buddhismo ogni fenomeno sorge e sparisce in dipendenza di qualche altro
fenomeno. Ovvero: ogni fenomeno è, contemporaneamente, condizionato e
condizionante, per cui deve essere sempre considerato in relazione, e mai come
realtà isolata. Certo, può essere considerato isolatamente se lo si astrae dalla rete
di relazioni in cui è inserito, ma una tale operazione di isolamento risulta legittima
solo se viene effettuata sapendo che essa consiste in una parziale e contingente
"estrazione" di parti da un tutto organico: ogni "estrazione" di una parte è possibile
172
solo a condizione che non si dimentichi mai la sua natura di parte, ossia il fatto che la
sua qualità intrinseca è di essere priva di sostanzialità, di essere senza sé (anatta) e di
essere impermanente (anicca).

La fenomenologia opera una rivoluzione fra apparenza e realtà: è una ontologia del
nuovo, dell'apparire. Alla base della rivoluzione fenomenologica c'è l'idea che i
fenomeni (gli aspetti apparenti ed esperibili delle cose) lungi dall'essere mere
apparenze, portano all'esistenza e alla luce cose nuove rispetto ai costituenti di
base di cui pure ogni cosa è fatta.
Così la melodia è cosa nuova rispetto ai suoni che la costituiscono, una persona è una
cosa nuova rispetto all'organismo che la costituisce, il mondo della vita pullula di
cose nuove rispetto alle basi fisiche.
Kant scrive che i sensi non sbagliano, non ingannano. Con ciò vuol significare non
che giudichino in maniera sempre corretta ma, più semplicemente, che non
giudicano. Su questa posizione fu seguito da Goethe, Mach, Nietzsche e dal
fenomenalismo o fenomenismo: la concezione per cui gli oggetti fisici non esistono
in quanto cose in sé, ma solamente come fenomeni percettivi o stimoli sensoriali;
da non confondere con la fenomenologia che sostiene che le sensazioni (dalle quali
derivano i concetti e dai quali derivano le parole) sono all'origine della conoscenza e
non il meccanicismo newtoniano o la pura logica.
-FIBONACCI***

Leonardo Fibonacci è stato uno dei più grandi matematici di tutti i tempi. Nacque a
Pisa intorno al 1175 e imparò la matematica seguendo il padre che era il
rappresentante dei mercanti pisani nella città portuale di Bejaia, in Cabilia, ora una
regione dell’Algeria. Oggi sembra fantapolitica, ma nei «secoli bui» del medioevo
per un cristiano era normale vivere in un paese musulmano senza timore alcuno che
qualche fanatico potesse tagliargli la gola in quanto infedele.

In Cabilia il giovane Fibonacci venne a contatto con la matematica, la geometria e


l’algebra araba, in parte derivata da indiani e persiani, a quel tempo di gran lunga più
sviluppata e approfondita di quella europea.

Fibonacci, però, non si limitò ad apprendere gli insegnamenti dei grandi matematici
arabi, ma andò oltre sviluppando sue proprie teorie in un libro fondamentale per la
diffusione della matematica nella cultura occidentale: il Liber Abaci, pubblicato nel
1202.

Tra le altre «cosucce» contenute nel Liber Abaci (come l’introduzione del concetto
del numero zero e della numerazione decimale in Europa, il calcolo degli interessi,
173
la conversione di misure diverse), viene per la prima volta riportata una serie di
numeri che sarà chiamata Sequenza di Fibonacci o Numeri di Fibonacci.

Lo zero era sempre stato rifiutato dalla nostra civiltà perché assimilabile al nulla, al
tanto temuto non essere! Lo zero nasce in India sulla base del concetto di vuoto
(sunya) e viene poi diffuso dagli arabi in tutti i loro territori.

Partendo da 0 e da 1, ogni numero successivo è la somma dei due precedenti. Quindi


i primi numeri della sequenza sono 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 243 ecc.

Un semplice giochino matematico? Assolutamente no, perché il rapporto di un


Numero di Fibonacci con quello che lo precede tende rapidamente a 1,61803... (è un
numero irrazionale) che è il rapporto della sezione aurea (che, tra le varie definizioni,
è pari al rapporto tra la diagonale e il lato di un pentagono regolare, come
avevano scoperto già alla Scuola Pitagorica greca oppure è pari al rapporto fra la
diagonale di un mezzo quadrato sommata alla metà del lato del quadrato e il
suo lato intero).

In arte e in architettura la sezione aurea descrive il rapporto più bello ed estetico


che esista: utilizzato già da Fidia per le sue statue armoniose, lo si ritrova anche
nell’Uomo vitruviano di Leonardo. Sembra che sia stato utilizzato sia per costruire le
piramidi che il Partenone. Anche la struttura dell'uovo rispetta questo rapporto.

I Numeri di Fibonacci sono una costante anche in natura. Per esempio le spirali dei
semi di girasole sono disposte secondo i Numeri di Fibonacci, così i petali di alcuni
fiori (rose, gerani) e le scaglie dell’ananas, le spirali delle conchiglie dei Nautilus (e
delle estinte ammoniti) e delle galassie.

Da rimarcare anche che i rettangoli (in base ai quali venne costruito l'ottagonale del
misterioso Castel del Monte da parte di Federico II) hanno come rapporto fra i due
lati il mitico numero aureo della successione di Fibonacci. Puro caso oppure i due
contemporanei si conoscevano?

-FILOSOFIA ***
Il termine filosofia viene creato forse da Pitagora o forse da Eraclito. Pasqualotto
propende per questa seconda ipotesi. Comunque la parola significa ricerca della
saggezza per entrambi (dove l'accento è posto sulla ricerca).
La filosofia è il pensiero in cui si autorivela l'Essere nella sua originaria
indivisione (Brahaman, Apeiron, Dharmakaya, Uno, Tao, Nagual) e nel suo
infinito strutturarsi in forme e figure.
Le mosse del filosofare traggono la loro spinta dal thaumazein, la meraviglia. Così ci
ha insegnato e persuaso il più classico e intimo dei nostri logoi d'occidente. "E'
174
proprio del filosofo questo che tu provi, di essere pieno di meraviglia, né altro
cominciamento ha il filosofare che questo" (Platone, Teeteto 155 d); "Gli uomini sia
ora e sia in principio, cominciarono a filosofare a causa della meraviglia" (Aristotele.
Metafisica I, 2, 982 b). (Magno)
Dunque la filosofia occidentale trae origine dalla meraviglia mentre l'antico pensiero
orientale sembra più incline al concetto di liberazione.
La filosofia è un'euristica della domanda piuttosto che della risposta (e in ciò
differisce dalla scienza).
Forse la filosofia dominante del nostro tempo è il naturalismo: lo si può forse
caratterizzare come l'atteggiamento filosofico di chi ritiene che tutti i fatti che
esistono possano essere indagati dale scienze naturali, e che noi essere umani
siamo parte della natura e non entità distinte e separate da essa. Non è naturalista che
assume realtà trascendenti che possiamo conoscere solo attraverso forme non
indagabili dal pensiero scientifico: ci deve essere qualcosa al di là che si può studiare
scientificamente. (Rovelli)
Una filosofia che prescinda dalla scienza è semplicemente non-filosofia ma
metafisica, presunta oltre-la-fisica, cioè un’attività cogitativa non basata su “fatti”
ma creata da “pensieri”. Anche quando la metafisica si basi sulla logica nulla
cambia, poiché questa è una meccanica del pensiero avulsa dalla realtà ontica. Lo
strumento principe della logica è il sillogismo, per cui da certe premesse se ne
inferisce una risultante, per cui è ovvio che il risultato del meccanismo sillogistico
dipende esclusivamente dalle premesse. Quindi se le premesse sono metafisiche
l’inferenza (il risultato) sarà sempre metafisico e mai filosofico.
Parmenide afferma che solo l'essere è. Gorgia invece dice che solo il non essere è.
I due si contraddicono platealmente. La stessa contrapposizione capita spesso in
filosofia. Per tale motivo un mio carissimo amico si proclama deluso dalla filosofia:
come ci si può interessarsi a una materia ove non c'è una verità certa? In realtà
proprio questo è il bello della filosofia! La filosofia vuole insegnare a pensare in
proprio, a dubitare, per poter concludere che: "è anche così ma non è solo così". La
filosofia è dubbio! Noi uomini invece abbiamo una idiosincrasia per il dubbio:
vogliamo solo certezze. Una cosa, un concetto, o è così o non è così: una donna o è in
cinta o non è in cinta, non può essere leggermente in cinta! Siamo tutti vittime
inconsapevoli del principio eleatico platonico aristotelico del terzo escluso: un
ente non può, nello stesso tempo, essere e non essere, o è oppure non è.
Dimentichiamo però di utilizzare il concetto fondante del prospettivismo molto caro
sia all'antico pensiero orientale che alla meccanica quantistica. Questo principio ci
insegna che la verità è prospettica e probabilistica. Prospettica significa che la
verità su un dato ente si ottiene solo e unicamente sommando gli infiniti diversi
175
punti di vista rispetto a quell'ente. Probabilistica significa che la verità intorno alla
posizione delle particelle subatomiche (quali sono gli elettroni) non è tipo duale
(l'elettrone, in un dato momento, o è qui o non è qui) ma è molteplice
contemporaneamente: l'elettrone può essere nel punto A con la probabilità di x su
mille, può essere nel punto B con la probabilità di Y su mille und so weiter …
DUBITATE GENTE! DUBITATE!
Nonostante l'Occidente abbia prodotto ottimi specialisti in "filosofia indiana" e in
"filosofia cinese", non ha mai ritenuto opportuno inserire questi grandi ambiti di
pensiero in una storia della filosofia.
Bisogna in primo luogo che la filosofia riconosca la finitudine umana e non la
fugga, e fondi il valore della vita umana proprio sulla finitezza propria dell’uomo. È
dovere dell’uomo impegnarsi nella propria vita. La morale è tutta qui: è scelta,
decisione, impegno per il proprio destino. Anzi, in un certo senso l’esistenzialismo
riscopre la morale platonica “fare ciascuno il suo”. Fare ciò che è nostro: essere la
nostra sostanza. Così tutti noi, essendo noi stessi, possiamo autenticamente
coesistere. 

Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma è ciò che siamo. (Pessoa)
La filosofia come scienza rigorosa: il sogno è finito. Questo dice Husserl che poi
aggiunge che bisogna liberarsi da ogni presupposto quali credenze comuni di tipo
scientifico o filosofico sospendendo il giudizio anche rispetto all'esistenza del mondo
e alla dualità fra soggetto e oggetto. Si pone anche la realtà tra parentesi perché
nulla è scontato. Il mondo acquista significato solo attraverso l'io. L'io però
richiede gli altri e il mondo (visto che è relazione).
Con il termine esistenzialismo si intende (solitamente) una esplicita volontà di
rottura con la tradizione dell’intellettualismo della filosofia occidentale (si pensi alla
invettiva anti-socratica di Nietzsche o a quella anti-hegeliana di Kierkegaard).

La filosofia è reimparare a vedere il mondo. (Merleau-Ponty)


La filosofia è piena di ossimori, di aporie, di antinomie ... e questo la rende
interessante.
Nessuno è ancora riuscito a trovare una filosofia che sia al tempo stesso credibile e
coerente!
La filosofia si occupa dell'intero mentre la scienza si occupa della parte. La filosofia è
dunque meta-scientifica.
La filosofia è l'interrogativo sparso nello spettacolo del mondo. (Merleau-Ponty)
176
La filosofia è l'arte di contraddirsi reciprocamente senza annullarsi ma, al
contrario, arricchendosi.
La comparazione filosofica produce un trasformazione sia nei termini comparati sia
nel soggetto che compara.
I problemi fondamentali della filosofia non sono fattuali ma semantici
(significato delle parole). Questa pare essere l'opinione di Wittgenstein.
Filosofare è andare oltre il "senso comune". Anche quando questo sembra credibile.
Filosofare è mettere in discussione tutto ciò che ci è stato insegnato: nulla
escluso.
Filosofare è provare empatia per le persone e per il mondo, nonostante tutto.
Filosofare è giocare il gioco della vita sorridendo anche alla morte.
Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere. (Wittgenstein)
La filosofia è quell'infinita confusione di opinioni che si vede fra gli stessi filosofi e
quella perpetua e universale controversia sulla conoscenza delle cose. (Montaigne)
Non cominciamo a vivere realmente se non una volta giunti in fondo alla filosofia,
sulla sua rovina, quando abbiamo capito sia la sua terribile insignificanza sia
l’inutilità del farvi ricorso, in quanto non è di alcuno aiuto. (Cioran)
La metafisica è del tutto priva di significato. (Wittgenstein)
Quando incontri uno che ascolta e non capisce nulla e uno che parla e non sa cosa sta
dicendo, allora sei nel campo della filosofia. (Voltaire)
La vera filosofia è infischiarsene della filosofia. (Pascal)
La filosofia non serve a nulla, dirai; ma sappi che proprio perché priva del legame di
servitù è il sapere più nobile. (Aristotele)
Nulla si può dire qualcosa di tanto assurdo che non sia stato già detto da qualche
filosofo. (Cicerone)
Il grande broglio metafisico: l'infinita vanità del tutto! Solo l'empatia fra uomini ci
potrà aiutare.
La filosofia (tipica costruzione umana con lo scopo di trasformare l'uomo stesso) non
è possesso essendo APERTA, COMPARATIVA, CRITICA, DIALETTICA,
DUBITATIVA, INTERDIPENDENTE, PROSPETTICA. (Uno - Molteplicità; Essere
- Divenire; Causalità - Casualità; Empirismo - Razionalismo; Realismo - Idealismo;
Dogmatismo - Criticismo; Spiritualismo - Materialismo)
177
Siamo tutti filosofi. Vi è però il buon filosofo che sa di aver una visione approssimata
della realtà mentre il cattivo filosofo non si rende neppure conto di avere un
visione della realtà perché la scambia con realtà stessa.

Filosofia comparata come liberazione dall'allucinazione dei dogmi e totem culturali


in cui si vive; filosofia comparata come temperanza intellettuale; filosofia comparata
come sguardo globale e non settario, fuori da qualsiasi centrismo, provincialismo,
esotismo. Una filosofia comparata più intenta a contemplare la bellezza e la
profondità del mare, che non a misurarne l'altezza delle onde. Pasqualotto però dice
che volendo sostituire la formula «filosofia comparata», pensa che si possa sostituirla
con «filosofia come comparazione».

Le tre questioni indecidibili del Budda: il mondo è finito o infinito? Che cosa succede
all'anima dopo la morte? Esiste o non esiste l'Assoluto? Nessuno può rispondere ne
ora e ne mai.
Kant e le quattro antinomie: il mondo è finito o infinito? La materia è divisibile
all'infinito o esisto parti indivisibili? Esiste la libertà oppure è tutto determinato?
Esiste un essere necessario che è causa del mondo?

Tutto ciò che è relativo è una contraddizione nei termini diceva Russell. Infatti tutto è
un assoluto e un assoluto non può essere relativo. Russell parla sempre da logico.

La filosofia ci aiuta a diventare più consapevoli e critici nei confronti della nostra
esperienza.

Il filosofo è l'uomo che si risveglia e che parla, e l'uomo ha in sé, silenziosamente, i


paradossi della filosofia, perché per essere davvero uomo bisogna essere un po’ più e
un po’ meno che uomo. (Merleau-Ponty)
La filosofia sembra avere il segreto desiderio e scopo di giungere al suo compimento
mediante la dissoluzione di tutte le contraddizioni, per ottenere la completa
trasparenza di sé nell’autocoscienza, per poter un giorno giungere a proclamare il
compimento dei tempi e la fine della storia (Hegel). Questo segreto progetto, forse
addirittura inconscio, sembra riverberarsi dalla filosofia alle altre forme culturali
(scienza, religione, ecc.), le quali si contendono, assieme alla stessa filosofia, lo
scettro di detentrici della conoscenza della vera essenza della realtà.

In ogni esperienza di liberazione vi è una forte componente di violenza. Pensiamo


all'immagine platonica della caverna: il filosofo libera gli schiavi incatenati con
violenza. E LA VIOLENZA E' TIPICA DI OGNI PRESUNTO ASSOLUTO.
178
Il filosofo è mezzo scienziato, mezzo artista e interamente sacerdote. (Emo)
Non possiamo vivere senza essere assoluti, non possiamo vivere senza essere relativi.
(Emo)
In filosofia non ci dovrebbe essere necessità alcuna di una autorità a cui conformarsi.
(Galilei)
La filosofia insegna la relatività di tutti i fondamenti.
La filosofia è un’anticipazione dei pensieri e delle pratiche future. Ha la funzione
d’inventare le condizioni dell’invenzione. (Serres)
Senza la misericordia, gli altri lasciti non valgono niente. Sì, la filosofia ha fatto il
pieno di sophia, scienza e intelletto, ma, strana mezza misura, non ha ancora
cominciato a provare, con amore, philia. Il sapere e la totipotenza (da una singola
cellula a un intero organismo) non possono fare a meno di una infinita pietà.
Altrimenti, divengono mostruosi. Dunque, sarà l’amore ad assicurare la felicità
individuale e la sopravvivenza collettiva anche e ancor di più nell’era
dell’antropocene. (Bellusci)
I sistemi filosofici cambiano come i costumi, le religioni e le disposizioni. Così essi si
mostrano come prodotti storicamente condizionati. (Dilthey)
La filosofia deve cercare la connessione interna delle sue conoscenze non nel mondo
ma nell'uomo. (Dilthey)
I filosofi dellʼavvenire, gli spiriti liberi, non saranno dogmatici e non
avanzeranno pretese di universalità sulle proprie deduzioni, accettando in
questo modo lʼalterità e la contraddittorietà e permettendo alla conoscenza di
mutare senza costrizioni. I filosofi dell'avvenire sono simili allʼartista anche per
lʼatteggiamento leggero e gioioso che seguirà dal loro modo di approcciarsi alla
conoscenza: non essendo filosofi dogmatici non saranno appesantiti da pretese di
universalità e potranno utilizzare gli strumenti della scienza per formare una gaia
scienza. Questo pensa Nietzsche.

Non è qui il caso di indugiare a stabilire se abbia avuto ragione Hegel a considerare il
pensiero orientale una forma di pensiero infantile, non ancora pienamente sviluppato,
o se abbiano avuto ragione molti pensatori cinesi e giapponesi a considerare la
passione per la teoria una malattia infantile che colpisce la vita dello spirito
spesso con esiti anche letali. Di fatto il pensiero orientale, almeno per quanto riguarda
quelle sue espressioni sedimentate nei testi taoisti classici e nei testi prodotti dalla
tradizione del buddhismo chan e zen, mostra una radicata e costante diffidenza nei
confronti delle pretese avanzate dall'impulso a fare teorie, e manifesta invece
un'altrettanto radicata e costante predilezione per tutti quei modi e tutte quelle
circostanze in grado di produrre un rapporto179 diretto con l'esperienza, privo di
mediazioni intellettuali e culturali. Il rapporto con la realtà è quindi preferito al
rapporto con i concetti, o almeno con quei concetti che pretendono di sostituirsi
alla realtà.

Secondo Dilthey, la filosofia della filosofia è la capacità di ripercorrere la storia


filosofica senza cadere nel dogmatismo o nel relativismo e tenendo sempre presente
l'impossibilità di pervenire ad una definizione univoca dell'essenza della
filosofia.

Il positivismo logico è una corrente filosofica nata nella prima metà del 1900 con il
circolo di Vienna e basata sul principio che la filosofia debba aspirare al rigore
metodologico della scienza (rigore che poi, forse, non esiste). Centrale in questa
corrente filosofica è il cosiddetto principio di verificazione secondo il quale un
singolo enunciato o una singola proposizione, se non possono essere verificati, sono
profondamente privi di senso anche se magari non sono falsi.

La filosofia è il costante tentativo di fornire soluzioni sempre mutevoli all'enigma


della vita. La filosofia non è dunque la risoluzione sistematica di un qualche
problema ma piuttosto essa rappresenta l'atteggiamento dell'uomo di fronte
all'enigma della vita. Dobbiamo rendere la filosofia stessa oggetto della filosofia.
(pensiero di Dilthey)

Per Severino tutto è eterno. Non basta: solo in superficie si crede che le cose
vengano dal nulla e che nel nulla alla fine precipitino, perché nel profondo siamo
convinti che quel breve segmento di luce che è la vita è esso stesso nulla. È il
nichilismo. È l'omicidio primario, l'uccisione dell'essere. Ma è una contraddizione:
ciò che è non può non essere, né può essere stato o potrà mai essere nulla. Una
contraddizione che è la follia dell'Occidente, e ormai di tutta la terra. Una ferita che
necessita di numerosi conforti, dalla religione all'arte, tutti affreschi sul buio, tentativi
di nascondere, medicare il nulla che ci fa orrore. Per fortuna ci attende la Non
Follia, l'apparire dell'eternità di tutte le cose. Noi siamo eterni e mortali perché
l'eterno entra ed esce dall'apparire. La morte è l'assentarsi dell'eterno. Abbiamo
tutti nel sangue il nichilismo. (...) Tutto è eterno significa che ogni momento della
realtà è, ossia non esce e non ritorna nel nulla, significa che anche alle cose e alle
vicende più umili e impalpabili compete il trionfo che si è soliti riservare a Dio.
La filosofia (la civetta di Atena) è lo Spirito Assoluto che pensa a se stesso
tramite l'autocoscienza umana. (Hegel)
Tra le cause che alimentano continuamente lo scetticismo, una delle più importanti è
l'anarchia dei sistemi filosofici. Tra la coscienza storica della loro illimitata
180
molteplicità e la pretesa, di ciascuno di essi, di possedere una validità universale
sussiste una evidente contraddizione che rinvigorisce gli scettici.
Sconfinata, caotica, la molteplicità dei sistemi filosofici sta dentro e fuori di noi. In
ogni epoca, da quando esistono, essi si sono combattuti ed esclusi reciprocamente
come fossero dei bambini litigiosi. E, probabilmente, così sarà per molto tempo
ancora.
Con ogni verosimiglianza né Parmenide né Zenone o Melisso ebbero la più vaga idea
di ciò che in epoche successive cominciò ad essere chiamato ‘filosofia’, e perciò non
ebbero nemmeno la possibilità di delineare una loro filosofia. Così essi possono
essere stati, al massimo, dei filosofi inconsapevoli e involontari, dunque meramente
virtuali dunque Filosofia Virtuale. L’epiteto ‘virtuale’ serve dunque, anzitutto, a
ricordare a noi stessi che tanto Parmenide quanto Socrate e molti altri presocratici
furono filosofi in maniera del tutto inconsapevole e involontaria per la semplice
ragione che non seppero – anzi, non poterono nemmeno desiderare – di essere
filosofi.

I contrasti che si instaurano tra i diversi sistemi metafisici non sono da attribuire ad
una presunta incapacità dell'uomo e della sua ragione quanto, piuttosto, al fatto che
ognuno di tali sistemi è fondato sulla multiformità della vita e, poiché la vita non
può mai essere colta nella sua interezza, ogni sistema riesce a rendere ragione solo
per alcuni parziali aspetti sempre in riferimento al contesto storico e sociale.
I filosofi sono persone strane che creano i problemi dal nulla e che, poi, non sono
capaci di risolvere.
La metafisica è un'illusione, una malattia infantile e infettiva del pensiero e del
linguaggio. (Odifreddi)
"Filosofia è l'amore per ciò che sta in luce penetrando l'oscurità delle cose" dice
Severino.
Il mito guarda la parte mentre la filosofia guarda il tutto: "principio di tutte le
cose è l'acqua" dice, ad esempio, Talete. C'è qualcosa di identico nella diversità delle
cose: l'archè.
La filosofia nasce come cosmologia: si interroga su quale è l'ordine del mondo e
quale è il ruolo dell'essere umano in questo mondo. Dunque dualismo fra uomo e
cosmo.
Sostanza, essenza, causa ed io. Su questi quattro concetti si basa la filosofia. Peccato
però che si tratti di quattro aporie!
La cosa più feconda che può capitare a un filosofo è di sbagliare.
181
Le filosofie sono opere d'arte che regalano immagini del mondo: di quel qualche cosa
che percepiamo ma che non conosciamo.
Il valore della filosofia è pensare l'impensato.
Il legame tra l'uno e il molteplice, tra il fisico e il metafisico, tra apparenza e realtà.
Questa è la sfida e il dramma perenne dell'essere umano sia come persona singola che
come collettività.
Ogni uomo ha un suo sogno: questo sogno è la sua filosofia. (Martinetti)
L'uomo che ha gustato una volta i frutti della filosofia, che ha imparato a
conoscere i suoi sistemi, e che allora, immancabilmente, li ha ammirati come i
beni più alti della cultura, non può più rinunciare alla filosofia e al filosofare.
(Husserl)
La pretesa della metafisica di offrire una spiegazione assoluta e globale della realtà è
illegittima essendo essa stessa un prodotto storico. Non vi sono filosofie che valgono
sub specie aeternitatis.
Sofismo e Illuminismo: saper mettere in dubbio le proprie convinzioni basate
sulla tradizione e sull'autorità. I sofisti però sembrano mettere in campo una specie
di prostituzione della cultura facendosi pagare (prima la filosofia era stata solo
aristocratica).
Tommaso Campanella (1568) dice che il sentire è farsi oggetto. Le cose
comunicano fra di loro con immediatezza e tutto è in tutto.
L'interpretazione realista del platonismo afferma che il nome rappresenta la natura
stessa della cosa designata: stretta corrispondenza fra pensiero e realtà. In
conclusione che rapporto c'è fra voces e res, fra le parole e le cose, fra linguaggio e
realtà, fra pensiero e essere.
Gli universali sono ante rem come le idee platoniche (realismo di Guglielmo di
Champeaux e di Duns Scoto)? Sono nelle cose (come dice Aristotele) e la nostre
mente da qui li estrae e li generalizza (in re - realismo moderato di Abelardo e di
Tommaso)? O infine questi universali sono solo nella mente di chi li pensa (post rem
- nominalismo di Roscellino e di Guglielmo di Ockham che esalta l'individuale a
detrimento dell'universale e quindi vi sarebbero tre dii )?
Il pensiero di Tommaso si riassume dicendo che non tutto ciò che è oggetto del
pensiero esiste così come è pensato. Non bisogna ipostatizzare i concetti e credere
che ognuno di essi abbia una corrispondenza nella realtà: insomma la prova
ontologica di Anselmo dell'esistenza di Dio non è una vera prova.

182
Schopenhauer dice: la mia volontà va identificata con la volontà dell'intero
universo visto che la mia singolarità è un'illusione causata dal mio apparato
soggettivo di percezione spazio temporale. Ciò che è reale è una immensa
volontà: ma attenzione, la volontà cosmica è perversa! Il suo pessimismo lo porta a
vedere la volontà perversa come origine di tutte le nostre sofferenze. La causa
della sofferenza è l'intensità della volontà: meno esercitiamo la volontà e meno
soffriamo. Non c'è però da raggiungere alcuna unione con Dio (anche se dice che lo
Spirito Santo gli ha dettato alcune parti del suo libro Il mondo come volontà e
rappresentazione). Si raggiunge il nulla e basta: ci si rifugia nella non esistenza!
Nulla di positivo. Nella sua vita fu un enorme egoista. La volontà per lui era
superiore alla conoscenza (come in Nietzsche e Bergson).
Certamente la fuoriuscita dalla metafisica verso una filosofia dell'avvenire ha in
Heidegger, come in Nietzsche, i caratteri di un esperimento affrontato non nello
spirito della redenzione, ma in quello del gioco: la forza che spinge a sondare
terreni inesplorati non sembra affatto essere una volontà eticamente fondata, ma
un'opzione esteticamente goduta. La logica e la terminologia della metafisica nelle
sue varie e lunghe ramificazioni sembra non vengano attaccate e demolite solo perché
hanno indotto disastri umani che vanno dallo sfascio della psiche alle aberrazioni
totalitarie, ma soprattutto perché provocano disgusto: perché sono orride a vedersi
tutte le loro forzate volute con cui hanno cercato di conciliare soggetto e oggetto, di
dedurre prassi giuste da teorie vere, di escogitare sintesi tra forme e vita perché
nauseante è l'odore di marcio che emana dalle celle dei loro concetti, delle loro
categorie e dei loro schematismi, dove hanno costretto a languire il mondo e l'anima;
perché ributtante è il sapore pesante che le loro parole disseccate gettano.
(Pasqualotto)
La filosofia non è possesso intellettuale ma è spossessamento: essa non è al di sopra
della vita ma è al di sotto. (Merleau-Ponty)
Filosofia soggettivista: Agostino, Cartesio, Leibnitz (quest'ultimo riteneva le sue
esperienze sarebbero rimaste immutate anche se il resto del mondo fosse stato
annullato!), Kant, Fichte, Schelling.
La necessità è qualcosa che esiste nel pensiero e non nelle cose.
La filosofia è la mutua riconversione del silenzio e della parola.
E' difficile capire che cosa è un filosofo, lo si deve sapere per esperienza. Comunque
il filosofo non deve trascurare ciò che è piccolo, difettoso, illogico, debole, umano
abbandonando ogni superbia.

183
Talete dice che l'anima è principio di movimento. Ora sappiamo che l'atomo e, al
suo interno, sia l'elettrone che il nucleo si muovono. Anche loro hanno forse
un'anima?
La Philosopihia perennis afferma che esiste da sempre e per sempre un'unica
verità che si esplica e determina in molti e diversi modi in tempi e luoghi tra loro
lontani e, a volte, lontanissimi. Forse però la filosofia muta con il mutare delle
conoscenze e delle convinzioni umane. Filosofia interculturale. Filosofia prospettica.
Filosofia comparata. Demolire ogni presunzione di verità e di identità
ASSOLUTE. Filosofia interculturale fondata sulla comparazione. Soggetto (?)
che compara pensieri diversi. Tra variabili interconnesse che si condizionano a
vicenda. La comparazione produce trasformazione sia del soggetto che compara
e sia nei termini comparati. Non vi può però essere né una prospettiva privilegiata e
neppure una sintesi delle molteplici prospettive. Vi è invece un orizzonte sempre
aperto che consente il prodursi di una serie illimitata di confronti trasformativi.

La comparazione, dice Pasqualotto, è la modalità fondamentale del confronto senza


sintesi forzate, del dialogo tra realmente differenti. Il pensiero in qualche modo
deve condursi fino al limite in cui rimettere in discussione i propri stessi presupposti,
fino al punto da esporre al rischio essenziale le proprie radici: pensare l’altrove
significa anche ripensare se stessi.

Non filosofia comparata ma filosofia come comparazione.

Fra la Religione/Teologia e la Scienza esiste quella terra di nessuno chiamata


Filosofia. Comunque, dice Panikkar, la nozione stessa di filosofia è già un problema
filosofico.
Pensiero orientale orientato verso il pratico mentre la filosofia occidentale è più
teoretica in cerca di verità eterne. La filosofia orientale è interessata molto anche al
corpo (joga)!!! La filosofia occidentale non si occupa quasi mai del corpo e, se lo fa,
spesso è solo per denigrarlo.
La filosofia è dunque il pensiero in cui l'Essere viene percepito nella sua originale
indivisione e nella sua reversibilità. Intreccio fra gli opposti complementari: concavo
e convesso, identità e differenza, unità e molteplicità. Questa è la nuova filosofia
secondo Merleau-Ponty.
Forse è opportuno rinunciare alla presunzione di una conoscenza metafisica che
pretenda di dare risposte definitive ai quesiti ultimi.
Dobbiamo non solo praticare la filosofia ma anche renderci conto della
trasformazione che essa reca con sé nello spettacolo del mondo e nella nostra
esistenza.
184
Sogno una visione filosofica colma di leggerezza che si gode lo spettacolo del
mondo sempre nuovo, mai oggettivo e che esprime prospettive senza bisogno di
certezze.
L'ermeneutica resta - scrive Ferraris - un canone cognitivo essenziale anche se gli
preferisce l'epistemologia. Ma, aggiungono i realisti, la diversità delle interpretazioni
si articola comunque sull'asse della ricerca della verità e questo è il canone al quale
l'ermeneutica non può comunque sottrarsi e che tutti i pensatori hanno accettato, da
Platone fino a Heidegger. È un'opinione. Pienamente legittima e pienamente
contestabile, che deve però superare un ostacolo non da poco: quello che Immanuel
Kant chiamò il "noumeno", la cosa in sé e la sua incomunicabilità. Con il noumeno
non si comunica dall'esterno ma neppure dall'interno; il noumeno cioè non è
conoscibile neppure da se stesso. Leibniz l'aveva chiamato "monade"; poteva
comunicare soltanto col Creatore. Ma il Creatore altro non è che un'invenzione degli
uomini per dare un senso al loro transito terrestre. (Scalfari)
L'idealismo della libertà e della personalità, secondo Dilthey, annovera tra i suoi
estimatori il trio delle meraviglie Socrate, Platone e Aristotele (nonché Alessandro
Magno). Ebbe anche dalla sua la più antica filosofia cristiana con Paolo di Tarso
nonché il grande Kant (devi quindi puoi!). Questa concezione filosofica è contraria
sia al panteismo che al naturalismo (l'uomo è determinato dalla natura essendone
parte) che ebbe invece grande successo presso Democrito, Protagora, Epicuro,
Lucrezio, Carneade, Hobbes, Hume, Comte e Rovelli. Ma il pensiero cristiano fu
anche contro l'idealismo oggettivo (Uno - tutto deterministico in quanto il singolo
è determinato dalla totalità) di Averroè, Cusano, Giordano Bruno e Spinoza.
Anche Eraclito, Parmenide e gli stoici seguirono l'idealismo oggettivo insieme con
Leibniz, Schelling e Hegel. L'antico pensiero orientale potrebbe, forse, essere
considerato come naturalismo - idealismo oggettivo

Con la chiusura dell'Accademia platonica di Atene nel 529 per imposizione militare
di Giustiniano i filosofi greci fuggono in Persia e la filosofia passa nei monasteri e
diventa teologia con una morale tipicamente cristiana.
-FILONE D'ALESSANDRIA **
Nasce fra il 15 e 10 avanti Cristo da ricca e influente famiglia ebraica. Al nonno era
stata concessa la cittadinanza romana da Cesare. Ebbe la miglior istruzione possibile:
conosceva la grecità e l'ebraismo. Fu a Roma regnante Caligola nel 40 dopo Cristo a
capo di una ambasciata per protestare contro le persecuzioni verso gli ebrei. Scrisse
numerose opere quasi tutte pervenuteci: soprattutto un grande commentario alla
Genesi. Influenzò Plotino e anche la patristica. Fu contro il materialismo: fu
trascendentalista contro l'immanentismo. Fu di forte religiosità e di intenso
misticismo. Era convinto dell'ispirazione185
divina della Bibbia. Mosè e Platone le sue
guide (con l'invenzione della filosofia ancella della teologia). Ma non parla mai di
Gesù pur essendo suo contemporaneo. Per lui Dio è uno e non mai trinitario. Dio è
ineffabile e il linguaggio non è uno strumento sufficiente per esprimerne
l'essenza. Noi siamo una nullità di fronte a Dio. Itinerario a Dio. Muore nel 45 o 50
dopo Cristo senza aver mai scritto alcunché su Gesù (lui pure ebreo) pur essendo
stato anche un valente storico. Nel suo trattato "De Providentia" (II 107), Filone
riferisce che si recava frequentemente in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme
per offrire sacrifici a Dio, da cui si può dedurre che ciò avveniva nel periodo della
predicazione di Gesù, senza farne menzione in nessuna delle sue opere.

Il Giudaismo alessandrino, con Filone Alessandrino come esponente, riprende il


logos della tradizione stoica incorporandolo nella sua teologia e connettendolo al
tema biblico della "parola di Dio", acquisendo la fisionomia di un agente quasi
personale, cosciente, della volontà creatrice e provvidente di Dio; la Parola a cui si
unisce o sostituisce, con valore di sinonimo, la Sapienza. Per Filone, che si rifà anche
al Timeo di Platone, Dio è trascendente rispetto al mondo, e a far da mediatore
tra il primo e il secondo è proprio il Logos, fonte degli archetipi sulla cui base il
mondo viene modellato, costituendo da cornice e, in un certo senso, da sintesi a tutte
le realtà intermedie: le Idee, la Sapienza, gli angeli, lo Spirito e le potenze; il Logos,
infatti è lo strumento con il quale Dio ha fatto tutte le cose ed è la Luce divina offerta
agli uomini. Nella dottrina di Filone si riconoscono temi e concetti che poi torneranno
nel Cristianesimo.

Ad indicare le azioni terapeutiche in greco ci sono due termini: therapeia e iatrike. Il


primo indica un’azione di cura che tiene in conto la persona nella sua complessità e
si occupa anche delle dimensioni spirituali dell’esperienza, mentre il secondo termine
riguarda specificatamente l’attività esercitata dai medici per curare le affezioni del
corpo. Si può dire che a questa distinzione corrisponde nella lingua inglese quella fra
care e cure. Filone di Alessandria definiva se stesso terapeuta e spiegava questa
qualifica dicendo che egli trattava l’anima come i medici trattano il corpo

-FISICA ***
A partire dal Seicento, quella grande avventura del pensiero che porta i nomi di
Galileo, Newton, Cartesio ci ha abituati a ragionare in termini di realtà oggettiva
esterna, di sostanza materiale, di rapporti di causa effetto che regolano i vari
meccanismi concepiti appunto come macchine. La mente, il pensiero, osserva un
mondo materiale, oggettivo, esterno fatto di entità separate e si sforza di
comprenderlo scendendo nelle loro parti più piccole. Eppure proprio questa
ricerca nell’infinitamente piccolo ha condotto la scienza per eccellenza – la fisica - a
contraddire molti concetti a cui eravamo abituati e con cui ancora ragioniamo. La
186
fisica dei quanti, la teoria della relatività, la teoria dei bootstrap, negano che si
possa parlare di “materia” come qualcosa di separato, fuori dall’io che l’osserva.
Per la fisica quantistica il mondo non è fatto di oggetti, ma è una totalità in cui
tutto è intercorrelato e interconnesso. Non c’è una materia esterna da studiare, non
ci sono mattoni fondamentali, i concetti di causa ed effetto perdono senso come pure
quelli di spazio e di tempo lineare. Come sostiene Fritjof Capra, siamo agli albori di
una rivoluzione culturale che ci porterà a pensare in maniera radicalmente diversa da
come abbiamo fatto negli ultimi trecento anni.

L'attuale fisica descrive solo il 4% dell'universo visto che il restante 96% resta a
noi sconosciuto in quanto è dato dalla materia oscura e dall'energia oscura.
Siamo avvolti dal mistero anche in questo campo!

Il principio d’indeterminazione, la nascita delle geometrie non euclidee, la meccanica


quantistica, il XX° secolo scientifico ci ricordano di accantonare la nostra voglia di
certezza.
Del resto antimateria, materia oscura, energia oscura, buchi neri, positroni e altri
termini del gergo della fisica nucleare sono i nomi con cui la scienza moderna
nasconde, mediante una patina tranquillizzante e scientificamente corretta, una
nozione, quella del nulla, tanto terribile quanto remota e sfuggente, che appartiene
alle origini stesse della nostra e di molte altre culture. Infatti, c’è una concezione
prefilosofica del nulla che ritroviamo in numerosi miti, saghe e leggende e che
l’umanità primitiva associa alla scena primordiale della creazione del mondo o a
quella finale della sua distruzione.

L'unica scienza fisica che potrebbe spiegare l'universo sarebbe la gravità


quantistica (fusione fra la forza di gravità e il campo quantistico) dalla quale
siamo però ancora molto lontani.

Nel mondo dei quanti prima e dopo non esistono mentre una stessa particella
può trovarsi in due luoghi diversi e causa ed effetto possono scambiarsi i ruoli.

L’invenzione che realizza il trucco è un espediente matematico chiamato “funzione


d’onda”, il cuore concettuale della fisica atomica e della chimica. La funzione d’onda
[…] non è reale. È associata a una particella allo stesso modo in cui il vostro codice
fiscale è associato a voi. Aiuta a tenere registrate le cose, ma non ha una realtà fisica
indipendente come la vostra mano, o il vostro portafoglio. (von Baeyer)
La natura prevede che un qualsiasi oggetto che si trovi a una temperatura appena
superiore allo zero assoluto (pari a -273,13 C°) emetta un campo elettromagnetico. La
luce, ad esempio, è un campo elettromagnetico.

187
Per Nietzsche la fisica è soltanto una delle interpretazioni del mondo e, quasi, un
ordine imposto ad esso e non già una spiegazione del mondo.

John S. Bell è lo scienziato che si chiedeva se gli oggetti del mondo reale, incluse le
particelle elementari, avessero proprietà intrinseche che esistono indipendentemente
dal fatto che si misurino. Per le teorie quantistiche, non ne hanno: misurare le
proprietà di particelle non rivela un valore preesistente, piuttosto ne "crea" uno.

Einstein diceva che, anche se nessuno guarda la luna, la luna esiste ugualmente. Con
ciò voleva significare che lo stesso discorso vale anche per gli atomi e le sue
componenti. Ma qui sbagliava! Un atomo non osservato è un fantasma che prende
corpo solo di fronte a un sistema di interazione.

La fisica consiste nel fuggire dalla prigione dei pensieri ereditati e cercare modi
diversi di concepire il mondo, nello sbarazzarsi del nebuloso lago dei nostri sogni
vani, che riflettono la realtà proprio come le montagne si riflettono in un lago.
(Rovelli) Sembra di sentire il filosofo Merleau-Ponty quando dice che la vera
filosofia consiste nel reimparare a vedere il mondo.

Ricordiamo sempre che i cosi detti concetti scientifici quali energia e atomo non
sono certo oggetti reali dotati di una esistenza effettiva nello spazio e nel tempo
ma sono solo strumenti pratici, concetti approntati dalla mente per cercare di
capire il misterioso mondo che ci circonda.

Le teorie scientifiche non vanno considerate come rappresentazioni della realtà


esterna ma solo come strumenti per cercare di gestire questa strana realtà.

Vi sono molte analogie tra i principi alla base della meccanica quantistica e la
filosofia buddista (e induista), uno di questi afferma che non si può studiare un
sistema prescindendo dall’osservatore. L’oggetto non può essere isolato dal resto
del mondo e la sua osservazione modifica l’oggetto stesso. Non possiamo
affermare che un sistema esista fino a che non l’osserviamo, questo processo fa
collassare la funzione d’onda nello stato in cui noi lo vediamo. In parole povere è
l’osservatore che crea la realtà che osserva e questa dipende dal modo in cui egli
sceglie di osservare. Nell'Induismo vi è il concetto di Maya, tutto è illusorio e la
realtà ultima la si può percepire ponendosi in uno stato di profonda meditazione.
Dobbiamo abbandonare il buon senso per comprendere quello che succede a livello
atomico. (Feynman)

La fisica è il marchingegno dietro l'illusione che ci sia il mondo. (Gefter)


In natura esistono tre costanti fondamentali: la forza di gravita, la velocità della
luce e la costante di Plank. Le prime due sono presenti nella Relatività Generale
188
mentre le ultime due sono presenti nella meccanica quantistica. Le due teorie però
configgono fra di loro. Bisognerebbe trovare una nuova teoria che le contenga
tutte e tre. Si spera che essa possa essere la GRAVITA' QUANTISTICA.
L'assoluta necessità della contingenza di ogni cosa.
"Per noi umani si tratta di concetti completamente contro intuitivi" dice il fisico
Carleo parlando della meccanica quantistica che si basa solo sulla probabilità.
In un certo istante … nulla si muove! Nell'istante seguente arriva un nuovo
mondo, una nuova realtà! Domanda: cosa significano istante, nulla, mondo, realtà?
Alla velocità della luce (che è una forma di energia) il tempo e lo spazio si annullano
mentre la massa (che è anch'essa una forma di energia) diventa infinita. Chiunque
voglia ragionare su Dio (se Dio esiste e se si può ragionare su di lui), dovrebbe tenere
conto di questo enunciato.
Un corpo che ruota deforma la trama dello spazio-tempo torcendola nella direzione
del suo movimento (così suggeriscono le teorie di Einstein). Ma si tratta di influenze
minime, che però alterano anche la velocità di rotazione della terra (il cui valore
all'equatore raggiunge i 1.600 chilometri all'ora) per meno di un miliardesimo di
grado ogni secondo.
Le tre caratteristiche della meccanica quantistica sono: l'indeterminismo
probabilistico (il caso), la granularità corpuscolare (quanti e fotoni) e
l'interconnessione relazionale (ogni cosa esiste solo in rapporto ad ogni altra cosa).

La fisica quantistica sta dimostrando che quel mondo naturale che si credeva
così materialmente reale sta svanendo nella “irrealtà” della sua consistenza
fisica.

Democrito bandiva le qualità degli oggetti come frutto dell'abitudine e della


convenzione. "Non conosciamo nulla di reale: infatti la verità sta nel profondo".

Einstein non se la sentì di seguire Dio che giocava a dadi: non poteva esserci
potenzialità nell'oggetto della conoscenza scientifica! (Heisenberg)
La materia è solo una nostra sensazione. (Nietzsche e Mach)
La teoria quantistica (probabilità di posizione e probabilità di energia) dice di sé di
essere soggettiva in quanto l’osservazione modifica l’osservato.
Secondo l'interpretazione della scuola di Copenaghen della teoria quantistica è
impossibile una netta separazione fra l'Io e il Mondo.

189
Nella fisica quantistica succede che, a volte, i fenomeni precedano l'energia
necessaria per costituirli. I fenomeni, per esserci, dunque prendono a prestito
energia dal futuro che poi restituiscono.
La nuova fisica:
Non si sa da che cosa sia costituito il 90% dell'universo!
Non si sa cos'è l'energia (cioè la materia)!
Guardando le particelle le modifichiamo!
Le particelle esistono solo se da noi osservate!

Mater è la radice di materia che, non scordiamoci, è anche energia! Dunque


l'energia come madre di tutto e di tutti.
"Ogni percezione deriva da un mutamento (uno scambio energetico)" dice la fisica
moderna confermando l'intuizione dell'antichissimo Libro dei Mutamenti.
Proviamo ad immaginare due punti situati nello spazio-tempo ad una distanza di un
milione di anni luce, l'idea classica che ne abbiamo è l'immensità oceanica che li
separa, ma proviamo ad applicare la teoria della relatività, immaginiamo di poter
distorcere lo spazio- tempo, di curvarlo, di contrarlo, potremmo ridurre quell'infinita
distanza a poche decine di millimetri, ed anche molto meno, sino a cancellarla.
Sembra inverosimile, eppure è fisicamente possibile anche se non dagli esseri umani
ma da entità fisiche. La prospettiva classica dello spazio ne viene sconvolta.
Gli eventi appartenenti al passato nello spazio tempo non sono un panorama
rigido, fissato una volta per tutte, bensì dinamicamente ancora in evoluzione
interattiva.
Ogni cosa sarebbe fatta da atomi.
Ogni atomo sarebbe fatto fa elettroni, protoni e neutroni.
Ogni protone o neutrone sarebbe fatto da quark.
Ogni quark sarebbe fatto da stringhe.
Le stringhe sarebbero elastici piccolissimi che vibrano.
Ogni cosa sarebbe quindi una oscillazione di stringhe impercettibili.
Pura energia che danza da sola... questo sarebbe il Tutto!

190
Quando non stai guardando ci sono onde di probabilità.
Quando stai guardando ci sono particelle di esperienza.
Strisce potenziali di realtà fino a quando noi non scegliamo.
Il mondo confuso, nebuloso degli atomi può concretizzarsi materialmente solo se c’è
osservazione. In assenza di un’osservazione, l’atomo è un fantasma! (Bohr).
Niente nasce e niente muore: tutto si trasforma e dove c'è trasformazione c'è Ki, c'è
energia.
Una ricerca che sta scuotendo il mondo della fisica ha dimostrato che la funzione
d’onda è qualcosa di reale e tangibile: l’elettrone esiste davvero in un’infinita di punti
lungo la sua orbita, come tante infinite realtà diverse, che vengono ridotte a un’unica
realtà solo quando l’osservatore porta l’elettrone a collassare in quel punto esatto.
Non a caso, uno dei padri della fisica quantistica, Werner Heisenberg, aveva definito
“principio di indeterminazione” uno degli assunti di base di questa teoria. Nella sua
versione stringente, tale principio sostiene che non è possibile determinare con
esattezza il moto e insieme la posizione di una particella. Ciò in quanto il semplice
atto di osservare una particella quantistica la modifica e ne cambia le proprietà.
Se il mondo sub-atomico vive in una realtà indeterminata finché non c’è un
osservatore esterno che la fa collassare in uno stato determinato, allora – volando (ma
nemmeno tanto) con la fantasia – potremmo sostenere che l’intero universo
vivrebbe in uno stato di indeterminazione quantistica se non ci fossero
osservatori intelligenti che lo osservano. Il che, detto in maniera più rude, vuol dire
che, se non ci fossimo, l’universo non sarebbe quello che è. I filosofi si divertono
molto con queste domande che imbarazzano tremendamente i fisici, e rappresentano
questi paradossi con un esempio: “Che rumore fa un albero che cade nella foresta, se
non c’è nessuno in ascolto?”.
Tra 100 miliardi di anni i buchi neri divoreranno tutta la materia (energia)
dell'universo... per poi evaporare, senza lasciare traccia.....E il gioco della creazione
ripartirà, forse, dall'altra parte dei buchi neri...uguale e diverso.....
Tutti i componenti della materia sarebbero inanimati senza una massa: è il bosone di
Higgs che li costringe a interagire tra loro e ad aggregarsi (RELAZIONE!). Per
questo in una delle descrizioni più celebri paragona il bosone di Higgs ad un
personaggio famoso che entra in una sala piena di persone, attirando intorno a sé gran
parte dei presenti. Mentre il personaggio si muove, attrae le persone a lui più vicine
mentre quelle che lascia alle sue spalle tornano nella loro posizione originale e questo
affollamento aumenta la resistenza al movimento. Vale a dire che il personaggio
acquisisce massa, proprio come fanno le particella che attraversano il campo di
191
Higgs: le particelle interagiscono fra loro, vengono rallentate dall'attrito, non
viaggiano più alla velocità della luce e acquisiscono una massa.
-FORMA (gestalt) ***
La forma è vuoto e il vuoto è forma (non sono identici ma sono in relazione
perché senza l'una non esiste l'altro). Ciò significa che ciò che appare come
forma è in realtà vuoto di auto consistenza mentre il vuoto è condizione di
possibilità di ogni forma.

La forma è l'ombra del senza forma: il vero nulla riflette le ombre di se stesso
come uno specchio autoriflettente.

Affascinato dai nomi e dalle forme (NAMA e RUPA), che sono per natura
diversi e molteplici, tu distingui e separi ciò che è uno.

I nomi sono utili per comunicare ma irreali in sostanza.

Se ci si aggrappa ai nomi, si verrà da essi ridotti in schiavitù. E' indipendente chi non
è attaccato a nulla.
Lo sfondo (dal quale emerge la forma) è più confuso, più indefinito del fondamento,
è un qualcosa con cui le nostre azioni e le nostre parole un po' si mischiano e insieme
un qualcosa contro cui esse si stagliano. Nondimeno, è una realtà oltre la quale non si
può andare. Il fondamento sembra sempre richiedere un ulteriore terreno; se parliamo
di sfondo, siamo meno tentati di cercare fondazioni ulteriori. E' naturale che dietro lo
sfondo non ci sia nulla, è una specie di limite allo sguardo; allo stesso tempo però
rimane irraggiungibile, non lo possiamo toccare, è sempre oltre, sfuma come sfumano
i limiti dello spazio visivo.

Come i fiumi che scorrono spariscono nel mare, perdendo nome e forma, egualmente
colui il quale conosce, liberatosi da nome e forma “ dall’individuazione”, penetra
nel Purusa divino (Spirito Universale) che è più in alto di ciò che è in alto. (Mundaka
Upanishad)
Noi siamo schiavi di nomi, forme, concetti, parole: getta via tutto ciò che ha forma e
nome e salta … nel vuoto così pieno!
Ciò che ha un inizio e un termine, non ha spazio in mezzo. È vuoto. Ha il nome e
la forma che la mente gli dà, ma è privo di sostanza e di essenza.

Non attaccarti ai nomi e alle forme, ignorali. Il tuo attaccamento è la tua schiavitù.
Continua a camminare.

192
La creatura umana è un nome, una forma. Anche il fiore lo è. Lasciar andare la presa
del nome e della forma significa lasciar andare il corpo e la mente.
La stabilità esiste solo nel senza forma. Cioè nel vuoto - nulla!
Sin dalla nascita sei ammaestrato come un burattino a credere al tuo nome e alla
tua forma.
Nome e forma, coscienza e incoscienza sono categorie al di fuori di me. Io sono ciò
che sono.

Viviamo di convenzioni. Il pieno e il vuoto sono solo costruzioni mentali, concetti:


non esistono separatamente. Forme e colori sono solo stati neuronali: vediamo ciò
che accade all'interno della nostra testa e non la fuori. La coscienza è interazione
di campi d'energia all'interno del cervello.
La pareidolia è l'illusione subcosciente che tende a ricondurre a forme note
oggetti o profili (naturali o artificiali) dalla forma casuale. Vediamo ciò che
vogliamo vedere?

In quanto nasce senza forma e col compito di darsi una forma, proprio per questo
l’essere umano è chiamato ad aver cura di sé. Ma è proprio necessario darsi una
forma?

-FREUD ***

L'io non è mai padrone in casa sua!

In sintesi, per Freud, noi siamo composti da tre parti: un inconscio pulsionale (ES
o cavallo nero platonico detto anche anima concupiscibile) dove ci sono le
esigenze della specie (sessualità e aggressività); un inconscio sociale (SUPER
EGO o cavallo bianco platonico detto anche anima irascibile) dove ci sono le
esigenze della società e un IO (auriga platonico detto anche anima razionale) che
deve tenere a bada queste due istanze contraddittorie. Una persona è equilibrata
193
quando l'io riesce a tenere in equilibrio questi due inconsci contraddittori: pulsioni
naturali e divieti sociali (istinto e morale non vanno d'accordo). L'io, di
conseguenza, è sempre nevrotico perché mediatore del conflitto fra pulsioni e
divieti. Quando invece l'io viene sopraffatto, soppresso dai due mondi avversi si
parla di psicosi ovvero di follia. Freud si occupa solo di nevrosi.

Freud, seguendo Platone, divide la persona o, per meglio dire, la sua mente -
anima in tre parti: Io, Super Ego e ES. Ma, come ci insegna anche Nicolò Cusano:
"L'intelletto non potrà cogliere se steso (o qualunque altro oggetto intellegibile) nella
sua essenza, se non in quella verità che è l'unita infinita di tutte le cose". In
conclusione Freud divide razionalmente invece di cogliere, intuitivamente
l'interconnessione dell'Uno Tutto.
L'uomo ha barattato gran parte della sua felicità (derivante dal soddisfacimento
delle pulsioni) con un po’ più di sicurezza (data dal rispetto delle regole sociali).

Dopo lo squarcio iniziale, la psicoanalisi ha finito per basarsi sul presupposto di una
necessità: quella di difendersi, controllare, stare attenti, allontanare (apologia della
difesa) … Ma certo, questo è il suo limite: l'idea di un uomo che sempre deve
difendersi, sin dalla nascita, e forse anche prima, da un pericolo interno. Bardato,
corazzato. La coscienza stessa far parte per intero del sistema di fortificazioni.
Sembra essere uno dei bastioni più forti … E l'essenziale, ovviamente, è che le armi
siano ben fatte, adeguate. Se non sono tali in partenza, bisogna renderle adeguate: con
la psicoanalisi, appunto. Altrimenti disarcionamento, se non disastro. […] Ma dalla
foresta appuntita delle difese non si esce. Ma invece accoglimento, accettazione,
fiducia intrepida verso ciò che si profila all'orizzonte. Accogliere chi? Un ospite -
interno. Accoglierlo prima di esaminarlo ed eventualmente respingerlo. Intrepidezza,
atteggiamento infinitamente più ricco e, alla fine, forse più efficace della prudenza di
chi edifica muraglie. (Fachinelli)

G
-GIORDANO BRUNO***
Giordano Bruno rispecchia benissimo la figura dell'uomo universale rinascimentale:
era filosofo, mago ed esperto di arte della memoria, ma non si possono ignorare poi i
suoi interessi in altri settori: l'ambito fisico, stimolato dallo studio di Aristotele e
dell'atomismo; l'astronomia, soprattutto194 in rapporto a Tycho Brahe e alla nuova
cosmologia copernicana; in Bruno possiamo poi riscontrare notevoli conoscenze
matematiche e geometriche, considerando ad esempio le tavole e le immagini di
sigilli raffigurate nelle sue opere; infine, possiamo trovare in Bruno un'indagine
antropologica, favorita sia dalle implicazioni della sua filosofia, sia dal fatto che la
sua è una vita di viaggiatore, che lo porta al confronto con personalità di diverse
culture e tradizioni.

Da considerare, comunque, che il predominio filosofico della triade uno-punto-atomo


(il suo cosidetto triplice minimo) relega lo zero nel mondo dell'insignificante.

Giordano Bruno si considerava un angelo mandato sulla terra per rompere


l'oscurantismo generato da secoli di potere temporale della chiesa. Perse la sua
battaglia ma si batte con molto vigore e in modo teatrale. Fu anticristiano viscerale
perché, per lui, Gesù fu un cattivo mago mentre lui pensava di essere un buon mago.
Voleva fondare una religione naturale e magica tipo quella egiziana. Bruno non
crede alla creazione divina ma crede nella unica materia - vita - universale senza
anima individuale immortale ma con una grande anima unica universale
sottoposta a reincarnazione a seguito del merito o del demerito (Induismo). Nega
anche l'antropocentrismo cristiano. Afferma poi che l'infinito che non ha
rapporto con il finito. Quindi Gesù Cristo sarebbe allo stesso finito come uomo e
infinito come Dio e ciò è impossibile. Ogni uomo deve sperimentare il suo
percorso verso Dio non esistendo una via più vera di un'altra. La verità è in
movimento come la realtà. Noi dobbiamo sempre alzare liberamente gli occhi al
cielo per essere veri filosofi e per vedere gli infiniti mondi finiti. Fortissimo
intreccio fra filosofia e autobiografia. Valorizzazione del corpo e della corporeità.
Probabilmente sbagliando per eccesso di materialismo, anche se si tratta di un
materialismo pieno di vita.
Si potrebbe dire che l'oggetto della filosofia bruniana è l'infinito: quando essa si
ancora ad un principio che fonda la realtà, ecco che questo si rivela essere
insufficiente; si procede quindi verso nuovi sviluppi nella ricerca del sapere. L'eroico
furore rappresenta questo desiderio di raggiungere l'infinito insito nell'uomo – o
meglio, nella figura del sapiente introdotta da Bruno (una specie di ubermenschen di
Nietzsche).

Dio nell'opera di Bruno assume le seguenti caratteristiche: è principio di mutamento


naturale, è onnipotente, è dedito ad una continua attività creatrice ed è trasmettitore di
sapienza. Inoltre, il concetto di infinito (che è il punto focale della filosofia bruniana)
non può essere spiegato in assenza di Dio, in quanto l'uomo non è in grado di
osservare l'infinito nella natura, essendo dotato di capacità limitate.

195
Bruno intende sostenere che la percezione sensibile è limitata, così come lo è la
ragione umana: per questo, l'immaginazione diventa l'unica via per comprendere
l'infinito.

Fu sostenitore della philosophia perennis come, d'altronde, anche molti altri pensatori
rinascimentali fra i quali Pico della Mirandola.

Giordano Bruno (1548 - 1600), fu dunque sostenitore dell'infinità dell'universo ove


troviamo infiniti mondi finiti e di una forma di panteismo immanentistico quale
quello di Spinoza.

La concezione bruniana della realtà rientra dunque nei canoni del panteismo, teoria
secondo la quale non esiste alcuna cesura tra il Divino e il creato: secondo tale
prospettiva, le cose che fanno parte del mondo sono permeate da un Dio immanente
alla realtà.

La filosofia di Bruno coniuga l'infinità dell'universo a una concezione panteista che


vede Dio come immanente e coincidente con la realtà intera; sarebbe quindi lecito
sostenere che il suo è un cosmoteismo.

Per Palingenio Stellato, il primo a parlare di universo infinito e per questo riesumato
e bruciato da morto dalla perfida Inquisizione, lo spazio infinito è immateriale,
costituito da luce incorporea, ed è posto in continuità con uno spazio finito, che
invece è materiale; invece, in Bruno lo spazio infinito è uniformemente materiale e
non ammette né il vuoto, né tantomeno l'incorporeità.

Natura est Deus in rebus.

Nella Cena, un'anima interna viene quindi attribuita anche agli astri (platonismo). In
seguito, questo aspetto verrà ampliato a tutti gli enti del creato. Nell'ottica del
panteismo, l'universo è un vivo animale permeato da una propria anima interna,
un'anima divina: infatti la divinità non va cercata «fuor del infinito mondo e le
infinite cose, ma dentro questo et in quelle".

"Rarissimi, dico, son gli Atteoni alli quali sia dato dal destino di posser contemplar la
Diana ignuda."

Nel lessico bruniano, il cacciatore Atteone si traduce nella figura del sapiente, del
“furioso” spinto ad indagare la natura (con eroico furore) per coglierne l'essenza
divina – che appunto è la Diana ignuda, che Atteone vuole contemplare e fare sua
preda. Quanta e quale differenza con il quieto wu wei del taoismo cinese!

196
In senso figurato, la metamorfosi di Atteone descritta nei Furori viene interpretata
come l'annullamento dell'individualità nei confronti della natura: è un approccio
allo studio della natura che elimina la dualità soggetto/oggetto. Si tratta della
stessa condizione conoscitiva alla quale ambisce il mistico secondo la prospettiva di
Ibn Arab: l'esistenza degli enti viene percepita come tale solo in base alla relazione
che essi instaurano con Dio; lo stesso vale per l'Io, che di per sé è nulla ed esiste
solo in virtù di altro.

Affermare che tutto è Dio comporta un'annullamento dell'individualità, secondo


una concezione del Sé che è soltanto apparente: si pensi allo stato mistico di
annullamento del Sé in Dio di cui parla anche Ibn ʿArabi e alla simbiosi uomo-natura
che traspare nell'interpretazione bruniana del mito di Atteone.

Da buon neoplatonico Bruno credeva nella trasmigrazione delle anime (e quindi


nell'ego), nell'anima mundi e nel mondo delle idee.

-GIUSTIZIA***

Esiste un profondissimo iato tra la giustizia e l'amore: infatti sono due concetti
inconciliabili. La giustizia è relativa al tempo e al luogo. Si incomincia infatti con il
codice di Hammurabi che predica la legge del taglione (occhio per occhio e dente per
dente). Si consideri anche la schiavitù, la poligamia (sempre coniugata al maschile!),
la guerra santa, la pena di morte e altre simili assurdità ritenute consone alla giustizia.
In realtà la giustizia è, forse, una vendetta mascherata e codificata. L'amore
invece è apertura e disponibilità verso l'altro, gli altri. L'amore non si vendica
perché è relazione profonda con tutti e con tutto. Purtroppo però l'intelligenza
relazionale (prajna) la compassione attiva (karuna) sono per pochi mentre la
vendetta è per tutti gli altri.

Se la giustizia scompare, non ha più valore la vita degli uomini sulla terra. (Kant)

Platone afferma che è impossibile definire la giustizia.

Non vi è sistema legale o giuridico, per quanto perfetto, che possa funzionare, se il
cuore rimane cattivo.

Dice Gesù: "Non giurate, non giurate per nessuna cosa al mondo". (Mt 5,33-37)

Tutti, a parole, vogliamo la giustizia. Nessuno afferma di non volerla. Tutti sono
convinti di essere nel giusto. E, tuttavia, ognuno afferma la sua giustizia, quasi
sempre con la forza. Forse, la giustizia, è solo una vuota parola come tante altre!
Anche se la speranza di giustizia è, forse, una condizione dell'esistenza umana.
197
La giustizia come conformità alla necessità e alla leggi naturali, immanenti all'essere
e al suo ordine, è propria del mondo greco anteriore alla scoperta socratica della
coscienza individuale e della libertà morale con la quale ognuno diventa
legislatore di se stesso.

Per gli ebrei la giustizia è la fedeltà al patto da cui discende la pia osservanza delle
leggi date da Dio al popolo eletto. "Come è vero che io vivo - parola del Signore Dio
-, io regnerò sopra di voi con mano forte, con braccio possente e rovesciando la mia
ira" (Ez 20,33). Mi chiedo: questo è un discorso da dio o da uomo?

La giustizia romana è invece un insieme molto avanzato di leggi ordinatrici garantite


dalla spada, dalla forza.

Nella modernità la giustizia si è trasformata nel rispetto delle leggi. Ma le leggi sono
fatte, di solito, per difendere alcuni interessi, quasi sempre quelli dei più forti. Dice
ad esempio Adam Smith: "Il governo civile, in quanto viene istaurato per la sicurezza
della proprietà, viene in realtà instaurato per la difesa dei ricchi contro i poveri, cioè
di coloro che hanno qualche proprietà contro coloro che non ne hanno nessuna […] ".

Secondo le parole di Desmond Tutu, l'ubuntu distingue l'idea della giustizia


occidentale (orientata alla punizione dello sconfitto e alla soddisfazione del
vincitore) dallo spirito della giustizia africana orientata invece alla riconciliazione,
alla reciproca accettazione, al riconoscimento dell'umanità delle persone, per farla
riemergere quando questa è umiliata dal crimine non solo patito ma anche commesso.
A noi l'ubuntu fa pensare a una forma di spirito comunitario, inteso in senso
benevolo, comprensivo, pacificatore. Il fare giustizia diventa allora un processo
salvifico tanto di chi ha subito il torto quanto di chi lo ha commesso. La giustizia
richiede di risanare le ferite, correggere gli squilibri, ricomporre le fratture e
riabilitare tanto le vittime che i criminali, anch'essi degradati nella loro umanità.
(Zagrebelsky)

-GODEL***

Il teorema di Gödel afferma che nessun sistema logico matematico può essere
dimostrato come privo di contraddizioni se non in termini di un sistema superiore,
cosicché si potrebbero accumulare sistemi matematici all'infinito senza comunque
poter giungere alla meta al di là di ogni dubbio.
Gödel dice che qualche verità sfuggirà sempre al processo di dimostrazione: ci
sarà sempre qualche verità non dimostrabile. Se, invece, un sistema non sarà così
potente da comprendere l'autoreferenzialità, per questo stesso motivo non sarà
completo e dunque gli sfuggiranno sempre alcune verità. In altre parole, il pensiero
198
formale sarà pure limitato, ma fra le sue limitazioni c'è quella di sapere di essere
limitato! Conoscere i propri limiti, non è forse l'espressione più alta della
consapevolezza?
Il principio del terzo escluso non vale per la dimostrabilità perché le formule di Gödel
costituiscono un forma di terzo gaudente fra i due litiganti della dimostrabilità e della
refutabilità.
Gödel ha distrutto il sogno di una matematica assiomatizzata. Pur tuttavia fra i
matematici è ancora diffusa la convinzione che esista un mondo esterno di concetti e
teoremi che è nostro compito esplorare. La matematica, se è completa, può
contraddirsi.

Odifreddi asserisce (a proposito del teorema di Gödel) che gli usuali sistemi
matematici non possono dimostrare la propria mancanza di contraddizioni (ciò
però non significa che queste contraddizioni esistano veramente).

-GOLEM -TULPA***

L'uomo-bambino è terrorizzato da mostri che lui stesso ha creato! (Nisargadatta


Maharaj)

Infatti il pensiero ebraico ha concepito il Golem come un ammasso informe ma


antropomofico che obbedisce al suo padrone-creatore. Potentissimo.

199
Il termine deriva probabilmente dalla parola ebraica gelem, che significa "materia
grezza", o "embrione", presente nel Tanakh (Salmo139,16) per indicare la "massa
ancora priva di forma", che gli ebrei accomunano ad Adamo prima che gli fosse
infusa l'anima. In ebraico moderno golem significa anche robot.
Secondo la leggenda chi viene a conoscenza della Qabbalah, e in particolare dei
poteri legati ai nomi di Dio, può fabbricare un golem, un gigante di argilla forte e
ubbidiente, che può essere usato come servo, impiegato per svolgere lavori pesanti e
come difensore del popolo ebraico dai suoi persecutori. Può essere evocato
pronunciando una combinazione di lettere alfabetiche.

Il Tulpa è invece un termine della lingua tibetana. Il significato della parola definisce


un'entità incorporea creata attraverso particolari metodi meditativi sviluppati
dai monaci, soprattutto i grandi lama tantrici. Secondo tali credenze l'essere, che vive
nel piano astrale, può essere visualizzato sotto molteplici aspetti, soprattutto quello
animale, da altri monaci raccolti in meditazione. Esistono narrazioni di combattimenti
effettuati attraverso tali creature come rappresentazione morfologica della volontà del
loro creatore.
-GORGIA***
Gorgia di Leontini (485 a. C.): niente di assoluto ma tutto di empirico! Grande
tecnico della parola: era avvocato e politico. La piccola parola muove grandi
eventi. Non prendere mai nulla troppo sul serio: giocare!
Andrebbe liberato dalle stroncature platoniche e seguenti. Gorgia andrebbe, forse,
riscoperto. Attenzione però perché il suo scritto "Sul non essere o della natura" è
andato perduto e il suo nucleo teorico ci viene riportato a secoli di distanza, da Sesto
Empirico (160 a.C.).
Gorgia affronta da par suo due questioni che, in seguito, sono divenute ricorrenti in
filosofia: il tema della dubbia affidabilità di ciò che percepiamo e il tema della
dubbia affidabilità di ciò che comunichiamo o ci viene comunicato, in altre
parole il tema della verità!

ESSERE! NULLA E'. Non c'è niente di assoluto. Nessun ente esiste (Ontologia)
(Oggettività)
CONOSCERE! SE ANCHE QUALCOSA FOSSE NON SAREBBE
COMPRENSIBILE. Se anche ci fosse qualcosa non sarebbe comunicabile
(Gnoseologia) (Soggettività)
COMUNICARE! SE ANCHE FOSSE COMPRENSIBILE NON SAREBBE
COMUNICABILE. (Dialettica) (Intersoggettività)
200
Gorgia sembra venirci a dire: “Amico, ti sembrerà strano, ma ti sto comunicando in
modo efficace che ogni tentativo di comunicare è strutturalmente e
invincibilmente inefficace”.

Gorgia non si impegna formalmente nello svolgimento di queste tesi, anzi non si
impegna formalmente nemmeno nel sostenerle, optando per una provocazione
intellettuale che affida all’uditorio il piacere e la responsabilità di intraprendere
la ricerca di una congrua via d’uscita a partire dalle sue tesi dirompenti. In
conclusione, non ci tiene ad avere ragione perché gli interessa molto più la
domanda che la risposta! Si è invece sempre pensato che la domanda senza
risposta non abbia valore.

La strada la dovrebbe tracciare l’uditorio, o i lettori, mentre l’autore potrebbe


ben sentirsi appagato al pensiero di aver allertato e affinato con ciò stesso i
sensori di tanta gente.

Forse Gorgia si nasconde nel niente, nel non pensabile, nel non comunicabile, per
sfuggire alla recondita paura di dover rendere ragione del suo sapere di non sapere.

Gorgia dice che dal non essere non può nascere nulla (sbagliando?).
Parmenide afferma che pensare è essere sono la stessa cosa essendo inscindibili visto
che il pensiero è sempre e solo pensiero dell'essere. Gorgia gli risponde che ci sono
dei pensati che non hanno alcuna realtà e quindi non esistono. Gorgia quindi non
solo divide essere e pensiero ma anche parola e pensiero visto che non solo l'essere
non sarebbe comprensibile ma neppure comunicabile.
-GUERRA ***
“Il papa? Quante divisioni ha?”, aveva chiesto Stalin nel 1935, battuta mitica e
inevitabile quando ci si interessa al potere reale del Vaticano. Tuttavia ottant’anni
dopo la Santa sede è sempre al suo posto mentre il sistema sostenuto da Stalin è
scomparso definitivamente cacciato dalla sua stessa storia.
La questione si ripropone di nuovo con papa Francesco, che prende regolarmente
delle posizioni scomode rispetto ai dogmi della sua chiesa, senza però che sia ancora
possibile giudicarne l’impatto reale e duraturo. Come nel caso della dichiarazione
netta, categorica, senza appello, contenuta in Politique et societé, il libro-intervista
con il sociologo Dominique Wolton: “Nessuna guerra è giusta”.
A piccoli passi la chiesa cattolica, ancora prima dell’arrivo del papa attuale, aveva
cominciato ad abbozzare la rottura con la dottrina della “guerra giusta” definita
da Agostino d’Ippona (sant’Agostino) nel quinto secolo, sviluppata da Tommaso
d’Aquino (san Tommaso) nel tredicesimo secolo e in seguito da altri autori
cattolici, al punto da far parte del catechismo della chiesa cattolica.
201
Ma nessuno lo aveva fatto in modo così netto come Francesco in questo libro:
“Ancora oggi dobbiamo pensare con attenzione al concetto di ‘guerra giusta’.
Abbiamo imparato in filosofia politica che per difendersi si può fare la guerra e
considerarla giusta. Ma si può parlare di ‘guerra giusta’? O di ‘guerra di difesa’?
In realtà la sola cosa giusta è la pace”.
Delegittimare la guerra, l’idea può far sorridere in un momento in cui potrebbe
scoppiare un conflitto nucleare tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord o mentre infuria
in Siria o nello Yemen, o ancora non si è spenta in Afghanistan e rischia di
riaccendersi in Ucraina. Insomma, in un periodo in cui la guerra occupa un posto
importante come, peraltro, è sempre accaduto anche nel passato.
Tuttavia questo dibattito non è solo teorico o semplicemente teologico. Sul lungo
periodo, che è quello della chiesa, la questione non sembra più porre problemi: sono
ormai finiti da secoli i tempi delle crociate, quelle vere, quelle che si facevano in
nome di Cristo e benedette dal papa e dai vescovi (benedizioni peraltro non
scomparse, se nel 2015 la chiesa ortodossa ha benedetto l’intervento russo in Siria).
Così in nome di alcuni princìpi generali, che hanno trovato la loro traduzione nel
campo politico, si sono potute giustificare molte guerre, anche quelle che a distanza
di tempo appaiono oggi ingiuste, come per esempio le guerre coloniali o neocoloniali.
La presa di posizione del papa non basterà ovviamente a mettere fine alle guerre o a
impedirne di nuove. Francesco però stabilisce un termine, apre una via e una
riflessione che impiegherà del tempo, molto tempo a dare i suoi frutti.
Ma non è necessario essere cattolici o attirati da Francesco per essere sensibili al suo
discorso: “Non c’è guerra giusta”. In futuro ci saranno ancora delle guerre, alcune
forse inevitabili a causa di un contesto difficile, altre puramente difensive, ma almeno
non saremo più costretti a sentirci dire che sono “giuste” così come capiremo, forse,
che nessun potere può essere buono perché altrimenti non sarebbe più potere.

-GUGLIELMO DI HOCKAM ***

Guglielmo di Hockam (1280) dice che l'ambito delle verità rilevate è sottratto
radicalmente al regno della conoscenza razionale e, quindi, la filosofia non è
l'ancella della teologia che non è scienza ma è tenuta insieme solo dalla fede. La
ragione, per quanto concerne Dio, ha un posto irrilevante, superata dalla
immensa luminosità della fede.
A proposito della Trinità scrive: Che un'unica essenza semplicissima sia tre persone
realmente distinte è cosa che nessuna ragione naturale può persuadere ed è
affermata solo dalla fede cattolica come ciò che supera ogni senso, ogni intelletto
umano e quasi ogni ragione.

202
Il papa è fallibile e deve servire e non assoggettare. La sua autorità ha solo
carattere pastorale e non è né sacra e neppure temporale. Bisogna tornare alla povertà
evangelica.
Fu il principe dei nominalisti: gli universali sono solo nomi e non una realtà e
neppure hanno un fondamento nella realtà. Gli universali sono solo forme verbali
mediante le quali la mente umana costituisce una serie di rapporti di esclusiva
portata logica. Vengono quindi meno le leggi universali, la struttura gerarchica
dell'universo e si passa a una conoscenza scientifica empirista e probabilistica: se
una cosa è già accaduta molte volte è probabile (ma non necessario) che accada
ancora.
A seguito del suo famoso rasoio (entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem)
cadono anche concetti quali essenza e sostanza, causa e effetto, tempo e spazio,
intelletto agente e intelletto possibile. Insomma bisogna liberare il nostro pensiero
dalla facile confusione fra entità linguistiche ed entità reali, tra gli elementi del
discorso e gli elementi della realtà. Sancì la fine della scolastica e del medioevo
dogmatico e aristotelico.
Sbagliò solo a concepire il mondo come un insieme di elementi individuali senza
alcun vero legame tra di loro. Gli mancò infatti il concetto fondamentale di relazione.
Strano per una grande mente come la sua.

H
-HAMMURABI***
« I poveri, le vedove e gli orfani sono posti sotto la tutela dello Stato. Le donne sono
protette contro i maltrattamenti del marito. In favore dei lavoratori viene alzato il
salario e sono stabiliti i giorni di riposo annuali » codice di Hammurabi (che, peraltro,
afferma anche occhio per occhio e dente per dente). Siamo nel 18° secolo avanti
Cristo.
Hammurabi, re di Babilonia, assicurò (come molti altri) che il codice legale gli era
stato consegnato da dal dio Marduk. I babilonesi erano molto più legati alla vita
terrena che a quella ultraterrena tipica degli egiziani. Le prime divinità furono la terra
e il sole indispensabili all'agricoltura. Sorsero poi due triadi: cielo, terra e acqua da un
lato e sole, luna e venere dall'altro.
Occhio per occhio! Dente per dente! "Così il mondo divenne orbo e sdentato" dice,
più o meno, Gandhi.
203
-HEGEL ***
Fu una specie di Cristoforo Colombo della filosofia: voleva viaggiare per mari
sconosciuti (le apparenze, i fenomeni) per approdare alla terra della verità. E' un
grande ordinatore come Aristotele.
L'assoluto è vero e solo il vero è assoluto. Domanda: chi stabilisce cosa è il vero?
Il reale è razionale e il razionale è reale. Però la casualità della meccanica
quantistica lo smentisce totalmente.
Il pensiero dialettico di Hegel è quello che più di tutti, in occidente, insiste
sull'esigenza di scorgere "la cosa" da più lati, secondo una modalità prospettica.
Il movimento dialettico in Hegel è costitutivo.
L'Essere è reale e concreto solo nella sua totalità. L'idealismo della filosofia
consiste nel non riconoscere il finito come un vero essere. Il finito è solo in quanto
rimanda ad altro da sé, non è in se stesso, ab-solutus, autonomo ma rimanda alla
necessaria trama di relazioni che lo determinano nella consapevolezza che nessuno
dei singoli termini può darsi veramente al di fuori della sua relazione con il
proprio opposto, nella tensione di entrambi verso l'unità che li ricomprende.
Bisogna acconsentire anche a non essere, per essere pienamente: la necessità di
uscire da sé per poi rientrarvi ed essere, infine, pienamente se stesso. Ogni
esserci è dunque al contempo in sé e fuori di sé: è nodo di una infinita rete, che
sussiste solo in quanto insieme strutturato di nodi in relazione reciproca.
L'opera costruita dal pensatore tedesco Hegel cambia il linguaggio della riflessione
filosofica. Senza più necessità di assoluto resta la ricerca di una forma che organizzi e
interpreti il disordine. (Scalfari)
Hegel era assolutamente certo che la sua opera, disseminata nei molti libri da lui
scritti a cominciare dal primo sulla Fenomenologia dello Spirito, avesse chiuso
l'epoca dei sistemi filosofici. Ne conosceva tre che l'avevano preceduto: Platone,
Aristotele, Kant. Forse anche Descartes ma non era certo che potesse esser definito
un sistema vero e proprio. Poi era comparso lui nel teatro della mente ed aveva
costruito un'architettura completa e definitiva, fondata sullo Spirito e sulla Dialettica.
L'uomo è in sé (logica: essere, essenza, concetto). L'uomo esce da sé (natura:
meccanica, fisica, organica) . L'uomo torna in sé (spirito: soggetto, oggetto,
assoluto composto da arte, religione e filosofia). L'assoluto è la sintesi dei due
precedenti così come il concetto lo è dei suoi due antecedenti: essere e essenza.
La filosofia è lo Spirito Assoluto che pensa a se stesso tramite l'autocoscienza
umana. Da rimarcare che, nonostante per Hegel il pensiero orientale fosse puerile,
204
l'asserzione sulla filosofia di cui sopra, sembra copiata dall'Oriente ove si dice che il
Brahman è il Tutto visto da una sua parte cioè dal presunto ego (givatman).
Altro non si poteva dire che lui non avesse detto salvo negare tutto senza
affermare nulla.
Hegel non pronunciò mai la parola "nichilismo" e negò risolutamente la dignità
filosofica del relativismo. Il suo principio dell'identità tra il razionale e il reale (che
nella realtà però non esiste! n.d.r.) era infatti il pilastro sul quale poggiava
l'assolutezza del suo sistema e della dialettica (che è sviluppo mediante
contraddizione) che lo permeava. Dal superamento di essere (la permanenza) e
del nulla (l'impermanenza) nasce il divenire. La vita che si trasforma è la
dialettica.
Naturalmente i filosofi che vennero dopo di lui continuarono a produrre architetture
mentali che descrivevano nuovi teatri e nuovi scenari, ma si trattava piuttosto di
rimaneggiamenti, classificazioni, emendamenti e restauri ma la struttura rimase
l'hegelismo e la triade dialettica (tesi, antitesi e sintesi) combinata con la filosofia
della storia, con lo stato etico e con lo Spirito assoluto che fu il suo modo di insediare
la metafisica e la trascendenza.
Il pensiero continuò a produrre idee, concetti, metodi di ricerca, e il linguaggio
cambiò radicalmente. Cambiò con Leopardi, cambiò con Nietzsche. I prodromi di
quel mutamento venivano da lontano; erano cominciati con gli "Essais" di Michel de
Montaigne e poi con i "Pensieri" di Pascal.
Hegel: solo il Tutto (l'Assoluto spirituale) è reale e vero! Ogni predicato, se preso
per definire l'intera Realtà, il Tutto, diviene auto contradditorio. L'apparente
esistenza in sé delle cose finite è un'illusione. L'Assoluto è puro essere senza
attributi (tesi). Ma il puro essere senza attributi è il nulla. Quindi l'Assoluto è il
nulla (antitesi). La sintesi fra le due affermazioni è che l'Assoluto è il divenire che
comprende nulla e essere. Ma che cosa è che diviene? Continue modifiche nel
ragionamento dove niente è completamento superato: essere, nulla, divenire etc.
L'intera conoscenza ha struttura triadica: percezione sensoriale dell'oggetto (tesi),
critica scettica dei sensi ove l'oggetto diviene puramente soggettivo (antitesi), la
sintesi è nell'auto coscienza in cui soggetto è tutto, conosce solo se stesso!. Solo il
Tutto è vero perché nulla di parziale è completamento vero. Ciò che è vero e
reale in noi è la nostra partecipazione al Tutto (e più diventiamo razionali e più la
partecipazione aumenta). Il tempo è una pura illusione di chi non sa di essere il
Tutto ed è sempre vissuto sulla terra, anzi intorno al Mediterraneo.
Pare che l'Universo stia imparando la filosofia da Hegel. La ragione è la sostanza
dell'universo … ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale: quindi il
205
Tutto è reale e razionale … Peccato che la moderna teoria quantistica lo smentisca
completamente: il mondo non è né reale e neppure razionale!
Glorifica lo stato nazionale e la guerra …. Lo stato diventa un fine non più un
mezzo come per Locke.
Nelle sue “Lezioni sulla filosofia della storia”, Hegel sostiene che la storia è il banco
del macellaio su cui vengono fatte a pezzi le speranze, i sogni, le aspettative dei
popoli e degli uomini. Bisogna però entrare in questa macelleria per cercare di
cambiarla dandole un senso.
Secondo Hegel nella storia dialettica dello spirito umano, l’Oriente corrisponde solo
all'età dell’infanzia mentre la Grecia all'adolescenza, Roma all'età virile e la
Germania all'anzianità costruttiva. In quel frangente aggiungeva che «gli Orientali
non sanno ancora che lo spirito, o l’uomo in quanto tale, è libero in sé, e poiché non
lo sanno essi non sono liberi».

Cerchiamo sempre di evitare il grossolano errore hegeliano di interpretare le culture


altre in base alla propria. Pratichiamo invece la vera comparazione filosofica.

Gli aspetti illiberali del pensiero di Hegel sono, secondo Popper, il culto platonizzante
dello stato; la mentalità tribale e collettivista; il rifiuto di un principio etico al di sopra
dello stato e la risoluzione della morale nella politica; il concetto che il solo criterio
possibile di giudizio nei confronti dello stato sia il successo storico-mondiale delle sue
politiche. Infine la teoria che lo stato possa esistere solo mediante la guerra, con
l'aggravante della tesi di una nazione eletta a fungere di volta in volta da guida. Infine la
teoria del Grande Uomo e della Personalità storica mondiale. Tutto questo, secondo
Popper, fu ereditato e realizzato dal nazismo.
Inoltre, Hegel fu intellettualmente e moralmente disonesto:« Hegel realizzò le cose più
miracolose. Logico sommo, fu un gioco da bambini per i suoi efficacissimi metodi
dialettici estrarre conigli fisici da cappelli puramente metafisici.»

-HEIDEGGER ***
Heidegger non riconosce alcuna dignità filosofica a ciò che i pensatori orientali
hanno prodotto. Scrive infatti: "Lo stile dell'intera filosofia europeo occidentale -
ma non ce ne sono altre, né in Cina, né in India - è determinato dalla duplicità "(l')
essere - essente. Il filosofo Pasqualotto accosta però Heidegger allo zen per la sua
critica dirompente e dissacrante.

Vattimo dice che Heidegger è un umorista della filosofia visto che fa una critica
dirompente e dissacrante degli apparati tradizionali metafisici: attività
decostruttiva dove la metafisica non è più redenzione ma semplice gioco.

206
In Essere e Tempo Heidegger prende congedo dall'oggettivismo metafisico di
origine greca rivolgendosi alla fenomenologia e all'esistenzialismo.

Martin Heidegger invece di delineare una definizione della nozione di tempo


(in Essere e tempo), considera la temporalità nelle sue tre dimensioni:
passato, presente e futuro, come le caratteristiche costitutive dell’uomo in
quanto essere «gettato» nel mondo  (l’esserci, il Dasein)  e, come tale, legato al
passato, al presente, ma anche proiettato nel futuro attraverso le proprie
progettualità.

Mi pongo il problema di cosa sia l'essere perché i concetti che ho ereditato in merito
all'essere non sono soddisfacenti: l'essere non può essere descritto come un oggetto
ma è un progetto gettato. Se l'essere è oggettività, io sono tutto tranne oggettività
non essendo un puro occhio sul mondo. Per me il mio essere è l'esistenza.
(Heidegger parla sempre dell'esserci). Io sono al mondo come un progetto gettato
visto che non ho scelto io di nascere. La vera caratteristica umana non è
l'oggettività ma la progettualità. Il nostro essere nel mondo è interessato perché io
non posso mai guardare il mondo se non dal mio particolare punto di vista
(prospettivismo).

Noi non siamo certo uno specchio che riflette le cose intorno a noi, nessuna
oggettività pura che Heidegger chiama metafisica. Noi non siamo al mondo per
osservarlo ma siamo al mondo per progettarci.

Qual è l'unica caratteristica specifica di ogni uomini? E' la propria morte.

L'uomo è il pastore dell'essere.


Il linguaggio è la casa dell'essere.

Diventa nazista perché pensa che Comunismo e Capitalismo si ispirano entrambi


all'oggettivismo metafisico che lui vuole combattere. Immagina che il nazismo
riporti i tempi della Grecia preclassica. Nonostante tutto comunque Heidegger può
essere annoverato fra i fondatori della vera democrazia visto che fa leva sull'esserci
dell'uomo e non sull'essere oggettivo. C'è progettualità in Heidegger che si basa sul
dialogo interpersonale; noi siamo un colloquio (quindi relazione).

Heidegger: dissoluzione del soggetto e dell'oggetto come poli privilegiati della


millenaria storia della filosofia occidentale. Il vaso, la brocca non può essere colta
dal pensiero lineare. Essa è contemporaneamente tutto ciò che la costituisce (terra,
acqua, aria, fuoco-energia) e tutto ciò a cui può servire: contenere acqua che viene
dalla fonte che richiama la terra, che richiama la pioggia, che richiama il cielo etc.
etc. Noi però valutiamo solo una cosa207 alla volta. Essa è, nella sua semplicità di
cosa, l'immensa compresenza di tutti i suoi possibili significati e delle sue possibili
funzioni. Il pensiero rappresentativo è incapace di indicare questa immensa
compresenza perché sempre pone innanzi a sé un aspetto per volta.
Di cosa è fatta la ciotola? Buddismo e Heidegger se lo chiedono e si rispondono che
fatta da tutti gli elementi: acqua, aria, fuoco, terra. Ogni cosa è condizionata da
tutte le altre ma, allo stesso tempo, condizionante per tutte le altre: interazione
cosmica. Essendoci questo, c'è anche quello! Non esiste elemento che non sia
relativo ad un altro: la rete di perle di Indra.
Heidegger ci invita a metterci in ascolto dell'Essere.
-HO'OPONOPONO (sciamanesimo hawaiano) ***
CI DISPIACE.
CHIEDIAMO PERDONO.
GRAZIE DEL PERDONO.
VI VOGLIAMO BENE.
Sono dispiaciuto dei pensieri perturbanti del mio ego che hanno arrecato problemi al
mondo. Chiedo quindi a tutti gli esseri di perdonare questi miei pensieri perturbanti.
Ringrazio tutti gli esseri di avermi concesso il perdono. Sono quindi ora nella giusta
condizione, relazione per sprigionare tutto l'amore possibile, unico antidoto verso
l'egoismo perturbante.
Cambiando me stesso, cambio anche il mondo e gli altri che ne sono parte
essendo tutto interconnesso; il mondo intero è una nostra creazione; quando c'è un
problema accusiamo sempre qualcuno o qualcosa di esterno mentre invece noi
siamo parte del problema.
Non vi è dunque mai una sola risposta ma tante quanti sono gli esseri dell'universo.
Grazie di tutto! La capacità di ringraziare è considerata da molti la chiave per
accedere alla dimensione più spirituale della vita. Concediamoci di provare
riconoscenza: la nostra vita passerà a una dimensione più ampia e positiva. 
Ho’oponopono è semplicemente "accogliere tutto quello che hai proiettato ‘’fuori’’
fin dall’infanzia. Per poi vedere che  effettivamente non sei mai nato, solo  un
concetto passeggero … ma intanto è ben sciogliere  un po’ la matassa in cui ci siamo 
aggrovigliati, se no è una fuga. Quelli che si considerano spirituali e colti lo
denigrano appunto perché non vogliono  accogliere  la loro ‘’Ombra’’ che accolta 
diventa.. LUCE!!!" (Isabella di Soragna)
-HUME ***
208
Tutto è ignoto: un enigma, un inesplicabile mistero. Dubbio, incertezza,
sospensione del giudizio appaiono l'unico risultato della nostra più accurata indagine
in proposito. Ma tale è la fragilità della ragione umana, e tale il contagio irresistibile
delle opinioni, che non è facile tener fede neppure a questa posizione scettica, se non
guardando più lontano e opponendo superstizione a superstizione, in singolar
tenzone; intanto, mentre infuria il duello, ripariamoci felicemente nelle regioni
della filosofia, oscure ma tranquille.
La bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente
che le contempla ed ogni mente percepisce una diversa bellezza.
Hume, da vero nominalista, dice che quando abbiamo trovato una rassomiglianza
tra parecchi oggetti applichiamo a tutti lo stesso nome che sarebbe l'universale.
Rifiuta poi l'idea di un IO! Secondo lui una persona non è altro che un flusso di
percezioni, un fascio di impressioni, di idee in continuo movimento. A tale
proposito Ricoeur osserva che Hume dimentica il fatto che, comunque, ci deve essere
qualcuno, ossia un soggetto, che cerca l'io e che trova solo fasci di percezioni. Questo
soggetto Kant l'avrebbe chiamato l'io trascendentale che accompagna ogni nostra
rappresentazione. Da sottolineare però che pure l'io trascendentale non è qualcosa
che permane identico perché la sua identità dipende dai suoi oggetti.
"La supposizione che il futuro assomigli al passato non è fondata su argomenti di
nessun genere ma è interamente derivata dall'abitudine" scrive Hume.
La legge di Hume o ghigliottina di Hume (anche detta problema dell'essere e del
dover essere), è un principio per il quale bisogna operare in ogni momento la
distinzione e la separazione tra «ciò che è» e «ciò che deve essere»; in termini più
formali, quindi, nell'economia di un discorso vanno separate le proposizioni
descrittive (ovvero che dichiarano ciò che una cosa è) da quelle prescrittive (ovvero
ciò che deve essere), rimarcando che filosofi della morale in passato hanno
trasformato l'iniziale è nel deve, mutando quindi la descrizione in un precetto.
Nel Trattato sulla natura umana si legge infatti:

« In ogni sistema morale in cui finora mi sono imbattuto, ho sempre trovato che
l'autore va avanti per un po' ragionando nel modo più consueto, e afferma l'esistenza
di un Dio, o fa delle osservazioni sulle cose umane; poi tutto a un tratto scopro con
sorpresa che al posto delle abituali copule è o non è incontro solo proposizioni che
sono collegate con un deve o un non deve; si tratta di un cambiamento impercettibile,
ma che ha, tuttavia, la più grande importanza. Infatti, dato che questi deve, o non deve,
esprimono una nuova relazione o una nuova affermazione, è necessario che siano
osservati e spiegati; e che allo stesso tempo si dia una ragione per ciò che sembra del
tutto inconcepibile ovvero che questa nuova relazione possa costituire una deduzione
da altre relazioni da essa completamente differenti. »
209
Hume era partito con la convinzione che il metodo scientifico portasse alla verità,
tutta la verità, solo la verità. Finì poi col persuadersi che una convinzione non è mai
razionale dato che noi non conosciamo nulla di certo.
Dubbio scettico sia intorno ai sensi che alla ragione: restano solo le abitudini? Lo
scetticismo di Hume si basa interamente sul rifiuto del principio di induzione senza
il quale nessuna scienza è possibile se non nel solo campo della probabilità.
Noi riteniamo che la natura obbedisca a leggi costanti identiche per il passato, il
presente e il futuro. Sulla base di questo presupposto pensiamo che il sole, che siamo
abituati a veder nascere ogni giorno, sorgerà anche domani sebbene non ci sia nulla
certezza di ciò.
Hume: empirismo (a posteriori, esperienza, in contrasto con il razionalismo a priori),
scetticismo (in contrasto con il dogmatismo: Platone), illuminismo.
In campo morale vi è, come base, il principio della simpatia intesa come facoltà di
condividere le passioni e i sentimenti degli altri.
Per Hume la religione è ricondotta al sentimento di timore e speranza che ciascun
uomo prova naturalmente di fronte alle forze della natura e al mistero della morte.

I
-IKIGAI***

Nella lingua giapponese esistesse una parola per indicare una pienezza di senso
concretamente vissuta (nelle lingue europee non c’è nulla del genere). Stiamo
parlando dell'ikigai, inteso come un’energia vitale capace di tradursi in salute
psichica e fisica in proporzione alla sua intensità. A pensarci bene, è logico: chi non
percepisce un senso profondo nella propria esistenza e non sa quale sia il suo scopo, o
perché affronti ogni nuova giornata, vivrà con minor energia ed entusiasmo di chi
invece ne ha preso coscienza e ogni giorno si dedica a ciò che lo rende felice e gli
procura gioia e soddisfazione.

L'Ikigai, semplificato al massimo, significa: fare ciò che ci piace, fare bene ciò che
ci piace, fare del bene al mondo facendo ciò che ci piace e, per ultimo, trarre
vantaggio da tutto ciò. In tal modo si da anche una risposta a una delle domande più
antiche e pressanti: che senso ha la vita? Dunque l'Ikigai come filosofia di vita!

Da rimarcare che anche Aristotele si pone una domanda simile: cos’è che rende felici
gli uomini? Un musicista è felice quando suona bene il proprio strumento, un
210
artigiano quando realizza un lavoro ben fatto; e un uomo, in generale, quando sarà
quindi felice? La risposta è: quando farà bene il proprio compito. 

-ILLUMINAZIONE (samadhi) -ILLUMINISMO***

Illuminazione significa realizzare che l'illuminazione non è qualcosa da


raggiungere! Semplicemente all'esterno non c'è più l'oggetto e all'interno non ci
sono più pensieri coscienti. Da qui l’insistenza di tutti gli illuminati sull’arrendersi.
Non lottare con l’esistenza, perché in questo caso non sai cosa stai facendo, contro
chi stai lottando. Come puoi lottare con l’esistenza? È come se un’onda lottasse
contro l’oceano, come se una foglia lottasse contro l’albero - è stupido! Se ti arrendi
al Tutto, ogni cosa è raggiunta: perché tu diventi il Tutto, e il destino del Tutto
diventa il tuo destino. Lo scopo del Tutto il tuo scopo.
211
L'illuminazione non va cercata al di fuori del cerchio dell'esistenza ma è questa
stessa esistenza una volta che la si sappia vedere in modo corretto.

L'illuminazione è più un assenza, un togliere che una pienezza o un raggiungere.


Cosa bisogna togliere, superare? La visione unilaterale tradizionale della realtà
ove esiste la dualità ontologica, gnoseologica, etica, estetica, assiologia e via
dicendo. Si deve così giungere al dharmadhatu ove si celebra la non ostruzione
fra fenomeno e fenomeno e fra principio e fenomeno.

L'infinita e armoniosa interrelazione di tutti i fenomeni che si dispiega


simultaneamente: questo è il cosmo che si presenta alla visione di un illuminato.

L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è


colpevole. Minorità è l'incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida
di un altro. Colpevole è questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di
intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi di essa senza
essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria
intelligenza! Questo dunque è il motto dell'illuminismo. (Kant)
Nel medesimo senso va assunto il termine "bodhi" con cui la tradizione buddista ha
indicato il culmine dell'itinerario di liberazione dall'ignoranza che l'uomo è in grado
di costruirsi e di seguire. Bodhi, infatti, significa propriamente risveglio e indica
l'uscita dal sonno della ragione (n.d.r.; sarebbe forse meglio dire "intelligenza" come
fa Kant) e, contemporaneamente, segnala che tale uscita è possibile ad ogni individuo
senza che debba intervenire qualche potenza ad esso esterna e superiore, ossia senza
che sia necessaria una illuminazione dal di fuori e dall'alto. In tal senso risveglio
sarebbe preferibile a illuminazione in quanto allude a un processo si rischiaramento
virtualmente infinito e non a chiarimento avvenuto completamente una volta per
tutte. (Pasqualotto)

Liberatevi dalla ricerca di una inesistente perfezione, e "adattatevi" ad accettare


(se non ad apprezzare) i vostri limiti e ad agire di conseguenza. Questa è
l'illuminazione, anzi la non - illuminazione!
L'illuminazione è trascendere il dualismo tipico della percezione umana.
L'illuminazione è trascendere l'io tipico prodotto del dualismo.
La liberazione autentica è quella che scioglie e dissipa l’idea fallace di essere monadi
isolate.

La liberazione non è "della persona" ma è "dalla persona". (Nisargadatta Maharaj)


Pierluigi Piazza riflette sul suo incontro con U.G. e scrive: "Non sono migliorato e
non è migliorata la mia vita, ma una domanda si affaccia alla mia mente: Io (ma cos'è
212
questo Io? n.d.r) e la mia vita dobbiamo proprio migliorare? Cosa vado cercando,
cosa c'è che non va in me o nella mia vita? E che senso ha cercare una vita sempre
più piena, sempre più ricca?  Non è forse la vita soggetta ad alti e bassi? Che pretesa
una felicità perenne! Questa continua ricerca mi impedisce di gustare le piccole
grandi cose che già possiedo (chi possiede? n.d.r.) e ne ho tante; Dio se sono tante, e
quasi non le vedo! E tutto questo continuo cercare, tutto questo agitarsi, che
rumore, che disordine, che chiacchierio continuo che turba il  silenzio e la pace
che ci sono già!
Non c'è un'illuminazione da acquisire, anzi non c'è proprio nulla da acquisire,
semmai c'è da tralasciare. Tralasciare le montagne di cose inutili che ci turbinano
nella testa, tralasciare le montagne di cose inutili che accatastiamo fuori di noi. Ho
capito cos'è un illuminato; un illuminato è un uomo vero, vero perché vive
dell'essenziale, vero perché né mentalmente né fuori di sé si contorna di cose
futili. E' un uomo con i piedi saldamenti piantati per terra, che non si illude di
raggiungere una perfezione che non esiste, che accetta totalmente i suoi limiti e
le sue debolezze, che non si lascia soggiogare da modelli culturali. E' fedele a se
stesso e quindi completamente in pace con sé e con il mondo. Non alimenta
conflitti in sé e quindi neanche fuori di sé.
Un illuminato è la normalità fatta uomo e questa normalità si può indicare come il
"Miracolo dei miracoli", mentre per la cultura e per la vecchia personalità è una
"Calamità". Non scherza U.G. quando dice:
"Perché cerchi questa cosa (l'illuminazione), essa è la fine di te per come sei solito
conoscerti e sperimentarti. Non puoi volere una cosa del genere, ed il cumulo di
romanticherie  che hai in testa non c'entra niente con quello che c'è qui."
E vero, l'illuminazione è la morte civile, eppure per qualche strano motivo, in un
certo momento della nostra vita, ognuno di noi la cerca. E comunque nessuno è
immune da questa ricerca, lo ha detto U.G.,  ma questo, giuro, l'avevo già pensato
prima di leggerlo su uno dei suoi libri, sia che stiamo cercando una bella macchina,
una bella donna, un posto di potere, l'illuminazione o qualsiasi altra cosa, il principio
è lo stesso. Non siamo soddisfatti di ciò che abbiamo.
Per qualche strano motivo pensavo che la ricerca  dell'illuminazione fosse più
nobile delle altre ricerche, ora so che non è vero, tutte nascono dalla nostra
insoddisfazione. E forse la via d'uscita, se mai ci sarà una via di uscita, consiste
proprio nel riuscire ad accettarci così come siamo, non con uno sforzo volitivo, che
sarebbe ancora una pretesa della vecchia personalità, bensì con una comprensione più
grande e più matura verso noi stessi. In questo "Comprendere" forse troveremo che
non dobbiamo accettare  solo noi stessi ma il mondo intero, perché in definitiva,
noi siamo il mondo e questo sarà forse l'apice del nostro amore".

213
L'entità personale (l'io, l'ego, se mai esistessero) e l'illuminazione (se fosse vera
illuminazione) non potrebbero mai stare insieme. In realtà, non esistono né l'una
e né l'altra. La vera illuminazione consiste nel fatto che nessun io ha alcuna
illuminazione!
Se credi veramente che vieni e che vai, questo è il tuo errore. Lascia che ti mostri il
sentiero dove non si viene e non si va.
L'illuminazione non fornisce la perfezione, offre semplicemente la possibilità di
vivere accettando l'imperfezione.
Abbandonare qualche cosa nella speranza di ottenere qualcos'altro, non è
abbandonare. Per ottenere l'illuminazione devi diventare sempre più piccolo fino
scomparire. O diventare così grande da non avere più confini!
Come posso stare attaccato a una piccola parte (il mio io) quando sono la totalità?
La tua natura essenziale è la stessa natura essenziale del cosmo (energia che non
si sa bene cosa sia). Questa natura essenziale può essere chiamata verità (Occidente),
oppure Natura del Buddha (Buddismo) o ancora, nello zen, Nullità, mano sola, faccia
originaria.
Non sono le risposte a rispondere ma è il silenzio. Le altre persone e cose non sono
più viste come separate da noi stessi ma come il nostro proprio corpo (non
dimentichiamo mai però la misoginia di parte del buddismo e di parte dello zen) .
Wu wei, il non agire significa non inseguire le illusioni della mente. L'alienazione
dipende da quanto la vita di una persona è condizionata da mete esteriori (soldi,
successo e bisogni vari …) invece che dalla riflessione sulla natura del vero Sé.
Prendere coscienza del mistero della vita fa molta paura all'io. L'attaccamento
alle proprie idee e preconcetti è troppo forte per potercene liberare.
Dietro qualsiasi discussione vi è attaccamento al giusto e allo sbagliato, al bene e
al male, al mio e al tuo. Liberiamoci! Per far esperienza dell'illuminazione bisogna
essere disposti a liberarsi, ad abbandonare ogni cosa.
L'illuminazione e la vita ordinaria sono la stessa cosa.
L'impermanenza è il vero volto della realtà. Ma noi consideriamo il dubbio come una
debolezza! Invece il "SO' DI NON SAPERE" vale per Socrate come per il Buddismo
Zen (Boddidarma).
La pratica zen ci chiede di arrenderci all'incertezza della vita di ogni momento anche
se all'io il dubbio provoca disagio. Il nostro corpo e la nostra mente non sono due ma
non sono neppure uno!
214
Realizzare l'interdipendenza di tutte le cose senza dualità alcuna.
Gli opposti sono solo nella nostra mente e non c'è nulla da raggiungere: se arrivi
all'illuminazione vuol dire che non è l'illuminazione. In realtà non c'è un'esperienza
dell'illuminazione perché non c'è nessuno ad averla. Abbiamo però sempre
l'aspettativa di una grande esperienza futura che risolverà tutti i nostri problemi!
Cerchiamo qualche cosa che metta fine ai nostri problemi ma è proprio questa ricerca
che ci da pena. Dobbiamo quindi smettere di cercare. Voler capire la propria mente
è impossibile come voler vedere i propri occhi. (Nisargadatta Maharaj)

La nostra natura originaria è già perfetta e il processo di illuminazione


consiste semplicemente nel diventare ciò che già siamo fina dall'inizio.

-INCOMPRENSIBILE -INCONOSCIBILE***
Osho, interpretando Eraclito, dice che la religione divide questo mondo secondo tre
parole, non due: il conosciuto, lo sconosciuto, e l’inconoscibile. L’inconoscibile non
lo si può esaurire. La scienza non crede nell’inconoscibile. Dice: "l’inconoscibile non
è altro che lo sconosciuto". Ma la religione afferma che è una dimensione
completamente diversa: l’inconoscibile è ciò che rimarrà completamente sconosciuto,
perché la sua natura intrinseca è tale che la mente non può affrontarla.
Ciò che è immenso, l’infinito, ciò che non ha né fine né inizio, la totalità... la totalità
non può essere contenuta in alcun modo dalla parte, perché come può una parte
contenere il tutto? Come può la mente contenere ciò che dà origine alla mente
stessa? Come può la mente conoscere la dimensione dalla quale deriva la mente
stessa? E’ impossibile!
È semplicemente impossibile. Come possiamo conoscere ciò da cui deriviamo? Noi
siamo solo onde, come può un’onda contenere l’intero oceano? L’onda può
pretenderlo, perché l’oceano non rifiuta mai nulla, ne ride semplicemente.
L’incomprensibile esiste, l’incomprensibile esiste.
Per quanto tu cammini e percorri ogni strada,
non potrai raggiungere i confini dell’anima,
tanto profonda è l’espressione che le appartiene.
Nessuno si è mai conosciuto, nessuno mai si conoscerà. L'ego è inconoscibile così
come è inconoscibile l'Assoluto. E tutti coloro che hanno conosciuto lo sapevano:
ciò che è vasto, immenso, il Supremo, rimane inconoscibile. Si insiste: conosci te
stesso! Questo però ha solo lo scopo di portarti ad un punto da cui improvvisamente
diventi consapevole che questa è la porta dell’inconoscibile. Solo facendo degli
sforzi per conoscere te stesso, arriverai a percepire l’inconoscibile.
Quando dico che arriverai a conoscere l’inconoscibile,
non intendo dire che lo conoscerai.
Affatto!
215
Ci entrerai dentro.
Non è mai una conoscenza, è un salto.

-INFERNO***
Nelle culture indigene primitive, come quelle africane, che pure erano infarcite di riti
e divinità, l'idea che l'uomo potesse essere punito dopo la morte pare non sia mai
esistita. Chi moriva veniva semplicemente rimosso dai ricordi della comunità. Solo ai
capi era concesso qualche ricordo.
Comunque, già nel II millennio a. C., si fece strada, in alcuni testi egizi, una
concezione dell'aldilà senza ritorno, dove una sorta di giudice celeste metteva sui
piatti della bilancia le azioni negative e positive compiute dal defunto sulla terra. E,
per chi non fosse stato meritevole, si aprivano le porte degli inferi, un mondo
raccapricciante del tutto simile al nostro inferno.
Nella Grecia omerica la situazione era diversa. Ricordiamo il celebre episodio in cui
Ulisse incontra, nel tenebroso Averno, il guerriero Achille che vorrebbe tornare in
vita. Si tratta però solo di un'ombra vagante senza scopo fra le altre ombre senza
consistenza.
Neppure nell'Antico Testamento c'è traccia di un inferno dantesco. Vi è infatti
solo l'accenno a un fosso profondo nella terra, un sepolcro senza ritorno dove
sono confinati tutti i morti: buoni e malvagi insieme.
Solo a partire dal II secolo a.C. inizia a comparire nell'ebraismo l'immagine
dell'inferno come luogo di punizione individuale fra tormenti e pene.
La miccia era ormai accesa e la concezione di una fornace ardente dove regnano
tenebre ed eterna dannazione, è ormai consolidata soprattutto per il Cristianesimo.
Solo Origene cercò di rendere la pena temporanea ma fu dichiarato eretico ed esiliato.
Anche per l'Islam l'inferno è temporaneo e non eterno nell'ottica che, alla fine, tutto si
può perdonare.
In conclusione, l'Inferno è stato inventato dall'uomo anzi, dalla cattiveria
dell'uomo che ne ha poi attribuito la paternità alla divinità di turno. Il suo scopo è
quello di terrorizzare l'uomo stesso per renderlo più influenzabile.
-INFINITO***
Termine introdotto da Anassimandro come Apeiron (infinito ma anche indefinito).
Euclide che, tra le nozioni comuni degli Elementi, affermava: «l’intero è maggiore
della parte». Ciò però non vale per gli insiemi infiniti. Infatti i quadrati (1x1, 2x2,
216
3x3 etc) sono pari ai numeri naturali. Consideriamo ora la definizione di insieme
infinito, data da Cantor e Dedekind nel 1872: un insieme si dice infinito se e solo
se è equipotente a qualche sua parte propria. È bene sottolineare che questa
definizione, oggi universalmente accettata, fu inizialmente molto criticata perché
contrasta con il senso comune, secondo cui – per dirla con Euclide – «l’intero è
maggiore della parte».

Con l’espressione “horror infiniti”, ovvero paura per l’infinito, si definì il rifiuto da
parte degli antichi di considerare un infinito attuale, cioè qualcosa di concreto e
tangibile. Aristotele scrive infatti che "il numero è infinito in potenza, ma non in
atto".In questo concetto viene ripresa la concezione della scuola pitagorica, secondo
la quale l'infinito sarebbe equivalente all'imperfezione perché mai compiuto, non
pienamente realizzato, come invece accade per il finito, cui non manca niente per
essere completo. La concezione aristotelica dell’infinito potenziale, contrapposto a
quello attuale, resistette a lungo, impedendo di concepire l’infinito come qualcosa di
compiuto; potremmo dire che costituì un vero e proprio dogma che fu seguito fino
alla fine del Medioevo. Verso il 1450 Nicola Cusano introdusse per primo il concetto
di infinito, nelle sue opere “La dotta ignoranza” e “Le congetture”. Cusano, che era
un cardinale, introdusse però l’infinito in maniera teologico – filosofica, nella
contrapposizione tra Dio (infinito) e l’Uomo (finito). Per arrivare alla moderna
concezione di infinito utilizzata in matematica saranno necessari ancora quattro
secoli.

Come si passa da un finito a un infinito? Prndiamo ad esempio un finito, il


triangolo (tre lati) e aumentiamolo di un lato: avremo il quadrato e poi, se
incrementiamo ancora di un lato avremo un pentagono e così via … esagono …
ottagono … decagono fino al numero infinito di lati (oppure alla mancanza di
lati) del cerchio.

L’infinito! Nessuna altra idea ha turbato tanto profondamente lo spirito umano;


nessuna altra idea ha stimolato così proficuamente il suo intelletto; e tuttavia
nessun altro concetto ha maggior bisogno di chiarificazione che quello di
infinito. (Hilbert)

Pascal pensa che il finito sia nulla e l'infinito sia tutto mentre per la grecità
l'infinito era imperfetto e il finito il perfetto.
Pare che solamente quello che non esiste, la negazione dell’essere, il nulla, possa
essere senza limiti e che l’infinito venga in sostanza ad essere lo stesso che il
nulla. (Leopardi che identifica l'infinito con il nulla)

Come concetto, l'infinito spaventa non poco i greci: non è quantificabile, calcolabile,
tantomeno raffigurabile. Aristotele arriva ad ammettere la validità di questo concetto
217
solo sul piano teorico astratto, ma adduce una serie di argomenti contro la sua
effettiva esistenza.

Essendo impossibile verificare l'esistenza dell'infinito attraverso i sensi, dice Bruno,


l'unico modo per giustificare l'esistenza di uno spazio infinitamente esteso è ricorrere
all'intelletto, ossia l'immaginazione: solo questo strumento può varcare i limiti
imposti dalla ragione e dai sensi.

Mentre Kierkegaard parla del "ciarpame della finitezza" esaltando quindi l'infinito, a
loro volta, i greci consideravano perfetto il finito e imperfetto l'infinito.
Nell'infinito si annulla la differenza fra la parte e il tutto ma anche fra il discreto e il
continuo.
Cantor dimostra che di infiniti ce ne sono infiniti, nel senso che dato uno se ne
trova sempre uno più grande: infinito + 1, infinito + 2, infinito + 3, etc. etc.
L'infinito è un insieme i cui sotto insiemi possono anch'essi essere infiniti. (Cantor)
L'infinito è un tutto che non è maggiore di una sua parte.
-INFORMAZIONE***
L'informazione classica è informazione su qualcosa mentre l'informazione
quantistica è la cosa stessa che si da (per quanto possibile).
Wheeler suggerisce che la nozione ultima in termini della quale possiamo meglio
comprendere il mondo non è quella di materia, o energia, o spazio e tempo. È la
nozione di informazione. Il mondo non esiste se non come informazione relativa
che ciascun elemento del mondo ha sugli altri. Il mondo alla radice è relazione,
reciproca informazione. It from bit era lo slogan di Wheeler per dire che l'universo
fisico non è fatto di materia (it) ma di informazione (bit): l'informazione è ciò che
costituisce il mondo! Quindi la realtà è virtuale. Non più dalla materia
all'osservatore ma dall'osservatore alla materia tramite l'informazione. Se gli
osservatori creano la realtà, da dove vengono? Vengono dalla fisica e dall'universo
che è un circuito autoeccitato.
-INDIVIDUO***
Se si coprende che non tutte le civiltà e le culture danno per acquisito e
fondamentale il concetto di individuo, diventa contradditorio formulare sul piano
logico - oltre che pericoloso sul piano pratico - una teoria dei diritti universali fondata
esclusivamente su u concetto particolare di individuo. (Pasqualotto)

218
L'ego è un cosmo che si auto ritiene individualizzato così come un fiocco di neve è
acqua individualizzata dalla nostra mente.
Il taoismo e il buddismo superano il concetto di individuo a favore della
relazione.
I più vivono come se avessero ciascuno una loro mente. (Eraclito)
Gli uomini vivono in una specie di sogno ove credono di essere un individuo
concreto e reale separato dagli altri. (Eraclito)
Tutti gli esseri e me stesso siamo una sola cosa. (Eraclito)
Mishida compie, nel 1911, quella che lui stesso chiamerà la rivoluzione copernicana
della rivoluzione copernicana. Infatti, se il criticismo kantiano, che Nishida conosce
bene, ha operato il mutamento di prospettiva per cui invece di supporre che le
strutture mentali si modellino sulla natura, si suppone che il mondo fenomenico
si adatti alle forme a priori della sensibilità e alle categorie dell'intelletto, Nishida
riporta il baricentro della conoscenza dalla parte del reale poiché «l'esperienza pura
può andare oltre l'individuo» e «non è che essendoci il singolo individuo c'è
l'esperienza, ma essendoci l'esperienza c'è il singolo individuo».

Paradigma dell'individuo e paradigma della relazione. Nel primo caso si pone


l'accento su una individualità che si ritiene ben delineata e circoscritta anche se, forse,
in realtà così non è visto che, probabilmente, tutto è relazione. E' relazione un vaso
che, per essere costruito, necessita dei quattro antichi elementi: terra, acqua, fuoco e
aria. Oltre agli elementi però serve anche l'uomo (in qualità di demiurgo) che, a su
volta, è composto chimicamente parlando, anche da atomi di idrogeno costituitisi
all'inizio dell'universo e cioè 14/15 miliardi di anni orsono. Dunque, semplificando,
per fare un vaso serve un universo intero! Ma è relazione anche la persona umana e,
dunque, il suo presunto "io" visto che il tutto nasce dalla relazione fra i genitori che
nascono dalla relazione dei nonni. La persona necessita poi del respiro e del cibo che
sono relazione con il mondo. Necessita anche la società intesa come famiglia, scuola,
chiesa, amicizie e quant'altro per sviluppare il pensiero che è quindi lui pure
relazione. Infine pure l'universo intero è relazione come dice la meccanica
quantistica. Dunque, tutto è relazione!

-INQUINAMENTO***
Correva l'anno 1960. Frequentavo la scuola elementare di un piccolo paese sperduto
nella povertà della antica pianura padana. Durante la ricreazione ero uso osservare un
torrentello che scorreva attiguo al cortile della scuola. Mi godevo la presenza di

219
diversi pesci di cui mi ritenevo amico. Li salutavo felice e poi correvo a giocare con i
compagni.
Un giorno però, tutto cambiò! I pesci non guizzavano più felici e liberi contro
corrente. Mi sembravano stanchi e svogliati: a malapena si reggevano in acqua.
Alcuni poi se andavano a pancia in su trascinati dalle correnti. Non capivo. Perché i
miei amici pesci era così tristi e malandati?
Da bimbo puro e innocente, chiamai la maestra, massima autorità esistente in loco, e
le chiesi: "Cosa sta succedendo, Maestra?" "Ma niente, approfittiamone, bimbi
scendete in acqua e catturate più pesci possibili per le vostre famiglie … ".
Non capii ma partecipai ugualmente a quella razzia di pesci agonizzanti.
Poi venne il mio nonno preferito a prendermi all'uscita da scuola. Gli mostrai, triste,
la mia parte di bottino. Lui apprezzò. Io no. Mi vide turbato e mi chiese: "Perché non
sei felice? I pesci sono fatti per essere presi e mangiati …" "Ma questi pesci non
erano più vivi … erano già morti o quasi … capisci nonno?" "Credo che tu ti sbagli,
bambino mio. Non esistono pesci di questo tipo. I pesci sono vivi fino a che no non li
prendiamo e li mangiamo".
Però io non rimasi convinto e non li mangiai quella sera i pesci quasi morti … di
inquinamento (questo lo capii molto tempo dopo).
E' un fatto accertato che la Terra si stia riscaldando in maniera inusualmente
rapida. E' diventato chiaro che al riscaldamento contribuisce in misura
considerevole l'attività umana, specialmente tramite l'emissione di anidride
carbonica. (Rovelli; 2015)
Dati del 2016 relativi all'inquinamento: informazione generale diffusa
dall’organizzazione sanitaria mondiale: il 92% delle persone sul globo, cioè oltre 9
persone su 10, respirano aria troppo inquinata, aria che danneggia la loro salute
respiro dopo respiro. I morti che ne conseguono sono una decina di milioni, uccisi da
solfati, nitrati e carbone che penetrano in minuscoli corpuscoli nel nostro corpo, fino
a ucciderlo.
Nel 2016 la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera è balzata a una
velocità senza precedenti al livello più alto mai registrato in 800mila anni: questo
l'allarme lanciato oggi dalla Meteorological Organization, l'Organizzazione
meteorologica mondiale, agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di
meteorologia. "Il repentino cambiamento registrato negli ultimi 70 anni" nelle
concentrazioni di CO2 è "senza precedenti", ha segnalato la Wmo. "Senza rapidi tagli
nelle emissioni di CO2 e di altri gas serra saremo nella direzione verso
pericolosi incrementi delle temperature per la fine di questo secolo, ben oltre i
target fissati dagli Accordi di Parigi", dice il segretario generale Wmo Petteri
220
Taalas, "le future generazioni erediteranno un pianeta ben più inospitale" di quanto
fosse quello arrivato alle generazioni che ci hanno preceduto di quello che abitiamo
oggi. Bisogna agire adesso, anzi ieri, perchè "la CO2 resta in atmosfera per centinaia
di anni e negli oceani anche più a lungo", prosegue Taalas, "e le leggi della fisica ci
dicono che affronteremo un clima più caldo e più estremo nel futuro". Le stime si
basano sui dati di 4.300 città in cento Paesi, relativi al 2016, diversi sia
sull'inquinamento atmosferico, con i tassi di polveri sottili e ultrasottili, che su quello
indoor, causato dall'utilizzo di stufe a carbone o a legna per cucinare e riscaldare gli
ambienti. Dati che risultano sostanzialmente stabili negli ultimi anni.
Secondo la stima, l'aria inquinata è causa del 24% di tutte le morti per attacco
cardiaco, del 25% degli ictus letali, del 43% delle morti per malattie polmonari
ostruttive e del 29% dei tumori al polmone. Il peso maggiore è per il Sud Est
dell'Asia e per il Pacifico Occidentale, che hanno più di due milioni di morti, mentre
la regione europea dell'Oms ne conta circa 500mila.
Il 7% delle morti avviene in bambini e ragazzi sotto i 15 anni. "L'inquinamento
dell'aria ci minaccia tutti, ma i più poveri e i più marginalizzati sopportano il peso
maggiore - afferma Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell'Oms -.
E' inaccettabile che più di 3 miliardi di persone nel mondo, la maggior parte donne e
bambini, stiano ancora respirando fumi tossici ogni giorno dall'uso di stufe a casa. Se
non agiamo subito non raggiungeremo mai l'obiettivo di uno sviluppo sostenibile".

Ovviamente, sottolinea il rapporto, sono le grandi città ad avere l'aria peggiore, e


questo riguarda anche quelle europee, dove a seconda del livello di inquinamento si
perdono dai 2 ai 24 mesi di vita per colpa dello smog. "Molte delle mega città del
mondo superano i livelli indicati dalle linee guida dell'Oms per la qualità dell'aria di
oltre cinque volte - sottolinea Maria Neira, uno degli autori del rapporto per l'Oms -,
e questo rappresenta un rischio grave per la salute".
Ma i "grandi" (e questa volta non sono più la maestra e il nonno ma sono invece le
multinazionali che comandano il mondo e i politici loro sodali) continuano a dire che
non sta succedendo niente di particolare e che tutto va per il meglio, vero Mr
Trump?
-INTERCONNESSIONE -INTERDIPENDENZA -RELAZIONE***

In Africa esiste un concetto noto come Ubuntu, che sta a significare che il senso
profondo dell'essere umano si realizza solo attraverso l'umanità degli altri; se
concluderemo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro e alla realizzazione degli altri.
(Mandela) 

È un'espressione in lingua bantu che indica "benevolenza verso il prossimo". È una


regola di vita, basata sulla compassione, il rispetto dell'altro. Appellandosi all'ubuntu
si è soliti dire Umuntu ngumuntu ngabantu, "io sono ciò che sono in virtù di ciò che
221
tutti siamo". L'ubuntu esorta a sostenersi e aiutarsi reciprocamente, a prendere
coscienza non solo dei propri diritti, ma anche dei propri doveri, poiché è una
spinta ideale verso l'umanità intera, un desiderio di pace.
Sia Confucio che i suoi allievi coltivano l'ideale di costruire l'umanità attraverso
l'armonia. E come? Attraverso le relazioni: le cinque grandi relazioni che, secondo
Confucio, costituiscono l'umano.
La consapevolezza del primato della relazione ha portato i fisici contemporanei a
parlare del primato dell'energia sulla materia, cioè sulle particelle, le quali non
possono più venire identificate, se non come tensione continua, come energia di
legame. Le particelle subatomiche non sono entità separate, ma strutture
energetiche interconnesse in un processo energetico dinamico e continuo. Al
livello subatomico le interrelazioni e interazioni fra le parti che compongono il tutto
sono più fondamentali delle parti stesse. C'è un moto ma non ci sono, in definitiva,
oggetti che si muovono; c'è attività ma non ci sono attori; non ci sono danzatori, c'è
solo la danza!

La relazione è un pensiero dell'io? Come potrebbe se l'io stesso è solo un pensiero?

Dharmadhatu (jijimge): vacuità, assoluto visto come relazione, come infinita


interconnessione tra i singoli fenomeni. Quattro livelli del Dharmadhatu: livello
della relazione fra i fenomeni, della relazione fra fenomeni e principio, della non
ostruzione fra fenomeni e principio e della non ostruzione fra fenomeno e
fenomeno.

Il concetto di relazione (pratityasamutada) è fondamentale sia nel pensiero


buddista (ove la relazione in continuo mutamento tende a sostituire l'io) che
nella meccanica quantistica (ove è uno dei tre principi fondamentali insieme
alla casualità e ai quanti). Ma anche il recente concetto di neuroni specchio si
basa sulla relazionale: infatti noi siamo sintonizzati con gli altri e impariamo a
condividere i gesti e gli atteggiamenti (i films su questo si basano). Infine possiamo
dire che noi siano nati con la cultura greca, nella quale l’individuo si riconosce
unicamente nella comunità: i greci ricavavano la propria identità dalla relazione che è
una delle migliori traduzioni della parola LOGOS. Logos intende significare
principalmente il carattere connettivo di ciò che garantisce la relazione di
contrasto complementare fra tutte le cose.

L'equilibrio di Nash (siamo in matematica) è possibile a condizione che si instauri


una cooperazione tra i giocatori, vale a dire che tutti agiscano non col fine di
ottenere il miglior risultato per sé, ma di ottenere il miglior risultato per il gruppo, e
quindi, indirettamente, ottenendo un risultato migliore anche per sé. Poiché tuttavia
spesso la razionalità collettiva contrasta con quella individuale, è nella maggior
222
parte dei casi necessario un accordo vincolante tra i giocatori (e quindi
una istituzione che vigili su tale accordo) ed una sanzione nei confronti di chi non lo
rispetta, riducendo quindi il profitto del singolo se esso si allontana dalla
combinazione di strategie che garantisce a tutti il miglior risultato, affinché nessuno
trovi preferibile defezionare.

Identità come relazione per Platone, Tommaso D'Aquino, Hegel e Buddismo.


Al di fuori dei rapporti non siamo! Essere è essere in relazione; essere in
relazione costituisce l'esistenza. Esistiamo solo nel rapporto; al di fuori di esso
non esistiamo, l'esistenza non ha significato. Non è  perché pensiamo di essere che
accediamo all'esistenza. Esistiamo perché siamo in rapporto con altri; ed è la
mancanza di comprensione del rapporto che causa conflitto. (Jddu Krishnamurti)
Non solo le cose ma anche i pensieri esistono solo in quanto si costituiscono
attraverso relazioni.

Eraclito dice che la natura (Physis), che è energia diffusa o forza che fa
crescere, ama nascondere il nesso, la relazione tra la sua essenza e i suoi
modi particolari. Dall'Uno tutte le cose, da tutte le cose l'Uno . Ciò sembra
concordare con quanto afferma il Tao: le diecimila creature ed io siamo
l'Uno dice Zhuangzi (chiamato anche Chuang Tzu).

Il primato che in Occidente è stato tradizionalmente attribuito alla categoria di


sostanza, l'Oriente antico lo ha trasferito a quella di relazione, spostando dunque il
centro della riflessione dal soggetto al predicato.

Fa zang (643-712), fu autore di un Trattato sul leone d'oro. Questo sutra deve la sua
importanza al fatto che riprende ed approfondisce un tema già affrontato e sviluppato
negli insegnamenti originari del Buddha, quello della interconnessione tra tutti gli
elementi della realtà.

In principio era la Relazione,


la Relazione era presso Dio
e la Relazione era Dio.
Vangelo di Giovanni 1,1,14

Potremmo anche dire "In principio Dio creò la Relazione" invece del cielo e della
terra.

"In principio era la Relazione". (Buber e poi Mancuso)

Noi uomini siamo relazione a immagine di Dio.


223
L'uomo è relazione. (Kierkegaard)

Ogni io è semplicemente un riflesso del Tutto e delle sue relazioni: l'io è il


Tutto mediato dalla nostra mente!

L’aspetto fondamentale dell'individualità è quello di essere in relazione in


continuo divenire. L'esempio paradigmatico di questo fatto risiede nella presa di
consapevolezza del Sé tramite il riconoscimento dell'altro da sé. Negando di essere
identico ad un altro, il Sé non solo afferma la sua individualità ma, nello stesso
tempo, ne afferma anche la dipendenza dalla relazione con un altro diverso da sé. In
questo modo, viene dunque tolta ogni validità all'idea di una consistenza stabile
della sostanza individuale. L’essenza dell’individuale può essere colta solo come
funzione della sua radicale relatività rispetto a ciò che le circonda. Ciascuna cosa, e
quindi anche ciascuna coscienza individuale è, nello stesso tempo, medesima ed altra
rispetto a tutte le altre con cui interagisce e non esiste nulla indipendentemente da
questa interazione. (Nishida interpretato)

Considerato che ogni cosa è in relazione a qualcosa di altro, gli scettici pirroniani
traevano la conclusione che nulla è in sé e per sé.

Secondo Kant “se sopprimessimo il nostro soggetto tutte le relazioni fra gli
oggetti sparirebbero”!

Whitehead sostenne che fra le entità elementari e le loro relazioni vige implicanza
reciproca: nel senso che le entità costituiscono le proprie relazioni e ne sono
costituite, ovvero, più precisamente, che ogni particella riunisce in sé le influenze di
tutte le particelle che la precedono temporalmente e trasmette i suoi caratteri a quelle
che le succedono. Un simile relazionismo si ritrova fra i principi fondamentali del
materialismo dialettico, secondo il quale ogni fatto o evento va indagato “nella sua
connessione generale con la totalità del mondo”, studiando le cose nella loro
“universale azione reciproca” (Engels).

Simone Weil scrive: «Lo sguardo e l’attesa sono l’attitudine che corrisponde al bello.
Fin quando si può concepire, volere, desiderare, il bello non appare. Questa è la
ragione per cui, in ogni bellezza, c’è contraddizione, amarezza, assenza irriducibili».
Se si sostituisse a “bello” e “bellezza” la parola “relazione”, il significato dell’intera
frase manterrebbe intatta la sua validità: perché in ogni relazione – intellettuale,
affettiva, spirituale – sono presenti la contraddizione e l’amarezza che essa ingenera,
e paradossalmente è sempre operante anche l’assenza. Ogni realtà posta in relazione
deve infatti negarsi, “fare posto”, per lasciar essere la relazione e farne trasparire il
carattere simbolico; se così non fosse, non ci sarebbe mai uno spazio vuoto, un luogo
atto a contenere l’incessante movimento della relazione. Se fosse tutto pieno non ci
224
sarebbe relazione alcuna, solo oggetti inerti e sconnessi. Sono necessari dunque il
vuoto, l’apertura, perché si diano le cose stesse – perché le cose o sono in relazione, o
non sono. Io sono “io” in virtù di un “altro” da me, che mi fa essere perché mi
determina, ma che non può riempire tutti i vuoti; è in quella distanza, ovvero
nell’assenza dell’altro che io posso muovermi e determinarmi.

La realtà umana è relazione. L'io è relazione così come l'Assoluto è


relazione.

La verità è una relazione tra esperienze. (James)

I concetti portano l'impronta della civiltà del loro tempo e, quindi, devono
sempre essere pronti a subire una correzione da parte dei fatti. Comunque non
si può supporre che ai nostri concetti corrispondano elementi di stabilità
assoluta, la dove la ricerca è in grado di trovare soltanto delle stabilità nel
legame tra le relazioni. (Mach)

Le cose sono unite da legami indivisibili. Non puoi cogliere un fiore senza
turbare una stella. (Galileo)

Ciò che ci è dato conoscere è solamente qualcosa di condizionato, qualche


cosa che presuppone una relazione fra il soggetto conoscente e l'oggetto
conosciuto. (dice Nietzsche)

Tutto ciò che esiste, esiste come relazione! Sia esso il tempo o lo spazio, sia
esso una cosa, un evento, un fenomeno, un vivente, una persona (se tu mi
ascolti io esisto) o Dio stesso (senza di voi che Dio sarei?). Anche i concetti
quali verità, bontà, giustizia, amore sono pura relazione. La realtà stessa è
relazione. Tutto è relazione!

Ma cos'è una relazione? Prendiamo, ad esempio, due punti: A e B. Sia A il soggetto e


B sia l'oggetto. Congiungiamoli con una linea. La linea è la relazione. Cosa significa
ciò? Per spiegarlo meglio poniamo che il soggetto A guardi l'oggetto B. Guardare è
instaurare una relazione fra soggetto A e oggetto B. Relazione che non potrebbe
sussistere senza uno dei due protagonisti: l'oggetto non potrebbe essere guardato se
non ci fosse il soggetto e il soggetto non potrebbe guardare l'oggetto se non ci fosse
l'oggetto. Detto ciò si rileva che la mentalità dualista occidentale attribuisce molta
importanza (forse troppa) a soggetto e oggetto mentre il pensiero orientale tiene più
in considerazione la relazione cioè, nella fattispecie, il guardare (anche la moderna
meccanica quantistica ha questa posizione).

225
Non solo non vi è alcun soggetto autonomo, ontologicamente solido e stabile; non vi
è nemmeno alcun “assoluto”: dal momento che ogni elemento del reale è un
aggregato di cause impermanenti e interdipendenti, nulla è davvero ab-solutus,
sciolto e libero da condizionamenti, ma ogni elemento appare e si dissolve in una
rete infinita e ininterrotta di relazioni.

Piove. Le gocce d'acqua scendono dal cielo provenienti dalle nubi. L'acqua
nutre erbe, fiori, piante, animali e uomini che, senza di essa, non vivrebbero.
La pioggia in eccesso scorre nei torrenti e poi nei fiumi che vanno tutti a finire
nel mare. Dal mare poi l'acqua, scaldata dal sole, evapora e ritorna in cielo. Si
formano le nubi. Poi piove e il giro ricomincia. Interconnessione globale.

Ogni misurazione è un'interazione, è una relazione fra due fenomeni che li


modifica entrambi. Dopo la relazione della misurazione soggetto e oggetto sono
entrambi cambiati.

Il carattere insostanziale (anatta) e impermanente (anicca) di elementi che,


letteralmente, non sono nulla una volta isolati, ma che acquistano senso soltanto
all’interno di una rete di relazioni e di relazioni di relazioni. Allora, da Eraclito e
Chuang-tzu fino alla meccanica quantistica, il Tutto lo si pensa come un percorso,
innervato da queste sinapsi, intrecci, giunture che interagiscono le une con le altre.

Agostino insegnava che il Logos è prima di tutto relazione: «Come il Figlio dice
relazione al Padre, così il Verbo dice relazione a colui di cui è il Verbo». Il concetto
di Logos come relazione è stato ripreso da altri, fra cui il teologo contemporaneo
Vito Mancuso o lo storico della filosofia Giangiorgio Pasqualotto.

I pomodori (o gli uomini!) che litigano fra di loro non si accorgono che provengono
tutti dalla stessa pianta. L'interdipendenza universale, la rete di Indra.
OGNI COSA E' IN OGNI COSA conferma anche Anassagora parlando di semi che
costituiscono il nostro mondo e gli altri mondi. All'inizio i semi erano mescolati in un
migma caotico e solo l'intelletto cosmico mette ordine: caos e cosmos! Aristotele
riprenderà questi concetti e chiamerà i semi di Anassagora col nome di
"omeomerie", vale a dire entità le cui parti sono simili al tutto: frattali, verrebbe
da dire!

226
Le qualità di una "cosa" non dipendono solo dalla cosa stessa ma anche dai sensi che
la percepiscono.
Per il mistico orientale, tutte le cose e tutti gli eventi percepiti dai sensi sono
interconnessi, collegati tra loro e sono soltanto differenti aspetti o manifestazioni
della stessa realtà ultima. Ricordiamo al proposito che la meccanica quantistica si
basa anche sul principio relazionale (oltre a quello corpuscolare e a quello
probabilistico): "La realtà è ridotta a interazione. La realtà è ridotta a relazione"
come scrive Rovelli.
Dato il numero infinito di fattori necessari all'accadere di qualsiasi cosa, si può
solo ammettere che tutto sia responsabile di tutto, anche in senso lato.
Non esiste fatto, oggetto, persona che possa considerarsi avulsa dal tutto. La vita del
singolo e l'esistenza dell'umanità, l'intero mondo, sono una trama fitta, in cui ogni
passaggio, ogni segmento, ogni punto di incontro è in qualche modo una consonanza,
e deve risuonare in armonia con tutto il resto. E' questo lo spirito stesso del midrash
(metodo di interpretazione delle scritture). (Limentani)
A livello subatomico regna la interconnessione quantica ove le cose sono un tutto
ininterrotto.
227
Tutti i pianeti del sistema solare si influenzano a vicenda: ciò fa si che le loro orbite
non siano perfettamente ellittiche.
Immaginiamo di tirare un sasso nell’oceano al largo della costa della Gran Bretagna.
Dopo il tonfo iniziale, le increspature si dissipano ed apparentemente svaniscono.
Ma, certo, non spariscono realmente: diminuiscono di dimensione, e si mischiano ed
interferiscono fra loro, ma non svaniscono. Due settimane dopo, sulla baia rocciosa
della Terra del Fuoco sulla costa Argentina, una delle piccole onde che si infrange
sulla spiaggia é forse un’impercettibile frazione di un micron più alta a causa del
sasso che abbiamo tirato.

Ogni spiegazione del singolo elemento presuppone la comprensione del tutto.


Ciò che è "la fuori" apparentemente dipende, da un punto di vista rigorosamente
matematico e filosofico, da quello che noi decidiamo "qui dentro" (Zukav)
Dentro e fuori l'universo nessuna cosa di per sé esiste ma ogni cosa esiste solo in
rapporto a tutte le altre cose. Noi però continuiamo a parlare di un tale fiore, di
una data stella, di quella bella nuvola!
La vita ci appare in sostanza come un unico evento, una specie di gigantesca fiamma
che brucia lentamente e da cui partono mille e mille fuochi e fuocherelli individuali,
che non sono però mai fisicamente disgiunti dalla fiamma principale. (Nisargadatta
Maharaj)
Ecosofia di Naess: le persone e gli organismi non possono essere isolati dal proprio
ambiente anche perché un organismo è un'interazione e non un'entità costituita per
sé.
Siamo in un mondo in cui la legge fondamentale è la relazione. Interconnessione
globale dove l'io impallidisce, sbiadisce.
Ogni ente è quello che è perché in rapporto con altri enti dai quali è anche costituito
fin dall'inizio.
Ogni cosa-evento condiziona ed è condizionata: una reciproca implicazione che
connette tutti gli elementi della realtà. Essendoci questo, c'è anche quello e
viceversa. Non esiste elemento che non sia relativo ad altro.
L'elettrone non può essere separato dalla totalità dello spazio che è il suo campo. La
separazione è un'illusione. Le singole particelle non sono entità individuali così
come noi stessi non lo siamo. Ogni cosa interpenetra ogni altra cosa: tutta la natura è
una unica rete infinita. Frammentazione, separazione, spazio e tempo sono solo
un'illusione nata dalla nostra limitata percezione della realtà.
228
Tutto ciò che esiste non è indipendente dal resto, non è un'isola. Tutto ciò che esiste è
relativo a qualche cosa d'altro, è relazionale. Tutta la realtà è una rete infinita
costituita di nodi in movimento continuo.
Ciascuno di noi non esiste in sé e per sé ma esiste in quanto frutto di infinite
relazioni. L'io è frutto di infinite relazioni e il vuoto è una condizione di possibilità:
le cose esistono solo su uno sfondo. Il vuoto è forma e la forma è vuoto.
L'universo della gente comune e anche quello di Newton è un universo di cose
mentre quello di Einstein è un universo di relazioni e di aventi (meccanica
quantistica).
E' dal materialismo che ci dobbiamo liberare noi occidentali! (Zambrano)
Tutto è un costante flusso di energia. Data la syllapsis universale, operando su se
stessi si cambia il mondo. Se si vuole cambiare il mondo bisogna cambiare prima se
stessi. (come dice anche Cartesio).
Connessione dinamica fra opposti complementari.
La simpatia cosmica degli stoici secondo la quale le parti si condizionano a
vicenda.
Soggetto e oggetto sono l'uno nell'altro e non è mai possibile separarli.
Ogni cosa evento è determinata da un nesso infinito di cause: struttura relazionale e
unitaria della realtà. Nesso, rapporto, logos infinito di cause.
L’uomo è figlio di questo universo così come questo universo è figlio dell’uomo.
L’uno genera l’altro, come il seme l’albero e viceversa, in un apparente paradosso
inesplicabile. Ognuna delle due “singolarità” non ha creata l’altra, altrimenti avrebbe
duplicata se stessa, ma si è semplicemente riflessa.
La caratteristica più importante della concezione del misticismo orientale - si
potrebbe quasi dire la sua essenza - è la consapevolezza dell'unità e della mutua
interrelazione di tutte le cose e di tutti gli eventi, la constatazione che tutti i
fenomeni nel mondo sono manifestazioni di una fondamentale unicità. Tutte le
cose sono viste come parti interdipendenti e inseparabili di questo tutto cosmico,
come differenti manifestazioni della stessa realtà ultima. Le tradizioni orientali si
riferiscono costantemente a questa realtà ultima indivisibile, che si manifesta in
tutte le cose e della quale tutte le cose sono parte. Essa è chiamata Brahman nell'
Induismo, Dharmakaya cioè corpo del dharma (parola quest'ultima che significa
insegnamento, legge), il fondamento ultimo di ogni fenomeno, la verità assoluta del
Buddhismo (se nel Buddismo si può parlare di verità e di assoluto), Tao nel Taoismo.
Poiché trascende tutti i concetti e tutte le categorie, i Buddhisti la chiamano anche
Tathata o Essenza assoluta. Nella vita ordinaria, non siamo consapevoli di questa
229
unità di tutte le cose, ma dividiamo il mondo in oggetti ed eventi separati. Questa
divisione è utile e necessaria per muoverci nel nostro ambiente quotidiano, ma non è
un aspetto fondamentale della realtà. E un'astrazione e un'illusione ideata dal nostro
intelletto che distingue e classifica.

Lo scopo principale delle tradizioni mistiche orientali è quello di rimettere ordine


nella mente guarendola e acquietandola attraverso la meditazione. Il termine sanscrito
per "meditazione" è samadhi, che significa letteralmente "equilibrio mentale",
alludendo allo stato mentale equilibrato e tranquillo nel quale si sperimenta
l'unità fondamentale dell'universo.

Il percepito non si da mai nella sua inseità ma in un contesto relazionale.


Noi non siamo semplicemente «circondati» da esseri e da cose con cui saremmo
liberi di decidere se entrare in relazione: siamo invece intimamente relazionali,
poiché la matrice dell’essere di ciascuno è data dall’energia vitale che scaturisce dalla
rete di relazioni entro il cui spazio morfogenetico ciascuno di noi diviene e che con il
suo agire contribuisce a strutturare.

Il bambino in origine non esiste come essere discreto, ma in un’identificazione


primaria con la figura materna. La relazione con l’altra persona che mi accoglie è
dunque la struttura matriciale dell’essere: ossia «io all’inizio sono insieme a un altro
essere umano, non ancora differenziato».

La relazione con altri è struttura ontologica dell’esserci, poiché il ci che segna il


modo di essere di un ente è sempre «l’esserci con altri». La sostanzialità relazionale
è «assolutamente ineludibile», perché è un dato fenomenologicamente evidente
anche quando l’ente che noi siamo si ritira in se stesso. Questa datità evidente diventa
per le filosofie della relazionalità la questione primaria da pensare.

Nessun solipsismo: ciò che esiste, qualsiasi cosa sia, dal momento che esiste,
coesiste intrecciato con tutto il resto.

L'ontologia è relazionale e non a-relazionale. Va superata la concezione


dell'uomo individuo indipendente e autonomo rispetto agli altri e soggetto
autonomo in grado di bastare a se stesso.

-INTERNET***

Sui social network non ci devono essere macchie: vogliamo che gli altri ci vedano
perfetti, economicamente abbienti, intellettualmente preparati, brillanti e
affascinanti. Si indossa una maschera e si scende nell’arena dell’egocentrismo e
del narcisismo. Ciò ha come risultato da una parte la mistificazione della realtà che
230
diventa un luogo inesistente e fittizio, dall’altro la creazione di un sentimento di
invidia da parte di chi osserva davanti allo schermo.

Otto anni fa «Wired Italia» suggeriva di candidare Internet al premio Nobel per
la pace. Oggi (ottobre 2018) l’organizzazione Freedom House intitola il suo ultimo
rapporto sulla libertà di Internet «Ascesa dell’autoritarismo digitale». La
conclusione, basata sull’analisi di 65 Paesi diversi (l’87% degli utenti globali), è che
Internet è sempre meno libero in tutto il mondo e che la stessa democrazia è
danneggiata dal modo in cui viene usato. Mentre la propaganda e la
disinformazione avvelenano la sfera digitale, molti governi utilizzano le stesse fake
news come scusa per reprimere il dissenso.

I social hanno instaurato la dittatura dell’impulso, che porta a linciare prima di


sapere e a sostituire la voglia di capire con quella di colpire. Si tratta di una
minoranza esigua, ma non trascurabile, perché determinata a usare uno strumento alla
moda per condizionare, storpiandola, la realtà. Persone che, in nome del Bene,
arrivano ad augurarti di morire.

La rete fa a pezzi la democrazia rappresentativa. Rinfocola l’odio e la


frustrazione. Rende noiose e sospette le competenze. Dà voce agli imbecilli, come
ha fatto notare Umberto Eco. Toglie spazio alla concentrazione e alla riflessione.
Alimenta il narcisismo, attitudine sterile per definizione. Distrugge il lavoro
impiegatizio e il piccolo commercio. Crea enormi quantità di denaro e di potere e le
concentra in pochissime mani. Certo, resta una scoperta straordinaria. Dipende
dall’uso che ne facciamo. Spesso pessimo.

I social sono dunque il porto franco dell'hate speech, ossia dell'aggressione verbale e
dell'insulto all'indirizzo dell'altro? In parte sì, e la responsabilità è dei loro gestori,
che finora hanno garantito la totale impunità a chi alimenta l'odio, contando sui ritardi
normativi di stati e sovrastati come l'Unione europea. Ha scritto The Daily Beast, sito
tra i più informati d'America: "Instagram, di proprietà di Facebook, è diventato un
rifugio per le figure di estrema destra".
Internet può diventare (oppure è già?) un'arma di manipolazione di massa.
Infatti viene da chiedersi se siamo noi che usiamo, ci serviamo di Internet o se è
vero il contrario.
Le notizie pubblicate tramite i social di Internet sono spesso fake news cioè
notizie false perché manipolate. Molta gente però è convinta che sia la verità.
Dunque la realtà dei fatti ha meno rilevanza di quanto raccontato da Internet!

231
Abbiamo l’impressione di stare insieme, abbiamo tanti contatti sul web, quando
in realtà, su Internet, siamo tutti isolati e privi di legami.

Tim Cook: "Dati sono diventati armi, rischio sorveglianza".


Ridotti i punti di vista, società web ci conoscono meglio di noi stessi.
Oggi l'uso dei dati personali degli utenti internet è stato "reso un'arma con efficienza
militare" dove tutto, "dalle nostre speranze alle nostre paure" è stato assemblato
in "profili digitali" dove "le società digitali ci conoscono meglio di noi stessi",
arrivando a mostrarci solo le cose che ci interessano sino a "punti di vista ormai
limitati anche nelle notizie". "Questa è sorveglianza". È l'allarme lanciato
dall'amministratore delegato di Apple Tim Cook alla conferenza internazionale Ue
sulla privacy a Bruxelles, sottolineando che invece la Mela "ha sempre avuto la
privacy nel suo sangue". 
La tecnologia può fare progredire la società "allo stesso tempo può fare danni
anziché aiutare", e oggi si vede come "può in verità ingrandire le peggiori
tendenze umane" o "rendere più profonde le divisioni" sino a "minare il
discernimento tra quello che è vero e quello che non lo è". È il monito lanciato da
Cook alla conferenza Ue sulla privacy, sottolineando che di per sé la tecnologia è
neutra, "non vuole fare cose buone, non fa niente in realtà", ma quello che fa, il suo
uso, "dipende da noi".

-INVARIANTE***

L'Assoluto è puro essere senza attributi (tesi). Ma il puro essere senza attributi è
il nulla (antitesi). Quindi l'Assoluto è il nulla (sintesi). (Hegel)
Reale per Einstein significava indipendente dall’osservatore, e l’unico modo per
capire che cos’era indipendente dall’osservatore era confrontare tutti i punti di
vista possibili e sperare di trovare quelle rare chiavi di volta che non cambiano
dall’uno all’altro. Quello che è reale è quello che è invariante. (Gefter)
La Gefter ci racconta di come si sia trovata in piena adolescenza ad affrontare una
domanda che le avrebbe cambiato la vita, questa domanda gliela pose suo padre:
“Come definiresti il nulla?”. Per quanto possa sembrare astratta e filosofica, questa
è la domanda che portò poi la ragazza a studiare la relatività einsteiniana, la
meccanica quantistica e ad intervistare numerosissimi fisici contemporanei sulle loro
più complicate teorie, pensate per dare una spiegazione a tutte le cose. Il tutto con un
unico fine: stabilire se la realtà fosse riconducibile stabilmente (cioè in maniera
invariante) presso qualcosa (per esempio lo spazio, il tempo, le particelle, la luce)
o se il reale non fosse nient’altro che nulla.

232
Il nulla è, per la Gefter, “uno stato infinita, illimitata omogeneità“. Questo stato
non è quindi una mancanza d’essere, non è non-essere come l’avrebbe definito
Parmenide. Al contrario, il nulla è come un qualcosa privo di bordo, ma un
qualcosa privo di bordo che si estende quindi all’infinito non è qualcosa: è
indefinibile,  è, appunto, nulla. Il processo tramite il quale il nulla diventa qualcosa è
quando gli poniamo dei bordi, cioè un confine che lo racchiuda e lo definisca in
un’altra conformazione finita.

È come se tu costruissi un castello di sabbia sulla spiaggia e poi lo distruggessi.


Dove va a finire il castello? La ‘cosità’ del castello era definita dalla sua forma, dai
confini che lo differenziavano dal resto della spiaggia. Il castello e la spiaggia, il
qualcosa e il nulla, sono solo due configurazioni differenti. (Gefter)
Torniamo ora al discorso invariante/non invariante. La disperata ricerca della Gefter
verte, quindi, su quelli che sembrano i migliori candidati ad essere gli invarianti per
ogni osservatore, ad essere cioè, come si è detto, la realtà ultima. Inesorabilmente,
ella si ritrova a cancellare dalla sua lista qualsiasi cosa e questo lo fa grazie, come ho
accennato prima, al parere dei migliori fisici odierni.

Un caso noto di dipendenza dall’osservatore è quello di spazio e tempo. La relatività


ristretta di Einstein ci ha mostrato infatti come la misura di entrambi dipenda dal
moto dell’osservatore, per questo si verifica, ad esempio, una “dilatazione del
tempo”: ogni orologio in moto rispetto a noi marcia più lentamente.
Tutto sembra dipendere dall’osservatore. L’osservatore è quindi destinato a crearsi
una sua personale realtà? Il nulla è l’unico invariante? L’osservatore
crea qualcosa dal nulla? Ma come è possibile? Come fa? 

Dialogando con Carlo Rovelli, fisico italiano, la Gefter capisce che Wheeler aveva
torto nel pensare che l’universo si componesse della somma di informazione conferita
da una moltitudine di osservatori. Al contrario pare esserci UN solo “occhio” per
universo: ogni osservatore crea il proprio universo (!!!!!!).

Da dove si crea questo universo? Dal nulla. Il nulla è lo stato di simmetria perfetta,


privo di alcun tipo di informazione. Si acquisisce informazione dal nulla –
trasformando il nulla in qualcosa – quando gli poniamo un bordo. “Il bordo rompe la
simmetria, producendo informazione“. Noi produciamo qualcosa misurandolo, come
quando apriamo la scatola e vediamo se il gatto di Schrödinger è vivo o morto: prima
di misurare può essere sia uno che l’altro, perché è in uno stato di sovrapposizione.

Non essendoci quindi alcun tipo di invarianza da osservatore a osservatore, ma


concludendo la “relatività” di ogni cosa, solo il nulla resta in comune per tutti;
così la Gefter conclude che “il nulla è realtà ultima“.
233
Al termine del libro della Gefter c’è questo dialogo molto significativo, direi, che
ribalta la visione realista per come l’abbiamo sempre pensata:“Conosci la storia
della caverna di Platone?” chiese papà. “Tutti i prigionieri sono incatenati nella
caverna e non possono vedere il mondo reale esterno, ma solo le ombre sulla parete
… La si ritiene una cosa negativa, come se loro non riuscissero mai a conoscere la
realtà. Ma la verità è che bisogna essere inseriti entro un sistema di riferimento
limitato perché vi sia una qualsiasi realtà! Se non fossi incatenata al tuo cono di
luce, vedresti il nulla.”

In un certo senso la realtà non esiste, almeno secondo la nostra concezione classica
che fa riferimento a “qualcosa che sta là anche se non la guardi”; invece da questo
nuovo punto di vista siamo noi a creare la realtà. È strano, dobbiamo essere
“incatenati” a qualche punto vi vista per vedere qualcosa.

Queste conclusioni sono molto forti e inquadrano la fisica e la scienza in generale


non più come analisi di una realtà già data, ma come “marchingegno dietro
l’illusione che ci sia un mondo“. L’idea di creare un mondo misurando (non
immaginandolo a proprio piacimento come una favola, ricordiamolo) è piuttosto
inquietante, questo perché speriamo sempre che ci sia davvero qualcosa di reale
oltre a delle ombre, qualcosa di fisso, invariante, come pensava Platone quando
scriveva il mito della caverna e pensava che il Bene, l'idea del Bene fosse
l'incondizionato, l'assoluto che esisterebbe anche se noi non esistessimo.

Ognuno di noi è convinto di esistere separato dal resto del mondo: qui ci sono io e la
c'è il mondo. Ma non è così! Noi siamo nel mondo, siamo del mondo. Siamo strutture
transeunti (anicca) senza un vero sé (anatta) che fanno totalmente parte del mondo
relazionale che ci circonda, ci avvolge, ci nutre. Noi siamo l'universo che guarda e
riflette su se stesso come dice anche Wheeler.

234
Siamo incastonati dentro l'universo. Questo significa che non possiamo fornire una
descrizione coerente dell'universo senza descrivere noi stessi.

L'incondizionato consiste nella quieta estinzione. (Fazang interpretato)

La realtà è nulla! Nulla è reale! Questa è una delle interpretazioni della


meccanica quantistica relazionale.

INVARIANTE, INFINITO, INCONDIZIONATO, INDFFERENZIATTO,


INEFFABILE, INCONOSCIBILE! Questi sono alcuni attributi del nulla? E
l'Assoluto? E' relazione!

-EGO***
"Chi sono io?" è la domanda fondamentale di ogni filosofia e psicologia.
Immergitici in profondità.

L'io può anche essere disposto a riconoscere l'impermanenza delle realtà che lo
circondano, ma spesso non prende in considerazione la propria impermanenza.

Ogni volta che nasce un pensiero, io sto nascendo. Non vi è nessuna entità
permanente, io è solo una parola. Qualunque cosa ci fosse prima della conoscenza
"io sono" è la verità. Tu sei quello che è precedente all'io sono. Lo stato precedente
alla nascita è lo stato più completo! (Nisargadatta Maharaj)
L’ego è il problema, è per questo che non puoi conoscere te stesso. E l’ego ti fornisce
false immagini di te stesso.

Secondo Leopardi, vi è, al fondo, una sorta di riflesso reciproco, per cui sia l’io, (un
nulla io medesimo), sia il nulla (questo sentimento di nullità) appaiono soggetti di un
moto psicologico che investe l’anima. Io e nulla sono strettamente legati come un
avvolto che avvolge.

Scopo del mistico è prender coscienza della sua inesistenza individuale visto che
non c'è separazione fra l'Assoluto (anch'egli impersonale) e il presunto
individuo.

IO SONO
Pure abitudini di pensieri e sentimenti
Grappoli di ricordi e impulsi
Tuttavia tutti gridano IO SONO

235
L'ego e l'universo
Voi non volete ciò che già avete
Ma volete ciò che non potrete avere
E così continuate a soffrire!
Potete essere l'eterno universo
Ma lottate solo per un piccolo, inesistente ego
Voi siete già quello che cercate

Una delle più fuorvianti tecniche rappresentative nel nostro linguaggio è l'uso
della parola "io". (Wittgenstein)

L'io è una costruzione dell'intelletto con pretese di verità. (Schopenhauer


interpretato)

La volontà del sé di restare attaccato a sé e di ridurre a sé le cose e il mondo.

Il senso dell'io, l'attaccamento all'idea di individualità e personalità è talmente


radicato e ramificato nella storia delle tradizioni occidentali, che molto
probabilmente sarà l'ultima certezza a scomparire. Prova ne sia che anche nei rari
casi in cui tali tradizioni hanno prodotto formidabili esempi di riduzione dell'io -
come nelle mistiche ebraiche, cristiane e islamiche -, ciò è avvenuto, sì, sciogliendo
le pretese del'io individuale, relativo, empirico, ma in riferimento e favore di Dio,
ossia di un super-io inteso come massima unità, d'amore o di potenza. Anche in
questi casi, cioè, l'idea di un sé forte e centrale non muore, ma si trasfigura, passando
dalla forma particolare, personale, egoica, a quella universale del Sé assoluto: in
termini vedantici il jivatman (anima individuale) scopre di coincidere con l'atman
(Spirito universale). Anche in questi casi di suprema realizzazione spirituale l'idea
che vi sia qualcosa di veramente atta, ossia di qualcosa sta in sé e per sé, autonomo,
incondizionato, assoluto continua caparbia a sussistere … anche se tutto è invece
costituito solo da relazione quale funzione costitutiva. Anche l'Assoluto (oltre all'io)
è anatta e quindi relazione. (Pasqualotto)
La visione della struttura relazionale e armonica della realtà consente due
importanti esercizi spirituali. Quando infatti l'io non è più visto come atomo, ma
come parte organica e inscindibile della realtà, come nodo di una rete di
connessioni infinitamente avvolgenti, il porsi dal punto di vista della Totalità,
dell'Assoluto, permette sia di relativizzare l'importanza di problemi, dia
atteggiamenti o di desideri che visti da una prospettiva individualistica possono
essere sopravvalutati (n.d.r. proprio come fece Giobbe), sia il vedere come l'evento
particolare, apparentemente inspiegabile e causa di sofferenza, acquisti invece un suo
senso e vada pienamente accettato nel suo contribuire alla perfezione del Tutto. Il
236
primo tipo di esercizio filosofico consiste dunque in uno sguardo dall'alto sulle cose
del mondo, poiché è solo dal punto di vista della Totalità e dell'Assoluto che le cose
possono essere comprese nella loro giusta dimensione. Ma la visione del Tutto
interrelato produce anche un'altra fondamentale forma di esercizio filosofico, e cioè
quella della rinuncia a combattere con il mondo. (Hadot)
Consideriamo l'opinione di alcuni grandi pensatori occidentali in merito all'ego:
Cartesio, Spinoza, Hume, Kant, Fichte, Hegel, Stirner, Nietzsche, Schopenhauer,
Freud, Jung, Wittgenstein . Cartesio è il massimo esponente della "filosofia dell'io".
Però fonda l'ego su un presupposto non coerente. Infatti dice: "Penso, dunque sono".
E qui Cartesio rimane intrappolato nelle sue stesse parole scambiandole per la realtà.
Infatti avrebbe dovuto limitarsi a dire: "Penso e dunque penso di essere" oppure
"Penso e quindi esistono i pensieri". Invece, impropriamente, deduce, semplificando
troppo, che esiste l'io. Spinoza, nel suo razionalismo monista, afferma che materia e
pensiero sono attributi di Dio e nega sia il libero arbitrio che la finalità, e, dunque,
nega l'io stesso. Hume mette in campo il suo empirismo scettico per affermare che
"noi non siamo altro che un fascio o una collezione di differenti percezioni". Kant
basa il suo ragionamento sull'Ich denke che non può essere ridotto a un io empirico
ma va visto come strumento di conoscenza trascendentale comune a tutti gli esseri
pensanti. Fichte introduce l'acquisizione che l'io si a sempre e soltanto in rapporto a
qualcosa di originario che non è mai, in alcun modo, riconducibile alla singola
autocoscienza (dunque un'io intrinsecamente relazionale). Ma è con Hegel che
abbiamo una più distesa e completa messa in crisi della centralità dell'io quando dice
che "L'autocoscienza è una idealità pura … senza realtà perché essa stessa,
l'oggetto di sé, non è un oggetto, non essendovi alcuna differenza dell'oggetto e di
sé". Max Stirner, considerato il cantore più fervido e coraggioso dell'io
autonomo e assoluto, scrive però: "Se io fondo la mia causa su di me, l'unico,
esso poggia sull'effimero, mortale creatore di sé che se stesso consuma, e io posso
dire: Io ho fondato la mia causa sul nulla". Per Schopenhauer l'idea di un io risulta
solamente come lavoro del rappresentare e, quanto tale, è una costruzione
dell'intelletto con pretese di verità: "l'egoismo pratico considera e tratta la persona
propria come reale e tutte le altre come puri fantasmi". Nietzsche nega decisamente
l'io asserendo che esso non è il proprietario dei pensieri ma uno dei tanti
pensieri. Freud vede l'io come un fenomeno precario "spinto dal'Es, stretto dal
Super-io, respinto dalla realtà". Ancora più marcata appare poi la riduzione di pretese
operata da Jung, per il quale "La personalità cosciente è un segmento più o meno
arbitrario della psiche collettiva". Infine anche Husserl e Wittgenstein non concedono
spazio all'io. Il primo nega la legittimità dell'idea di un io autonomo e assoluto e alle
sue aspirazioni monadiche. Il secondo scrive: "Io non denomina nessuna persona". A
questo punto, una volta constatato che - con la parziale eccezione di Cartesio -
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pressoché l'intera tradizione filosofica occidentale, nelle sue più significative
espressioni, ha evitato di fare dell'io il centro privilegiato di ogni evento del pensiero
e della vita, ci si può chiedere come e dove si sia formata all'interno della civiltà
occidentale, un'idea tanto forte di identità. Forse una possibile risposta potrebbe
essere trovata nell'ambito della politica economica. In particolare nel pensiero di
Hobbes ove giganteggia la guerra perenne di tutti contro tutti in un esasperato e
selvaggio individualismo a cui solo lo Stato può porre rimedio. Concludendo
possiamo riassumere che la relazione ha la meglio sull'ego nella filosofia (anche
Platone, Tommaso e Hegel la pensano così) mentre in economia e in politica accade
il contrario. E il mondo è molto più interessato all'economia che alla filosofia. (Una
libera interpretazione degli scritti di Pasqualotto)
Io uso la parola "io" per rendere più semplice la conversazione con un altro io.
Ma è solo una questione di linguaggio perché, in realtà, non ci sono i due io!
(U.G.)
Buddha dice che la vita è sofferenza e che si soffre perché si desidera. Cosa si
desidera? Si desidera soddisfare e salvaguardare un presunto "Io" ben
identificato e autonomo che, in realtà, forse è invece solo relazione! E si teme la
morte di questo presunto io che, forse, essendo relazione non è mai stato quello
che pensiamo. Dunque la sofferenza dipende dal fatto che gli esseri non sono
consapevoli della loro intima natura relazionale.
Buddha non nega l'esistenza dell'io ma pensa che sia in relazione con ciò che
pensa o che dubita e non sia sostanza come invece conclude Cartesio.

Gli uomini, in generale, tendono a rinforzare sempre più quella fortezza che è l'io.
Ora il problema non è quello di raderla al suolo, ma quello di aprirla, cioè di
mostrare che questa fortezza è costituita in realtà da una rete infinita di relazioni.
Quindi è un superamento dell'io, non è un annichilimento dell'io. Un superamento
dell'io vuol dire che l'io ci deve essere, però dev'essere, come dire, relativizzato,
cioè dev'essere consapevole di essere impermanente e di essere una funzione
relativa con tutto ciò che lo circonda. (Pasqualotto)

E' interessante a questo proposito ricordare anche quanto consiglia Meister


Eckhart a chi intende realizzare se stesso: "devi prima di tutto abbandonare te
stesso … perché soltanto chi abbandona la propria volontà e se stesso, ha
abbandonato davvero tutte le cose".
Jung dice che in ognuno di noi vive anche un altro che ci è sconosciuto e che,
forse, potremmo chiamare il perturbante.

238
L’io va forse inteso come uno specchio che restituisce immagini che non gli
appartengono e si configura non solo come una superficie che restituisce il medesimo
diversamente declinato ma come luogo che va attraversato.

Il sé diventa un vedere senza il vedente, un pensare senza il pensante.

Prego sempre Dio affinché liberi il mio io dal mio io.


Il mio supposto sé soggettivo è in realtà un oggetto di conoscenza!
L'io va interpretato semplicemente come una finzione che svolge una funzione di
relazione e non come una sostanza a se stante.
Ciò che mi divide nel modo più profondo dai metafisici è questo: non concedo loro
che l'io sia ciò che pensa; al contrario considero l'io come una costruzione del
pensiero, dello stesso valore di materia, cosa, sostanza, individuo, scopo, numero;
quindi solo una finzione regolativa, col cui aiuto si introduce, si inventa in un mondo
del divenire, una specie di stabilità e quindi di conoscibilità. (Nietzsche)
Per Nietzsche l'io è un epifenomeno (come l'ombra che ha bisogno di un corpo e
della luce per essere percepita), uno dei molti idoli eterni prodotti dalla metafisica
del linguaggio (quali verità, sostanza, causa). In realtà però l'io non ha consistenza
ontologica ma svolge solo una funzione regolativa illudendoci dell'esistenza di una
certa stabilità e conoscibilità nel mondo del divenire.
Non è che essendoci il singolo individuo c’è l’esperienza, ma essendoci l’esperienza
c’è il singolo individuo e l’esperienza è più fondamentale delle distinzioni
individuali. (Nishida Kitaro)

Il narcisismo è la peggior idolatria perché il proprio “io” diventa il solo


adorabile: esclude ogni altro idolo, non permette di cadere in schiavitù di altri idoli
ma chiede a tutti di essere suoi schiavi.

Il mio io deve essere superato perché non è dall'io che sgorgano i pensieri ma è
dal pensiero che nasce l'io.
Sia nella tradizione brahamanica che nel senso comune induista, la fede
nell'essenzialità dell'io, nella pienezza di sé della coscienza individuale, è la più
radicata e diffusa e, quindi, la più difficile da estirpare da parte del buddismo.
Infatti l'attaccamento all'io è alla base di ogni altro tipo di attaccamento: il soggetto
che si pensa autonomo, autofondante e autosufficiente, proietta infatti questa pretesa
autonomia sulla realtà che ritiene «esterna» a sé, e ne fa così un mondo separato, un
oggetto dotato anch'esso di un sé autonomo.

239
Il corpo non è il mio corpo. La mente non è la mia mente. Io sono già morto. Il mio
ego non esiste più. Sono l'UNO. (Nisargadatta Maharaj)

Temi di essere impersonale. Temi l'impersonalità dell'essere. Vuoi essere una


persona eterna. Questa è la tua condanna. (Nisargadatta Maharaj

Per l'uomo libero non esiste né l'io, né i nomi e neppure i meriti. Andare oltre i
fanatici dell'io, i drogati dai nomi e gli esaltatori dei meriti.
Se hai un io, sei un essere portato ad arrendersi a un'autorità più alta. Se non ce l'hai,
non hai bisogno di obbedire a nessuno.
L'io non esiste mai senza l'oggettualità, la realtà a noi esterna. La riflessione
sull'io è perciò, nello stesso tempo, quella con il suo rapporto con una realtà
esterna. (Dilthey)
Noi non siamo un flusso di esperienze individuali, ma siamo un campo
dell'essere e colui che pensa al campo, che è un'insieme, ne fa parte. L'io è
un'intuizione empirica indeterminata. Non c'è l'io puro (Leib) che abita il corpo
(Körper). Queste sono alcune considerazioni intorno all'Ego tratte dal pensiero
filosofico di Merleau-Ponty. Che poi afferma anche: <<Questa sarebbe la descrizione
dell'Essere alla quale saremmo condotti se volessimo veramente ritrovare la zona pre-
riflessiva dell'apertura all'Essere. E perché questa apertura abbia luogo, perché noi
usciamo decisamente dai nostri pensieri, perché niente si frapponga fra noi ed esso,
occorrerebbe correlativamente svuotare l'Essere - soggetto di tutti i fantasmi di cui la
filosofia l'ha riempito.
Alan Watts scrive: <<Il taoismo, il confucianesimo e lo zen sono espressioni di una
mentalità che si sente completamente a suo agio in questo universo e che vede l'uomo
come parte integrante delle cose che lo circondano. L'intelligenza umana non è un
remoto spirito imprigionato, ma un aspetto dell'intero organismo complicato ed
equilibrato del mondo naturale>>.
La Madukya Upanishad recita poi: <<Non vi è né nascita, né dissoluzione, né
aspirante alla liberazione, né alcuno che sia in schiavitù>>. E infine: <<I così detti
esseri viventi sono l'assoluto che segue cause circostanziali>>.

Pasqualotto ci propone un suo ragionamento intorno all'io in tutta la filosofia


occidentale scrivendo: <<Con la parziale eccezione di Cartesio, pressoché l'intera
tradizione filosofica occidentale, nelle sue più significative espressioni, ha evitato
di fare dell'io il centro privilegiato di ogni evento del pensiero e della vita>>.

<<L'io non è serio>> scrive Merleau-Ponty immedesimandosi nel dolce pensiero di


Montaigne. E aggiunge: <<Quando io tento di cogliere me stesso, si presenta tutto il
240
tessuto del mondo sensibile, e gli altri che sono inclusi in esso>>. Addirittura lo
paragona a un abisso: <<Se non ci fosse questo abisso del sé non esisterebbe nulla.
Solo, un abisso non è un nulla, ha i suoi margini i suoi contorni>>.
Il problema non è più l'io ma che cosa è questo io.
<<E' come se delle marionette danzanti pensassero di essere dei ballerini, anziché
semplici burattini, ed è a causa di tutta questa illusione che diventiamo sempre più
invischiati in questi cordami>>. Questo passo del testo sacro indiano La Baghavad
Gita scritta nel terzo secolo avanti Cristo da un anonimo, ci prospetta l'uomo come un
semplice burattino i cui fili sono tirati dalla Necessità. Da rimarcare che anche
Platone ci porta, più o meno, lo stesso esempio della marionetta nel passo ove scrive:
<<Proviamo a raffigurarci ciascuno di noi quanti siamo esseri viventi come una
marionetta costruita dagli dèi o per gioco o per uno scopo serio: questo non lo
sappiamo, bensì sappiamo che queste sensazioni che albergano in noi ci tirano come
corde o funicelle>>. In conclusione, fin dall'antichità classica occidentale e
orientale, il pensiero filosofico tende a vedere l'uomo, e il suo prezioso ego, come
un semplice burattino nelle mani di divinità lontane e, forse, un po’ assurde per
l'Occidente o, d'altra parte, per l'Oriente, nelle mani della Necessità che tutto
costringe.
<<Mach descrive austeramente l'"io" come "quel complesso di ricordi,
disposizioni, sentimenti, legato a un determinato corpo". Inoltre: "Colori suoni,
calore, pressioni, spazi, tempi ecc. sono connessi fra loro in modo molteplice e a essi
sono legati disposizioni, sentimenti e volizioni. Da questo tessuto emerge ciò che è
relativamente più stabile e durevole, imprimendosi nella memoria ed esprimendosi
nella parola">>. E ancora: <<L'io non è delimitato nettamente, il suo confine è
abbastanza indeterminato e spostabile ad arbitrio>>. Mach ci porta quindi a
rinunciare all'idea di un "io" ben determinato e indipendente dal mondo. Ciò anche in
seguito a una sua esperienza visionaria giovanile: <<In un sereno giorno d'estate
all'aperto il mondo insieme al mio io mi apparve come una quantità di sensazioni
compatta; nell'io questa compattezza era semplicemente maggiore>>.
<<All'analisi riflessiva è essenziale muovere da una situazione di fatto. Se essa non
si desse immediatamente l'idea vera, l'adequazione interna del mio pensiero a ciò che
io penso, o anche il pensiero in atto del mondo, le occorrerebbe, far dipendere ogni
"io penso" da un "io penso di pensare", quest'ultimo da un "io di pensare che penso" e
così via >> scrive Merleau-Ponty. Alla fine, il cartesiano cogito ergo sum, pare una
delle tante instabili nuvole antropomorfiche che si sciolgono in cielo per poi
riformarsi un po’ dopo, un po’ più in là. Nulla di serio, anche se su di esso si regge
buona parte del nostro moderno pensiero occidentale. Cartesio avrebbe forse dovuto a
limitarsi ad un semplice: esiste il pensiero. Chi è infatti che "cogita"? Io? Io chi?
241
Forse l'io è solo una convenzione sociale utile per lo sviluppo e la crescita
dell'uomo sia come specie (filogenesi) e sia come individuo (ontogenesi). Ma pur
sempre una convenzione sociale.
<<La frammentazione che deriva da questo collasso di tanti ego chiusi nel loro
buco nero fatto di realtà illusorie, è alla radice delle discordie fra gli uomini,
delle guerre, e dell'indifferenza dell'uomo nei confronti della salute del suo
pianeta>>. Il dramma delle monadi umane ognuna chiusa in se stessa e nella sua
illusione mondana forse inconsapevole che <<I così detti esseri viventi sono
l'assoluto che segue cause circostanziali>> e ancora <<L'individuo è nato schiavo
perché la natura dell'io è schiavitù>>. Una delle Upanishad, la Madukya recita:
<<Non vi è né nascita, né dissoluzione, né aspirante alla liberazione, né alcuno che
sia in schiavitù>>.
Affinché io sia in e-stasi nel mondo e nelle cose, è necessario che niente mi trattenga
in me stesso lontano da esse: nessuna "rappresentazione", nessun "pensiero", nessuna
"immagine" e nemmeno quella qualificazione di "soggetto", di "spirito" o di "Ego" in
virtù della quale il filosofo vuole distinguermi assolutamente dalle cose>>. Non
siamo, dunque, distinti dalle cose e dal mondo. Il confine è solo una finzione
scenica semplificativa.
<<Merleau-Ponty non oppone dualisticamente l'iniziativa dell'uomo a quella
dell'Essere ma le concepisce nella loro intima unità: nell'azione dell'uomo ne va
dell'Essere, e reciprocamente l'Essere non può concepire la propria teleologia e
divenire consapevole di sé senza il fare e il pensare dell'uomo>>. Questo scrive
Sandro Mancini nel suo omaggio al filosofo.
Questo ribadisce anche Heisenberg <<La scienza naturale non descrive e spiega
semplicemente la natura; essa è una parte dell'azione reciproca fra noi e la natura;
descrive la natura in rapporto ai sistemi usati da noi per interrogarla. E'
qualcosa questo, cui Descartes poteva non aver pensato, ma che rende impossibile
una netta separazione fra il mondo e l'Io>>. Noi ne siamo del mondo. Il mondo è in
noi. C'è un avvolgimento reciproco che rende pressoché impossibile una netta
distinzione. Come abbiamo visto eminenti personaggi della scienza quali Monod,
Mach e Heisenberg concordano fra loro e con Merleau-Ponty nel togliere importanza
all'Ego e alla sua presunta esistenza separata dal mondo e dalle cose. Questa
"moderna masnada" anti Ego trova, come già abbiamo visto, grande conforto
nell'antico pensiero orientale. Infatti, non sono solo alcune eccelse menti occidentali a
pervenire alla conclusione dell'impossibilità di separare l'uomo dalla natura dato
l'intrinseco coinvolgimento dell'uno nell'altro. Anche il pensiero orientale era giunto
alle stesse idee in tempi molto antecedenti. Leggiamo infatti: <<Il taoismo, il
confucianesimo, e lo zen sono espressioni di una mentalità che si sente
242
completamente a suo agio in questo universo e che vede l'uomo come parte
integrante delle cose che lo circondano. L'intelligenza umana non è un remoto
spirito imprigionato, ma un aspetto dell'intero organismo complicato ed equilibrato
del mondo naturale>>.
Anche Giangiorgio Pasqualotto conferma l'assonanza fra occidente e oriente nel
negare la reale consistenza dell'identità propria dell'io scrivendo: <<Non sembra
allora arbitrario concludere che l'esercizio del pensiero umano, a Est come a Ovest -
almeno nei suoi esponenti più significativi - non solo non è mai riuscito di produrre
una convincente e sostenibile teoria dell'identità relativa, ma addirittura, in certi
casi, è riuscito ad elaborare e trasmetterci fondamentali teorie dell'identità relativa o,
meglio, relazionale: da intendersi non in senso debole - come si trattasse
semplicemente di una identità determinata che si mette in relazione con altre
determinate identità -, ma in senso forte, intendendo cioè ogni identità in quanto
formata, intessuta, costituita, in ogni momento della sua vita, di alterità>.
<<La soggettività non attendeva i filosofi come l'America ignota attendeva, nelle
nebbie dell'Oceano, i suoi esploratori; essi l'hanno costruita, fatta, in vari modi.
Ciò che i filosofi hanno fatto è forse da disfare. Heidegger pensa che essi hanno
perduto l'essere da quando l'hanno fondata sull'autocoscienza>>. Dunque, dice
Merleau-Ponty, la soggettività è una costruzione filosofica incominciata con la
grecità. Non è una "scoperta" di qualcosa che c'era già. Ed è una costruzione che
ci ha imprigionati nell'io penso, il pensiero di essere un io è diventato l'essere:
cogito ergo sum. Giustamente Heidegger fa notare che l'autocoscienza si crede di
essere l'essere anche se non lo è. Infatti è solo un "esserci".
<<Perfino il filosofo che oggi rimpiange Parmenide e vorrebbe restituirci i nostri
rapporti con l'Essere quali erano prima dell'autocoscienza, deve proprio
all'autocoscienza il suo senso e il suo gusto dell'ontologia primordiale. La soggettività
è uno di quei pensieri che non si possono elidere, anche e soprattutto se li si
supera>>. Abbiamo dunque capito che il pensiero non è l'essere ma, come dice
Franz Rosenzweig nel libro La stella della Redenzione, il pensiero è solo uno dei tanti
quadri che si possono appendere alla parete bianca dell'essere. Non accade più di
credere che <<la parete era considerata dipinta ad affresco, cosicché parete ed
immagine venivano a costituire un'unità, ora invece la parete in sé è l'unità>>. Ciò
che era successo da Parmenide ad Hegel e cioè considerare la parete bianca (l'essere)
e l'affresco (il pensiero) come unica cosa, non ha più senso essendoci tanti quadri
diversi da appendere e poi togliere quando e se lo si vuole. Il pensiero diviene un
ingrediente, pur se fondamentale, dell'essere nel mondo.
Anche il filosofo Merleau-Ponty è concorde con Rosenzweig quando afferma:
<<Nella proposizione "Io penso, Io sono", le due affermazioni sono si equivalenti,
243
altrimenti non ci sarebbe Cogito. E' però necessario intendersi sul senso di questa
equivalenza: non è l'Io penso a contenere eminentemente l'Io sono, non è la mia
esistenza a venir ricondotta alla coscienza che ne ho, ma viceversa l'Io penso a essere
reintegrato al movimento di trascendenza dell'Io sono e la coscienza all'esistenza>>.
Merleau-Ponty va anche oltre parlando di <<Quella bruma individuale attraverso
la quale percepiamo il mondo>>. Ricorda poi anche che << L'equivoco è essenziale
all'esistenza umana, e tutto ciò che noi viviamo o pensiamo ha sempre più di un
senso>>.
In queste frasi di Merleau-Ponty, l'io si va dissolvendo quasi come una bruma
autunnale, una nebbia senza consistenza. Lo strano è che attraverso questa
dissolvenza dell'io, questa fragilità intrinseca, noi dovremmo cogliere il mondo. Cosa
non semplice quella di capire il mondo attraverso "una bruma individuale" soprattutto
se consideriamo anche che tutto ciò che pensiamo ha sempre più di un senso. Siamo
quasi fantasmi (brume individuali) che percepiscono altri fantasmi ancora più
vaghi (l'equivoco è essenziale alla vita umana).
<<Non sono quindi, come dice Hegel, un "buco nell'essere" ma una fessura, una
piega che si è fatta e può disfarsi>>. L'ego visto come una piega. Stupenda
immagine. Pensiamo a una tovaglia (l'essere) sulla quale si forma una piega (l'io). Fin
che la tovaglia resta a riposo, la piega resta disegnata più o meno alta e orgogliosa. Se
la tovaglia viene, per qualche motivo, tirata da una parte o dall'altra, la piega sparisce.
L'essere riassorbe l'io. Così come il mare riassorbe la sua onda.
In merito all'Io consideriamo anche quanto scrivono David Bhom (fisico quantistico)
e Jiddu Krishnamurti (filosofo apolide): <<E l'"io"… perché l'umanità ha creato
questo "io" che, inevitabilmente, deve causare conflitti? "io" e "tu", e "io sono
migliore di te", eccetera, eccetera.>> dice Krishnamurti. Gli risponde Bhom:
<<Penso che fu un errore commesso molto tempo fa, o, come Lei l'ha definita, fu
una svolta sbagliata, per cui, avendo essa esteriormente introdotto la separazione fra
varie cose noi dobbiamo poi continuare a farlo … non per cattiva volontà, ma
semplicemente per il fatto di non conoscere nulla di meglio>>. L'ego potrebbe
dunque essere stato originato da una scelta sbagliata ma inevitabile visto che non fu
trovata, in quel tempo remoto allorché l'uomo divenne tale, una scelta migliore.
Dice Alan Watts: <<L'inganno sta nella falsa premessa metafisica alla radice del
senso comune; è l'inconscia ontologia ed epistemologia dell'uomo medio, la sua tacita
presunzione che egli sia un "qualcosa">>. Siamo qualcosa? O vogliamo solo
afferrare la mente con la mente?
<<Io, veramente è nessuno, è l'anonimo; è necessario che esso sia così, anteriore a
ogni oggettivazione, denominazione, per essere l'Operatore, o colui al quale tutto ciò
244
accade. L'Io denominato, il denominato Io, è un oggetto. L'Io primario, di cui
quest'ultimo è l'oggettivazione, è lo sconosciuto al quale tutto è dato da vedere o da
pensare, al quale tutto fa appello, di fronte al quale … c'è qualcosa. E' dunque la
negatività, - che non è afferrabile, naturalmente, in nessuno, giacché essa non è
niente>>. Merleau-Ponty ci parla di un certo IO che è nessuno perché anteriore a ogni
denominazione e, come tale, è negatività intesa come differenziale tra il vuoto e le
cose che ci stanno intorno. Un Io sfuggente, anonimo, quasi un niente. <<L'io è
un'intuizione empirica indeterminata. Io non possiedo le chiavi del mondo e
nemmeno quella del mio Io. Posso cogliere soltanto un'Erscheinung. Così come
posso cogliere l'unità dell'Io soltanto nelle sue produzioni>>.
<<Siamo obbligati a scegliere se chiuderci in certezze vuote, oppure accettare
questa incertezza profonda del nostro sapere>>. Tra le certezze vuote di Rovelli
credo si possa annoverare anche questo sfuggente Io oggettivo. Se Rovelli ha
ragione, sarebbe forse opportuno accettare l'incertezza intorno al presunto vero "io"
con serenità. Ci si limiterebbe a un "io" fungente dell'Erscheinung, senza certezze,
così, solo per gioco, senza un inizio e senza una fine, "sempre di nuovo".
Merleau-Ponty scrive anche:<<L'universalità e il mondo si trovano nel cuore
dell'individualità e del soggetto. Non lo si potrà mai comprendere finché si farà del
mondo un objectum. Viceversa, lo si comprende subito se il mondo è il campo della
nostra esperienza, e se noi non siamo altro che una veduta del mondo, giacché
allora la più segreta vibrazione del nostro essere psicofisico annuncia già il mondo, la
qualità e l'abbozzo di una cosa, e la cosa l'abbozzo del mondo […] In definitiva, che
cosa sono io nella misura in cui posso intravedermi fuori da ogni atto
particolare? Io sono un campo, sono un'esperienza>>. Il mondo è dentro il
soggetto non essendo un oggetto separato, è invece un campo ove il mio ego, lui pure
visto come campo, fa la sua esperienza, anzi per meglio dire: io sono
quell'esperienza.
L'ego è forse, nel suo complesso, ciò che in economia viene detto un optimum locale:
non è cioè il meglio in assoluto ma comunque permette una transitoria posizione
prospettica. Noi uomini, invece, ci siamo affezionati troppo all'ego e ci siamo fermati
lì: non vogliamo (o non possiamo?) andare oltre.
Concludiamo questo paragrafo dedicato all'Ego ancora con una riflessione di
Merleau-Ponty: <<Per possedersi, occorre cominciare con l'uscire da sé>>. Solo
mettendoci in discussione come ente autonomo e distaccato dal mondo, forse, solo
così, potremo avvicinarci e capire cosa veramente è questo presunto fondamentale
Ego. Uno scarto fra il niente che io sono e l'essere: <<Non essere niente e abitare il
mondo è la stessa cosa […] sono autorizzato a dire che io sono il mondo>>.

245
Si dice di Dio: nessun nome può nominarti. Ciò vale per me: nessun concetto mi
esprime, niente di quanto viene indicato come mia essenza mi esaurisce: sono solo
nomi. […] Proprietario del mio potere sono io stesso, e lo sono in quanto so di essere
unico. Nell'unico il proprietario stesso rientra nel suo nulla creatore dal quale è nato.
Ogni essere superiore a me stesso (ossia ogni fondamento) sia Dio o l'uomo,
indebolisce il sentimento della mia unicità e impallidisce appena risplende il sole di
questa mia consapevolezza. Se io fondo la mia causa su di me, l'unico, esso poggia
sull'effimero, mortale creatore di sé che se stesso consuma e io posso dire: io ho
fondato la mia causa sul nulla. (Stirner)
Noi non vorremmo mai che le nostre cose si rompessero. Soprattutto se a rompersi
siamo noi stessi!
Chi vi parla ha una forte ripugnanza a pronunciare una parola, il pronome di prima
persona "io". (Trevi)
Le questioni fra il mio io e il mio Dio (se esiste un io, se esiste un Dio e se i due sono
veramente distinti …) saranno o non saranno affari miei?
L'io che sa che tutto è impermanente, non può trarsi fuori dal flusso
dell'impermanenza, ma deve rendersi conto che tale carattere coinvolge anche se
stesso.

………… Così tra questa


immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Leopardi vuole forse significarci che è bello smarrire la propria coscienza
individuale, il proprio io?
La rivoluzione "spaziale" indotta dalla pratica zen interessa non solo il soggetto e gli
oggetti, ma coinvolge anche il rapporto, nel soggetto, tra coscienza e contenuti della
coscienza; ovvero, detto altrimenti, tra io e super-io: di solito, infatti, quest'ultimo
viene immaginato al di fuori o, più spesso, anche al di sopra dell'io, il quale funziona
da osservatore e controllore esterno e onnipresente, come se fosse un occhio di
telecamera che sovrintende a ogni gesto e a ogni parola. Questa situazione è detta
nello zen «afferrare la mente con la mente», ed è dichiarata impossibile o, meglio,
possibile ma disastrosa nei suoi effetti, in quanto conduce alla paralisi o alla follia:
infatti la coscienza della coscienza è impossibile, così come è impossibile che il
fuoco bruci se stesso, che una lama tagli se stessa o che l'occhio si veda.

Vi è poi un secondo fondamentale ambito in cui lo zen, assieme a molte forme di


misticismo, incontra i limiti del linguaggio: è l'ambito del discorso sulla riflessione,
246
mediante il quale il soggetto, l'io presume di cogliersi e di dirsi come unità nello
spazio e come identità nel tempo. La pratica della meditazione consente al punto in
cui il soggetto non può venir nominato: non perché venga annullato in una morta
indifferenza, ma perché viene superato nell' esperienza delle infinite connessioni
- e, quindi, delle infinite differenze - che lo costituiscono e che non possono mai
venire enumerate in modo completo e definitivo.

Il soggetto, proprio in quanto non risulta mai come qualcosa di specifico e


indipendente, non può mai conoscersi dandosi come oggetto della propria
conoscenza.

Il narcisismo è l'innamoramento di sé: tuttavia, mentre per Freud il narcisismo è un


fenomeno causato da funzioni carenti dei genitori, per il Buddhismo sarebbe
endemico alla condizione umana: esso va combattuto non tentando di sostituire al
falso sé un vero sé "superiore" - come intende fare, per esempio, la psicologia
transpersonale - ma va superato rendendosi consapevoli che il sé, come entità
autonoma, non esiste.

L'ignoranza consiste nel considerare l'io come il centro o il culmine di ogni


azione e pensiero: quasi sempre, infatti, le parole sbagliate vengono pronunciate con
il fine, più o meno implicito, di rafforzare la posizione dell'io rispetto al resto del
mondo.

In verità, l'io astuto, senza amore, l'io che vuole il suo utile nell'utile di molti: questa
non è l'origine del gregge, bensì la sua fine. (Nietzsche)
Tu devi voler bruciare te stesso nella tua stessa fiamma: come potresti voler
rinnovarti senza prima essere diventato cenere! (Nietzsche)
E' l'ignoranza che ci porta a identificarci con il corpo, con l'ego, con i sensi e con
tutto ciò che non è l'Atman. E' saggio colui che vince questa ignoranza. (Sankara)
Si potrebbero rappresentare graficamente le differenti interpretazioni dell'Io nel
seguente modo:

247
A B C

Lo schema A indica la situazione dell'individuo ancora immerso nell'ignoranza e


nella sofferenza. Tale individuo è caratterizzato da due condizioni:
l° credere di essere il centro dell'universo;
2°credere di poter diventare sempre più potente, fino al punto di coincidere con
l'Assoluto, rappresentato dalla circonferenza.

Lo schema B indica la situazione dell'individuo realizzato secondo il Vedanta:


l° non presume più di essere al centro dell'universo, ma si conosce come parte di
esso;
2° è completamente compenetrato dell'Assoluto: si identifica con questo, ma non
perché si immagina espanso fino a coincidere con la circonferenza che rappresenta
l'Assoluto, ma perché realizza che l'intera circonferenza ha la potenza di concentrarsi
in lui stesso, come in qualsiasi altro punto ad essa interno.

Lo schema C indica - con le due circonferenze solo tratteggiate -la situazione


dell'individuo "risvegliato " secondo il Buddhismo:
l° non presume di essere al centro dell'universo, perché si conosce come un composto
di stati condizionati e impermanenti;
2° egli "scioglie" anche la circonferenza che rappresenta l'Assoluto, perché ha
scoperto che ogni Assoluto, così come ogni sua determinazione, è vuoto di auto
consistenza e di eternità. Ogni assoluto è quindi anatta e anicca!

L’io non è qualcosa che sta al disopra e controlla gli skandha - come normalmente
riteniamo per colpa dell’avidyõ (ignoranza), che ci fa attribuire alle cose e alle
persone un’esistenza indipendente, inerente, a sé stante (che in realtà non è mai
esistita).

Vogliamo veramente continuare ad esistere per sempre? Vogliamo viaggiare per


sempre con la nostra traballante identità? (Nozik)
Noi siamo altri a noi stessi né più né meno di quanto lo sono gli altri.
La salvezza personale (eterna o meno) potrebbe essere pura vanità …
Apprendere la via autentica è apprendere se stesso. Apprendere se stesso è
dimenticare se stesso. Dimenticare se stesso è essere inverato da tutte le cose. Essere
inverato da tutte le cose è libertà nell'abbandonare corpo e spirito di se stesso e corpo

248
spirito altrui. E' risveglio che riposa da ogni traccia di se stesso, è risveglio che
perpetua il non lasciare traccia di se stesso. (Dogen)
Chi ha stima del proprio sé, quello originale, non lo addobba di cose aggiunte, ma lo
spoglia perché manifesti tutta la sua purezza. Il grande Sé cancella il piccolo sé.
Per Nietzsche la nozione di soggetto è un puro “pregiudizio grammaticale”.
L'io è un altro. (Rimbaud)
Tu sei quello precedente all'arrivo dell'io sono (Balsekar)
Questa è la reale liberazione: sapere che non sei nulla. (Nisargadatta Maharaj)
Anche se tu ti esaminassi, troveresti che non sei niente, e la troveresti Dio; cioè
troveresti Dio invece di trovar te stesso, e non rimarrebbe niente di te tranne un
nome senza forma. (Al Alawi)
Se ti identifichi con ciò che viene e va, sarai infelice. Se ti identifichi con ciò che è
permanente, sei la felicità stessa. (Poonja)
Siamo quindi solo un concetto? Siamo forse solo una finzione? Ci hanno forse
incastrato nelle convenzioni? (Isabella di Soragna)
Quando ci rendiamo conto che non è l'ego che agisce diventiamo l'energia stessa.
Non arriveremo al nostro vero essere finché non saremo liberi dal concetto di sé!
Quando ti chiederanno: “dove eri prima di nascere e dove andrai quando morirai?” ..
tu rispondi; “l’ego è una convenzione sociale, una mera invenzione della mente atta a
rassicurarci”…. Ma, se Dio non esiste e l’ego è una invenzione della mente … chi
siamo o cosa siamo veramente noi?
”Io … non sono mai esistito”. E il senso di libertà sarà totale. Anzi si suole dire che
“sarai oltre la libertà”.
Siamo quello che crediamo anche inconsciamente.
Ogni essere è se stesso e ogni essere è altro a se stesso: indagando se stessi non si
perviene a un nucleo interiore saldo e puro tipo il cogito ottenuto da Cartesio. Si è
sempre se e altro da sé … contemporaneamente!
Siamo l’Inconcepibile, che tuttavia si rivela a noi con mille colori, ma è solo luce
unica incolore.
Il sé è un'invenzione dei filosofi: si vuole personalizzare il principio senza tempo e
senza spazio, si vuole chiamare onda il mare, si vuole chiamare piega la tovaglia.

249
La neurologia ci dice che il sé consiste di molte componenti, e l’idea che sia unico ed
unitario potrebbe benissimo essere un’illusione.
Ho costruito un muro intorno a me, un muro, che sono io stesso.
Chi è questo io sempre presente che, però, non è me?
Non cercate di liberarvi dalla sensazione dell'io: consideratela come un gioco,
come una nuvola, come un'onda …!
Cos'è l'Io se non una creazione artificiale, una sorta di sovrano simbolico che
riassume una quantità infinita di organi, di cellule, di gas, di minerali, di liquidi e
miliardi di miliardi di atomi e di particelle elementari?
Il sé inconscio si prende gioco dell'io razionale: è come un cavallo che porta il
cavaliere dove pare al cavallo....
L'uomo dice io ma il vero soggetto è la vita.
Arrivare al vero Sé per poi dimenticarlo superandolo! meraviglioso!!!
Io, non essendo io, sono io. Io, essendo io, non sono io.
Essere nati vuol significare superare la cresta dell’inesistenza, essere una fluttuazione
dello spazio, come un’onda del mare che ci porta sulla riva, però non siamo mai
giunti alla battigia, siamo rimasti solo sull’onda fluttuante, mentre sogniamo la terra
promessa. Abitiamo l’involucro del tempo e non sappiamo che stiamo solo giocando
alla vita.
L'io ha un senso solo se riesce a superarsi nell'amore.
Tanto l'io umano quanto i corpi esterni sono complessi di sensazioni: noi possiamo
conoscere solo sensazioni. (Mach)
E' l'illusione del libero arbitrio che crea l'illusione dell'io.
La collina dell'ego: l'io è come una collina che, ovviamente, è tutt'uno con la terra
intera (cioè con l'energia primigenia). Ma questa collina pensa! E qui incominciano i
guai. Infatti l'ego decide subito di difendere la propria identità contro le altre identità
(l'io si afferma opponendosi). Fortifica quindi la propria collina con mura e bastioni
(le certezze, i dogmi!) e chiude le poche porte (possibili aperture vero gli altri).
Ovviamente anche gli altri fanno la stessa cosa: tutte le colline divengono fortificate e
chiuse in se stesse. Ma non solo ci si difende, si passa anche all'attacco. Ci si arma di
potenti cannoni (cattiveria) e si inizia a sparare sulle altre colline con motivazioni
spesso risibili. Io sparo a te, tu spari a me in una guerra continua. Il mio dio contro il
tuo, la mia patria contro la tua, la mia famiglia contro la tua! Nessuno è felice! Si
capisce che c'è qualche cosa che non va! Qualcuno si chiede: "Perché non cambiare
250
smantellando questo modo di pensare e di essere?" Sarebbe bello poter abbattere le
mura, aprire le porte e non sparare più sugli altri! Sarebbe bello cessare le guerre
d'egoismo e praticare l'arte del dono empatico! Sarebbe bello spianare anche le
colline e ritornare alla unica grande madre terra!" "Tu sei pazzo" rispondono in coro
le varie colline fortificate..."Tu sei proprio pazzo!"
"IO CHI SONO?" è la domanda fondamentale di ogni filosofia, di ogni religione.
Forse l'errore di fondo della filosofia e della religione occidentale è quello di dare una
grandissima importanza all'io umano che, in realtà, è invece solo una finzione
scenica: utile per sopravvivere certo...ma non per avvicinarsi al mistero dell'infinito.
L'io è una trappola per uomini!
Non continuare ad insistere ad essere qualcuno significa essere liberi di essere
nessuno. (Nisargadatta Maharaj).
Non serve “migliorare l’ego” come cercano di ottenere le terapie di sviluppo
personale per arrivare all’illuminazione, ma, forse, serve solo trovare un modo di
disidentificarsi dal falso, dopo aver avuto l’appercezione della realtà sempre presente.
(Isabella di Soragna).
"Il solo problema è l’identificazione a un’entità immaginata. Sparita l’identificazione
cosa rimane? Siamo tutto e siamo nulla. Anche questi concetti poi svaniranno come
tutto il resto e quello che siamo veramente brillerà senza che ce ne accorgiamo, le
azioni si faranno da sole e al meglio. Il sogno potrà svolgersi non solo senza
interferenze di un "io", ma anche senza una coscienza inventata." (Isabella di
Soragna)
Tutti sanno che l'onda si perde nel mare. Pochi sanno che anche il mare si perde
nell'onda. Ogni volta che un pensiero nasce, nasce un io. Tu sei quello che è
precedente all' "io sono".
Nessuno possiede se stesso....nessuno conosce se stesso...l'io che possiede è anche l'io
che è posseduto....l'io che conosce è anche l'io che è conosciuto...andando più al
fondo poi, l'io è solo una finzione...
La filosofia e la logica occidentale produsse la concezione dell’io “che pone di fronte
a sé un qualcosa da scoprire o da interpretare, un oggetto inerte a cui egli impone le
sue leggi”.
“Tentativo di dare all’Io il suo senso originario”, di essere cioè una costruzione
artificiale della cultura occidentale che ha bisogno “dei due poli invarianti dell’ego e
della cosa”, (l’uno come “unità invariante di vissuti intesi come atti individuali di un
io-polo”, l’altra “come unità invariante di tutte le qualità o le determinazioni
251
individuali di un ente qualsivoglia”), costruzioni vuote e separate, “inventate dalla
cultura filosofica e scientifica dell’Occidente sulla base di un logos che fonda, ordina
e struttura ogni cosa”.
L'ego è, forse, un eco.
Io non denomina nessuna persona. (Wittgenstein).
L'unità dell'io è puramente formale. (Martinetti)
Carattere illusorio dell'individualità. (Schopenhauer)

L'io è un flusso di percezioni. (Hume)

Il sommo bene è la consapevole dispersione della propria identità personale nel


tutto. (Spinoza)

Platone diceva che bisogna morire all'attaccamento del nostro io per vivere la vera
vita.
Gli uomini normali vivono in una specie di sogno ove credono di essere un individuo
concreto e reale separato dagli altri. (Eraclito)
L'io è un burattino e il Sé è il burattinaio. (Nietzsche)
L'io è un altro. (Rimbaud)
L'io è molteplice. (Proust)
L'io è la follia dell'uomo. (Lacan)

Crediamo di vedere noi stessi e non vediamo che l'ombra di noi stessi.
Io sono realmente "io" solo in quanto possibile tu di un altro. (Lowith)
Rosenzweig dice l'Io non è il Tutto perché l'Io ha paura. E se invece avesse paura
perché non sa di essere il Tutto?
Io è solo una piccola piega del grande lenzuolo cosmico che prima o poi verrà stirata.
L'io è una utile finzione scenica....ma non esiste una vera continuità dell'io che
attraversa i vari tempi: passato, presente e futuro...solo la nostra immaginazione né fa
un'unità.
Sartre afferma che l'inferno sono gli altri. Senza gli altri però non vi è neppure un io.

252
Io, che dubito molto del mio io, sono abbastanza sereno e felice... Altri, che sono
sicuri del loro io e lo difendono anche a cannonate, sono un po' meno sereni e felici,
mi pare...
Io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo. (detto zulu)
L'io è anche l'altro, l'altro è anche l'io.
Saper cogliere se stessi come elementi di un sistema infinito, come nodi di un'orditura
infinita, uno degli infiniti casi di connessione e non il centro dell'universo: troppa
hybris! Troppa tracotanza che trasforma una connessione nel centro delle
connessioni.
Chi sei?- gli chiese qualcuno. “Nulla di percepibile o di concepibile: né questo né
quello”- fu la risposta.
Per possedersi, occorre cominciare con l'uscire da sé.
Io non sono altro che una semplice veduta sul mondo.
Alcuni luoghi alti del pensiero sia orientale che occidentale testimoniano
l'impossibilità di porre l'io quale fondamento fisso e sicuro della vita e della realtà.
Ognuno è qualcuno solo in rapporto ad altri. (Pasqualotto)
L’essere dell’io è un qualcosa che vive da un attimo all’altro attimo. Non può
fermarsi, perché scorre inarrestabilmente. Così esso non giunge mai a possedersi
veramente. (Stein)

L'ego è una pluralità di forze, delle quali ora l'una ora l'altra vengono alla
ribalta come ego. (Nietzsche)
L'io viene visto come un fenomeno precario spinto dall'Es, stretto dal Super Io,
respinto dalla realtà. (Freud)
La personalità cosciente è un segmento più o meno arbitrario della psiche collettiva.
(Jung)
Husserl mette in crisi le aspirazioni monadiche di un io assoluto e autonomo.
Il soggetto non appartiene al mondo ma è un limite del mondo.
Imparare a ed essere vuoti di sé e non pieni di sé.
L'io è un sogno molto appiccicoso e insistente dal quale ci si potrebbe o forse, per
meglio dire, ci si dovrebbe svegliare.
Vi sono milioni di bolle e una di quelle è il tuo sé individuale: rompi la bolla e torna
alla tua vera natura. La vera comprensione rompe la bolla.
253
La cura sui che non si riduca a un intimistico rafforzamento del sé autoreferenziale
ma miri, all’opposto, al suo trascendimento. La vera comprensione è che non esisti.
L’ego è il figlio di una donna sterile: non esiste. È solo una falsa proiezione di una
mente ignorante. (Isabella di Soragna)

Far svanire il concetto di identità separata per far sorgere la possibilità di


un'esperienza integrale oltre la distinzione fra io e non io.
Finché credi di fare qualcosa o di ottenere un risultato, significa che sei nelle grinfie
dell’illusione. Dimentica l’illusione, sii Quello. Vai in fondo, sempre più in fondo a
te stesso, finché sparisci. Quando l’”io” scompare, rimane solo e sempre “Quello”.
Perché preoccuparsi?

Freud fu molto incerto su questo tema che pose al centro delle sue riflessioni. Oscillò
a lungo sulla conoscibilità dell'Es, cioè del mondo dove si agitano gli istinti. Sono
conoscibili gli istinti? Chi può entrare nella caverna del profondo da essi abitata?
Solo l'Io potrebbe tentarlo, ma che cos'è l'Io se non una creazione artificiale, una sorta
di sovrano simbolico che riassume una quantità infinita di organi, di cellule, di gas, di
minerali, di liquidi e miliardi di miliardi di atomi e di particelle elementari? Noi
uomini ci chiamiamo Io, la nostra mente ci ha dato questo nome che nasconde sotto il
suo mantello un universo in continuo movimento e in continua mutazione. "Tutto si
muove, tutto cambia, si muovono perfino le Piramidi d'Egitto e anch'io mi muovo e
cambio ad ogni attimo. Io non racconto di me ma racconto un passaggio". Così
scriveva Montaigne nella prima pagina dei suoi "Essais". (Scalfari)
Liberiamo la nostra mente dalle parole e dalle spiegazioni perché in definitiva non c'è
nulla da spiegare. Semplicemente i contorni dell'individualità si dissolvono e la
sensazione di limitatezza non ci opprime più.
Nessun uomo è un'isola. L'essere umano è costituito dalle sue relazioni.

La voluttà di essere nessuno di fronte al mondo nella ripulsa della tragicomica


vanità dell'io tolemaico che si reputa il centro dell'universo. L'essere nessuno
permette di cogliere il respiro delle cose mentre si trasfigurano quando la dualità non
è ancora nata, prima che l'io sorga e cioè quando è ancora disperso in ogni cosa
fuori.

L'io è la coscienza di una coscienza, è il rapporto del finito con l'infinito e con gli altri
finiti, è il rapporto del rapporto.

Come tu sei, così è il mondo.


L'io si afferma opponendosi.
254
Quando ci rendiamo veramente conto che non è l'ego che agisce, diventiamo l'energia
stessa in modo che ogni tipo di gioco non è più personale.
Non pensare nemmeno per un attimo di essere il corpo. Non nominarti, non darti una
forma. La realtà è nel buio e nel silenzio.

L'insieme è la base del nostro essere. Poi però, a un certo punto, si sono imposti i
singoli elementi sull'insieme. Il singolo è diventato la nuova unità esistenziale e l'ego
ha preso il sopravvento su tutto il resto.
Vogliamo essere l'individuo separato ma vogliamo anche naufragare nell'infinito
e così non troviamo pace.
Non solo non c’è un ‘sé’ individuale, ma neanche nessun altro ‘sé. Nessun sé, nessun
‘altro’. Tutto è composto della stessa ‘sostanza’ di vacuità”.

E' solo quando non sono pensato che sono quello che sono: nulla.

Non c'è "io sono" tranne che nel pensiero.


Al potere serviva l'io per poterlo colpevolizzare.
"Alla nascita siamo stati scaraventati in questo mondo senza possibilità di scelta e
l'unica certezza ce abbiamo è quella che un giorno moriremo" QUI E' L'EGO CHE
PARLA! Chi nasce? Chi muore? Chi scaraventa? Chi è scaraventato? Non ad ogni
dualismo! (Nisargadatta Maharaj)
Io non sono né questo e né quello! Sono semplicemente l'Assoluto ineffabile.

Io sono un centro di percezione. Un tizzone incandescente, fatto turbinare, sembra un


cerchio. Cessato il movimento, ritorna tizzone. Così, l'"io sono" in movimento crea il
mondo. L'"io sono" immobile diventa l'assoluto.

Nome e forma, coscienza e incoscienza sono categorie al di fuori di me. Io sono ciò
che sono.

"Io sono". Esamina a fondo questa frase, perché è la responsabile di tutti i guai. L'"io
sono" non è un'idea innata". Avresti potuto benissimo vivere senza. È
sopraggiunta, a causa della tua identificazione con il corpo. Ha creato un'illusione
di separazione dove non ce n'era alcuna. Ti ha reso estraneo al tuo mondo. Senza
l'"io sono" la vita prosegue lo stesso. Ci sono momenti in cui siamo calmi e felici
senza l'"io sono". L'"io sono" ci tiene alla sua continuità perché è falso. La realtà
non ne ha bisogno: sapendosi indistruttibile, è indifferente alla distruzione delle
forme e delle espressioni. Facciamo ogni sorta di cose per rafforzare e consolidare
l'"io sono": tutto invano, perché l'"io sono" comunque si rigenera ad ogni momento.
255
È un lavoro incessante, e l'unica soluzione radicale è dissolvere in modo definitivo il
senso estraniato di "iosono-così-e-così ". Resta l'essere, non l'essere-te.

Ci piace immaginare noi stessi come qualcosa di separato dal mondo. Ma noi
siamo relazioni dell'universo, strutture transeunti che l'universo momentaneamente
asseconda e poi dissipa. Non c'è nessun "io" separato dal corpo e dal mondo. I tre
appaiono e scompaiono insieme.

Ho notato l'emergere in me di un nuovo me stesso, indipendente dal vecchio. In un


certo senso, i due coesistono. Il vecchio continua a fare le sue cose come prima; il
nuovo non lo disturba, ma nemmeno s'identifica con lui.
Qual è la principale differenza tra il vecchio e il nuovo?
Il vecchio insegue tutto ciò che è definito e spiegato. Vuole che le cose si adattino
verbalmente l'una all'altra. Il nuovo non tiene alle spiegazioni verbali: accetta le
cose come sono, e non cerca di ricollegarle alle cose ricordate. L'uno è schiavo delle
abitudini. L'altro no. L'uno concettualizza, l'altro è svincolato da ogni sorta di
idee. Quando riconoscerai l'"io" per quello che è, un grappolo di desideri e paure, e
il "mio", come il ricettacolo di tutto l'occorrente, in cose e persone, per evitare il
dolore e assicurare il piacere, vedrai che l'"io" e il "mio" sono falsi e infondati. Creati
dalla mente, la dominano finché sono presi per veri; non appena se ne dubita,
dileguano.

Entri nella realtà solo se abbandoni le idee di "io" e "mio". Allora ristabilisci il tuo
stato normale e naturale, nel quale non sei né il corpo né la mente, né l'"io", né il
"mio". È la pura consapevolezza di essere, senza essere questo o quello, e senza
identificarti con alcunché di particolare o generale.

Nessun "io" sopravviveva, per cui lottare. Anche il nudo "io sono" dileguò. Poi notai
che tutte le certezze abituali erano scomparse. Prima ero sicuro di moltissime cose,
ora è il contrario. (Nisargadatta Maharaj)

L'io è un espediente intellettuale per faccende pratiche dice lo Zen.


Il concetto di io, come qualsiasi altro concetto, è, tanto per Nietzsche quanto per il
buddismo zen, assolutamente contingente, relativo e convenzionale. L'io ha utilità
solo per sbrigare faccende pratiche. Infatti sia lo zen che Nietzsche cercano di
spiegarne la sua non sostanzialità e il suo carattere di mero espediente. Non deve
essere cristallizzato in qualche cosa di stabile e di fisso. Ne consegue che anche la
dualità soggetto oggetto è del tutto fittizia. Altrettanto fittizia è la volontarietà
dell'azione visto che noi non siamo né fissi e neppure autonomi. Si agisce senza
intenzione e senza finalità. Servono nuove domande e nuove risposte.

256
Amare non è un dovere ma una possibilità: l'egoismo è un errore gnoseologico non
una colpa morale.
Bisognerebbe saper cogliere la connessione universale che tutto e tutti ci lega,
sentire in modo cosmico, percepire l'immensa prospettiva, l'attimo eterno, l'assoluta
tranquillità del momento presente, sentire il presente come eternità.
Tu ed io siamo la stessa cosa pur senza cessare di essere ciascuno se stesso.
L'uomo senza qualità di Musil è preceduto da una analoga affermazione da parte
dello zen che lo paragona al vuoto dalle infinite potenzialità: è come un cerchio senza
circonferenza, sunya!
L'inconsistenza della sostanzialità dell'io condivisa dal buddismo zen. Inconsistenza
che frantuma la vecchia dualità fra soggetto e oggetto.
Chi agisce senza intenzione e senza finalità è veramente libero!
Ricordate la storia del geocentrismo? Per circa due millenni la terra è stata ritenuta
ferma al centro dell'universo secondo il dettato del pensiero aristotelico - tolemaico
fatto proprio anche dalla chiesa. Sembrava una evidenza chiara e indubitabile. Il sole
sorgeva ad est e tramontava a ovest: lui si muoveva e non la terra. Anche e sacre
scritture confermavano che era il sole a muoversi e non la terra. Dunque credevamo
di essere di fronte a una realtà evidente, a una verità indiscutibile. I pochissimi che
osavano dubitare o dissentire correvano seri rischi. La inquisizione vigilava. Ora, per
nostra fortuna, l'inquisizione non può più permettersi di bruciare vivo chi parla di
infiniti mondi finiti. Di conseguenza possiamo permetterci di avanzare qualche
dubbio su un'altra realtà evidente, su un'altra verità indiscutibile: l'io! Il tanto amato
ego potrebbe essere, come già lo fu il geocentrismo, un abbaglio. Potrebbe essere che
l'io è solo una convenzione sociale, un pensiero e non ciò che pensa.

L'IO CRISTIANO!!! Il professor Giuseppe Savagnone, in un dibattito a cui partecipa


anche Odifreddi, (Processo a Gesù) dice: "… alla fine sulla montagna non c'è più la
Torah ma c'è quest'uomo (Gesù) che dice IO … fanciulla IO te lo comando, alzati!
Questo IO illumina il nostro IO e IO vorrei che ognuno di noi quando recita il credo
dicesse IO credo … il dramma più grande per noi cristiani e che il nostro IO è venuto
meno, non abbiamo più un IO in base a cui credere … crediamo perché credono tutti,
si crede … ma Gesù che è stato un IO e ha chiamato i suoi discepoli come un IO e
chiama anche noi oggi riscoprire che siamo un IO". …. Quanti IO! Troppi per un
cristiano?

Quando una persona è nello stato di avidya «confonde il mondo astratto delle cose e
degli eventi con il mondo concreto della realtà». Crede che tutti gli elementi della
realtà siano permanenti, ma è anche e soprattutto crede nell'esistenza di un io.

257
«All'origine di ogni forma di brama sta la falsa opinione che vi sia un io separato e
autonomo come soggetto del bramare». In definitiva, la sofferenza è causata
dall'ignorare che non c’è alcun elemento chiamato «io». Dunque, è chiaro che non ci
sia proprio nulla da acquisire. Nemmeno la buddhità, il risveglio, si possono
acquisire, poiché anch’essi sono vacui.

K
-KANT***
Si beveva un litro di vino Bordeaux al giorno. Pranzava sempre con ospiti. Visse fino
a 80 anni.
Per Kant esistono due diverse realtà. Da una parte c’è la realtà così com’è davvero:
il noumeno, la cosa in sè, e dall’altra c’è la realtà così come noi la percepiamo: il
fenomeno, la cosa come appare a noi. E le due realtà non necessariamente
coincidono.
Importante è l'avvertimento kantiano sulla necessità di passare dalla metafisica alla
critica, cioè dalla pretesa di indicare un principio assoluto della realtà alla
disamina delle strutture a priori con cui viene interpretata l'esperienza.

Il criticismo kantiano ha operato un mutamento di prospettiva, una rivoluzione


copernicana per cui, invece di supporre che le strutture mentali si modellino sulla
natura, si suppone che il mondo fenomenico si adatti alle forme a priori della
sensibilità (spazio e tempo) e alle dodici categorie dell'intelletto (filosofia
trascendentale).

"… o come lo stesso astronomo non può impedire che la luna al levarsi non gli
apparisca più grande, quantunque ei non si lasci ingannare da tale apparenza …"

Le Upanishad, anticipando Kant, dicono che non è possibile definire la vera


essenza delle cose del mondo, poichè ogni tentativo di questo tipo è una
superimposizione di concetti che falsano la vera natura di brahman e ātman, i quali
sono per loro natura inconoscibili. Ogni tentativo, diremmo in occidente, non fa altro
che usare qualche apparenza fenomenica per definire il noumenico.

Molte prove a favore non bastano a rendere vera una proposizione mentre una sola
prova contraria serve a falsificarla. Anticipa quindi Popper.

258
E' fuor di dubbio che vi sia una forte componente kantiana nel pensiero di Nietzsche.
Di quel Kant che ha compreso profondamente la natura dell'apparenza e ne ha
riconosciuto la necessità e l'utilità.
Kant scrive che i sensi non sbagliano, non ingannano. Con ciò vuol significare non
che giudichino in maniera sempre corretta ma, più semplicemente, che non
giudicano. Su questa posizione fu seguito da Goethe, Mach, Nietzsche e dal
fenomenismo che sostiene che le sensazioni (dalle quali derivano i concetti e dai
quali derivano le parole) sono all'origine della conoscenza invece del meccanicismo
newtoniano.
Allo stesso modo di come, nella matematica e nella meccanica, vengono introdotte
alcune idee che facilitano i nostri compiti, così Kant ha introdotto un dispositivo nella
forma del concetto di Ding an sich, come una x alla quale corrisponde una y, l'io,
quale referente della nostra organizzazione spirituale. In questo modo risulta possibile
gestire l'intero ambito del reale tramite soggetto e oggetto.
Domande senza risposta comuni a Buddha e Kant:
Il mondo inteso come universo è finito o infinito?
L'anima è mortale o immortale?
Esiste Dio o non esiste?
I tre postulati della ragion pura pratica (la morale) sono: libertà, immortalità
dell'anima ed esistenza di Dio.
Con il legno storto dell'umanità non è possibile fare sempre qualche cosa di
dritto.

Siamo proprio sicuri che l'imperativo categorico kantiano non nasconda un


imperativo ipotetico? Del tipo: è giusto fare il bene (imperativo categorico) perché
così io riceverò del bene (egoismo e quindi imperativo ipotetico). Alla fine si
tratterebbe dell'universalizzazione della propria convenienza come dice
Schopenhauer.
Il suo più importante libro Critica della ragion pura, all'inizio, nel 1781, non fu
capito da nessuno. Scrisse allora i Prolegomeni per spiegarlo meglio ma complicò
ancora di più la faccenda.
Fu il grande filosofo dell'illuminismo: l'uscita dell'umanità dall'infanzia in cui si ha
sempre bisogno di qualcuno che ci guidi e ci dica cosa fare e come fare.

259
Bisogna pensare con la propria testa sulla base della pura ragione cercando però
anche di mettersi nella testa degli altri usando il metodo critico.
La ragione applicata all'esperienza. Questa è la filosofia critica di Kant.
La ragione senza intuizione è vuota. L'intuizione senza ragione è cieca. Le
intuizioni - sensazioni senza ragione sono vuote mentre la ragione senza i sensi è
cieca.
L'analitica e la dialettica: la prima è la logica della verità mentre la seconda è la
logica dei fenomeni, dell'apparenza quest'ultima pure necessaria. Infatti tutti
vediamo la luna più grande quando è all'orizzonte di quando è allo zenit. Ciò è
semplicemente dovuto a un nostro comune difetto visivo: vediamo piccolo ciò che
sta in alto e grande ciò che sta in basso. Vi ricordate la statua di Fidia?
La rivoluzione copernicana di Kant: non dobbiamo chiederci come sono le cose in
se stesse ma come sono le cose per poter essere conosciute da noi. Invece di partire
dall'oggetto, partiamo dal soggetto. Se vuoi conoscere il mondo, devi prima
conoscere l'uomo che secerne spazio e tempo (forme pure della sensibilità umana e
non più proprietà del mondo), materia e causa (categorie). Però, forse, non esiste il
tempo, non esiste lo spazio, non esiste la causa e neppure la materia, forse. Se non
nella nostra piccola mente.
Ich denke - Io penso è la base di tutto il pensiero kantiano. Ma esiste questo io che
pensa? E, se esiste, è conoscibile? Questo soggetto Kant l'avrebbe chiamato l'io
trascendentale che accompagna ogni nostra rappresentazione. Da sottolineare però
che pure l'io trascendentale non è qualcosa che permane identico perché la sua
identità dipende dai suoi oggetti.
Fenomeno è la cosa come appare a noi. Noumeno è invece la cosa in sé. Grande è la
differenza fra i due per Kant. L'antico pensiero cinese invece dice che tra il noumeno
e il fenomeno non esiste alcun impedimento ma solo relazione intrinseca (li-shi
wuai).
A chi appare il fenomeno? Al genere umano.
Il mondo è determinato dai nostri concetti.
Pensiamo di essere liberi perché ci conviene pensarlo. In caso contrario la vita
umana sarebbe incomprensibile. E se fossimo liberi come il gira-arrosto?
Kant: cosa posso conoscere? (Critica della ragion pura) Ciò che sta nello spazio e
nel tempo. Non posso però conoscere l'anima, il mondo e Dio. Stiamo parlando di
gnoseologia: vero e falso.

260
Come mi devo comportare? (Critica della ragion pratica) La morale. L'etica del
dovere. Devi, quindi puoi. Siamo contemporaneamente il giudice e l'imputato. Kant
era favorevole alla pena di morte. Giusto e sbagliato.
Cosa posso sperare? (Critica del giudizio). Estetica: Bello o brutto.
Cos'è l'uomo?
Limiti della conoscenza umana: interno ed esterno.
Esterno: noi conosciamo sempre e solo il particolare e mai l'universale!
Interno: Critica della ragione pura! La validità della conoscenza non si fonda sulla
conoscenza degli oggetti in sé ma sulle categorie a priori del soggetto.

Critica della ragion pratica: l'universalità della legge morale non poggia su una
dimensione metafisica ma sulla ragione umana.

Una delle famose aporie di Kant consiste nel chiedersi se il mondo, l'universo è finito
o infinito. Solo due opzioni, quindi. Il pensiero orientale invece allarga il discorso.
Infatti, oltre alle due classiche opzioni binarie ove la terza via è preclusa, aggiunge
anche la possibilità che il mondo, l'universo possa essere allo stesso tempo finito e
infinito. E ancora, che sia né finito e neppure infinito.
Noi non potremo mai conoscere l'ambito delle cose in sé. Kant ha ragione anche
secondo la recente metascienza!
Kant respinge tutti i vecchi argomenti metafisici intorno a Dio e all'immortalità e li
sostituisce con una motivazione etica: ci deve essere Dio per ricompensare i giusti
che hanno sofferto su questa terra.
L'uomo è cittadino di due mondi, dice Kant... dimenticando di aggiungere che l'uomo
deve imparare a camminare con un piede in ognuno dei due mondi!
Ogni uomo è un fine e mai un mezzo.
Kant è autore dell'idea della nascita del sistema solare da una nebulosa ma poi si
lascia andare alla fantasia più sfrenata affermano che i pianeti più lontani dal Sole
sono abitati da persone migliori di noi.
Nella Critica della ragion pura vuol dimostrare che la conoscenza si basa sia
sull'esperienza (empirismo sintetico) che sull'a-priori, sull'innatismo (tipo la logica e
la matematica a priori). Giudizi sintetici a priori.
Tempo e spazio non sono concetti come le 12 categorie ma sono pure intuizioni.
Applicando le categorie e lo spazio tempo alle cose non sperimentate si ottengono le
quattro antinomie: il mondo è limitato261o è illimitato? Ogni sostanza è o non è
composta da parti semplici? Esiste la libertà o è tutto necessitato? C'è o non c'è
un Essere assolutamente necessario?
La ragione può solo formulare e non dimostrare l'esistenza di Dio, l'immortalità
dell'anima e la libertà che si giustificano solo da un punto di vista morale per
ricompensare la virtù dei giusti in questa vita.
Kant smonta le tre prove dell'esistenza di Dio: quella ontologica (l'esistenza non è un
predicato!), quella cosmologica e quella fisico-teologica.
Agisci secondo una massima tale che tu possa allo stesso tempo volere che essa
divenga una legge generale.
Nietzsche liquida il contrasto fra noumeno (cosa in sé) e fenomeno asserendo che
siamo ben lontani dal conoscere abbastanza per poter pervenire a una tale
distinzione. L'obiettivo polemico di Nietzsche sono i teorici della conoscenza i quali
sono rimasti penzoloni prigionieri nei lacci della grammatica.
Kant è un euclideo puro e duro, purtroppo per lui! Infatti, secondo lui, gli assiomi di
Euclide valgono come necessità, a priori, del pensiero. Il grande Kant non era riuscito
neppure a immaginare la geometria iperbolica o quella ellittica (nessuna delle quali
rispetta il V° postulato del vecchio Euclide).
Morendo Kant mormora: "Es ist gut" (Va bene, sta bene).
-NISHIDA-KITARO ***
Un esempio luminoso di un pensiero che, in quanto si sa costituito come relazione e
come processo, esprime ai massimi livelli le potenzialità di una filosofia come
comparazione - e più in particolare, quella di una filosofia interculturale - è
rappresentato dall'insieme delle riflessioni prodotte nella prima metà del secolo
scorso da Nishida Kitaro. (Pasqualotto)

Nishida ci prospetta il carattere trans-indviduale del Sé.

Nishida (1870-1945) è stato il primo pensatore giapponese che ha cercato di


elaborare un sistema di pensiero originale e coerente per integrare l’esperienza e la
logica del buddhismo (Buddismo Zen della scuola Rinzai) con le categorie della
tradizione filosofica europea. Intorno alla sua figura e al suo pensiero è nata e
cresciuta la cosiddetta «scuola di Kyoto».

Inizia a formarsi su testi di Kant ed Hegel e si laurea nel 1890 con una tesi sulla
morale kantiana. Viene poi in contatto con i testi di Meister Eckhart e di Hume.
Studia anche Goethe, Dante, Shakespeare e Lessing. Approfondisce William James
che stima molto. Legge la Bibbia nella quale dice di trovare altrettanto aiuto di
262
quello che trova nello zen. Studia, sempre in lingua originale, anche Platone,
Aristotele, Plotino, Spinoza, Fichte e Bergson.

Nishida, quando afferma di poter «distinguere tra l’Occidente che ha considerato


l’essere come fondamento della realtà e l’Oriente che ha adottato il nulla come
fondamento», o di poter dire che «la cultura giapponese non è una cultura del nous,
intellettuale [ma] una cultura delle emozioni» non sfugge alla tentazione di
contrapporre, in maniera troppo semplicistica, due “mondi” la cui identità è ben lungi
dal poter essere definita da simili categorizzazioni. Comunque Nishida afferma che
ciascuna identità culturale si forma e si determina in relazione alle altre.

Agire significa entrare in relazione.

Per lui la vera realtà è in se stessa contraddizione. Nishida però non intende violare
il principio logico di non contraddizione ma solo relatizzarlo visto che esso pare
inadatto a comprendere la realtà.

Compie poi, nel 1911, quella che lui stesso chiamerà la rivoluzione copernicana
della rivoluzione copernicana. Infatti, se il criticismo kantiano, che Nishida conosce
bene, ha operato il mutamento di prospettiva per cui invece di supporre che le
strutture mentali si modellino sulla natura, si suppone che il mondo fenomenico
si adatti alle forme a priori della sensibilità e alle categorie dell'intelletto, Nishida
riporta il baricentro della conoscenza dalla parte del reale poiché «l'esperienza pura
può andare oltre l'individuo» e «non è che essendoci il singolo individuo c'è
l'esperienza, ma essendoci l'esperienza c'è il singolo individuo».

Conoscere se stessi nella negazione di se stessi è il punto di partenza della sua


filosofia.

L’idea che ciò che unifica e ciò che è unificato siano due cose distinte è opera del
pensiero astratto, mentre nella realtà concreta ciò che unifica e ciò che viene
unificato non si possono separare. Per questo la modalità fondamentale della
realtà è di essere uno e insieme molti, molti e insieme uno, qualcosa che possiede
la differenza nell’uguaglianza e l’uguaglianza nella differenza. Una realtà che, come
quella appena descritta, è davvero uno e molti, deve per forza essere automoventesi
senza pause. Uno stato di quiete è uno stato che esiste indipendentemente e che non si
contrappone ad altro, cioè è lo stato dell’uno che esclude i molti. Ma in tale stato
non può costituirsi la realtà.

Nishida non cerca mai di dividere e di categorizzare, non crea un modello


gerarchizzante di gradi ontologici, non mira ad un’unità metafisica, ma ad un’unità
organica che, necessariamente, deve trovare ragione della propria coerenza all’interno

263
di se stessa. Questa è la forza che produce l’unificazione, identica per ogni forma ed
eternamente generatrice.

Scrive alla fine il libro Il sistema autoconsapevole dell'universale, opera in cui


analizza il concetto di autoconsapevolezza sia nel suo aspetto noematico (oggetto
della conoscenza) che nel suo aspetto noetico (soggetto della conoscenza) affermando
come attraverso il movimento della coscienza il Sé possa arrivare a vedere il Sé nel
Sé. Quando il Sé si vede nel Sé diventa tutt'uno con ciò che è visto, per cui può
dimenticare se stesso e rendere possibile un vedere senza vedente.

Per Nishida non vale il principio plotiniano che afferma: «escludi tutte le cose», ma
piuttosto «accogli tutte le cose», incorporandole nel proprio «vero Sé»: anche il
brutto, anche il doloroso, anche l’abietto. Accogliendo ogni cosa, ogni cosa viene
trasformata e a sua volta trasforma il sé che la accoglie.

L’unico vero modo per conoscere davvero le cose stesse, è "conoscere


diventando-le".

Nel 1926 Nishida introduce la “logica del luogo” tentando di portare


l’autoconsapevolezza nel cuore del nulla assoluto.

Da un lato Nishida vorrebbe dire ai monaci buddhisti che «invece di studiare il


sanscrito, bisognerebbe prima esaminare se si può dare la propria vita alla pratica e
alla diffusione dell'insegnamento del Buddha», dall'altro vorrebbe dire ai missionari
cristiani che «invece di studiare la teologia, bisognerebbe esaminare prima se stessi
per vedere se la condotta e i pensieri quotidiani sono in accordo con il vero spirito di
Gesù Cristo».

Ogni cosa - evento è in comunione con le altre e non sussiste alcuna distanza fra
pensato e pensante e tra veduto e vedente. Assenza di ogni dualismo sia in Plotino
che in Nishida (che studia Platone, Plotino e Cusano). L'incrocio tra la filosofia
neoplatonica e l’esperienza che si ricollega a una matrice buddhista porta alla
grandiosa intuizione religiosa e filosofica insieme dell'unità del tutto: il bello si
manifesta nel collegamento e unificazione delle cose. I vari fenomeni vanno colti
nel loro essere RELAZIONE e UNITA'.

Per Nishida la vera realtà è, in sé, contraddizione e quindi, nella nostra


terminologia, conflitto. Egli non accetta la soluzione hegeliana del superamento
(Aufhebung) secondo cui la negazione della negazione porta ad un livello superiore,
più pieno e più vero, fino alla suprema sintesi, ma porta la tensione ed «il travaglio
del negativo» fino alle viscere del reale. L’identità di ciascun ente non riposa su una
sostanza stabile ma sulla coesistenza dei contrari per cui più la contraddizione viene
colta in profondità più si tocca l’intima coesione della realtà. L’auto-identità dei
264
contrari, o coincidenza degli opposti, si applica ad esempio al rapporto tra il soggetto
e l’oggetto, tra il passato e il futuro, tra l’essere e il nulla, la vita e la morte ma anche,
in maniera paradigmatica, tra l’Io e il Tu. (Coccia)

Per Nishida il vero universale dialettico […] non deve porsi come meta suprema,
come compimento finale a cui essi [gli individui particolari] tendono, ma deve
offrirsi come spazio vuoto, come orizzonte aperto in cui essi possano esprimere i
loro significati e i loro valori. Non c’è dunque per Nishida, a differenza di quanto
sosteneva Hegel, alcun processo per cui il Soggetto si fa Assoluto e in cui le singole
sue determinazioni lavorano per realizzare questo progetto di assolutezza: per
Nishida il mondo delle cose è assoluto in ogni momento.
Il vero assoluto deve essere un’identità assolutamente contraddittoria:
trascendenza immanente e/o immanenza trascendente che, per la maggior parte
delle correnti del pensiero occidentale, sono considerate come reciprocamente
escludentisi. Questo è l’unico modo con cui noi possiamo descrivere Dio in termini
logici. Come assoluta autonegazione, Dio contiene un’assoluta autonegazione al
suo interno e si relaziona con se stesso alla maniera di una correlazione inversa. […]
L’assoluto possiede sempre il suo sé in un’autonegazione. Il vero assoluto
modula se stesso con il relativo, è autentica totalità dell’uno, possiede se stesso
nella vera molteplicità degli individui. Autonegandosi, Dio si colloca ovunque in
questo mondo. In questo senso Dio è completamente immanente.

Percepire gli infiniti legami di tutto con tutto, ovvero – per usare una terminologia
buddhista, più specifica – della “non ostruzione tra fenomeno e fenomeno” (shi shi
wuai o jijimuge). Tutto è al tempo stesso nocciolo e guscio, forma e contenuto, uno e
molti; e l’uno è nei molti, e i molti nell’uno. Microcosmo e macrocosmo si
compenetrano l’un l’altro, si rivelano l’uno attraverso l’altro. Così come ogni singolo
fenomeno, che in quanto parte del tutto è già tutto, nell’esecuzione artistica e pure
nelle opere compiute ogni dettaglio è rivelatore dell’insieme, esso è già tutto
l’insieme a cui appartiene. Non ne è mera parte, ma contiene in nuce l’essenza della
totalità, racchiude al livello dell’assoluta immanenza la portata della dimensione
trascendente. Per questo, anche nel più piccolo gesto o nel minimo frammento, è già
contenuto l’universo, anzi, è Dio stesso che vive; si comprende che «Dio è il mondo
e il mondo è Dio».

Nishida riflette intorno alla conoscenza in grado di accostarsi davvero al mondo, e


di scoprirvi la presenza di un assoluto che da esso non è distaccato, così come
permette di cogliere attraverso l’esercizio dell’arte e nelle opere dei grandi artisti la
presenza operante di una trascendenza immanente. Questa è una conoscenza che
non si distingue in ultima istanza dall’amore, in quanto «attività in cui l’io coincide
con le cose».

L’autentico sentimento religioso è uno stato d’animo assolutamente umile, uno stato
265
d’animo in cui si è completamente rinunciato a sé. La strada per raggiungere la
completezza e la perfezione consiste in quella «rinuncia a sé» che si riscontra
proprio nei grandi artisti, così come nelle grandi personalità religiose.

Nishida non parla di una ekstasis plotiniana che eleva corpo e spirito a un livello
metafisico ma parla invece di una capacità di interiorizzazione che espone a un
contatto più intimo con le cose stesse, nel qui e nell’ora dell’esperienza creativa.
Dal discorso plotiniano, dunque, viene espunta ogni forma di “metafisicizzazione”
dell’esperienza, piegandone il pensiero verso un’immanenza tipica della sensibilità
giapponese, che non proietta mai in un altrove trascendente la dimensione di
spirito che permea e avvolge ogni elemento naturale ed ogni oggetto d’arte.

L’essenza dell’artisticità non risieda in una soggettività prorompente, nella


personalità di genio, bensì nella capacità di farsi uno con le cose che si intendono
descrivere, figurare, con le emozioni che si fanno catturare e riprodurre. È già tutto
implicito nell’espressione nishidiana del «conoscere diventando» le cose; e forse
Nishida aveva in mente la frase di Plotino secondo cui «ogni anima è e diventa ciò
che contempla».

Il cosiddetto mondo della realtà non è l’unico mondo datoci. Anzi, bisogna dire
che il mondo costituito tramite un simile concetto non è altro che la superficie della
realtà. Dietro a un tale mondo c’è il fluire della vera realtà, riempito di una grande
vita il cui fondo è sconosciuto. Proprio questa realtà è l’oggetto dell’arte.

Il punto centrale è dunque, una volta di più, la rinuncia all’ego, lo spogliarsi di un


io che, quando non coincide con il «vero Sé», si pone come schermo, filtro, ostacolo
al contatto con il mondo, perché si attacca ai propri schemi mentali, pensieri e
pregiudizi. Invece di accoglierli e al tempo stesso lasciarli fluire – non si tratta infatti
di negarli o di rigettarli, poiché ciò costituirebbe una nuova forma di attaccamento ad
essi, anche se di segno negativo – rischia di rendere impossibile sia il “farsi”
spontaneo dell’arte più profonda e pura, sia il compiersi di ogni atto morale.

Nishida, pur riconoscendo l’eccellenza della cultura occidentale moderna, non ritiene
che essa sia l’unica valida.

Sperimentare significa conoscere le cose come sono. Significa conoscerle mettendo


completamente da parte i propri artifici ed essere guidati dalle cose stesse. Dal
momento che, di solito, quando si parla di esperienza si comprende anche una
certa attività mentale, qui si indicherà con "pura" la condizione dell'esperienza
come davvero essa è, senza l'aggiunta del benché minimo pensiero o della benché
minima riflessione. Per esempio, quando vediamo un colore o sentiamo un suono,
l'esperienza pura è quella del momento precedente non soltanto all'aggiunta del
nostro giudizio circa la provenienza esterna di ciò che vediamo o sentiamo o a
266
qualunque sensazione che noi proviamo, ma è precedente persino all'identificazione
stessa del colore o del suono. Esperienza pura è dunque sinonimo di esperienza
diretta. Quando si sperimenta il proprio stato conscio, non c'è soggetto né
oggetto; il conoscere e l'oggetto della conoscenza sono la stessa identica cosa.
Questa è la più pura forma di esperienza. 

-KOAN**
Il koan, originariamente, era un editto imperiale che, come tale, significava una realtà
di fatto. Nella tradizione zen è venuto a rappresentare una espressione verbale che
tenta di descrivere la realtà per quella che è intimamente. Realtà che però né le
parole e neppure i pensieri possono descrivere tutta intera. Viene quindi detta in
maniera allusiva che non delimita ma che si limita a suggerire invitando
all'esperienza diretta.
Secondo lo zen conviene assumere, di fronte al linguaggio, la posizione di
neutralità rinunciando sia all'idea della sua onnipotenza che a quella della sua
inutilità. Ad esempio, la risposta ad un Koan rinzai non intende rispondere al
contenuto della domanda, ma cerca di mostrare la precarietà della domanda o,
addirittura, l'assurdità di un domandare che richieda risposte definite e
definitive: il koan ha la capacità di spiazzare completamente l'interlocutore,
aprendogli però la possibilità di riflettere sui limiti, sullo scopo e sul fondamento del
linguaggio.

Il Koan si serve del linguaggio usuale per poterlo superare scalzando le sue
pretese di descrivere la realtà.
I koan sono numerosissimi, ma in realtà potrebbero esseri infiniti, in quanto infiniti
sono i modi con cui possono venire spezzati i luoghi comuni, sia linguistici sia
concettuali, nei quali l'interlocutore è immerso e dai quali è condizionato: i koan
servono a fargli sperimentare direttamente, talvolta in modo brutale,
l'inconsistenza e l'impermanenza, ovvero la vacuità di ogni discorso che si
pretenda definitivo e di ogni teoria che si voglia assoluta.

Il Koan dovrebbe annichilire i concetti consolidati aprendo nuovi orizzonti.


Bisogna cogliere la realtà intuitivamente, senza usare parole, pensieri o concetti.
Ai Koan non si risponde con la logica duale. Da rimarcare che lo stesso
ragionamento vale anche per la vita. Alle domande della vita e dei koan non si può
trovare soluzione: al massimo si può aspettare la dissoluzione!
Esiste ciò che non esiste? (gioco di parole perché tale distinzione è meramente
logica)
267
Quale era il tuo volto prima che tu nascessi?
Qual è il suono di una mano sola?
Questi indovinelli, come la vita stessa, non possono risolti in nessuna forma razionale
perché il Koan ha il semplice scopo di riunire soggetto e oggetto e di svegliarci
alla realtà non duale immergendoci nella vita.

L
-LEOPARDI***

Il forse è la parola più bella del vocabolario italiano, perché apre possibilità, non
certezze. Perché non cerca la fine, ma va verso l’infinito.
Giacomo, forse, sogna di uscire da sé per andare verso l'ininito. (Rovelli
interpretato)
Che Giacomo Leopardi sia stato non solo un grande poeta ma anche un vero
filosofo, uno dei maggiori filosofi italiani, è diventato ormai un luogo comune.
Filosofo soprattutto coerentemente materialista secondo alcuni, empirista secondo
altri, o infine nichilista, benché eroicamente e generosamente morale nella sua
compassione per la sorte infelice del genere umano, compassione che ispira
solidarietà. Secondo il fisico Rovelli, Leopardi ha anche fatto profondamente proprio
il sapere scientifico a lui contemporaneo, e prima l’astronomia, madre delle scienze.
Fu, dunque anche un notevole scienziato così come lo fu il suo quasi contemporaneo
Kant che, però, non fu certo un poeta!
Leopardi, nello Zibaldone, scrive:“dove il nulla vi è, quivi niuno impedimento è che
una cosa non vi stia o non vi venga”. Qui il nulla, in quanto non-essere, implica
una sorta di “vuoto”, nel quale la cosa può dimorare. Stiamo parlando del puro
nulla negativo meta-fisico (oltre la fisica). Ma poi Giacomo dice anche: “Io era
spaventato nel trovarmi in mezzo al nulla, un nulla io medesimo”. Siamo passati al
nulla esistenziale: un io esistente che si sente però nulla. Si sta quindi confrontando
l'essere con il nulla. Nulla ed essere vengono così legati da un sottile filo che è quello
dell’enigma. L’enigma per cui dall’apparente non-essere scaturisce l’essere. (Roselli
interpretata)

Quando Leopardi nello Zibaldone dice che “Principio delle cose, e di Dio stesso è il
nulla”, ebbene, è lì che dobbiamo andare a cercare in questo nulla qualcosa di
essenziale, di esistenziale. Un nuovo legame più autentico, più originario, fra nulla ed
essere. Contrastando la nichilistica idea di un nulla come vuoto “niente”, e superando
quindi l’accezione metafisico-negativa del nulla nichilista, l’ontologia del nulla
svelerà fra nulla ed essere una relazione 268autentica, originaria. Se “Tutto è nulla”,
come Leopardi sostiene, significa che ciò che è assume la propria esistenza grazie al
nulla che “fa sì che le cose siano quelle che sono: fragili, effimere, mortali”. Nulla
fondante, quindi. Principio-radice di tutto ciò che è. Il quale viene conservato dal
nulla stesso nel proprio arcano essere. L’essere sorge dal non-essere. (Roselli)

Il nulla che, ontologicamente parlando, dà l’essere alle cose. Cose che sono nulla.
Che si sentono nulla (un nulla io medesimo). Che vivono il loro “arcano, mirabile e
spaventoso dell’esistenza universale” solo grazie al nulla. (Roselli)

La poesia leopardiana sembra essere il luogo dell'essere come nulla. Il suo


linguaggio non è solo poetico ma è soprattutto profondamente filosofico.

"Tempo verrà che esso universo, e la natura medesima, sarà spenta. Un silenzio nudo,
e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso". (Cantico del gallo silvestre)
Divenuto indifferente al cristianesimo e incerto anche nei confronti di Platone,
sempre più Leopardi vede nell’idea di un Progresso «perpetuo necessario
illimitato» niente altro che un’ideologia demiurgica e consolatoria che teologizza
la Storia. Dice Tilgher: «Il Cristianesimo professava il Dio-Uomo; la filosofia del
Progresso l’Uomo-Dio». Così l’onnipotenza veniva trasferita dal cielo in terra e
messa nelle mani degli uomini, o più precisamente degli economisti e degli scienziati.
Secondo Rensi, c’è perfino da deplorare «che Leopardi sia stato troppo letterato e
abbia dato alla cultura e all’opera letteraria una soverchia importanza. Se Leopardi
fosse stato unicamente filosofo e avesse dedicato la sua intelligenza all’elaborazione
d’un sistema, il pensiero italiano avrebbe avuto, prima e meglio di quello germanico,
Schopenhauer e Nietzsche armonizzati in una costruzione unica». Il Rensi loda in
Leopardi il coraggio (quasi buddhistico) di riconoscere la «verità dell’infinito Nulla».

Leopardi scrive che la vita è sofferenza: prima nobile verità buddista. Poi aggiunge
che la sofferenza deriva dal desiderio: seconda nobile verità buddista. La terza nobile
verità afferma che si desidera per ignoranza e la quarta nobile verità ci insegna come
vincere l'ignoranza. Qui Giacomino nostro non arriva! Si ferma alla seconda nobile
verità e cioè: la sofferenza deriva dal desiderio dell'infinito che non potrà mai
essere appagato per colpa della natura matrigna cattiva. Scarica la colpa sulla
natura antropomorfizzata e non coglie che la colpa è invece della mente duale
che divide se stessa dalla natura. Questo è il vero enigma dell'esistenza dell'essere
che, per Giacomo, ricordiamolo, è nulla nel senso che deriva dal nulla-infinito e al
nulla-infinito ritorna.

I tre pilastri del Buddismo sono:

dukka (la sofferenza sia fisica che spirituale)

269
anicca (l'impermanenza di ogni fenomeno)

anatta (l'assenza di un vero sé autonomo e irrelato)

Ora analizziamo se Giacomino nostro ha incontrato queste tre esperienze.

… tutto al mondo passa, e quasi orma non lascia. (Impermanenza! Anicca!)

Dukka, la sofferenza, è invece ben presente in quasi tutte le opere di Gacomo e,


specialmente, nella seguente:

A se stesso

Or poserai per sempre,


Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta ormai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Ormai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l'infinita vanità del tutto.

Anatta, l'incosistenza reale di ogni cosa compreso l'io, l'ego, la ritroviamo qui:

L'infinito 

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,


E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
270
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare. 

IL PIACERE DI PERDERSI NELL'INFINITO-NULLA. DESIDERIO DI


INFINITO, DI INFINITO-NULLA.

… questo naufragio è dolce perché v’è la dolcezza dell’annullamento, del nirvana,


del trasmutarsi in non essere, in sostanza la dolcezza della morte, che placa
l’angoscia esistenziale e permette il ritorno nel grembo della madre”. (Caldarone)

“Fra questa immensità s’ annega il pensiero mio” dice Leopardi. Proviamo a leggere
ontologicamente questo passo. Il pensiero si finge un’ esperienza immaginata dell’
infinito-nulla. Il nulla, quindi, è qualcosa di immaginativo. Un prodotto del
pensiero. Tuttavia, com’ è chiaro da questi passi, il pensiero si annega, cioè si perde,
si smarrisce in questo nulla. Ma proprio qui sta il punto. L’immaginazione crea. E
tuttavia si fa preda della sua stessa creazione. In una sorta di ambivalenza che
porta il soggetto a “sentire” ciò ch’egli crea. E cioè, in questo caso, l’infinito-nulla. O
meglio, l’ esperienza dell’ infinito-nulla. (Roselli)

L’Europa romantica guardava con interesse particolare alla civiltà indiana; Giacomo
Leopardi conosceva il Sanscrito, era contemporaneo e idealmente affine
a Schopenhauer, a 13 anni aveva scritto La virtù indiana e ci ha lasciato, nelle sue
opere in prosa, diverse testimonianze di un pensiero molto vicino ai temi
delle Upanishad. Leopardi era, al fine, convinto che la realtà è illusione: il velo di
Maya. 

Sembra che un filo rosso, per lo più sotterraneo, colleghi Leopardi alla
spiritualità indiana, una simpatia trattenuta ai limiti della discrezione o, se si vuole,
di quella capacità mistificatoria che appartiene ad ogni poeta di razza, oltre a quella,
altrettanto mirabile propensione, soprattutto se riferita al nostro poeta, a cogliere e ad
assimilare ogni sorta di messaggio, in grado di generare un’idea, un’immagine, un
brivido di stupore sul turbolento, angoscioso destino dell’umanità. (Caldarone)

Leopardi osserva che ogni infelicità umana dipende dal fatto che la Natura ci ha
dotato di una potentissima facoltà di desiderare, ma non ci ha fornito i mezzi e le
occasioni per soddisfare questi desideri: "La natura non ci ha solamente dato il
desiderio della felicità, ma il bisogno […]. Or questo bisogno ella ci ha dato senza la
possibilità di soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la felicità nel mondo". In
definitiva l'infelicità umana nasce dalla più nefasta delle illusioni, quella che ci fa
credere che scopo e senso della vita stiano nella felicità. Ci si deve invece persuadere
che "L'uomo (e così gli altri animali) non nasce per godere della vita, ma solo per
271
perpetuare la vita […] il vero e solo fine della natura è la conservazione della
specie, e non la conservazione e la felicità degli individui". (Pasqualotto)

L'ultima fase di pessimismo leopardiano deriva dal pensiero che la natura è maligna
perché crea l'uomo per distruggerlo tramite malattie, sofferenze e morte in un ciclo
che tende a perpetuarsi senza badare al singolo individuo. È una sofferenza che
mai si potrà placare. A Silvia esprime a pieno questo concetto nelle parole del
poeta: O Natura, natura, perché non rendi poi quel che prometti allor? Perché di
tanto inganni i figli tuoi? ;il poeta si domanda perché madre Natura crea questo
desiderio di gloria, fama e felicità se poi rende tutto vano, allora è maligna verso i
suoi figli, incurante della loro sofferenza, interessata solo a proseguire il proprio
corso. Proprio nel momento di maggiore sconforto l'uomo scopre che l'unico bene
rimasto è la ragione, l'unica che possa alleviargli i dolori; inoltre unendosi uno con
l'altro (relazione!), l'umanità può riacquistare dignità e superare le sofferenze
(Ginestra).
La grande frattura tra ragione e natura (n.d.r. dualismo
leopardiano??? ) alla fine lascia aperte due strade, entrambe amare
e sconfortanti. La prima è il trionfo della ragione, l’inaridimento di
tutto e la nascita di una civiltà di uomini che cercano
forsennatamente distrazioni e divertimenti che li distolgano dal
grande disincanto che li pervade. La seconda, quella più auspicata
da Leopardi, è invece un ritorno, per quel che è possibile, alla
natura, con un ottundimento della ragione che passa da un senso di
comunione estatica, irrazionale e sensibile, quasi mistica con la
natura stessa. È il sentimento di annullamento di sé il superamento
della propria individualità nell’unità (mia nota: superamento del
dualismo!), in un momento che è “numinoso”, ma non religioso,
perché il tutto in cui Leopardi vuole naufragare è solo il mondo
terrestre, non ha nulla di personale o trascendente né profonde
amore o misericordia. Questo superamento di sé trova la sua più
celebre testimonianza nell’Infinito, ma anche nella Vita Solitaria.
Propendendo per questa via Leopardi svela quella che a nostro
avviso è la sua più profonda essenza, correttamente individuata da
Tilgher e forse troppo spesso incompresa e poco indagata dai suoi
esegeti: ovvero quella buddistica.

Per un certo periodo (1821), Leopardi studia anche il cinese e si stupisce di questa
lingua non alfabetica ma riccamente ideografica. Ammira molto anche i concetti di
quiete e inattività (wu wei) che egli riconosce come peculiari della cultura cinese.
Questi atteggiamenti sono per il nostro poeta - filosofo piaceri naturali che sono
invece divenuti insopportabili per l'uomo del suo ( e del nostro) tempo.

272
L’idea leopardiana di esistenza: “l’esistenza è un male e ordinata al male, il fine
dell’ universo è un male”. Qui Giacomino nostro, fa, forse, un po’ di confusione.
Infatti l'universo, probabilmente, non ha alcun fine intrinseco. Siamo noi, con la
nostra mente, a darglielo. Siamo sempre noi a decidere cosa è bene e cosa è male, per
noi. Giacomino, come molti altri, rimase, forse, troppo condizionato dalla teologia e
dalla teleologia.
"Se l’uomo potesse sentire infinitamente, solo allora sarebbe felice" scrive nello
Zibaldone. Forse in contraddizione con "E il naufragar m'è dolce in questo mare" ?
Oppure ricerca del nulla-infinito o dell'infinito-nulla?

Per Leoprdi il nulla è il principio ontologico del reale: tutto è nulla nel senso che la
realtà esiste grazie al nulla. Il nulla “principio delle cose e di Dio stesso” è origine e
fine delle cose. Dunque essere dal nulla ma anche essere del nulla.

La sorgente prima, tanto di questa chiarezza intellettuale del poeta, quanto di questo
suo incantato sguardo sul mondo, è aver fatto profondamente proprio il sapere
scientifico a lui contemporaneo, e prima l’astronomia, madre delle scienze. È
difficile, credo impossibile, conoscendo il canto di Leopardi, non amarlo, non sentirlo
profondamente fratello, non riconoscere in lui uno dei cantori più intensi e veri della
nostra anima. La sua consapevolezza dell’«infinita vanità del tutto» è ciò che di
più onesto ci offre la nostra letteratura. Ma, allo stesso tempo, il suo stesso canto
ci mostra, non in teoria ma direttamente sulle nostre emozioni profonde, come
l’estatica bellezza del mondo, il profumo della ginestra, ci siano in fondo
sufficienti. Nel parlarci del non senso della vita, il suo canto fa traboccare ogni
cosa di senso. Leopardi ci è vicino perché parla la lingua del nostro cuore nello
sperdimento, nella disillusione, quando si è nudi davanti alla verità. Ma ci è ancora
più vicino perché la meraviglia del suo canto, nonostante la sua disillusione, dà senso
alla bellezza del mondo, dà senso a tutto. In tanti l’abbiamo amato, nella nostra
difficile e solitaria adolescenza, e i suoi versi continuano a cantarci nel cuore e dirci
che la vita, nonostante l’«infinita vanità del tutto», è anche magico incanto. E
naufragare nel suo mare è dolce. (Rovelli)

-LI SHI WUAI*** (JI JI MU GE o jijimuge in giapponese)

Scuola Huayan: Buddismo cinese. Primo patriarca e fondatore fu il


monaco Dùshùn (557-640).

LI: il vuoto come condizione di possibilità dei fenomeni, l'Uno, il campo che tutto
ingloba, il mare o l'acqua che permette l'esistenza delle onde, l'oro informe dal quale
origina la statua del leone, la sub-stanzia di cui sono fatte le cose, la struttura
relazionale del mondo, il noumeno.

SHI: i vari fenomeni che ci appaiono, il molteplice, le forme, le onde del mare, le
statue tratte dall'oro, le cose, gli individui,273
l'io.
lishi wuai: tra vuoto e forma, tra l'Uno e il molteplice, tra noumeno e fenomeno
nessun impedimento (wuai) ma profonda relazione. (modello verticale)

shishi wuai: tra fenomeno e fenomeno, tra cosa e cosa nessun impedimento ma
profonda relazione. (modello orizzontale)

Dharmadhatu: vacuità, assoluto visto come relazione. Quattro livelli del


Dharmadhatu: livello dei fenomeni, del principio, della non ostruzione fra
fenomeni e principio e della non ostruzione fra fenomeno e fenomeno

Considerando il dharmadhatu (ambito della realtà assoluta, campo del reale,


l'autentica natura dei fenomeni) della non ostruzione di shi e shi, non si fa più
menzione esplicita a li, perché esso agisce, per così dire, dall'interno: la relazione tra
ogni shi, relazione che ne svela la definitiva unione indissolubile, quella è lo stesso li,
che non necessita più di essere pensato slegato dai fenomeni.

Li è struttura degli infiniti shi ed esso si svela in quanto Vuoto, Nulla, apertura
infinita: orizzonte comprensivo dei fenomeni, condizione del loro interrelarsi e del
loro essere pensati, campo infinito in cui assumono le proprie determinazioni.
(Pasqualotto)

-LIBERTA'***

Libertà dell'io o libertà dall'io? Nell'antico pensiero indiano l'idea stessa di libero
arbitrio appare così ridicola che non c'è una parola per definirlo. Per il Cristianesio
invece la realtà ci mostra chiaramente che noi siamo esseri liberi e morali.

L'idea che esista un libero arbitrio è “il più malfamato trucco dei teologi […]
mirante a rendere lʼumanità 'responsabile'”, e la responsabilità comporta la
possibilità di imporre una pena che deriva dalla distinzione tra giusto e sbagliato.
(Nietzsche)

"La scelta dell’uomo è: o concepirsi libero da tutto l’universo o schiavo di ogni


circostanza". E’ questa scelta che determina il valore umano, di ogni uomo: che sia
utile o non utile alla società, non importa. Per concepirsi libero, non riducibile
all’ingranaggio universale, c’è solo un modo: «La superiorità dell’io si fonda
sulla dipendenza diretta dal principio che gli dà origine e dà origine a tutto, cioè
da Dio. La grandezza e la libertà dell’uomo derivano dalla dipendenza diretta da
Dio, condizione per cui l’uomo realizzi e affermi sé». (Giussani)

274
Ci sentiamo liberi pur dipendendo da innumerevoli relazioni. Questo perché
credere nell'illusione del libero arbitrio corrobora il nostro io. (Vallortigara
interpretato)

L'autore preesiste all'azione? Al contrario: l'azione è un fatto, l'autore è un concetto


mentale. Il tuo stesso linguaggio mostra che l'azione è certa, l'autore no; spostare la
responsabilità è un gioco squisitamente umano.

Dato il numero infinito di fattori necessari all'accadere di qualsiasi cosa, si può


solo ammettere che tutto sia responsabile di tutto, anche in senso lato.

La presunta libertà del presunto io. La nostra civiltà occidentale si regge sulla
presunta libertà del presunto io. Questa libertà comporta la responsabilità. Di
conseguenza l'individuo viene fatto oggetto di premi o di punizioni sia terrene che
ultraterrene. Ma siamo propri sicuri che l'individuo sia veramente libero e quindi
responsabile? Facciamo una piccola indagine sulle situazioni e sulle relazioni di un
qualsiasi individuo. Il concepimento di questo individuo è stato libero e felice? La
gestazione è stata tranquilla e serena? Il parto è andato a buon fine senza intoppi? La
fanciullezza è stata ricca di amore e di stimoli? L'adolescente ha subito violenze
fisiche o mentali da parte di famigliari, amici o educatori? La religione è stata amica
o nemica? La scuola ha svolto il suo ruolo formativo in maniera adeguata? E' nato e
vissuto in una società aperta o in una società chiusa? In una famiglia ricca o in una
povera? La vita da adulto è stata problematica per mancanza di autostima, di lavoro,
di affetti, di soddisfazioni? La società è stata all'altezza del suo compito o ha
abbandonato l'individuo a se stesso? La paura della morte e del dolore ha tormentato
la vita di questo presunto io? E, ultimo ma non meno importante, la dotazione
neuronale era di buon livello o era scadente? Rispondendo a queste domande ci si
rende conto che il presunto individuo dipende molto dalle situazioni e dalle
relazioni che ha vissuto. E' più un intreccio di trame e orditi che un monolite da
premiare o condannare. Se nella vita ha fatto bene è un po’ merito di tutti e di tutto
mentre se ha fatto male è un po' colpa di tutti e di tutto. E quindi la prigione o
l'inferno non dovrebbero riguardare solo l'individuo ma tutta la struttura relazionale e
contestuale. La realtà è sempre molto più complessa di quanto noi pensiamo e
non esistono soluzioni semplici per problemi complicati. In conclusione, si può
sintetizzare utilizzando il pensiero di Francesco Bacone che asserisce che ciò che
gli individui della specie Homo sapiens sapiens credono, quello che pensano, e, di
conseguenza anche il loro agire, è condizionato da una molteplicità di fattori: il
luogo in cui nascono, il determinato periodo storico, il contesto linguistico e
culturale, le condizioni economiche, le possibilità relazionali, le vicende
biografiche, il patrimonio genetico, la composizione fisica e chimica delle loro
strutture neuronali.
275
L'uomo si crede libero senza esserlo? Non credono nel libero arbitrio importanti
filosofi: Democrito, Stoici, Agostino, Pomponazzi, Giordano Bruno, Spinoza, Hume,
Voltaire, Hegel, Schopenhauer.
L'uomo è libero? Kant risponde che l'uomo è soggetto alla necessità (non è libero) nel
mondo dei fenomeni (la natura) mentre è libero nel mondo dei noumeni (l'essere, il
vero essere). Kant si inventa due mondi diversi per far convivere i due opposti. Forse
però la situazione è molto più semplice: basta domandarsi chi è libero se non esiste
un vero io?
Per il Buddhismo la liberta è il distacco, il non attaccamento, è la liberta "da" e
non la libertà "di" fare o non fare, dunque di scegliere.

La libertà è essere aperti alle domande e negletti alle risposte.


La libertà, diceva Hanna Arendt, è "inventare un nuovo inizio".
Liberati di tutti gli sfondi, le culture e i modelli di pensiero e sentimento. Abbandona
ogni auto-identificazione, smetti di pensarti così e così, in un modo o nell'altro, come
"questo" o "quello".

Se un mondo assolutamente determinato (Necessità) esclude la possibilità della


libertà umana, lo farebbe anche un mondo completamente aleatoria (Caso). In effetti,
se gli avvenimenti si susseguissero senza nessuna legge e fossero completamente
imprevedibili, le nostre azioni non servirebbero a niente mentre se tutto fosse già
preordinato noi non saremmo liberi.

Dice Spinoza che gli uomini credono di essere liberi perché hanno coscienza dei
propri appetiti e volizioni anche se non conoscono le cause che determinano la
loro volontà.

Dice Kant che libertà è il primo dei tre postulati della ragion pratica (insieme con
l'immortalità dell'anima personale e l'esistenza di Dio).

Dalla presunta consapevolezza di essere liberi non deriva automaticamente che si sia
effettivamente liberi. Infatti la nostra esperienza della libertà potrebbe essere
frutto di una illusione. Fattori ambientali, biologici, genetici, sociali, psicologici
possono condizionare l'uomo in modo tale che egli non dovrebbe definirsi libero. Ma
ciò non esclude però che l'uomo si senta ugualmente libero. Ricordiamo infine che la
presenza di premi e di pene per il comportamento umano si basa sul presupposto
scontato della libera volontà: Dio infatti non potrebbe punire (in eterno … ) chi non
fosse libero.

276
La libertà non sta nello scegliere fra bianco e nero ma nel sottrarsi alla scelta.
(Adorno)

La vera liberazione non è della persona ma dalla persona.

E' la libertà da se stessi a rendere la vita davvero libera e dunque autentica.


Tutto quello che facciamo è condizionato. L'unica cosa di cui dovremmo veramente
sbarazzarci è il desiderio di liberarci dei nostri condizionamenti.
Vivere è l'arte di una liberazione continua da ogni schiavitù di intelletto e volontà, da
ogni ignoranza e vizio. Ed è gioia crescere ogni giorno di più in libertà di amare.
L'uomo appartiene contemporaneamente alla natura e alla cultura. La prima lo forgia
con le sue leggi deterministiche. La seconda sarebbe un frutto della sua libertà
intellettuale (se questa esistesse).
Sempre più si convinceva che tutto avveniva spontaneamente. La decisione
individuale era una favola! Paradossalmente il senso di libertà dal peso delle
decisioni personali era immenso.
L'uomo pensa di essere libero in realtà è solo un'idea: ogni decisione implica una
infinità di antefatti interni ed esterni non controllabili dall'uomo stesso.
Siamo condannati ad essere liberi. (Sartre)
Ho deciso di fare quello che mi piace, perché fa bene alla salute. (Voltaire)
Bisogna liberarsi dal conosciuto, dal passato, dalle esperienze, dai vecchi pensieri!
Nubi di pensiero condensate intorno all'io. Libertà dalla volontà e non della volontà.
Libertà dall'io e non dell'io. Libertà e volontà sono in contrasto. Libertà senza
scegliere. Devo solo osservare senza volontà!
Non c'è libertà reale. Non cercate soluzioni: limitatevi ad osservare e a fare silenzio
facendo tacere il chiacchierio interno. La scelta impedisce la libertà! L'occidente è
volontà mentre l'oriente era semplice osservazione.
Libertà significa lasciar andare, e questo alla gente non piace affatto. Ignorano che il
finito è il prezzo dell'infinito, come la morte dell'immortalità. La maturità spirituale
consiste nella prontezza a cedere tutto. L'abbandono è il primo passo. Ma il vero
abbandono sta nel comprendere che non c'è nulla da lasciare, perché nulla è tuo.

-LINGUAGGIO***

277
Pensiero, Essere e Linguaggio sono in stretta relazione, sono logos, sono
chiasma, sono plesso, sono l'avvolto che avvolge.
Il soggetto umano si costituisce nel linguaggio. (Lacan)
Interpretare il linguaggio come qualcosa che si riferisce necessariamente a qualcosa
di esterno è creare dei falsi problemi di metafisica. Interpretare le nostre sofisticate e
complesse attività linguistiche come affermazioni su una realtà esterna è l'errore che,
secondo Price, genera il falso problema del collocamento: dove vanno collocate nelle
scienze naturali quali la fisica i vari valori quali la la bellezzza e la verità? (Rovelli)
Wittgenstein mirò a risolvere (o, meglio, a dissolvere) la totalità dei problemi
filosofici semplicemente mostrando come essi si fondano su fraintendimenti del
ruolo realmente svolto dal linguaggio nella nostra vita. Crolla l'edificio del
linguaggio inteso come specchio della realtà. Nel linguaggio non facciamo altro
che giocare con le parole. Il linguaggio non è più uno specchio: è uno strumento.

Al linguaggio non e richiesto di parlare dell’essere, bensi di testimoniare, attraverso


la propria inconsistenza, dell’assoluta coincidenza di essere e non-essere. (Nagarjuna)

Il difetto del linguaggio ordinario consiste nella sostituzione della cosa con il segno
che sta per quella cosa, dunque nell'oblio del carattere proprio del segno: "lo stare
per, al posto di" senza volersi e potersi sostituire interamente a ciò a cui rimanda.

Il pensiero gioca con il linguaggio.

Un linguaggio diverso è una diversa visione della vita.

L'uso improprio del linguaggio dipende dalla comune propensione a generalizzare il


significato dei termini dimenticando che la generalizzazione è utile e legittima, ma
riguarda solo i termini e non gli oggetti a cui essi si riferiscono.

Il linguaggio è una metafora visto che esso usa simboli tramite i quali la complessità
del reale viene semplificata e resa gestibile. Il linguaggio però non è la realtà.

Nietzsche critica la metafisica del linguaggio soprattutto per aver veicolato l'idea di
un io inteso come sostanza dotata di efficacia causale e conclude: "Temo che non
riusciamo a liberarci di Dio perché crediamo ancora nella grammatica." (Gori)

Heidegger: Qualche tempo addietro chiamai – più o meno felicemente – il linguaggio


la dimora dell’Essere. Ma, se l’uomo grazie al suo linguaggio abita nel dominio
dell’Essere, è da supporre che noi Europei abitiamo in una dimora tutta diversa da
quella dell’uomo orientale.
278
Giapponese: Posto che le lingue, qui e là, non solo siano diverse, ma siano
fondamentalmente altre nell’essenza.
Heidegger: Così un colloquio da dimora a dimora rimane sempre quasi impossibile.
Giapponese: Ella ha ragione a dire «quasi».

Immaginare un linguaggio significa immaginare una forma di vita. Il parlare un


linguaggio fa parte di una attività, o di una forma di vita. (Wittgenstein) Sembra cioè
che della forma di vita faccia parte in maniera essenziale il linguaggio, ma che essa
non si riduca al linguaggio. E' per questo che «se un leone potesse parlare, noi non
potremmo comprenderlo»: perché non condividiamo la sua forma di vita e non
possiamo immaginare che ruolo avrebbe il parlare lì dentro, che significato avrebbero
le parole, ma nemmeno se ci sarebbero espedienti assimilabili alle nostre parole
dotate di significato. Un linguaggio non umano ci rimarrebbe totalmente alieno,
perché non potremmo capire nulla di quello che succede. Di quello che succede, e
quindi di quello che viene detto. Ma anche un linguaggio umano, anche un
linguaggio di cui siamo padroni, non ci permette di comprendere gli uomini se
non ne condividiamo per niente le tradizioni e la cultura: "Anche di un uomo
diciamo che è trasparente. Ma per questa considerazione è importante che un uomo
possa essere un completo enigma per un altro uomo. Una cosa del genere si
sperimenta quando si arriva in un paese che ha tradizioni che ci sono completamente
estranee; e precisamente, anche quando si è padroni della lingua di quel paese. Non si
capiscono gli uomini. (E non perché non si sappia che cosa quegli uomini dicano
quando parlano a se stessi.) Dice Wittgenstein. «Non possiamo ritrovarci in loro», il
nostro agire non si ingrana con il loro, non condividiamo la loro vita, anche
nell'ipotesi estrema che ne comprendiamo la lingua. E' la forma di vita, dunque,
che è primaria rispetto al linguaggio. Anche la logica e le stesse nozioni di vero e
di falso assumono, in questa prospettiva, una valenza profondamente diversa rispetto
alla filosofia del linguaggio più classica. Il vero e il falso infatti sono tali nel
linguaggio, ma se il linguaggio non è più uno specchio, il vero e il falso non hanno
come base la realtà oggettiva, quanto piuttosto una concordanza linguistica che è
fondata su (e che a sua volta fonda) il nostro modo di vivere.

Wittgenstein non fu il primo logico a individuare nell'ambiguità e fallacia del


linguaggio l'origine dei problemi speculativi e dunque degli errori dell'intera
filosofia. In India, con una abilità altrettanto pari, Nagarjuna riuscì a mostrare la
vacuità di ogni concetto e di ogni parola. Secondo Nagarjuna, così come insegna il
buddhismo, ogni cosa è in relazione con le altre, e nessuna ha senso senza le altre.
Wittgeinstein parla del principio di contestualità, ed afferma un concetto molto
simile. Il significato di una parola o di un concetto dipende dal suo contesto.
Nagarjuna sosteneva la prammaticità del linguaggio e Wittgeinstein ribadisce la
strumentalità della parola affermando che il senso è l'uso.

279
Il brahman immortale può essere conosciuto per mezzo della purificazione della
parola, ottenuto attraverso lo studio della grammatica. Lo studio e l'uso delle forme
'corrette' del linguaggio producono un'energia fausta e favorevole che allontana lo
studente dalle inclinazioni impure (ovvero scorrette) della parola, conducendo verso
il fine puro della visione dell'assoluto. Gli esseri umani si salvano attraverso il
linguaggio, e più precisamente attraverso la comprensione precisa e profonda del
linguaggio. Questo significa attribuire al linguaggio un'importanza assai elevata.
Bhartṛhari identifica la realtà assoluta con il linguaggio puro e considera il linguaggio
il mezzo che pone in relazione il mondo impuro degli affari umani con l'eterno e puro
assoluto. L'essere assoluto non si trova al di fuori o al di là del linguaggio, poiché
la sua essenza è il linguaggio. Il linguaggio rappresenta il legame tra l'essere
come stasi eterna, una, impersonale e l'essere come esperienza contingente,
particolare, determinata dal tempo. Il termine che Bhartṛhari usa per riferirsi
all'assoluto identificato con il linguaggio è 'suono assoluto' o 'parola assoluta'
(sabdabrahman), una realtà ontologica che non si può apprendere a causa
dell'ignoranza (avidya).

Fazang (taoista) tratta della relazione tra forma e materia, ed arriva a sostenere che il
linguaggio, posto sul piano della verità relativa, possa riuscire a stento a rendere
ragione dell’assoluto; il linguaggio è soltanto un mezzo che, come una zattera,
dev’essere abbondonato una volta raggiunta la sponda dell’illuminazione
trascendente. L’insegnamento mediante le parole risulta essere così anche un
non-insegnamento. Molti pensieri d’Oriente sembrano contraddittori rispetto alla
forma in cui si presentano, poiché nel contenuto sembrano affermare l’insufficienza
del mezzo linguistico e dell’atteggiamento trascendentale per la piena espressione del
pensiero.

I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo. (Wittgenstein)

«Il concetto di essere vivente ha la stessa indeterminatezza del linguaggio»: l‟estrema


complessità e indescrivibilità dei comportamenti umani, questa mutevole e fittissima
rete di azioni e reazioni, la ritroviamo nel nostro agire linguistico, nel nostro
conoscere e allo stesso tempo non saper esplicitare le sottili regole del nostro parlare.
Il linguaggio in questo senso, il linguaggio empirico e quotidiano, è parte o
estensione del comportamento umano, quasi parte del corpo. (Wittgenstein)

Il linguaggio potenzia in maniera straordinaria il trasferimento dell'esperienza da un


individuo a all'altro e anche da una generazione all'altra, rappresentando così un
elemento essenziale per la costituzione di una cultura. Conferisce a chi lo possiede la
capacità di descrivere se stesso e il mondo ed è così strumento fondamentale per la
riflessione. (Avanzini)

280
La convenzionalità del linguaggio non significa semplicemente che i linguaggi sono
frutto di convenzioni, ma significa che non esiste parola in grado di catturare la
realtà.

Secondo lo zen conviene assumere, di fronte al linguaggio, la posizione di


neutralità rinunciando sia all'idea della sua onnipotenza che a quella della sua
inutilità. Ad esempio, la risposta ad un Koan rinzai non intende rispondere al
contenuto della domanda, ma cerca di mostrare la precarietà della domanda o,
addirittura, l'assurdità di un domandare che richieda risposte definite e
definitive: il koan ha la capacità di spiazzare completamente l'interlocutore,
aprendogli però la possibilità di riflettere sui limiti, sullo scopo e sul fondamento del
linguaggio.

Il linguaggio frantuma il mondo, lo analizza e lo mette in successione. (Sini) Il


mondo però ci è dato tutto insieme in questo preciso istante.

Nietzsche vuole sottolineare lʼarbitrarietà della creazione del linguaggio invitando a


riflettere su come lʼapplicazione di un termine a una cosa sia il frutto di una
procedura del tutto soggettiva (magari più sociale che soggettiva).

Essendo la natura del linguaggio convenzionale, esso non può portare alla verità in
senso stretto: la verità che il linguaggio esprime è infatti quella propria di una
metafora. Noi crediamo di sapere qualcosa sulle cose stesse, quando parliamo di
alberi, di colori, di neve e di fiori, eppure non possediamo nulla se non metafore
delle cose che non corrispondono affatto alle essenze originarie.

Il linguaggio è un'invenzione dell'homo sapiens; anzi la sua più importante


invenzione perché senza linguaggio non si può, forse, esprimere il pensiero.
Senza linguaggio non c'è pensiero e senza pensiero non ci sono le cose. Odifreddi, da
buon logico dualista e materialista, aborre questa sequenza!
Un cattivo o eccessivo utilizzo del pensiero procura all'uomo tensione, angoscia,
paura e sofferenza. Wittgenstein era un uomo profondamente tormentato dagli stessi
problemi. Egli era fortemente insoddisfatto dell'incapacità della filosofia occidentale
nel rispondere alle sue domande. Nel Tractatus Logico-philosophicus egli affermava:
"[...] il valore di quest'opera consiste allora, in secondo luogo, nel mostrare a quanto
poco valga l'avere risolto questi problemi".

Per Wittgenstein il mondo, il pensiero e il linguaggio hanno la stessa struttura e


quindi, per studiare il primo, basta studiare l'ultimo.

"Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere" dice Wittgenstein. Anche il pensiero
orientale condivide. Infatti Budda rispondeva con un tonante silenzio a chi gli faceva
281
domande sul trascendente e il taoista Chuang Tzu scriveva: "Di tutto ciò che è al di
là dell'universo, il saggio ammette l'esistenza ma non parla".

Oltre un certo limite di complessità il linguaggio diventa indistinguibile dal caos e


non produce più significato ma rumore indistinto.

Il linguaggio è soltanto un mezzo per comunicare i pensieri che sorgono dopo che
nasce il pensiero "io" che è la radice.
Già Salomone diceva che le cose sono inesprimibili con il linguaggio.
Il linguaggio non descrive la realtà ... ma interpreta e costruisce sia la realtà che
l'identità del soggetto.
L'unico linguaggio che può unire l'uomo all'ineffabile Tutto è il silenzio mistico visto
che il linguaggio convenzionale è troppo umano!
Le idee espresse tramite il linguaggio e le cose reali del mondo corrispondono? La
parola "acqua" (significante) è veramente l'acqua che sgorga alla fonte (significato)?
Se è vero, come afferma Alfred Jeremias, che le varie culture dell'umanità sono in
realtà solo dialetti di un unico e identico linguaggio dello spirito, è certamente giusto
che gli studiosi dell'uomo si domandino quando e dove questo linguaggio dello
spirito possa aver avuto origine. (Coomaraswamy)
E' il linguaggio che ci possiede e non siamo noi a possederlo. E' l'essere a parlare in
noi e non noi a parlare dell'essere. (Merleau-Ponty)
Soggetto e oggetto sono due termini tipici del linguaggio: servono per
comunicare ma, forse, non sono due realtà distinte, separate.
Il metalinguaggio è il linguaggio in cui si studia un altro linguaggio.

-LOGICA***

La logica umana è alla ricerca di una affermazione non contraddittoria mentre il


Logos è contraddittorio perché usa la tensione fra gli opposti per creare forza
che è relazione. La logica umana è parziale. Cerca di comprendere una parte, e nel
fare questo evita tutto ciò che contraddice quella parte. Vuole semplicemente
dimenticare tutto ciò che è contraddittorio.

La vita non è logica. La logica non è esistenziale; la logica è intellettuale,


teoretica, cerca di spiegare. La vita, invece, non è spiegabile: semplicemente è!
Un’affermazione logica sulla vita sarà fondamentalmente falsa, perché non
corrisponde alla vita. E un’affermazione rispondente alla vita sarà illogica, perché la
vita esiste grazie alle contraddizioni. Osserva la vita: dovunque ci sono
282
contraddizioni, ma nelle contraddizioni non c’è nulla di male; sono semplicemente
insopportabili per la tua mente logica. Diventeranno splendide se raggiungerai una
visione interiore aperta. Di fatto, la bellezza non esiste senza contraddizioni.

Sarebbe sempre opportuno non scambiare la logica con la realtà! Infatti la


logica è consequenziale e quindi limitata (seppur utile). La realtà è invece
contradditoria: è anche così ma non solo così! Le due non sono sovrapponibili
come invece pensava Hegel quando affermava che ciò che è razionale è anche
reale e viceversa. Anche perché la fisica quantistica, introducendo il caso nella
realtà subatomica, lo ha completamente smentito.

Il principio del terzo escluso (o principio di non contraddizione) riguarda solo la


logica classica e non, per esempio, la logica quantistica. Ma, soprattutto, tale
principio non riguarda la realtà ove è molto più appropriato usare il concetto
che recita: è anche così ma non è solo così!

La logica tradizionale non può descrivere le realtà più profonde ove accade che
il principio del terzo escluso decade visto che è anche così ma non solo così!

La speculazione del pensiero filosofico che chiamiamo logica si modella su una


strutturale carenza che muove l'agire e la assolutizza nell'idea del nulla, ossia di
quell'assenza di tutto che preesiste a tutte le cose. (Bergson interpretato da
Tagliapietra)

Per capire cos'è il nulla bisogna abbandonare la logica perché per questa strada
potremmo, al massimo, acquisire solo il concetto formale del nulla ma non il nulla
stesso. (Tagliapietra rielaborato)

Le tre inferenze (chiamate sillogismi da Aristotele) sono alla base della nostra logica:
induzione, deduzione e abduzione. L'induzione (dal particolare al generale) consiste
nell'osservare un insieme di fenomeni traendone conseguenze logiche che però
possono essere errate: la fallacia dell'induzione! Se, per esempio, osservo molti
cigni e noto che sono tutti bianchi (ovviamente quelli osservati), non mi limito ad
affermare "ho osservato molti cigni e ho notato che erano tutti bianchi" ma sono
invece portato a pensare, per deduzione, che tutti i cigni siano bianchi (anche quelli
non osservati). Poi però scopro che ne esistono anche di neri e tutto l'impianto crolla.
L'abduzione invece fa un ragionamento diverso del tipo: questi fagioli sono bianchi,
io ho conoscenza che tutti i fagioli contenuti in un tal sacchetto sono bianchi e quindi
concludo, forse sbagliando, che questi fagioli provengono da quel tal sacchetto. Ma
potrebbe anche non essere vero: potrebbero infatti arrivare da un altro posto.

La logica non descrive la realtà: descrive solo se stessa. La realtà infatti è molto
più complicata della logica. La logica, ad esempio, sostiene che è assurdo che dal
283
vuoto si generi qualcosa. La realtà però smentisce questo ragionamento. Infatti la
fisica quantistica ci dice che dal vuoto potrebbe essere nato l'intero universo!

Ex nihilo nihil fit scrive Lucrezio ma, probabilmente, sarebbe stato pù


opportuno scrivere Ex nihilo omnia visto che, forse, il “Tutto “ è nato dal
“Nulla” per una casuale fluttuazione del Vuoto. Attenzione però: vuoto e nulla
non sono la stessa cosa!

L'antico pensiero orientale, ad esempio, proclama, contemporaneamente, sia


l'affermazione (A) che la sua negazione (non A). Ma va oltre asserendo anche,
contemporaneamente, né l'affermazione (A) e neppure la sua negazione (non A).

La logica quantistica sfida apertamente il principio del terzo escluso: una stessa
proposizione può essere vera o falsa a seconda di chi si interroga.

La logica vi porta solo da A a B mentre l'immaginazione può portarvi ovunque.


(Einstein)

Nietzsche sostiene che la logica falsifica la realtà visto che i concetti logici che
elaboriamo non esistono nella realtà: una linea retta è solo un concetto che non
esiste nella realtà. Infatti nel mondo reale esistono le geodetiche.

La logica occidentale si regge sulla dialettica greca iniziata con Zenone di Elea (tesi -
antitesi - sintesi) e sull'altrettanto eleatico principio del terzo escluso o principio di
non contraddizione. Insomma, noi occidentali siamo convinti che una cosa non
possa essere contemporaneamente bianca e nera, vera e falsa, esistente e non
esistente. Per l'antico pensiero orientale invece solo se le cose sono viste come
concrete esistono le contraddizioni mentre se sono viste come nella loro effettiva
inconsistenza, le contraddizioni si svuotano perché si rivelano solo apparenti.

Con riferimento alla logica, è sbagliato per Wittgenstein affermare che ci sono delle
ragioni logiche per cui – per esempio – la contraddizione non funziona; piuttosto, il
fatto è che siccome "bandiamo la contraddizione e non conferiamo ad essa alcun
significato" allora la contraddizione non funziona, non può funzionare: il suo
mestiere è quello di non funzionare. Questo suo mestiere l'abbiamo deciso noi, in
secoli e millenni di pratiche condivise.

La logica è completa? Church e Turing scoprirono l'indecidibilità della logica oltre


a quella della matematica! Che grande libertà!!!!

Secondo Peano, Frege e Russell la logica è la base della matematica.


Dice il cretese Epimenide (VI secolo a.C.) che tutti cretesi mentono. Ma se tutti i
cretesi mentono anche lui, da buon cretese, mente. Ma se Epimenide mente non è
284
vero che tutti i cretesi mentono. E allora? Non se ne esce? Certo che se ne esce.
Trattasi infatti di puri ragionamenti logici astratti dalla realtà, di generalizzazioni
astruse. In pratica, infatti, come si potrebbe mai sapere e affermare che tutti i cretesi
mentono? Tutto qui.
In un villaggio vi è un solo barbiere, un uomo ben sbarbato, che rade tutti e solo gli
uomini del villaggio che non si radono da soli. Il barbiere rade se stesso? Il paradosso
di Russell (che, in realtà, era già presente in Aristotele e nella Scolastica medioevale):
l'insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi appartiene a se stesso
se e solo se non appartiene a se stesso. Vediamo di fare un esempio: aggettivi auto
logici come ad esempio CORTO (che è coerente con ciò che è: infatti corto è
veramente corto) e gli aggettivi etero logici come ad esempio LUNGO (che non è
coerente con ciò che è: infatti lungo è corto come parola ma non come concetto).
Russell dice, alla fine, che l'etero logico in sé non può stare in nessuna delle due
classi. Non è auto logico sicuramente per definizione ma non è neppure etero logico.
Ma attenzione! Etero logico è di secondo livello rispetto a lungo e corto sono di
primo livello. Tale spiegazione però non convinse i logici contemporanei.
Wittgenstein, in particolare, disse semplicemente che ciò di cui non si può parlare si
deve tacere. Alla fine Gödel andò oltre i suoi due maestri Russell e Wittgenstein.
La verità è più grande della dimostrabilità: ci sono delle verità indimostrabili.
Nessun sistema matematico è completo. Questo dice Odifreddi.

Nella logica ordinaria (booleana) una certa asserzione, a un dato momento, o è vera o
è falsa (terza ipotesi è esclusa). Nella logica quantistica l'asserzione può essere
contemporaneamente vera e falsa a seconda di chi interroga.

La frase seguente è falsa. La frase precedente è vera. Come se ne esce? Semplice!


Stiamo solo parlando di logica e dei suoi limiti.

Nella logica del finito o è vero (A) oppure è vero il suo contrario (non A). Nella
logica dell'infinito possono essere veri entrambi! Nella logica dell'infinito quindi io
sono e non sono allo stesso tempo.
A proposito del pensiero lineare Einstein dice che i concetti ottenuti tramite processi
puramente logici sono privi di realtà. La logica è uno strumento limitato e poco
affidabile tant’è che ogni sistema logico, se completo, può contraddirsi secondo il
teorema di Gödel.
L'uomo crea il vaso così come Dio crea l'uomo. Soggetto, verbo, oggetto. Questa è la
nostra logica. E se invece l'oggetto fosse determinante nella realizzazione del
soggetto? Apparirà chiaro, dunque, come la forma logica normale “x è y” si trova

285
ancora alla base di gran parte della filosofia occidentale di ogni tempo e, siccome
proprio così funziona il linguaggio, anche della filosofia del Novecento.
Odifreddi dice che la logica dovrebbe servire a far piazza pulita delle illusioni
metafisiche che sono solo parole impure. La logica agisce in modo dualistico
separando il vero dal falso mentre la filosofia sarebbe olistica e monistica.
Un cervello tutta logica è come un coltello tutto lama: fa sanguinare la mano che
l'adopera. (Tagore)
La logica è un mezzo non un fine. E' come un vestito: serve a proteggerci. Non si può
però fare la doccia vestiti! La logica è come una scala: serve a salire ma, una volta in
cima al tetto la scala non serve a godere il panorama o a riparare il tetto!

L'esasperata fiducia nella logica porta alla tipica arroganza occidentale.

Con la logica si dimostra, con l'intuizione si inventa. (Poincaré)

La logica senza intuizione è vuota. L'intuizione senza logica è cieca. (Kant)

-LOGOS -MYTOS***

Nella filosofia contemporanea spesso il termine "logos" è adoperato in senso generico


opponendolo al termine mythos. In questa opposizione il mythos corrisponde al
pensiero mitico, basato sulle immagini, sull'autorità della tradizione arcaica, su
princìpi accettati e condivisi acriticamente, mentre il logos corrisponde al pensiero
critico, razionale e oggettivo (o presunto tale), in grado di sottoporre al suo vaglio
credenze e pregiudizi.

Logos è tradotto in mille modi: parola, verbo, ragione (Platone), pensiero,


discorso logico, rapporto, relazione, legare insieme. Forse però non esiste
una vera e propria traduzione appropriata e completa. C'è chi suggerisce
(insieme ad Eraclito) che il logos sia l'intelligenza che crea connessioni,
relazioni. Un altro punto di vista, quello platonico, tende a considerare il
logos come la ragione analitica e critica che organizza e ordina gli eventi.

La logica umana è alla ricerca di una affermazione non contraddittoria mentre il


Logos è contraddittorio perché usa la tensione fra gli opposti per creare forza
che è relazione.

Sebbene il Logos sia comune a tutti,


la maggior parte degli uomini vive
come se ognuno avesse una propria intelligenza privata.
(Eraclito)
286
Il logos è connessione, potere di congiunzione e separazione, di unificazione e
divisione. Ogni evento di tal fatta implica l'atto della relazione, non
dell'essere. Il relazionare è contemporaneamente transitivo e intransitivo. Il
logos è ragione perché la ragione è connessione. Ogni connessione ritaglia
distinzioni dall'indistinto, ordine o frammenti d'ordine dal caos, senso sullo
sfondo dell'insenatezza. La connessione, in altri termini il potere di relazione,
produce tutti i modi dell'essere e i modi tutti delle possibili comprensioi
dell'essere. Logos è relazione. (Magno interpretata)

Il Logos è la logica del Tutto, la logica dell’esistenza stessa. Il Logos è la legge


suprema. È identico a ciò che Lao Tzu chiama "Tao", e che le Upanishad e i Veda
hanno chiamato "Rta": l’armonia cosmica in cui gli opposti si incontrano e
scompaiono, dove la dualità diviene uno, dove non esistono più polarità, dove tutti i
paradossi si dissolvono, tutte le contraddizioni svaniscono. Ciò che Shankara chiama
"Brahman" viene chiamato da Eraclito "Logos". (Eraclito interpretato da Osho)

Il logos sarebbe anche sia l'ordine cosmico che il pensiero che lo comprende,
anzi che lo connette. Il logos e il cosmo, in quanto manifestazione di tutte le
cose, sono indisgiungibili.

C'è anche chi propone un ardito confronto fra logos greco e brahman indiano.
Ma Panikkar non sarebbe d’accordo. Scrive infatti Panikkar che l'uomo sa,
attraverso il logos, che egli promana dal mito dal quale non può mai separarsi
definitivamente. Da rimarcare che, secondo Panikkar, nessuno è consapevole
dei propri miti e, quindi, dei propri taciti presupposti. Panikkar definisce
mythos quell'elemento non pensato (inconscio) che precede il logos e che ne
condiziona il il movimento e l'orientamento. Il mythos è il complesso
groviglio di implicite assunzioni e condizionamenti in cui in ogni tempo e in
ogni luogo il soggetto pensante è immerso, il magma di condizionamenti da
cui il soggetto cerca di emergere.

Nel pensiero greco, il termine logos indica la «parola» come si articola nel discorso,
quindi anche il «pensiero» che si esprime attraverso la parola. Una precisa
affermazione del lògos come «ragione» si ha in Eraclito: principio di razionalità
universale, legge di armonia e insieme principio dinamico del divenire (anche
principio materiale, «fuoco»). In Platone ricopre i significati di «discorso» come
espresso nelle parole e come «procedere del pensiero»; in Aristotele è «discorso»,
con i concetti che esprime, e «facoltà di pensare, ragione». Grande sviluppo ha la
teoria del lògos nello stoicismo: in logica (termine, questo, che, come scienza del
lògos, è di origine stoica) ha valore centrale la distinzione
tra logos interiore e logos esteriore (il primo, oggetto della dialettica, il secondo della
retorica); in fisica, il lògos è il principio razionale e fisico («fuoco») che governa la
realtà. Nella letteratura sapienziale greco-ebraica la sapienza divina è il lògos, che nel
287
filosofo Filone (c. 30 a. C. - c. 45 d. C.) assume una precisa personalità come prima
potenza espressa da Dio, con funzione mediatrice fra il creatore e il molteplice. Nella
letteratura cristiana antica il lògos è, secondo il Vangelo di Giovanni, il verbo di Dio
(verbum Dei) che si è fatto carne, il Cristo. Nel pensiero moderno la più coerente
teorizzazione del lògos come ragione è in Hegel.

Logos può significare anche scegliere, raccontare, enumerare, parlare, pensare. I


termini latini corrispondenti (ratio, oratio) si rifanno con il loro significato di calcolo,
discorso al senso originario della parola che successivamente ha assunto nella lingua
greca molteplici significati: «stima, studio (come suffisso), apprezzamento,
relazione, legame, proporzione, misura, ragion d'essere, causa, spiegazione, frase,
enunciato, definizione, argomento, ragionamento, ragione, disegno».

Non a me, ma al logos dando ascolto, conviene riconoscere che l'Uno è tutte le
cose. (Eraclito)

Secondo Heidegger nella lingua greca antica i verbi parlare, dire, raccontare si
riferivano non solo al sostantivo corrispondente logos ma anche al verbo leghein che
significava anche conservare, raccogliere, accogliere ciò che viene detto e quindi
ascoltare.

Nello sviluppo della cultura occidentale, secondo Heidegger, il valore del pensare e
del dire ha prevalso su quello dell'ascoltare mentre l'udire e il dire, come si
riproponeva nel dialogo socratico, sono entrambi essenziali «L'udire autentico
appartiene al logos. Perciò questo udire stesso è un leghein. In quanto tale, l'udire
autentico dei mortali è in un certo senso lo stesso logos».

Lo stesso Heidegger ha individuato il significato di raccolta, nel termine derivato da


logos: silloge riportandolo all'interpretazione del logos eracliteo.

Sembra possa attribuirsi ad Eraclito un significato del Logos come "legge universale"
che regola secondo ragione e necessità tutte le cose. Agli uomini è stata rivelata
questa legge ma essi continuano ad ignorarla anche dopo averla ascoltata. Il Logos
appartiene a tutti gli uomini ma in effetti ognuno di loro si comporta secondo
una sua personale phronesis, una propria saggezza. I veri saggi invece sono quelli
che riconoscono in loro il Logos e ad esso s'ispirano come fanno coloro che
governano la città adeguando le leggi alla razionalità universale della legge divina.

Un ulteriore significato del logos inteso come "ascolto" è nella affermazione di


Eraclito che sostiene che molti non capiscono la sua "oscura" dottrina poiché si
sforzano di ascoltare lui invece che il logos.

Secondo altri interpreti del pensiero eracliteo una dottrina del logos sembra non
essere nella sua filosofia. Sia Platone che Aristotele non si riferiscono mai a lui
riguardo al logos: per il primo Eraclito è colui che ha sostenuto l'incessante fluire
288
dell'essere e di come ogni cosa sia nello stesso tempo uno e molti, mentre per
Aristotele e per Teofrasto il pensiero eracliteo si fonda sul principio incorruttibile del
fuoco causa di ogni cosa.

Platone riferendosi a un sapere definito come «credenza vera associata a un logos»


identifica in quest'ultimo tre diversi significati:

 è l'espressione tramite suoni linguistici del pensiero


 è l'enumerazione delle caratteristiche di una cosa
 è l'individuazione della "differenza" (diaphorotes) di una cosa, vale a dire di
quel particolare segno che la differenzia da tutte le altre cose e la definisce
nella sua realtà specifica

Da questi significati ne deriva che per Platone il logos filosofico va riportato


nell'ambito del discorso definitorio (il logos apophantikòs o dichiarativo, che serve a
stabilire la verità o falsità di una proposizione, di cui Aristotele si occuperà nella sua
Logica).

Una vera e propria "filosofia del logos" la si ritrova invece nello Stoicismo. Cleante,
richiamandosi ad Eraclito, afferma la dottrina del logos spermatikòs, la "ragione
seminale", un principio vivente ed attivo (poioun) che si diffonde nella materia inerte
animandola e portando alla vita i diversi enti. Il logos è presente in tutte le cose, dalle
più grandi alle più piccole, dalle cose terrene sino alle stelle garantendo così l'unità
razionale dell'intero cosmo: «[il logos] attraversa tutte le cose mescolandosi al grande
come ai piccoli astri luminosi».

Esiste dunque un comune sentire (una συμπάθεια (sympatheia), "simpatia")


universale, una legge naturale seguendo la quale lo stoicismo insegna a «vivere
conformemente alla natura».

Dal punto di vista fisico il logos è identificato, dagli stoici, col fuoco, che contiene in
sé le diverse "ragioni seminali" individuali. Alla fine dei tempi avverrà una
conflagrazione che consumerà l'intero universo, in cui però si salveranno le "ragioni
seminali", per garantire la generazione del nuovo mondo che sarà nuovamente arso
secondo un andamento ciclico.

Il logos inteso come "(ratio) "calcolo" e (oratio) "discorso è mantenuto dallo


stoicismo che distingue tra il "discorso interiore" (logos endiathetos, oratio concepta)
la riflessione razionale e il "discorso profferto", il discorso parlato, (logos
prophorikos, oratio prolata).

Plotino riprenderà questa teoria stoica delle ragioni seminali che sono presenti
nell'anima del mondo, ne spiegano i movimenti e fanno in modo che gli individui
siano diversi tra loro.
289
Il Giudaismo alessandrino, con Filone Alessandrino come esponente, riprende il
logos della tradizione stoica incorporandolo nella sua teologia e connettendolo al
tema biblico della "parola di Dio", acquisendo la fisionomia di un agente quasi
personale, cosciente, della volontà creatrice e provvidente di Dio; la Parola a cui si
unisce o sostituisce, con valore di sinonimo, la Sapienza. Per Filone, che si rifà anche
al Timeo di Platone, Dio è trascendente rispetto al mondo, e a far da mediatore
tra il primo e il secondo è proprio il Logos, fonte degli archetipi sulla cui base il
mondo viene modellato, costituendo da cornice e, in un certo senso, da sintesi a tutte
le realtà intermedie: le Idee, la Sapienza, gli angeli, lo Spirito e le potenze; il Logos,
infatti è lo strumento con il quale Dio ha fatto tutte le cose ed è la Luce divina offerta
agli uomini. Nella dottrina di Filone si riconoscono temi e concetti che poi torneranno
nel Cristianesimo.

Nel Cristianesimo il Logos compare all'inizio del Vangelo di Giovanni, dov'è


coincidente con Dio creatore e poi storicamente incarnato in Cristo e quindi negli
uomini venendo ad «abitare in mezzo a noi». Gli spunti del Vangelo di Giovanni
trovano in seguito una loro conclusione nella definizione dei due dogmi, quello della
trinità e dell'incarnazione di Dio, formulati nel Concilio di Nicea.

Alcuni studiosi della Bibbia ritengono che Giovanni (ma chi era veramente questo
Giovanni?) abbia usato il termine "logos" in una doppia accezione: sia per rendere
comprensibile agli ambienti ebraici, familiari, il concetto della divina sapienza, sia
per rimanere connesso con gli ambienti della filosofia ellenistica, dove il "logos" era
un concetto filosofico radicato da tempo.

Alcune traduzioni cinesi del Vangelo di Giovanni hanno definito il termine "logos"
come "Tao" (letteralmente la via, la strada, il sentiero) spesso tradotto come il
Principio, è uno dei principali concetti della filosofia cinese. È l'eterna, essenziale e
fondamentale forza che scorre attraverso tutta la materia dell'Universo, vivente o
meno.

Il filosofo e teologo calvinista statunitense Gordon Clark, nella sua traduzione della
Bibbia, ha reso "logos" con "logica": «In principio era la Logica, e la Logica era
presso Dio, e la Logica era Dio». In tal modo Clark vuole affermare che le leggi della
logica non sono un principio secolare imposto sulla visione cristiana del mondo, ma
qualcosa già presente nella Bibbia. Però qualche dubbio sorge in merito alla logicità
della Bibbia.

Sant'Agostino insegnava che il Logos è prima di tutto relazione: «Come il Figlio dice
relazione al Padre, così il Verbo dice relazione a colui di cui è il Verbo». Il concetto
di Logos come relazione è stato ripreso da altri, fra cui il teologo contemporaneo
Mancuso oil filosofo Pasqualotto.

Il termine logos compare come etimo di -logia, suffisso di moltissime parole le quali
indicano generalmente discipline e campi
290specifici di studio, come ad es. teologia,
biologia, epistemologia, virologia, ecc. In questo senso il termine può essere tradotto
con "discorso razionale su..." o "ciò che si può dire di ragionevole su..." (per replicare
i quattro esempi succitati, le discipline indicherebbero ciò che è riconosciuto come
discorso ragionevole rispettivamente su Dio, il vivente, la conoscenza e i virus).
Etimologicamente quindi, le discipline stanno per il totale delle affermazioni
riconosciute come razionali (e quindi argomentabili secondo ragione) sul singolo
campo studiato (specificato nel prefisso).

Logos per Eraclito sembra significare principalmente il carattere connettivo di


ciò che garantisce la relazione di contrasto complementare fra tutte le cose.

M
-MAESTRO***

Il maestro non può insegnare pensieri, ma deve insegnare a pensare. (Kant)


In Occidente non si riesce a capire che cosa significa "essere alla presenza". In
Oriente si dice: "andiamo a un darshan". Darshan significa semplicemente vedere il
maestro; senza chiedere nulla, essere semplicemente alla sua presenza. Esiste una
parola, satsang, che indica l’essere alla presenza di un maestro, vicino alla verità. Se
siedi silenziosamente accanto a un maestro, prima o poi vi dissolverete l’uno
nell’altro. Le consapevolezze si incontrano. Il maestro entra dentro di te, tu entri nel
maestro. Se non fai nulla e semplicemente rimani vicino al maestro, un giorno
giungerai alla meta, senza il minimo sforzo.
La parola "scuola" deriva dal greco scholè e significa "tempo libero" dagli impegni e
dalle necessità materiali della vita. Dunque tempo libero da dedicare a se stessi e alla
propria crescita morale.
Il vero maestro non ti insegna la sua via ma ti aiuta soltanto a trovare la tua via
autonomamente. Il vero maestro si è fatto vuoto, il più vuoto possibile. Il vero
maestro sa di non sapere. Il vero maestro è nell'atteggiamento di continua e vera
apertura dubitando e ricercando sempre. Il vero maestro è quindi sempre disposto a
imparare da tutti e da tutto vivendo in relazione con tutti e con tutto. Il vero
maestro è semplice e umile evitando di fare proseliti ed evitando ogni atteggiamento
ridondante.
Il falso maestro ti chiede di fare un percorso per arrivare dove lui è arrivato. In
realtà, forse, nessun percorso è stato da lui percorso. Siamo tutti già arrivati senza
muoverci e senza maestri. Siamo onde che non necessitano di qualcuno che
spieghi loro come si diventa acqua. L'io291 è diverso ma non separato dal resto.
Vero insegnante e buon maestro non è colui che sa e insegna tante cose ma colui
che sa portare il fuoco nel discepolo, fa nascere domande senza offrire risposte
già fatte, e sa trasmettere l’amore per la sapienza.
Il maestro è tanto più forte quanto meno mostra la sua forza: la sua personalità è tanto
più profonda quanto meno egli aspira a essere una personalità.
Il vero maestro vede tante persone coinvolte in appiccicosi sogni tristi e le vuole
svegliare da questa brutta e fallace esperienza. (Nisargadatta Maharaj)

Un vero maestro non pretende obbedienza da nessuno. Infatti se non hai un vero
"io" non hai bisogno di obbedire a nessuno. Un vero maestro non ha insegnamento
ma ti informa che tu sei già quello. Alla fine risulta chiaro che non c'è maestro, non
c'è insegnamento, non c'è allievo.

Cosa ne è di te, caro allievo, una volta che tu abbia messo da parte l'erudizione e la
tradizione, una volta che hai deposto le armi della logica e della dialettica, una volta
che hai colto la inconsistenza e l'impermanenza di ogni cosa e di ogni idea,
compresa quella di «io»?

Il Maestro è la più grande illusione, poiché le sue parole sono false, ma le sue parole
false ti spingono verso il tuo Sé Reale, dove la comprensione è azzerata. Non vi è
alcuna differenza tra il Maestro, il Sé e Quello che sei.

La figura genitoriale può avere una funzione esemplare non autoritaria nella misura
in cui riesce a trasmettere maieuticamente un’apertura al piano valoriale, e fa vedere,
concretamente, con il proprio modo d’essere, come ci si posiziona esistenzialmente
nel mondo, proponendosi pertanto «senza annunci e proclami». (Cusinato), Insomma
l'educatore deve essere tale non tramite l'autoritarismo ma tramite l'esempio. Si
dovrebbe sempre osservare come uno si comporta (orto-praxia) più che badare a
ciò che uno dice o predica (orto-doxia).

Mettere i propri allievi in guardia da parte del loro stesso maestro (Budda, Ario,
Pirrone, Pomponazzi, Nietzsche). Non seguitemi, potrei sbagliare!
Si ripaga male un maestro se si rimane sempre scolari. (Nietzsche)
Il vero maestro non ha nulla da insegnarti (altrimenti sarebbe un predicatore!): ti dice
solo "Tu sei già quello!".
Il maestro che io imito è una mia creazione.
Il saggio è tale in quanto abbandona il punto di vista relativo dell’io individuale
per assumere un punto di vista più ampio e variegato possibile.

292
La luce più riposta, che risplende pacificamente senza tempo nel cuore, è il vero
maestro (interiore). Gli altri si limitano a mostrare la via.

Dice Nisargadatta Maharaj: "Il maestro mi ordinò di concentrarmi sull'"io sono", e di


cancellare il resto. Gli obbedii. Non seguii nessun corso di respirazione, di
meditazione o di studio delle Scritture. Qualsiasi cosa succedesse, ne distoglievo
l'attenzione, puntandola sull'"io sono". Può sembrare fin troppo semplice, rozzo
addirittura. L'unico motivo per farlo era che me l'aveva ordinato il maestro. Tuttavia
ha funzionato! L'obbedienza è un forte solvente dei desideri e delle paure".

Il maestro, il discepolo e l'amore e la fiducia che li anima, sono una cosa sola, non
tanti fatti indipendenti. Ognuno è parte dell'altro. Senza amore e fiducia non ci
sarebbe stato né maestro, né discepolo, né rapporto reciproco. È come pigiare un
interruttore per accendere una lampadina. Ottieni la luce perché lampadina, filo,
interruttore, trasformatore, linee di trasmissione e centrale elettrica formano un tutto
unico. Mancando uno solo di questi fattori, non può esserci la luce. Non devi separare
l'inseparabile.

Il saggio non adotta nessuna opinione esclusiva: se stesso è anche l'altro e l'altro
è anche se stesso
Diffidate da tutti coloro nei quali è forte l'istinto di punire.
Il saggio è benevolo spontaneamente (e senza merito) e non perché confortato da una
norma e da una ricompensa.
Il vero maestro non ti umilierà mai, né ti estranierà da te stesso. Ti riporterà
costantemente al fatto della tua perfezione intrinseca, e t'incoraggerà a cercare
all'interno. Sa che non hai bisogno di nulla, nemmeno di lui, e non si stanca di
ricordartelo.

Un maestro di propria nomina s'interessa molto più a se stesso che ai discepoli.

-MALE***

Secondo l'idea ebraico - cristiana il male ha una sua origine: c'è il male perché, a
monte c'è stata una colpa. Ciò in uno stretto rapporto di causa effetto. Dice Paolo:
"Come a causa di un solo uomo (n.d.r. Adamo) il peccato è entrato nel mondo e con il
peccato la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno
peccato". In tutto ciò vi è una chiara impronta orfica.

La Teodicea (Theos e Dike) sarebbe la giustificazione di Dio di fronte al problema


della sussistenza del male nel mondo e del presunto libero arbitrio umano. Insomma,

293
se Dio è onnipotente, l'uomo non può essere libero oppure, ancora, o Dio è buono o è
onnipotente! Il tutto sempre condito da un profondo e lacerante dualismo.

Nietzsche scrive che tutto ciò che è fatto per amore è sempre al di là del bene e del
male.

Il Buddhismo non parla mai di bene e di male in astratto ma, molto più
modestamente, di comportamenti positivi o negativi in quanto utili o dannosi.

-MARX***

Si laurea in filosofia con un a dissertazione su Democrito ed Epicuro. Ma si ispira a


Prometeo (il più grande santo dell'umanità, secondo lui) che dice: "Io odio tutti gli
dei". Prometeo voleva portare la giustizia presso gli uomini.

Secondo Marx, la filosofia deve liberarsi di tutte le divinità celesti e terrestri perché
la suprema divinità è l'autocoscienza umana (e. se per caso, pure quest'ultima
fosse una semplice supposizione concettuale?).

Quando Marx dice che i filosofi, che hanno fino ad ora interpretato il mondo, ora
devono passare a trasformarlo, si riallaccia addirittura, lui ateo, a una tradizione
che affonda le radici nel Vangelo cristiano nel senso che la filosofia pratica (il fare)
deve avere il sopravvento su quella teorica e contemplativa. 

Dunque, Marx dice che prima di lui i filosofi si erano dati da fare per capire il mondo
mentre lui lo vuole cambiare anche tramite il Manifesto del Partito Comunista del
1848 scritto in collaborazione con Engels. Il testo originale ha solo 23 pagine.

Popper dice che Marx è un falso profeta così come Hegel.

La scure del sospetto filosofico è brandita da tre filosofi (dice Ricoeur): Marx, Freud
e Nietzsche. Guardano con sospetto alla tradizione filosofica.

L'alienazione è il distacco fra il lavoro dell'operaio e il prodotto del suo lavoro


che diviene di proprietà del capitalista. L'operaio, quindi, non si realizza mai anche
perché produce più di quanto egli venga pagato (sfruttamento).

L'uomo crede molto in dio e molto meno in se stesso: anche qui alienazione
perché dio non gli appartiene. L'uomo, quindi, non si realizza mai.

Ricordiamo che la parola "rivoluzione" è di origine fisico-cosmica ed è usata da


Copernico per indicare il moto della terra che gira su stessa ritornando, dopo circa
294
24 ore, allo stesso punto rispetto al sole: sappiamo tutti che mezzogiorno ritorna ogni
24 ore. Il vocabolo "rivoluzione, fu poi usato in politica per opporlo a "riforma". Due
diverse linee politiche: la prima massimalista, la seconda più moderata. Marx non
sembra rivoluzionario, dice infatti: "non ho ricette per l'osteria del futuro".

L'uomo doveva essere, secondo lui, forte e la donna debole.


La principale virtù è la semplicità.
La sua personale caratteristica è la determinazione.
Per avere la felicità bisogna lottare mentre la sottomissione porta all'infelicità.
La servilità è un difetto non scusabile mentre è scusabile la credulità.
Il suo eroe preferito è Spartaco (insieme con Keplero). Strano che non parli di
Prometeo.
Il suo motto preferito: De omnibus disputandum est (Kiekegard)
La sua massima: Nihil humani a me alieno puto (Terenzio)

La religione è per Marx un inganno che l’umanità offre a se stessa, una droga che
ottunde i sensi e non permette di comprendere la natura inguaribilmente infelice
dell’esistenza. Di conseguenza parla della religione come dell'oppio dei popoli
(parafrasando Feuerbach) che porta alla alienazione religiosa.

-MATEMATICA***

La parola "matematica" deriva dal greco ta mathemata che significa "quello che può
essere imparato" e quindi anche "quello che può essere insegnato".
La conoscenza matematica non è né empirica e neppure a priori: è una
conoscenza puramente verbale!
Non c‟è dubbio che la matematica sia un fenomeno antropologico. (Wittgenstein)
Che cos'è un numero? Che cos'è un insieme? La risposta non è univoca, perché
dipende dal nostro modello di riferimento. Detto altrimenti, in ogni universo si
gioca una matematica diversa. Ma ogni gioco ha inizio dal nulla. (Bartocci)
La matematica si scopre o si inventa? Secondo Platone, grande realista (gli
universali esistono prima delle cose) ante litteram, la matematica si scopre. In
questo concordano anche molti matematici. Per altri invece la matematica è una
invenzione, una costruzione tale e quale a quella di una cattedrale che viene
edificata dove prima non esisteva. Quindi siamo nel nominalismo per il quale gli
universali sono un prodotto reale della nostra mente che svolge quindi una funzione
autonoma nella elaborazione dei concetti che non dipende dalla realtà.

295
Il matematico Zellini si chiede se la Matematica sia una scoperta o un'invenzione.
Gli risponde Dedekind dicendo si tratta di una libera creazione della mente umana.
Hardy pensa invece che il mondo matematico sia fuori di noi e stia a noi scoprirlo (in
questo suo modo di pensare asserisce di essere in compagnia di Platone e di molti
altri grandi filosofi non meglio specificati).
Non si può dimostrare nulla di ciò che non è già implicito negli assiomi.
(Odifreddi)
Abbiamo l'inclinazione a trattare il simile come fosse un uguale. Una inclinazione
illogica dato che in sé nulla di uguale esiste in natura. Noi diciamo che 1+1=2.
Questa però è pura teoria perché, in pratica, non esistono mai due cose uguali che si
possano sommare per ottenere due (cose uguali). I numeri, dunque, potrebbero
essere una costante falsificazione. Perché nessuno me lo ha mai detto prima?
L'area di un cerchio non potrà mai essere calcolata esattamente visto che il
famoso π (pi greco) è un numero infinito. Infatti, π (pi greco) è un numero irrazionale
pari al rapporto fra circonferenza e diametro di un cerchio qualsiasi (cerchio perfetto
che, in realtà, non esiste nella pratica). Lo stesso risultato si può però ottenere
dividendo 355 per 113. Attenzione però: questo strano numero, come tutti quelli
irrazionali, non si lascia definire nel senso che non si potrà mai conoscere il suo
valore esatto! Perché nessuno me lo ha mai detto prima?
Ricordiamoci sempre che un teorema (che significa osservare lo spettacolo) è una
proposizione dimostrata con regole logiche a partire da assiomi indimostrati (quindi
da atti fede?). Perché nessuno me lo ha mai detto prima?
Le cifre dei fenici, dei greci, dei romani erano lettere dell'alfabeto. Le cifre che
usiamo oggi sono di origine indiana ma ci sono pervenuti tramite gli arabi.
Ogni sistema di regole del pensiero produce affermazioni indecidibili. Questo è
stato studiato da molte persone, tra le quali George Boole, Bertrand Russell, Glottlob
Frege, ed altri, ma la parola fine ad oggi definitiva è stata data dal teorema di
incompletezza di Gödel, il quale ha mostrato che qualunque sistema logico
assiomatico - deduttivo (in termini tecnici: assimilabile ad un'algebra di Peano)
coerente (cioè privo di contraddizioni interne) comporta inevitabilmente la
produzione di teoremi indecidibili.
Ora, quello che possiamo dire della logica lo possiamo dire a maggior ragione della
matematica, perché «nell'affermazione che la matematica è logica c'è questo di vero:
la matematica si muove tra le regole del nostro linguaggio. E questo le conferisce
la sua particolare solidità, la sua posizione inattaccabile e solitaria”. Quindi, è il
consenso d’azione che spiega il motivo per cui contiamo tutti allo stesso modo. Nel

296
contare non esprimiamo alcuna opinione: che 25 segua a 24 non è una faccenda né di
opinione né di intuizione. (Wittgenstein)

Una proposizione matematica costituisce un modello di certezza in quanto "si tratta


del modo di procedere che la gente trova più naturale". (Wittgenstein)

Di fronte alla matematica (e alla filosofia e alla fisica) si può essere nominalisti o
realisti: Platone è realista (le parole e i pensieri rappresentano le cose e la realtà)
mentre il pensiero orientale è nominalista (le parole sono solo parole e non sono la
realtà).
La geodetica è il percorso minimo fra due punti dello spazio curvo. Non esiste quindi
il segmento di retta tanto agognato da tutti.
Dare una definizione di numero è difficile: sembra che nessuno sia mai riuscito a
definire l'esatta natura dei numeri.
I numeri nascono in opposizione all'apeiron che è l'infinito indefinito. "Di numeri è
fatto l'intero universo" dicevano i pitagorici e gli atomisti mentre Platone affermava
che i numeri sono causa della sostanza delle cose anzi, che sono equiparabili ad
esse.
L'essere che non ha grandezza non esiste? Il punto esiste? Ma se non esiste il punto
possono esistere la retta, il piano, le figure geometriche?
La differenza fra i "numeri" e le "cifre" è la stessa che fra "significato" e
"significante". Cerco di spiegarmi meglio: - - - - questo è il significato del numero
quattro (infatti siamo di fronte a quattro trattini). La cifra può invece essere scritta in
diverse maniere: 4, IV (in romano antico), d (in greco antico), + (nei numeri Nasik)
eccetera, eccetera …
Il triangolo sacro egizio si basa sui numeri 3, 4, 5. Trattasi di un triangolo rettangolo
che quindi sottostà al cosiddetto teorema di Pitagora. I tre numeri rappresentano la
trinità egizia: rispettivamente Osiride, Iside e Horus. Iside è il principio femminile
della natura.
La magia dei quadrati magici: 4,9,2; 3,5,7; 8,1,6. Questo è il quadrato di Saturno a
base tre. Pare essere di origine cinese ma è pure il quadrato di Salomone. Quello di
Dürer è invece a base quattro : 16, 3, 2 13; 5, 10, 11, 8; 9, 6, 7, 12; 4, 15, 14, 1 (da
notare che 1514 è la data dell'incisione). Vi sono anche quadrati magici a base dieci.
SAMSARA significa semplicemente MISURARE.
Il numero degli assoluti è in continua diminuzione mentre la famiglia delle entità
relative sta diventando sempre più grande.
297
Il quinto postulato di Euclide (300 a.c), quello secondo cui due rette parallele non si
incontrano mai, è, come tutti i postulati, indimostrabile. Si accetta o si rifiuta solo
per comodità.
Per Russell i postulati sono furti intellettuali.

Ogni postulato è un assioma, cioè un'affermazione che è accettata vera senza


dimostrazione.

Il numero palindromo 111.111 moltiplicato per se stesso da 12.345.654.321 anche lui


palindromo!
Il rapporto fra il lato e la diagonale di un quadrato è un numero irrazionale pari alla
radice quadrata di due (1,4142…). Per costruire un quadrato doppio di un quadrato
dato basta usare la sua diagonale come lato del nuovo quadrato.
L'infinito non può essere definito e quindi resta inconoscibile. (Cusano)
Quanti elementi contiene l'insieme di tutti gli insiemi privi di elementi?
Se nessuna cosa è uguale ad un'altra, perché si afferma che uno più uno fa due?
V1+V2 (diverso da zero) = V1 Impossibile! (direte voi). E invece è possibile:
pensiamo a V1 quale velocità della luce …
La conoscenza matematica non da certezze. Nulla può dare certezza! La matematica
non porta alla verità ma alla spiegazione.

I Ching (Il libro dei mutamenti) è molto significativo perché è il primo ad avere una
visione binaria del mondo usando, anziché l'attuale 0 e 1, un segmento continuo
____ e uno non continuo __ __ .

La scrittura greca e quella ebraica non avevano numeri ma usavano, in loro vece, le
lettere: le prime nove erano le unità, le seconde nove erano le decine, le terze erano le
centinaia. Per i numeri superiori a 999 si usavano stratagemmi quali apostrofi o la M.
I numeri attuali sono indiani e sono arrivati a noi tramite l'islam.

Cantor dice che un aggregato infinito è un aggregato che ha delle parti contenenti
tanti termini quanti ne contiene l'intero aggregato.
Un numero è una pluralità di pluralità di pluralità.
Zero moltiplicato per l'infinito produce l'assolutamente indeterminato che
contiene in sé tutte le possibilità.
Noi crediamo nella geometria euclidea e nell'esistenza degli oggetti materiali
esterni perché sono ipotesi comode e non perché sono verità.
298
Nella geometria euclidea per un punto esterno alla retta passa una sola parallela. In
quella iperbolica per un punto passano infinite parallele essendo la curvatura rivolta
verso l'esterno rispetto al punto. In quella elittica non esistono parallele la curvatura
rivolta vero l'interno (come sulla terra).

La linea retta euclidea (quella che giace ugualmente rispetto ai suoi punti) è una pura
idealizzazione (come l'io) che sulla terra diventa una geodetica.

-MATERIA OSCURA -ENERGIA OSCURA***

La galassie si stanno allontanando le une dalle altre e, di conseguenza, la densità e la


temperatura dell'universo sta via via calando. Si va verso una morte tecnica
dell'universo. Le quattro componenti dell'universo non sono più quelle dei
presocratici (terra, fuoco, acqua e aria) ma sono invece: materia (che è energia),
radiazione, energia oscura e materia oscura. Di queste ultime due non conosciamo le
proprietà (anche se, in realtà, non sappiamo neppure bene cosa sia l'energia!)

L'attuale fisica descrive solo il 4% dell'universo visto che il restante 96% resta a
noi sconosciuto in quanto è dato dalla materia oscura e dall'energia oscura.
Siamo avvolti dal mistero anche in questo campo!

Le "entità oscure" le chiama il fisico delle particelle Galbiati.

Una sorgente di gravità che però non si può vedere. Una forma di materia che
rifugge completamente dai canoni consueti: infatti deve essere molto pesante e
quindi molto lenta e non deve avere alcuna carica elettrica perché altrimenti
sarebbe anche visibile.

La sua presenza fu scoperta negli anni trenta del secolo scorso da un astronomo
svizzero. Egli rilevò una sorgente di forza di gravità che sfugge non solo
all'occhio umano ma anche agli strumenti più raffinati. Una materia pesante ma
invisibile che, a diferenza della materia di cui siamo fatti anche noi, non
concorre a formare le stelle.

299
-MATRIARCATO***

Una dea di Malta: l’obesità è fertilità; il sonno rappresenta la morte, prima del ritorno in vita.

300
La statuetta di avorio ritrovata nella grotta di Hohle Fels (Germania), vista di lato e di fronte. Età: 35 mila anni. Ha testa piccola, seni enormi, fianchi larghi e ventre
gonfio. La vulva è accentuata e sul corpo ci sono diversi segni rituali.

La prima scultura di forma umana che si conosca fu realizzata 35 mila anni fa. È
un pendaglio di avorio di mammut, lungo appena 6 centimetri, ritrovato nella grotta
di Hohle Fels, in Germania. La statuina scoperta nel 2008 rappresenta una donna
grassa, con seni spropositati, natiche grandi e sporgenti e una vulva accentuata. Era
con tutta probabilità una divinità femminile, da portare al collo.  
 
Se a quei tempi la divinità principale era femmina, il ruolo delle donne doveva essere
importante, non inferiore a quello dei maschi. Anzi, per tutto il Paleolitico,
specialmente 25 mila o 20 mila anni fa, le cosiddette Veneri, statuine ritrovate in
Europa e Asia, hanno rimarcato il concetto del “dio femmina”.
Non solo: statue e statuette di donne abbondanti e gravide, simboli di rigenerazione e
nutrimento, erano diffuse in tutto il Neolitico, il periodo in cui si imparò a coltivare le
piante e ad allevare gli animali. A Çatal Hüyüc, in Turchia, erano per esempio
oggetto di culto in uno dei primi grandi villaggi agricoli. E divinità femminili obese,
che rappresentavano una dea madre, sono state trovate fra i megaliti di Malta, dove
una civiltà realizzò templi utilizzando grandi blocchi di pietra, nel IV millennio a. C.,
1500 anni prima che in Egitto si costruisse la piramide a gradoni di Saqqara.
 
A Malta venivano immagazzinate scorte alimentari in granai pubblici, inglobati nei
templi, dove si svolgevano cerimonie per distribuire cibo in nome della dea. Il surplus
alimentare consentiva il mantenimento di addetti alle opere pubbliche e di un corpo
sacerdotale, costituito probabilmente da donne. Sacerdotesse che, come la dea madre,
non dovevano avere corpi da “veline”, ma extralarge.  
Gli insediamenti megalitici non avevano fortificazioni, segno che la guerra era
pressoché sconosciuta. E non si ritrovano solo a Malta, ma anche nelle attuali Gran
301
Bretagna, Francia, Spagna, Italia e in località dell’Europa centro-orientale.
L’antropologa Marija Gimbutas (1921-1994), in decine di campagne di scavo,
raccolse segni a spirale, simboli femminili, e sculture di divinità femminili della
fertilità. E anche statuine di “donne-civetta”, trovate in sepolture che non indicavano
differenze sociali fra i defunti. Arrivando a una conclusione: nella vecchia Europa, e
non solo, era esistita una grande civiltà precedente ai Sumeri e ai Greci. Una
civiltà delle donne. Egualitaria, pacifica, che credeva in una dea madre.  
 
Già lo storico Johann Jacob Bachofen (1815-1887) aveva lanciato l’idea di un passato
matriarcale dell’umanità. Sosteneva che alcuni miti greci, da quello delle Amazzoni
alla storia di Medusa, non erano il frutto di problemi psicologici con l’altro sesso, ma
il ricordo di conflitti sociali veri, che poi portarono al patriarcato, cioè al dominio del
maschio sulla femmina. Insomma, Perseo che uccide Medusa elimina una antica
matriarca, dipinta poi come mostro nel racconto mitico. Bachofen riteneva che la
società patriarcale avesse vinto quando gli uomini si impossessarono del potere
religioso riservato alle donne.
Medusa era l’unica mortale delle tre mostruose sorelle dette Gorgoni. Ma
inizialmente Medusa (in greco, “colei che domina”), era una donna bellissima.
Poseidone si innamorò di lei e la sedusse, ma Atena la punì trasformandola in un
mostro con serpenti al posto dei capelli. E un viso che impietriva chi lo guardava.
Aizzato dal re di Serifo, Polidette, il giovane eroe Perseo promise di portare al re la
testa di Medusa. Atena ed Ermes lo equipaggiarono con uno scudo lucente come uno
specchio e un falcetto. Usando lo scudo per evitare di guardarla direttamente, Perseo
tagliò la testa alla Gorgone. Nella visione dello storico Johann J. Bachofen, mostruosi
esseri femminili come la Medusa (“colei che domina”) o la Sfinge non
rappresentavano la paura per il sesso femminile: i Greci, più pragmaticamente,
rivivevano con tali miti antiche vittorie sulle grandi matriarche.
La studiosa italiana Momolina Marconi (1912-2006) confermò l’ipotesi del
matriarcato con l’idea che dalla Puglia alla Sardegna, alle coste africane e
dell’Anatolia, fosse esistita una civiltà matriarcale, quella dei Pelasgi, che credeva in
una Grande madre mediterranea. Un’età dell’oro, di bilanciamento fra i sessi. Ma
questa fase matriarcale è stata spesso considerata un’utopia femminista, nonostante
fosse stata ipotizzata anche dal filosofo ed economista Friedrich Engels (1820-1895)
che ne spiegò la fine con la nascita della proprietà privata.  
 
Le cose negli ultimi anni sembrano essersi chiarite. Nel 2005 a San Marcos, in Texas
(Usa), archeologi e antropologi da tutto il mondo si sono riuniti in un convegno di
“studi matriarcali”, confrontando dati archeologici e osservazioni su alcune
popolazioni attuali. Risultato: la civiltà megalitica del Neolitico era incentrata sulle
donne. E decine di etnie risultano essere ancora oggi matriarcali. Per esempio, i
Mosuo dello Yunnan cinese, i Bemba e i Lapula delle foreste dell’Africa centrale, gli
indiani Cuna “isolati” al largo di Panamá o i Trobriandesi della Melanesia.
 
302
Fondamentale è uno studio sui Minangkabau di Sumatra, circa 4 milioni di persone.
L’antropologa Peggy Reeves Sanday, dell’Università della Pennsylvania (Usa), ha
trovato che i loro valori sono incentrati sulla cura, sui bisogni della comunità
invece che sui principi patriarcali di “giustizia divina”, sacrifici e rigide
prescrizioni sessuali dettate dall’alto. I valori di cura, i cerimoniali in onore dei
cicli della natura e dono discendono da antenate mitiche divinizzate.
 
Il matriarcato, fra i Minangkabau come negli altri gruppi studiati, non è il semplice
ribaltamento del patriarcato, cioè la dominazione opposta di un sesso sull’altro, ma
una cultura di bilanciamento dei ruoli. Le spose restano a vivere nel villaggio della
madre dove l’organizzazione e la cura dei figli si avvale degli uomini, ma questi sono
in genere fratelli della sposa, zii e nonni.  
I mariti abitano invece nel villaggio materno, dove si occupano dei loro nipoti e dei
campi. Sono infatti “visitatori serali” della sposa e il mattino presto tornano nel
villaggio materno. Il risultato di questa relazione part-time è che i bambini vengono
accuditi dalla madre e dai parenti materni, e quasi mai è chiaro chi sia il padre
naturale. Quella che conta è la paternità sociale, collettiva.
 
L’antropologa Heide Göttner- Abendroth, dell’Accademia internazionale Hagia di
Winzer (Germania), fondatrice dei moderni studi sul matriarcato, ne ha descritto le
caratteristiche principali, presenti e passate. «Viene praticata in genere l’orticoltura o
una agricoltura di autosostentamento» spiega. «Si vive nel villaggio materno
prendendo il nome della madre e se ne ereditano i beni. Ci sono matrimoni di gruppo
fra clan e relazioni coniugali basate sulla “visita”, con conseguente libertà sessuale
dei partner».  
 
La proprietà privata è ridotta al minimo: terreni e animali appartengono al
clan. Al posto dello scambio è presente l’economia del dono. «Nello scambio si
guarda al valore della merce e si soddisfa un bisogno personale» spiega
l’antropologa. «Nel dono, invece, non si fanno valutazioni merceologiche, si soddisfa
il bisogno dell’altro». Lo scambio interrompe la relazione (chi ha dato ha dato, chi ha
avuto…). Il dono no, va ricambiato prima o poi, e la relazione continua. Nelle
società matriarcali capita che il valore dei doni sia più alto o più basso, secondo la
volontà e la possibilità delle persone. Ma ciò che si perde materialmente lo si
guadagna in considerazione sociale, e al momento del bisogno i conti tornano
sempre. Questa disparità nei doni, per esempio di un clan che ha avuto un raccolto
favorevole e può donare di più, serve anche come riequilibrio sociale: la ricchezza
viene distribuita meglio.  
«I clan matriarcali» spiega ancora Göttner-Abendroth «funzionano su base
assembleare, alla continua ricerca del consenso: una famiglia manda il suo
rappresentante, donna o uomo, all’assemblea del clan. Se non c’è accordo si torna a
consultare coloro che hanno dato la delega. Lo stesso succede quando i delegati del
clan vanno a un’assemblea di villaggio, oppure quelli del villaggio a una regionale: se
303
non c’è accordo si torna a parlare con chi si rappresenta. L’idea sbagliata che il
matriarcato non sia mai esistito era dovuta alla presenza di maschi nelle assemblee:
alcuni antropologi li scambiarono per capi, ma erano solo delegati».
 
Altre caratteristiche dei matriarcati sono la fede in divinità femminili e una
particolare credenza sulla morte. Nella visione matriarcale, dopo la morte si
rinasce all’interno del proprio clan: il bambino non se lo ricorda, ma una volta era
uno zio o una nonna. Questa idea deriva dall’osservazione dei cicli vegetali, che
risale all’inizio dell’agricoltura. Le piante muoiono in autunno, ma i loro semi
riposano d’inverno fino a primavera, quando germogliano e rinascono uguali a quelle
precedenti.
 
Per questo nell’ipogeo funebre di Hal Saflieni (vedi sotto), a Malta, 5 mila anni fa le
persone venivano seppellite in posizione fetale, in attesa che rinascessero nel clan. I
cicli stagionali, le stelle che scompaiono per ritornare la sera dopo, il Sole che
“muore” e sempre poi “rinasce”, lo stesso ciclo mestruale femminile, erano i
riferimenti naturali del matriarcato, che portarono all’idea di una Grande madre che
rassicurava tutti, femmine e maschi.   

Perché allora le cose cambiarono? Secondo la ricostruzione di Gimbutas, confermata


dagli studi genetici e linguistici, in tre ondate successive dal 4500 a. C. al 3000 a. C.
popoli guerrieri provenienti dalle pianure del Volga, che avevano addomesticato il
cavallo e disponevano di armi di bronzo, dilagarono nella vecchia Europa, ma anche
nel Vicino Oriente, spingendosi poi sulle rive dell’Indo. Parlavano una lingua proto-
indoeuropea e avevano divinità celesti, maschili e guerriere.
 
La religione e i costumi dei popoli conquistati cambiarono, nella direzione del
patriarcato. «Fu un processo lento che, sebbene giunto dall’esterno, trovò l’appoggio
di diversi maschi delle popolazioni matriarcali» spiega l’antropologa Luciana
Percovich, autrice del libro Oscure madri splendenti (Venexia). «Si iniziò a
pretendere che le mogli si trasferissero nel villaggio dei mariti. Che i beni familiari e
del clan si trasmettessero per linea maschile».
 
Una svolta dovuta al fatto che la guerra era diventata una forma di economia e la
forza maschile era molto più importante di un tempo. Per fare in modo che le terre
possedute e conquistate restassero ai propri discendenti, i maschi pretesero la
sicurezza della paternità e per questo iniziarono a segregare le donne. Le
sacerdotesse vennero subordinate ai sacerdoti.  
Fra i Sumeri, il popolo che in Mesopotamia ha dato vita alle prime città-Stato, allo
sviluppo dell’irrigazione, dell’agricoltura e alla scrittura cuneiforme, si ebbe un
periodo di transizione fra matriarcato e patriarcato. Questa transizione risultava
ben chiara durante l’investitura del re. «Egli doveva accoppiarsi con una grande
sacerdotessa che rappresentava la dea 304 Inanna, versione locale della dea madre»
spiega Percovich. «I re venivano eletti e restavano in carica solo un anno. Ma poi
questi prorogarono i loro mandati, si portarono alla pari con il potere religioso
femminile e, successivamente, presero il sopravvento designando sacerdoti maschi. Il
potere da allora divenne dinastico». Le frequenti guerre rafforzarono il ruolo
centrale dei maschi che diedero ulteriore slancio alle risoluzioni violente dei
conflitti, opzioni molto meno popolari nelle società matriarcali. 
I Sumeri riflettono il passato matriarcale e la transizione al patriarcato nel ciclo
mitico della dea Inanna (analoga alla babilonese Ishtar e alla fenicia Astarte),
evoluzione locale della dea madre. Il mito racconta che la dea Inanna si impossessò
dei “me” della conoscenza (i me nella mitologia sumera sono i fondamenti, le leggi e
le pratiche alla base della civiltà) per donarli agli uomini. E come altra prova di virtù
e coraggio discese negli inferi. Ma sua sorella Ereshkigal, che lì sotto regnava,
invidiosa, la bloccò e lasciò uscire solo a patto di trovare qualcuno che la sostituisse
fra i morti. Toccò a Dumuzi, lo sposo di Inanna. Ma la sorella di Dumuzi, per
aiutarlo, si offrì di dargli il cambio: 6 mesi sarebbe rimasta negli inferi lei e sei mesi
il fratello. Così Dumuzi poteva ricomparire vivo in primavera, per poi tornare fra i
morti in autunno. Nella realtà, i primi re sumeri governavano a tempo determinato e
dovevano accoppiarsi con una sacerdotessa che rappresentava Inanna
La Grande madre ebbe una variante anche in Egitto, con la dea del cielo Nut, ma poi i
faraoni si dichiararono i rappresentanti in terra di divinità maschili, come Ra, il dio
Sole. In Grecia, Zeus mandò nell’oblio la dea madre attuando una completa,
innaturale e illogica inversione dei ruoli: partorì lui la figlia Atena, dalla testa.
(articolo di Franco Capone)
 
-MECCANICA QUANTISTICA RELAZIONALE***

Alcune interpretazioni della meccanica quantistica prevedono una realtà che


dipende dal punto di vista dell'osservatore.

Se osservatori diversi danno resoconti differenti della stessa sequenza di eventi, ogni
descrizione quantomeccanica deve venir intesa come relativa a un osservatore
particolare e, quindi, non assoluta ma prospettica perché basata su un certo punto
di vista. Dunque siamo di fronte a qualcosa di relazionale: una relazione stretta fra
osservatore e osservato.

Secondo Bohr, l'indistinto e nebuloso mondo dell'atomo prende corpo nella


realtà solo quando lo si osserva.
In assenza di osservazione, l'atomo è un fantasma; si materializza solo quando
lo si cerca.
La realtà sembra proprio nascere dall'osservazione! La realtà è relazione.
E tutto ciò ha ormai una convalida sperimentale.
305
L'idea chiave di Bohr e di Heisenberg che "nessun fenomeno è un fenomeno finché
non è un fenomeno osservato" deve valere per ciascun osservatore indipendentemente
dagli altri. Ogni osservatore ha il diritto a un suo universo e la verità all'interno
di questo universo dipende dall'osservatore!

Cosa succede quanto più osservatori lavorano sullo stesso universo? Intanto
precisiamo che spazio e tempo sono concetti dipendenti dall'osservatore e non sono
assoluti invarianti. Ogni osservatore ha il suo spazio, il suo tempo e il suo mondo.
Una descrizione universale e indipendente dall'osservatore dello stato di cose del
mondo non esiste! La realtà stessa dipende dall'osservatore! Non esiste un
assoluto indipendente dall'osservatore: anche l'assoluto è relazione!

Non esiste una singola realtà condivisa da tutti gli osservatori. Si può e si deve
parlare del mondo da più di una prospettiva simultaneamente. La fisica quantistica
dice addio alla realtà unica e condivisa! Comincia a sembrare che ci sia un
universo per ogni osservatore. (Rovelli)

L'osservatore osserva il mondo e, così facendo, lo fa accadere! Ma l'osservatore


stesso è parte del mondo! L'osservatore e il mondo sono in relazione. Risulta però
impossibile per l'osservatore misurare se stesso (cosa che invece cerca di fare con il
mondo).

L'osservatore non può osservare se stesso! Teorema di Godel? Conosci te stesso? No!
La nostra informazione è troppo limitata per conoscere le proprie origini, il soggetto e
l'oggetto della conoscenza.
Nessuna cosa è inserita nel tempo e da esso è modificata ma essa stessa è il tempo.
L'energia non è mai immobile, il vuoto non coincide mai con il nulla.

-MENTE***

La mente è la natura operante connessioni, relazioni.

La mente non appartiene a te, è un prodotto sociale.

La maggior parte delle persone crede che la mente sia uno specchio, che riflette più o
meno accuratamente il mondo esterno, senza rendersi conto, al contrario, che la
mente stessa è l’elemento principale della creazione. (Rabindranath Tagore)

Occorre reintegrare la mente nella sua condizione di originale purezza (xin)


eliminando tutte le contaminazioni, le frammentazioni, le pluralità (yi).

306
È la mente che, distinguendo per attrazione/repulsione, attribuisce senso,
valore e disvalore alle cose: generando dunque angoscia, dolore.

L’attività della mente deve essere trascesa intuendone l’essenziale illusività,


l’inconsistenza: il principio essendo il vuoto senza-senso.

Il Chan cinese accoglie  la teoria della mente espressa dal Lankavatara Sutra ove
la mente è vista come una sorta di “contenitore-deposito” che produce
illusivamente le cose, generando dolore. È la mente, citta in sanscrito (cin. hsin),
che, con la sua sete di attaccamento, conferisce senso al irreale, deformandolo in
mostro ansiogeno. Shen-hsiu (il monaco dotto) comprende che nulla di ciò che la
mente produce ha valore reale. Hui-Neng (il monaco analfabeta) si spinge oltre,
scorgendo come neanche la mente abbia sostanzialità: dove cadrà la polvere se
nessuna cosa esiste?

Su che cosa deve stabilirsi e dimorare la mente?


Deve stabilirsi sul non-dimorare e là dimorare.
Cos'è questo non-dimorare?
Significa non lasciare che la mente dimori su nessuna cosa di nessun genere.
E cosa significa questo?
Dimorare su nulla significa che la mente non si fissa sul bene o sul male,
sull'essere o sul non-essere, sul dentro o sul fuori o da qualche parte tra i due, sul
vuoto o sul non-vuoto, sulla concentrazione o sulla distrazione. Questo dimorare su
nulla è lo stato in cui essa deve dimorare; di coloro che lo raggiungono si dice che
hanno la mente che non dimora; in altre parole, hanno la mente di Buddha. (Hui
Hai)

La mente divide, è duale e, dunque, diabolica. Vuole sempre fare, vuole capire,
vuole controllare. Non riesce mai ad arrendersi, a non fare, a non capire. Non
riesce dunque a stare in pace. Vuole svuotare la mente, vuole …, vuole … ! Non
riesce a non fare nessun esercizio. E invece dovrebbe fare l'esercizio del non
esercizio! Siediti e lascia libera la mente. Lei si perde dolcemente, prima o poi … e
questa e la via!

Il subconscio arriva a capire cose che sfuggono alla comprensione cosciente.


Senza avere alcuna impressione conscia se ne può avere una subconscia. La mente
cosciente è influenzata dal subconscio. E' il subconscio ad avere un controllo
assoluto sul nostro carattere.
La nostra mente non è nata per comprendere se stessa ma per far fronte alle
sfide poste dall'ambiente e ai problemi sempre più complessi sollevati dalla
convivenza umana. Tuttavia essa si è imbattuta nel problema della propria
comprensione, magari a causa di quegli strani
307 individui cui diamo il nome di filosofi.
Considero questa la follia delle follie ma penso pure che senza un pizzico di tale
follia la vita non sia degna di essere vissuta. (Boncinelli)

A livello cerebrale tutto è soggetto a essere rimaneggiato. Ma, nonostante questo


continuo processo di reimpasto, ogni singolo individuo ritiene non solo di essere un
fedele custode delle proprie memorie ma pure che queste siano immutabili.
Infatti riconoscere che possano essere soggette a cambiamenti significherebbe
accettare che la propria individualità e identità siano precarie, ossia porre in
discussione la coerenza del proprio "io" e delle nostre esperienze. (Oliverio)

La mente di chi è convinto che il mondo sia fatto di semplici cose separate da sé e
tra loro, vive in un "inferno" di desideri senza fine, di tensioni a possedere sempre
di più, di "ipertensioni'' rivolte a mantenere ciò che riesce a possedere e ad
accumulare: una simile mente sprofondata nell'ignoranza-illusione, da un lato, poiché
non si rende conto di essere costituita dal mondo, continua a pretendere di
conquistarlo, e vive perciò nell'ansia di vincere; dall'altro, poiché ignora di essere,
al pari del mondo, impermanente, continua a preoccuparsi dell'immortalità, e
vive, pertanto, nella continua paura della morte. Ostinata in queste sue illusioni, la
mente accecata dall'ignoranza inventa sempre nuovi simulacri di sostanzialità e di
permanenza: non solo beni materiali, ricchezze, monumenti, stati e imperi, ma anche
beni immateriali, come Verità Eterne, Principi Assoluti, Nobili Ideali, eccetera, tutti
destinati a perire. La mente " risvegliata" , invece, è quella che riesce a cogliere la
natura e la funzione universale di anatta e di anicca, e a comportarsi di
conseguenza: è quella che riesce a vivere nella consapevolezza che il mondo degli
esseri, come l'universo delle cose, non è mai da afferrare e da possedere, per il
semplice motivo che ciascuno è già da sempre " afferrato" e " posseduto" dalla rete
degli esseri e delle cose, e che nessun "nodo" di questa rete è mai stabile. Questo "
risveglio" non è affatto intellettuale o astratto, ma produce conseguenze positive.

Dio ha creato l'uomo oppure l'uomo ha creato dio? Oppure la mente ha creato
entrambi?
Lascia che la mente cerchi se stessa: non troverà nulla.
Siamo letteralmente, disperatamente, eternamente intrappolati dentro la nostra
mente. (Gefter)

L'illusione (maya) si trova nel nostro punto di vista quando pensiamo che le forme e
le strutture, le cose e gi eventi attorno a noi siano realtà della natura, invece di
comprendere che sono concetti della nostra mente la quale misura e classifica cioè
divide ciò che è uno. Si confonde la mappa con il territorio. La realtà ultima non può
essere afferrata con concetti e idee.

308
Raggiungi lo stadio finale della meditazione, quando il senso di identità va oltre l'"io-
sono-questo", oltre l'"io sono", oltre l'"io-sono-il-testimone", oltre perfino l'"esserci",
fino a raggiungere il puro essere impersonalmente personale. Concentra ogni
energia e tutto il tuo tempo nell'infrangere il muro che la mente ti ha eretto intorno.

La grande sapienza tutto abbraccia mentre la piccola sapienza ancora divide. A


una mente quieta si arrende l'intero universo.
La mente non può portarti oltre la mente: ogni dualità è sogno!
Hua T'ou.... la mente prima che sia agitata da un pensiero.
Non permettere alla tua mente di attaccarsi a nulla, neppure al nulla. La
liberazione c’è quando la mente non desidera nulla, non si duole per nulla non rifiuta
nulla, non si attacca a niente e non si compiace né si dispiace per alcunché.
Tempo, spazio e casualità sono categorie della mente che sorgono e tramontano con
la mente.
Nessuna creatura ha mai posseduto un ego o è nata. Ci sono solo percezioni,
vibrazioni in risonanza e poi … nemmeno quelle.
La fine assoluta dell’illusione della mente e quindi del ricercatore: questo spaventa
molti perché si crede alla follia o alla demenza. Nulla di più sbagliato. Si funziona
con più spontaneità e gioia, come nei sogni, ma non ci si crede più.
Se traccio una linea nel mezzo di un foglio bianco separo la pagina in due parti ma
non è la riga che separa, è la mente.
Se non sei in grado di mettere tra parentesi la tua mente, continuerai a confondere la
tua logica con la "logica" della Realtà.
La mente non potrà mai arrivarci, anzi deve sparire perché ciò che sono è prima di
qualunque concetto, è inconoscibile.
La nostra mente si è adattata per selezione naturale alle condizioni del mondo
esterno, che ha adottato la geometria più vantaggiosa per la specie, o, in altri termini,
la più comoda. Ciò è pienamente conforme alle nostre conclusioni: la geometria non
è vera, la geometria è vantaggiosa.
La mente non si arresta mai: se sia arresta, o è per morte o per illuminazione!
Noi pensiamo che la nostra mente (fissa) serva a capire il mondo (variabile) ma la
nostra mente è parte del mondo. In conclusione, come dice Eddington, la mente
ritrova nel mondo ciò che essa stessa vi aveva posto.
Se la mente non si leva... tutte le cose restano innocenti.
309
Quando cerchiamo le cose, non vi è null'altro che la mente. Quando cerchiamo
la mente, non vi è null'altro che le cose.
Il vero e il falso sono la malattia della mente.
Vedo in giro molte menti vuote, disabitate che si limitano a fungere da magazzino,
ricettacolo di idee altrui giuste o sbagliate che siano. Persone senza personalità che
rincorrono mete e fini fissati da altri.
Sono giunto a rendermi chiaramente conto che la mente non è altro che monti e fiumi
e la grande vasta terra, e il sole e la luna e le stelle.... ...ma il sole, la luna e le stelle
non sono altro che mente.....
La mente dell'uomo riflette un universo che riflette la mente dell'uomo. (Talbot)

La mente crede di conoscere se stessa ma non è così: nessuno conosce veramente se


stesso (uno specchio non può riflettere se stesso se non tramite un altro specchio).

Il corpo è fatto di cibo come la mente di pensieri.

Ognuno di noi è una comunità di 50 mila miliardi di cellule...ma noi, allo specchio,
vediamo solo una persona...e diciamo...quello sono io... E' la mente che governa la
comunità delle cellule...ma la mente è la comunità, non è fuori! Ogni cellula ha il suo
sistema respiratorio, digestivo.
Io non sono la mia idea di me stesso!
Noi tutti abbiamo due menti: una razionale che pensa e l'altra emotiva che sente
(molto prima che esistesse un cervello razionale, esisteva già quello emozionale).
Le nostre emozioni hanno una mente che si occupa di loro e che può avere opinioni
del tutto indipendenti da quelle della mente razionale.
Si pensa che la mente sia una struttura diversa rispetto alla natura e che la mente
conosca le cose così come sono.... la mente però è parte della natura con la quale ha
concausazione reciproca.
La mente umana non percepisce quello che è là ma quello che crede sia là. Le retine
non vedono a colori: là fuori non ci sono né luce né colore ma solo onde
elettromagnetiche. Tutto è un costante flusso di energia (che non sappiamo bene cosa
sia!)
Né la mente e neppure il mondo sono fissi: bisogna quindi rinunciare alla
presunzione della conoscenza ultima e definitiva.
Un’invenzione della mente può avere tanta forza da «portare lacrime su lacrime».

310
Tu hai la tua mente personale, intessuta di ricordi, legati insieme dai desideri e
dalle paure. Io non ho una mente mia; ciò che ho bisogno di sapere, l'universo mi
offre come il cibo che mangio. (Nisargadatta Maharaj)

Esiste una mente fissa che osserva il mondo? O forse la mente e il mondo non sono
fissi? O forse ancora la mente e il mondo non sono due?

Quando la mente è turbata si produce il molteplice, ma il molteplice scompare


quando la mente si acquieta. Unità e interdipendenza di tutti i fenomeni.

La memoria non è un armadio o una specie di frigorifero da cui estrarre i ricordi alla
bisogna, per poi scongelarli e utilizzarli a proprio piacimento. La memoria è
complessa: non soltanto accumula, registra, immagazzina, archivia. Elimina, riduce,
taglia, gonfia, stira, aggiunge, ingigantisce, mescola, confonde. Il fatto è che la
memoria inventa. Che la memoria affabula, racconta.” (Arpaia)
Le menti grandi, parlano di idee. Le menti medie, parlano di fatti. Le menti piccole,
parlano di successi. Le menti povere, parlano degli altri. Chi è andato oltre sorride di
tutto ciò …
-MIO***
L'aggettivo "mio" fa rima strettissima con il pronome "IO".
Divoriamo tutto quello che ci capita a tiro, ossessionati da un aggettivo
possessivo che non ci lascia scampo: «mio». Tutto deve essere mio: il mio "IO",
la mia religione, il mio partito, la mia nazione, il mio pensiero, mio padre, mia
madre, mio marito, mia moglie, mio figlio; la mia casa, la mia macchina, il mio
lavoro, i miei soldi, il mio tempo, il mio spazio; la mia vita. Tutto. E dato che in
mio c’è posto solo per io, ci trasformiamo in bocche spalancate a divorare gli
altri. Altri la cui bocca è spalancata a divorare noi. Oggi viviamo una di queste
stagioni. Abbiamo tolto museruola e catena al pitbull che ringhia dentro di noi, e ora
lui è libero di sbranare il nemico che odiamo di più: l’altro. Che mondo sarà
quando avrà finito?

-MISTERO DELLA VITA***

L’enigma dell’esistenza per il quale tutto si origina e finisce nel nulla-infinito


(assonanza con Anassimandro), come Leopardi scrive nel Cantico del Gallo
Silvestre:“Tempo verrà, che esso universo, e la natura medesima sarà spenta. Un
silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. Così questo
arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi a esser dichiarato né
inteso, dileguerà e perdurassi”.

311
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov'è il suono
Di que' popoli antichi? or dov'è il grido
De' nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
Che n'andò per la terra e l'oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s'aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s'udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.
(Leopadi)

Tutti gli uomini osservano lo stesso mistero ma lo fanno da punti di vista diversi,
molto diversi, quasi inconciliabili.
Non si vede due volte lo stesso ciliegio, né la stessa luna contro cui si scaglia un pino.
Ogni momento è ultimo, perché unico (Yourcenar)
La coscienza e l'energia! Non sappiamo cosa siano esattamente ne l'una e neppure
l'altra. Forse il soggetto non è niente di dato e, forse, non esistono fatti ma solo
opinioni (opinioni di chi?). Ma continuiamo a parlare di verità. Siamo davvero un bel
mistero noi uomini.
Per noi cristiani esiste una vita eterna individuale distinta da quella di Dio. Per
l'Induismo il jivatman (l'anima individuale) tende a ritornare all'Atman (anima
universale) e quest'ultima tende all'assoluto Brahaman nel quale l'individuo
scompare come l'onda nel mare. Per il Buddismo (Sabbe Dhamma Anatta) tutte
le realtà, compreso l'io e l'assoluto, sono vuote di un vero sé autonomo e sono,
quindi, solo relazione. Tre diverse prospettive di fronte al mistero della vita.
La parole "mistero" deriva dalla radice indoeuropea "mu" che significa chiudere,
serrare le labbra, tacere. Dalla stessa radice derivano anche muto, mistico.
Ricordiamo anche la radice greca "muo" che ha il significato di cui sopra ed è alla
base di tutti i vari misteri della grecità. Il mistero non è risolvibile perché noi stessi
siamo il mistero. Il mistero non è un problema ma è pienezza.
312
Qual è la tua via?
Osservo le cose e le lascio andare.
E quando tutte le cose sono lasciate andare, cosa resta?
Resta la consapevolezza.
E quando lasci andare anche la consapevolezza?
Non lo so.
Ecco, dove tu non sai, lì c'è l'Assoluto che è l'abisso dell'ignoto.
C'è il mistero che non è un problema ma è pienezza.
Noi stessi siamo il mistero che, quindi, non è risolvibile.
Vivere sereni nel mistero.

Noi non sappiamo né cosa sia la nostra vita, né la nostra morte, né Dio, né noi
stessi. (Pascal)
L'enigma della vita appare irrisolvibile dal punto di vista della certezza scientifica:
l'uomo non può conoscerla (la vita) nella sua essenza, ma deve limitarsi ad alcuni
aspetti espressi dalle visioni del mondo. (Dilthey)
"Ho bevuto il ciceone" diceva l'iniziato ai misteri Eleusini dichiarandosi così degno
della visione suprema concessa da Demetra e cioè la percezione che la molteplicità,
la frantumazione sono parte dell'unità divina.
CHI SIAMO? DA DOVE VENIAMO? DOVE ANDIAMO?
Uno itenere non potest perveniri ad tam grande secretum. (Simmaco)
L'essenziale è invisibile agli occhi?
Siamo sulla terra per cercare e non per trovare. Cercare è il nostro destino. (Khàn)
La vita non è un problema da risolvere ma un mistero da vivere. (P. Krishna)
Dobbiamo trovare il nostro senso della vita insieme agli altri. Questo è il bene.
(Laszlo)

Un nuovo e impressionante concetto di realtà si è fatto strada ed è stato battezzato


"paradigma olografico". Sebbene diversi scienziati lo abbiano accolto con
scetticismo, ha entusiasmato molti altri. Un piccolo, ma crescente, gruppo di
ricercatori è convinto si tratti del più accurato modello di realtà finora raggiunto dalla
scienza.  In un Universo in cui le menti individuali sono in effetti porzioni indivisibili
di un ologramma e tutto è infinitamente interconnesso, i cosiddetti "stati alterati di
coscienza" potrebbero semplicemente essere il passaggio ad un livello olografico più
elevato.  Se la mente è effettivamente parte di un continuum, di un labirinto collegato
non solo ad ogni altra mente esistente o esistita, ma anche ad ogni atomo, organismo
o zona nella vastità dello spazio, ed al tempo stesso, il fatto che essa sia capace di fare
313
delle incursioni in questo labirinto e di farci sperimentare delle esperienze
extracorporee, non sembra più così strano.

Che ne sarà di noi alla fine? Cosa ci succederà? … Anche le nuvole se lo chiedono,
pensa cosa succede a loro e capirai!
Magnifico! Magnifico! Nessuno conosce la parola finale....
Lo stato primordiale non è qualcosa da conquistare. E' già li; bisogna
semplicemente eliminare lo schermo che lo nasconde. (Nisargadatta Maharaj)
Gli universi periscono e gli oceani evaporano nell'eternità. Un uomo emerge dalle
tenebre, sorride un istante nel chiarore della luce che lo circonda e scompare. (Borel)
Le cose non sono come sembrano … e il bello è che non sono nemmeno in un altro
modo.
Ignoranza di te stesso. E poi ignoranza della vera natura delle cose, delle loro cause
ed effetti. Ti guardi intorno senza capire, e scambi le apparenze per la realtà. Credi di
conoscere il mondo e te stesso; ma è l'ignoranza che ti fa dire: so. Comincia con
l'ammettere che non sai e parti di lì.

Ci sono due tipi di illusione: secondaria e primaria. L'ombra del corpo è


un'illusione secondaria mentre il corpo stesso è un'illusione primaria.
Tutte le cose derivano dal fato si che il fato attribuisce loro una piena necessità: tale
fu l’opinione di Democrito, Eraclito, Empedocle, Aristotele.
Non sappiamo ciò che siamo veramente né lo “sapremo” mai. E' concettualmente
impossibile sapere ciò che siamo: non abbiamo che l'alternativa dell'abbandono della
ricerca che, assieme all'abbandono del ricercatore, costituisce di per sé il trovare
(trovare che significa che il cercatore è il cercato).
Ognuno vede a modo suo l'albero, la nuvola e il mare. Ognuno ha suoi alberi, le sue
nuvole e il suo mare. Come sono veramente però nessuno lo saprà mai. Io vedo il mio
albero, tu vedi il tuo albero ma ciò che l'albero è in se stesso noi non lo sappiamo né
io e neppure tu.
Non puoi ottenerlo pensandoci. Non puoi ottenerlo non pensandoci.
Divorati dal tempo, attraversiamo lo spazio rincorrendo un fine. Come sarebbe
bello saper sorridere senza tempo, senza spazio e senza un fine!
Molti amici sono sicuri di conoscere la soluzione finale del gioco della vita. Non so
se invidiarli o compiangerli... mi limito a sorridere.
Siamo il sogno di un'ombra. (Pindaro)
314
Per Schopenhauer la vita è casualità e assenza di scopo. E' il soggetto che crea nessi
fra i fenomeni e crea quindi la trama del mondo.
Creazione continua: per alcuni mistici medioevali islamici ogni singolo ente viene
creato ex novo ogni istante!
Se l’esistenza di ogni creatura si esaurisse con la disgregazione del suo corpo, se
mancasse di ogni creatura un’anima che fosse resa partecipe, in qualche modo,
dell’esistenza dell’Artefice del Cosmo, sia pure con modalità incomprensibili dalla
nostra limitata mente, l’esistenza più o meno breve di ogni creatura quale senso
potrebbe avere? Nessun senso... ma dovendo vivere, viviamo sereni e aperti agli
altri... non è che per dare un senso alla nostra vita possiamo inventarci l'Artefice del
Cosmo!
La parte in ombra è la più importante perché li sta il segreto della vita.
La vita è tutto ciò che abbiamo ma è anche ciò che dobbiamo perdere.
Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma ciò che siamo. (Pessoa)
Il senso finale delle cose non si trova ragionando ma quasi arrivando a "toccarlo"
grazie a un'intuizione. (Massimo il Confessore)
Come mulinelli di polvere sollevati dal vento che passa, gli esseri viventi girano
su stessi, sospesi al grande soffio della vita. (Bergson)
Il creatore dell’illusione è anch’esso illusione. Prendi l’essenza del fiore e sii felice,
ma sappi che anche l’essenza non è vera. Sii senza forma e senza nome. Se
qualcuno ti domanda: ’’Come ti chiami?’’ rispondi senz’altro, ma sii consapevole che
non sei quello. Tutto è illusione ma, per capire l’illusione, è necessaria l’illusione.
(Nisargadatta Maharaj)
La storia umana è una tensione continua fra presunta razionalità diurna e il gioco
senza schemi dell'inconscio.
L'assurdo è l'unico sbocco di una mente libera e intelligente!
A ognuno il suo percorso....tanto siamo tutti come torrenti che alla fine arrivano al
mare e poi evaporano in cielo!
Nonostante i paroloni (logos, caos, cosmos, scienza, Dio) non riusciamo a
capire/giustificare le grandi catastrofi! Meglio allora dire "non lo so, non capisco
e ....ugualmente faccio quello che posso per dare aiuto, da piccola persona umana che
ha un po' di cristiana empatia". Non conta tanto capire tutto (cosa impossibile) quanto
darsi da fare per i più sfortunati.

315
Le azioni di colui che vive pienamente l’Assoluto in totale libertà interiore,
manifesteranno esse stesse la mancanza di un’entità separata, per la completa
spontaneità del suo agire. (Isabella di Soragna)
È proprio l’ignoto, il silenzio vero che mi ha attirato da sempre. Le religioni e le
filosofie le ho studiate per riconoscer poi che erano sotterfugi concettuali per non
vivere l’Ignoto che siamo. Da ragazzina mi dicevo: ”Non posso credere che Dio
abbia creato tante complicazioni, tutto è Dio!” Poi scopri di “essere l’Ignoto o
l’Inconcepibile (prima di qualunque concetto)” e allora non puoi avere paura:
sei sempre a casa, qualunque cosa succeda. (Isabella di Soragna)
Il vero senso della vita è che non esiste senso della vita. C’è … la Vita. Dato che lo
spazio ed il tempo sono apparenti, non ci può essere un vero senso, che implica
evoluzione, scopo. Tutto è come si presenta ora. Il miraggio dell’acqua nel deserto.
(Isabella di Soragna)
Gli altri sono solo lo specchio delle “nostre” percezioni. Vivendo solo per il nostro
limitato corpo-mente a cui ci identifichiamo, ci allontaniamo dalla Realtà che tutto
abbraccia, che ne siamo consapevoli o meno. Questo genera conflitti, guerre, come
sempre. Non è possibile amare il prossimo se non si scopre che è solo il tuo specchio
più o meno deformato. È possibile una trasformazione, ma solo un vero
capovolgimento della coscienza, può cancellare il miraggio in cui siamo avvolti.
(Isabella di Soragna)
La madre è "ma-ya" = il ''pensiero'', la dimensione, il corpo e il mondo. Bisogna
uscirne svegliandosi dato che è fatta di sogno, per ritrovare il Padre, l'Ignoto
(che è la nostra origine invisibile) l'Assoluto inconcepibile. La Realtà è certezza
"assoluta", ma non potremo mai oggettivarla. Anche nei dogmi dell'Immacolata
Concezione il 'Padre' rimane ''ignoto'' ma la sua origine è divina mentre colei che
''procrea'' e genera, fa parte dell'illusione come il Figlio da lei generato che deve
tornare al padre. Eppure la madre-maya è anche la porta d'ingresso verso il Reale
sempre presente. Questo non in senso 'esoterico' ma attuale, da masticare nel
quotidiano, iniziando dal risveglio dall'incantesimo (la bella addormentata nel bosco
ecc.) e automaticamente il 'Padre' ci accoglie. (Isabella di Soragna)
L'aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza
in loro, ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi. (Kahlil Gibran)
Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è
invisibile agli occhi...Quello che è importante non lo si vede... (Il piccolo principe)
L'uomo in sé non è niente. Non è che un'occasione infinita. (Camus)

316
Tutto il mio essere urla in contraddizione con se stesso! L'esistenza è senza dubbio
una scelta... (Kierkegaard)
Io sono tutto ciò che è stato, che è e che sarà! Nessun uomo ha mai sollevato il mio
velo. (Iside)
Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole.
(Qoelet 1,9). Fonte di ispirazione per l'eterno ritorno di Nietzsche?
L'immortalità temporale dell'anima, dunque l'eterno suo sopravvivere anche dopo la
morte, non solo non è per nulla garantito, ma, a supporla, non si consegue affatto ciò
che, supponendola si è sempre perseguito. Forse è sciolto un enigma perciò che io
sopravviva in eterno? Non è forse questa vita eterna cosi enigmatica come la
presente? La risoluzione dell'enigma della vita nello spazio e nel tempo è fuori
dallo spazio e dal tempo. (Wittgenstein)
Attraversando il mistero della vita mi accorgo che il confine tra l'esistenza e la morte
è sfumato, ciò che non esiste non vuol dire che non c'è, come ciò che esiste non vuol
dire che c'è, sembra un'asserzione paradossale, tuttavia la realtà non è che una
sovrapposizioni di stadi, noi ne viviamo solo una sua parte e crediamo che la nostra
visione sia completa, così produciamo deduzioni prevedibili, indubbie, sicure.
IL PELLEGRINO (siamo tutti pellegrini): Dante, Ulisse, Budda, Il nevrotico, Ogni
uomo.
IL PERCORSO DI PURIFICAZIONE: viaggio della divina commedia, l'Odissea, la
meditazione, le sedute, la vita stessa.
LA META AMBITA: il Paradiso, Itaca, il Nirvana, l'equilibrio, la verità.
IL MAESTRO (in realtà non vi è nessun maestro) : Virgilio, gli Dei, i Samana, gli
strizzacervelli, se stesso.
Il mistero dell'energia, il mistero della vita, il mistero del cervello, il mistero
dell'universo, il mistero del caso, il mistero di Dio! Siamo sommersi da misteri...
eppure, eppure ... ancora troppi ostentano certezze e rifuggono dal dubbio.
Recita la tua parte nella commedia della vita ma recitala da libero. (Epitteto)
Se Dio non esiste e l'io e solo una convenzione sociale, noi chi siamo o cosa siamo?
L'essenza ci sfugge e non ci resta che restare in silenzio.
Io non ho formule, non ho nemmeno risposte ai problemi del mondo, che sono
immensi, ho soltanto delle domande, non ho nemmeno certezze, ho dei dubbi da
porre a chi crede di avere certezze e poi non le ha. (Terzani)

317
“Chi o cosa sono veramente? Cos’ero prima di essere concepito?” Una volta iniziata
questa ricerca, si è catapultati alla rovescia, sempre più all’interno, finché nella notte
buia della mancanza di immagini e di concetti “qualcosa” di completamente
imprevisto scardina tutto. Ci si rende conto che non si è caduti in nessun baratro, ci si
ritrova solo solidamente ancorati – e di nuovo qui è un paradosso – a nessun
punto di riferimento. Anche il senso di esistere si rivela falso, una stampella che
non è mai esistita, eppure il senso di libertà è indicibile. Da nessuna parte quindi …
dappertutto. E il corpo? E il mondo? E le galassie e i milioni di anni? Volatilizzati.
Diventano inutili tutte le diverse pratiche, le meditazioni, le devozioni, servite solo a
stabilizzare la folle mente ballerina che invano cercava di rimanere in sella, creando
ansie e gioie, drammi e successi per distrarre dalla ricerca che avrebbe provato la sua
inesistenza. I pochi che scoprono che il più grande inganno è la “creazione mentale”
della coscienza, il pensiero “esisto”, il primo ologramma che contiene potenzialmente
tutta l’ipnosi spazio-temporale, la rifiutano e entrando nel fondo di se stessi, scoprono
la frode. Dopo questa rivelazione, poco a poco crolla anche tutta la costruzione del
corpo e del mondo come se lo sono costruito, fondato su questo inganno iniziale.
(Isabella di Soragna)
Si tratta di vedere, senza ombra di dubbio, che c’è un “io” (inventato ma imperante)
che si erge a giudice e soprattutto che è il pensiero su un determinato evento, la
definizione di un’emozione o di un malessere. A questo punto anche “gli altri” chi
sono? Esistono veramente o sono solo figuranti che ci creiamo nel film? Anch’essi
fanno parte delle etichette elaborate dal sistema nervoso e cementate dal meccanismo
della memoria. Se togli i pensieri, ossia non dai loro importanza, l’aria e l’io-sono
che sono gemelli, non creeranno più la separazione: è solo quella che ci fa soffrire.
Anche se hai un dolore fisico, è l’interpretazione o il “voglio o non voglio” che
genera sofferenza. Anche il pensiero “morte” non farà più paura perché si tratta
in definitiva solo di un pensiero o immaginazione e del terrore di abbandonare
l’io-sono. Il corpo è indifferente al fatto che uno sia vivo o morto. E' il nostro
attaccamento che crea la sofferenza, non la cosa in sé. Non cambia mai nulla. Non
succede, non è mai successo e non succederà mai nulla, solo apparizioni
inconsistenti. Vederlo con certezza significa già esserne fuori. (Isabella di Soragna)
L'antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno,
seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine tra le mani, il re
domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo. Rigido e
immobile, il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in
queste parole: 'Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi
costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te
assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la
cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto.' (Nietzsche)
318
“Forse in qual forma, in quale stato che sia, è funesto a chi nasce il dì natale”.
(Leopardi)
Io allora ho proclamato i morti ormai trapassati più beati dei vivi ancora in vita
e più beato di entrambi chi non esiste ancora e non ha ancora visto il male
perpetrato sotto il sole. (Qoelet 4,2-3)
L'uomo deve vivere, agire, lottare e morire basandosi solo su congetture.
La mancanza di una risposta definitiva al mistero della vita e dell’universo ha
un’origine epistemologica od ontologica? Deriva dai limiti impliciti nella conoscenza
umana oppure dal fatto che l’universo e la vita sono, essi stessi, un grande punto
interrogativo e quindi una questione ancora aperta?

L'uomo è il solo animale che ride e piange perché è il solo animale che collide con la
differenza tra come le cose sono e come dovrebbero essere. (Hazlitt)
C'è qualcosa dentro di me...ma che cos'è? (Van Gogh)
Sera: tra i fiori si spengono i rintocchi di campana... (Bashò)
Lievi, lievi, spiriti dei morti, venite qui a rinfrescarvi... (Shiki)
Tutto è allo stesso tempo realtà e simbolo. (Van Gogh)
La vita è un gioco la cui prima regola è far finta che non lo sia. (Watts)
Il pensiero è nella vita e perciò non può vedere alle spalle di essa. (Dilthey)
E poiché la vita resta per noi un enigma, anche l'universo dovrà restare tale per noi.
(Dilthey)
Se perfino il cielo e la terra non possono persistere, lo potrà mai l'uomo? (Lao Tzu)
In ognuno di noi c'è un altro che non conosciamo: il perturbante?
Un uomo che ride ha un aspetto intelligente (molto più intelligente di uno che
spiega le sue profonde convinzioni!). Egli emerge, anche se per breve tempo,
dall'oceano del timore, della paura, dell'egoismo in cui il destino l'ha gettato e in cui
viene abitualmente trattenuto dalla verità.
Viviamo in un mare aperto, sotto l'incalzare dell'onda continua, senza un punto fermo
e uno strumento che misuri il peso e la distanza della cose. Nulla sembra più stare al
suo posto, molto sembra non avere più un suo posto. Non vediamo la direzione di
marcia e di conseguenza solchiamo, in ordine sparso, un territorio sconosciuto senza
alcun punto di riferimento certo. (Bauman)

319
L'equivoco è essenziale all'esistenza umana, e tutto ciò che noi viviamo o pensiamo
ha sempre più di un senso.
Se cerchi di sbarazzarti di un’emozione, di una sofferenza, di un sentimento
d’inferiorità, devi vedere con la più grande chiarezza che non sono mai esistite!
Come liberarti di qualcosa che non è mai esistito? Passi anni a cercare di
migliorarti quando non c’è nulla da migliorare? Come migliorare un nulla?
Nulla cui aggrapparsi. Solo se lasci tutto, tutto, dietro di te, anche queste parole, ci
sei.
Allora dove siamo? Da nessuna parte. Non sapendo assolutamente nulla. Hai passato
anni per riuscire a diventare qualcuno, per raggiungere uno scopo: tutto questo è
inutile.
Non hai nulla, non sei nulla, ma sappi che non vi è nemmeno il nulla! Allora dove
siamo? Esattamente dove sei ora qui. Da nessuna parte.
Qualunque cosa tu faccia in realtà non fai niente. Sei sempre stato dove era
necessario. Se rifletti su questo sei totalmente libero. Se non sei da nessuna parte, se
non ti aggrappi più a nessuna credenza, a nessun punto di riferimento o concetto
vi è … SILENZIO. Allora i pensieri si arrestano ed il silenzio sopraggiunge da
sé. Il pensatore è totalmente distrutto.
“Aldilà dell’aldilà di ciò che esiste o non esiste, aldilà di ciò che appare o non appare:
SEI TOTALEMENTE LIBERO”… anzi al di qua, anche PRIMA della LIBERTÀ ….
POI … TOGLI IL “PRIMA”. FELICITÀ SUPREMA INCOMUNICABILE,
INCONDIZIONATA, ETERNA.
Se realizzi, senza ombra di dubbio, che ciò che appare come solido e duraturo nel
tempo (corpo, mondo) è invece solo un’apparenza che può svanire da un momento
all’altro, non manca più nulla, qualunque cosa accada a questo apparire.
Non siamo mai stati “concepiti”, non vi è mai stato un inizio: ciò che ci hanno detto
che è stato concepito, è il gioco di un ologramma, come l’acqua nel miraggio del
deserto che svanisce al momento in cui ci avviciniamo abbastanza. (Isabella di
Soragna)
-MISTICISMO***
Il misticismo occidentale vede questo mondo come un ostacolo al raggiungimento del
vero mondo che può essere dato solo dall'unione con Dio. Invece per il misticismo
orientale taoista questo mondo è l'unico che ci è dato e, seguire il Tao, significa
soltanto ricercare i modi migliori per poterci vivere bene. Santità occidentale e
saggezza orientale.
320
Esiste, da sempre, un conflitto, aperto o larvato, del misticismo con la religione
istituita. I più sottili tra i religiosi hanno sempre sospettato di questa esperienza
personale che salta con facilità il cammino della fede comune, che alla fine
incontra il nulla piuttosto che un Dio personale, e quindi è più vicina al nichilismo di
una ragione atea che al mistero della vera religione. Profondità vere o profondità
demoniache? In fondo, con questi sospetti, si tende a espellere il mistico dalla
religione. […] Il mistico eccede ogni religione - e perciò il religioso, nel suo fondo,
rifiuta il mistico. (Fachinelli)
E oltre, il territorio della mistica. Non la religione istituita. Ma la mistica come zona
irriducibile, inassimilabile, refrattaria alla religione stessa. Apex mentis. Mistica che
è nello stesso tempo rapporto percettivo, percezione possibile ad alcuni, se non
comune a tutti. Molte mistiche? Evitare i codici che, invariabilmente, da sempre
rifiutano e sequestrano questi tipi di esperienze. (Fachinelli)
"Nella mistica l'anima vede se stessa, vede se stessa in Dio e vede Dio in se
stessa". Questo scrive Foucault intendendo significare che la mistica sfugge, in tal
modo, alla struttura degli insegnamenti religiosi e dei conseguenti dogmi.
Nell'estasi mistica l'Assoluto, il Brahman, incorpora in sé la parte, l'Atman,
rendendolo insignificante.
Dante, nel suo percorso iniziatico, nel suo viaggio sciamanico, nella sua esperienza
estatica, si sente pari a Paolo che viene rapito in paradiso, entrambi quasi pari a Gesù
Cristo corporeo risorto. E dice: " … se io m'intuassi come tu t'inmii …". Io divento
te e tu diventi me. Cadono gli umani confini. Oltre ogni distinzione egoica.
-MONDO ***
Noi creiamo il mondo che percepiamo, non perché non esiste realtà fuori dalla nostra
mente, ma perché scegliamo e modifichiamo la realtà che vediamo in  modo che si
adegui alle nostre convinzioni sul mondo in cui viviamo. Si tratta di una funzione
necessaria al nostro adattamento e alla nostra  sopravvivenza. ( Bateson) 

Il mondo, per noi, è ridiventato infinito, nel senso che non possiamo rifiutargli la
possibilità di presentarsi a un'infinità di interpretazioni. (Nietzsche)

Ricordiamo l'idea classica di anima mundi  (di cui parlano


anche Platone, Plotino, Marsilio Ficino), per la quale il mondo è un organismo
vivente e tutto è essenzialmente legato a tutto il resto.
Il mondo ha perso il suo senso, la sua ragione, il suo logos, ed è concepito solo
come materia da sfruttare. Se l’imperativo della nostra società è modificare le
321
cose a nostra immagine e somiglianza, invece che accettarle, il risultato non può
che essere l’irrequietezza.

Che cosa sappiamo con assoluta certezza riguardo al mondo? Nulla! Questo
afferma il matematico e filosofo Bruno de Finetti (1906 -1985) in assonanza con
il grande Pirrone di Elide e con l'altrettanto grande David Hume. Qual'è allora
il valore della conoscenza, se mancano certezze assolute? La grandezza di de
Finetti sta nell'aver compreso che si possa avere una certa dose di conoscenza
condivisa e affidabile anche senza certezze assolute. (Rovelli)
L'immagine del mondo che si forma in ogni singolo cervello è personale e,
quindi, non è uguale a nessun'altra. Dunque ognuno ha un suo mondo!
Il mondo non è da afferrare e da possedere perché trattasi di un mondo di
relazioni dove nulla è stabile e determinato.
L'incertezza è strutturale nel cuore del mondo. Questo è uno dei principi della
nuova fisica: principio di incertezza o di indeterminazione di Heisenberg.
Il mondo è diventato di una banalità uniforme. L’unica aspirazione è il consumismo e
la ricchezza. Il capitalismo ci sta facendo diventare tutti scemi. (Angela Terzani)

Il mondo degli oggetti apparenti, il mondo come ci appare, è solo una


rappresentazione ma non esaurisce tutta la realtà, è solo ‘una’ costruzione della
mente in cui restiamo intrappolati così che poi siamo incapaci di uscirne per vedere
le cose in un altro modo e, quando ci accade di avere dei flash diversi di percezione,
li scartiamo o rimuoviamo perché non sono inseribili nell’ordine noto. Ma il mondo
che percepiamo è illusorio proprio perché è artificiale. (Don Juan di Carlos
Castaneda)
Il mondo, invece che pieno e saturo, come sostenevano Parmenide e gran parte
dell'ontologia occidentale dopo la svolta platonica, potrebbe essere drammaticamente
vuoto o, comunque, bucherellato. (Tagliapietra interpreta Sartre: L'essere e il nulla)
Il mondo è soltanto una realtà fenomenica dipendente dal soggetto che la pone.
(Martinetti)
Il mondo non è un oggetto ma un'idea. (Kant)
Nietzsche dice che il mondo è interpretabile in modi diversi e non ha dietro di sé un
solo senso ma innumerevoli sensi prospettici.
Nietzsche è dell'idea che il nostro rapporto conoscitivo con il mondo esterno vada
definito nei termini di una falsificazione e semplificazione, in quanto risulta mediato
322
dall'apparato sensoriale e dall'intelletto, la cui attività ha giocato un ruolo
fondamentale per lo sviluppo e la conservazione della specie umana. (Gori)
Come se restasse ancora un mondo, una volta toltone l'elemento prospettico!
(Nietzsche)
Il mondo non è così e così: e gli esseri viventi lo vedono come esso appare loro.
Piuttosto, il mondo è costituito da tali esseri vivente, e per ciascuno di essi esiste
un piccolo angolo, partendo da quel che esso misura, si accorge di qualcosa, vede e
non vede. L'essere manca. Ciò che "diviene", "fenomenale", è l'unica specie di essere.
(Nietzsche)
Il mondo è divenuto per noi ancora una volta infinito in quanto non possiamo
sottrarci alla possibilità che esso racchiuda in sé infinite interpretazioni.
(Nietzsche)
Chi è nato prima: tu o il mondo? Finché assegni al mondo il primato, ne sei schiavo.
Quando capisci che il mondo è in te sei libero. (Nisargadatta Maharaj)
Creatore e creato sono la stessa cosa?
Per capire e descrivere il mondo non ci si può sempre servire del linguaggio
concettuale. Plotino dice che è un mondo che bisogna comprendere tramite il
silenzio.
Il mondo per te esiste solo se c'è la tua coscienza. Se non sei conscio, come nel sonno
profondo, non esiste alcun mondo per te. Dunque il mondo è la tua coscienza.
Bisogna saper contemplare il mondo come vacuità. In tal modo si evita la paura della
morte.
Il mondo perirà non per mancanza di meraviglie ma per mancanza di meraviglia.
(rielaborazione di Chesterton)
«Mondo come vacuità», dunque, viene ora a significare: mondo strutturato da
elementi interdipendenti, dove l'interdipendenza è consentita e garantita dal fatto che
gli elementi sono privi di consistenza autonoma, e in tal senso sono vuoti. Tuttavia
«mondo come vacuità» non presenta solo l'accezione per così dire «spaziale» che
segnala una costitutiva assenza di limiti chiusi (anatta), ma presenta anche
un'accezione «temporale» che connota una costitutiva assenza di continuità, un
vuoto di permanenza, in una parola: impermanenza (anicca).

Non separate voi stessi dal mondo e non cercate di ordinarlo dal di fuori visto che voi
ne fate parte. Ma attenzione: il mondo non è una pura illusione della mente nel
senso che non esiste. No, il mondo esiste ma senza le divisioni che noi percepiamo.

323
Il percettore del mondo è prima del mondo, o sorge con esso? Io sono nel mondo o il
mondo è in me? Quando ti convinci che il mondo è una tua proiezione, ne sei libero.
(Nisargadatta Maharaj)
Il mondo è reale ma la nostra visione non lo è. Bisogna cercare di conoscere
l'Immutabile. Vai all'origine di tutto ciò che è. E tutte le domande troveranno
risposta. (Nisargadatta Maharaj)
Non c'era niente prima che il mondo nascesse. E non c'è niente neppure adesso. La
mente, istintivamente e inconsapevolmente, però pensa e pensando crea: mondi,
idee, cause, effetti e amori … che belli gli amori … !
Non possiamo sapere come sia realmente il mondo. Non siamo in grado di accedere
alle cose in sé. (Avanzini) … e potremmo, forse, aggiungere che solo i più stolti
pensano di aver capito cos'è il mondo e come stanno veramente le cose.
Tanti osservatori, tante diverse percezioni del mondo. (Avanzini)
I fisici credono a modo loro in un "mondo vero": sistematizzano gli atomi in maniera
fissa, uguale per tutti gli esseri, secondo movimenti necessari. […] Ma i fisici
sbagliano. […] hanno escluso qualcosa dalla costellazione, senza saperlo:
precisamente il necessario prospettivismo grazie al quale ogni centro di forza - e
non soltanto l'uomo - costruisce partendo da sé tutto il resto del mondo.
(Nietzsche)
Il mondo che si estende nello spazio-tempo è solo la nostra rappresentazione.
La materia, il corpo e il mondo sono solo prodotti sensoriali, aiutati dal cervello e
sistema nervoso ed è attraverso questi che oggettiviamo, considerando il mondo
come “fuori” di noi, cosa che in realtà è all’interno di noi (veramente né interno
né esterno, solamente là, nella coscienza collettiva). Sri Aurobindo dice che
l’apparenza della stabilità del mondo proviene dalla ripetizione costante delle stesse
vibrazioni.
Il mondo come grandezza indipendente è una semplice astrazione. L'oggetto sussiste
soltanto in relazione al soggetto, come correlato di questo. (Dilthey)
La struttura gerarchica della natura si compone di un insieme di scalini in
un’architettura che comincia dalla materia, procede con i minerali e le piante, si
innalza con gli animali, trova la sua figura mediana nell’uomo e si conclude con una
moltitudine di intelligenze superiori (costellazioni, demoni, burocrazie angeliche). Il
punto più alto della catena è, a seconda delle interpretazioni, il Bene (Platone), il
Motore Immobile (Aristotele), l’Uno (Plotino) e Dio (nella scolastica medievale).

324
La catena dell’Essere pone delle dicotomie irrisolvibili nella definizione della natura.
Essa è continua o discontinua? Le sue divisioni sono reali o concettuali? Il principio
che la regge è trascendente o immanente? È infinita o finita?
Quello che possiamo vedere non è altro che una piccolissima frazione di quello che ci
offre il mondo naturale.
La regolarità delle leggi di natura, che ci meraviglia tanto, è data dallʼelemento
matematico che noi introduciamo in esse, il quale deriva dalla presenza delle forme
dello spazio e del tempo nell'uomo: “ogni conformità a leggi, la quale ci fa talmente
impressione nel corso degli astri e nei processi chimici, coincide in fondo con quelle
proprietà che noi stessi introduciamo nelle cose, cosicché siamo noi che facciamo
impressione a noi stessi.

Il teorema di non località di John Bell del 1964 prova logicamente


l'insostenibilità del realismo ingenuo cioè dell'immagine del mondo come un
insieme di oggetti distinti, concreti e indipendenti: il mondo subatomico non è
costituito da oggetti distinti, concreti e indipendenti! Bisogna accettare una
visione olistica del mondo, in cui tutto ciò che ha interagito nel passato continua
a rimanere misteriosamente connesso.
Lo stesso sistema di mondi è stato insegnato dal Tathagata come non essere un
sistema di mondi; perciò è [soltanto] denominato un ‘sistema di mondi. (Sutra del
Diamante)
Il mondo è una semplificazione della complessità della realtà perché senza
semplificazione non ci sarebbe l'astrazione e, di conseguenza, il pensiero.
A noi il mondo appare come un insieme di cose mentre per i greci antichi e per i fisici
moderni esso è un insieme di eventi.

L'aspetto più sbalorditivo del modello cerebrale olografico di Pribram è ciò che
risulta unendolo alla teoria di Bohm. Se la concretezza del mondo non è altro che una
realtà secondaria e ciò che esiste non è altro che un turbine olografico di frequenze
e se persino il cervello è solo un ologramma che seleziona alcune di queste frequenze
trasformandole in percezioni sensoriali, cosa resta della realtà oggettiva? In parole
povere: non esiste. Come sostenuto dalle religioni e dalle filosofie orientali, il mondo
materiale è una illusione. Noi stessi pensiamo di essere entità fisiche che si
muovono in un mondo fisico, ma tutto questo è pura illusione. In realtà siamo una
sorta di "ricevitori" che galleggiano in un caleidoscopico mare di frequenze e ciò che
ne estraiamo lo trasformiamo magicamente in realtà fisica:  uno dei miliardi di
"mondi" esistenti nel super-ologramma.

325
Il mondo, liberato dalle catene della ratio socratica (come pensa Nietzsche), diviene
il luogo della danza di molti dei, cioè di molti significati unificanti. Nietzsche
riduce il mondo a infinite relazioni e interpretazioni.
Questo mondo è un mostro di forza, senza principio, senza fine, una quantità di
energia fissa e bronzea, che non diventa né più grande né più piccola, che non si
consuma, ma solo si trasforma, che nella sua totalità è un grandezza invariabile […]
circondata dal "nulla" come dal suo limite; non svanisce né si sperpera, non è
infinitamente esteso, ma inserito come un'energia determinata in uno spazio
determinato, e non in uno spazio che in qualche punto sia "vuoto", ma che è
dappertutto pieno di forze, un gioco di forze, di onde di energia che è insieme uno
e molteplice […] un mare di forze che fluiscono e si agitano in se stesse, in eterna
trasformazione […] il perpetuo fluttuare delle se forme […] dal gioco delle
contraddizioni torna al gusto dell'armonia […] e benedice se stesso come ciò che
deve eternamente ritornare […] un divenire che non conosce né sazietà, né disgusto,
né stanchezza. Questo mio mondo dionisiaco che si crea eternamente, che distrugge
eternamente se stesso […] al di là del bene e del male, senza scopo … (Nietzsche)
Noi ci diamo diverse ragioni del mondo ma non la vera ragione che nessuno conosce.
Il mondo è solo un pensiero ma ci appare reale perché ci attacchiamo a questo
pensiero.
Il mondo ruota intorno agli inventori di nuovi valori. Ma il popolo e la fama ruota
intorno ai commedianti: così va il mondo. (Nietzsche)
"Il mondo è solo opinione illusoria". (Parmenide) "Il mondo è maya" dice l'antico
Pensiero Orientale: E' Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e
fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi che esista, né che non esista. Ma
attenzione: anche l'illusione è, esiste! Quindi oltre all'essere anche l'illusione è … Il
mondo appare illusoriamente ma il mondo non è negato … Come uscirne? La verità è
in contrasto con se stessa? La verità non esiste?
Questo mondo è fluttuante … quasi irreale. (Bankei)
Il mondo è una mia rappresentazione. (Shopenhauer)
La sensazione di separazione è illusione creata dai sensi. Noi ”pensiamo” che il
mondo sia come i nostri sensi lo percepiscono, ma questo è di fatto una grossa
illusione che sembra reale solo alla nostra mente. Il mondo, forse, è una
allucinazione collettiva.
Ciò che percepiamo non è ciò che esiste (se esiste) ma solo ciò che percepiamo!
Questo mondo non è il vero mondo, questa vita non è la vera vita … noi ci limitiamo
326
a pensare di viverla anche perché qui, ora non sta succedendo proprio nulla … e
allora, quando non hai più nulla, buttalo via!
Noi prendiamo una manciata di sabbia dal panorama infinito delle percezioni e lo
chiamiamo mondo. (Pirsig)
No al Kosmotheoros! Non esiste un essere che giudica il mondo dall'esterno senza
esserne parte. Non il soggetto puro e separato che studia o opera su un oggetto
distaccato. Il soggetto si forma e si trasforma.
Sperimentiamo continuamente la fragilità del nostro esserci: per continuare a vivere
dobbiamo costruire un mondo in cui realizzare le nostre possibilità, ma qualsiasi
artefatto umano ha una consistenza fragile, poiché è esposto anch’esso alle forze del
mondo. Non solo gli artefatti materiali, ma anche quelli spirituali quali la filosofia.

Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer: il mondo è una mia


rappresentazione e si basa sulla mia volontà (volontà negata dal pensiero dell'oriente
che parla di mero osservare).
Noi amiamo l'illusione del mondo.
Del mondo si può dire che appare ma non che è.
Non considerare il mondo come qualche cosa di separato da te.
Il mondo non è oggettivo ma soggettivo.
Non siamo schiavi né del mondo né del diavolo, siamo schiavi di noi stessi!
Il mondo che percepisci, forse, lo hai creato tu e non Dio.
Non può esservi nulla di perfetto e definitivo nella conoscenza del mondo. (Cusano)
Il mondo, quale è noto a noi, è una realtà costruita socialmente.
Esiste il mondo? Noi tentiamo di descriverlo usando vari linguaggi: poetico,
scientifico e altri. Si pone però un problema; ciò che noi diciamo del mondo
corrisponde al mondo?
L’uomo e il mondo sono fatti della stessa carne, segnano una continuità dove il
soggetto è contemporaneamente oggetto, senziente e sentito, toccante e toccato.
(Merleau-Ponty)
Il rapporto tra la visibilità del mondo e questa dimensione invisibile (fatta di
relazioni, forze energetiche, movimenti intensivi) viene definito “chiasma”,
intendendo la reciproca necessità e complementarietà, ma soprattutto
l’impossibilità di districare una delle due dimensioni dall’altra. (Merleau-Ponty)
327
Nei sogni la mente soltanto crea il mondo. La stessa cosa avviene nello stato di
veglia: non c'è differenza!
In tutti i mondi serve una interazione fra disciplinati e indisciplinati... chi blocca gli
indisciplinati blocca la crescita.
Se non c’è osservatore - dicono i fisici - non c’è nemmeno mondo.
La natura è lo spirito visibile. Lo spirito è natura invisibile. (Schelling nega il
dualismo?)
Respirare il mondo, magari talvolta sentire perfino che è il mondo a respirare
noi.
L'uomo si è dato delle rappresentazioni del mondo esterno utili per sopravvivere
fisicamente e psichicamente ma ora egli è prigioniero della sua costruzione anche se
intuisce che fuori da questo schema c'è la libertà. (Watts)
L'uomo appare come un derivato dal mondo, ma intrinsecamente è l'origine del
mondo. Senza l'uomo non c'è mondo …
Il mondo acquista significato solo attraverso l'io, l'io acquista significato solo
attraverso il mondo. L'avvolto che avvolge!
Mi piace un mondo che contenga tutti i mondi possibili. Un mondo di infinite
potenzialità, tutte ugualmente realizzabili.
L'uomo è e non è ... il mondo è realtà e immaginazione....
"Noi vediamo il mondo così com'è semplicemente perché è fatto così" (pensiero
forte: fatti, realismo, positivismo). "La mente crea il mondo" (pensiero debole:
interpretazioni, idealismo).
Tutto cambia costantemente! Ma in questo mondo di fantasmi, di ombre c'è che si
crede “vivente”. Il mondo, i nomi e le forme, li abbiamo imparati e poi li abbiamo
creduti come fossero veri. Crediamo di analizzare un fenomeno, in realtà
esaminiamo, perfino con strumenti costosissimi … i nostri pensieri.
C'era una volta un mondo ove molta gente moriva di fame e di sete mentre altra gente
moriva per aver mangiato e bevuto troppo! Ci sono mondi veramente strani in giro
per l'universo!
Sbagliando siamo portati a credere che il mondo esista indipendentemente dalla
nostra esperienza e presenza... e invece l'osservatore è determinante! Però non
sappiamo che cosa sia l'osservatore! E se osservato (il mondo) e osservatore (l'uomo)
non fossero due ma UNO?

328
Il mondo è complesso, molto complesso! Lo è dal punto di vista fisico, etico,
filosofico, politico e religioso. Però molti dividono il mondo in due: dalla nostra parte
il bene... dall'altra parte il male. Così nasce l'odio! Se invece tutti dubitassero (visto la
complessità!) forse il mondo sarebbe un po' migliore, forse...
Qual'è il filo mediante il quale questo mondo e l'altro mondo e tutti i mondi e
tutti gli esseri viventi sono l'un l'altro collegati? (Upanishad)
Il mondo è energia: gioco di energia fra l'uno e il molteplice, fra l'essere e il divenire,
fra il caso e la necessità.
Casualità o Causalità? Il mondo quantistico è oggettivamente casuale! Il mondo
macroscopico è invece pensato come causale.... Contraddizione tipica di tutte le realtà
profonde ... molto profonde! Caso e necesità fusi insieme! L'avvolto che avvolge.
Stephen Hawking: la razza umana non è che un'impurità chimica confinata su un
pianeta di dimensioni modeste, orbitante in un sistema solare del tutto ordinario,
situato all'estrema periferia di una galassia come tante fra cento miliardi.
La razionalità è limitata perché pretende di classificare il mondo secondo le sole
categorie dello spazio, del tempo e della causa. Pensa così di catturarlo e di
conoscerlo. E se invece il mondo fosse fruibile anche mediante l'intuizione?
Il problema di comprendere il mondo, inclusi noi stessi e la nostra conoscenza in
quanto parte del mondo.
Se il mondo è un pullulare di effimeri quanti di spazio e di materia, noi cosa
siamo? (Rovelli)
L'energia (Ener.Dia) è la sostanza e l'essenza del mondo. Questa frase mi sembrava
bellissima... Poi mi sono chiesto: cosa è l'energia, cosa è la sostanza, cosa è l'essenza,
cosa è il mondo? Non ho saputo rispondere.
Il mondo, forse, non va pensato come un insieme amorfo di atomi ma come un gioco
di specchi basato sulle correlazioni fra le strutture formate dalle combinazioni di
questi atomi. Vi ricordate il mito di Indra ove ogni goccia di rugiada si specchia in
ogni altra goccia di rugiada? Nessun fenomeno è solo se stesso ma è il riflesso di
ogni altro fenomeno.
Il mondo è assolutamente perfetto inclusa la nostra insoddisfazione per com'è e
incluso anche tutto ciò che stiamo tentando di fare per cambiarlo.
Il mondo è in te (idealismo puro di Nisargadatta!) e non sei tu nel mondo. Il tuo corpo
personale è una parte in cui il tutto si riflette a meraviglia. Tu sei l'oceano di
coscienza in cui tutto avviene.

329
Una volta che tu abbia compreso che tutto viene da dentro, che il mondo in cui vivi
non è stato proiettato su di te ma da te, le tue paure cessano. Senza questa
comprensione, continuerai a identificarti con cose esterne: il corpo, la mente, la
società, la nazione, l'umanità, Dio perfino, o l'Assoluto; ma sono tutte fughe dalla
paura. Solo quando avrai accettato di essere il responsabile del piccolo mondo in cui
vivi, e osserverai il processo della sua creazione, conservazione e distruzione, sarai
libero dalla tua schiavitù immaginaria. (Isabella di Soragna)

Un tempo pensavamo che il mondo esistesse "la fuori" indipendentemente da noi


osservatori che guardavamo senza venir coinvolti. Ma non è così che va il mondo
visto che noi ne siamo del mondo. Io e il mondo, noi e il mondo non siamo divisi,
non siamo due. Dentro e fuori è tutta una cosa sola. Il mondo, l'universo è venuto
all'essere perché ci sono degli osservatori. Il nostro universo è partecipativo.
Il mondo non è che uno spettacolo, scintillante e vuoto. È, eppure non è. Finché
voglio vederlo e prendervi parte, è lì. Quando cesso di occuparmene, si dissolve.
Non ha causa, è senza scopo. Quando con la mente siamo presenti, non fa che
accadere. Il suo aspetto è esattamente come appare, ma non ha profondità né
significato. Reale è solo l'osservatore, Atman o Sé, che dir si voglia. Per il sé il
mondo è uno spettacolo colorato, di cui gode finché dura, e che dimentica quando è
finito. Qualunque cosa accada sul palcoscenico, potrà farlo tremare di terrore o
scuoterlo dalle risate; tuttavia è sempre consapevole che è uno spettacolo. Senza
desiderio o paura, lo gusta via via che accade.

Il mondo, forse, viene dal Nulla e ci ritorna.

-MORALE***

Al buddhismo non interessa tanto la teoria o le coincidenze teoriche o teologiche o


religiose. Gli interessa quello che con una parola orrenda i nostri studiosi della
religione hanno definito l'ortoprassi, cioè la prassi giusta. Per semplificare: a loro
non interessa che tu sia cristiano, buddhista, taoista o islamico o cose del genere.
Basta che tu ti comporti bene. Basta che tu viva al meglio la relazione, anzi tutte le
relazioni possibili.

Manca una definizione riconosciuta di ciò che è giusta e di ciò che è ingiusto. L'intera
storia dell'umanità è una lotta per affermare concezioni della giustizia diverse e
perfino antitetiche, "vere" solo per coloro che la professano. (Zagrebelsky)

Si può pensare che ‘bene’ e ‘male’ potrebbero essere definiti come il rispetto o la
negazione della relazione, delle relazioni.
330
Scrive Pasqualotto: "Tanto più profondo è il vero sapere (prajna), tanto più
profonda diventa la compassione (karuna) verso tutti gli esseri. Infatti se ci si
rende conto che il proprio io e quello degli altri esseri viventi non sono, come
ritiene il senso comune, atomi isolati o punti irrelati, ma campi di forze
interagenti o incroci di linee, allora si può anche comprendere che tutto quello
che accade a un ente, animato o inanimato, condiziona tutti gli altri enti, e
viceversa. In questa prospettiva parlare di egoismo e di altruismo non ha allora
più senso, per il semplice motivo che non sussiste più né l'idea di ego né quella di
altro: l'etica non consiste più in una serie di precetti o di norme che predicano o
impongono a ciascun ego il dovere di una relazione amorosa con altri ego; ma
consiste nella pratica dei modi di interrelazione, di inter-essere, evidenziati dal
conoscere la qualità insostanziale (anatta) e impermanente (anicca) di ogni ego".
Ciascuno non è solo in relazione con altri ma è costituito da altri. Bisogna
sostituire l'etica ego-logica con quella eco-logica, quella atomistica con quella
sistemica, quella sostanzialistica con quella funzionalistica. Sym-patheia!

Einstein diceva che l'egoismo è una illusione ottica della coscienza.


La regola d'oro!
Quello che non vuoi sia fatto a te non farlo agli altri. (Confucio 551-479 a.C.)
Non fare agli altri quello che a te fa male. (Buddha - 566 -486 a. C.)
Non fare agli altri niente di quello che, se fosse fatto a te, ti provocherebbe
sofferenza. (Mahabbarata - poema epico indù del IV secolo a.C.)
Quello che odioso per te, non farlo agli altri. (Hillel, maestro ebraico - I secolo a.C.)
Fai agli altri tutto quello che vorresti facessero a te. (Gesù)
Amate per il vostro vicino quello che amate per voi stessi. (Maometto - 570 -632)

Ogni azione viene accompagnata, a seconda che sia ritenuta buona o cattiva, dalla
nozione di merito e demerito: chi fa una buona azione è motivato dalla speranza di un
riconoscimento positivo che può derivare da un’autorità divina, da un’istituzione
politica, da un consenso sociale o anche dalla propria coscienza morale; chi fa
un’azione cattiva ha un interesse personale il cui soddisfacimento è chiamato
“merito” da chi la esegue e “demerito” da chi la subisce. In ogni caso si ha un
prevalere di un proprio interesse, di un interesse privato fondato sull’accrescimento
della potenza dell’io. Cosa accade, invece, se questo interesse non c’è, è minimo?
Cosa avviene quando il senso dell’io è atrofizzato o addirittura assente? Accade che
l’azione risulta del tutto disinteressata e, in quanto tale, si pone aldilà del livello in
cui può essere qualificata come “buona” o “cattiva”: non può essere qualificata
come “buona” perché essa è indifferente all’interesse del riconoscimento; non
331
può essere qualificata come “cattiva”, dato che è indifferente all’interesse privato che
muove ogni azione detta “cattiva”. Il livello a cui si pone questo tipo di azione
disinteressata fondata sull’assenza dell’io è talmente alto che non ha più bisogno
del concetto di responsabilità. Questo concetto è ancora necessario ad una serie di
individui che si credono autonomi e, per convivere, hanno bisogno di un’autorità
morale, civile o religiosa alla quale rispondere delle loro “azioni”, sperando di
ottenere meriti, ricompense o assoluzioni, ovvero temendo di ricevere demeriti, pene
o castighi. Ma non è più necessario quando non c’è più un io che spera o teme
perché ha capito che ogni azione è il risultato di un’infinita rete di cause e che
produce un’infinita rete di effetti.

Bisogna, forse, entrare nella logica di un'etica della solidarietà e della responsabilità
che sola è capace di servire tutto l'uomo in ogni uomo. (Forte)

Nietzsche dice che la moralità è l'istinto del gregge nel singolo mentre l'immorale è
ciò che pericoloso per la sussistenza della comunità, del gregge stesso. Questa morale
del gregge si affanna ad affermarsi come unica possibile. Comunque, sia la morale
che la coscienza hanno lo scopo di tener salda la compagine sociale.

Il carattere generale dell'etica buddhista è dato dal fatto che essa non si limita a
prescrivere una serie di norme morali da seguire, ma implica un mutamento di
prospettiva nella conoscenza della realtà (gnoseologia). Questo "implica" non
significa che prima bisogna trasformare i modi della nostra conoscenza, ma che i vari
passaggi di tale trasformazione si accompagnano a mutamenti dei motivi e dei modi
del comportamento etico. A questo proposito il Buddhismo Mahayana ha offerto
un'immagine assai efficace: conoscenza (prajna) e compassione (karuna) stanno
insieme come la campana e il suo batacchio. Complementarità tra conoscenza e
compassione, fra gnoseologia (ogni cosa evento è anatta) ed etica (compassione
verso ogni essere perché ogni essere è interconnesso con tutti gli altri).

Per i taoisti classici, l'assenza dell'intenzionalità morale e dell'idea generale di bontà è


nel contempo condizione necessaria e garanzia ottimale della qualità morale
dell'azione, perché preserva da ogni sudditanza a norme obbliganti, ma anche da
ogni ambizione a premi e a meriti. viene negata l'eccellenza di un'azione che vuole
spirarsi ad una norma di eccellenza.

Anche per il buddhismo [come per Freud] non si tratta di negare il piacere: il
buddhismo non consiglia di rifiutare le esperienze piacevoli, ma soltanto di
rinunciare all'attaccamento ad esse come fonte di soddisfazione ultima.

I dolori e le gioie altrui possano essere vissuti come propri, ma senza sforzo,
ossia senza dover obbedire a qualche comandamento religiosamente fondato o a
qualche imperativo categorico razionalmente fondato.
332
Proteggendo se stessi si proteggono gli altri; proteggendo gli altri si protegge se
stessi. Questo dice il Buddhismo che propugna una vita sociale e non prettamente
individuale sempre comunque ricordando che sia l'io che gli altri sono ANATTA.
Ciascun ente, compreso l'essere umano, è composto solo da relazioni! Ciascuno
risulta essere qualcuno solo perché è in rapporto con qualcun altro, ossia in quanto
luogo di raccolta, di arrivo e di partenza di molteplici funzioni e relazioni. In tal
senso, all'idea di " individuo" , corrispondente all'immagine di un punto isolato,
si dovrebbe sostituire quella più realistica di una rete di interconnessioni.

Secondo il Buddhismo serve distacco anche dalle regole e dai riti. Ciò significa
che le regole non devono diventare un qualcosa a cui attaccarsi, non devono divenire
un fine in se ma semplicemente un mezzo. Dare forme morali alla vita è necessario
ma aggrapparsi ad esse diventa puro formalismo.

La morale è innaturale ... infatti se fosse naturale non ci sarebbe bisogno di


imporla tramite il verbo DEVI. Kant afferma: devi quindi puoi e,quindi, siamo già
nell'etica del dovere! La morale è un prodotto della società.
Diffidate di tutti coloro nei quali è forte l'istinto di punire! E' gente di qualità e
origine scadente; dai loro volti occhieggia il carnefice. (Nietzsche)
Oggettivo dovrebbe essere l'atteggiamento che ispira la modalità meditativa relativa
agli stati mentali: le passioni, sia quelle positive come l'amore, sia quelle negative
come l'odio, andrebbero osservate ed esaminate come se fossero fenomeni di
laboratorio, e non come se fossero nostre creature di cui ci dobbiamo vantare o
vergognare.

Ogni desiderio (tanha) è radicato nella falsa credenza della sostanzialità del
soggetto e degli oggetti di cui fa esperienza: in parole povere, ogni desiderio si
rivela radicato nell'ignoranza (avidja). Infatti credere di possedere un io unitario e
permanente che si rivolge a oggetti dotati di sostanzialità e permanenza alimenta ogni
desiderio e incrementa ogni attaccamento: dissolvere questa illusione significa
togliere la radice principale della sofferenza, esaurire il "combustibile" che provoca il
dolore.

Visto che non è poi così certa la possibilità di sostenere l'esistenza di un "io
autonomo", e dato che esso è, forse, il prodotto provvisorio e convenzionale di
processi multipli, l'azione che "egli " produce non può mai essere propriamente detta
"sua", ma assume un carattere collettivo. Se l'io è, costitutivamente, un essere
plurale, anche le sue azioni saranno determinate da una pluralità di fattori che
trascendono i limiti della pura soggettività isolata. In tal modo, nel caso esemplare
di un'azione delittuosa, a esserne responsabile non è solo il delinquente, ma una
quantità innumerevole - benché non determinabile dal diritto - di condizioni
333
ambientali e sociali: ambiente e società risultano indirettamente responsabili
dell'azione delittuosa compiuta da un soggetto, anche se costui è l'unico
destinatario della pena, data l'ovvia impossibilità pratica di comminarla all'ambiente e
alla società. Pertanto, volendo estirpare le radici che hanno determinato il prodursi di
un'azione delittuosa, non è sufficiente punire il delinquente, ma è necessario che essa
stessa modifichi quegli aspetti della sua struttura e del suo funzionamento che hanno
reso possibile l'insorgere del delinquente: la società dovrebbe ritenersi
responsabile dell'esistenza del delinquente e, quindi, corresponsabile dell'azione
delittuosa. Se tale prospettiva venisse fatta valere su scala planetaria e a livello
generale, sia per quanto riguarda i rapporti tra Stati e civiltà, sia per quanto riguarda
le relazioni tra civiltà e ambiente naturale, è evidente che potrebbe avere notevoli
conseguenze sul piano etico, politico, sociale e persino su quello "ecologico".

Nietzsche dice che la virtù non è da ricompensare con un premio e neppure essa
stessa è premio a se stessa.
La vendetta ama chiamare se stessa giusta punizione.
Voi non siete grandi abbastanza per non conoscere odio e invidia. (Nietzsche)
Ciò che è bene per me non è detto che sia bene anche per l'altro. Anche il bene è
prospettico?
Neminem laede, imo omnes, quantum potes, juva. (Schopenhauer)
CATTIVERIA: male altrui. EGOISMO: bene proprio. COMPASSIONE: bene altrui.
(Schopenhauer)
Per Kant il movente dell'agire morale si fonda sulla ragion pura pratica e non sulle
passioni mentre per Hume vale il discorso contrario: la ragione è (e deve essere)
schiava delle passioni.
Hobbes afferma che i termini buono e cattivo sono sempre usati in relazione alla
persona che li usa dato che non c'è nulla che sia bene o male in assoluto (visto
che ciò che è l'assoluto è anche inconoscibile).
Per Spinoza la virtù è agire, vivere, conservare il proprio essere (proprio di chi?)
guidati dalla ragione e non dalle passioni.
Spinoza dice che una medesima azione può essere buona per una persona, cattiva per
un'altra e indifferente per una terza.
Si è portati a pensare che se le cose vanno male una ragione ci deve pur essere: ed
ecco la superstizione, gli dei, la legge morale, il determinismo …
Amati e amali. Sii felice e rendi felici.
334
La vera virtù non è qualcosa imposto dall'esterno ma è la propria natura che si
realizza (entelechia direbbe Aristotele).
Il mondo non è necessariamente giusto: l'essere buoni spesso non viene
ricompensato, nondimeno cerca di fare del tuo meglio.
Il bene e il male sono relativi al tempo e alle circostanze che li giudicano.
Nessuno nasce solo per se stesso.
Impara a gioire e disimpara a fare male agli altri.
Arrabbiarsi con gli altri equivale ad aggredirli con un tizzone ardente fra le mani:
come minimo ci si scotta!
Perché si uccidono le persone che hanno ucciso altre persone? Per dimostrare che le
persone non si debbono uccidere! (Mailer)
Se alzi un muro, pensa a cosa lasci fuori. (Calvino)
Un certo tipo di altruismo serve solo a gratificare l'egoismo.
Se perdono a uno che mi ha chiesto scusa, perdono a uno diverso rispetto a quello che
ha sbagliato. Comunque c'è chi dice che il momento del perdono è un espressione
sublime in cui l'umano, trascendendosi, si riconcilia con se stesso. Alcuni affermano
che il colpevole deve, prima di tutto, perdonare se stesso. Altri dicono il per-dono
gratifica chi lo concede: egoismo di ritorno? Altri ancora insistono sull'ubuntu!
Il sofista Ippia di Elide (443 a.c.) lancia l'ideale cosmopolita ed egualitario
rivoluzionario per la grecità attaccata alla polys e alle caste. Distingue fra legge di
natura (valida) e legge umana (non valida). Purtroppo però non sembrano esistere
leggi di natura …
Trasimaco (2.500 anni orsono) definiva la giustizia come l'utile del più forte: è il
più forte a dettare legge secondo i propri interessi. Non mi pare che sia cambiato
molto....
Ci son molti modi di uccidere:
si può infilare a qualcuno un coltello nel ventre,
toglierli il pane,
non guarirlo da una malattia,
ficcarlo in una casa inabitabile,
massacrarlo di lavoro,
spingerlo al suicidio, 335
farlo andare in guerra.
Solo pochi di questi modi sono proibiti dallo Stato.
(Brecht)
La giustizia è fondata sul nulla. Chi però si permette di affermare ciò diviene il
colpevole e dovrà espiare la sua pena eterna.
Senza etica il diritto diventa sopruso.
Senza etica l'economia diventa rapina.
Senza etica la politica diventa prepotenza.
Senza etica la religione diventa superstizione.

Nessuno può vivere felice se bada solo a sé stesso, se volge tutto al proprio utile: devi
vivere per il prossimo, se vuoi vivere per te. (Seneca)
L'empatia sviluppa l'intelligenza. La cupidigia spegne la gioia di vivere.
Gli altri sono solo lo specchio delle “nostre” percezioni. Vivendo solo per il nostro
limitato corpo-mente a cui ci identifichiamo, ci allontaniamo dalla Realtà che tutto
abbraccia, che ne siamo consapevoli o meno. Questo genera conflitti, guerre, come
sempre. Non è possibile amare il prossimo se non si scopre che è solo il tuo specchio
più o meno deformato. È possibile una trasformazione, ma solo un vero
capovolgimento della coscienza, può cancellare il miraggio in cui siamo avvolti.
Vivere senza un perché, lavorare senza un perché, amare senza un perché, celebrare
la nostra esistenza con giocosità e in questo modo risolvere dolori e divisioni, ed
uscire dall’aggressività.
Il nostro mondo attuale adora tre divinità: il profitto, la razionalità e il
materialismo dimenticando che sono esistite anche società basate sul dono e sulla
solidarietà, dimenticando che il misticismo unisce l'uomo al Tutto e, infine,
dimenticando che la materia è solo energia quindi nulla di materiale!
Vorrei fare un parallelo fra la guerra e la schiavitù: entrambe fanno parte della storia
dell'uomo, entrambe sono state a lungo difese dal potere sia politico che religioso,
entrambe vanno estirpate, sradicate per sempre (senza trovare giustificazioni di
nessun tipo).
Finché l'uomo sfrutterà l'uomo, finché l'umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci
sarà né normalità né pace. (Pasolini)

336
Se desideri i soldi più di ogni altra cosa, sarai comprato e venduto. Se sei avido di
cibo, sarai una fetta di pane. Ciò che ami, sei.
Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che,
nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in
diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono
la mia patria, gli altri i miei stranieri”. (Milani)
Se l'uomo non butterà fuori dalla storia la guerra, sarà la guerra che butterà fuori dalla
storia l'uomo. (Strada)
Al posto dei leader "che usano il potere soltanto per maltrattare persone e
mondo" sostiene la filosofa Buttarelli, oggi servono "guide che vanno individuate,
valorizzate e sostenute sulla base del loro agire disinteressato".
Il denaro, gli eserciti, l'immagine, sono nulla di fronte al potere del monopolio
dell'etica religiosa. Purtroppo la gente è incosciente e non se ne rende conto.
Non c'è uomo che non ami la libertà, il giusto però la esige per tutti, l'ingiusto solo
per sé. (Börne)
Quando nella vita si sbaglia a chi si deve chiedere scusa? A Dio? A chi è stato vittima
del nostro errore? NO...si deve ritrovare, per prima cosa, la pace con se stessi
altrimenti è tutto vano.
Forse non si può imporre la bontà a tutti mediante comandamenti o precetti. Puoi e
non devi.
In natura vige la legge della collaborazione e dell’equilibrio, non della superiorità e
della sopraffazione, noi umani con tutta la nostra evoluzione, dimostriamo invece la
tendenza allo sfruttamento indiscriminato, al sopruso sul più debole, alla
prevaricazione e all’egoismo, alla distruzione di noi stessi, degli altri e della terra in
cui viviamo.
Perdoniamoci reciprocamente le nostre sciocchezze. (Voltaire)
Nell'ambito della moralità tutto è incerto: alla fine tutto può essere morale ma nulla è
morale con certezza.
Non lasciatevi intruppare dai dogmi, dalle uniformi, dalle dottrine, non lasciatevi
turlupinare che chi vi comanda, da chi vi promette, da chi vi spaventa, da chi vuole
sostituire un padrone con un nuovo padrone, non siate gregge, non riparatevi sotto
l'ombrello delle colpe altrui, lottate, ragionate con il vostro cervello, ricordate che
ciascuno è qualcuno, un individuo prezioso, responsabile, artefice di se stesso,
difendetelo il vostro io, nocciolo di ogni libertà, la libertà è un dovere, prima che un
337
diritto un dovere. Panagulis qui dice cose su cui riflettere anche se non tutto è chiaro,
anzi …
"Il cielo stellato sopra di noi. La legge morale dentro di noi" come dice Kant.
Oppure "senza tetto né legge" come dice lo zen?
Nella vita faccio ciò che posso, quando posso e come posso seguendo il pensiero
di Platone.
Quello che io do, la do anche a me stesso. Quello che io non do, lo tolgo anche a me
stesso. Niente è solo per me … è anche per gli altri.
Amorevole distacco dalle cose. Rapporto moderato con le passioni.
Video meliora proboque sed deteriora sequor.
I sofisti videro nell'utile il massimo valore morale (anche le divinità sono tali perché
sono utili). I pragmatisti americani (Dewey, James e Peirce) si rifanno a ciò
affermando che una teoria è valida, vera in base ai risultati pratici che produce.
Chi ha fame non ha bisogno di una filosofia per stimolare il proprio malcontento: il
bene è quanto basta per mangiare.
Ritornare là dove in realtà già siamo.
Il fine giustifica i mezzi. Chi giustifica il fine?
Per andare d'accordo nei rapporti interpersonali bisogna trovare una regola per
quando non si è d'accordo.
L'a-moralismo buddista porta al di là del bene e del male dice Nietzsche.
Non le cose ma le opinioni intorno alle cose (che non esistono) hanno gettato il
turbamento nell'uomo.
Più libertà significa mena giustizia! Infatti chi è più forte e potente chiede più liberta
mentre chi è più debole e povero chiede più giustizia...a quando il giusto equilibrio?
L'esercizio della propria natura è già felicità senza bisogno di premi esterni dati per
aver seguito una certa legge dichiarata, unilateralmente da alcuni uomini, virtuosa.
La prospettiva teologica, teleologica e antropocentrica è una delle tante, non l'unica.
Bene e male sono relativi al tempo e al luogo. Va rispettata la finalità interna di ogni
cosa. Bisogna sapersi condizionati da una infinita di cause.
Vanitas vanitatum et omnia vanitas: Qoelet, Pensiero orientale, Petrarca, Ariosto,
Leopardi, Goethe, Calvino, Stirner.

338
Il santo occidentale impone (devi) mentre il saggio orientale coltiva la libertà (dall'io)
e quindi non impone regole e neppure le subisce (puoi).

-MORTE**

Probabilmente quando nasce il feto è terrorizzato, sicuramente un bambino che


nasce sente che muore, che sta morendo. (Naranjo)

Siamo spaventati dalla morte, come bambini impauriti dal buio. La tensione
all’eternitè e all’immortalità è solo un effetto della paura della morte. Facciamo
molto fatica ad accettare l’idea che in futuro non ci saremo più. Non ho mai
capito bene perché. Non ci disturba l’idea che mille anni fa non c’eravamo, ma ci
disturba l’idea di non esserci più fra cento anni. Credo che si tratti di un errore del
nostro cervello: un cortocircuito fra il sano e breve terrore di un predatore che
attacca, di un pericolo imminente, che è utile perché ci permette di non morire
troppo presto e la grande capacità di prevedere il futuro che la nostra specie ha
sviluppato nel corso della sua evoluzione. Quest’ultima ci ha messo di fronte
all’inevitabilità della nostra morte e stimola l’istinto di fuga dai predatori. Ma è
una sciocchezza. Avere paura della morte è come avere paura del sole che sorge:
è la nostra natura di avere una vita breve, perché non accettarla? (Rovelli)

Perché vuoi essere? Perché non essere? Perché hai tanta paura di non essere? Se
hai paura di non essere, del nulla, del vuoto, della morte, non puoi conoscere la
verità. Si conosce il vero quando si è pronti a lasciar cadere se stessi totalmente,
completamente. Non c’è niente di permanente in te, niente di sostanziale. Sei un
flusso, un fiume. Gli hindù affermano che ciò che cambia è l’apparenza, il maya; e
ciò che non cambia mai è permanenza, è Brahman. Eraclito afferma esattamente
l’opposto: ciò che appare permanente è l’apparenza. Uguale è l’interpretazione di
Buddha: il cambiamento è l’unica cosa che permane, il cambiamento è l’unico
fenomeno eterno; solo il cambiamento permane, nient’altro. Se tu accetti il nulla,
allora non c’è paura della morte, allora puoi completamente lasciar cadere te stesso. E
quando lasci cadere te stesso completamente: sorge la visione. A questo punto sei in
grado di conoscere. Con il tuo ego non puoi conoscere. Solo nell’assenza dell’ego,
in un profondo abisso, dove non c’è l’ego, accade la percezione - allora diventi uno
specchio. Devi in qualche modo arrivare a una comprensione: la comprensione del
non - sé, di un fluire senza cambiamenti, nessuna sostanza in quanto tale, solo un
fiume che continua a scorrere. In questo caso tu sei uno specchio, una chiarezza.
Allora non c’è nessuno che disturbi e nessuno che interpreti e nessuno che distragga.
Allora l’esistenza si rispecchia in te come è. Questo rispecchiarsi dell’esistenza
com’è, è la verità. Se vuoi permanere per sempre non hai vissuto il momento. Chi ha
vissuto la sua vita veramente, autenticamente, chi l’ha veramente goduta, è sempre
pronto ad andarsene. La paura della morte non è la paura della morte, è una paura di
339
rimanere inappagato. Tu morirai, e niente di niente hai potuto sperimentare nella tua
vita: nessuna maturità, nessuna crescita, nessuna fioritura. Sei arrivato a mani vuote,
e te ne stai andando a mani vuote. Questo stato di non appagamento e l’arrivo della
morte creano la paura. Buddha dice che se tu hai vissuto sarai sempre pronto a
morire. E questo essere pronto non sarà qualcosa di imposto su di te. Sarà così! Sarà
una cosa naturale! Come sei nato, così morirai. Come vieni, così te ne vai. Questa è la
ruota dell’esistenza. Hai vissuto l’essere parte della vita, ora vivrai il non-esserne
parte. Sei esistito, ora non esisterai. Sei sorto, ti sei manifestato, ora ti muoverai nel
non-manifesto. Eri visibile, incarnato, ora ti muoverai senza il corpo nell’invisibile.
Hai vissuto la tua giornata. Ora ti riposerai durante la notte. Che cosa c’è di sbagliato
in questo? Niente ti può frustrare perché non ti sei mai aspettato che qualcosa
rimanesse uguale per sempre. (Osho interpreta Eraclito)

Per il buddismo la morte non è una condizione terminale, una cesura definitiva
ma un passaggo ad altre condizioni, un momento di traformazione visto che
tutto è impermanente e privo di un vero sé.

Il corpo non muore, muta la sua forma, si dissolve nei suoi elementi costitutivi. Per il
corpo non c'è la morte; la morte esiste per il pensiero, perché non accetta l'idea che
possa finire. (U.G)

Dobbiamo pregare per i nostri morti? Non dovete pregare ma dialogare con loro!
Ma loro sono morti e noi siamo vivi. Come si fa? E qui che sbagli: loro non sono
morti e noi non siamo vivi. (Nisargadatta Maharaj)

Paura della morte è in realtà paura di un mutamento, di quel mutamento


radicale che toglie l'esistenza dell'io. Se però consideriamo che l'io è solo una
finzione scenica, una maschera vuota e impermanente, allora sparisce la paura della
morte. Infatti chi muore se l'io non esiste? Per concludere la morte è solo una
modalità della vita.

Quando muore un uomo comune, che cosa gli accade? Dipende da ciò in cui ha
creduto. La vita è immaginazione, prima e dopo. Il sogno continua. Per quanto mi
riguarda cerco IL PURO ESSERE SENZA ATTRIBUTI. Per me la morte non è
una calamità, così come la nascita di un bambino non è una gioia. Il bambino va
verso i guai, il morto ne è fuori. L'attaccamento alla vita è attaccamento al dolore.
Amiamo ciò che ci fa soffrire. Tale è la nostra natura. Per me la morte sarà un
momento di giubilo, non di paura. Lo stato prima della tua nascita era identico a
quello dopo la morte, se ricordi. Piangevo quando nacqui, e morirò ridendo.
(Nisargadatta Maharaj)

Il bambino non sa che nulla dura in eterno. Normalmente pensa che tutto quello che
piace duri e resti per sempre - chiarisce Fulvio Scaparro, psicoterapeuta infantile e
340
psicologo dell’età evolutiva -. Il bambino infatti, come tutti gli esseri viventi, nasce
per vivere e almeno fino ai tre anni di vita nega ogni forma di scomparsa definitiva.

L'uomo è violento perché ha timore della morte: cerca di costruirsi uno scudo contro
il nulla della morte. Vogliamo distrarci dalla morte senza mai riuscirci.

I morti non sanno niente. (Qoelet 9.5)

Diventa ciò che sei e cioè sii consapevole della tua mortalità diceva Nietzsche.

Che ne sarà di me dopo la morte? Nulla, niente visto che l'io non esiste!

Cos'è la morte? Un annullamento definitivo oltre il quale non esiste più nulla?
L'ingresso in un nuovo tipo di vita? La vita continua o finisce? La vita terrena è solo
una pagina di un libro (oriente) o è l'intero libro (occidente)? L'io persevera per
tutta l'intera eternità (cos'è poi questa eternità?) o diventa tutt'uno con la forza vitale
universale del cosmo? Vige il principio di conservazione dell'energia secondo il quale
l'energia non può né crearsi e neppure essere distrutta? L'io è energia che cambia
forma? L'esistenza universale è immanente a tutti gli esseri? La morte è forse il
ritorno all'eterno flusso dell'energia, un ricongiungimento con la realtà
fondamentale (l'Assoluto: Brahman, Apeiron, Darmakaja, Uno, Tao, Nagual) che sta
alla base di tutti fenomeni? La morte non è l'estinzione della vita ma la fusione della
vita individuale con la grande vita degli universi? L'io persiste o viene assorbito? La
morte è la dispersone del sé individuale nel continuum universale? Tutte queste
considerazioni sono però inficiate dal dualismo: la morte e la vita, io e il mondo,
immanente e trascendente, nulla e tutto, ora e dopo, estinzione e fusione, la parte e il
tutto. Eliminando ogni dualismo si elimina anche il problema della morte. Se l'io non
esiste come potrà morire?

Tutto ciò che entra nell'esistenza rimane relativamente stabile per un certo tempo e
poi esce dall'esistenza.

N
-NAGARJUNA***

Nāgārjuna non vede la realta, e quindi l’esistenza, nei termini di una opposizione tra
341
essere e non-essere. Egli, al contrario, afferma che è proprio tale opposizione ad
essere fittizia, perche si fonda su una erronea comprensione del rapporto tra essere e
predicazione.

Nāgārjuna afferma che non possiamo dire che il sé “è” immutabile (eternalismo), ma
nemmeno che “non-e” del tutto (nichilismo). Infatti il sé c’e, pero muta, ma questo
mutamento e pur sempre “qualcosa”, anche se indefinibile con le categorie della
logica tradizionale che, ricordiamolo, e autoreferente e non descrive che se
stessa.

Nāgārjuna usa il termine ‘vacuita’ (śūnyatā), ovvero: assenza di natura propria (in
continuita con la definizione presente gia nei discorsi del Buddha). Tale definizione si
chiarisce ulteriormente se la si intende come: impossibilita di definire il reale come
esistente o non-esistente dal punto di vista della visione classica basata
sull’essere/non-essere. Tale mancanza di definizione rende il reale ‘vuoto’ (śūnya)
di esistenza, cioe impossibile da definire nel momento in cui si cerca di
attribuirgli una ‘natura propria’.

La vacuità come termine mediano tra eternalismo e nichilismo.

Nagarjuna è pensatore e filosofo della sunyata (termine inventato dallo stesso


Nagarjuna). Lui afferma che è l'esperienza esistenziale a dimostrare che le cose sono
universalmente sottomesse alle leggi dell'impermanenza (anicca) e della mutua
interdipendenza. Nulla sussiste di incondizionato, stabile, separato (anatta); né la
personalità, né gli elementi di coscienza, né gli eventi e gli oggetti del mondo
naturale, né i sentimenti, né i concetti e i sistemi di idee con cui il reale viene
descritto.

"Queste mie parole", - dice Nagarjuna, - "sono prive di natura propria e perciò io
non vengo meno al mio assunto, né mi si può imputare parzialità alcuna né debbo
addurre nessuna ragione per giustificare questa parzialità"

Pratica la negazione senza alcuna implicazione assertoria: "Se io avessi una qualche
tesi, allora sarei soggetto alla possibilità del controsenso, ma io non ho una mia tesi e
quindi non sono soggetto ad alcun controsenso".

Le cose, tutte le cose e tutti gli eventi, non solo non sono così, ma non sono neppure
il contrario di così.

La critica di Nagarjuna non lascia trasparire la possibilità di attingimento di una


presunta realtà assoluta. L'assoluto è, per Nagarjuna, il ricettacolo capitale della
contraddizione, la proiezione eccellente dell'io e della sua sete di permanenza.

342
Nagarjuna però mette in discussione la possibilità stessa che si dia relazione
alcuna, laddove la legge dell'universale interdipendenza fa dileguare la realtà stessa
dei relati. Infatti, se concepiamo i termini della relazione come inesistenti in sé
(come vuole l'ortodossia dottrinale buddista) dobbiamo anche ammettere che diventa
incongruente relazionare cose inesistenti. Questo scrive Pasqualotto. Gli si può
obiettare che la relazione intrinseca non ha bisogno dei relati per esistere
essendo essa stessa il senso del tutto.

Spesso citato come "il secondo Buddha" dalle tradizioni asiatiche orientali del
Buddismo Tibetano e Mahayana (Grande Veicolo), il maestro Nagarjuna (nato
intorno al 150 d.C.) fece taglienti critiche alle filosofie Buddista e Brahmanica (pur
essendo quest'ultima la sua origine culturale) sul loro sostanzialismo, la loro teoria
della conoscenza, e gli approcci alla pratica. La filosofia di Nagarjuna (che fu
principalmente un filosofo scettico tipo Pirrone ma usò anche il metodo scettico
come Kant) non solo rappresenta uno spartiacque nella storia della filosofia Indiana,
ma nell'insieme di tutta la storia della filosofia, poiché affronta certi assunti filosofici
che ricorrono così facilmente nel nostro sforzo di comprendere il mondo. Fra questi
assunti vi sono l'esistenza di sostanze permanenti, il movimento lineare e uni-
direzionale della causalità, l'individualità atomica delle persone, la credenza in
un'identità fissa o ‘sé’, le rigide separazioni tra la buona e la cattiva condotta e la
vita benedetta o condizionata. Tutti questi assunti sono stati richiamati in una
questione fondamentale dalla visione unica di Nagarjuna che è radicata nella
intuizione della vacuità (shunyata, nuovo termine coniato da Nagarjuna stesso), un
concetto che non significa "non-esistenza" o "nichilismo" (abhava), ma piuttosto la
mancanza di una esistenza autonoma (nihsvabhava). Il rifiuto dell'autonomia
secondo Nagarjuna non ci lascia con un senso di privazione metafisica o
esistenziale, o la perdita di una qualche speranza per l'indipendenza e la libertà, ma ci
offre invece un senso di liberazione attraverso il suo dimostrare l'interconnessione di
tutte le cose, inclusi gli esseri umani e i modi in cui la vita umana si dispiega nei
mondi naturali e sociali. Il concetto centrale di Nagarjuna, della "vacuità (shunyata)
di tutte le cose (dhamma)", indirizzato all’incessante cambiamento e quindi ad una
natura di ogni fenomeno che non è mai fissa, servì da puntello terminologico del
successivo pensiero filosofico Buddista come vessazione degli opposti sistemi Vedici.
Il concetto aveva fondamentali implicazioni per i modelli filosofici Indiani della
causalità, l’ontologia della sostanza, l’epistemologia, le concettualizzazioni del
linguaggio, etiche e teorie di salvezza e liberazione del mondo, e si dimostrò seminale
perfino per le filosofie Buddiste in India, Tibet, Cina e Giappone, molto diverse da
quelle stesse di Nagarjuna. In realtà, non sarebbe esagerato dire che l’innovativo
concetto di vacuità di Nagarjuna, sebbene fosse ermeneuticamente appropriato in
molti diversi modi per i successivi filosofi sia nell’Asia del Sud che dell’Est, fu
capace di influenzare profondamente il carattere del pensiero Buddista.

343
La teoria, nella visione di Nagarjuna, era il nemico di tutte le forme di pratica
legittima, sociale, etica e religiosa. Egli fu antimetafisico. Si scaglia contro i
depositari di ogni visione ontologica dell'esistente, contro i tenaci sostenitori di
sostanze e essenze, contro i seguaci dell'idolo dell'identità. Bersaglio diventa
chiunque aderisca acriticamente a concezioni del mondo unilaterali e
assolutizzanti, a chiunque resti attaccato all'idea che le cose siano, di per se stesse,
stabili, autonome e fondate, e che possano essere fatte proprie da un Io stabile,
autonomo e fondante. Si deve invece cogliere la reciproca relazione condizionante
di tutti gli esseri e di tutti gli eventi.

"Chi pensa che una cosa esiste, ha come conseguenza la dottrina dell'eternità. Chi
pensa che una cosa non esiste, ha come conseguenza la dottrina
dell'annientamento. Evitiamo quindi sia l'idea di esistenza che quella di non
esistenza". Oltre il dualismo. Nella relazione.

Nāgārjuna, paragonava la realtà (saṃsāra) ad un sogno (nirvāṇa). Il saṃsara è


in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal saṃsara. I
confini del nirvāna sono i confini del saṃsara. La psicoanalisi, quella seria e non
quella ridicola pratica perpetrata dagli accademici, ha da tempo capito che il sogno
altro non è che una dimensione della realtà il cui unico plasmatore e creatore è
lʼindividuo che sogna. Così come il sogno è una realtà creata dal suo unico abitante, il
quale ha dunque pieni poteri creativi nella sua dimensione personale, la realtà
esterna è una dimensione creata dalla media di tutte le volontà dei suoi abitanti.
Se dunque la realtà esterna è fatta della stessa natura del sogno –come anche Jung ci
ha sempre fatto notare –significa che sogno e realtà sono la stessa cosa ed hanno le
stesse potenzialità. La realtà si manifesta per come la plasmiamo noi, su questo
non cʼè dubbio.

I logici brahminici ragionarono sul fatto che Nagarjuna ci ha detto che la vacuità è la
mancanza di natura fissa ed essenziale che esiste in tutte le cose. Ma se tutte le cose
sono prive di natura fissa, allora questo includerebbe, o no, la dichiarazione stessa
di Nagarjuna che tutte le cose sono vuote? Se uno dice che tutte le cose sono prive
di una natura fissa dovrebbe inoltre dire che nessuna asserzione, nessuna tesi, come
quella di Nagarjuna che tutte le cose sono vuote, potrebbe esigere il supporto di un
riferimento fisso. E se una tesi così fondamentale ed onni-comprensiva deve
ammettere di non avere in sé un significato né un riferimento fisso, allora perché
dovremmo credervi? Piuttosto, la tesi "tutte le cose sono prive di un'essenza fissa e
perciò sono vuote", poiché è una quantificazione universale e quindi riguarda tutte le
cose, inclusa la tesi, non confuta se stessa? I Logici qui non stanno tanto facendo
l’affermazione che necessariamente lo scetticismo abbandona la sua stessa posizione,
come quando una persona dicendo "Io non so niente" inconsciamente testimonia
almeno la conoscenza di due cose, e cioè, come usare il linguaggio e la sua stessa
ignoranza, come nel caso dell'Ironia Socratica
344 e del Paradosso del Mentitore. È più il
peso diretto che una filosofia, che rifiuta di ammettere le essenze universali, debba
essere ugualmente auto-contraddittoria, poiché una negazione universale deve essa
stessa essere essenzialmente vera per tutte le cose.

Nagarjuna potrebbe rispondere che, in linea di principio, non c’è nulla che potrebbe
evitare che io presuma che qualsiasi prova che io uso per verificare un pezzo di
conoscenza sia essa stessa sicura oltre ogni dubbio. Così, conclude Nagarjuna, la
supposizione che qualcosa può essere dimostrata con riferimento (cioè in
relazione) a un certo altro fatto presunto, incorre nel problema che la serie di
prove non avrà mai conclusione, e ci lascia ad un regredire infinito. Se
c’impegnassimo alla giustificazione opposta e proponessimo di sapere che le cose
sono reali, perché sono manifeste ed auto-evidenti, allora Nagarjuna ribatterebbe che
noi staremmo facendo un’affermazione vuota. Il vero scopo dell’epistemologia è di
scoprire metodi attendibili di conoscenza, il che implica che dalla parte del mondo vi
siano i fatti e dalla parte del conoscitore vi siano le prove che rendono quei fatti
visibili alla coscienza umana. Se le cose fossero proprio auto-evidenti, ogni prova
sarebbe superflua, dovremmo conoscere proprio direttamente se qualcosa è tale
com’è oppure no. La pretesa dell’auto-evidenza distrugge, in un ironico modo che era
sempre gradito a Nagarjuna, l’esigenza stessa di una forte e ben radicata teoria della
vera e sicura conoscenza! 

La sferzante critica di Nagarjuna non si risolve a un livello superiore di una


verità ultima, non si può infatti parlare di risoluzione quanto piuttosto di
dissoluzione di qualsiasi volontà di risolvere.

NAGARJUNA visto dal Fisico CARLO ROVELLI

Capita poche volte di incontrare un libro capace di influenzare nettamente il nostro


modo di pensare. Ancora più raramente di incontrarne uno di cui non sapevamo nulla.
Mi è capitato. Non è un testo sconosciuto: al contrario è famosissimo, commentato da
secoli da generazioni di studiosi, addirittura venerato. Io non lo conoscevo, e penso
che molti dei miei connazionali italiani, come me, non lo conoscano. L’autore si
chiama Nagarjuna.
È un breve e asciutto testo filosofico scritto 18 secoli fa in India e divenuto
classico di riferimento della filosofia buddhista. Il titolo è una di quelle interminabili
parole indiane, Mulamadhyamakakarika, reso in vari modi, per esempio I versi
fondamentali del cammino di mezzo. L’ho letto nella traduzione inglese di un
filosofo, Jay Garfield, accompagnata da un ottimo commento che aiuta a penetrarne il
linguaggio. Garfield conosce a fondo la tradizione orientale, ma viene dalla filosofia
analitica anglosassone, e presenta le idee di Nagarjuna con la chiarezza e la
concretezza che caratterizzano questa scuola, mettendole in relazione con il pensiero
occidentale.

345
Non sono capitato su questo libro per caso. Persone disparate mi chiedevano: «Hai
letto Nagarjuna?», soprattutto a seguito di discussioni sulla meccanica quantistica, o
altri argomenti di fondamenti della fisica. Io non ho mai guardato con simpatia ai
tentativi di legare scienza moderna e pensiero orientale antico: mi sono sempre
sembrati tirati per i capelli, riduttivi da entrambi i lati. Ma all’ennesimo: «Hai letto
Nagarjuna?», ho deciso di farlo, ed è stata una scoperta stupefacente.
Il pensiero di Nagarjuna è centrato sull’idea che nulla abbia esistenza in sé.Tutto
esiste solo in dipendenza da qualcosa d’altro, in relazione a qualcosa d’altro. Il
termine usato da Nagarjuna per descrivere questa mancanza di essenza propria
è «vacuità» (sunyata): le cose sono «vuote» nel senso che non hanno realtà
autonoma, esistono grazie a, in funzione di, rispetto a, dalla prospettiva di, qualcosa
d’altro.
Se guardo un cielo nuvoloso — per fare un esempio ingenuo — posso vedervi un
castello e un drago. Esistono veramente là nel cielo un drago e un castello? No,
ovviamente: nascono dall’incontro fra l’apparenza delle nubi e sensazioni e pensieri
nella mia testa, di per sé sono entità vuote, non ci sono. Fin qui è facile. Ma
Nagarjuna suggerisce che anche le nubi, il cielo, le sensazioni, i pensieri, e la mia
testa stessa, siano egualmente null’altro che cose che nascono dall’incontro fra altre
cose: entità vuote.
E io che vedo una stella? Esisto? No, neppure io. Chi vede la stella allora?
Nessuno, dice Nagarjuna. Vedere la stella è una componente di quell’insieme che
convenzionalmente chiamo il mio essere io. «Quello che esprime il linguaggio non
esiste. Il cerchio dei pensieri non esiste» (XVIII, 7). Non c’è nessuna essenza ultima
o misteriosa da comprendere, che sia l’essenza vera del nostro essere. «Io» non è
altro che l’insieme vasto e interconnesso dei fenomeni che lo costituiscono,
ciascuno dipendente da qualcosa d’altro. Secoli di concentrazione occidentale
sul soggetto svaniscono nell’aria come brina la mattina.
Nagarjuna distingue due livelli, come fanno tanta filosofia e scienza: la realtà
convenzionale, apparente, con i suoi aspetti illusori o prospettici, e la realtà
ultima. Ma porta questa distinzione in una direzione sorprendente: la realtà
ultima, l’essenza, è assenza, vacuità. Non c’è (n.d.r.: non è che non c'è! C'è ma è
vuota! C'è come relazione!). Ogni metafisica cerca una sostanza prima, un’essenza da
cui tutto il resto possa dipendere: il punto di partenza può essere la materia, Dio, lo
spirito, le forme platoniche, il soggetto, i momenti elementari di coscienza, energia,
esperienza, linguaggio, circoli ermeneutici o quant’altro. Nagarjuna suggerisce che
semplicemente la sostanza ultima… non c’è (n.d.r.: ripeto, non è che non c'è! C'è ma
è vuota! C'è come relazione!).
Ci sono intuizioni più o meno simili nella filosofia occidentale che vanno da
Eraclito alla contemporanea metafisica delle relazioni, toccando Nietzsche,
Whitehead, Heidegger, Nancy, Putnam… Ma quella di Nagarjuna è una
prospettiva radicalmente relazionale. L’esistenza convenzionale quotidiana non è
negata, è affermata in tutta la sua complessità, con i suoi livelli e sfaccettature. Può
essere studiata, esplorata, analizzata, ma non ha senso cercarne il sostrato ultimo.
346
L’illusorietà del mondo, il Samsara, è tema generale del buddhismo;riconoscerla
è raggiungere il Nirvana, la liberazione e la beatitudine. Ma per
Nagarjuna Samsara e Nirvana sono la stessa cosa: entrambi vuoti. Non esistenti.
Allora l’unica realtà è la vacuità? È questa la realtà ultima? No, scrive
Nagarjuna, ogni prospettiva esiste solo in dipendenza da altro, non è mai realtà
ultima, compresa la prospettiva di Nagarjuna: anche la vacuità è vuota di
essenza: è convenzionale. Nessuna metafisica sopravvive. La vacuità è vuota.
Non prendete alla lettera questo mio impacciato tentativo di sintetizzare
Nagarjuna. Ci mancherebbe. Ma da parte mia ho trovato questa prospettiva
straordinaria e sorprendentemente efficace, e continuo a ripensarci.
In primo luogo perché aiuta a dare forma ai tentativi di pensare coerentemente
la meccanica quantistica, dove gli oggetti sembrano misteriosamente esistere solo
influenzando altri oggetti. Nagarjuna non sapeva nulla di quanti, ovviamente, ma
nulla vieta che la sua filosofia possa offrire pinze utili per fare ordine in scoperte
moderne. La meccanica quantistica non quadra con un realismo ingenuo, materialista
o altro; ancora meno con ogni forma di idealismo. Come comprenderla? Nagarjuna
offre uno strumento: si può pensare l’interdipendenza senza essenze autonome.
Anzi l’interdipendenza — questo è il suo argomentare chiave — richiede di
dimenticare essenze autonome. La fisica moderna pullula di nozioni relazionali,
non solo nei quanti: la velocità di un oggetto non esiste in sé, esiste solo rispetto a un
altro oggetto; un campo in sé non è elettrico o magnetico, lo è solo rispetto ad altro, e
così via. La lunga ricerca della «sostanza ultima» della fisica è naufragata nella
complessità relazionale della teoria quantistica dei campi e della relatività generale…
Forse un antico pensatore indiano ci offre qualche strumento concettuale in più per
districarci… È sempre dagli altri che si impara, dal diverso; e nonostante millenni di
dialogo ininterrotto, Oriente e Occidente hanno ancora cose da dirsi. Come nei
migliori matrimoni.
Ma il fascino di questo pensiero va al di là dei problemi della fisica moderna.La
prospettiva di Nagarjuna ha qualcosa di vertiginoso. Sembra risuonare con il meglio
di tanta filosofia occidentale, classica e recente. Con lo scetticismo radicale di Hume,
con la dissoluzione delle domande mal poste di Wittgenstein. Nagarjuna non cade
nelle trappole in cui si impiglia tanta filosofia postulando punti di partenza che
finiscono sempre per rivelarsi a lungo andare insoddisfacenti. Parla della realtà
e della sua complessità, schermandoci dalla trappola concettuale di volerne
trovare il fondamento. È un linguaggio vicino all’anti-fondazionalismo
contemporaneo. La sua non è stravaganza metafisica: è semplicemente sobrietà. E
nutre un atteggiamento etico profondamente rasserenante: è comprendere che non
esistiamo che ci può liberare dall’attaccamento e dalla sofferenza; è proprio per la
sua impermanenza, per l’assenza di ogni assoluto, che la vita ha senso.
Questo è il Nagarjuna filtrato da Garfield. Esistono interpretazioni diverse del
testo, commentato da secoli. Oggi se ne discutono di kantiane, pragmatiste,
neoplatoniche, misticheggianti, zen… La molteplicità di possibili letture non è una
debolezza del libro. Al contrario, è la testimonianza della vitalità e della capacità di
347
parlare che può avere uno straordinario testo antico. Quello che davvero ci interessa
non è cosa effettivamente pensasse il priore di un monastero nel Sud dell’India di
quasi due millenni or sono — quelli sono affari suoi; ciò che ci interessa è la forza di
idee che emana oggi dalle righe che lui ha scritto, e quanto queste, intersecandosi con
la nostra cultura e il nostro sapere, possano aprirci spazi di pensieri nuovi. Perché
questa è la cultura: un dialogo interminabile che ci arricchisce continuando a nutrirsi
di esperienze, sapere e soprattutto scambi.

-NASH***

In un sistema di relazioni con più soggetti interagenti ci si dovrebbe preoccupare


dell'utilità complessiva dell'insieme dei soggetti e non di quella di un singolo
soggetto. Solo così si può massimizzare la resa complessiva. Dunque privilegiare
le relazioni rispetto all'egoismo di stampo dualista: io contro l'alterità.

L'equilibrio di Nash (in matematica) è possibile a condizione che si instauri


una cooperazione tra i giocatori, vale a dire che tutti agiscano non con il fine di
ottenere il miglior risultato per sé, ma di ottenere il miglior risultato per il gruppo, e
quindi, indirettamente, ottenendo un risultato migliore anche per sé. Poiché tuttavia
spesso la razionalità collettiva contrasta con quella individuale, è nella maggior
parte dei casi necessario un accordo vincolante tra i giocatori (e quindi
una istituzione che vigili su tale accordo) ed una sanzione nei confronti di chi non lo
rispetta, riducendo quindi il profitto del singolo se esso si allontana dalla
combinazione di strategie che garantisce a tutti il miglior risultato, affinché nessuno
trovi preferibile defezionare.

E' la cooperazione, non il conflitto, che giova a tutti! (Rovelli)

Ciò che è meglio per me dovrebbe concordare il più possibile con ciò che è meglio
per gli altri, altrimenti non è meglio per nessuno! Ogni singolo deve trovare la
miglior strategia rispetto alla miglior strategia di tutti gli altri.
Nella teoria dei giochi si definisce equilibrio di Nash un profilo di strategie (una per
ciascun giocatore) rispetto al quale nessun giocatore ha interesse ad essere l'unico a
cambiare. "Un gioco può essere descritto in termini di strategie, che i giocatori
devono seguire nelle loro mosse: l'equilibrio c'è, quando nessuno riesce a migliorare
in maniera unilaterale il proprio comportamento. Per cambiare, occorre agire
insieme".
Il dilemma del prigioniero fornisce un valido spunto per confrontare i due concetti di
equilibrio di Nash e ottimo di Pareto, e per comprenderne l'applicazione in economia.
Riprendendo quanto illustrato nella definizione matematica dell'equilibrio di Nash,
vediamo la loro applicazione al caso del dilemma del prigioniero. Le possibili scelte
per due prigionieri in celle diverse non
348comunicanti sono parlare (accusando l'altro) o
non parlare.

 Se entrambi non parlano avranno una pena leggera (1 anno);


 Se entrambi parlano, accusandosi a vicenda, avranno una pena pesante (6 anni);
 Se fanno scelte diverse, quello che parla avrà la libertà (0 anni) e l'altro avrà
una pena leggermente più pesante (7 anni) che non se avessero confessato
entrambi.
Se entrambi conoscono queste regole e non prendono accordi, la scelta che
corrisponde all'equilibrio di Nash è di parlare, per entrambi, cioè di collaborare, di
non essere egoisti (pena totale per i due: 2 anni complessivi) . Se invece entrambi
sono egoisti, sarà una disfatta: (pena totale per 12 anni).
Solo la relazione altruistica può aiutarci.
Per semplificare ulteriormente facciamo un esempio semplice. Ad Asola si tiene, da
alcuni anni, un palio delle contrade. I concorrenti , per vincere, devono coprire, nel
più breve tempo possibile, un certo percorso con un pesante sacco in spalla. Ma non
finisce qui. Un altro rappresentante della contrada scende sul percorso con lo scopo
dichiarato di bloccare i rivali. Accade così che il cammino di ogni concorrente è
doppiamente rallentato: sia dal peso del sacco che dall'ostacolo degli altri contradaioli.
Questa è, un poco, l'allegoria della vita! Non solo ognuno di noi deve portare il suo
grave fardello, ma deve anche subire l'ostilità degli altri. Jhon Nash sembra suggerirci,
matematicamente basandolo, di evitare almeno il reciproco danneggiamento. Il
premio Nobel suggerisce infatti di cercare di trovare un ragionevole accordo per
relazionarsi positivamente per conseguire il miglior risultato a livello di insieme.
Le identità nazionali non sono altro che teatro politico che serve alla classe al potere
per tenere coeso il così detto popolo (bue). L'unica vera identità è l'umanità. E poi, a
pensarci meglio, emerge pure che tutti gli esseri viventi hanno una origine comune
siano essi farfalle o uomini. Dunque siamo tutti in stretta relazione su questa terra,
altro che nazionalismo. (Rovelli molto interpretato)

-NATURA***

In sé, non c'è intenzionalità nella natura. Non è l'intenzionalità che guida il
combinarsi delle cose, ma è il combinarsi delle cose che ha dato origine (al
concetto di) intenzionalità. (Rovelli interpretato)
Non esiste un esterno nella natura. Vorrei ripetere queste parole: non esiste un
esterno nella natura, ogni cosa ne è parte. Come può esistere qualcosa fuori della
natura? Il tutto è l’interno. La mente cerca di fare l’impossibile, sta cercando di
restare fuori a guardare, per vedere qual è il significato. Non è possibile, devi

349
partecipare. Devi entrare a farne parte e diventare un’unità; disperdersi come una
nuvola, là nell’ignoto. (Osho interpreta Eraclito)
Forse la filosofia dominante del nostro tempo è il naturalismo: lo si può forse
caratterizzare come l'atteggiamento filosofico di chi ritiene che tutti i fatti che
esistono possano essere indagati dale scienze naturali, e che noi essere umani siamo
parte della natura e non entità distinte e separate da essa. Non è naturalista che
assume realtà trascendenti che possiamo conoscere solo attraverso forme non
indagabili dal pensiero scientifico: ci deve essere qualcosa al di là che si può studiare
scientificamente. (Rovelli)
Per gli sciamani dell'Amazzonia (sterminati da una colonizzazione crudele) la
sapienza suprema è essere in simbiosi totale con la foresta, conoscere, rispettare,
interagire con le sue leggi per una reciproca cura e sopravvivenza. L’Occidente,
all’opposto, ha stabilito che l’unico reale scopo che deve perseguire la scienza
moderna (asservita all'economia non equa) è conoscere le leggi della natura per
meglio sottometterla, dominarla, sfruttarla ai propri fini. In tal modo si distrugge la
natura originaria, si rompe la simbiosi originaria delle locali popolazioni. Tutto ciò
allo scopo di arricchire enormemente poche multinazionali.
Leopardi dice che, essendo regno della casualità e dell’irrazionale, la natura non si
cura del bene dell’uomo. Ma, al contrario, porta solo dolore. “O natura, o natura,
perché non rendi poi, quel che prometti allor? Perché di tanto Inganni i figli tuoi?”
Natura matrigna che, però, nel periodo antecedente del pessimismo storico, veniva
chiamata benigna contro la ragione maligna.

La presupposta linearità della natura è interamente un prodotto del modo in cui la


visioniamo, ossia col pensiero. Come dire che … a un martello tutto il mondo sembra
… un chiodo! Infatti la natura non procede linearmente, ma tutto succede
simultaneamente, dappertutto e subito.
Dividere è nella natura della mente. La separazione va però contro la natura della
realtà. La natura è una. La realtà è una. (Nisargadatta Maharaj)
Il fondamento delle nostre conoscenze non si trova nella natura ma nell'attività stessa
del soggetto. Le caratteristiche di necessità e universalità che noi attribuiamo alle
leggi naturali sono in realtà un prodotto del soggetto.
L'ordine e la regolarità dei fenomeni, che noi chiamiamo natura, siamo quindi noi
stessi a introdurli. D'altronde, noi non potremmo certo trovarli nella natura, se noi
stessi (o la natura del nostro animo) non li avessimo originariamente introdotti.
(Kant)

Noi non facciamo altro che proiettare le nostre concezioni e le nostre idee sulla
natura, immaginandola meravigliosamente ordinata. Immaginiamo anche che
350
esista un progetto o un piano, come l'evoluzione. Io non credo che esista nulla del
genere. Probabilmente non esiste altra evoluzione se non quella che noi proiettiamo
sulla natura, confrontando un elemento all'altro e deducendo che sia la necessaria e
diretta conseguenza dell'altro. (U.G.)

Nella modernità siamo cresciuti pensando di essere i proprietari e i padroni della


natura, autorizzati a saccheggiarla senza alcuna considerazione delle sue potenzialità
segrete e leggi evolutive, come se si trattasse di un materiale inerte a nostra
disposizione, producendo tra l'altro una gravissima perdita di biodiversità. (Papa
Francesco)

La sopraffazione esercitata dall'uomo sulla natura sarebbe giustificata dal comando


divino riportato nel libro della Genesi: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la
terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni
essere vivente, che striscia sulla terra" (Gen. 1,28). Questa affermazione, rivestita
della autorità della rivelazione, avrebbe determinato lo sviluppo di un'etica del
dominio, fortemente antropocentrica, tale da giustificare la finalizzazione e la
strumentalizzazione del mondo agli interessi del soggetto umano. (Forte)

Il concetto di antropocene, ridotto all’osso, afferma che i processi geologici e


l’assetto planetario, che fino a questo momento hanno determinato e condizionato la
storia degli umani, oggi sono a loro volta modificati e condizionati dalla storia
umana.

La questione dei ‘limiti della natura’ raggiunge nel Settecento la sua formulazione morale
più completa: la natura possiede gerarchie e limiti così come le società umane e la loro
alterazione o il loro sovvertimento porterebbe ad un caos cosmologico e politico.

Michel Serres chiarisce che il dato più eclatante e ormai imprescindibile per una
riflessione aggiornata sulla condizione umana è l’impatto globale che le attività
umane hanno iniziato ad avere sull’ecosistema terrestre e, nella fattispecie, i
mutamenti del sistema atmosferico globale, con la conseguenza di un
surriscaldamento del pianeta per effetto dell’emissione e della concentrazione dei gas
serra. Si tratta di eventi enormi che, se nell’immediato disorientano e ‘stressano’ i
metodi d’indagine e i modelli previsionali delle scienze fisiche e chimiche,
annunciano di sicuro una modificazione nello statuto della natura e nei rapporti di
dipendenza e possesso che hanno caratterizzato il rapporto uomo-natura
dall’Antichità ad oggi.

Gli stoici distinguevano tra le cose che dipendono da noi e quelle che non ne
dipendono affatto e ritenevano assurdo pensare di poter cambiare cose come il clima,
le epidemie, il giorno della nascita o della morte. Abbiamo imparato dopo, con i
progressi della scienza e della tecnica moderne, a renderci padroni e possessori della
natura, secondo il precetto di Descartes, ovvero a far crescere in modo esponenziale
351
le cose che dipendono da noi e a far diminuire proporzionalmente quelle che non ne
dipendono affatto. Pervenuti al massimo di questo progetto di dominio sulla
natura, ci accorgiamo, in una terza fase, di un effetto paradossale: noi
dipendiamo alla fine dalle cose che dipendono da noi. Come nel caso delle
modificazioni del clima, noi non riusciamo a controllare tutti gli effetti delle nostre
azioni, che possono avere effetti di ritorno (come, ad esempio, la riduzione del buco
d’ozono) capaci di compromettere nel lungo periodo la stessa sopravvivenza
dell’umanità. Per definire questa terza fase, a vent’anni di distanza da Le contrat
naturel, Serres ricorre proprio alla locuzione: era dell’antropocene.

Dall’età prometeico-cartesiana del dominio sulla natura passiamo ad un cortocircuito


di dominio e dipendenza, dove noi soggetti diveniamo oggetti, vittime delle nostre
vittorie, bersaglio degli effetti perversi delle nostre azioni, e l’oggetto globale (la
terra assurta all’icona di ‘Terra’ grazie all’occhio delle tecnologie satellitari e ormai
interiorizzata dal nostro immaginario) diventa soggetto perché reagisce alle nostre
azioni, come un partner.

Bisogna trattare la natura non più come oggetto, ma come soggetto di diritto.
Infatti, siamo ora di fronte al rischio di una catastrofe naturale globale e
dell’estinzione della specie umana e altre specie viventi, come epilogo dell’era
dell’antropocene. Bisogna stipulare un patto fra BIO e GEA, fra vita e terra dando
origine alla Biogea. Oltre ai crimini di guerra, ai crimini contro l'umanità bisogna
istituire anche i crimini contro il mondo, contro la terra. La terra va risacralizzata!

L’uomo non può più permettersi di considerarsi come non responsabile e incurante
delle condizioni di esistenza del mondo, nel quale egli a sua volta esiste, giacché
queste condizioni sono state messe in crisi, proprio dalla sua azione.

Il grande paradosso dell'umanità consiste nella circostanza secondo la quale


l’estensione delle condizioni di benessere generalizzato, proprie del modo di vivere
della civiltà occidentale, su scala globale è insostenibile, in quanto i mezzi attraverso
i quali queste condizioni di benessere vengono prodotte e mantenute, se applicati
all’umanità intera, provocherebbero inevitabilmente il collasso delle condizioni di
esistenza della vita sulla Terra in generale e, di conseguenza, l’estinguersi della
possibilità del benessere in quanto tale.

Il modo tradizionale di rapportarsi alla natura da parte dell’uomo occidentale è basato


sulle opposizioni binarie, proprie della metafisica classica, secondo la quale un
soggetto-padrone e signore spirituale e attivo impone liberamente e
indiscriminatamente la sua volontà su di un oggetto-servo materiale e passivo.

L’antropocentrismo è dominante nelle visioni del mondo tradizionali dell’Occidente,


che ha sempre considerato l’uomo come superiore, estraneo o indipendente dalla
natura.
352
Il concetto di antropocene e la relativa proposta etica contengono anche una valenza
decisamente politica: nell’epoca contemporanea, una svolta omeotecnica in direzione
dell’estensione del benessere alla totalità dell’umanità, connessa con un nuovo modo
di rapportarsi ai non umani, volto alla collaborazione piuttosto che allo sfruttamento,
implica necessariamente l’instaurazione di una politica globale, che raduni al suo
interno la molteplicità dei differenti collettivi, senza tuttavia imporre loro direttive
assolute, ma preservando la loro parziale autonomia e relativa specificità. La civiltà
globale teorizzata da Sloterdijk non solo comprende tutti gli agenti umani come dotati
di pari diritti, ma include anche il complesso degli agenti non umani, considerati
come collaboratori e non come risorse.

Se si definisce intelligente una specie che riesce a sviluppare la capacità di


sopravvivere nel suo ambiente, allora bisogna dire che la specie umana, distruggendo
la natura in cui vive, non è poi così intelligente come si autorappresenta. (Mainardi)

«La natura sembra avere fatto l’esperimento di dare origine all’intelligenza


almeno due volte: una volta nel nostro ramo di famiglia, un’altra volta con i
polpi. (...) Ma come dev’essere sentirsi polpo, con un cervello diffuso ovunque, e
tentacoli che pensano ciascuno a modo suo? (Rovelli=

-NEC SPE NEC METU ***

Coloro che sono divenuti Buddha (cioè illuminati) continuano a giocare, ma il


gioco cambia. Essi sanno, adesso non c’è più paura. Non c’è più desiderio, non
c’è nulla da realizzare!

"Timore e speranza sono semplici emozioni manipolate dai capi religiosi per
tenere a bada il proprio gregge». (Spinoza)

Nec spe nec metu


Ho ciò che non desidero
Desidero ciò che non ho
Paura e desiderio mi opprimono
Liberiamoci quindi da desideri e paure

Lasciare
Fluire con la vita!
Lasciar venire ciò che viene
Lasciar andare ciò che va
Senza desiderio e senza paura
 
La trama e l'ordito
Desiderio e paura 
Sono la trama e l'ordito dell'esistenza
353
Il desiderio è il ricordo del piacere
La paura è il ricordo del dolore

Il Dio nato dalla paura e dalla speranza, modellato dal desiderio e


dall'immaginazione, non può essere la Mente e il Cuore dell'Universo.
(Nisargadatta Maharaj)
Tu hai la tua mente personale, intessuta di ricordi, legati insieme dai desideri e
dalle paure. Io non ho una mente mia; ciò che ho bisogno di sapere, l'universo mi
offre come il cibo che mangio. (Nisargadatta Maharaj)

Dukkha (la sofferenza nel buddismo) è causata dalla paura e dal desiderio. Il
desiderio di essere, magari in eterno. La paura di non essere. Anche se nessuno
ha mai potuto dimostrare che l'essere è superiore al non essere.

Dice Buddha che, in senso relativo, è bene che, per i più, vi sia il timore
dell'inferno e la speranza del paradiso. Ma, in senso assoluto, è ancora meglio
che non vi sia né timore né speranza, che si realizzi cioè il completo distacco da
ogni idea di inferno e da ogni idea di paradiso e, quindi, implicitamente, da ogni
idea di un io che teme l'uno e spera l'altro. (Pasqualotto)

La mistica del ritorno all'Uno di Meister Eckhart. Nel momento del ritorno
all'Uno, si realizza una teologia negativa che riguarda anche la vita spirituale, le leggi
e riti della religione: la perfezione morale e l'imitatio Cristi sono per «l'essere ciò che
Dio è», come Lui, non in unità con Esso. La persona rinuncia a tutto ciò che è
opera dell'individualità: non sente desiderio o timore; rinuncia ad avere, agire,
conoscere; rinuncia all'esercizio della memoria, dei sensi, del giudizio etico o
estetico.

Nec spe nec metu (Né con speranza, né con timore) è un motto latino che non ha
fonte certa. Può essere inteso come invito ad una vita stoica, ad accettare appunto
senza speranza né timore gli eventi e le avversità.

È possibile rintracciare una probabile fonte della locuzione in questione nell'orazione


Post reditum in senatu (57 a.C.) di Cicerone. In essa Cicerone esprime il suo
ringraziamento al Senato che lo aveva richiamato in patria, mettendo fine al lungo
esilio di 18 mesi. Ripercorrendo le vicende passate, Cicerone ricorda che al terrore
imposto da Clodio e i suoi complici si erano opposti alcuni magistrati "quos neque
terror nec vis, nec spes nec metus, nec promissa nec minae, nec tela nec faces a
vestra auctoritate, a populi Romani dignitate, a mea salute depellerent ("che né il
terrore né la violenza, né la speranza né la paura, né le promesse né le minacce, né le
armi né le fiaccole fecero allontanare dalla vostra autorità, dalla dignità del popolo
romano e dalla mia salvezza [Post reditum, 7, 9]).
354
Smetterai di temere se avrai smesso di sperare. (Seneca)

Anche nell'opera induista Bhagavad Gita (testo del terzo secolo prima di Cristo) si
legge: "Questo è l'uomo, o la donna, la cui mente è imperturbabile nel dolore e nelle
avversità, che non ha sete di piaceri, ed è libero dalle tre caratteristiche che
maggiormente offuscano la mente vale a dire: gli attaccamenti, la paura e la rabbia.
Questo è un illuminato. La persona che è distaccata, senza desideri, che non gioisce
né si deprime di fronte alla buona o alla cattiva sorte, stabile nella sapienza sopra le
turbolenze materiali è, quindi, un illuminato".

La persona che rinuncia a tutto ciò che è opera dell'individualità non sente
desiderio o timore. (Meister Eckart)

La speranza (il timore) è una letizia (tristezza) incostante, nata dall’idea di una cosa,
futura o passata, del cui evento in qualche modo dubitiamo. Per Spinoza la ragione
combatte contro paura e speranza per arrivare all' amor dei intellectualis con il
quale Dio ama se stesso tramite l'uomo. Il saggio si sforza di vedere il mondo come
lo vede Dio: sub specie aeternitatis ove il futuro è fissato altrettanto del passato
quindi né paura e né speranza! Timore e speranza sono semplici emozioni
manipolate dai capi religiosi per tenere a bada il proprio gregge.

Una propensione alla speranza e alla gioia è vera ricchezza; una alla paura e al
dispiacere vera povertà. Secondo Hume, la religione avrebbe la sua genesi nel
sentimento del timore e quindi conseguentemente in una speranza di salvezza dopo
la morte, pensata come fenomeno ineluttabile e drammatico, e di esorcizzazione della
potenza naturale attraverso l'affidamento al Dio, la cui devozione garantisce che la
Natura risulti "benigna" per l'uomo e non più nemica incontrollabile senza un ordine
che la razionalizzi.

In sostanza si ha sempre speranza e insieme paura, dove c’è l’una c’è l’altra: spero


di ottenere quella cosa (ma temo di non averla) e reciprocamente temo quella cosa
(ma spero di evitarla). Dal che si può arguire, tanto per cambiare, che l‘insicurezza,
l’incertezza è in realtà la nostra tonalità ontologica, il nostro fondamentale modo di
stare al mondo.

Nella vita, talvolta, è necessario saper lottare non solo senza paura, ma anche senza
speranza. (Pertini)

Possano le tue scelte riflettere le tue speranze e non le tue paure. (Mandela)

Non c'è speranza senza paura e non c'è paura senza speranza. (Papa Woitila)

Prego sempre il vero Dio (insieme con Meister Eckart) di liberarmi dal dio feticcio,
dal dio totemico e antropomorfico che serve all'uomo per cercare di scongiurare le
paure ataviche e per cercare di esaudire i sempre nuovi desideri.
355
Il mondo è il luogo dei desideri e delle paure. Desiderio e paura sono la trama e
l'ordito dell'esistenza. Paura e desiderio opprimono. Il desiderio è il ricordo del
piacere. La paura è il ricordo del dolore. Il desiderio del piacere. La paura del dolore.
Il desiderio fondamentale è essere. La paura fondamentale è non essere (anche se
nessuno sa bene sé è meglio essere o non essere) . Vai oltre. Superali. Vivi avvero.
Sarai libero. Non vivere la paura e il desiderio. Astieniti dal desiderio e dalla paura.
(Nisargadatta Maharaj)
La varie posizioni di preghiera nelle tre religioni monoteiste imitano quasi sempre
quelle del servo impetrante di fronte a un dio irritabile e vendicativo. Il messaggio
è quello di sottomissione e paura perenne. Speranza e paura da parte di un uomo
colpevole (per le varie chiese l'uomo è sempre colpevole … di che cosa non si
capisce bene) davanti a un dio re degli eserciti sempre leggermente alterato (dio ha
sempre ragione).
L'uomo, da sempre, vive nel mistero...incerto fra la paura e la speranza. Per uscire
da questa situazione, per cercare certezze, ha incominciato a dare un nome al mistero
e ad attribuirgli concetti umani esagerati: infinito, eterno, onnipotente, onnisciente ...
Dopo l'illuminazione, la mente ed il pensiero rimangono, ma acquistano solo valore
funzionale, ossia quando occorre cimentarsi in qualcosa di pratico, la mente è lì
pronta a funzionare; viceversa la mente dll'illuminato non indulge a vuoto in fantasie
nate dalla paura del dolore e dal desiderio del piacere.
Secondo Freud i sogni sono influenzati da paure e desideri.

-NEURONI***

Tutti i colori e le forme che noi vediamo sono semplicemente il modo in cui i
neuroni del cervello traducono gli impulsi elettrici del mondo esterno. Interazione
di campi d'energia all'interno del nostro cervello. L'universo è un sistema di energia
neuronale acceso nella nostra testa. Tutti i mondi sono nella testa. La coscienza è
interazione di campi di energia all'interno del cervello. La fuori non ci sono né
forme né colori ma solo onde che vibrano. Tutto è solo un costante flusso di
energia ma noi vediamo nuvole e montagne. Forme e colori esterni sono dovuti ai
nostri neuroni interni: vediamo e sentiamo ciò che accade nella nostra testa.
L'universo è solo un insieme di moduli di energia accesi nella nostra testa. La
coscienza è interazione di campi d'energia all'interno del cervello.
Il numero dei neuroni del cervello umano è grande quanto il numero delle stelle in
cielo...eppure vi è tanta ignoranza in giro …
Il sistema nervoso centrale è il creatore, il costruttore di realtà. Il soggetto: il
cercatore. L'oggetto: il cercato. L'atto: il356
cercare. Sembrano tre ma sono uno, anzi
sono il vuoto. La realtà è vuota e non vuota allo stesso tempo. Ogni volta c'è
dualità c'è stato di sogno. Ogni volta che vedete molteplicità state sognando.
I «neuroni-specchio» sono cellule nervose del cervello che si «attivano» quando
vedono qualcun altro compiere un gesto. Per esempio, se guardiamo qualcuno che
prendere una tazzina di caffè, nel nostro cervello si attivano le aree necessarie a
compiere esattamente quel gesto, anche se noi, nella realtà, poi non lo facciamo.
Questi neuroni, quindi, "riflettono", come uno specchio quello che «vedono» nel
cervello altrui. Si tratta di una facoltà del nostro sistema nervoso fondamentale per la
comprensione e l'apprendimento. Esiste dunque anche una vera comunicazione
non verbale, non intenzionale, che continua a scambiare informazioni tra ogni essere
umano ed ogni altro a qualche titolo in relazione tra loro.
Si ama per innatismo (i neuroni specchio che ci fanno ripetere i comportamenti
altrui senza usare la razionalità) e si odia per cultura (la cultura dell'ego-ismo).
Per giudicare se i neuroni specchio rappresentino effettivamente i correlati neuronali
della comprensione pre-riflessiva dell’altro, occorre ovviamente affidarsi a un
concetto attendibile di empatia; la mia ricerca si è concentrata sulla dottrina
fenomenologica di Edmund Husserl, perché (sebbene variamente interpretabile e
aperta a una lettura critica) essa ci consente di abbozzare un modello rigoroso di
come si articolino i processi empatici. Per Husserl l’empatia è un atto di coscienza
soggettivo che consiste nello stabilire un’equivalenza tra il vissuto corporeo di un
soggetto e il vissuto corporeo degli altri soggetti ai quali il primo si relaziona.
L’equivalenza viene ricavata attraverso un’analogia che si radica nella basilare
dualità fenomenologica tra Leib e Koerper. Il primo dei due termini indica il corpo
attraverso il quale si percepisce, si vive e si desidera; il secondo ha a che fare, invece,
con il corpo di cui si possono avere riscontri solo esteriori, oggettivi, neutri, o
addirittura naturalistici. Il rapporto dinamico tra il Leib e il Koerper di un soggetto si
riversa nella comprensione dell’altro duranti i processi empatici: questa correlazione,
concernente l’esperienza fenomenologica di un soggetto, è esportabile agli altri corpi
nei suoi elementi costitutivi, per cui la rete di rapporti che concretamente sussiste
tra il vissuto corporeo personale del soggetto empatizzante (il suo Leib, ovvero il suo
corpo vivo fenomenologico,) e la situazione oggettiva del suo corpo (il suo Koerper,
appunto) può essere trasposta su di un altro soggetto; in questo modo il corpo-oggetto
dell’altro, sebbene appercepito unicamente attraverso modalità esteriori, può essere
appreso attraverso una profondità fenomenologica che lo caratterizza come corpo
vivo, ovvero come corpo analogo al mio, attraverso il quale si esprimono una
intenzionalità, una coscienza, una volontà, e un potere costituente sopra la realtà.
(Cappuccio)

-NEUTRINO***

357
I neutrini che attraversano ogni momento in gran quantità il nostro corpo provengono
da luoghi diversi. La maggior parte di essi nasce nel Sole. Altri provengono da
regioni diverse dell'Universo dove sono avvenute grandi esplosioni e impiegano
centinaia di migliaia di anni per giungere a noi. Anche la Terra ci bombarda di
neutrini. Infine anche il nostro corpo produce neutrini! I neutrini ci accompagnano
da sempre e sono i responsabili dell'evoluzione del mondo naturale.

Il neutrino, frutto del decadimento beta (è un processo radioattivo in base al quale un


neutrone decade in un protone, un elettrone e, appunto, un neutrino o il suo anti), è
privo di carica elettrica ma ha una massa, seppur piccolissima, simile a quella
dell'elettrone. Praticamente non interagisce con nulla: può viaggiare per milioni di
chilometri attraversando anche pianeti senza che nulla lo possa perturbare!

Viaggia a velocità, forse, leggermente superiore a quella della luce. Di conseguenza,


se ciò è vero, per lui il tempo scorre all'indietro …

Il neutrino mostra tre diverse "personalità" differenti e intercambiabili: infatti ci sono


tre tipi di neutrini a seconda di che cosa li origina ma poi cambiano pure personalità.
Dunque il neutrino è di natura schivo (non interagisce) forse per dei disturbi alla sua
bizzarra personalità ...

-NICHILISMO***

Il nichilismo è una concezione delle cose in base alla quale la realtà sarebbe


inesorabilmente destinata a declinare nel nulla, ovvero, dal punto di vista etico,
sarebbe indeterminabile o assente una finalità ultima che orienti il corso delle cose e
la vita dell'uomo. Dato che l'uomo è limitato e sperimenta ogni giorno questo limite
nella morte e nelle sue dolorose anticipazioni, allora egli può essere spinto a
considerare - al di là di quanto ne sia cosciente - che il niente sia il vero senso
dell'essere. L'affermazione nichilista nega pertanto, in questo senso, vera
consistenza alla realtà e di conseguenza esclude che l'uomo possa fare esperienza
della verità in quanto tale, considerata come oggettiva e universale.

Per la mentalità e per il pensiero occidentale il nichilismo è associato alla negatività,


al pessimismo di Leopardi, alla tristezza di Nietzsche e quant'altro. Invece per
l'Oriente la realtà accostata al nulla è una grande intuizione che libera le menti
facendo loro intuire che esse stesse sono prive di un vero sé e una permanenza
così come lo è anche il nulla stesso.

Vi è dunque anche un nichilismo costruttivo, positivo ispirato a concezioni


filosofiche dell'Occidente, come quelle di Nietzsche e Wittgenstein, e dell'Oriente,
come quelle del Buddhismo Chan/Zen e del Taoismo.

-NIETZSCHE***
358
"C’è chi è nato postumo". Lui, come molti dei più grandi che hanno saputo
anticipare i tempi, per usare le sue stesse parole “veniva troppo presto”.

Numerosi sono gli scritti in cui Nietzsche manifesta la sua diversità, la sua inattualità
rispetto all’epoca in cui si trova a vivere. Si autodefinisce UOMO POSTUMO.
«Conosco la mia sorte. Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di
enorme – una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della
coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso,
consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite».

Partiamo ora da quella che è, probabilmente, la più importante e celebre frase, quella
che in un certo senso può riassumere tutto il pensiero di Nietzsche: «Dio è morto, e
noi lo abbiamo ucciso». Pronunciata, nella pagina più famosa de La gaia scienza
(ma anche in Così parlò Zaratustra), da un folle che si reca al mercato per cercare di
aprire gli occhi alla gente, la frase ha un significato profondo che va ben oltre quello
letterale.

Dio, per Nietzsche, non è infatti solo il Divino Creatore, ma è un simbolo che
racchiude tutte le “credenze metafisiche”, cioè tutte le fedi in senso ampio; la fede
religiosa, certo, che per Nietzsche è e rimane il male peggiore, con la sua menzogna
riguardo l’aldilà, ma anche la fede politica, la fede in una morale che trascenda gli
esseri umani, la fede nello Stato, in un sistema filosofico, diremmo oggi anche in una
squadra di calcio.

Ogni fede è morta, perché siamo stati noi ad ucciderle tutte: ci siamo resi insomma
conto di quanto tutto questo sia pia illusione, di quanto la nostra vita sia destinata a
non trovare alcuna spiegazione al di fuori di essa, di quanto sia priva di senso, o
almeno di un senso dato dall’esterno, da una autorità che sta sopra di noi.

L’uomo è scimmia, diamolo per assodato; ma non è solo la sua evoluzione biologica,
sembra dirci Nietzsche, ad averne fatto una scimmia; è, piuttosto, il suo
atteggiamento, il suo vivere ancora succube degli imbrogli delle fedi, il suo non
voler crescere e non voler affrontare la vita per quello che è, al di là delle illusioni, al
di là delle bugie, al di là del bene e del male. L’uomo è insomma scimmia, non solo
perché da essa deriva, ma perché ha scelto di essere scimmia, e lo è ancora di più
degli animali, che da ciò che sono hanno sempre ottenuto il massimo, mentre l’uomo
continua imperterrito a limitarsi e sottomettersi.

Dai sui scritti è possibile dedurre che egli pensasse che una delle domande
 

fondamentali della filosofia (forse la principale) non fosse "Cosa è la verità?" ma


"Cosa facciamo con le nostre verità?", "Quali sono gli effetti delle nostre verità su
di noi?". Per questo motivo, Nietzsche mina le basi della vecchia concezione del

359
mondo, che si fondava sul primo di questi interrogativi, sulla fede nell'esistenza di
una Verità assoluta e alla quale fosse possibile, prima o poi accedere. (Gori)

Nietzsche nega gli Assoluti ma, allo stesso tempo, nega anche il nichilismo.

Nietzsche combatte a fondo sia la volontà del nulla (cioè il nichilismo) che la
volontà di verità.

Nietzsche è stato l'unico ad aver descritto la realtà come una polifonia


interpretativa il cui fondamento risiede nello sguardo dell'interprete.

Nietzsche accetta il dolore come componente essenziale della vita mentre


Buddha vuole eliminare il dolore dalla vita.

Nietzsche critica la fiducia nella possibilità di correggere il mondo attraverso il


sapere. Critica quindi il capostipite di tale modello culturale che è stato Socrate il
quale inaugura il metodo apollineo della comprensione della realtà mediante
concetti. Si dovrebbe invece affievolire la spinta a una eccessiva brama di sapere e
riannodare il rapporto tra vita e mito tipica dell'ebro mondo dionisiaco.

La necessità del caso.


L'essere del divenire.
La molteplicità dell'uno

Caos dionisiaco e cosmos apollineo.


Impulso creativo, ebbrezza vitale.
Razionalità concettuale, forma armoniosa.

Nietzsche fu insieme un filosofo e un poeta. E anche molto altro …

In realtà, dice, fra la religione e la vera scienza non ci sono parentele, né amicizia e
neanche inimicizia: vivono semplicemente su pianeti diversi.

Nietzsche non è relativista nel senso negativo del termine visto che il pesante attacco
che muove alla metafisica occidentale è stato animato appunto dal preciso scopo di
trovare un'alternativa alla deriva nichilistica dell'Europa di fine Ottocento.
Il prospettivismo che fonda molta della riflessione matura di Nietzsche si lega quindi
a un atteggiamento di tipo pragmatico ove le antiche verità, pur essendo poco
affidabili in quanto mere opinioni, vanno comunque considerate per la loro utilità
pratica.

360
Nietzsche osserva che alcune concezioni proprie del senso comune relative
all'esistenza di entità sostanziali, del libero volere e del bene valido
universalmente non sono che erronei articoli di fede tramandati nel corso della
storia evolutiva dell'uomo in ragione della loro utilità per la vita.

L'interesse di Nietzsche riguarda gli effetti che una data concezione del mondo ha sul
tipo umano. Per lui, in particolare, efficace è quella RELAZIONE con il mondo che
permette all'uomo di evitare di cadere nel baratro labirintico del nichilismo e che, di
conseguenza, lo sradica da quella antropologia degenerativa che, secondo Nietzsche,
ha caratterizzato la storia culturale occidentale a partire da Platone. Il piano di
riferimento, nel momento in cui si vada a definire il valore di verità di una data
concezione del mondo, è quindi quello esistenziale: la posizione più vera e che è
meglio, per noi, assumere come fondamento della nostra attività pratica, è quella che
ci permette di diventare ciò che siamo e che rende possibile la generazione di un
tipo umano superiore. Nietzsche attribuisce infatti un valore trasformativo al
proprio pensiero prospettico. (Gori)

Nietzsche arriva a considerare la conoscenza come un atto creativo e contesta la


posizione della filosofia tradizionale che suole porsi davanti alla vita e all'esperienza
(cioè davanti a ciò che chiamiamo il mondo fenomenico) come davanti a un quadro
che è stato dipinto una volta per tutte negando che sia ancora in corso d'opera .

"Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano
di sovraterrene speranze!" Si parla quindi di una filosofia della vita e non di quella
della morte e del conseguente dopo vita, altra vita.

Reale, per Nietzsche, è proprio e solo la dimensione dell'apparenza visto che il


mondo vero è una costruzione puramente logica che non possiede in alcun modo i
tratti della realtà.

Nietzsche fu fortemente critico rispetto al valore che il pensiero tradizionale


attribuisce alla dimensione razionale.

L'idea che esista un libero arbitrio è “il più malfamato trucco dei teologi […]
mirante a rendere lʼumanità 'responsabile'”, e la responsabilità comporta la
possibilità di imporre una pena che deriva dalla distinzione tra giusto e sbagliato.

Secondo Nietzsche il fenomenalismo significa che non sappiamo niente della cosa
in sé visto che la nostra epistemologia è circoscritta alla dimensione dei
fenomeni.

Tutto ciò che è fatto per amore è sempre al di là del bene e del male.

361
"Non ho che sensazione e rappresentazione. (…) Non possiamo immaginare nulla che
non sia sensazione e rappresentazione», per poi concludere che «la materia stessa è
data solo come sensazione».

In Nietzsche, al di là delle ostentate dichiarazioni di misoginia esiste, in realtà, un


fitto dialogo con il “femminile”, o meglio, con i molti modi di essere donna. Gli
esempi di “donna” con cui egli aveva confidenza sono sicuramente la propria madre e
la propria sorella, ma anche intellettuali come Lou Salomé e Malwida von
Meysenbug, due rappresentanti ante litteram del femminismo. Ciò che egli odia delle
donne viene completamente dimenticato nell’incontro con Lou Salomé, che – a
giudizio dello stesso Nietzsche – è determinante per la nascita dello Zarathustra.
Probabilmente è proprio l’esperienza sfortunata con Salomé, la sua “mente
sorella”, a permettere una nuova valutazione del femminile. "[…] di tutte le
conoscenze che ho fatto, una delle più preziose e feconde è quella con Lou. Soltanto
dopo averla frequentata sono stato maturo per il mio Zarathustra. […] Lou è l’essere
più dotato, più portato alla riflessione che si possa immaginare – naturalmente ha
anche qualità che danno da pensare. Anch’io ne ho. Tuttavia, il bello di tali qualità è
per l’appunto che fanno pensare. Naturalmente solo i pensatori". Nietzsche come
filosofo essenzialmente “femminile”, perché dotato di quella caratteristica
qualità di genio in grado di “ingravidarsi” di ogni stimolo. Il minimo turbamento
avvertito dal suo spirito basta a proporre in lui una pienezza di vita interiore e di
esperienza di pensieri. Una volta ebbe a dire: “Esistono due specie di genio; quello
che soprattutto procrea e vuole procreare e quello che si lascia volentieri fecondare
e partorisce”.

Vita e saggezza sono un tutt’uno per lo Zarathustra di Nietzsche, costituiscono un


riferimento che attrae e respinge, che ci lega attraverso la repulsione, un amore che è
tale solo a distanza. La saggezza (la vita) è donna in tutto e per tutto. La donna
appare, nelle descrizioni di Nietzsche, come imprendibile, multiforme, talmente
profonda da ingannare con la sua superficie. La donna è mutevole e dispersiva, ed è
proprio quest’ultima caratteristica a costituire il nucleo di mistero irrinunciabile, la
vita che produce la vita. Zarathustra, in definitiva, ha solo la capacità di annunciare
l’oltreuomo ma, per generarlo, deve rivolgersi alla donna e alla sua misteriosa
capacità generativa.

Il fondamento ontologico del mondo è la volontà di potenza (mentre rinnega la


volontà del nulla e quella di verità) intesa come forza volta allo sviluppo della
vita in ogni sua forma e non legata alle necessità dell'uomo. La dimensione della
volontà di potenza è la dimensione della verità extramorale. La volontà di potenza si
estrinseca nellʼuomo e nel mondo, ovvero in ogni forma di vita.

Dilthey critica la volontà di potenza scrivendo: "Un processo spaventoso! Nulla di


più ridicolo che un filosofo potesse ciò come scopo proprio della natura con noi
362
uomini come il suo punto più alto." Ma forse Dilthey non aveva ben capito cosa
intendesse Nietzsche per volontà di potenza.

Proprio ora, il mio mondo divenne perfetto, mezzanotte è anche mezzogiorno, -


dolore è anche un piacere, maledizione è anche una benedizione, notte è anche un
sole, - andate via o vi toccherà imparare: un saggio è anche un folle. Avete mai detto
sì a un solo piacere? Amici miei, allora dite sì anche a tutta la sofferenza. Tutte le
cose sono incatenate, intrecciate, innamorate. (forse sono in relazione! N.d.r.)
Gli ideali esistiti sino a oggi [...] sono tutti quanti ideali ostili alla vita, ideali
calunniatori del mondo.

Se le foglie appassiscono - che c'è da lamentarsi! Lasciale andare e cadere. (puro zen!
N.d.r.)

Io ti conoscerò, Ignoto!
tu che penetri profondamente nella mia anima
e come tempesta attraversi la mia vita,
tu, Incomprensibile, a me affine.
Io ti conoscerò, ti servirò.

La verità extramorale è caratterizzata dalla consapevolezza della non libertà del


soggetto che però, allʼinterno di questa consapevolezza, raggiunta attraverso la
conoscenza di sé trova la leggerezza dellʼagire e quindi una forma di libertà intesa
come assenza di delimitazioni morali derivata dalla necessità insita nella volontà di
potenza.

All’umanità educata a denigrare vita e mondo, a rifiutare i principi della terra per
guardare a vuoti simulacri di conoscenza, Nietzsche contrappone quindi una figura in
grado di affrontare compiutamente la realtà che ha di fronte, senza timore di perdersi
al suo interno o di rimanere disgustato dagli orrori che in essa potrà incontrare. Lo
spirito forte e in salute che «ci redimerà tanto dall’ideale perdurato sinora, quanto da
ciò che dovette germogliare da esso, [...] questo anticristo e antinichilista, questo
vincitore di Dio e del nulla».

"Per caso" - questa è la più antica nobiltà del mondo, che io ho restituito a tutte
le cose, io le ho redente dall'asservimento allo scopo. Lasciate che il caso venga a
me: egli è innocente, come un fanciullino.

Nel Crepuscolo Nietzsche svolge una vera e propria diagnosi delle condizioni
fisiologico - antropologiche dell’europeo cristiano, figlio della tradizione di pensiero
che vede nella razionalità socratica il suo momento iniziale. Socrate, assieme a
Platone, è per Nietzsche il primo décadent; in lui, cioè, si manifestano i sintomi di
363
una malattia degenerativa destinata ad affliggere il mondo occidentale. La principale
conseguenza di questa malattia è di fatto quell’atteggiamento ostile alla vita che in
altri luoghi Nietzsche descrive nei termini di una volontà del nulla. Infatti, secondo
Nietzsche «la morale, come è stata concepita finora [...] è l’istinto della décadence
stesso», ma soprattutto è «il sintomo di una certa specie di vita; [...] della vita
declinante, indebolita, esausta, condannata». L’atteggiamento di condanna della vita
che appartiene a questa morale, il suo rivolgersi «contro gli istinti della vita» e
l’«attaccare le passioni alla radice», è quindi il prodotto di una determinata fisiologia,
che Nietzsche ritiene essersi realizzata per la prima volta all’epoca dei Greci. È
proprio in quel mondo, recuperando una sua riflessione giovanile che Nietzsche
individua il motivo antitetico al tipo umano declinante e negatore della vita, quel
principio del dionisiaco che nella Nascita della tragedia era stato messo a tema
parallelamente all’elemento apollineo e che nel Crepuscolo torna a giocare un ruolo
di particolare rilievo in quanto promotore di un realismo filosofico che deve essere
recuperato. Secondo quanto Nietzsche scrive nel capitolo conclusivo del Crepuscolo
degli idoli, il dionisiaco incarna per lui il vero e proprio motivo antitetico alla volontà
del nulla. In esso si esprime «il fatto fondamentale dell’istinto ellenico – la sua
“volontà di vita”» che già Platone, anticipando in questo il Cristianesimo, aveva
rinnegato. Contrariamente a questa tendenza nichilista, la psicologia dello stato
dionisiaco consiste in una completa affermazione della vita, in un «dire di sì» alla
vita nei suoi aspetti più terribili, e quindi in un «coraggio di fronte alla realtà» che
Nietzsche attribuisce ad esempio a Tucidide. Lo storico greco è in effetti qui
direttamente contrapposto a Platone proprio in ragione del suo realismo. Egli, a detta
di Nietzsche, era in grado di «vedere la ragione nella realtà»; in lui trova espressione
«la cultura dei realisti: quell’inestimabile movimento in mezzo all’impostura morale
e ideale delle scuole socratiche dilaganti ovunque». In contrasto con la tendenza
declinante degli istinti greci, Tucidide risulta essere l’«ultima rivelazione di quella
forte, severa, dura fattualità, che stava nell’istinto degli antichi Elleni». Egli si
distingue in particolare da Platone, il quale è per Nietzsche «un codardo di fronte alla
realtà» che «fugge nell’ideale; Tucidide ha se stesso in proprio potere, di
conseguenza tiene anche le cose in proprio potere». La spiritualità forte che Nietzsche
individua in Tucidide è l’elemento fisiologico che ha permesso a quest’ultimo di
contrastare la malattia della décadence e di mantenersi in uno stato di salute. Tale
condizione era propria dei greci nell’epoca della massima espressione del
«sentimento tragico», una sensibilità oramai persa proprio per la difficoltà di
reggere il peso di terrore e compassione e di essere «noi stessi l’eterno piacere del
divenire». L’invito di Nietzsche a recuperare un atteggiamento dionisiaco di
fronte all’esistenza consiste pertanto in questa avversione per i motivi pessimisti che
si possono ritrovare già in Aristotele, il quale parla di una catarsi delle passioni, del
cui peso l’uomo dovrebbe volersi alleggerire. Tutto questo è, ancora una volta, solo
espressione di un’incapacità prima di tutto fisiologica di gestire tale carico, la cui
espressione più sublimata viene a essere, in epoca moderna, la schopenhaueriana
volontà del nulla. Al contrario, secondo Nietzsche «l’artista tragico non è un
364
pessimista, – egli dice precisamente sì perfino a tutto ciò che è problematico e
terribile, egli è dionisiaco…»

Nello stato dionisiaco l'individuo si libera del principio di individuazione, si rende


conto che la sua individualità è illusoria, e “ognuno si sente non solo riunito,
riconciliato, fuso con il suo prossimo, ma addirittura uno con esso”. Possiamo quindi
dedurre che il dionisiaco è il mondo della verità extramorale, della verità non più
legata al principio di individuazione.

La morte di Dio rappresenta quindi la fine dellʼuniversalità della morale, della


credenza in unʼunica verità e lʼinizio dellʼaccettazione dellʼignoto.

L'uomo deve essere educato per la guerra e la donna per il ristoro del guerriero: tutto
il resto è sciocchezza. Vai dalle donne? Non dimenticare la frusta! Nietzsche
misogino?! No! Nietzsche esalta il femmineo ma poi, come capita a tutti, si
contraddice.

In Nietzsche si alternano la volontà di potenza e la volontà di amore (forse sono però


la stessa cosa per lui ...)

Bisogna ancora avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante.

Dapprima furono creatori i popoli, e solo in seguito gli individui; in verità l'individuo
stesso è la creazione più recente. Il piacere di essere gregge è più antico del piacere di
essere io. (Chiedo: esiste questo piacere di essere io? Oppure è solo un'abitudine?)

Guardali i credenti di tutte le fedi! Chi odiano essi massimamente? Colui che spezza
le loro tavole dei valori, il distruttore, il delinquente: - questi però è il creatore.

I metafisici sono coloro che abitano un mondo dietro il mondo (Hinterwelter).


(Ma pure i religiosi sono nella stessa situazione!)

Che importa la mia felicità!


Che importa la mia ragione!
Che importa la mia virtù!
Che importa la mia giustizia!
Che importa la mia compassione!

Il mondo, per noi, è ridiventato infinito, nel senso che non possiamo rifiutargli la
possibilità di presentarsi a un'infinità di interpretazioni.

E' stato filosofo solo per pochi anni. E' stato un tipo molto solitario ed emarginato.
Pur tuttavia ha cambiato radicalmente la filosofia.
365
La vita non ha scopo. E' solo uno scontro tra forze, tra pulsioni che vogliono
espandersi.

DIVENTA CIO' CHE SEI. Questa è la condizione della salute e della felicità.

"Non ho potuto fare a meno di essere Dio e di creare il mondo anche se avrei
preferito fare il professore universitario" Frase di un pazzo? Il Van Gogh della
filosofia … entrambi morti pazzi senza aver venduto una loro opera. Poi il successo
infinito dopo la morte. Comunque "tu devi amare il tuo destino anche se questo
destino è amaro".

Portofino
Qui me ne stavo e attendevo, – nulla attendevo.
al di là del bene e del male, ore della luce
godendo, or dell’ombra, tutto semplice gioco,
E mare e meriggio, tutto tempo senza meta,
e d’improvviso, amica! ecco che l’Uno divenne Due
e Zarathustra mi passò vicino.

Il soggetto che, contrapposto al mondo come oggetto, si pone, nei confronti di


questo universo di finzione, socraticamente da un punto di vista “giudicante e
valutante”. L’uomo e il mondo: questo è l’errore, il pensare che esista una
distinzione, una contrapposizione tra una coscienza raziocinante e un qualcosa
che non lo è. È importante valutare che quest’opposizione, ma anche la sfera stessa
della soggettività, non è originaria, “naturale”, pur nascendo nei primissimi istanti
di vita dell’organismo e nei suoi rapporti d’interazione con il mondo. È invece
culturale, ha origini sociali. Pertanto affinché un nichilismo positivo sia possibile è
necessario una opera di smascheramento che coinvolga anche la nozione di
soggetto stesso, affinché l’uomo possa vincere questa sostanziale senso di alterità
nei confronti del mondo inteso come altro a sé. Ci vien da ridere quando
troviamo "uomo e mondo" posti l'uno accanto all'altro separati dalla sublime
arroganza della paroletta "e".

Pensare è interpretare.
Dissonanza, Divergenza, Disarmonia sono parole dionisiache. Assonanza,
Convergenza, Armonia sono parole apollinee. Con la filosofia di Nietzsche dopo
1900 anni di cristianesimo, torna la filosofia di Dioniso. La filosofia della vita che
trabocca nella sua pienezza! Se questo è nichilismo....
Si ripaga male un maestro, se si resta solo il suo allievo.

366
Non esistono fatti (positivismo), ma solo interpretazioni.

Il mondo della ratio socratica, su cui si regge tutta la civiltà occidentale, è quello
che ha negato l’apparenza delle cose, volendo istituire dei sovramondi e dei
sovrasensi, rifiutando la “fedeltà alla terra”. Esso è concepito da Nietzsche come
un mondo di violenza in cui giocano un ruolo fondamentale l’ego e il
condizionamento storico sociale.

Il millenario dualismo ontologico che da Platone giungeva a Kant e Schopenhauer


viene definitivamente superato. Non vi è più contrapposizione tra realtà e
fenomeno, verità e apparenza. Per Nietzsche la volontà stessa consiste
nell’apparenza dell’apparenza: non c’è esistenza distinta dall’apparire. L’unica
verità è fenomenica.

Nietzsche fu il punto di svolta: un salto formidabile nel linguaggio e quindi


anche nel pensiero che lo crea e ne è a sua volta condizionato. Da allora il
pensiero non può che manifestarsi con narrazioni, aforismi, contraddizioni
registrate e volutamente non risolte; la preminenza della ragion pratica sulla ragion
pura; lo "Zibaldone", ma anche "Zarathustra", la "Genealogia della morale" ed
"Ecce Homo" come testi fondamentali. La gabbia dei sistemi era saltata e così pure
quella dei generi. E saltò anche la gerarchia dei valori. Per lunghissimo tempo la
cuspide della filosofia era stata la metafisica. Poi diventò la critica, poi le si affiancò
l'estetica. Infine, dalla fine del Novecento a questa prima decade del nuovo secolo, la
nuova cuspide è diventata l'etica. Ma queste gerarchie non tengono più e la ragione
sta nella scomparsa dell'assoluto e nella contemporanea scomparsa
dell'antropomorfismo che per millenni aveva dominato la cultura. Nietzsche aveva
decapitato la metafisica e sgominato i valori opponendo a ciascuno di essi un
controvalore. Da Platone fino ad Hegel tutta la storia del pensiero era stata contestata;
erano stati risparmiati soltanto Eraclito, Montaigne, Spinoza. Si discute ancora se
dopo Nietzsche sia possibile filosofare. Certamente è possibile poiché la storia del
pensiero è inarrestabile, ma è cominciato dopo di lui un linguaggio del tutto diverso e
il filosofo si è trasformato in un artista che inventa come ogni artista le parole e
le forme con le quali esprimersi. (Scalfari)
Quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la
musica.
Nel genio dobbiamo riconoscere un fenomeno dionisiaco, il quale ci rivela ogni
volta di nuovo il gioco di costruzione e distribuzione del mondo individuale come
l'efflusso di una gioia primordiale.
Nichilismo: manca lo scopo, manca il perché, tutti i valori si svalutano: sono solo
valutazioni umane e transitorie! 367
"Se Dio esistesse, come potrei tollerare di non essere Dio io stesso?". Questa frase di
Nietzsche è una bestemmia oppure è una preghiera?
L'Oltreuomo, è un uomo in grado di sopportare l'idea che l'Universo non ha un
senso.
È tuttavia possibile uscire dal nichilismo superando questa visione e riconoscendo
che è l'uomo stesso la sorgente di tutti i valori, delle virtù. della volontà di potenza
che è volontà di vita (nichilismo attivo).
L'uomo ha dovuto illudersi per dare un senso all'esistenza, in quanto ha avuto paura
della verità, non essendo stato capace di accettare l'idea che "la vita non ha alcun
senso", che non c'è nessun "oltre" .
L'uomo, ergendosi al di sopra del caos della vita, può generare i propri significati e
imporre la propria volontà. Chi riesce a compiere questa impresa è l'Oltreuomo, cioè
l'uomo che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita. Attraverso le
tre metamorfosi dello spirito, di cui parla nel primo discorso.
Il pensiero di Nietzsche, se da un lato è la negazione di quelle correnti di pensiero
basate sull'ottimismo metafisico e deterministico dell'idealismo hegeliano è anche
contro l'ottimismo scientistico. Di esso era portatore il Positivismo, con la sua idea
di continuità del progresso. Incentrato il primo sul "tutto è bene" perché "così deve
andare" necessariamente, l'ideale di progresso del secondo gli suona ingenuo e falso.
Il buddismo vuole eliminare ogni dualismo. Nietzsche legge e commenta testi
buddisti (non zen): a volte, ma non sempre, in modo positivo. Gli piace soprattutto
l'a-moralismo buddista che collega al suo essere al di là del bene e del male. Nessun
senso di colpa: siamo nati innocenti! Nessuna colpa né in sé e neppure negli altri.
Nessun peccato cristiano. Nessun barbaro dualismo. Ammira Gesù (forse vede in lui
se stesso trasfigurato) ma non il cristianesimo di Paolo. Nietzsche ama Pirrone come
uomo mite e paziente, un Budda in carne e ossa. Un santo sapiente senza fede alcuna.
In un appunto della primavera 1884, Nietzsche sottolinea come l'istituzione della
verità serva a scongiurare il timore dell'inesistenza di tutto l'accadere. È dunque
nella posizione di senso, o meglio nella posizione di un unico senso  esclusivo e
vincolante, che trova fondamento il potere non solo della verità, ma anche delle
visioni del mondo che ritengono di possederla: la metafisica, la morale, la religione,
la scienza. Pur con differenti modalità e strumenti, tutte perseguono infatti
l’obiettivo di rendere la realtà sensata  per l’uomo. In quanto la parola
«conoscenza» abbia senso, il mondo è conoscibile; ma esso è interpretabile in modi
diversi, e non ha dietro di sé un senso, ma innumerevoli sensi: Prospettivismo.

368
Sono i nostri bisogni, che interpretano il mondo: i nostri istinti e i loro pro e
contro. Ogni istinto è una specie di sete di dominio, ciascuno ha la sua prospettiva,
che esso vorrebbe imporre come norma a tutti gli altri istinti. La relazione dell’uomo
con il mondo è mediata dal proprio organismo, il quale elabora il dato sensibile e lo
modifica, semplificandone la complessità e riducendolo ad uno schema gestibile.
Un’operazione simile a quella descritta da Kant, con la sola – fondamentale –
differenza che Nietzsche non pensa ad un apparato categoriale a priori, ma
attribuisce una modalità interpretativa specifica ad ogni singolo soggetto
conoscente. Conoscere è quindi schematizzare, semplificare, comunque
modificare un flusso di dati rispetto a come esso entra in relazione con il nostro
apparato percettivo; pertanto, non è in alcun caso possibile parlare di una
determinazione di ciò che le cose sono in sé (sempre che si possa ancora parlare
di “cose”), ma solo di quello che esse sono per noi. In altre parole, Nietzsche
rifiuta completamente la possibilità di un accesso al livello noumenico, limitando
l’ambito descrittivo alla sola dimensione dei fenomeni, che, per questo motivo,
perde il carattere di “apparenza” per diventare l’unico luogo di riferimento per
l’uomo.
La verità non significa il contrario dell’errore, bensì la posizione di taluni errori
rispetto a taluni altri, per esempio che sono più vecchi, più profondamente radicati.
Che la verità abbia maggior valore dell’apparenza, non è nulla più che un pregiudizio
morale […]. Non ci sarebbe assolutamente vita, se non sulla base di valutazioni e di
illusioni prospettiche; e se si volesse con il virtuoso entusiasmo e la balordaggine di
alcuni filosofi togliere completamente di mezzo il «mondo apparente», ebbene,
posto che voi possiate far questo, anche della vostra «verità», almeno in questo
caso, non resterebbe più nulla!
Che cosa ci costringe soprattutto ad ammettere una sostanziale antitesi tra «vero» e
«falso»? Non basta forse riconoscere diversi gradi di illusorietà, nonché, per così
dire, ombre e tonalità complessive, più chiare e più oscure, dell’apparenza?
Quale sia il soggetto della singola prospettiva: la domanda relativa a chi o cosa sia
ad avere prospettive. Esiste anche una prospettiva non umana? E quella umana una
prospettiva singola o del gregge? Ma la prospettiva singola che senso ha se l'io è
privo di substrato ontologico? Il soggetto, infatti, non esiste in sé,
precedentemente al compimento di un atto, ma è una pura costruzione mentale,
che semplicemente deriva dalla nostra interpretazione successiva dell’azione.
L'io stesso è per Nietzsche un'illusione prospettica, una pura nozione
concettuale. Il “soggetto” non è niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto con
l’immaginazione. Per ciò che riguarda il soggetto, Nietzsche conduce da un lato una
critica volta a mostrare come l’indicazione
369di un soggetto agente non sia che frutto di
un’interpretazione semplificante e falsante, dall’altro lato un’analisi di ciò che
si chiama soggetto, atta a disvelarne la natura plurima, molteplice,
complessa.
Sul piano pratico, però, è indiscutibilmente difficile privarsi del riferimento a
un soggetto individuale, ed è lecito, a questo livello, parlare di un punto di
vista prospettico diverso per ogni uomo.
In realtà però il soggetto non produce prospettive e interpretazioni; sono loro, le
prospettive, a costituire quello che il soggetto è.
Secondo Nietzsche, il soggetto non è oltre e al di sopra delle varie prospettive e
interpretazioni affettive fisico/spirituali che lo compongono, e delle relazioni tra
queste prospettive e interpretazioni. Il soggetto è solo un insieme di prospettive e
di interpretazioni. Senza l'elemento prospettico non esisterebbe al mondo reale.
Dal prospettivismo nasce l'etica di relazione dove ogni individuo si rende conto
di essere in relazione con gli altri e capisce che non può perseguire l'egoismo
autarchico ma deve tener conto di ogni diversa visione prospettica altrui dando
inizio a un'etica pluralistica e veramente democratica tra spiriti liberi. Se esiste
un egoismo nietzschiano è un egoismo prospettico perché il prospettivismo è
condizione di esistenza.
In più occasioni, inoltre, Nietzsche sottolinea la necessità di prendere distanza
dalle proprie più radicate convinzioni ed abitudini, di osservarle da lontano e di
rovesciarle, di sperimentare il loro opposto, per imparare a conoscerle ed a
padroneggiare q u e l l a l o t t a t r a i s t i n t i c h e l e p o r t a a l l a l u c e .
Parimenti indispensabile è la necessità di ampliare  per quanto  possibile le proprie
prospettive, di modo da poter relativizzare anche ciò che si presenta sotto di esse.
È questa secondo Nietzsche la giustizia, definita come “funzione di una potenza
di vasto orizzonte, che va al di là delle piccole prospettive di bene e male, ha dunque
un orizzonte più ampio del vantaggio  – essa intende conservare qualcosa che è di più
di questa o quella persona.
Senza voler fare di Nietzsche un teorico del dialogo e dell’intersoggettività, non
possiamo non prestare attenzione al monito di abbandonare il proprio angolo
prospettico e la presunzione di detenere la verità assoluta, per prendere
coscienza della complessa molteplicità del reale, della pluralità di prospettive ed
interpretazioni che giocando e lottando tra loro lo compongono in un equilibrio
mai definito e in costante divenire.
Nietzsche contesta proprio l’idea di una conoscenza in grado di estendersi sino al
livello noumenico del reale, all’ambito in cui si darebbero «cose, fatti “in sé”».
370
L’idea per cui «in quanto la parola “conoscenza” abbia un senso, il mondo è
conoscibile» fa infatti pensare che Nietzsche rifletta sulla necessità di definire
un’epistemologia circoscritta alla sola dimensione dei fenomeni e che riconosca
tale ambito come proprio limite invalicabile.
Ma soprattutto, una simile epistemologia dovrebbe riconoscere che la conoscenza
umana non ha a che fare con “verità” assolute, con “fatti” universali,
ammettendo quindi il carattere illusorio e ipotetico della dimensione
fenomenica.
Una simile considerazione coinvolge – distruggendolo – tutto ciò che rientra nella
descrizione del mondo della metafisica tradizionale, a partire dalla “certezza
immediata” del soggetto. Nietzsche osserva che «il “soggetto” non è niente di dato,
è solo qualcosa di aggiunto con l’immaginazione (ricordiamoci sempre dell'onda
sul mare: fin che c'è mare scorre poi sparisce, fin che c'è vento, corre poi svanisce).
Da un punto di vista generale, il fenomenalismo si presenta come uno sviluppo del
kantismo in un senso antimetafisico. Il punto di partenza è infatti la filosofia critica
di Kant, che sancisce l’impossibilità di conseguire un rapporto diretto con la
“cosa in sé”, una tesi che apre la strada a un problema fondamentale
dell’epistemologia contemporanea, discusso da molti degli autori letti da Nietzsche.
Su questo tema il fenomenalismo si pone in maniera agnostica, rinunciando ad
affrontare la questione della “cosa in sé” perché oltrepassa i limiti (fisiologici) della
conoscenza umana.
Il senso comune assume l'identità come un dato evidente o come un fatto certo,
indubitabile. Risponde Nietzsche "Ciò che mi divide nel modo più profondo dai
metafisici è questo: non concedo loro che l'io sia ciò che pensa; al contrario
considero l'io stesso una costruzione del pensiero, dello stesso valore di materia,
cosa, sostanza, individuo, scopo, numero; quindi solo una finzione regolativa, col
cui aiuto si introduce, si inventa in un mondo del divenire, una specie di stabilità
e quindi di conoscibilità".
La vera virtù (opposta a quella tradizionale, convenzionale che è per tutti) è invece la
caratteristica di una minoranza aristocratica e nuoce alle masse. La compassione è
una debolezza da combattere. Disprezza le masse, le donne (???) e il
Cristianesimo. Ama le guerre. Gli sembra impossibile il santo che ama
spontaneamente e non per paura dell'inferno. Ama solo gli esseri superiori: ma chi
stabilisce chi sono questi esseri superiori e chi no? Odia l'amore? Deve aver avuto
un notevole perturbante. E poi, sarà proprio questo il vero Nietzsche?
Nell'uomo autentico si nasconde un bambino: che vuole giocare...

371
Kleinpeter si rende conto che Nietzsche, in assonanza con il pensiero del fisico Mach,
aveva prestato grande attenzione alle tematiche inerenti alla teoria della conoscenza,
riflettendo sulla possibilità che la materia fosse teoreticamente riducibile ad un
aggregato di sensazioni e intervenendo nella discussione della nozione di sostanza
intesa come un puro e semplice simbolo mentale, per poi spingersi fino ad una più
generale relativizzazione della nozione di verità che lo porta a rapportarsi
direttamente con il moderno pragmatismo.

-NISARGADATTA MAHARAJ***

La vita
Quando sento che non sono niente è saggezza.
Quando sento che sono ogni cosa è amore.
E fra questi scorre la vita.

I morti
Dobbiamo pregare per i nostri morti?
Non dovete pregare ma dialogare con loro!
Ma loro sono morti e noi siamo vivi. Come si fa?
E qui che sbagli: loro non sono morti e noi non siamo vivi

La realtà
Non posso descriverti la realtà
Perché è al di là di ogni spiegazione
Il desiderio fondamentale è essere
La paura fondamentale è non essere
Il mondo e la mente sono stati dell'essere
L'assoluto non è uno stato dell'essere

La vacuità
Immagina, prova la vacuità
Che tutto abbraccia
In cui nuota l'universo 372
Come una nuvola nel cielo

La mente
Io sono me stesso (se ne va)
Io sono tutto (arriva e se ne va)
Io sono (arriva e se ne va)
La realtà (quel che resta) e che non è un prodotto della mente
La realtà è lo stato senza nome

La paura
Non vivere la paura e il desiderio
Non vivere l'odio e l'ira
Non trattenere nulla
Non temere l'ignoto
Vivi senza offendere
Vivi in pace e in armonia

L'abitudine
Mettere in discussione ciò che è abituale
Questo è il dovere della mente
Infatti le parole sono inadeguate
Alla comprensione della realtà
Una esperienza può anche essere incomunicabile.

Io sono
Quando dico "Io sono" non intendo
un'entità distinta il sui nucleo è il corpo
Intendo invece la totalità dell'essere 373
L'oceano della coscienza
L'universo del conoscere

Sii felice
Se vuoi dare felicità, sii felice!
Cogli l'Unico che tutto muove
E rimetti tutto a Lui
Astieniti dal desiderio e dalla paura
Abbandona ogni controllo
E ogni senso di responsabilità

Desiderio e paura
Il desiderio del piacere
La paura del dolore
Vai oltre. Superali. Vivi davvero.
Sarai libero.

La pace della mente


Cerchi la pace della mente?
Non esiste la pace della mente
La mente è un disturbo
La mente è irrequietezza
La mente ribolle di pensieri
Oltre il duale
Non fissarti nella dualità
Non esiste un me e un te
Per me non c'è un me!
C'è un Sé unico per tutti 374
Anattà
Nessuna cosa ha essere in sé
L'onda è mare, il mare è mondo …
Niente incomincia. Niente termina
Esiste solo ora e qui.

Non due
Io e la Realtà Suprema non siamo due
Tu e l'Assoluto non siete due
Questa è la tua vera natura
Questo è il segreto svelato

Prospettivismo
Vedo lo stesso mondo che vedi tu
Ma non allo stesso modo
A seconda di come pensi di essere
Così pensi che sia il mondo

L'essere del divenire


L'abissale stupidità del genere umano
non riesce a trovare il permanente nel fluttuante
e viceversa.

L'Uno
In realtà tutto è qui e ora, unico!
La molteplicità e la differenza sono solo nella mente
Ogni momento contiene tutto il passato 375
Ogni momento crea tutto il futuro
Senza tempo, senza spazio, senza causa.

Non solo ma anche


Sii egoista ma non troppo
Desidera non solo il tuo bene
Sii felice e rendi felice
Non c'è felicità più alta

Il vero Sé
Insisti sulla negazione del tuo sé
Insisti sull'autorealizzazione del vero Sé
Il falso sé deve abbandonato
Prima di trovare il vero Sé

Le parole
È inutile lottare con le parole
Per esprimere ciò che ne è al di là
Ogni divisione è nella mente
Niente esiste da sé

Senza confini
Sono ciò che è
Senza distinzioni fra interno ed esterno
Mio e tuo, buono e cattivo
Ciò che il mondo è, io sono

L'illusione 376
La mente inquieta fa danzare Shiva
Le onde increspate fanno danzare la luna
In realtà niente accade
Tutto è solo una parvenza

L'amore
Vedere me stesso in ognuno
Vedere ognuno in me stesso
Questo è amore
Tutto è il Sé. Tutto è me.
Io sono
Io sono questo (solo apparenza)
Io sono (apparenza e realtà)
Io sono il testimone (realtà e apparenza)
Io sono l'Uno-Tutto (realtà)

La realtà somma
Il tuo e il mio sé non sono separati
C'è un SE' unico, la Somma Realtà
In cui il personale e l'impersonale
si confondono.
Dio e l'illuminato sono Uno.

Il tuo atteggiamento
Il mondo è il luogo dei desideri e delle paure
Il corso degli eventi è quello che è
Puoi solo cambiare il tuo atteggiamento
Ciò che conta è il tuo atteggiamento 377
Non ciò che accade

Amore e vita
La vita è amore
L'amore è vita
E l'io può espandersi fino a tutto l'universo
O contrarsi fino a scomparire

L'unità
Nel cercare scopri che non sei né il corpo né la mente
Sei l'amore del sé in te per il sé che è nel tutto
I due sono uno: amante e amato si fondono
Cercare l'unità è amore
Saggio è l'amore che li rende due in uno

Abitudini
Pure abitudini di pensieri e sentimenti
Grappoli di ricordi e impulsi
Tuttavia tutti gridano IO SONO

Gioco di specchi
L'intero mondo è un quadro
La coscienza è il più grande pittore
Il quadro è nella mente del pittore
La mente dell'uomo è nel mondo
Il mondo è nella mente dell'uomo
Gioco di specchi infiniti

378
Libertà dai desideri
L'assenza di desiderio è il colmo della gioia
Libertà dai desideri
E non libertà di soddisfarli
Dio non desidera niente
Sii come lui

La relazione cosmica
Tutto è interconnesso
Ogni cosa è causata da tutte le altre
E causa tutte le altre
Dove finisce la causalità?

La persona
Non ci sono persone
Ma fasci di memorie e abitudini
Se vedi questo
La persona cessa
La conoscenza non autocosciente
L'accadere
L'universo opera da sé
Altro non so
Tutto semplicemente accade
Dio è solo un nome, un suono
E' al di là dell'essere e del non essere

Il vuoto traboccante
Sii libero dal nome e dalla forma 379
Dai desideri e dalle paure che essi comportano
Cosa resterà?
Resterà un vuoto pieno fino a traboccare

Il mondo
Il mondo va in una direzione? Ha uno scopo?
Il mondo è un riflesso della nostra immaginazione
Tutto ciò che vogliamo vederci, ci vediamo
Il mondo è in me, è me

Nec spe nec metu


Ho ciò che non desidero
Desidero ciò che non ho
Paura e desiderio mi opprimono
Liberati quindi da desideri e paure

Senza vento
Il Sé sta oltre
Consapevole ma impassibile
Il tuo vero essere non è inquieto
E' come il riflesso della luna
Nell'acqua non increspata dal vento

La vera vita
Vivi la vita come viene
Facendo le cose naturali
In modo naturale 380
Soffrendo e gioendo
Come la vita dispensa

Aniccà
Il conoscitore sorge tramonta insieme al conosciuto
La realtà è unica ma si riflette in corpi diversi
Del mondo si può dire che appare non che è
Tutto ciò che è legato al tempo è momentaneo e irreale
Tutti sono uno e l'Uno è tutti.

Le opinioni
Perché dare tanta importanza alle opinioni?
Soprattutto alle proprie …
Liberati dalla tendenza a definirti e a definire
Ritorna al tuo stato naturale

Lasciare
Fluire con la vita!
Lasciar venire ciò che viene
Lasciar andare ciò che va
Senza desiderio e senza paura

Nec spe nec metu 2


Desiderio e paura
Sono la trama e l'ordito dell'esistenza
Il desiderio è il ricordo del piacere
La paura è il ricordo del dolore 381
Empatia
Trascendi la mente che divide e contrappone
Arriva alla mente che unifica e armonizza
La nuova mente capace
Di cogliere l'intero nella parte
E la parte nell'intero
Empaticamente

L'Asoluto
Voi non siete il vostro corpo o la vostra mente
Voi siete l'Assoluto
Voi siete già assolutamente liberi
Non vi dovete trasformare in nulla di diverso
Lasciatevi fluire
Colui che cerca deve sparire
Voi siete quello che cercate

Cos'è?
Cos'è permanente nel transitorio?
Cos'è reale nell'irreale?
Cos'è invariante nel prospettico?

Il testimone
Io sono (temporale)
Diviene
Ciò che è (atemporale)
Io sono testimone di ciò che è 382
Anche se non c'è nessun testimone …

Il prigioniero
La mente è solo una collezione di pensieri
Siamo già liberi
Non siamo mai stati prigionieri
Se non della nostra ignoranza

Gnoti sauton
Non devi fare nulla
Sii e basta
Non devi fare nulla. Sii.
Non c'è bisogno di scalare le montagne o giacere in caverne.
Non dico nemmeno "sii te stesso" poiché tu non conosci te stesso.
Ti basti essere!

L'ego e l'universo
Voi non volete ciò che già avete
Ma volete ciò che non potrete avere
E così continuate a soffrire!
Potete essere l'eterno universo
Ma lottate solo per un piccolo, inesistente ego
Voi siete già quello che cercate

-NULLA***

Il movimento di negazione, tipico della teologia negativa, che, in alcuni casi, conduce
Eckhart a considerare Dio come l'Uno, altrove lo conduce a considerarlo come
nulla. Dio è il nulla in quanto è principio senza principio, è il non-fondato.
383
L'Uno non indica un predicabile. In questo senso, esso è il nulla, ossia totale
assenza di distinzione, al di là dell'essere identico a sé stesso, perché in questo caso
esso sarebbe ancora qualcosa.

Nessuna cosa è inserita nel tempo e da esso è modificata ma essa stessa è il tempo.
L'energia non è mai immobile, il vuoto non coincide mai con il nulla.

Il nulla, è vero, è uno. Che da un lato costituisce il principio, come ci dice


Leopardi, di tutte le cose, mentre dall’ altro ne esprime la fine. (Roselli)

Il nulla leopardiano non dissolve l'essere ma è in stretta relazione con l'essere.


Ed è, quindi, un nulla non nichilista.

Nella cultura occidentale, il nulla è, emotivamente, tutto ciò che implica l'assenza, la
privazione, la mancanza, come il male, il dolore, la sofferenza. Ad esempio, Kant,
nella Fine di tutte le cose, scrive che il nulla "conduce sull'orlo di un abisso da cui
non è possibile alcun ritorno per colui che vi precipitasse".

IL NULLA NULLEGGIA (das Nicht nichtet). Questa frase di Heidegger è un


ragionamento logico privo di significato. Infatti assume il "nulla" come soggetto per
poi affincarlo da un predicato (inventato) che lo annulla, giustamente! Carnap ha
ragione quando asserisce che l'unica forma logica in cui il termine "nulla" può essere
correttamente spiegato è: non c'è nulla che sia x. Per Carnap il "nulla" deve essere
espulso dal discorso filosofico, conformemente a ciò che prescriveva l'aforisma
conclusivo del Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein: "su ciò, di cui non si
può parlare, si deve tacere".
Leopardi pensa che il nulla, ontologicamente parlando, dà l’essere alle cose.
Cose che sono nulla. Nulla definito:“infinità vera, non esistente. Pare che
solamente quello che non esiste, la negazione dell’ essere, il nulla, possa essere
senza limiti, e che l’infinito venga in sostanza a essere lo stesso che il nulla”. Il
nulla leopardiano, lungi dall’essere qualcosa che non è, vuoto abisso, come
vorrebbe il nichilismo, rappresenta invece la radice ontologica del reale. Quella
che fa sì che le cose siano quel che esattamente sono. Il nulla come condizione di
possibilità di ciò che è. Per Leoprdi il nulla è il principio ontologico del reale: tutto è
nulla nel senso che la realtà esiste grazie al nulla. Il nulla “principio delle cose e di
Dio stesso” è origine e fine delle cose. Dunque essere dal nulla ma anche essere del
nulla.
Pensiero molto simile a quello dell'antico Oriente ove, al posto del nulla, si parla del
vuoto.

384
Il nulla non può essere afferrato in modo assoluto, come fosse un oggetto guardato
con distacco e "dal di fuori", bensì deve essere avvertito, per così dire, attraverso la
nostra condizione di esseri che vivono situati nel mondo, in mezzo all'ente svelato
nella sua totalità. (Heidegger interpretato da Tagliapietra)
Partiamo da una domanda: vuoto e nulla sono la stessa cosa? Sono sinonimi? Oppure
esiste solo il vuoto e non il nulla? Oppure è solo una questione semantica:
consideriamo reale una astratta parola quale può essere NULLA? Il nulla come
alterità di ciò che è? O forse il nulla è un concetto filosofico mentre il vuoto è ciò
che sperimentiamo nel mondo fenomenico. Nella fisica moderna si parla di vuoto
(che comunque non è mai del tutto vuoto secondo la teoria dei campi) e non di nulla.
Il vuoto è l'ambiente del Big Bang mentre il nulla è quello della creazione divina.
Contrariamente a quanto pensa il senso comune, "vacuità" non va intesa come
sinonimo di "nulla", ma come condizione di massima apertura che consente il
darsi e il dispiegarsi di ogni determinazione, di ogni "chiusura" particolare. Il
senso della "vacuità " può venire colto ricorrendo a varie metafore: essa può essere
paragonata allo spazio infinito che accoglie ogni dimensione e ogni figura; oppure al
tempo immenso da cui nasce ogni temporalità misurabile; o al silenzio che è
all'origine e alla fine di ogni suono e di ogni parola, oltre che tra suoni e parole; o
anche all'energia inesauribile che si manifesta nelle singole forze. Il vuoto è
relazione di relazioni.
Il nulla tanto indagato dalla razionalità del logos “è in realtà un grandioso espediente
simbolico che rivela il funzionamento eminentemente poetico della nostra mente”.
Una mente il cui procedere è aperto sulla realtà, che non si lascia imprigionare dai
rigorosi strumenti della logica, ma li trascende di continuo (viene alla mente il finale
del Processo di Kafka: “La logica è ferrea, sì, ma non può resistere a un uomo che
vuol vivere”), ospitando insieme il tutto e il nulla senza soffrire di questo paradosso
che la scienza non sopporterebbe, come non sopporterebbe, nel suo procedere
positivistico, il buco, la lacuna. E invece l’uomo viene al mondo dopo un
incalcolabile nulla e alla fine torna in un incalcolabile nulla. “Ecco quindi la
risorsa del senso creare un’armonia tra la lacuna da cui veniamo e quella verso cui
andiamo, tra l’inizio e la fine,” compendio folgorante e terribile della condizione
umana.

Leibnitz si chiede: "perché vi è qualcosa piuttosto che niente?". Questo è, in realtà, un


falso problema che si basa sulla convinzione che prima delle cose o sotto le cose vi
sia il nulla. (Tagliapietra)

Come se il nulla fosse così lontano dal qualcosa …

385
La fulgida immensità dello spensierato nulla. (Roth)

Il Nulla assoluto non può mai essere conosciuto.

Parmenide afferma che l’universo, ciò che esiste nella sua globalità, l’ἐόν, è definito
ingenerato e indistruttibile perché, non solo è logicamente assurdo che dal nulla
possa prodursi qualcosa, ma anche perché, per il principio di ragion sufficiente,
quale necessità l’avrebbe spinto a nascere prima piuttosto che dopo, se fosse nato
dal nulla? Due ragionamenti tipicamente occidentali. Per l'Oriente infatti il
Vuoto-Nulla (non quello logico, ma quello reale) è la condizione di possibilità di
tutto ciò che esiste. Infine il tempo, il prima e il dopo, sono solo concetti umani.

Nel taoismo il vuoto-nulla non assume una valenza ipostatizzante (concetto


astratto che si concretizza), ma è funzionale ad una comprensione relazionale del
reale. Non si tratta di un nulla inteso metafisicamente come assoluta negazione
dell'essere, ma, al contrario, della condizione costitutiva di tutto ciò che è e,
questo senso, dell'essere stesso. Con ciò viene evidenziata la natura dialettica del
nulla. Per comprendere che una cosa è ciò che essa è, è indispensabile coglierla
in relazione a ciò che essa non è.

Il modo orientale di intendere il nulla è quello di considerarlo come uno spazio


aperto nel quale, proprio per l'assenza di qualsiasi determinazione, è consentito
l'apparire di tutte le determinazioni possibili. Il nulla è, dunque, una condizione
di possibilità.

L'Occidente non sa pensare il nulla puro: lo pensa sempre come nulla - di qualcosa
poiché esso risulta sempre pensato in relazione all'ente. L'esser - ente (essente) e il ni
- ente (nulla). L'Oriente invece pensa il nulla come essenza dell'essere.

Il Nulla assoluto non ha nome. Da Lui ogni cosa nasce e a Lui ogni cosa ritorna; e
questa luce è al tempo stesso perfetta caligo, nube, oscurità – gli opposti coincidono,
in Dio, nell’assoluto. Questo Nulla assoluto è l’abisso, l’Abgrund (o l’Ungrund) in
cui il pensiero filosofico-religioso orientale davvero può incontrare la radice della
mistica speculativa europea. Secondo Nishida alla base della cultura occidentale vi
è la considerazione della forma come essere e del divenire come bene e questo la
distingue, nell’insieme, da quella orientale. Ma se si colgono alcuni momenti “alti” di
entrambe le tradizioni pare vero anche il contrario: al fondo della ricerca di una
tradizione non si coglie forse la stessa esigenza dell’altra, ovvero «il “vedere la
forma del senza forma, il sentire la voce del senza voce”?». Quest’affermazione
può essere fatta valere, forse, se si coglie il nesso che lega l’estetico all’etico, quel
nodo che mette il primo ambito in relazione al secondo e ne esalta il lato
formativo e trasformativo. Si noti l'assonanza con la voce del greco antico
kalokagathìa (καλοκαγαθία) che indica nella cultura del V secolo a.C. l'ideale di
386
perfezione fisica e morale dell'uomo e che è data dalla crasi dell'espressione kalós
kai agathós 'bello e buono'.
Il pensiero occidentale non sa pensare al nulla senza concepirlo come qualcosa.

Anche noi nasciamo dal nulla e nel nulla ci dissolviamo, come le particelle virtuali,
eravamo polvere di stelle, e prima ancora quanti di energia, fluttuazioni di vuoto. 
Il Buddhismo non è nichilista perché non è attaccato al nulla ma afferma anzi che
anche il nulla, come tutto il resto, è impermanente (anicca) e privo di sé (anatta).
Anche il nulla è destinato a cessare!
Qualcuno, non ricordo chi, una volta disse: "Un vero nulla non esiste e non può
assolutamente esistere. Se si dice che il nulla esiste, deve necessariamente essere
qualcosa, altrimenti non esisterebbe! Soltanto ciò che è qualcosa può esistere."
All'inizio dell'inizio, anche il nulla non esisteva. (Chuang-Tzu)
"Corriamo verso il nulla" … "Magnifico! Chi sa quali grandi sorprese!"
Nulla è mai successo … nemmeno il nulla.
Nessun punto di riferimento, nemmeno il … nulla!
Il nulla, il silenzio carico di potenzialità prima dell’inizio. Il tutto, la luce e l’eco
dell’esplosione primordiale. Sono qui, ora, così come la vita e la morte che, essendo
divise da una solo respiro, si riducono a vuote parole.
Il Nulla è l’ossessione e l’incubo del pensiero filosofico, da Aristotele a Plotino ad
Agostino, a Cusano ad Hegel, ad Heidegger, a Sartre, a Kierkegaard che scrive: “La
disperazione è il terrore del vuoto, del non essere altro che niente.” Intendendo con
ciò significare che l'angoscia è la paura del nulla. Leonardo da Vinci scrive :
"Infralle cose grandi che fra noi si trovano, l'essere del nulla è grandissima" e
Leopardi: "In somma, il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla".
Non disse nulla... e disse la verità!
L'angoscia è la paura del nulla … ma perché aver paura del nulla?
"Il divenire è il processo del comparire e scomparire dell'eterno. Nulla viene dal
nulla, nulla ritorna al nulla!" dice Severino forse sbagliando visto che l'intero
universo potrebbe essere stato originato da una fluttuazione del vuoto che, però, non è
il nulla!
Dal nulla nasce qualcosa e nel nulla questo qualcosa si annienta. La durata
dell'universo potrebbe essere quanto il tempo infinitesimale di una di queste
fluttuazioni, mentre per noi sembra presentarsi eterno. Vi immaginate quanto possa
387
essere il tempo della nostra vita, se il tempo dell'universo che ci sembra infinito,
è solo il tempo di una fluttuazione, un bip infinitesimale?
Ogni ragionamento è una catena senza fine pendente dal nulla. (Timone)
Perché vi è in generale l'essere e non il nulla? A parte il fatto che essere e nulla non
sono poi così distanti e alternativi, se ci fosse il nulla invece dell'essere chi si
farebbe questa domanda?
Non vi è nulla da rifiutare e nulla da guadagnare, poiché tutto è nulla. Sperimentalo!
La mente non te lo permette e ti dice che tutto è reale: dille che nulla è reale e sparirà.
Il nulla è tutto. Com’è possibile? La parola ‘’tutto’’ci trasporta e ci attira mentre
“nulla” ci fa paura. Il pensiero della propria assenza crea la paura della non-esistenza,
anche se ognuno di noi gioisce al momento di sprofondare nel sonno ogni notte. È la
paura della morte o meglio dello Sconosciuto.
Nulla esiste, tutto appare come esistente. 
Per Anselmo di Aosta Dio è id quo maius cogitari nequi cioè quel quella cosa di cui
nulla può pensarsi più grande. E se invece di Dio questa definizione ci descrivesse il
Nulla?
Anche le attuali teorie cosmologiche, che cercano di conciliare la meccanica
quantistica e la relatività generale, spiegano l’origine dell’universo come una
fluttuazione dallo stato di vuoto (che non è il nulla!). La fluttuazione ha prodotto la
singolarità che esplodendo, il Big Bang, porta all’espansione dell’Universo quindi,
dopo miliardi di anni, alla nascita del sistema solare.
Invece di ex nihilo nihil fit scritto da Lucrezio sarebbe forse opportuno scrivere ex
nihilo omnia visto che, forse, il “Tutto “ è nato dal “Nulla” per una casuale
fluttuazione del Vuoto.
Scrive Merleau-Ponty: "Qui, ciò che si dice dell'essere e ciò che si dice del nulla fa
tutt'uno, è il rovescio e il diritto del medesimo pensiero". Essere e nulla sono
reversibili. Essere e nulla sono indiscernibili. Sono chiasma. Sono relazione
strettissima.
"Le cose sono e insieme non sono nella loro partecipazione all'essere" scrive Platone
nel Sofista: "forzare il non ente ad essere e l'ente a non essere".
Ricordiamo anche che per la mentalità orientale antica raggiungere il 'nulla' (Sunya
bindu e Sunya chacra) come stato mentale in questa tradizione permette al soggetto
di essere totalmente concentrato su un pensiero o su un'attività ad un livello così
intenso che non sarebbe stato in grado di raggiungere se fosse stato "attivo" nel
pensare.
388
Il vuoto è dinamico, molto dinamico.
Per alcuni filosofi occidentali il nulla è la negazione di Dio (Cartesio e Kant) per altri
è la materia (Plotino e Agostino) e per altri ancora è Dio stesso (Scoto Eriugena) che
scrive: "Noi crediamo che Dio abbia creato tutto dal nulla e quel nulla è Dio
stesso" e Meister Eckhart che sente troppo angusto il concetto di "essere" per
applicarsi a Dio e giunge così, per conservare a Dio la libertà da ogni limitata
categoria, ad associargli piuttosto il "non-essere" pensiero quasi zen!!!

Nulla è reale e, di conseguenza, solo il nulla è reale.

Non esiste né qualcosa né nulla. (Isabella di Soragna)


Che cosa vuoi conoscere o capire per essere davvero “nulla”? Essere nulla è una falsa
definizione, poiché trasformi il niente in qualcosa. Se cerchi di non essere nulla,
allora provi ad essere qualcosa no? Essere qualcosa o essere nulla sono concetti falsi.
Nessuno dei due esiste in realtà.
La domanda è:” Se qualcosa non esiste e nemmeno il nulla esiste, allora …?” La
risposta è il silenzio assoluto. La mente non comprenderà mai che cos’è il silenzio,
poiché descrivendolo, lo corrompi.

O
-OBBEDIENZA**

Se io avessi un io, preferirei amare che obbedire.

L'obbedienza non è più una virtù: anzi non lo è mai stata una virtù!

Buddha non ha mai chiesto obbedienza.

L'obbedienza, forse, serviva ai potenti per gestire il potere. Tu, sottoposto, povero e
debole, devi essere buono e obbediente cosicché io, che detengo il potere, ti possa
imporre comportamenti obbedienti senza problemi.

Gli imperi, le potenze di qualsiasi genere si reggono sull'obbedienza!

Senza obbedienza non ci potrebbe essere alcun potere. E infatti: credere, obbedire e
combattere!

389
Spesso la divinità si è alleata con il potere nel chiedere obbedienza. Perché?
Semplice: erano e sono complici l'una dell'altro! Con l'obbedienza si evitano
"complicati" ragionamenti logici. E si comanda e basta.

-OLOGRAMMA **

(A cura di Isabella di Soragna)

L’ologramma, per dirla in breve, è il riflesso di una luce emessa da un laser su una
pellicola di speciale trasparenza olografica. È un’apparenza trasparente.

Può una apparenza olografica conoscere se stessa? Può un’apparenza olografica


conoscere la sua vera natura? No. Perché? Perché non ha una vera natura.

E così per te e per me. Perché? Perché non esisti come un’entità solida, come non lo è
un ologramma. Ciò che rende solido un ologramma è la luce del laser. Che cosa ti fa
apparire solido? La luce dell’Assoluto che non è un’apparenza, ma che appare
attraverso tutte le forme evanescenti del mondo manifestato.

Qualcosa che appare, ma non è reale, può forse “sapere” che non è reale? Come
fai a sapere se esisti o non esisti?

U.G. soleva dire:-Non so se sono vivo o morto. Sono cosciente solo se lo so.-

È solo il “sapere concettuale” che può farlo e che rafforza l’illusione.

Non potrai mai trovare ciò che non è mai esistito. Potrai trovare tutte le
rappresentazioni che vuoi, tutti i mondi paralleli o non paralleli, fare yoga e
meditazioni, contemplare, digiunare, partecipare a tutti i satsang, eppure sarai sempre
allo stesso punto.

Non puoi trovare ciò che non è mai esistito. Eppure continui a cercare, ad
incontrare guru, finché il cercatore disperato muore. Muore prima o al momento della
morte fisica che è una disintegrazione del modello di energia che sembra reale,
come un ologramma. E un ologramma sparisce, muore, quando il laser viene spento.
Dov’è andato? Da dove è venuto? Non è mai stato reale.

Il ricercatore muore dunque, quando l’energia che ha messo nel credere ad una
persona separata, sparisce. Ma il ricercatore, dal momento che è solo un’apparizione
fantomatica, non può spegnere l’energia che crea la sua convinzione, come un
ologramma non potrà spegnere la luce del laser che gli dà forma.

Puoi riuscire a vedere con assoluta certezza come stanno le cose (non voglio dire che
non puoi farci niente) si tratta solo di verificare il semplice fatto che non c’è un “tu”
che può cercare o non cercare, morire o non morire, essere o non essere.
390
Quindi il primo movimento è di indagare se c’è questa persona, ma poi, può
un’entità inesistente indagare su una persona che non è mai esistita? Potrà solo
rendersi conto che il presunto abitante non ha mai abitato la tua casa, non vi ha mai
messo piede.

Qui … scoppierai in una risata. Anche il solo affermare “un giorno il ricercatore
morirà” o l’“ego sarà distrutto” è una menzogna, dato che non solo non esiste, ma
non c’è realmente nessun futuro in cui potrebbe avvenire.

Quando queste bugie sono messe alla berlina e la convinzione è assorbita nel vivere
quotidiano, allora la necessità di cercare viene meno da sola e la vita, senza moti
paralleli di pensiero, fluisce secondo le sue regole.

-Sin dall’inizio nessuna cosa è - dicono i saggi.

Nessuna via d’uscita. Non c’è prigione né prigioniero. La vita è solo un sogno
evanescente.

Dove si trova la realtà in questo evidente ologramma evanescente che è la coscienza?

Tutto questo si dilegua come per incanto allorché la convinzione del senso di essere
si rivela definitivamente un inganno e soprattutto nell’umile vivere quotidiano.

Prima dell’‘io sono’ non c’è né consapevolezza, né presenza, non esiste l’adesso: c’è
il senza tempo.

Ecco quello che sei.

-Ogni esperienza nasce dal pensiero, quindi tutto quello che esperimentate o potete
sperimentare, è un’illusione.-

-Non sei pronto ad accettare il fatto che devi lasciare la presa, abbandonarti
totalmente … uno stato senza alcuna speranza che ti conferma che non c’è via
d’uscita. Ogni movimento in ogni direzione … ti allontana da Ciò che sei.- diceva
U.G.

La maggior parte dei fisici nega la possibilità di fenomeni che oltrepassino la velocità
della luce, ma l'esperimento di Alain Aspect del 1982 (in merito all'entaglement)
rivoluziona il postulato, provando che il legame tra le particelle subatomiche è
effettivamente di tipo non-locale. David Bohm, celebre fisico, sosteneva che le
scoperte di Aspect implicassero la non - esistenza della realtà oggettiva. Vale a dire
che, nonostante la sua apparente solidità, l'Universo è in realtà un fantasma, un
ologramma gigantesco e splendidamente dettagliato.

Per Bohm il motivo per cui le particelle subatomiche restano in contatto


indipendentemente dalla distanza che le separa risiede nel fatto che la loro
391
separazione è un'illusione. Era infatti convinto che, ad un livello di realtà più
profondo, tali particelle non sono entità individuali, ma estensioni di uno stesso
"organismo" fondamentale.  

Secondo Bohm il comportamento delle particelle subatomiche indica che esiste un


livello di realtà del quale non siamo consapevoli, una dimensione che oltrepassa la
nostra. Se le particelle subatomiche ci appaiono separate è perché siamo capaci
di vedere solo una porzione della loro realtà, esse non sono "parti" separate
bensì sfaccettature di un'unità più profonda e basilare, che risulta infine
olografica ed indivisibile. E poiché ogni cosa nella realtà fisica è costituita da queste
"immagini", ne consegue che l'Universo stesso è una proiezione, un ologramma.

-OM**

La sillaba oṁ è tutto l'universo.

Si tratta della contrazione e della condensazione dei suoni che corrispondono alle tre
lettere A, U, M e alla risonanza, ossia alla sonorità indistinta che resta
pronunciandole, indicata visivamente con il punto (bindu). A ciascuno di questi suoni
corrisponde uno stato della realtà.

A = stato di veglia allorché si ha la conoscenza delle cose esteriori: immediatezza


empirica delle cose e dei fenomeni.

U = stato di sogno allorché si ha la conoscenza delle cose interiori: si usano i concetti


in assenza delle cose e dei fenomeni.

M = stato di sonno profondo allorché si è raggiunta l'unità: esiste solo la conoscenza


pura.

. (bindu) = stato non duale, stato di non conoscenza (turiya) ove il soggetto e
l'oggetto spariscono nella relazione intrinseca.

Questi quattro stati della coscienza sono propri dell'Assoluto Atman/Brahman e


appartengono al soggetto empirico solo in quanto questo è una determinazione
particolare, una manifestazione specifica dell'Assoluto, un suo Avatar (incarnazione
del divino). Ciò anche se il presunto soggetto che esperisce questa comunione
profonda, non ne è consapevole. Egli non si rende ancora conto di essere tutt'uno con
Brahman e, quindi non riesce ancora a pensare: Io sono il Brahaman!

-ONDA***

L'attenzione al vuoto di cui sono costituiti tutti i fenomeni conduce alla


consapevolezza che ogni elemento e ogni momento della vita non è dotato di
392
un'essenza immutabile nel tempo e nello spazio, ma è costituito da una rete di
relazioni mutevoli, la cui esistenza e funzionalità trovano nel vuoto la loro
condizione necessaria. Un classico esempio per illustrare tale situazione è quello
dell'onda del mare: ogni onda è "vuota " , nel senso che non ha un'essenza
propria né limiti precisi e fissi, ma esiste come serie di relazioni mutevoli che la
intrecciano con le altre onde, in modo tale che la sua forma e la sua forza
risultano condizionate dalle forme e dalle forze di tutte le altre onde che del
mare.

Le onde stanno a significare le forme molteplici, i fenomeni empirici che accadono,


mutano, si danno alla percezione dei nostri sensi nella loro impermanenza. Onde in
relazione le une con le altre. Relazioni di onde, fra onde.

Ci sono le onde che si muovono sulla superficie del mare, ognuna diversa, ognuna si
crede distinta e dimentica che non solo fa parte del mare... ma è essa stessa da sempre
il mare: tutte le onde sono solo lei stessa. Se l’onda potesse esprimersi, direbbe che
vede il mare e potrebbe credere di esserne distinta. Se qualcuno le dicesse: ”Non vedi
che sei il mare, anche se sembri avere una forma definita e ti muovi come se fossi
distinta dalle altre?” Sarebbe imbarazzata!
In realtà se osserviamo quella distesa d’acqua, è chiaro che NON c’è mai stata
un’onda separata dal mare e che scoprendosi come mare unico non può più
“saperlo”. Se lo sa, significa che è ancora un ”qualcosa’’ al di fuori, separato da
esso. Lo stesso dicasi per la coscienza in cui sembrano apparire montagne, case,
alberi, animali, esseri ben distinti uno dall’altro. La coscienza invece è unica, come
l’aria a cui attingono apparentemente corpi diversi. Questo è quello che ci hanno
fatto credere o meglio siamo noi ad aver creato originali pupazzi che ce lo hanno
inculcato e a cui abbiamo incollato un’identità fasulla.

«Come le onde dell'oceano, agitate dal vento, si muovono danzando senza requie,
così il flusso della [coscienza] deposito è ininterrottamente agitato dal vento
dell'oggettività e si muove danzando e creando onde attraverso la variegate forme
della coscienza».

Sogni una specie di estasi, ininterrotta. Ma le estasi, necessariamente, vanno e


vengono, perché il cervello non può reggere la tensione troppo a lungo. Un'estasi
prolungata lo brucerebbe, a meno che non sia di materia purissima e rarefatta. Niente
dura nella natura, tutto pulsa, emerge e dilegua. Cuore, respiro, digestione, sonno
e veglia - nascita e morte -, a ondate, vanno e vengono. Ritmo, periodicità, armoniosa
alternanza degli opposti, sono la regola. È inutile ribellarsi al modello stesso della
vita. Se cerchi l'immutabile, scavalca l'esperienza. (Nisargadatta Maharaj)

Come ogni flutto sprofonda nell'oceano, così ogni momento ritorna all'origine. La
realizzazione consiste nello scoprire la fonte e dimorarvi.
393
Noi la chiamiamo ONDA ma è pur sempre MARE!
E’ un’onda la vita!
Non ci sono onde senza mare, e non c'è mare senza onde. (Fa zang)
E, infine, parliamo di onde gravitazionali. Nel 1915 Albert Einstein asserisce che lo
spazio in cui siamo immersi si possa deformare come se fosse una gomma dura.
Scrive anche che lo spazio potrebbe vibrare come una corda di violino e, quindi,
trasmettere onde: le onde gravitazionali che sarebbero increspature dello spazio
come se fosse un lago mosso dal vento!

-ORACOLO DI DELFI ***

Ti avverto, chiunque tu sia:


Oh tu che desideri sondare gli arcani della Natura,
se non riuscirai a trovare dentro te stesso
ciò che cerchi, non potrai trovarlo nemmeno fuori.
Se ignori le meraviglie della tua casa,
come pretendi di trovare altre meraviglie?
In te si trova occulto il Tesoro degli Dei.
Oh Uomo, conosci te stesso
e conoscerai l’Universo e gli Dei.
Ciò è in sintonia con il pensiero orientale che recita: "Questo supremo Brahman,
atman universale, immensa dimora di tutto ciò che esiste, più sottile di ogni cosa
sottile, costante: in verità é te stesso, perché Tu sei Quello". (Kaivalya Upanishad)
Quando si é conosciuto l’atman supremo, che riposa in un posto nascosto, senza parti
e senza dualità, quale Testimone, esente dall’essere e dal non-essere, si perviene
alla condizione dell’atman universale. (Kaivalya Upanishad)
Il conosci te stesso va, forse, inteso nel senso di riconoscere i propri immensi
limiti.
Siamo ciò che pensiamo. Tutto ciò che siamo è prodotto dalla nostra mente.
Conosci te stesso. Nulla di troppo. Il difficile è l'amore. E se fossero tutti e tre delle
pure aporie?

Ogni verità impegnativa è anche un imperativo etico. Il celebre “conosci te stesso” di


Delfi reso famoso da Socrate, rientra senza dubbio in questa categoria. Il richiamo del
dio Apollo (era lui che, secondo la tradizione, aveva stabilito il tempio e ispirava le
sacerdotesse che facevano i vaticini) ha conosciuto nel tempo interpretazioni di ogni
genere. 394
Alcuni l’hanno letto come un ordine a riconoscere la propria limitatezza
(Eschilo) e di conseguenza un inno alla moderazione (Socrate). Ma altri, al
contrario, l’hanno visto come un invito a ritrovare la scintilla di divinità
interiore (Platone), fino a farla coincidere con quella del creatore cristiano, cioè
la Verità tout court (Sant’Agostino).

Tutti, in ogni caso, hanno dimenticato – o fatto finta di dimenticare – che la massima
delfica non era l’unica. Tutt’altro. Come dimostrano gli esemplari archeologici e le
testimonianze storiche, erano moltissime. Oggi se ne conoscono ben 147. “Conosci
te stesso” era la più furba, e lo sapevano tutti. Di fronte alle altre si può anche restare
delusi.

Ad esempio, “Ἕπου θεῷ”, cioè “Segui il dio”, o Νόμῳ πείθου (Obbedisci alla legge),
si giocano subito quelli più refrattari alla disciplina e all’ordine. Ma non solo: “Θεοὺς
σέβου” (Onora gli dèi), appare abbastanza datato, e “Γαμεῖν μέλλε” (Pianifica di
sposarti) farebbe scappare chiunque. Sullo stesso tema, c’è “Γάμους κράτει”
(Organizza matrimoni) e, soprattutto, “Γυναικὸς ἄρχε” (Comanda su tua moglie), che
adesso farebbe inorridire femministe e femministi. In ogni caso, si trova saggio
questo consiglio: “Ἐξ εὐγενῶν γέννα”, cioè “Fai figli da persone nobili”. Se ci riesci.

Per il resto, ci sono tanti suggerimenti piuttosto scontati, come “Evita il male”,
“Acquisisci la ricchezza in modo giusto”, “Accetta una misura equa”, “Sii grato”,
“Accetta l’invecchiamento”, “Non vantarti quando sei forte”, “Non maledire i figli”
(chi lo fa più?), “Giudica in modo incorruttibile”, “Dai giudizi giusti”, “Parla bene di
tutti” e – fondamentale – “Rifuggi dall’omicidio”.

Non poteva mancare infine, visto lo sponsor, un “Χρησμοὺς θαύμαζε” (Ammira gli
oracoli). Anche se forse, in mezzo a tanta banalità antica, si distingue un efficace
“Φρόνει θνητά”. Pensa da mortale. Farlo da dio è ancora fuori dalla nostra portata.

-OSIRIDE, IL DIO CHE RISORGE **


La più complessa, ma straordinaria elaborazione del pensiero etico - filosofico -
religioso egizio è senza dubbio la figura di Osiride. Osiride è diverso da tutte le altre
Divinità. Osiride è simbolo del dramma dell'esistenza umana: l'ineluttabilità
della morte e la speranza della resurrezione. Osiride è il simbolo del Ciclo: Vita -
Morte -Resurrezione. E' la "vittima" per eccellenza: viene sacrificato, ma il suo
sacrificio e la sua passione, vengono compensati dalla Giustizia e dall'Ordine
Universale ristabiliti. Sposo e padre amato, viene soccorso dalla sposa Iside e dal
figlio Horos. Osiride non é una Divinità Cosmica, ma un "Figlio di Dio". Non é il
395
Signore dell'Universo; non é Ra il Dio-Supremo nel cui destino solare, attraverso una
metafisica apoteosi, il Sovrano si identifica dopo la morte. Osiride é la Divinità in
cui é l'uomo comune ad aspirare di indentificarsi. Osiride é la Divinità che
conosce il destino dell'uomo e di tutte le creature mortali che fanno parte della
Natura; non solamente gli uomini, ma la Natura stessa: vegetazione ed animali.
Osiride é la forza della Natura che muore e si risveglia. Osiride é colui che soffre
con l'uomo, che conosce la sofferenza e la Morte proprio come l'uomo, ma che
poi si riscatta con la Resurrezione. Proprio per questo l'uomo aspira ad identificarsi
con Lui perché é il solo, unico Dio che tocca le corde del sentimento.
"Divenire Osiride" dopo la morte, per il genere umano è entrare a far parte del ciclo
della Natura. Un concetto che può sfuggire alla comprensione immediata, ma che é
presente in molte culture del vicino Oriente: Damuzi dei Sumeri, Attis di Persia, Baal
di Siria, ecc.. Non si sa con esattezza fino a quando far risalire il culto di Osiride; con
certezza si sa che era presente già nel 2500 a.C. poiché compare nei Testi delle
Piramidi; la sua popolarità cresce durante il Nuovo Impero e continua anche in Epoca
Tarda fino ai tempi della dominazione romana allorquando, giunto a Roma, diventa
Serapide. Come dice R. Clark, mentre Ra, Atum o Ptha danno una spiegazione della
loro origine per fornire basi al potere politico, Osiride, invece, tocca i cuori. E' più
facile, infatti, spiegare e capire il dramma di Osiride, che comprendere la natura delle
altre Divinità. La letteratura Osiriaca é permeata di passionalità, sofferenza, dolore,
ma anche di esaltazione e gioia e sono proprio queste caratteristiche che la distaccano
e distanziano dai culti delle altre Divinità. Sicuramente il carattere di Osiride nasce
all'interno di un antichissimo culto della fertilità e per questo si avvicina più alla
Natura che alla Regalità: più agli uomini che ai Sovrani. Osiride é il "ciclo delle
stagioni" e il suo culto é una rappresentazione drammatica, perché drammatico é il
contesto naturale in cui tale culto é nato. Se per i popoli occidentali i cambiamenti
climatici delle Stagioni sono soltanto fenomeni passeggeri della Natura e
l'associazione dell'inverno alla Morte é solamente una metafora, per le popolazioni
orientali sono da sempre l'espressione di un dramma vero e proprio: é la Natura che
muore davvero. Muore perché diventa così arida e bruciata che si stenta a credere che
possa rinascere ancora e il dramma di Osiride é la rappresentazione del dramma
della Natura. Egli "muore" di morte terribile e violenta proprio come la Natura
sottoposta a forze incontrollate, ma poi "risorge" forte e rigoglioso... proprio come
la Natura. Per i contadini egizi ed orientali la terra, nella stagione riarsa e rovente,
era come il deserto, ossia il Regno della Morte e solo il ritorno delle Acque poteva
riportarla alla Vita. Però, mentre il deserto era lì, minaccioso e onnipresente, le
inondazioni potevano non tornare, ritardare o arrivare troppo abbondanti. Ecco come
era salutato l'arrivo della pioggia: "Salute a voi, Acque che Shu ha portato e bagnerà

396
le membra di Geb (la terra). Adesso i cuori possono perdere la paura e i petti il
terrore.."
Ed ecco, invece, la preghiera ad Osiride: "Osiride appare ovunque ci sia un
traboccare di acque." Osiride, dunque, non é "le Acque" o la "Inondazione" che
risveglia la Natura, Osiride é la Forza di riproduzione della Natura vegetale e
animale. Le acque del Nilo nutrono il seme e stimolano la sua crescita fino a quando
spunterà dalla superficie del terreno come grano. Ecco cosa riporta un testo dei
Sarcofagi in cui lo Spirito del Nilo annuncia il risveglio della Natura: "Io sono colui
che esegue per ordine di Osiride al tempo della grande piena. Io alzo il mio Divino
Comando al sorgere d Osiride nutro le piante e rinverdisco quello che era secco..."
Osiride, dunque, é il Signore delle Messi. Nella Teologia é un Dio di quarta
generazione: ATUM - SHU/TEFNUT  -  GEB/NUT Osiride é figlio di Geb, Signore
della Terra e Nut, Signora del Cielo: é sposo di Iside e fratello di Seth, eterno nemico
e di Nefty. Osiride ha regnato come Sovrano d'Egitto durante l'Età dell'Oro. Le liste
Reali iniziano proprio con il Regno-degli-Dei, poi seguono quelle dei Semi-Dei, degli
Esseri-di-Luce e infine quelle dei Servitoridi-Horo. Il mito di Osiride é noto a tutti:
ucciso dal fratello Seth e ridotto in pezzi il corpo, questo fu ricomposto dalla pietà di
Iside e Nefty e dall'opera di imbalsamazione di Anubi, il figlio avuto da Nefty.
Benché non completamente riportato in vita, Iside concepì con Lui un figlio, Horo,
che si incaricò, appena cresciuto, di vendicare il padre e riportare l'ordine nel
mondo distrutto da Seth. L'apice del dramma si raggiunge proprio adesso. Nella sua
forma mummificata, Osiride é immobile e impotente, in balia di nemici. Proprio
come la vegetazione é in balia degli eventi atmosferici ed aspetta di essere salvato e
sostituito. E' il "Vecchio" che verrà sostituito dal "Nuovo" e il "Nuovo" é Horo, suo
figlio. Horo é il figlio vendicatore che combatte contro Seth, ossia il deserto,
espressione della Natura nel suo momento più drammatico: l'arsura e la siccità. Ma
Horo vincerà su Seth e nel mondo tornerà l'ordine precostituito delle cose... le Acque
vinceranno sull'Arsura e la Natura tornerà a germogliare, sotto la spinta di Neper, il
Genio del Grano. C'é, nella teologia egizia, la tendenza ad accostare i fenomeni della
Natura alla funzione ed alla personalità delle varie Divinità: Seth e le tempeste, Hapy
e la piena delle acque... Osiride e la forza vegetativa.

-OSSERVATORE**

Tra osservatore e osservato esiste una strettissima relazione che frantuma il


sogno della fisica classica di poter studiare il mondo dall'esterno, senza
coinvolgimento, come se chi osserva non facesse parte anche lui del mondo.

Nella meccanica quantistica si descrive un sistema come esso è visto da un altro


sistema considerando le relazioni fra il sistema che osserva e il sistema osservato. La
397
realtà è data dalle interazioni fra tutti questi sistemi. Il mondo è fatto di relazioni e
di osservazioni reciproche.

L'osservatore crea una realtà fittizia ma pure l'osservatore non è reale.

I ricercatori del futuro, uscendo dai loro schemi mentali meccanicistici, dovrebbero


orientarsi verso un tipo di ricerca che li vedrà occupati in veste di ricercatori
“spirituali” nel campo del “sottile”, della coscienza cosmica e del campo unificato.
Se riusciranno a superare quel LIMEN, un punto liminale o limite di separazione,
causato da una soglia sensoriale, psicofisiologica, che procura all’uomo l’illusione
ottica di essere Altro dall’essere un unico con il Tutto e di non vedere che
Osservatore e Osservato (come asserisce la fisica quantistica) sono UNO. Si tratta
quindi di incominciare a riconoscere che esiste una realtà fatta di una certa
identità presente tra uomo e cosmo.

P
-PAROLA **
Non accettate nessuna parola, nessuna frase. Le mie parole sono dita che
indicano l'inconoscibile che non si può descrivere. Rifiutate le mie parole e
vedrete quello che c'è da vedere. (Poonja)
Quando pronuncio la parola Futuro,
la prima sillaba già va nel passato.
Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.
Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualche cosa che non entra in alcun nulla.
(Szymborska)
"Verba pro rebus". Così chiede Eloisa ad Abelardo: dammi parole al posto delle cose.
Molte parole non sono mai indizio di molta sapienza (Talete)
Se qualcuno ti chiede "che cosa è una una farfalla?", subito apri un libro e puoi dire
tutto quello che sta scritto alla voce "farfalla"; ma tu pensi che tutto quello che si può
dire sia veramente tutto? Tutto quello che è stato detto, è stato tutto espresso in quelle
parole? Non c’è forse qualcosa che è rimasto inespresso e che rimarrà sempre
inespresso e che nessuno sarà mai in grado di esprimere? Se pensi che non rimanga
nulla di inespresso, come puoi meravigliarti? In questo caso hai perso il senso dello

398
stupore. Chuang Tzu se ne stava seduto sotto un albero, due o tre farfalle si
rincorrevano l’un l’altra, ed egli scrisse una piccola poesia:
Mi sembra che queste farfalle siano fiori,
i fiori che una volta sono appassiti,
ora sono ritornati,
ora sono di nuovo sull’albero.

Vac, la parola vedica, è l'originaria manifestazione del Brahaman, dell'Assoluto. Vac


fu prima di tutta la creazione, prima che qualunque essere venisse in essere. Vac è
principio vivificatore di tutti gli essere. Vac è il grembo dell'Universo. Vac è
rappresentante della realtà universale. Vac dunque si pone come fondamento non solo
linguistico ma anche ontologico. Da confrontare con: "In principio era il verbo …".
Ogni parola deve essere pronunciata rinunciando alla pretesa che essa sia quella
definitiva. Ogni pensiero deve essere pensato rinunciando all'idea che esso sia quello
definitivo.
Un esempio della fecondità del non è fornito dalla scrittura narrativa, dove il non
detto è importante almeno quanto il detto (così opinava anche Wittgenstein a
proposito del suo Tractatus), poiché il detto risalta e scaturisce dal bianco dello
spazio e dal silenzio del non detto, anzi esiste solo in quanto è in dialettica con il non
detto.
Lo scrittore, in particolare il poeta, corteggia il non detto nella sua forma più
estrema: l’indicibile. Anzi, si può dire che in fondo l’unica cosa di cui ci interessa
parlare è l’indicibile. Il dicibile ormai è stato detto, o sarà detto, dunque rientra nella
massa crescente e agonizzante dei luoghi comuni, delle espressioni trite, delle
metafore spente.

Il nominare viene inteso come l'essere stesso di ciò che si nomina. A colui per cui
la parola è una cosa reale, provvista di natura propria, si potrebbe giustamente
imputare la tesi dell'esistenza della natura propria. Ma per noi la parola è una cosa
irreale.
Le parole
È inutile lottare con le parole
Per esprimere ciò che ne è al di là
Ogni divisione è nella mente
Niente esiste da sé

Le parole tentano di descrivere parti del mondo ritenute stabili ma che, forse,
non sono né parti e neppure stabili.
399
Qualsiasi cosa si possa dire che una cosa è, non lo è. Con ciò Korzybski intende
significare che le parole usate per parlare di una cosa non sono quella cosa; da qui
la nota formula: una mappa non è il territorio che rappresenta.
La parola sopravvive solo se riconvertita in evento. (Ricoeur)
Ognuno di noi è responsabile di ciò dice ma non può esserlo anche di ciò che l'altro
capisce.
Ogni termine non esiste autonomamente, ma esiste soltanto in relazione al suo
opposto e, tale opposto, non è fisso ma dinamico (relazione dinamica).
Le parole sono utensili, sono manopole, monete, mezzi di scambio; non sono piccole
icone delle cose che rappresentano.

Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire. (Merini)

Nietzsche riflette a lungo sulla seduzione delle parole e conclude che non bisogna
rimanere imprigionati nella trappola delle parole stesse.

Alla parola è strettamente connessa l'illusione che ci sia una cosa che possiede delle
proprietà.

Le parole non sono la realtà e la realtà non è solo l'essere.

Le parole prima di tutto. Si, le parole, prima di tutto, bisogna dare ai poveri, agli
ultimi perché di parole essi sono poveri. Prima anche del vangelo e dell'eucarestia
perché senza un minimo di cultura non c'è modo di poter comunicare, di poter capire,
di poter scegliere. Questo pensava Don Milani e questo non era certo l'idea della
Chiesa del suo tempo e dei tempi precedenti che esigeva solo obbedienza.

Popoli della terra


non distruggete l’universo delle parole
che uno non intenda morte, quando dice vita.
(Nelly Sachs)

Che cos'è la mente se non parola? E che cos'è la realtà non-mente se non parola? E
che cos'è la verità assoluta se non parola? Tutto è parola. Ed allora per fuoriuscire
dalle parole è solo possibile la negazione dei concetti. E quindi nella realtà non-mente
è già presente l’assenza dei concetti, l’assenza delle interpretazioni, l’assenza dei
punti di vista ed il pensare non reso proprio.

Le parole non creano i fatti; o li descrivono o li distorcono. Il fatto non è mai verbale.

La rivelazione vedica ci dice in innumerevoli testi che la Parola (vac), non è


semplicemente un'invenzione della mente
400 dell'uomo o un mero strumento di
comunicazione, o una semplice espressione di ciò che l'uomo è. La Parola vedica
(vac) è certamente tutto questo, ma è infinitamente di più. Fondamentalmente essa è
importante quanto Brahman e, se compreso correttamente, è Brahman stesso, non nel
senso che ogni essere in definitiva 'è' Brahman, ma in modo del tutto particolare: la
Parola è la prima manifestazione dell'Assoluto, dal quale scaturì. In ultima istanza
Dio non ha nome, perché Egli stesso è Parola. (...). Sarebbe inadeguato parlare di vac
esclusivamente come del principio dell'intellegibilità dell'universo, perché essa è
anche il principio della pura affermazione che emerge dal nulla assoluto. Vac è
proprio la Parola totale vivente, vale a dire la Parola nella sua interezza compresi i
suoi aspetti materiali, il suo riverbero cosmico, la sua forma visibile, il suo suono, il
suo significato, il suo messaggio. Vac è più che mero significato o suono privo di
senso; è più di una semplice immagine o veicolo di determinazione. Era al principio.
E' l'interezza della sruti. La sruti è vac.” (Pannikar)

Nella attuale società la parola diventa solo mezzo e il linguaggio strumento. Questa
perdita di significato originario della parola, questa perdita di magia, questo
scioglimento di ogni illusione, potenzia la parola come veicolo della volontà di
dominio, violento e prevaricatore; i mezzi di comunicazione di massa ne moltiplicano
l’eco, cosicché la parola acquista un nuovo potere magico negli slogan della
propaganda e della pubblicità. Non più la parola come referente del colloquio
personale, ma come cassa di risonanza del comizio politico, delle colonne dei
giornali e dei rotocalchi. (Maffiotti)

Come non osservare che la pretesa della parola che dice: "tutto è mortale", è
insensata? Essa per essere vera, per dire il vero, deve già fare eccezione per se stessa.
Tutto è mortale, sì; tutto diviene nel tempo, salvo evidentemente questo "dire", che si
assegna contraddittoriamente a una verità eterna. Ma nel contempo qualsiasi pretesa
della parola di dire verità immortali è a sua volta assurda, perché la parola è
semplicemente parola (mia osservazione: sia che essa sia umana e sia che essa sia,
dall'uomo, attribuita alle varie divinità), segno ed evento legato alla malattia cronica
del tempo, cioè a quella malattia mortale che, proprio parlando, essa si assegna e ci
assegna. Quale mai verità della parola ha retto al tempo e non è scomparsa alla lunga
nell'indifferenza dell'oblio, trasformando la sua illusione di durare immobile per
sempre nel vaniloquio dell'insensato e nella radicale contingenza del passato?
Materialismo e Spiritualismo: due opposte e correlative superstizioni di parola.
Il medesimo abbaglio e un comune paradosso. (Sini)

Quando le parole, le memorie ecc.  spariscono se viste nella  loro limitatezza,


etichette ecc.  allora ciò che non puoi definire  prende possesso dello spazio lasciato
libero … sono  immagini certo, ma si tratta di verificare, come un laser neutro (non
con altre definizioni!) …’’chi o cosa sono? ‘’ ‘’non-so-che-non so’’.. rimane una
sospensione neutra (il puro essere senza io, ma è ANCORA QUALCOSA!) 

401
Le parole sono solo etichette  e noi confondiamo le etichette  col prodotto invece
di ..mangiarlo. Se non c’è spazio-tempo le parole anche loro si dileguano come il
corpo e il mondo.
(Isabella di Soragna)
Ogni parole è letteralmente una parabola: essendo messa a fianco o in parallelo alla
realtà, essa va interpretata e compresa e si presta, dunque, a essere fraintesa.
(Odifreddi)
Se ci si rende conto che ogni fenomeno - sia esso di natura fisica, psichica o etica - è
in realtà una rete di fenomeni, diventa evidente che ogni definizione certa e
definitiva di un fenomeno e ogni sua classificazione conclusiva diventano imprese
impossibili; e diventano tanto più impossibili allorché si tenga presente che la rete di
relazioni che costituiscono un fenomeno non soltanto è virtualmente infinita, ma è
anche in movimento e quindi impermanente, quindi indisponibile a venir catturata da
una qualche parola o da qualche definizione. Per un "risvegliato o un puro di cuore,
infatti, «ogni parola dice solo provvisoriamente e solo qualche aspetto della cosa e
dell'evento a cui si riferisce: ogni parola, anche la più sublime, in quanto
necessariamente finita, non può mai pretendere di rappresentare tutta" la cosa, dato
che la cosa è un grumo variabile di interconnessioni infinite. Ciò significa in altri
termini che la parola non può mai essere piena: la realtà, anche la più piccola e
insignificante, è ad essa sempre eccedente.

La parola traccia i limiti delle cose e le mette al mondo.


Le parole vengono inventate dagli uomini. Pitagora, ad esempio, ha inventato
parole quali filosofia e matematica mentre Platone ha inventato le parole metodo,
pensiero, noumeno e altre ancora. A dimostrazione di ciò si ricordi che, nelle opere di
Omero, sono assenti le parole soma e psychè (corpo e anima).
E' la parola che procura l'essere alla cosa. (Heidegger)
Odifreddi dice invece che bisogna evitare la reificazione o ipostatizzazione delle
parole e cioè scambiare dei concetti astratti per degli oggetti concreti. Ma che
cosa sono gli oggetti concreti senza una mente che li dice tali? Loro infatti non sanno
di essere oggetti concreti! Non dimentichiamo poi che, alla fine, tali oggetti concreti
sono solo ammassi di atomi in frenetico movimento che, a loro volta, sono solo
relazione di energia, altro che oggetti concreti!
Dice Odifreddi che le parole di natura fisica sono sensate mentre quelle di natura
metafisica non lo sono. Chiedo: esisterebbe questo dualismo senza il pensiero, senza
la mente? La distinzione fra fisica e metafisica che l'ha fissata se non la nostra piccola
logica? E se non fossero due?

402
Per lo zen la parola è l'inizio del dualismo: l'uso delle parole è intrinsecamente
dualistico. Non bisogna avere fiducia nelle parole perché esse vogliono descrivere
le cose come se fossero separate dal resto del mondo quando, in realtà, non lo sono se
non per la nostra percezione che suddivide il mondo in parti.
Parlare significa, prima o poi, tradire. Scrivere significa, prima o poi, tradire. Solo il
silenzio è senza malizia. Il silenzio è primo e ultimo. (Bobin)
La teoria sulla corrispondenza fra parole e cose è solo semantica.
L'unica cosa che lega le parole al loro significato è l'abitudine e la comodità.
Ogni parola è un insieme relazionale di significante e di significato. Di suono e di
immagine, di lettere e di senso. Va osservato anche che tra significante e
significato, tra le parole e l'oggetto passa una grande differenza. Infatti fra la
parola g-a-t-t-o e l'animale stesso la discrasia è enorme. Per Lacan il significante
dell'acqua è il segno tracciato. Sia esso un disegno, un geroglifico, un
ideogramma o una parola (acqua, water, eau, wasser). Mentre il significato è
l'acqua che bevi. In linea generale, il pensiero orientale (e lo zen in particolare) è
molto più attento al significato che al significante: alla cosa percepita che al suo
nome. "Ritornare alle cose stesse" direbbe la fenomenologia di Husserl.
Sia la mentalità orientale che le lingue ideografiche si prestano molto bene ad
attribuire varie sfumature di significato a ogni segno particolare. Ciò è in totale
contrasto con la scrittura e il pensiero occidentale che mirano a dare un solo e
dogmatico senso a ogni lettera dell'alfabeto e, quindi, a ogni conseguente parola.
A volte le parole ti scappano e diventano loro le protagoniste.
Due persone che usano la stessa parola non sempre hanno lo stesso pensiero in testa.
Le parole sono solo indicazioni, non sono reali in se stesse.
Le parole ti hanno reso prigioniero, le parole possono liberarti, l’ignoranza venne
ascoltando e se ne andrà con l’ascolto. Le parole sono false, solo il significato che
indicano è reale.
Vi è uno stato di pienezza che le parole non possono penetrare.
Abelardo nominalista dice che noi attribuiamo un predicato a una parola come
significante e non come fatto fisico.
E' necessario che i cambiamenti nel significato delle parole procedano più lentamente
dei cambiamenti nelle cose che le parole descrivono.
Le parole sono come dita che indicano l'inconoscibile, l'indescrivibile,
l'ineffabile. Andiao oltre la parole e vediamo quello che c'è da vedere.
403
Non sono gli dèi a creare: è la parola stessa che crea.
Le parole sono solo delle indicazioni, non hanno realtà intrinseca.
Chi dice una parola fondamentale entra nella parola e la abita.
Ma il solo parlar nulla rivela – meno ancora se non trova orecchio compiacente che
gli conceda la momentanea illusione. (Michelstaedter)

Ogni misurazione della cosa, anche la più precisa, non da mai la cosa stessa. Ogni
parola o concetto attorno alla cosa può risultare utile a noi per usarla ma non per
conoscerla. Cercare una parola o un concetto che esprima qualche cosa in modo
definitivo è una frustrante illusione.
Le parole influenzano i pensieri e le emozioni.
Quando pronuncio la parola futuro, la prima sillaba già va nel passato. Quando
pronuncio la parola silenzio, lo distruggo.
Quando io parlo di te in realtà sto rivelando il mio modo di essere.
Quando tu parli di me in realtà stai rivelandoti.
Le parole sono solo parole (rumori?) ma noi le scambiamo per la realtà. La realtà
non può essere compresa tramite parole, insegnamenti e speculazioni.
Hai inventato un mucchio di parole: interno, esterno, sforzo, sé, ecc., e t'industri a
sovrapporle alla realtà. Le cose sono come sono, ma ci ostiniamo a incasellarle in uno
schema linguistico. L'abitudine è così radicata, che tendiamo a negare realtà a
tutto ciò che non sia verbalizzabile. Le parole sono simboli convenzionali. Le
parole riflettono uno stato della mente, non la realtà.

Le due rive, il fiume, e il ponte che l'attraversa, sono nella mente. Le parole, da sole,
non possono portarti al di là. Deve esserci un'immensa sete di verità, o una fede
assoluta nel maestro (n.d.r. fede non condivisa dal Buddha). Credimi, non c'è
obiettivo, né strada per raggiungerlo. Tu sei la strada e l'obiettivo, non hai altro da
raggiungere che te stesso. (Nisargadatta Maharaj)

-PAZIENZA**
Il maestro indiano Santideva, attivo nell'India del secolo VIII d. C. e seguace di
Nagarjuna, insegnò la pazienza (ksanti). "Non vi è male uguale all'odio né ascesi
uguale alla pazienza. Bisogna quindi, con vari mezzi, coltivare la pazienza".

L'esercizio della pazienza, non va praticato in base a un ragionamento astratto o ad un


impulso sentimentale, ma in base alla considerazione che l'individuo nei cui confronti
si deve portare pazienza è solo in minima parte responsabile dei suoi atti: in realtà,
ciò che fa, lo fa perché è indotto da forze che non conosce e non controlla. Sono gli
404
antecedenti che agiscono in lui. Sono le relazioni profonde con tutto ciò che ha
interagito con lui. Forse, nessuno è veramente libero visto che tutto è
interconnesso. La compassione (karuna) deriva dalla consapevolezza dell'intrinseca
unità che lega tutti gli esseri viventi.

Fin tanto che durerà lo spazio


E che durerà il mondo,
Per tutto questo tempo, che io possa dedicarmi
A distruggere il dolore nel mondo.

-PECCATO ORIGINALE **
In Oriente è sconosciuto il concetto di peccato originale da espiare e il bene e il
male vengono considerati, seppur in proporzioni diverse, sempre compresenti. Manca
completamente il senso del peccato come colpa da pagare, da espiare.

L'errore fondamentale che l'umanità ha compiuto a un certo punto è stato


sperimentare la separazione dalla totalità della vita: l'individualizzazione. In quel
momento l'uomo, con la coscienza di sé, si è separato definitivamente dalla vita che
lo circondava e l'isolamento è stato tale da provarne paura. Il bisogno di tornare di
nuovo a fare parte di questa totalità ha creato un intenso bisogno di assoluto,
nella speranza che gli obiettivi di tipo spirituale - Dio, la verità o la realtà - lo
aiutassero a tornare a far parte di quel tutto. Tuttavia lo stesso tentativo di divenire un
tutt'uno o di integrarsi nuovamente nella totalità della vita lo ha allontanato sempre di
più. (U.G) L'individualizzazione è forse il peccato originale? Forse il peccato
originale fu la nascita dell'ego, dell'io, dell'autocoscienza. Il vero peccato originale
fu la rottura del tutto indifferenziato delle origini, dell'assoluto: Brahaman,
Apeiron, Dharmakaya [Dharmakaya letteralmente significa il "corpo" (kaya)
dell'insegnamento del Buddha (Dharma), la via della comprensione e dell'amore.
Nel Buddhismo Mahayana, il termine ha finito con il significare "l'essenza di tutto
ciò che esiste". Tutti i fenomeni - il canto degli uccelli, i caldi raggi del sole, una
tazza di tè caldo, sono manifestazioni del Dharmakaya. Anche noi siamo della stessa
natura di queste meraviglie dell'universo], Uno, Tao, Nagual) con la conseguente
creazione della dualità: uno e molteplice, conoscente e conosciuto, bene e male,
uomo e Dio. La conoscenza è divisione della realtà indivisa: ecco la radice dv,
diavolo che significa appunto dividere. Però ogni notte, nel sonno profondo, torniamo
al paradiso dell'indiviso, di prima dell'ego allorché non c'era separazione, non
c'era ancora il tempo e neppure lo spazio. Prima che la linea tracciata sul foglio
bianca lo divida in due.
La nascita è solo l’inizio di una ‘separazione’ (sofferenza) che si ri-unisce nel sonno
profondo e alla morte in cui.. si torna a casa … (Isabella di Soragna)

405
La povertà sta diventando una colpa, introiettata nella coscienza collettiva e nel
codice politico dominante, così come il migrante si porta addosso il marchio
dell’ultima mutazione del peccato originale: il peccato d’origine.
Il peccato originale non è un peccato...è solo una scelta dell'io che si oppone al
mondo per affermare se stesso! poi, se è intelligente e libero, l'io supererà la dualità
tornando nel tutto.
Siamo nati innocenti non avendo scelto di nascere: nessun senso di colpa dunque.
Per Schopenhauer l'idea di un io è solo il prodotto del lavoro del rappresentare: è
quindi una costruzione dell'intelletto. L'egoismo pratico considera e tratta la
persona propria come la persona reale e tutte le altre come puri fantasmi. Quasi tutti
gli uomini si accontentano del mondo come rappresentazione mentre solo alcune
persone speciali riescono a vederlo come volontà di vita. Per Schopenhauer IL
PECCATO ORIGINALE consiste propriamente nell'affermazione se stessi creando il
primo grande dualismo: io-altro da me.
L'espiazione di una colpa originale: anche Pitagora la pensa così da buon orfico. E se
la colpa originale fosse semplicemente il paradigma dell'individuazione? Anche
Anassimandro sembra pensarla così nel suo famoso frammento filosofico.
Forse però al centro dell'idea religiosa può anche non esserci il senso del peccato ma
semplicemente un senso di comunione con tutto e con tutti consapevoli del mistero
che ci avvolge e ci compenetra.

-PENSIERO**
Se esiste un pensare eterno distinto dai processi corporei e dalle percezioni dei
sensi, cioè un pensare che si regge su sé stesso, in quanto esso presuppone che
l’atto del pensare e ciò che è percepito sono all’interno dello stesso pensiero,
allora c’è possibilità di un superamento del senso di se stessi. Questo è, forse,
l'obiettivo della meditazione (se la meditazione ha un obiettivo).
I pensieri sono cose sottili, ma sono materiali; i pensieri non sono spirituali, poiché la
dimensione spirituale inizia soltanto quando non ci sono più pensieri. I pensieri sono
cose materiali, molto sottili, e ogni cosa materiale ha bisogno di spazio. Non puoi
pensare nel presente; nel momento in cui cominci a pensare, è passato.

Il pensiero, comunque lo si voglia intendere, ossia come attività o come dono,


come serrato calcolo logico o come poesia e preghiera, come operazione o
rivelazione, come pratica o come teoria, come vita o come riflessione, consiste
sempre di relazioni, è relazione vivente,
406sapiente e immanente, che abbraccia
tutto ma insieme si fa abbracciare da tutto. Per questo la filosofia antica non ha
distinto il pensiero da quella sua ombra sul mondo che sono tutte le cose e che
all'inizio della sua storia suggerirà l'elaborazione del concetto di "essere", e per
questo la filosofia contemporanea fatica a distinguere il pensiero dalla sua
inesausta manifestazione articolata e collettiva che è il "linguaggio".
(Tagliapietra)
Pensiero, Essere e Linguaggio sono in stretta relazione, sono logos, sono
chiasma, sono plesso, sono l'avvolto che avvolge.
L'appartenenza reciproca di pensiero ed essere. L'avvolto che avvolge. Essere e
pensiero sono inseparabili, essendo entrambi entità concettuali. Un assoluto che
possiede insieme i caratteri dell’essere e del pensiero. Essere e pensiero si danno
solo in una relazione di reciprocità.
Il pensiero è relazione. Pensante e pensato sono concetti utili alla
rappresentazione, ma non si danno nella realtà esterna al pensiero.

Per il buddismo la parola citta sta a significare sia mente che pensiero. Ciò
perché, nel buddismo, non esiste un soggetto (mente) che ha dei pensieri
(oggetto). Esiste invece la relazione, strettissima, fra mente e pensiero.

Il pensiero ha una vocazione apolide, internazionale, anarchica. Esso non sopporta


classificazioni fondate su cristallizzate diversità storiche e geografiche.

Serve il congedo del pensiero da se stesso per una realizzazione pacificata


dell'ultima realtà, non più dispiegabile discorsivamente.

Il pensiero non può venir inteso come un "genere" qualsiasi, nemmeno quale genere
sommo, come, per esempio, quello di "Essere", perché ogni genere, in quanto
concetto, è prodotto dal pensiero:"Se il conoscere ha da essere un fare, per
necessità consegue che ciò che viene conosciuto subisca. E così l'essere, appunto per
questa ragione, essendo esso conosciuto dalla conoscenza, per tanto, per quanto è
conosciuto, si muove perché subisca un'azione". Pertanto, si può dire che nel Sofista
possiamo attingere all'acquisizione più profonda di tuta la filosofia di Platone: ci
può essere conoscenza dell'essere e del non essere solo in quanto il pensiero
(logos) è in grado di coglierli nella loro reciproca relazione; poiché essi non
esistono all'infuori di questa relazione, il pensiero di dà necessariamente come
loro fondamento. (Pasqualotto)

Cittamatra: nulla è oltre il pensiero! Capito questo si va oltre anche al pensiero.

“Non lo so”. Gli aspetti di un pensiero senza pensante!


407
Non solo le cose ma anche i pensieri esistono solo in quanto si costruiscono
attraverso relazioni.
Il pensiero complesso coglie la struttura relazionale dell'esperienza perché intende la
realtà come composta di relazioni e, in quanto oggetto del conoscere, come
vincolata al soggetto del conoscere stesso. Si potrebbe affermare che la primitiva
relazione di soggetto e oggetto tende a moltiplicarsi nelle infinite relazioni che
sussistono tra gli oggetti e all'interno di ciascuno di essi.

Esiste un ponte, un collegamento fra il puro pensiero e le cose - eventi?

I libri non servono per sapere ma per pensare, e pensare significa sottrarsi all'adesione
acritica per aprirsi alla domanda, significa interrogare le cose al di là del loro
significato abituale reso stabile dalla pigrizia dell'abitudine. (Galimberti)

Il pensiero debole di Vattimo intende significare che la filosofia è chiamata ad


abbandonare il suo ruolo fondativo e ad intendere la verità non come adeguazione
del pensiero alla realtà ma solo come interpretazione.

Dove si ritroverà il pensiero? In quale luogo?

Il pensiero è materia. (U.G.)

Se vogliamo usare un termine politico crudo, il pensiero è fascista: per nascita,


contenuto, espressione e azione. Non c’è via di uscita, è un meccanismo che si
autoalimenta. (U.G.)

Voglio contraddire le persone in India che dicono che il pensiero dev'essere


adoperato per realizzare uno stato meditativo di assenza di pensiero. Non esiste
qualcosa come uno stato privo di pensieri: i pensieri ci sono e ci saranno sempre.
Il pensiero finirà quando sarete un corpo morto. (U.G.)

L'errore umano è confondere il pensiero con il mondo. L'errore della filosofia


occidentale è il tentativo di spiegare il mondo con il pensiero. Il pensiero può
spiegare soltanto il pensiero, e la vita è altra cosa.

Il pensiero ha la tendenza a costruirsi da solo delle trappole nelle quali rimane


poi invischiato e prigioniero ipostatizzando e reificando le più svariate parole del
linguaggio: dalla verità all'essere, dall'infinito a dio, dal tempo alla realtà, dalla
democrazia alla realtà. (Odifreddi)
Il pensiero puro, in quanto non mischiato alla religione e alla mitologia, sarebbe –
secondo molti – proprio della sola tradizione occidentale. In realtà, gran parte del
408
pensiero occidentale è permeato da religione – da Platone a Plotino a tutta la
filosofia medievale a Cartesio e Spinoza, ad Heidegger. Platone stesso utilizza il
linguaggio mitologico per esprimere le verità più alte; e d’altra parte in Cina e in
India abbiamo scuole empiristiche e logiche completamente svincolate dalla
religione, e anche i testi più importanti della spiritualità indiana e cinese – dalle
Upanishad al Tao Te Ching allo Zhuang Zi al Lieh Zi ai Dialoghi di Confucio si
possono definire metafisici più che religiosi in senso stretto. (Pasqualotto)
Il pensiero non è l'essere. (Rosenzweigh).
I pensieri vanno e vengono: lasciali andare e lasciali venire, essi non ti appartengono
ma ti attraversano come fanno i neutrini.
Il nostro pensiero è un pensiero posto nel tempo.
I pensieri che altri hanno pensato. (Nietzsche)
Voi siete pensiero e pensiero è quello che voi siete. Se non ci fosse il pensiero voi
non ci sareste. Se il pensiero non ci fosse, non ci sarebbe il mondo. (U.G.)
E' necessario andare al di là dei limiti del proprio pensiero per intravedere la
realtà che tutto comprende, anche il pensiero stesso.
Noi vogliamo imporre il nostro pensiero precostituito e, in base a questo,
giudicare il mondo, gli eventi e gli altri. Dovremmo invece lasciarci contaminare
da tutto e da tutti senza prendersi mai troppo sul serio.

Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia.


(Giordano Bruno)

Il “pensiero critico” è quello che impedisce di raggiungere qualsiasi conclusione


definitiva. (Boncinelli)

Il pensiero filosofico e la religione sono due tentativi di consolarsi del fatto che
pensiero e realtà non coincidano. (Boncinelli)

Il pensiero che pensa l'essere … pensa il nulla, perché il nulla è l'essenza dell'essere.
(Heidegger)

Un pensiero viene quando è ‘lui’ a volerlo, e non quando ‘io’ lo voglio. (Nietzsche)

Da ciò che non ha distinzione il pensiero crea le cose affettando la realtà in


piccoli pezzetti che può facilmente afferrare. Così, se stai pensando, stai creando
cose. (Pribram) 409
Senza pensiero non ci sarebbe la materia. (U.G.)

Qualsiasi cosa sperimentiate attraverso il pensiero è un'illusione. (U.G.)

L'universo comincia a presentarsi più come un gran pensiero che una grande
macchina. (Jeans)

I fisici, ricercatori di un settore come quello del campo della fisica quantistica,
confortati dagli studi delle neuroscienze, hanno scoperto, al CERN di Ginevra, che la
“nuova sostanza primordiale”, base della formazione dell’Universo, non è la
“materia”, bensì l’Informazione. Un campo di Coscienza universale, interamente
intelligente. Un “Campo Energetico Unificato”, come lo definisce oggi la fisica e che
un tempo, circa 5000 anni fa, il mistico indicava con il nome di “Akasha”.

Osserviamo che la materia, ovvero il fondamento della visione meccanicistica  della


realtà, che  si credeva “solida”, densa, compatta ed intangibile, perdendo la sua
consistenza materiale, si trasforma sempre di più in un Pensiero.

Si inventa, con il pensiero, la fede per sentirsi sicuri, per superare la paura di non
essere niente. Ci attacchiamo a una illusione?

La memoria è la sola cosa che crea il mondo intero e la memoria è l’ultima cosa che
ci connette col mondo fenomenico. Se si capisce che la memoria è soltanto un
pensiero, che a sua volta è solo pura Coscienza - il Sé - allora la memoria e con essa
il mondo, si immerge nel Sé. (Nisargadatta Maharaj)
Prima nasce il pensiero IO poi arriva il pensiero MONDO. Il MONDO è creato dal
pensiero IO che proviene dal SE' eterno.
Da ciò che non ha distinzione (sunyata in tibetano) il pensiero crea le cose affettando
la realtà. Noi creiamo Golem e Tulpa e poi li crediamo creature esterne e vere.
“Fra questa immensità s’ annega il pensiero mio” dice Leopardi. Proviamo a leggere
ontologicamente questo passo. Il pensiero si finge un’esperienza immaginata dell’
infinito-nulla. Il nulla, quindi, è qualcosa di immaginativo. Un prodotto del
pensiero. Tuttavia, com’è chiaro da questi passi, il pensiero si annega, cioè si perde,
si smarrisce in questo nulla. Ma proprio qui sta il punto. L’immaginazione crea. E
tuttavia si fa preda della sua stessa creazione. In una sorta di ambivalenza che
porta il soggetto a “sentire” ciò ch’egli crea. E cioè, in questo caso, l’infinito-nulla. O
meglio, l’ esperienza dell’ infinito-nulla. (Roselli)

Se pensi di essere libero, sei libero, se pensi di essere in schiavitù, sei in schiavitù. È
il pensiero che crea tutto questo. 410
Il pensiero è la natura della mente. Separatamente dai pensieri non vi è un'entità
indipendente chiamata mondo.
Il pensiero, la vita e l'energia sono la stessa cosa?

Noi siamo tutti i guardiani di un gregge: il gregge dei nostri pensieri. I pensieri vanno
e vengono, ma non sono nostri. Lasciamoli venire, lasciamoli andare.
Qualcosa che noi possiamo pensare esiste anche al di fuori del nostro pensiero? Esiste
un ponte fra il puro pensiero e le cose? (argomento ontologico di Anselmo)
Forse l'uomo non pensa, forse è il pensiero che pensa.
I pensieri sono, forse, forme di vita e non appartengono a un soggetto.
Il pensiero non cerca la verità... cerca la vita!
Il pensiero nasce nel porsi le domande.
"Il pensiero vero è quello in cui Io e Tu si riuniscono" (Lowit trattando di Feuerbach)
Nella storia del pensiero umano gli sviluppi più fruttuosi avvengono nei punti di
interferenza fra diverse linee di pensiero.
Quasi tutti vogliono le stesse cose, quasi tutti pensano le stesse cose... piccole cose
rassicuranti, senza rischiare nulla! E se imparassimo a rovesciare il tavolo
apparecchiato di certezze?
Io sono pensiero, solo pensiero: senza pensiero non vi è né io né mondo.
Senza il pensiero non c'è materia, non c'è tempo, non c'è spazio e non c'è causalità.
Il pensiero umano nasce nel flusso della vita e non sarà quindi mai in grado di
spiegare la vita.
Siamo quello che pensiamo.
Tutto ciò che siamo nasce con i nostri pensieri... Noi creiamo il nostro mondo.
Einstein presupponeva che esistesse una sorta di armonia prestabilita fra pensiero e
realtà (così come pensavano anche i pitagorici e gli aristotelici e come pensano molti
di noi).
Il pensiero è un'immensa architettura mentale e ogni mente ha la propria perché
non c'è mente che somigli ad un'altra come non c'è foglia dello stesso albero che
sia identica alle foglie che le sono spuntate a fianco. Di più: la stessa foglia cambia
man mano che il tempo passa.

411
I pensieri vanno e vengono, non sono miei. Lasciamoli venire, lasciamoli andare.
Non hanno niente a che vedere con me. (Poonja)
Il pensiero dell'aut-aut (o bianco o nero) potrebbe venir rimpiazzato da una
interazione molto più sfumata, fruttuosa e tollerante...
Tutti gli esseri nascono dal pensiero, mediante il pensiero gli esseri vivono e nel
pensiero ritornano allorché trapassano. (Upanishad)
Per Fèdida il pensiero prendeva senso solo dal percorso stesso, piuttosto che dal
fermarsi in un luogo recintandolo con un atto di proprietà.
Mi piace il pensiero ibrido, meticcio, eretico: non sono solo cristiano ma anche
cristiano, non sono solo zen ma anche zen, non sono solo anarchico ma anche
anarchico, non sono solo irriverente ma anche irriverente.... e così via …
C'è un fiume di pensieri che ti trascina via … esci dal fiume!
I Pensieri sono come i Sogni, vivono, quasi sempre, autonomamente e
insubordintamente a noi!
Dove c'è pensiero c'è dualità. Dove c'è amore non c'è dualità. Il pensiero divide.
L'amore unisce.

Convinciti che non ci sono idee che siano tue, e che tutte ti arrivano dall'esterno.

Come le nuvole che si formano, rimangono un istante e si fondono nel vuoto del
cielo, i pensieri sorgono, persistono un istante e si riemergono nel vuoto dello spirito.
In realtà non è successo nulla.

I pensieri si autodefiniscono IO e, qualche cosa, si comporta come se esistesse.


Secondo la concezione comune l'io è anche dotato di libero arbitrio La causalità e il
libero arbitrio sono solo finzioni.
Il pensiero compare dalla vita, nella vita ed è ad essa strettamente legato. Il pensiero
non riesce però a spiegare la vita e il suo enigma insolubile. Il pensiero non può
risalire alle spalle della vita che lo ha generato!
Da dove vengono i pensieri? Sono nostri? O forse ciò che avviene non è null'atro che
la nascita e la morte di pensieri senza "padrone"?
Il pensiero e il pensatore sono la stessa cosa.
Il pensiero non è specificatamente né soggettivo e neppure oggettivo.
Lo stato naturale non è uno “stato senza pensieri” – questo è una burla che dura da
millenni fatta ai poveri Indù. Non sarai mai senza pensieri finché il corpo non sarà un
412
cadavere. Pensare è necessario per sopravvivere. Ma in quello stato il pensiero smette
di soffocarti e cade nel suo ritmo naturale. Non c’è più un “io “ che legge i pensieri
credendo siano i suoi! (U.G.)

Il pensiero è qualcosa prodotto dalla nostra mente che è in relazione con il mondo.
L'errore umano è confondere il pensiero con il mondo. L'errore della filosofia
occidentale è il tentativo di spiegare il mondo con il pensiero. Il pensiero può
spiegare soltanto il pensiero, e la vita è altra cosa.
Se sai riconoscere il carattere vuoto dei pensieri, non appena sorgono, svaniranno.
Essi traversano la mente come un uccello in volo, senza lasciare traccia.
Il pensiero e l'essere sono la stessa cosa? Sono distinti? Il pensiero nasce all'interno
dell'essere oppure è il pensiero a creare l'essere? L'avvolto che avvolge …
Bleuler e Jung dicono che siamo tutti folli che cercano di mostrarsi sani. La nostra
specifica follia è ciò che ci individua. Infatti, per quanto riguarda la ragione, siamo
tutti uguali perché rispettiamo le stesse regole.
Di notte non funziona la logica di causa effetto, non esiste il tempo e neppure lo
spazio secondo la logica usuale.
Gli uomini vogliono espellere la follia da sé senza mai riuscirci perché
l'indifferenziato è la loro genesi. La follia è la condizione pre-umana visto che
l'uomo si ritiene animale razionale.
Noi non siamo identici a noi stessi dalla mattina alla sera. Oltretutto ognuno di noi è
un caleidoscopio di personalità diverse che si mescolano e si sovrappongono:
personalità latenti che si manifestano e si impongono momentaneamente. Così a volte
siamo buoni e saggi altre volte siamo cattivi e stupidi.
Temi elaborati su di un medesimo sostrato mediterraneo e asiatico, temi orientali che
avevano agito sull’ellenismo, temi ellenistici passati nelle civiltà orientali, sono
sopravvissuti con continuità nelle officine lontane, al riparo dalle convulsioni del
Medioevo e ricominciano a circolare tra i due mondi. Condizionate dal sistema greco
- buddhista, queste concordanze e queste identità d’elementi ne favoriscono adesso
una nuova migrazione verso occidente. Curioso e il destino di questo esodo e di
questo ritorno di tutto un gruppo di forme fantastiche, dopo un lungo soggiorno in
culture più stabili. Dopo essere passate per l’India, l’Asia settentrionale, la Cina, ne
ritornano trasfigurate, cariche di significati e di leggende, pronte a reintegrarsi
nell’epopea dell’Occidente. (Baltrusatis)

-PERSONA**

413
La persona non è un ente esistente in modo autonomo rispetto alle relazioni che
la costituiscono. (Parfit) Da ciò deriverebbe la constatazione che gli eventi mentali
non sono necessariamente riferibili ad un soggetto (conclude Pasqualotto).
Sta attento quando parli di una persona, sopratutto non giudicarla mai: perché dietro a
ogni persona c’è una storia di relazioni, c’é una fatica e una sofferenza che tu non
conosci mai abbastanza.
Il nome definisce la persona. Questo pare essere il pensiero Cristiano, purtroppo.
...non sono una persona seria e non mi piacciono le persone serie...
Ci sono persone che pensano tranquillamente di avere l'assoluto in tasca. Altre, più
concrete, pensano che l'assoluto siano le loro tasche.
L'individualità si costruisce per separazione. La persona si costruisce per
relazione. Si incontrano in giro molti individui e poche persone...
La nostra personalità viene costantemente cambiata e rinnovata: non esiste un sé
perenne...nessuno continua a essere la stessa persona!
Vanno rispettate le persone e non le loro idee che possono e devono essere messe in
dubbio.
La persona va sempre considerata come un fine (avendo una sua dignità) e mai come
un mezzo. (Kant)
Ogni tanto farebbe bene domandarsi chi siamo. Per esempio, da un punto di vista
psicologico siamo più simili a una collana di perle o a una corda? La collana è fatta di
elementi che cambiano restando però sempre uguali e che sono tenuti insieme da un
filo continuo, mentre una corda è costituita da fibre che stanno saldamente insieme,
anche se non c'è nessuna fibra che corra per intero lungo tutta la corda. L'esperienza
comune porta a credere che l'identità personale sia più simile a una collana di perle
con il suo filo unico e continuo, ma le prove che vengono dalla ricerca sembrano
indicare che assomigliamo di più a una corda. Quindi, nel tempo non ci sono
componenti della nostra vita mentale che persistono costanti. E non solo: singole
componenti di noi stessi possono manifestarsi autonomamente e prendere decisioni,
che erroneamente crediamo essere state prese dal nostro sé completo.
Per gli etruschi (ai quali i romani devono molto) la parola persona (da Perseo)
significa maschera.
Il personaggio "cosciente" si guarda a vivere in lotta con se stesso e non gli resta che
un compassionevole sorriso.

414
Una persona inizia a vivere quando impara a vivere al di fuori della prigione del suo
Ego. (Einstein)
Quando una persona (chiamiamola A) emette un giudizio su un'altra persona
(chiamiamola B), tale giudizio caratterizza molto più A che B, descrive più chi
emette il giudizio che è oggetto del giudizio.
L'incontro fra due personalità è come il contatto fra due sostanze chimiche: se c'è una
reazione, entrambe si trasformano. (Jung)
Nessun uomo è un'isola completa in se stessa; ogni uomo è un frammento del
continente. (Donne)
Al complesso argomento dell'identità personale e della sua costanza o incostanza nel
tempo ha dedicato ampio spazio la rivista New Scientist. Se dunque la ricerca ha
dimostrato che la nostra identità è più che altro un insieme non continuo di
componenti, qualcosa deve tenere insieme tutti questi pezzi, altrimenti non potremmo
percepirci come persona unica; qualcosa ci tiene insieme dal punto di vista
psicologico, integra tutte le informazioni che provengono dall'interno del corpo e dal
mondo esterno, oltre che dalla nostra storia personale, illudendoci di essere
un'identità unica. È questo «qualcosa» che «tiene insieme» a costituire ciò che
chiamiamo la nostra personalità, il sé, l'identità, che è anche l'agente che pensa i
nostri pensieri e compie le nostre azioni.
Si tratta del risultato di un'azione complessa di cui quasi mai ci rendiamo conto, e che
dipende dal buon funzionamento del cervello. Ma c'è di più. Oltre all'illusione del sé
esisterebbe anche l'illusione di essere gli autori coscienti delle nostre azioni, che
invece sarebbero determinate da imperscrutabili meccanismi inconsci, come peraltro
già Freud aveva intuito. Dicono in proposito gli psicologi Daniel Wegner e Thalia
Wheatley dell'University of Virginia, autori di un classico articolo pubblicato sulla
rivista American Psychologist: «Credere che i nostri pensieri coscienti siano la
causa delle nostre azioni è un errore basato sull'esperienza illusoria della
volontà». E poi, dato che sembra non esserci limite all'incertezza, forse non esiste
neanche il presente, che è proprio il tempo nel quale percepiamo la nostra identità
corrente.
Diversi studi sulla percezione hanno dimostrato che c'è un piccolo ma significativo
scarto tra gli eventi del mondo che ci circonda e la nostra percezione. Un
esperimento, chiamato flash lag illusion (l'illusione del flash che resta indietro)
dimostrerebbe che il presente che percepiamo è solo una ricostruzione di qualcosa
che è appena passato. L'esperimento viene realizzato con un disco rotante sul quale
è disegnata una freccia con la punta rivolta verso il bordo del disco. Vicino al disco
c'è una luce che si accende ogni volta che passa la punta della freccia e che dovrebbe
415
quindi essere percepita esattamente al suo passaggio. Invece, quello che succede è
che la luce viene percepita in ritardo rispetto al passaggio della punta della freccia. Il
fenomeno è stato studiato da David Eagleman del Baylor College of Medicine di
Houston, in Texas, e dal Terrence Sejnowski del Salk Institute for Biological Studies
di La Jolla, in California. Dato che non è possibile pensare che la nostra mente possa
estrapolare il futuro, la spiegazione che i ricercatori danno del fenomeno è che il
cervello usa il passato immediato per costruire quello che percepiamo come
presente. Viviamo un passo indietro a ciò che realmente accade.
Quando credi di essere una persona, vedi persone ovunque. In realtà non ci sono
persone ma solo memorie e abitudini. Nel momento della realizzazione la persona
cessa di essere.
Ognuno di noi è stato molti personaggi nessuno dei quali va però cancellato
perché ognuno è tanti.
La persona non è un ente esistente in modo autonomo rispetto alle relazioni che lo
costituiscono; da ciò deriverebbe la constatazione che gli eventi mentali non sono
necessariamente riferibili a un soggetto.
Sei capace di custodire in te l'unità senza dividerti fra fortuna e sfortuna, fra bene e
male?
La soggettività deve essere ampia e costruita su connessioni infinite che sono
contemporaneamente se ed altro da sé.
E' giusto prendersi cura di sé (epimeleia) senza però prendersi troppo sul serio.
Forse non esistono le presunte differenze spaziali fra le diverse persone e neppure
quelle temporali fra la stessa persona: siamo, forse, solo come personaggi di un
racconto.
La nave di Teseo: sostituendo tutte le parti la nave rimane la stessa? Ciò vale
anche per la nostra persona? Certo! Tutte le nostre cellule vengono sostituite
naturalmente entro un certo periodo di tempo. Noi cambiamo continuamente come la
nave di Teseo: siamo ancora gli stessi?
Un organismo è un'interazione. La persona non è un ente esistente in modo
autonomo rispetto alle relazioni che la costituiscono. La pretesa di qualcosa di
porsi in sé e per sé indipendentemente da altro risulta impossibile.
Le nostre esistenze particolari, la vostra e la mia, sono nella mente di Brahma?
L'universale non è consapevole del particolare. Esistere come persona è una
faccenda appunto personale. La persona esiste nel tempo e nello spazio; ha un nome e
una forma; incomincia e finisce. L'universale include tutte le persone, e l'assoluto è
alla radice di tutto e al di là. (Nisargadatta416
Maharaj)
Come si forma la persona?
Esattamente come l'ombra che appare quando la luce intercetta un corpo; la persona
nasce quando la pura autoconsapevolezza è attraversata dall'idea: "io-sono-il -corpo".
E come l'ombra cambia forma a seconda di dove si posa, così sembra che la persona
gioisca e soffra, sia placida e inquieta, acquisti e perda, concordemente ai modelli del
destino. Quando il corpo non è più, la persona scompare senza ritorno; solo il
testimone resta, e il Grande Sconosciuto. Il testimone dice: "io so". La persona dice:
"io faccio". La prima affermazione è limitata, ma non è falsa. La seconda
completamente falsa, perché non c'è nessuno che faccia; tutto avviene da sé, inclusa
l'idea di essere colui che agisce. Allora che cos'è l'azione? L'universo è colmo di
azione, ma nessuno agisce. Ci sono innumerevoli persone: piccole, grandi e
grandissime, che, a causa dell'identificazione, si immaginano di agire, ma ciò non
cambia il fatto che il mondo-d'azione (mahadakash) sia un unico blocco, in cui tutto
influenza e dipende da tutto. Le stelle ci influenzano profondamente, e noi loro.
Ritraiti dall'azione nella coscienza, lascia al corpo e alla mente di agire; è la loro
specialità. Rimani come puro testimone, finché anche la testimonianza si dissolverà
nel Supremo. Immagina una fitta foresta. Col legno degli alberi si ricavano una
tavoletta e una matita per scriverci sopra. Il testimone legge, e sa che mentre matita e
tavoletta sono imparentate alla lontana con la foresta, lo scritto non ha nulla a che
fare con essa. È solo sovrapposto, e la sua cancellazione è irrilevante. La dissoluzione
della persona si accompagna a un senso di grande sollievo; è come liberarsi di un
peso. È come lavare una stoffa dai colori che stingono. Prima si scompone il disegno,
poi scolora lo sfondo e alla fine la stoffa torna bianca. La persona lascia il posto al
testimone, poi anche questi si ritira, e resta la pura consapevolezza. La stoffa che era
stata bianca, lo ridiventa; i disegni e i colori si sono impressi temporaneamente.
(Nisargadatta Maharaj)

Può esserci consapevolezza senza oggetto? E senza soggetto?

La consapevolezza con oggetto è lo stadio della testimonianza.

L'identificazione del soggetto con l'oggetto, a causa del desiderio o della paura, è
la persona.

In realtà lo stato è unico; se è distorto dall'auto-identificazione, lo chiamiamo


persona; tinto dall'essere, è il testimone; decolorato e indefinito, è il Supremo.
(colloquio con Nisargadatta Maharaj)

-PIRANDELLO**
Una realtà non ci fu data e non c'è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere.
Ed eccovi dannati al meraviglioso supplizio d'aver davanti, accanto, qua il fantasma e
qua la realtà (apparire e essere) e di non poter distinguere l'una dall'altra.
417
Ognuno di noi vive portando - consapevolmente o, più spesso,
inconsapevolmente - una maschera dietro la quale si agita una moltitudine di
personalità diverse e inconoscibili. L'uomo infatti è Uno perché ogni persona crede
di essere un individuo unico con caratteristiche proprie. L'uomo però non può capire
né gli altri né tanto meno se stesso. Di conseguenza l'uomo è Centomila perché ha,
dietro la maschera, tante personalità quante sono le persone che lo giudicano;
Nessuno perché, paradossalmente, se l'uomo ha 100.000 personalità invero non ne
possiede nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi nel suo vero "io".

Pirandello dice che la coscienza sono gli altri dentro di te.


"Un lanternino che proietta tutt'intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di
là dal quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non
fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo purtroppo creder vera, fintanto ch'esso si
mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua
dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla
mercè dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione ".
"Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come
possiamo intenderci, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose
come sono dentro di me; mentre che li ascolta, inevitabilmente le assume col senso e
col valore che hanno per sé, del mondo come egli l'ha dentro? Crediamo di
intenderci; non ci intendiamo mai!"

La commedia "Così è (se vi pare)" di Pirandello sostiene che la verità oggettiva non
esiste; la verità può solo essere soggettiva perché dipende dal punto di vista di
chi la osserva (prospettivismo!). I vari componenti dei salotto borghese, dove la
vicenda è ambientata, per porre fine alla controversia su chi sia veramente la signora
Ponza, propongono di convocare la donna in questione e determinare chi sia il pazzo,
fra il signor Ponza e la signora Frola. Ma anche questo estremo tentativo si rivela
fallimentare: infatti l'arrivo della signora Ponza non servirà a far luce sul mistero. La
signora Ponza (allegoria della verità) fa il suo ingresso avanzando "rigida, in
gramaglie, col volto nascosto da un fitto velo nero, impenetrabile ". Irrompe nel
salotto quasi fosse una sacerdotessa di antichi misteri, la fedele del culto dei
relativismo: ovviamente ha il volto velato, in quanto la verità è
inconoscibile. Quando alla fine, il prefetto le domanda la sua identità, la donna
risponde con la celeberrima sentenza: "-Per me io sono colei che mi si crede ",
uscendo poi si scena lasciando gli astanti del tutto attoniti e sconvolti per l'epilogo
della faccenda, a eccezione di Laudisi, il quale concluderà facendosi beffe delle
vanesie pretese di conoscere la verità da parte del sofisticato e gretto parlatorio
borghese: "Ed ecco, o signori, come parla la verità!  Siete contenti?  Ah!  Ah!  Ah! 
418
Ah!  ". La risata finale dei Laudisi è la risata dell'autore stesso, che fin dall'inizio
conosceva l'inutilità dell'indagine fortemente voluta dai benpensanti del paese e la
pochezza della loro curiosità, mossa dal bisogno di catalogare il prossimo entro
ruoli ben definiti.  Questo modo angusto e chiuso di pensare non può far altro che
scontrarsi con una realtà molteplice che sfugge le catalogazioni: il disappunto di
chi continua a non capire e non accetta il prospettivismo è tanto ridicolo, che può
essere commentato solo con una denigrante risata.

Per Tilgher è il vero successore di Leopardi è Pirandello. Ciò lo si evince, in


particolare, nella celebre prefazione al Mattia Pascal, intitolata Maledetto
Copernico, in cui lo scrittore siciliano scriveva che con la confutazione
copernicana del geocentrismo si poteva immaginare che ci fossero altri universi
ed altri mondi possibili e che pertanto le vicende umane assumevano un carattere
veramente relativo, contingente, insignificante.

-PIRRONE**

Pirrone fonda lo scetticismo dopo essere stato in Oriente con Alessandro Magno.
Rinuncia all'essere (nega ogni forma di ontologia) e alla verità e dice che ogni
cosa è vana apparenza. Non scrive nulla. Dice che ogni cosa è e non è, oppure né
è e neppure non è (pensieri tipici della mentalità orientale). Il suo criterio è la
rinuncia al criterio. Dubitava di ogni asserzione, incluse le sue stesse asserzioni a
dubitare di tutte le asserzioni.

All'essere si sostituisce l'apparenza visto che le cose sono indifferenti, immisurabili


e indiscernibili. Si deve quindi negare la fiducia sia ai sensi che alla ragione
restando senza opinione, sospendendo il giudizio (epochè). Nel suo pensiero sono
presenti l'apparire e l'epochè (totale sospensione sia dell'affermazione che della
negazione: per un pirroniano una cosa non è né vera né falsa ma neppure più o meno
probabile).

Come nella fenomenologia, Pirrone dice anche: IL FENOMENO DOMINA


SEMPRE OVUNQUE APPAIA. Chi nega il supremo principio dell'essere deve stare
zitto e non esprimere nulla. Questa è l'afasia pirroniana che è il tacere sulla natura
delle cose. A questa segue l'atarassia che è la mancanza di turbamento quindi la
quiete interiore. L'apatia. Furono pirronisti Arciselao (principio del ragionevole) e
Carneade (principio del probabile) che sono due accademici. Filone di Larissa
seguace di Carneade apre una scuola a Roma intorno all'87 a,c, e dice che abbiamo
solo apparenze che ci danno la probabilità: non perveniamo alla percezione certa
del vero oggettivo ma ci possiamo solo avvicinare a essa mediante l'evidenza del
probabile (ancora negativo).
419
Pirrone è scettico e ci dona l'acatalepsia: l'impossibilità di avere conoscenza
delle cose nella loro intima natura. La via propria del saggio, diceva Pirrone, è di
farsi tre domande. Per prima cosa dobbiamo chiederci cosa sono le cose e come esse
sono costituite. Secondariamente, ci chiediamo come noi siamo legati a queste cose.
In terzo luogo, ci domandiamo come dovrebbe essere il nostro atteggiamento nei loro
confronti. Riguardo a cosa sono le cose, possiamo solo rispondere che non
sappiamo nulla. Noi sappiamo solo come le cose ci appaiono, ma sulla loro
essenza intrinseca siamo ignoranti. La stessa cosa appare differentemente a persone
differenti, e di conseguenza è impossibile sapere quale opinione è corretta. La
diversità di opinioni fra i saggi come fra gli ignoranti, dimostra ciò. Noi possiamo
avere opinioni, ma la certezza e la conoscenza sono impossibili. Di conseguenza il
nostro atteggiamento verso le cose (la terza domanda) deve essere la completa
sospensione del giudizio. Non possiamo essere certi di nulla, neanche delle
affermazioni più banali.
Pirrone non nega la realtà ma nega qualsiasi definizione di essa.
Pirrone fu molto amato da Nietzsche.
Timone (suo allievo scettico) nega la possibilità di avere principi generali evidenti di
per sé (gli assiomi, i postulati di Euclide). Quindi tutto dovrà essere provato
tramite qualche cosa d'altro come in una catena senza fine pendente dal nulla.
Niente dunque può essere provato! Ricordiamo anche che lo stesso Socrate
affermava di non sapere nulla. Arciselao (scolarca) portò l'Accademia su posizioni
scettiche: non espose alcuna teoria ma si limitò a criticare quelle altrui. Suo
successore fu Carneade che nel 156 a.C. fu a Roma a dimostrare prima un concetto e
dopo il suo contrario. Si scontrò con Catone il vecchio che odiava la filosofia e le
mollezze. Seguì poi Clitomaco che, interpretando Carneade, scrisse che la
probabilità dovrebbe guidarci nella pratica visto è ragionevole agire secondo la
più probabile delle ipotesi possibili.
-PITAGORA**
Pitagora, se mai è esistito come persona, ha posto il numero come archè: tutto è
numero! Si dice fosse originario di Samo (vicino a Mileto) e fosse stato allievo di
Anassimandro. Avrebbe poi inventato le parole matematica e filosofia e il concetto
di ordine cosmico: l'armonia delle sfere celesti che ha influenzato il modo di pensare
fino a Einstein. Dialettica fra cosmos e caos.
Il termine stesso di ‘filosofia’ è di origine pitagorica; lo stesso dicasi del termine
‘armonia’ in senso largo […] L’essenza e la forza di questa visione risiedono nel suo
carattere unificante; essa riunisce religione e scienza, matematica e musica, medicina
e cosmologia, il corpo, lo spirito e l’anima in una sintesi ispirata e luminosa. Nella
420
filosofia pitagorica, tutte le parti componenti si incatenano; si è in presenza di una
superficie omogenea come una sfera, per cui non si sa da dove cominciare […]
Tuttavia il concetto di armonia non aveva esattamente il senso che noi attribuiamo
all’ ‘armonia’: non si tratta del gradevole effetto che produce un accordo […] bensì di
qualcosa di più austero: l’armonia non è altro che l’adattamento delle corde agli
intervalli della gamma ed inoltre la figura della gamma stessa. Ciò significa che la
legge dell’universo è l’equilibrio, l’ordine, non la voluttà. In senso ampio l’armonia è
un particolare tipo di rapporto che lega assieme tutti gli enti di un cosmo gerarchico,
dalle stelle ai minerali.
Pitagora era rimasto molto spiazzato davanti ai numeri irrazionali (quale la radice
quadrata di due) ma anche noi, tutt'ora, lo siamo. Sarebbe stato un mistico, un mago,
un taumaturgo e un matematico che fondò una setta cenobitica che accettava anche le
donne e questo gli fa molto onore.
Decretò che la scoperta dei numeri irrazionali quali sono il rapporto fra il lato e la
diagonale del quadrato (1,4142 …) e del pentagono (1,1618 … numero aureo della
serie di Fibonacci), dovesse rimanere segreta per non turbare la presunta armonia
della matematica e del mondo intero. A tal punto, aveva forse sospettato che il
numero potesse non essere l'archè di tutte lo cose.
Insegnava da dietro a una tenda e gli allievi dovevano solo ascoltare per ben cinque
anni. La verità è tale perché ipse dixit. Quasi un immortale che parlava ai mortali.
Poi, dopo cinque anni di formazione, si diventava amici di Pitagora e si condivideva
la sapienza filosofica. Si varca la soglia e si entra a far parte di una setta filosofica
esoterica e aristocratica. Tutti possono varcare la soglia (anche le donne): la filosofia
è per tutti e per nessuno come dice Nietzsche.
I Pitagorici dicevano che il tre è il numero di tutto perché ogni cosa è determinata da
un principio, da un mezzo e da un fine.
La sua parola di base era ARMONIA intesa come musica, matematica, geometria,
cosmologia, politica, nutrimento, dialettica, danza, pedagogia. La filosofia stessa è
Armonia pitagorica fra la vita e la morte e fra tutte le estremità in contrasto.
Anche Eraclito parla di armonia dicendo: Armonia invisibile della visibile è migliore.
Alla base dell'armonia sta il verbo armozein che significa connettere, collegare quasi
stessimo parlando del Logos stesso che è rapporto, nesso oppure parlassimo di
Sylapsis ch vuol dire riunire.
La trasmigrazione delle anime Pitagora la aveva appresa in India?

-PLATONE** che di nome faceva Aristocle


421
Chi è capace di vedere l'intero è filosofo, chi no, no.
Platone, verso la fine del Sofista, riconosce al Non-essere (me on) la stessa
necessità dell'Essere (on): «A questo punto bisogna dire con fermezza che il non-
essere ha una sua stabile natura; di conseguenza, come al grande è stato dato di
essere grande, e al bello di essere bello, allo stesso modo al non-essere è stato dato
di essere». Platone riconosce la legittimità del genere "diverso" (eteron) dimostrando
come esso sia logicamente necessario per intendere il genere "essere".
Secondo Paci, Platone ha sostenuto una teoria relazionale dell’essere. È noto che
per Platone il non essere non è pura e semplice negazione ma ha un suo essere che
consiste nella alterità. Intorno ad ogni idea c’è dunque una molteplicità di esseri e
questo implica la loro dialettica. Paci nota a questo proposito che tale concezione
relazionale dell’essere non è accettabile con facilità perché è contro il dogmatismo
ontologico che tradizionalmente si attribuisce a Platone. La koinonia o relazione in
senso metafisico è invece per Paci la categoria che smaschera l’illusione
dell’irrelazionismo, e che rivela la richiesta talvolta disperata che abbiamo di
comunione e di amore.
Se Whitehead, da buon metafisico, sosteneva essere la “storia della filosofia”
null’altro che un’interminabile parafrasi del pensiero di Platone, io dico che essa (in
realtà null’altro che storia della metafisica) è una parafrasi infinita del pensiero di
Parmenide. Poiché da lui viene Platone. (Tamagnone)
Nell'amore vi è la tendenza a possedere per sempre l'oggetto del desiderio: "Amore è
anche amore dell'immortalità". Alti e bassi di Platone!
Platone voleva liberare gli uomini dalle illusione della caverna. Oggi bisognerebbe
liberare gli uomini dalle illusioni del mondo virtuale di internet. Molta gente infatti
pensa che internet abbia sempre ragione e quindi è la realtà che deve adeguarsi a
internet.
Ci sono indizi che portano a pensare ad un influsso della cultura egizia anche su
Platone, non solo riguardo a questioni di carattere mitologico, religioso, o spirituale
(ad es. sull’anima o sull’aldilà), ma anche a questioni politiche.

Il platonismo considerava il mondo dei concetti più perfetto e più reale di quello
degli oggetti. Platone era dualista? Pare proprio di si visto la netta cesura anche fra
anima e corpo (però la professoressa Linda Napolitano sembra darne una lettura non
dualista).
Pasqualotto scrive un articolo ove accumuna Platone a Fazang: Filosofia greca e
pensiero cinese, alcune comparazioni filosofiche.
422 Sempre Pasqualotto, a pagina 111
del libro Illuminismo e illuminazione, avvicina il mito della caverna platonica con i
dieci quadri (alla ricerca del toro) dipinti da Kuo-an monaco buddista del XII secolo
appartenuto alla scuola Ch'an. In entrambi i casi si cerca la verità per poi condividerla
con gli altri. Il mito della caverna platonico con la sua ricerca della verità e del Bene
è, dunque, assimilabile alla caccia al bue - toro raffigurata in dieci vignette risalenti
al dodicesimo secolo e dipinte nella Cina del pensiero Chan. In entrambi i percorsi si
passa dal buio dell'ignoranza alla luce del risveglio da portare, infine, a tutti gli altri
in un atteggiamento sia gnoseologico che morale (conoscenza e virtù oppure prajna e
karuna).

Materialismo e Spiritualismo: due opposte e correlative superstizioni di parole. Il


medesimo abbaglio e un comune paradosso. Presa tra queste irresolubili opzioni
ideologiche, in questo incomprensibile e insostenibile dualismo platonico - e poi
cartesiano - di corpo e anima, in questa duplice superstizione iscritta nel linguaggio,
così come da Platone lo intendiamo e lo frequentiamo, certamente la filosofia
soccombe al tempo e non ne viene a capo. (Sini)
Analogie tra Platone e le Upanişad:
L'albero rovesciato con le radici in cielo.
Il mito del carro alato.
L'uomo simile alla marionetta.
Il sole come simbolo di verità.
Le classi sociali.
La trasmigrazione delle anime.
La vera conoscenza.
L'Uno e i molti.

Idea è una parola che deriva dalla radice greca id-, a sua volta riconducibile al verbo
orao (vedere). A partire da Platone, il termine indica qualcosa che si può vedere non
tanto con gli occhi del corpo, bensì con l'intelletto. Sta dunque a indicare l'oggetto di
una intuizione intellettuale (Noesis).

I tre gradi della conoscenza: percezione sensoriale, ragione e intelletto. La


percezione sensoriale è sempre positiva o affermativa. La ragione, che è
discorsiva, afferma o nega, tenendo distinti gli opposti (affermando l'uno nega
l'altro e viceversa) secondo il principio di non contraddizione. L'intelletto,
invece, essendo al di sopra di ogni affermazione e negazione razionale, coglie la
coincidenza degli opposti con un atto di superiore intuizione.
423
Platone afferma che è impossibile definire la giustizia in astratto e aggiunge che lo
potrebbe fare solo il giusto perché ha una natura conforme alla giustizia! Pura
tautologia …
Il dualismo ontologico platonico riguarda la fondamentale frattura tra mondo delle
idee e mondo materiale. Il rapporto tra primo e secondo è un rapporto tra originale e
copia. Il mondo delle idee, l'iperuranio, è eterno incorruttibile, perfetto, di contro il
mondo nel quale viviamo è imperfetto e corruttibile.
Mito della caverna: gli uomini stavano incatenati in una caverna, col viso rivolto
verso una parete sulla quale venivano proiettate delle ombre provenienti da oggetti
che si trovano al di fuori della grotta. Per gli uomini quelle ombre rappresentavano
l'unica realtà e questa per metafora è la situazione in cui noi ci troviamo: osserviamo
delle copie credendole originali. Un giorno però , un uomo riesce a liberarsi ed esce
fuori dalla caverna. Si rende conto che quelle che osservava erano soltanto delle
ombre e che esiste tutto un altro mondo pieno di luce e realtà. L'uomo torna nella
grotta per rivelare la sua scoperta, ma la gente non gli crede e lo accusa di dire il
falso. Tanto è radicata in noi la certezza di ciò che ci circonda da render vana persino
l'evidenza. Questo dualismo si ripercuote anche sulla teoria della conoscenza di
Platone (dualismo gnoseologico). Infatti, la conoscenza che deriva dal mondo per
questo filosofo è doxa (opinione) priva di qualsiasi certezza, mentre la vera
conoscenza è quella derivante esclusivamente dall'intelletto. ed in realtà non è
neanche una vera e propria conoscenza, bensì una reminiscenza (ricordo) che l'anima
ha del mondo delle idee. Nella dottrina platonica, accanto al profondo dualismo tra
cose e idee, mondo sensibile e mondo intelligibile, troviamo un dualismo ancora più
netto fra corpo e anima. Il corpo (mortale) è infatti per Platone fonte di illusione e di
errore, a causa dei sensi, mentre l'anima (immortale) consente di conoscere la verità
perché è originariamente partecipe del mondo delle idee. L'anima infatti, prima di
essere unita al corpo (dal demiurgo ovviamente), ha vissuto nell'iperuranio, dove è
venuta a contatto e dunque a conoscenza delle idee. Ecco perché Platone afferma che
"conoscere è ricordare", è reminiscenza (anàmnesi). L'anima è quindi il tramite per ri-
conoscere attraverso le cose sensibili la verità universale delle idee. Strettamente
legata alla dottrina delle idee e alla tesi dell'immortalità dell'anima è il tema del
famoso amor platonico, così spesso frainteso o distorto nel linguaggio comune. Detto
in breve, l'amor platonico è essenzialmente il desiderio (eros) dell'anima di far
ritorno nell'iperuranio per contemplare ancora la bellezza ineguagliabile delle
idee.
La scrittura fa male e rovina la memoria. Platone la condanna fermamente. Non
sembra che avesse gran capacità di prevedere il futuro …

424
Nel pensiero platonico l'anima è il principio di mantenimento e di coesione dei corpi
che sarebbero altrimenti soggetti a un incessante cambiamento e infine a un vero
disintegramento. Cosa che però accade costantemente sia al corpo che alla mente,
carissimo Plato!
L'idea del bene è aldilà dell'essere, trascende l'essenza. Primato ontologico,
gnoseologico ed etico del bene nel mondo intellegibile così come il sole lo ha in
quello sensibile.
Popper scrive che Platone era un totalitario che ha tradito lo spirito veramente
democratico del suo maestro Socrate e della città di Atene. Platone infatti vuole
creare l'uomo nuovo per una nuova società dove comandano i filosofi e non il
popolo.
Socrate si occupò di Morale intellettualistica, Platone di Trascendenza, di Idee.
Aristotele si occupò invece empiricamente di Fisica, di Logica (quindi di realtà
immanente e di fenomeni).
Platone sintetizzò la logica di Parmenide (realtà e apparenza) e il misticismo orfico di
Pitagora. Dice che il filosofo ama la bellezza in sé (la verità) e non le cose belle
(opinioni). Le singole cose non sono reali. La parola gatto intesa come classe
universale dei gatti (quindi idea) è eterna e reale (dice Platone) mentre i singoli gatti
sono solo apparenza.
Per Platone la miglior vita per l'uomo non è la vita della sola intelligenza ma la vita
mista di intelligenza e di piacere!
Platone dice che gli esseri umani sono in realtà balocchi nelle mani di Dio. Questo
concetto, cioè che la nostra vita è, in realtà, un divertimento divino nel quale noi
svolgiamo liberamente la nostra parte nella misura in cui la nostra volontà è
assorbita in quella di colui che conduce il gioco.
L'Eros platonico è la metafora della filosofia in quanto condensa in se l'essenza stessa
del sapere: la sua natura tensionale e desiderante cioè "erotica"!
E' difficile trovare l'artefice e il padre di questo universo e, una volta trovatolo, è
impossibile parlarne a tutti.
Gli astri contempli, mio Astro: potessi farmi cielo stellato, per guardar a te con mille
occhi!
Platone influenza Freud:
Anima concupiscibile e ES froidiano per designare gli istinti, le pulsioni, l'irrazionale.

425
Anima irascibile e SUPEREGO froidiano per designare gli obblighi (più o meno
razionali) imposti dalla società.
Anima razionale e IO froidiano che devono mediare fra le due esigenze di cui sopra.

Il rischio è bello (Platone si riferisce al credere nell'immortalità dell'anima).


Le IDEE esprimono le FORME spirituali e le ESSENZE delle cose. Sopra di loro ci
sono i RAPPORTI numerici che sono i principi primi o supremi.
I molti sono l'uno e l'uno è i molti.
Le stelle hanno l'anima. Il mondo ha un'anima.
L'UNO - bene e la Diade indefinita di grande e piccolo (male). L'UNO - bene, idea,
regola, nomos è superiore al dio-demiurgo che non crea dal nulla.
La maieutica socratica da origine all'anamnesi platonica che è reminiscenza.
Dualismo radicale fra anima e corpo: il corpo è la tomba dell'anima e quindi
bisogna liberarsene.
Il vero filosofo desidera la morte e la filosofia è esercizio di preparazione alla
morte.
Fuggire dal mondo per rendersi simili a Dio? Platone attacca Omero e la poesia
perché dice che bisogna pensare per concetti e non per immagini (come fa anche
l'Oriente). Una vera rivoluzione (forse anche sbagliata).
Il vero poeta è il filosofo: la poesia filosofica platonica è collegata alla ricerca del
vero.
La famiglia e la proprietà verrà conservata solo per la classe più bassa mentre i
guardiani e i filosofi-governanti non potranno averla.
A proposito dei filosofi-governanti viene spontaneo chiedersi: chi li sceglierà?
Sembra infatti di cogliere una chiara auto candidatura di Platone per il ruolo in
questione!
Eugenetica : si alleveranno in comune solo i figli delle coppie migliori! Gli altri al
macero senza però farlo sapere. Si fingerà anche l'estrazione a sorte per gli
accoppiamenti. Platone non ebbe chiaro il concetto di individuo e badò molto di
più alla collettività che al singolo.
Il vero filosofo è colui in cui l'anima razionale ha il sopravvento su quelle irascibili e
concupiscenti. Da buon aristocratico vuole il governo dell'aristocrazia e scambia la
democrazia con la demagogia. Forse però426 un po’ di ragione Platone l'aveva …
Platone pensava che l'abisso tra le idee e la vita potesse essere attraversato dal ponte
del dialogo.
La più bella descrizione di come funziona la scienza, e dei suoi tempi lunghi, l’ha
data Platone, nella sua “settima” lettera, inviata a Siracusa ai familiari di Dione,
quando descrive l’attività del vero “cercatore di verità”: «Dopo molti sforzi, quando
nomi, definizioni, osservazioni e altri dati sensibili, sono portati in contatto e
confrontati a fondo gli uni con gli altri, nel corso di uno scrutinio e un esame cordiale
ma severo fatto da uomini che procedono per domande e risposte, e senza secondi
fini, alla fine con un improvviso lampo brilla, per qualunque problema, la
comprensione, e una chiarezza di intelligenza i cui effetti esprimono i limiti estremi
del potere umano». Magari fosse così semplice …
Inventò le parole metodo che è composto da meta (oltre) e hodos (via); noumeno (ciò
che è pensato cioè l'idea che diventerà poi per Kant la cosa in sé); pensiero (noesis).
Per Platone le idee sono realtà pure, cioè non miste, ingenerate e incorruttibili e
dunque eterne, in se stesse unitarie e semplici, vale a dire dotate di un’unica forma,
sempre identiche a sé, immobili e immutabili, cioè sottratte a ogni forma di
mutamento e  alterazione, indivisibili, e infine intelligibili, vale a dire coglibili
solamente attraverso la facoltà intellettuale e razionale dell’anima. Le idee non sono
quindi "nostre" perché sono superiori a noi originando direttamente
dall'Iperuranio.  
A chi gli chiedeva: «Cosa pensi di Diogene?» Platone rispose: «È un Socrate
impazzito".

Secondo Popper, Platone fu un reazionario collocato apertamente contro le novità della


democrazia ateniese, su posizioni sostanzialmente ostili a quelle dei democratici eredi di
Pericle

-PLOTINO*
Plotino dice che i quattro livelli dell'Assoluto e quindi della realtà - verità sono: En,
Nous, Psyché, Physis. I quattro livelli sono fra loro in relazione e il processo che
permette di passare da un livello all'altro è l'emanazione (o la processione?) e non la
creazione. Da rimarcare che i quattro livelli, secondo Pasqualotto, si possono trovare
anche nell'Induismo, nel Buddismo, nel Taoismo, nella Kabbala e in alcuni mistici
islamici (Ibn Arabi). En è l'assoluto indeterminato, quindi è impossibile
rappresentarlo in concetti, parole e idee perché si pone oltre ogni capacità di
rappresentazione umana. Questo assoluto manca anche di autocoscienza e di
qualsiasi dualismo.
Nous è l'assoluto determinato. Si manifesta a se stesso essendo autocosciente. Si erge
a kosmotheoros nel suo insito dualismo.
427
Psyché è l'assoluto delle forme ideali. Si manifesta come serie infinita di oggetti
mentali: concetti, idee, pensieri.
Physis è l'assoluto che si manifesta nelle forme materiali.
Noi però, quando guardiamo al di fuori di Colui dal quale dipendiamo, ignoriamo di
essere un'unità e siamo come delle facce, numerose all'esterno, che hanno verso
l'interno una testa unica in comune. Ma chi potesse voltarsi o avesse la fortuna di
essere tirato da Atena, vedrebbe come un dio se stesso l'universo: certo, egli non
vedrà dapprima se stesso come universo, ma in seguito, poiché non sa dove collocare
se stesso e come segnare i confini del proprio io, rinuncerà a delimitarsi rispetto
all'Essere universale e raggiungerà l'universo intero senza aver bisogno di farsi
avanti ma restando immobile dove il tutto ha il suo fondamento.
L'Uno è nulla (di determinato e quindi condizione di possibilità per ogni
determinazione) e non ha bisogno di nulla! (Pasqualotto)
Non essere non indica una negazione dell'essere, ma l'assenza di ogni
determinazione, la quale funziona come condizione di possibilità per ogni
determinazione. In tal senso il "non essere" può essere fato equivalere all'Uno.
(Pasqualotto)
Mentre non è in nessun luogo, non c'è nessun luogo in cui egli non sia; questo è
l'Uno indefinibile (che ignora il mondo) di Plotino. Non avremo più memoria
della nostra personalità!

Spogliati di tutto; elimina tutto: sottraiti da tutto. Solo così l'Anima (terza
ipostasi cioè una rappresentazione concreta di una realtà astratta o ideale
cioè una personificazione) può tornare all'Uno non duale (prima ipostasi) che sta
sopra l'Essere e il Nous (seconda ipostasi). Questa tangenza con l'Uno è chiamata
Estasi. L'Estasi non è un tipo di scienza o di conoscenza razionale o intellettuale
(ma attenzione: non è neppure irrazionale o incosciente). E' invece un contemplare
che implica uno stretto contatto senza distinzione di soggetto - oggetto fra chi
contempla e chi è contemplato. Nell'Uno si perde il "sé" e perdendo il "sé" si
supera ogni dualismo.

Ammonio Sacca Di Alessandria (che non scrisse nulla) fu maestro molto ascoltato e
seguito da Plotino (che scrisse per interposta persona: Porfirio) che stette presso di lui
per dodici anni desiderando sperimentare direttamente la filosofia praticata dai
Persiani (I Magi) e quella dominante fra gli Indiani (I Gimnosofisti già incontrati da
Pirrone).
Nel 243 partecipò a una spedizione militare in oriente al seguito di Gordiano III. Fu
una disfatta e Plotino non tornò più ad Alessandria ma andò a Roma dove iniziò a
428
tenere lezioni alle quali partecipò anche Porfirio che scrisse le Enneadi
riorganizzando gli scritti del maestro.
La filosofia plotiniana non è emanazionismo (anche se Pasqualotto parla di
emanazione dall'UNO e ritorno all'UNO), non è panteismo dinamico, non è neppure
creazionismo giudaico ma è contemplazione (theoria) creatrice (poiesis).
Il Bene della Repubblica viene identificato con l'Uno di Parmenide. Il Bene per
l'uomo consiste nel ritornare alla propria origine ovvero al principio di tutto ciò
che è, all'Uno impersonale che è potenza, energia infinita e indefinita dalla quale
tutto proviene. Quasi mai l'uomo è consapevole di ciò e riesce quindi a cogliere
l'unicità del molteplice. La scienza infatti distingue e separa mantenendosi così
nel duale, anzi nel molteplice. Essa quindi non permette di raggiungere l'Uno
che è ineffabile e indescrivibile. Ed è per questo motivo che la contemplazione
dell'Uno non può né essere spiegata e tantomeno insegnata.
Quanto al rapporto Uno e pensiero, Plotino nega all'Uno il pensiero quale dualità
di soggetto - oggetto e molteplicità di contenuti, ma non esclude la possibilità di
un'autocoscienza coincidente con l'essere stesso dell'Uno. Ma ricordiamo però
anche che l'Uno è aldilà dell'essere.
L'intelligenza crea già dualità fra soggetto che pensa e oggetto pensato.
L'anima è invece addirittura molteplice visto che ognuno ha la sua (anche se
pare di capire che conservi la propria unicità immateriale del tipo atman e
brahman).
Il mondo materiale e sensibile si presenta come privazione dell'essere cioè come
nulla e quindi come mancanza di forma.
Per Plotino non è l'anima che è nel corpo ma è il corpo che è nell'anima.
Partiamo dall'UNO assoluto che è al di là dell'essere e dell'intelligenza. L'UNO è
infinitudine cioè immateriale potenza produttrice, infinita (concetto positivo di
infinito) spirituale energia creatrice (quasi l'Apeiron di Anassimandro).
Come definire questo UNO? E' semplicemente ineffabile! Plotino dice però anche
che è Bene (ma non l'Amore gratuito dell'Agapè e neppure il bene - piacere di
Epicuro).
L'UNO non si sdoppia in pensante e pensato perché questo processo
comporterebbe la rottura dell'unità e ci sarebbe dualismo.
L'UNO assoluto è al di là dei contrari che in lui si dissolvono. L'UNO assoluto è
causa sui.
429
Perché e come dall'UNO sono derivate le altre cose? Perché diventa prima
Intelligenza, poi Anima e infine materia? Pensiamo all'esempio di cerchi concentrici
originati dal centro che è l'UNO: la plotiniana processione dall'UNO.
Le cose procedono dall'UNO a seguito dell'attività dell'UNO.
Il Nous, l'intelletto è la seconda ipostasi che procede dall'Uno e qui troviamo già il
dualismo fra chi pensa (e questa è la caratteristica tipica del Nous infatti l'Uno se
vuole pensare deve farsi Nous) e ciò che è pensato (l'essere è il contenuto del
pensiero).
Ma allora che rapporto c'è fra pensiero e essere? Sono la stessa cosa? L'essere è
superiore al pensiero? Il pensiero è superiore all'essere? O, più semplicemente, si
avvolgono vicendevolmente: l'avvolto che avvolge!
L'intelligibile è molteplicità che non può però cogliere l'infinitudine della prima
ipostasi.
Il Nous è anche vita spirituale oltre che essere e pensiero ove ogni idea è ogni altra
idea visto che il Nous è uno-molti vale a dire unità-molteplice e molteplicità-unica . Il
Nous è infinito perché possiede ogni cosa e in ogni cosa ci sono tutte le altre cose
(teorema del tutto in tutto di Anassagora).
Il Nous è il bello ed è anche eterno come la prima ipostasi.
La terza ipostasi, l'Anima è principio di movimento: l'Uno doveva diventare Nous
per pensare e Anima per generare tutte le cose in movimento del mondo visibile: il
cosmo.
L'Anima è la causa stessa che produce il sensibile. L'Anima incorporea ha commercio
con il sensibile. Tutte le anime particolari sono presenti nell'unica anima
universale distinte pur senza essere separate (Thai chi tu cinese!).
Da una parte l'Anima tende alla contemplazione del Nous e dall'altro tende a creare il
mondo sensibile, la physis che è logos che somministra alla materia sensibile le
forme.
Con l'Anima ha fine la serie delle ipostasi del mondo incorporeo e intellegibile
perché sotto di lei esiste solo il mondo fisico ove la materia sensibile, pur essendo
immagine di quella intellegibile (il modello), comporta il male e il negativo perché
l'Uno perde la sua spinta: mancanza e privazione del positivo quindi non essere.
Mancanza di ogni spessore ontologico proprio della materia.
E' come il cerchio di luce che si affievolisce fino a diventare oscurità. Secondo
Plotino il mondo non è pero nato male (come dicono gli gnostici) ma è la più bella
430
immagine dell'originale essendo il mondo nell'Anima che è nel Nous che è
nell'UNO.
L'equazione uomo = anima risale a Socrate, Platone poi la elabora e Plotino la
porta al suo estremo: l'uomo vero è solo l'anima. L'attività dell'anima è la libertà che i
estrinseca nel seguire la virtù che porta al bene.
La libertà risiede dunque nell'immateriale.
Plotino rifiuta la resurrezione della carne come materialismo. Ritorna quindi alla
metempsicosi di Platone. Lo scopo è quello di unire l'anima (incorporea visto che
per Plotino la materia è male) al Divino incorporeo. Sembra di parlare di Atman e
Brahaman.
Immune da qualsiasi alterità, l'Uno è presente sempre a noi, ma noi possiamo
essergli presenti appunto solo quando eliminiamo l'alterità.
L'anima deve spogliarsi anche della parola, del discorso e della ragione discorsiva, di
tutto ciò che fa da impaccio o in qualsiasi modo la divide dall'Uno, perfino della
conoscenza riflessa del proprio essere: Spogliati di tutto; elimina tutto; sottraiti da
tutto.
Spogliandosi di tutte le cose, mediante l'astrazione metafisica, l'anima giunge a se
stessa, giunge all'essere - Nous che poi trascende fino a raggiungere il non essere nel
significato di "Ciò che è al di sopra dell'essere e non essere: l'UNO".
Questa tangenza con l'UNO è l'estasi che è oltre la distinzione razionale fra
soggetto e oggetto essendo unificazione totale con esso: contemplante e contemplato
non sono più due perché si perde se stessi. Pensiero in cerca di unione.
Per chi è andato oltre ogni cosa, la realtà corrisponde al prima di ogni cosa:
qualcosa che è al di là dell'essere. L'UNO!
Tutta la realtà è contemplazione creatrice e silenzio: anche la natura, che fa parte
dell'anima, è contemplazione e silenzio: la contemplazione non ha limiti e neppure
ciò che è contemplato.
Il ritorno all'UNO avviene tramite l'estasi (eliminazione dell'alterità) che è
contemplazione. Stiamo parlando di pura speculazione filosofica autarchica e non di
religione teurgica.
L'estasi plotiniana non dipende da un dono di Dio (come in Filone
d'Alessandria) ma è opera della pura capacità umana secondo un'antica
convinzione greca.

431
Dunque l'estasi è unificazione con l'UNO ASSOLUTO oltre il pensiero e l'essere.
Tipico pensiero orientale?
UNO (bene, ineffabile, infinito, non duale, non persona) - NOUS (duale, essere,
pensiero, vita, bello) - PSYCHE' (natura, logos che contemplando produce). L'UNO
BENE viene ora raggiunto nel silenzio di una fuga da solo a SOLO.
Il Neoplatonismo di Plotino (henologia cioè la metafisica dell'Uno diversa
dall'Ontologia che è la metafisica dell'Essere aristotelico) divenne poi base sia per
una evoluzione politeistica con Giamblico (dopo il 300), Giuliano Imperatore (363),
Proclo, Ipazia nonché di una evoluzione cristiana con Origene cristiano (che fu
udiore di Ammonio insieme con Origene pagano) con anche Agostino e Boezio.
-POLITICA**
La politica è simile alle macchie di Rorschach: ognuno ci vede quello che vuole, anzi,
per megio dire, ciò che lui stesso è. Così, ad esempio, se uno è arrabbiato e
orgoglioso dirà che la politica è rabbia e orgoglio. Chi invece è egoista, e quasi tutti
lo siamo, chiederà alla politica di difendere i suoi interessi particolari e non quelli
dell'intera società, compresi i più deboli. Se un altro ha molti nemici, non penserà di
essere, forse, un poco presuntuoso ed egocentrico ma dirà che questo è un grande
onore! Chi è misogino, e molti uomini lo sono, non si curerà minimamente dei
problemi delle donne. Anche la stessa parola "giustizia"avrà significati
completamente diversi per persone diverse. Infatti chi è di animo buono penserà che
la gustizia è anche misericordiosa. Ciò sarà considerato sotto il vocabolo "vuoto
buonismo" da chi invece pensa alla giustizia come vendetta. E si potrebbe continuare
a lungo! In conclusione, in politica come in tutte le altre faccende, vediamo ciò che
noi siamo e non la realtà esterna.
Le identità nazionali non sono altro che teatro politico che serve alla classe al potere
per tenere coeso il così detto popolo (bue). L'unica vera identità è l'umanità. E poi, a
pensarci meglio, emerge pure che tutti gli esseri viventi hanno una origine comune
siano essi farfalle o uomini. Dunque siamo tutti in stretta relazione su questa terra,
altro che nazionalismo. (Rovelli molto interpretato)
La realtà del mondo è complicata, molto complicata. La politica, in generale e salvo
rare eccezioni, tende invece alle semplificazioni ("prima gli italiani" come se gli
italiani fossero tutti onesti e non ci fossero, tra di loro, assassini e malfattori), tende
alle generalizzazioni ("i rom sono tutti ladri") nonché a declamare slogan vari (tutti
molto superficiali: no tav, no vax, no tap, no euro. Per gestire la complessità
servirebbero invece tre doti che oggi, ma forse non solo oggi, scarseggiano parecchio:
umiltà, competenza e apertura mentale. I politici tendono invece ad essere prepotenti
e ad ostentare la loro incompetenza quasi fosse un merito ("sono uno del popolo e
non delle elites"). In quanto all'apertura mentale i politici toccano il fondo: infatti non
hanno mai dubbi (che, ricordiamolo, sono segno di intelligenza) ma ostentano
432
certezze che, molto spesso si rivelano, del tutto infondate. Chi li ha eletti questi
politici? Gli elettori! E come mai li hanno scelti? Forse perché eletti ed elettori si
assomigliano molto?
Di solito noi scambiamo le nostre idee con la verità. Ciò perché non abbiamo
imparato a dubitare di noi stessi e delle nostre idee. Ciò vale in generale e, in modo
esponenziale, in politica. Quando si parla di politica ci si dimentica della razionalità
perché mettiamo in campo pulsioni tribali, ataviche e molto aggressive.

Il nazismo è stato un feroce scatenarsi dia aggressività. Il nazismo ha cavalcato la


violenza estrema. La giustificazione idelogica immediata per la brutalità e la violenza
era la superiorità della razza e della civiltà germanica, l'esaltazione della forza, la
lettura del mondo in termini di scontro invece che di collaborazione, il disprezzo
per chiunque fosse debole. Una sorgente centrale delle emozioni che danno forza
alla destra non il sentimento di essere forti ma è la paura di essere deboli. Secondo
Mein Kampft il motivo per cui bisogna dominare gli altri deriva dal terrore che
altrimenti ne saremo dominati. Il motivo per cui preferiamo combattere piuttosto
che collaborare è che siamo spaventati dalla presunta forza degli altri. Il motivo
per cui bisogna chiudersi in una identità, un gruppo, un Volk, è per costruire una
banda più forte delle altre bande ed esserne protetti in un mondo di lupi. Ne
seguiranno 70 milioni di morti. E non fu colpa degl altri ma della stupida paura
degli altri. (Rovelli intepretato)

-POLYMATHIA**

"La grande intelligenza abbraccia, la piccola discrimina; la grande parola è luminosa,


la piccola parola è prolissa". (Zhuang-Zi)
Il taoismo dice no alla cultura formale, alla sapienza superficiale (polymathia), alla
tradizione delle conoscenze sacre e immutabili. Segui ancora le antiche tracce??? La
grande sapienza tutto abbraccia la piccola sapienza distingue.
La sapienza superficiale (polymathia) concepisce la realtà come un insieme di
cose irrelate e fisse fra le quali anche un certo ego che invece e una struttura
dinamica e relazionale e non è un nucleo saldo e puro come lo pensa Cartesio. Non
trasformare l'ego che è solo un caso particolare di connessioni dell'energia-tao-physis
nel centro di tutte le connessioni. E' saggio dire che tutte le cose sono una sola,
compreso l'io. L'unico vero io è la vita eterna.
La sapienza superficiale crea un mondo illusorio: non bisogna comportarsi come figli
dei padri.
-POMPONAZZI**
433
Pomponazzi, nel De Immortalitate Animae dice che l'anima non può
strutturalmente fare a meno del corpo giacché, privata del corpo, non potrebbe
svolgere la funzione sua propria non avendo alcuna possibilità di agire senza il corpo.
Per fede però accetta l'immortalità dell'anima. Doppia verità!
La virtù, la morale hanno più valore nel caso della mortalità che in quello
dell'immortalità ove si fa il bene per avere una ricompensa.
L'anima è materiale se paragonata all'immateriale ed è immateriale se paragonata al
materiale.
Nel De Incantationibus scrive che tutti gli eventi possono essere spiegati con il
principio della naturalità senza eccezione alcuna (esclude quindi la possibilità di
miracoli). Include nel naturale anche l'influsso delle stelle e dei pianeti.
Nel De Fato scrive che, come filosofo naturale, appoggia gli stoici che ponevano il
fato come sovrano ma come cristiano nega il fato e si affida alle verità di fede.
Supera infine anche Aristotele dicendo che l'esperienza è l'unica vera maestra.
Pomponazzi dice che l'immortalità dell'anima individuale serve per poter indurre
gli uomini alla virtù tramite premi e punizioni eterne. L'uomo saggio invece è
virtuoso pur dubitando che l'anima individuale sia mortale.
-PRAJNAPARAMITA -KARUNA***
Intelligenza e amore in azione.

Prajñā è un sostantivo sanscrito che indica la saggezza, la conoscenza o


l'intelligenza.
In ambito buddhista la prajñā è la "conoscenza/saggezza suprema" che consente di
raggiungere in modo diretto il risveglio spirituale detto bodhi. Tale conseguimento di
"conoscenza/saggezza suprema" sarebbe frutto non solo dello studio e della
riflessione intellettuale, quanto piuttosto della pratica meditativa, in particolare di
quella indicata con il termine vipaśyanā (in pāli vipassanā).
In ambito buddhista, segnatamente nella scuola mahāyāna, essa corrisponde anche al
"discernimento" ovvero a quella facoltà mentale che consente di analizzare le qualità
dei fenomeni percepiti.
In ambito mahāyāna Prajñā è anche il nome di una bodhisattva/mahāsattva,
personificazione della "saggezza".
L'etimologia di Prajnaparamita: prajna (sapienza, conoscenza, saggezza) -
param (altra sponda) - ita (andata). Riassumendo: la conoscenza - saggezza
andata all'altra sponda cioè oltre. Ha eliminato ogni forma di attaccamento.
434
In che cosa consiste questa conoscenza salvifica? Consiste semplicemente nel
capire, a livello pratico e non solo teorico, l'importanza della vacuità (sunyata).
Vale a dire: sabbe dhamma anatta (ogni cosa è priva di un vero sé)!
Questo, però, è solo il primo passo per il Bodhisattva (l'essere - sattva illuminato
-bodhi). Infatti prajna senza karuna (compassione) non è completa. Dunque si
deve coltivare l'amore per il prossimo, come diciamo noi occidentali. Ma,
attenzione, se gli altri sono solo vuoti fenomeni impermanenti (anicca), che senso
ha prendersi cura di loro? Il Mahayana (grande veicolo buddista) ci chiarisce
che la prima, vera e grande realtà è prajna senza però disdegnare, in subordine,
anche karuna. Ciò anche perché gli esseri, ancorché vuoti e inessenziali come
tutto, non sono assolutamente inesistenti e, quindi, le loro sofferenze hanno pur
sempre un certo grado di realtà.
Secondo la Prajnaparmita le entità della realtà empirica sono solo dei nomi,
costruzioni linguistiche - concettuali che non hanno alcun fondamento ontologico
assoluto. La stessa Prajnaparmita non è altro che una vuota denominazione così
come lo sono l'illuminazione, il bodhisattva e il Buddha stesso.
Karuna (in sanscrito), è, per il buddismo, compassione, empatia, pietà,
misericordia, amore, benevolenza, carità cioè il vissuto del desiderio del bene nei
confronti di ogni essere.
La dottrina e la pratica mahāyāna della "compassione" si fondano sulla
consapevolezza (saggezza prajñā) della "Verità della Via mezzo" (sanscrito mādhya-
satya) predicata da Nāgārjuna ovvero sulla compresenza della "assolutezza"
(paramārtha-satya) o vacuità (śūnyatā-satya) e della "singolarità" o "provvisorietà"
(saṃvṛti-satya) in ogni aspetto della Realtà ultima per cui essendo "Tutto" privo di
esistenza intrinseca, interdipendente, ogni fenomeno esiste sia nella sua natura
soggettiva ("convenzionale") e contemporaneamente nella sua relazione con gli altri
("assoluta") rappresentando la "singolarità" una delle molteplici manifestazioni di
un'unica Realtà ultima: singole facce di un «grande brillante». Le distinzioni che la
mente opera di continuo, unicamente dividendo e classificando in categorie le
percezioni, sono viste, dunque, come illusorie e l’ego, se non compreso anche
olisticamente con l'intera Realtà, è solo un'illusione poiché non esiste un io separato
da tutto il resto.
Per questa ragione il buddhismo Mahāyāna non predica il "distacco" nei confronti dei
sentimenti e dei vissuti quale l'amore e la pietà, ma fonda la sussistenza di ciò sulla
corretta comprensione della Realtà ultima (saggezza prajñā).
Quindi non vi può essere "compassione senza saggezza", né "saggezza priva di
compassione".
-PRINCIPIO DEL TERZO ESCLUSO **
435
Se, come afferma l'antico pensiero orientale e, in particolare, Nishida, la realtà è
contraddizione, come potrà essere giustificato il principio logico del terzo escluso
o della non contraddizione? Forse semplicemente dicendo che la logica e la
realtà non sono facilemente sovrapponibile.
Tutti siamo educati alla chiarezza e alla precisione. Se vuoi essere chiaro e preciso
devi muoverti sul piano orizzontale; là A è A, B è B, ed A non è mai B. Ma
nell’abisso misterioso del piano verticale, i confini si incontrano e si perdono l’uno
nell’altro: l’uomo è donna, la donna è uomo; ciò che è giusto è sbagliato, ciò che è
sbagliato è giusto; l’oscurità è luce, la luce oscurità; la vita è morte, la morte è vita -
tutti i confini si incontrano e si fondono.

Cusano tenta un superamento del comune modo di ragionare che è fondato sul
principio si non contraddizione. Egli può tentare una giustificazione della
possibilità di questo superamento sfruttando la genesi platonica dei tre gradi
della conoscenza: percezione sensoriale, ragione e intelletto. La percezione
sensoriale è sempre positiva o affermativa. La ragione, che è discorsiva, afferma
o nega, tenendo distinti gli opposti (affermando l'uno nega l'altro e viceversa)
secondo il principio di non contraddizione. L'intelletto, invece, essendo al di
sopra di ogni affermazione e negazione razionale, coglie la coincidenza degli
opposti con un atto di superiore intuizione.

Il principio di contraddizione si estende all'universo dei rapporti umani, e


specialmente del discorso, ma non alla vera natura delle cose. Per chi segue la
via di mezzo affermare l'identità o la contraddizione nel cuore delle cose, sono
solo dei punti di vista della mente. Identità, contraddizione, differenza,
opposizione e finanche relatività sono dei punti di vista della mente. (Bugault)

La logica quantistica sfida apertamente il principio del terzo escluso: una stessa
proposizione può essere vera o falsa a seconda di chi si interroga.

Nagarjuna afferma che negare che l'universo è finito non significa affermare che
l'universo è infinito. Anzi rincara la dose asserendo anche che l'universo può
essere contemporaneamente finito e infinito oppure né finito e neppure infinito.
In tal modo viene annientato il principio del terzo escluso ove si asserisce che se
A è B significa che non è vero che A non è B. Nagarjuna va al di là della logica
del vero e del falso affermando il non senso di entrambi i due contradditori.

Il pensiero che poggia sul principio di non contraddizione è un pensiero che


semplifica il reale, perché non è in grado di coglierne l’intrinseca complessità. È un
pensiero che contrappone l’uno al molteplice non riuscendo a coglierne
l'intrinseca e armoniosa relazione. Secondo il principio del terzo escluso un
elettrone deve o essere in dato luogo o non essere in quel dato luogo. E invece non
è così! L'elettrone ha un atteggiamento probabilistico: secondo una certa percentuale
436
di probabilità è in un dato luogo e per una certa altra probabilità è in un altro luogo!
Nessuna certezza.

Il paradigma di semplicità è un paradigma che mette ordine nell'universo, e ne


scaccia il disordine. L'ordine si riduce a una legge, a un principio. La semplicità vede
sia l'uno, sia il molteplice, ma non può vedere che l’Uno può essere nello stesso
tempo Molteplice.

Il principio del terzo escluso si basa sul ragionamento duale che impone "o è così o
non è così" mentre il prospettivismo si limita ad asserire che "è anche così ma non è
solo così".

-PRINCIPIO DI IDENTITA' -PRINCIPIO DI INDIVIDUAZIONE **


Il senso comune assume l'identità come un dato evidente o come un fatto certo,
indubitabile. Risponde Nietzsche "Ciò che mi divide nel modo più profondo dai
metafisici è questo: non concedo loro che l'io sia ciò che pensa; al contrario
considero l'io stesso una costruzione del pensiero, dello stesso valore di materia,
cosa, sostanza, individuo, scopo, numero; quindi solo una finzione regolativa, col
cui aiuto si introduce, si inventa in un mondo del divenire, una specie di stabilità
e quindi di conoscibilità".
Non esistono identità a se stanti: prese isolatamenteesse non posson nemmeno
essere concepite, perché ogni A si da sempre solo in relazione a ciò che non è A.
(Nishida)
Nello stato dionisiaco l'individuo si libera del principio di individuazione, si rende
conto che la sua individualità è illusoria, e “ognuno si sente non solo riunito,
riconciliato, fuso con il suo prossimo, ma addirittura uno con esso”. Possiamo quindi
dedurre che il dionisiaco è il mondo della verità extramorale, della verità non più
legata al principio di individuazione. (Nietzsche)

Ogni identità (individuo o stato) non è mai isolata ed autonoma ma è sempre in


relazione con tutte le altre. (Nishida)
La dottrina dionisiaca dell'Unità iniziale di tutte le cose. La dottrina apollinea
dell'Individuazione come sofferenza e rottura dell'unità. (Nietzsche)
Proteggendo se stessi si proteggono gli altri; proteggendo gli altri si protegge se
stessi. Questo dice il Buddhismo che propugna una vita sociale e non prettamente
individuale sempre comunque ricordando che sia l'io che gli altri sono ANATTA.
Ciascun ente, compreso l'essere umano, è composto solo da relazioni! Ciascuno
risulta essere qualcuno solo perché è in rapporto con qualcun altro, ossia in quanto
luogo di raccolta, di arrivo e di partenza di
437molteplici funzioni e relazioni. In tal
senso, all'idea di " individuo" , corrispondente all'immagine di un punto isolato,
si dovrebbe sostituire quella più realistica di una rete di interconnessioni.

Non sembra arbitrario concludere che l'esercizio del pensiero umano, a Est come a
Ovest - almeno nei suoi esponenti più significativi - non solo non è mai riuscito di
produrre una convincente e sostenibile teoria dell'identità relativa, ma
addirittura, in certi casi, è riuscito ad elaborare e trasmetterci fondamentali teorie
dell'identità relativa o, meglio, relazionale: da intendersi non in senso debole - come
si trattasse semplicemente di una identità determinata che si mette in relazione con
altre determinate identità -, ma in senso forte, intendendo cioè ogni identità in
quanto formata, intessuta, costituita, in ogni momento della sua vita, di alterità.
(Pasqualotto)
Deridda mette in atto il tentativo decostruire le istanze identificatorie che
precludono l'apertura all'altro.
E se il peccato originale fosse semplicemente il paradigma dell'individuazione?
L'errore fondamentale che l'umanità ha compiuto a un certo punto è stato
sperimentare la separazione dalla totalità della vita: l'individualizzazione. In quel
momento l'uomo, con la coscienza di sé, si è separato definitivamente dalla vita che
lo circondava e l'isolamento è stato tale da provarne paura. Il bisogno di tornare di
nuovo a fare parte di questa totalità ha creato un intenso bisogno di assoluto,
nella speranza che gli obiettivi di tipo spirituale - Dio, la verità o la realtà - lo
aiutassero a tornare a far parte di quel tutto. Tuttavia lo stesso tentativo di divenire un
tutt'uno o di integrarsi nuovamente nella totalità della vita lo ha allontanato sempre di
più. (U.G)

L'identità è uno dei tanti miti. Nessuno può presumere di possedere un'identità
isolata nello spazio e fissa nel tempo data la natura relazionale e transitoria della
realtà.
Come i fiumi che scorrono spariscono nel mare, perdendo nome e forma,
egualmente colui il quale conosce, liberatosi da nome e forma e
dall’individuazione, penetra nel Purusa divino (Spirito Universale) che è più in alto
di ciò che è in alto. (Mundaka Upanishad)

La mistica del ritorno all'Uno di Meister Eckhart. Nel momento del ritorno
all'Uno, si realizza una teologia negativa che riguarda anche la vita spirituale, le leggi
e riti della religione: la perfezione morale e l'imitatio Cristi sono per «l'essere ciò che
Dio è», come Lui, non in unità con Esso. La persona rinuncia a tutto ciò che è
opera dell'individualità: non sente desiderio o timore; rinuncia ad avere, agire,

438
conoscere; rinuncia all'esercizio della memoria, dei sensi, del giudizio etico o
estetico. Il percorso esclude i viaggi, l'impegno politico, l'arte, le scienze e le opere.

L'ego è un cosmo che si auto ritiene individualizzato così come un fiocco di neve è
acqua individualizzata.
L'errore fondamentale che l'umanità ha compiuto a un certo punto è stato, forse,
sperimentare la separazione dalla totalità della vita: l'individualizzazione. In quel
momento l'uomo, con la coscienza di sé, si è separato definitivamente dalla vita che
lo circondava e l'isolamento è stato tale da provarne paura. Il bisogno di tornare di
nuovo a fare parte di questa totalità ha creato un intenso bisogno di assoluto, nella
speranza che gli obiettivi di tipo spirituale - Dio, la verità o la realtà - lo aiutassero a
tornare a far parte di quel tutto. Tuttavia lo stesso tentativo di divenire un tutt'uno o di
integrarsi nuovamente nella totalità della vita lo ha allontanato sempre di più. (U.G)
Ogni identità non si costituisce, in un primo tempo, in sé e per sé, e poi, in un
secondo tempo, entra in relazione con una identità diversa, ma essa si costituisce,
fin dall'inizio, da relazioni con identità diverse che, a loro volta, si costituiscono
in modo relazionale. (Pasqualotto)
Ogni individuo, prima considerato auto sussistente, si rivela invece sostenuto da tutti
e sostegno esso stesso. (Ghilardi)
La diversità è costitutiva dell'identità. Un sapere fondato sull'identità conduce a
una visione atomistica, dove ciò che conta è la separazione di un essere dall'altro,
mentre una sapienza fondata sulla funzione costitutiva della diversità conduce a
una visione complessiva, dove ciò che conta sono le relazioni tra gli esseri.
(Pasqualotto)
La comprensione dell'identità è insita nella differenza perché tutto ciò che possiamo
esperire o pensare è solo in quanto è in relazione con tutto ciò che ad esso è esterno,
estraneo, diverso. Determinazione reciproca. Relazione determinante.
La giusta lotta va condotta contro la resistenza a comprendersi nell'unità con l'altro,
riconoscendo al contempo la sua dissomiglianza; è quella che vuole la liberazione
dall'ente particolare, individuo: dal momento che esso non è se non grazie alla trama
di relazioni di cui è parte. (Pasqualotto)
Nella cultura orientale, dal buddismo al taoismo e allo zen, la figura e il ruolo
dell'individuo non sono affatto centrali.
Nishitani approfondisce i concetti dell'individualità e della relazione. Egli
afferma, in linea con il pensiero del maestro Nishida Kitaro, che dal punto di vista
della sūnyatā non esiste nessun Sé definito e sostanziale ma solo un nodo di
relazioni nella trama della coproduzione condizionata di tutti gli esseri. Rifacendosi a
Nietzsche, di cui è un attento critico fin dal periodo degli studi con Heidegger,
concepisce il Sé solamente come una maschera che, a sua volta, è una maschera per
altre maschere che, in definitiva, non si appoggiano a nulla.
439
Un ruolo essenziale è giocato dal concetto di individualità e dalla nozione di
persona. La verità come fondamento, ossia la validità euristica dell’attività
intellettiva individuale nella sua funzione trascendentiva, pone il concetto di
persona come dato irrinunciabile per il rapporto umano con Dio. La nozione
agostiniana della “confessione”, del viaggio nell’interiorità personale quale
modalità di incontro con il divino: la nozione di io è necessaria nell’incontro con
Dio.  Quest’ultimo è un principio personale, cui deve corrispondere un io
individuale.
Frontalmente al contrario, la cultura chan disintegra tale nozione di soggetto,
in quanto l’io così inteso è precisamente la scaturigine del dolore, della sete
illusiva umana. Non riuscire ad abbandonare la propria individualità vuol dire
non poter evadere dalla ruota del sasmara.
Queste due opposte visioni dell’individualità tradiscono due differenti
paradigmi ontologici di partenza: uno, quello del Chan, dove il principio non
può additarsi altrove che in un neutro processualismo vuoto, innanzi a cui il
pensiero, essendo in esso i contrari non contraddittori, naufraga; un secondo,
proprio di Anselmo, nel quale il principio, essendo un Dio personale, è
determinato, e ad esso il pensiero deve corrispondere, anzi: il pensiero stesso è il
luogo della connessione umana a Dio. Poiché la capacità razionale è lo
strutturarsi stesso dell’individualità, ecco vediamo svelarsi la scaturigine delle
due differenti concezioni dell’io umano sopra schizzate: i due differenti
paradigmi ontologici che esse presuppongono.

Individuazione? Ma cosa vuol dire? L’individuo è unico e pure è il tutto. La


filosofia comincia quando questo uno - singolo scopre che ha in sé relazioni
tipiche, essenziali con tutto il resto. Nessun fatto è solo individuale, nessun fatto è
solo universale. (Paci)

La mentalità comune è portata a credere che l'individuo venga prima della


relazione nel senso che la relazione si instaura, a posteriori, fra due o più individui
già esistenti. Ma cosa è un individuo? E' qualche cosa di indiviso, di chiuso in se
stesso, di ben individuato e di autonomo. Costui, con una deliberazione del suo libero
arbitrio, decide di entrare in rapporto relazionale con altri da lui. La sua identità
personale è condizione fondamentale per sviluppare la socialità. Questo però, dice il
professor Adriano Fabris ordinario di Filosofia Morale presso l'Università di Pisa, è
un modo sbagliato di ragionare e di pensare. E' sbagliato sia da un punto di vista
antropologico che da quello cristiano. Infatti il Cristianesimo si basa sul principio di
persona (e non di individuo). Cosa è la persona? Etimologicamente è la maschera
teatrale nel senso che è ciò che sta davanti agli occhi. Comunque il
termine persona proviene del latino persōna, e questo probabilmente
dall'etrusco phersu (‘maschera dell'attore',
440‘personaggio’), il quale procede dal greco
πρóσωπον [prósôpon]. Il concetto di persona è un concetto principalmente filosofico,
che esprime la singolarità di ogni individuo della specie umana in contrapposizione al
concetto filosofico di “natura umana” che esprime ciò che hanno in comune. Ma la
persona rimanda alla relazione che si instaura, magari tramite un semplice saluto, con
l'alterità: ciao, buon giorno, pace a te! La persona è quello che è perché è inserita in
una relazione che è primaria rispetto a tutto il resto. Noi non siamo mai padroni di noi
stessi e della nostra identità (che nega la relazione perché impegnata ad affermare se
stessa contro tutti essendo, quasi sempre, una identità chiusa). L'identità aperta invece
è più rischiosa perché mette a rischio la relazione stessa. I narcisisti, gli egoisti, i
prepotenti, gli ignoranti rendono difficili le relazioni perché tendono a chiudersi. Le
persone aperte invece facilitano le relazioni perché tendono a comunicare (mettere in
comune). Ci sono quindi relazioni malate che uccidono la relazione e relazioni
sane che creano altre relazioni.
Noi occidentali crediamo che l'individuo sia costituito come un atomo, come
qualcosa di isolato, in grado di stabilire un rapporto con altri individui, ovvero con
altri atomi, con altre cose isolate. In Oriente, e in particolare nel buddhismo
originario e nel taoismo, la concezione dell’individuo è completamente diversa. La
concezione colà dominante insiste nel considerare che ciascuna cosa, e quindi anche
gli individui, è in sé plurale, differenziata. Ne segue che l'altro non viene mai
categorizzato da queste concezioni come qualcosa posto al di fuori di noi, ma è
sempre, innanzi tutto, un essere presente dentro di noi, se non addirittura dentro
qualsiasi altra cosa. (Pasqualotto)
A proposito della permanenza dell'identità nel tempo vale il paradosso della nave di
Teseo: se vengono progressivamente sostituite tutte le parti della nave, alla fine si
potrà dire che è ancora la nave di Teseo? In termini ontologici: un'entità, una volta
che sia stata modificata nella materia presupponendo che non vari nella forma (anche
se ciò è pressoché impossibile), è ancora la stessa entità? La domanda vale,
ovviamente, per qualsiasi tipo di identità e la risposta è chiaramente NO.
L'individuo sarà colto come una realtà relativa, come una certa fase dell'essere che
suppone prima di essa una realtà preindividuale e che, dopo l'individuazione, non
esiste in modo affatto isolato, poiché l'individuazione non esaurisce improvvisamente
le potenzialità della realtà preindividuale, e, d'altra parte, ciò che l'individuazione fa
apparire non è solo l'individuo ma la copia individuo - ambiente. L'individuo è
pertanto relativo in due sensi: perché non è tutto l'essere, e perché risulta da uno stato
dell'essere in cui non esisteva né come individuo né come principio di
individuazione. (Simondon)
In definitiva, seguendo le indicazioni di Simondon - più volte riprese da Deleuze
-, si potrebbe dire che l'individuo, in ogni fase della sua esistenza, non può mai
venir considerato come un semplice punto irrelato, come un atomo, ma deve
sempre venir colto come un centro di relazioni.
441
Il relazionismo ha un valore ecosofico, perché aiuta a scalzare la tendenza di vedere
gli organismi o le persone come qualcosa che può essere isolato dal proprio
ambiente. Parlare di integrazione tra gli organismi e l'ambiente dà origine ad
associazioni sbagliate, perché un organismo è un'interazione. (Naess)
Ciò che deriva da questa impostazione è la necessità di cogliere ciascun organismo,
fin dal suo sorgere e in ogni momento della sua esistenza, come un sistema
dinamico di relazioni attive con il suo ambiente, superando così l'idea semplicistica
di organismo come entità costituita di per sé in modo autonomo, la quale soltanto in
seguito e in modo accidentale si mette in relazione con il suo ambiente.
Mediante il processo di individuazione ciascun individuo si riferisce a caratteristiche
che lo distinguono dagli altri, sia dai gruppi a cui non appartiene, sia dagli membri
del proprio gruppo. (Pasqualotto)
E' all'antropologia, soprattutto ad alcune sue recenti forme di riflessione critica, che
dobbiamo riconoscere il merito di aver radicalmente messo in questione la legittimità
ed il valore del concetto di "identità" inteso in senso stretto, ossia nel senso in cui
pretende di descrivere compiutamente realtà chiuse, autonome, indipendenti nello
spazio e statiche, immobili nel tempo. (Pasqualotto)
Noi non siamo solo un individuo, un piccolo atomo autonomo, un impero
nell'impero. No, noi siamo un universo di relazioni.
L'individualità si costruisce tramite separazione. La persona si costruisce
tramite relazioni.
Il principio di individuazione è ciò che permette ad una qualsivoglia individualità
esistente di presentarsi, per l'appunto, come individualità, ovvero, in termini
aristotelici, come sostanza singola o prima. Il principio di individuazione svolge un
ruolo di rilievo nel contesto della disputa sugli universali e più in generale nel
rapporto che sussiste tra forma, materia e categoria. Come già accennato si può far
risalire tale principio sino ad Aristotele. Lo Stagirita affermava che la sostanza
realmente dotata di esistenza (dunque individuabile) è solo ed esclusivamente la
sostanza singola, o sostanza prima, ovvero l'individuo dato dall'unione
di forma (determinazione categoriale universale) e materia (che conferisce le
peculiarità individuali). Un'importante ripresa del dibattito sul principio di
individuazione si è verificata tra i secoli XII e XIV conseguentemente alla riscoperta
di Aristotele e all'applicazione delle dottrine aristoteliche alla ontologia scolastica.
Particolarmente rilevanti sono in questo contesto le posizioni di Duns
Scoto e Guglielmo d'Ockham. Il primo avendo una concezione realista degli
universali proponeva una ulteriore mediazione tra materia e forma che consentisse il
sussistere della sostanza singola, essa consisteva di una proprietà che doveva
sommarsi alla quidditas e alla materia cui diede nome di Ecceità. D'altro canto
Ockham sostenne la perfetta inutilità del principio di individuazione in quanto, per la
sua posizione nominalista, considerava l'universale come pura determinazione
concettuale e dunque le uniche realtà esistenti sarebbero state quelle individuali.
442
Per Arthur Schopenhauer il concetto di principium individuationis è strettamente
connesso a quello di principio di ragione. Per Schopenhauer la Volontà di vivere
("Wille zum leben") che finisce per auto-limitarsi nella concatenazione di spazio,
tempo e causalità, è da principio infinita e libera. "In realtà la volontà non è in grado
di limitarsi se non come atto volontario dell'individuo che decide liberamente di
negarla. La volontà raggiunge la sua massima espressione nell'uomo capace di
autocoscienza e fornito di ragione e capace in alcuni casi di elevarsi al di sopra del
principio di causa e conoscere la cosa in se'. Le "limitazioni" di spazio e tempo come
qui sopra viene accennato non sono nient' altro che le forme della rappresentazione e
quindi il modo in cui l'uomo può conoscere il mondo intuitivamente." Fattasi oggetto,
la Volontà perde la propria infinità ed è a quel punto che sorgono gli individui,
apparentemente differenziati e irrimediabilmente separati l'uno dall'altro. "La volonta
non perde il suo essere infinito diventando individuo o cosa determinata. Ogni cosa è
manifestazione della volontà per Schopenhauer ed ogni cosa è la manifestazione
dell'idea platonicamente intesa se conosciuta. È il principio di causa, che è
semplicemente la forma della nostra intuizione, che conosce il mondo in quanto
molteplicità." Il principium individuationis è per Schopenhauer "la forma del
fenomeno", cioè come esso appare in esteriorità. Il principium individuationis può
allora essere definito come l'illusione del numero e della differenziazione, aspetto
del Velo di Maya. E questa differenziazione, pur se solo illusoria, porta i fenomeni a
scontrarsi l'uno con l'altro, poiché non comprendono di essere, in fondo, la medesima
volontà oggettivata." Che i fenomeni di scontrino l'un l'altro perché non si rendono
conto di essere una medesima volontà sembra quanto meno bizzarro. La conoscenza
conduce l'uomo alla possibile liberazione e comprensione di essere una
manifestazione tra le tante della volontà e a potersi elevare negando la volontà stessa.
In forma più semplice ciò che intende Schopenhauer per principium individuationis è
la "Molteplicità" "determinata, in modo assolutamente necessario, dal tempo e dallo
spazio e che è pensabile solo in essi".
Quando Nietzsche, nella Nascita della Tragedia Greca scrive che lo spirito
dionisiaco annulla il principio di individuazione, annulla cioè le categorie civili,
statali, morali, intende allora riferire come nell'ebbrezza del Satiro, che è la verità,
l'uomo colga l'orrore, l'atrocità, della propria esistenza. Il principio di individuazione,
riflesso dell'istinto apollineo, tuttavia è necessario - al fine che l'uomo non si
autodistrugga nel proprio lacerante grido (Iakchos) di dolore.
Ma, perché è l'ebbrezza ad esser considerata come verità, e non invece la ragione, il
principio di individuazione? Nietzsche è chiaro: "la musica precede l'idea", così
Dioniso precede Apollo. Qui, compaiono già le linee che portano a comprendere il
complesso discorso nietzschiano: la musica, infatti, precede l'idea a causa della
propria immediatezza. Ciò ch'è immediato è senz'altro vero, perché è conosciuto
senza i filtri della ragione; in tal senso, Nietzsche parla di conoscenza tragica
contrapponendola alla conoscenza ideale, che con la logica ha creato la menzogna.
Quindi, il principio di individuazione, in quanto apollineo, non può costituirsi
443
come verità poiché non coincide con la realtà, ma con una "immagine di sogno
simbolica". Ciò che pare singolare nel pensiero di Nietzsche ne La nascita della
Tragedia è il fatto che il suo principium individuationis che trionfa nello stato
apollineo è rappresentato dalla capacità di contemplare la "bella parvenza" sia nel
nello stato di veglia sia nel sonno, attraverso la visione dei sogni. Tale
contemplazione solare caratteristica di Apollo pare aderente alla contemplazione
descritta da Arthur Schopenahuer che diversamente descrive tale contemplazione
come ciò che spezza e va oltre il principio di individuazione. Da ciò si evince che la
contemplazione schopenhaueriana che libera l'uomo dalle catene del principio di
ragione (principio di individuazione) nel perdersi nell'oggetto contemplato,
rappresenta per Nietzsche invece il trionfo di questa individuazione (la
contemplazione della scultura rappresenta per Nietzsche l'apice di questo stato
apollineo). Lo stato dionisiaco a sua volta strappa il principio di individuazione e
rende l'uomo partecipante alla forza della natura primigenia. Come non
accostare questo stato dionisiaco al concetto di volontà di Schopenhauer? Nietzsche
considera però apprezzabile pienamente la volontà ed anzi solo vivendola nella sua
pienezza può rendere l'uomo veramente libero e creativo. Ad ogni modo sia per
Nietzsche che per il suo maestro Schopenhauer la musica rappresenta l'arte più
perfetta attraverso la quale la volontà per Schopenhauer e la forza primigenia di
Dioniso per Nietzsche hanno la possibilità di vivere nella loro pienezza. Ciò in cui
però i due filosofi non sembrano mai spiegarsi pienamente è il modo nel quale queste
forze riescano a rivelarsi nelle opere d'arte figurative (e quindi non immediate dal
punto di vista espressiva come la musica). Il principio d'individuazione nei due
filosofi sembra spezzarsi vivendo due stati diversi: Schopenhauer nella
contemplazione libera dell'oggetto e Nietzsche nella liberazione ebbra di Dioniso nel
vivere pienamente la volontà, e proprio in quei due frangenti in cui l'uomo sembra
avere la facoltà di creare artisticamente.

Il principio di individuazione, Criterio o elemento della determinazione ontologica


dell’ente singolo che rende ragione della sua unità e indivisibilità e quindi della
differenziazione di due cose l’una eguale all’altra o – laddove la sostanza comune o
universale sia intesa come ontologicamente prioritaria – di più individui esistenti in
una stessa specie. È il principio della conoscibilità dell’ente singolo e richiama il
grande problema logico e metafisico dell’identità e della differenza. Tale principio ha
avuto diverse applicazioni a seconda delle epoche e dei contesti di volta in volta
interessati.

L’individuazione nel pensiero antico e medievale. Il primo tentativo di definizione


della conoscibilità dell’ente singolo si deve
444ad Aristotele. Interrogandosi sullo statuto
ontologico degli enti naturali, e ricercando quindi i principi che diano ragione del loro
mutamento, lo Stagirita elabora una teoria della composizione degli enti sulla base
della distinzione di forma e materia. Laddove la prima determina l’ente nelle sue
qualità specifiche o in quelle accidentali, la seconda offre un sostrato permanente al
mutamento, garanzia a un tempo del divenire e dell’identità della cosa con sé stessa.
In tal senso, se ciò che accomuna più individui di una specie è la forma, la materia –
capace di recepire i contrari – individua la forma, spiegando a un tempo la distinzione
nell’essere e il mutamento della cosa. Nell’Alto Medioevo, quando il mondo latino
ancora non conosce che parte degli scritti logici di Aristotele, il problema
dell’individuazione dell’ente è affrontato a partire dall’Isagoge di Porfirio e
attraverso la mediazione del Commento di Boezio; esso interessa così il problema
degli universali nonché, sul piano teologico, la dottrina della Trinità (ogni persona
andando individuata e distinta dall’altra al di là di ogni composizione materiale). In
generale, gli autori altomedievali rintracciano il principio di identificazione di un ente
nei predicati accidentali che ne determinano la differenziazione numerica. A partire
dal sec. 12°, con il processo di traduzioni che porterà alla conoscenza
dell’intero corpus degli scritti aristotelici nonché di alcune fondamentali opere
dell’esegesi araba, l’individuazione torna a essere considerata sul piano metafisico.
Fondamentale è la posizione di Avicenna che, introducendo fra l’altro il concetto di
‘forma della corporeità’, rintraccia l’individuazione delle sostanze sensibili
nell’estensione spaziale che si realizza attraverso la materia, la quale rende possibile
ricevere l’insieme degli accidenti. Per Averroè il sostrato per la ricezione degli
accidenti è piuttosto dato dalla forma, che finisce così per costituire il principio di
individuazione. L’apparente contraddizione tra le soluzioni adottate si deve alla
complessità e all’ambiguità delle soluzioni aristoteliche. Nello stesso Aristotele gli
interpreti moderni hanno sottolineato il ruolo della forma e non solo quello della
materia nell’individuazione. Alle interpretazioni arabe (l’ilomorfismo ➔ universale
ripreso in ambito francescano) vanno aggiunte poi quelle ebraiche che, al pari delle
prime, influenzarono la riflessione della scolastica cristiana. In essa il problema
445
dell’individuazione ha implicazioni in almeno tre questioni filosofiche e teologiche:
l’immortalità personale e la resurrezione dei corpi, da una parte, e la natura delle
sostanze spirituali, dall’altra. Queste ultime, prive di materia, sono in genere pensate
come individui nel loro essere specie. Per il francescano Bonaventura da Bagnoregio
il principio di identificazione è l’insieme o la comunicazione di materia e forma che
costituisce l’ente (la materia è solo possibilità, in tal senso a individuare è il composto
e l’angelo non è necessariamente una specie), mentre per Tommaso d’Aquino esso è
dato dalla materia quantitate signata. A individuare la cosa come tale non è quindi la
materia prima e comune, pura potenzialità, ma la materia estesa, ossia la materia che,
entrando in composizione con la forma, è di volta in volta sottoposta a una
determinazione quantitativa. Il problema di come intendere la materia signata e di
come qualificare il complesso rapporto tra materia e quantità sarà poi affrontato dal
tomismo. Si distinguono così le opinioni di Francesco Silvestri, che riprende
Capreolo, di Tommaso de Vio e di Crisostomo Iavelli. Alternativa rispetto a quella di
Tommaso è la soluzione di Duns Scoto che cerca di riconoscere in modo più deciso
l’originalità dell’individuo attraverso il concetto di haecceitas, la determinazione
stessa della singolarità di un individuo, irriducibile ad altri concetti metafisici.

Dalla filosofia moderna agli sviluppi attuali. Alla riflessione di Duns Scoto va


accostata quella di Suárez che riconosce il principio di individuazione nell’entitas:
ogni sostanza singolare è tale in sé stessa, per il suo essere ente, e lo è sia nel caso
della sostanza semplice, sia in quello della sostanza composta, nel qual caso
l’individualità richiede insieme la materia e la forma. Gli sviluppi della nozione nel
pensiero moderno che va via via emancipandosi rispetto all’aristotelismo dipendono,
comunque, dagli ambiti di interesse delle varie scuole: la filosofia cartesiana,
dominata dall’atto del cogito, in sé stesso individuante, sembra abbandonare la
questione del principio di identificazione, il cui problema è invece affrontato dagli
autori che tenteranno di conciliare la singolarità dell’ente, rivendicata dal
nominalismo, con la sua intelligibilità universale. Spinoza elabora il principio come
446
negazione; Leibniz, che al principio di identificazione dedica la sua tesi di
baccellierato (Disputatio metaphysica de principio individui, 1663), elaborando la
soluzione nominalista, giunge alla concezione dell’individuo come determinato
dall’insieme dei suoi predicati (omne individuum sua tota entitate individuatur), che
sono però infiniti e dunque conoscibili nella loro totalità soltanto da Dio. Infine, per
Locke – le cui soluzioni verranno poi riprese per es. da Schopenhauer – il principio di
identificazione va ricercato nelle determinazioni spazio-temporali. In psicologia il
principio di identificazione interessa il concetto di coscienza di sé. In un senso del
tutto particolare il principio di identificazione è inteso da Nietzsche, in cui la critica
ravvisa un principio ontologico applicato al problema della distinzione dell’essere
umano (Mensch) dal resto del mondo, laddove carattere individuante dell’uomo è la
sua «volontà di potenza» e un principio etico: l’atteggiamento dell’uomo e le sue
scelte di fronte all’eterno ripetersi dell’identico, fanno dell’individuo quello che è. In
logica, da Leibniz in poi, la questione è legata a quella dell’identità degli
indiscernibili, ma le riflessioni sull’individuazione nella filosofia analitica sono varie,
e spesso vengono ripresi i concetti aristotelici di forma e di genere (si sviluppa la
nozione di predicati sortal). Con Frege viene posto in primo piano il problema
dell’individuazione di oggetti astratti; con Strawson il concetto di individuazione
viene intrecciato con quelli di referenza e di predicazione.

-PROSPETTIVISMO**
Il modo migliore per cercare di capire il mondo è vederlo dal maggior numero
possibile di angolazioni. (Ari Kiev)

447
In realtà però il soggetto non produce prospettive e interpretazioni; sono loro, le
prospettive, a costituire quello che il soggetto è. (Nietzche)
Secondo Nietzsche, il soggetto non è oltre e al di sopra delle varie prospettive e
interpretazioni affettive fisico/spirituali che lo compongono, e delle relazioni tra
queste prospettive e interpretazioni. Il soggetto è solo un insieme di prospettive e
di interpretazioni. Senza l'elemento prospettico non esisterebbe al mondo reale.
Dal prospettivismo nasce l'etica di relazione dove ogni individuo si rende conto
di essere in relazione con gli altri e capisce che non può perseguire l'egoismo
autarchico ma deve tener conto di ogni diversa visione prospettica altrui dando
inizio a un'etica pluralistica e veramente democratica tra spiriti liberi. Se esiste
un egoismo nietzschiano è un egoismo prospettico perché il prospettivismo è
condizione di esistenza.
Ognuno può vedere e capire solo in base alle sue conoscenze. Ognuno vede quindi le
cose da una particolare prospettiva. E, pur di fronte alla stessa cosa, si hanno visioni
diverse.
Per il suo amante una donna bellissima è una delizia; per un asceta è una distrazione;
per un lupo è un buon pasto. Prospettivismo zen!
Un uomo che conosce almeno un poco se stesso non è mai bigotto, non è mai settario;
non è mai ossessionato da una teoria. Non pretende mai di essere il solo a conoscere
la verità, poiché quando si conosce la verità si sa che essa ha mille facce e che la si
può guardare in milioni di modi diversi. E ogni volta che qualcuno le si avvicina,
qualsiasi cosa veda, è un fatto del tutto individuale. (Osho che commenta Eraclito)

448
Pur partendo da un particolare punto di vista, il prospettivismo è consapevole del
fatto che ogni punto di vista - compreso, quindi, il proprio - è prodotto da un
incessante - e, quindi, mai definitivo - confronto con gli altri infiniti punti di vista.
Ad esempio, davanti a un bicchiere riempito a metà, c'è chi afferma che è mezzo
pieno e vi è chi afferma che è mezzo vuoto. Il bicchiere è lo stesso ma le interprationi
sono discordanti.

La metafisica occidentale è costruita, almeno fino a Nietzsche, su una assoluta


volontà di verità che è gran seduttrice dei filosofi. Nietzsche invece propone una
forma di sapere prospettico ove esistono indefinite interpretazioni e descrizioni
del mondo apparente che è l'unico esistente.

Il pensiero dialettico di Hegel è quello che più di tutti, in occidente, insiste


sull'esigenza di scorgere "la cosa" da più lati, secondo una modalità prospettica
anche se poi è ancora molto legato al concetto di vero = assoluto.
Alan Watts ha scritto molto bene che “non riuscirai a capire le tesi di base della tua
civiltà, se la tua civiltà è la sola che conosci”. Il fine della comparazione speculativa
(e non solo) non è il rifugio o la fuga esotista verso un altrove ricercato a partire dal
rigetto delle proprie radici storico-culturali; tale fine risiede bensì nell’acquisizione –
problematizzata con tutto ciò che un confronto radicalmente implica – della propria
identità a partire da un incontro con un non-stesso. Non si pensa, quindi, alla
possibilità di “convertirsi” a un pensiero altro da parte di un occidentale: non è
strutturalmente possibile: ma risulta preziosa l’intuizione di ciò che non
comprendiamo pienamente in quanto non ci appartiene.
Questo discorso risulta chiaro se applicato al presente piccolo studio: non è
pienamente, per noi parlanti l’occidente, comprensibile un pensiero che non si
fondi sul concetto di verità; ma una visione – come quella chan (buddismo cinese) –
che addita l’essenziale impermanenza delle creature, in quanto tutto è privo di
senso, mostra la fragilità e relatività, e insieme il valore, del nostro pensare e della
nostra cultura. Non può, oggi, che apparire come profondamente salutare il riscoprire
come l’Occidente è un accidente; senza dubbio il più splendido degli accidenti, e con
ogni probabilità l’umanamente migliore, ma pur sempre un accidente.
Il concetto stesso di individuo, il cui valore, abbiamo visto, la cultura cristiana
con Anselmo fonda sul corrispondersi di un principio del mondo personale all’io
singolare, può salutarmente essere fatto reagire con la concezione buddhica
di anattā quale è reinterpretata nel buddismo chan: a partire dalla vuotezza
meravigliosa del reale, l’io si mostra come non più che la proiezione onirica di uno
stato ansiogeno consistente in un infinito impulso desiderativo, radice del dolore, la
cui scaturigine consiste precisamente nel ritenere la verità come sostanziale: in altre
parole nel rimanere invischiati nella rete egotica di attrazione/repulsione che
449
attribuisce senso a un dato processuale in sé assolutamente, e meravigliosamente,
privo di senso.

Prospettivismo
Vedo lo stesso mondo che vedi tu
Ma non allo stesso modo
A seconda di come pensi di essere
Così pensi che sia il mondo

Il sostantivo "Prospettivismo" rappresenta un neologismo di Nietzsche anche se egli


deriva questo termine da "una visione prospettica" di Teichmuller. Comunque già
Zhuagzi (quello del sogno della farfalla, vissuto in Oriente nel IV secolo a,c,) aveva
un pensiero prospettico (il santo, il saggio non adotta alcuna opinione esclusiva)
mentre Lama Govinda afferma che il modo orientale di pensare consiste soprattutto
nel girare intorno all'oggetto della contemplazione … una impressione sfaccettata
cioè pluridimensionale che si forma dalla sovrapposizione di singole impressioni
ottenute da punti di vista differenti.

In noi esiste, erroneamente, la presunzione che la realtà, qual è per noi, debba
essere e sia per tutti gli altri. Invece la mia realtà è diversa dalla tua che è diversa
da quella di ogni altro; infinite realtà, infinite prospettive sulla realtà.

 Le sei fasce vibrazionali buddhiste sono sei modi simbolici cui l’energia originaria
può vibrare, ogni vibrazione crea esseri che vedono il mondo in un certo modo,
dunque vivono in mondi diversi. Queste sei fasce sono chiamate LOKA e sono:
esseri infernali, spiriti affamati, animali, uomini, divinità gelose, divinità celesti. “Un
giorno, presso un fiume, si incontrarono i rappresentanti delle sei Loka. Ognuno vide
una cosa diversa: l’essere infernale vide fuoco e ghiaccio, lo spirito affamato vide
carne e sangue, l’animale animali e pesci, l’uomo acqua da bere, il dio geloso un
campo di battaglia, il dio celeste un paradiso di luce. Ognuno vide secondo ciò che
era e vide il mondo per come lui era. Ricordate le macchie di Rorschach?

Dal prospettivismo nasce l'etica di relazione dove ogni individuo si rende conto
di essere in relazione con gli altri e capisce che non può perseguire l'egoismo
autarchico ma deve tener conto di ogni diversa visione prospettica altrui dando
inizio a un'etica pluralistica e veramente democratica tra spiriti liberi.
La legge della relatività di Einstein va inquadrata nel prospettivismo nel senso che
ogni fenomeno va considerato nel suo particolare sistema di riferimento. Come a
dire che il numero 6 può essere letto anche come 9 se si varia il punto di vista!
Oppure si può dire che un elefante ha la proboscide se visto davanti e invece ha la
450
coda se visto da dietro: diversi orizzonti portano a diverse realtà che però convivono.
Concludendo: è anche così ma non è solo così!
Il mondo è divenuto per noi ancora una volta infinito in quanto non possiamo
sottrarci alla possibilità che esso racchiuda in sé infinite interpretazioni.
(Nietzsche)
Il prospettivismo di Nietzsche porta a compimento il prospettivismo ante litteram
implicito nella svolta copernicana di Kant il cui senso sta nel fatto che il soggetto si
sceglie liberamente la propria posizione di fronte all'essente.
Esiste soltanto un vedere prospettico, soltanto un conoscere prospettico.
(Nietzsche)
Nietzsche accetta in pieno l'idea che l'ambito delle apparenze sia la dimensione delle
prospettive mentre la sua riflessione lo porta a rifiutare l'idea che vi sia un altro
mondo epistemico oltre a quest'ultimo, e che quindi si possa concepire l'esistenza di
una realtà non prospettica che può essere rivelata per via razionale. (Gori)
Nietzsche esalta il principio dell'educazione alla modestia intellettuale che
abbandoni ogni pretesa di avere nella categorie il criterio della verità ovvero della
realtà e ammetta invece la possibilità che il nostro non sia che uno solo tra gli
innumerevoli sguardi possibili sul mondo.
Ma chi o che cosa ha le visioni prospettiche? Non certo l'io visto che per Nietzsche è
esso stesso solo un'illusione prospettica. Sarà allora la specie umana ad avere le
visioni prospettiche. Anche perché noi uomini solo di quella specie possiamo avere
esperienza. Nietzsche però si chiede anche quali potrebbero essere le prospettive non
umane o oltre umane. Infatti dice che ogni centro di forza, e non solo l'uomo,
costruisce tutto il resto del mondo a partire da se stesso, cioè lo misura, lo modella, lo
forma secondo la sua forza. Ma anche ogni istinto è una specie di sete di dominio e
ciascuno ha la sua prospettiva che vorrebbe imporre come norma a tutti gli altri
istinti. Quindi i soggetti del prospettivismo nietzschiano sono i centri di forza, gli
istinti e la specie. Non è il soggetto che produce prospettive e interpretazioni ma
sono queste a costruire quello che il soggetto è.
Il pensiero prospettivistico di Nietzsche potrebbe avere la forza di trasformare
gli uomini aiutandoli a uscire dalla morsa del nichilismo. Il suo prospettivismo
non è infatti né mero relativismo e neppure nichilismo epistemologico.
Due giovani monaci inesperti vedono un elefante per la prima volta: una è davanti e
vede la proboscide, l'altra è dietro e vede la coda. Uno dice "ha la proboscide". L'altro
ribatte "ha la coda". Se uno dei due non si sposta, non si muove, non cambia

451
prospettiva continueranno a litigare per sempre invece di capire che: "E' anche così
(ha la proboscide), ma non è solo così (visto che ha anche la coda)!
Ci vuole una mente libera e calma per essere in grado di considerare le cose da
diverse angolazioni e punti di vista.
Cusano dice che il punto prospettico che produce ordine e direzione nella realtà
sensibile, sottraendosi al suo piano di immanenza, è anche la direzione verso cui le
singole prospettive degli enti guardano come alla propria verità. Rispetto a un
universo così prospetticamente costituito è chiaro che il sapere stesso deve assumere
un andamento e una struttura prospettiche. E non si tratterà, come si è detto, di una
molteplicità di cui il sapere dovrebbe liberarsi per accedere alla verità: la molteplicità
è invece il modo stesso in cui la verità si offre nella forma del discorso.

Ogni visione del mondo (Weltanschauung) tende ad avere la pretesa di essere quella
universale anche se così non è e non sarà mai. Bisogna saper rinunciare
all'inestinguibile aspirazione ad una soluzione per l'enigma del mondo e della
vita attraverso un sapere universalmente valido.
Le visioni del mondo si sviluppano in condizioni diverse. Il clima, le razze, la
nazioni, determinano attraverso la storia e la formazione di stati, le delimitazioni,
condizionate temporalmente, secondo epoche ed età. (Dilthey)
Le visioni del mondo che favoriscono la comprensione della vita, che conducono ad
obiettivi vitali utili, si conservano e rimuovono quelle che meno si prestano in tal
senso. Così tra di esse ha luogo una selezione. (Dilthey)
Esistono solo i fatti come dicevano i positivisti o esistono solo le opinioni come
asseriva Nietzsche? Esiste solo l'Essere di Parmenide o vi è solo il Nulla di Gorgia? E
se invece fatti e opinioni, essere e nulla fossero illusioni da superare per giungere al
fine all'Uno Tutto?
La stessa quantità di acqua ci può apparire allo stato liquido, solido (come ghiaccio) o
aeriforme (come vapore), senza per questo perdere la sua natura relazionale di
H2O.

Io vedo il mio albero e voi vedete il vostro (molto simile al mio) ma ciò che è l'albero
in se stesso noi non lo sappiamo. (Schrodinger)
Petrarca parla non della filosofia ma delle filosofie: al plurale perché sono tanti
punti di vista sempre parziali e limitati. Non quindi all'IPSE DIXIT pitagorico e
aristotelico ma la varietà delle visioni del mondo.
La realtà, per la propria stessa natura, può essere vista soltanto da una determinata
prospettiva e, la prospettiva, a sua volta, costituisce un elemento essenziale della
452
realtà. La realtà non ha una fisionomia propria indipendente dal punto di vista
dalla quale la si considera. La sola prospettiva falsa è quella che pretende di essere
l'unica vera.
La prospettiva determina non solo come noi vediamo le cose ma anche come le
cose sono.
Il prospettivismo filosofico ha senso se non c'è alcuna prospettiva privilegiata e
neppure la sintesi delle varie prospettive. (Merleau-Ponty)
Non adottare alcuna opinione esclusiva sia perché vero e falso sono opposti solo
apparentemente e sia perché non è solo così ma è anche così: prospettivismo.
Non bisogna scambiare descrizioni diverse per cose diverse.
Il sole che vediamo è ben diverso dal sole degli astronomi o da quello dei fisici.
Ci sono infiniti modi di guardare la stessa cosa o di descriverne la struttura.
Il mondo è la somma di tutti i possibili punti di vista (delle monadi): geometrale
di Leibniz. Quando all’inizio del XVIII secolo Leibniz introduce per la prima volta
nella storia della filosofia un riferimento alla tematica in questione, il termine
“prospettiva” vale come garanzia e condizione di possibilità dell’armonizzazione
dei diversi punti di vista monadici: che ogni monade abbia una visuale diversa
rispetto alle altre non significa che veda qualcosa di diverso, bensì soltanto che vede
diversamente, vale a dire “prospetticamente”, lo stesso universo.
Nel tentativo di comprendere il mistero della vita, l'uomo ha seguito molti approcci
differenti. Tra questi vi sono la via delle religioni, la via del potere, la via della
scienza, la via dei poeti, la via dei filosofi, la via degli sciamani, la via dei mistici.
Queste vie hanno prodotto descrizioni molto differenti del mondo sia verbali che
scritte che mettono in rilievo aspetti diversi. Sono tutte valide e utili nel contesto in
cui sono sorte. Tutte quante però sono solo descrizioni o rappresentazioni della realtà
e sono quindi limitate: nessuna riesce a dare un quadro completo del mondo. Solo la
molteplicità delle visioni si avvicina alla verità raggiunta solo dal geometrale
ossia l'insieme di tutte le infinite prospettive.
Tre gradi di latitudine capovolgono tutta la giurisprudenza, un meridiano decide della
verità. In pochi anni di dominio le leggi fondamentali cambiano, il diritto ha le sue
epoche, l'entrata di Saturno nel Leone segna l'origine del tale crimine. Ridicola
giustizia, delimitata da un fiume! Verità al di qua dei Pirenei, errore al di là. (Pascal)

In età moderna, con Montaigne, la scoperta del Nuovo Mondo ed i conseguenti


problemi etici e antropologici portano a un orientamento prospettivistico del
filosofare. In seguito, Leibniz ha sottolineato come una stessa città vista da diverse
453
angolature appaia totalmente differente, pressoché moltiplicata prospettivamente.
Usando le parole di Goethe: "Nella stessa città, un evento importante sarà raccontato,
alla sera, diversamente che al mattino". La necessaria prospetticità è stata anche
oggetto del pensiero gnoseologico della corrente storica dell'Illuminismo.

Il punto di vista filosofico di Nietzsche afferma che tutte le intuizioni e le idee


nascono da una particolare prospettiva. Questo significa che esistono molti
possibili schemi concettuali, o prospettive in cui può essere fatto il giudizio della
verità o del valore. Questo viene spesso portato implicitamente a dichiarare che non
esiste un modo di vedere il mondo che sia "veritiero", ma non significa
necessariamente che tutte le prospettive siano egualmente valide. Secondo Nietzsche,
il prospettivismo rinnega un oggettivismo di tipo metafisico come qualcosa di
possibile e afferma che non ci sono valutazioni oggettive in grado di trascendere la
formazione culturale o da designazioni soggettive. Ciò significa che non ci sono
fatti oggettivi e che non è possibile la comprensione o la conoscenza di una cosa
in sé. Questo divide quindi la verità da un singolo o particolare punto di vantaggio e
significa che non esiste l'assolutismo gnoseologico o etico. Questo porta alla costante
rivalutazione o trasvalutazione dei valori (filosofici, scientifici ecc.) secondo le
circostanze di prospettive individuali. La verità viene così formalizzata come una
totalità generata dall'incorporazione di differenti punti di vantaggio tutti
assieme.

R
-RAGIONE**

E' a partire dall'età moderna che in Occidente diviene largamente prevalente la


convinzione secondo cui il principale organo di conoscenza dell'uomo sia la
ragione, intesa come facoltà del tutto individuale, discorsiva e calcolante, e che
essa comprenda la realtà non già mediante un processo di purificazione (khatarsis)
del proprio occhio interiore, processo coinvolgente l'intero essere umano e
culminante nella contemplazione (theoria, contemplatio), come era stato per i filosofi
greci e romani, ma attraverso un'opera di costruzione, di elaborazione, di
fabbricazione della verità a partire dai propri concetti. (Vicentini)
La ragione si unisce infine alla sorte di tutti quegli altri mostri astratti come
l'Obbligo, il Dovere, la Morale, la Verità e i loro predecessori più concreti, gli Dei,
che furono usati un tempo per incutere timore nell'uomo: svanisce! (Feyerabend)
Due eccessi: negare la ragione o non ammettere che la ragione. (Pascal)

454
Il paradosso più alto della ragione è quello di voler scoprire qualche cosa che
trascende il pensiero. Ma che cosa è questo sconosciuto contro il quale la ragione,
nella sua passione per il paradosso, entra in collisione? E' lo Sconosciuto!
(Kierkegaard)
Non si può dire che tutto abbia un senso (razionalismo) oppure che nulla abbia
senso (scetticismo) ma che c'è del senso. (Merleau-Ponty)
L'uomo di oggi raramente si innalza al di sopra di se stesso perché si è lasciato
assorbire dalla tecnica e si lascia illudere dall'eccesso di razionalità.
La ragione apollinea (che in psicologia viene chiamata Ego) è solo un sistema di
regole da cui non può nascere nulla di nuovo. Per creare bisogna attingere al
dionisiaco indifferenziato originario detto anche subconscio: bisogna recuperare
la follia che ci abita. Non si crea opera d'arte se non attraverso un sacrificio dell'io e
un attingimento dalla follia.
"Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce". Era la sfida che Pascal, alle
soglie della stagione illuministica, lanciava al mondo dei libertini. Si trattava appunto
di rompere la presunzione libertina, alla quale Pascal rimproverava di aver scelto solo
una parte dell'uomo: l'intelletto quale unico portatore della ricerca e della verità;
l'intelletto contro la vita del cuore e dei sentimenti, intesi come vibrazioni dell'animo
ma non come luogo di conoscenza, non come spazio di cognizione. Pascal voleva
ritrovare l'unità dell'umano e questo nella profondità del cuore, secondo l'accezzione
biblica del termine: il cuore appunto come luogo della piena sapienza, come spazio di
un conoscere che va ben più a fondo del solo intelletto. Anche Marcuse accusa
l'occidente di aver costruito l'uomo a una dimensione: la dimensione del solo
intelletto appunto.
-RAPA NUI*
Quella raccontata qui è solo una favola: la favola dell'umanità.
Iniziamo descrivendo il luogo ove si svolge la favola: si tratta di una piccola isola
coperta da una fitta foresta di palme e dispersa in mezzo all'Oceano Pacifico. Qui
sbarcarono, dopo un viaggio lunghissimo su delle piccole canoe provenienti da ovest,
poche decine di polinesiani. Portavano con sé semi, piante, animali. Correva,
all'incirca, il sesto secolo della attuale era. Forse molti altri tentativi erano già stati
fatti ma questo era il primo e, forse, non l'ultimo che centrava il bersaglio di giungere
a Rapa Nui (il grande scoglio).
I polinesiani si ambientarono subito e la popolazione prosperò per diversi secoli.
Finché non si incominciarono a costruire i Moai, quelle enormi statue monolitiche
che voltano le spalle al mare.
455
Cosa rappresentavano i Moai e perché venivano costruiti? Probabilmente
rappresentavano gli antenati e le divinità. Il loro scopo sembra quello di trattenere
sull'isola il Mana (l'energia magica) di quei grandi personaggi che erano gli
antenati divinizzati.
Il vero problema consisteva però nello spostare queste enormi statue che pesavano
decine di tonnellate per decine di chilometri. Come fare? Forse si tagliavano le grandi
palme per usare i tronchi, che venivano così distrutti, come mezzo di trasporto.
Quindi: più Moai meno palme! E alla fine le palme finirono …
Era stato distrutto un ecosistema per innalzare statue che celebravano il potere terreno
e ultra terreno.
Nel periodo di decadenza si arrivo alla guerra fra clan, allo schiavismo e, forse, anche
al cannibalismo fra gli abitanti di Rapa Nui.
Servono spiegazioni per questa favoletta? Ecosofia di Naes!

-REALTA'**

Secondo il buddismo, ogni realtà (dhamma) è impermanente (anicca) e senza un


vero sé (anatta). Ogni realtà (dhamma) risulta condizionata dalle altre
-virtualmente infinite -realtà!

Allora l’unica realtà è la vacuità? È questa la realtà ultima? No, scrive


Nagarjuna, ogni prospettiva esiste solo in dipendenza da altro, non è mai realtà
ultima, compresa la prospettiva di Nagarjuna: anche la vacuità è vuota di
essenza: è convenzionale. Nessuna metafisica sopravvive. La vacuità è vuota.

Alcune declinazioni più recenti dell’indagine fisica affermano che la realtà è un


flusso continuo, indistinto e immutabile.

Nel momento in cui io concettualizzo la Realtà, rendo oggettivo il mondo rispetto


a me stesso, allora uso concetti e parole, cioè simboli, e in ultima istanza perdo il
contatto con la Realtà. 

Per Leoprdi il nulla è il principio ontologico del reale: tutto è nulla nel senso che la
realtà esiste grazie al nulla. Il nulla “principio delle cose e di Dio stesso” è origine e
fine delle cose. Dunque essere dal nulla ma anche essere del nulla.

Eraclito considera la realtà in una maniera che è tanto razionale quanto irrazionale.

I due livelli di realtà cioè l'esistenza illusoria dei fenomeni particolari - intesi
come sussistenti in sé - e la vacuità permangono fianco a fianco e non sono in
opposizione. Infatti l'intuitivo conflitto delle due visioni della realtà si dilegua
456
nella originaria e onnicomprensiva realtà della totalità indivisa (seppur non
indifferenziata). Li shi wuai. Shi shi wuai. RELAZIONI NON OSTRUTTIVE. I
fenomeni sono tutti interconnessi fra di loro partecipando l'uno all'altro e
viceversa in una relazione cosmica senza però scomparire in un indistinto
nebuloso e mistificante.

L'Oriente vede la generazione del reale non come creazione, ma come una
semplice interazione; a questo, anche, è dovuta la possibilità di esimersi dal richiamo
ad una causalità trascendente al mondo e di spiegazione della realtà come un processo
immanente. (Jullien)

La dialettica, in quanto sunyata, è la rimozione delle costrizioni che i nostri


concetti hanno imposto sulla realtà. Essa è la liberazione della realtà dalle
costrizioni artificiali e accidentali, e non la negazione della realtà. (Murti)

Parmenide si prefigura che la conoscenza ‘ridurrà prima o poi’ tutti gli enti ad altri
enti ‘più generali’ convinto che la scienza avrebbe dimostrato, in un lontano avvenire,
che tutti i fenomeni […] sono frutto di immaginazione artificiosa dell’uomo, e che la
realtà è un tutt’uno continuo, indistinto e immutabile’

La realtà è una mera illusione, sebbene molto persistente. (Einstein)

La realtà è il nostro sogno da svegli. (Don Juan di Carlo Castaneda)

La realtà dipende dall'osservatore. Non esiste una unica realtà condivisa da tutti
gli osservatori. Si può e si deve parlare del mondo da più di una prospettiva
simultaneamente. La fisica quantistica dice addio alla realtà unica e condivisa!
(Rovelli)

La pretesa della metafisica di offrire una spiegazione assoluta e globale della realtà è
illegittima essendo essa stessa un prodotto storico. Non vi sono filosofie che valgono
sub specie aeternitatis. (Dilthey)
La realtà è un sistema infinito di relazioni. E' complessa perché prodotta da
correlazioni infinite e indefinite perché mutevoli. In un simile contesto, cos'è la
verità?

Il filosofo Paci dice che non possiamo avere nessuna visione della realtà che non sia
filtrata dalla nostra “singolarità”, dal nostro essere un Io.

Nietzsche è stato uno dei pochi pensatori ad aver descritto la realtà come una
polifonia interpretativa il cui fondamento risiede nello sguardo dell'interprete.

457
La realtà
Non posso descriverti la realtà
Perché è al di là di ogni spiegazione
Il desiderio fondamentale è essere
La paura fondamentale è non essere 
Il mondo e la mente sono stati dell'essere
L'assoluto non è uno stato dell'essere
 
Gli uomini credono che la loro visione del reale sia unica e permanente e
credono di vedere l’unico mondo possibile. In realtà numerosi mondi sono a
disposizione della percezione umana. Nel mondo moderno l’abitudine e l’educazione
fissano una particolare distribuzione dell’energia, da cui nasce una certa percezione
di realtà. Lo sciamano insegna a rompere questa distribuzione e dunque a cambiare i
parametri ordinari di percezione. Ciò vuol dire entrare in mondi inimmaginabili.

L'oggetto è intrinsecamente vincolato al soggetto, e viceversa. Solo in quanto in


rapporto al soggetto, l'oggetto è ob-iectum, gettato davanti, così che identificare
l'oggetto di conoscenza con l'oggetto in se, con la realtà che è tale perché autonoma e
autosufficiente, dunque perché assoluta, è un errore gnoseologico. Dunque la realtà
non è assoluta ma è relazionale.

La realtà non è deterministica.

La realtà è nulla! Nulla è reale! Questa è una delle interpretazioni della meccanica
quantistica relazionale.

L'uomo immagina che la realtà sia stata creata da una volontà simile alla sua.

La realtà è un grande pensiero. (Hegel)

La realtà è contraddizione. (Nishida Kitaro)

Nella realtà nulla è veramente intellegibile sia perché tutto è relazione e sia perché il
caso è un importante protagonista.

La Realtà contiene i concetti, ma nessun pensiero potrà mai afferrarla.

La Realtà pervade l’universo, ma nessuno può penetrarla: è non-duale, testimone di


tutto, senza separazione. È in unità con qualunque oggetto di conoscenza, non si può
pensarla, poiché è ciò che sta pensando.

La realtà consiste nell'azione e nella reazione particolare di ogni individuo verso il


tutto. (Nietzsche) Dunque la realtà è relazione.
458
La nostra concezione della realtà tende a ridurre il mondo a semplici formule
logiche. (Nietzsche)

Ciò che noi oggi consideriamo reale non è altro che una interpretazione delle cose
dotata di una particolare utilità.

Il cosiddetto mondo della realtà non è l’unico mondo datoci. Anzi, bisogna dire che il
mondo costituito tramite un simile concetto non è altro che la superficie della realtà.
Dietro a un tale mondo c’è il fluire della vera realtà, riempito di una grande vita il cui
fondo è sconosciuto. Proprio questa realtà è l’oggetto dell’arte. (Nishida Kitaro)

Chi sta per cadere nel burrone si attacca ai fili d'erba. Fa parte della natura umana
credere più nelle speranze che nella realtà. (Angela)
E' la realtà stessa a conoscersi, a riflettersi o a vedersi per mezzo dei singoli soggetti,
che sono di fatto gli effetti, i risultati di questa autoriflessione del mondo su di sé.

La realtà, che è Unità tutta interconnessa, trascende il linguaggio ordinario.

Kant dice che noi non conosciamo la realtà per come è in sé (noumeno), ma appunto
per come noi la recepiamo (fenomeno).
L'occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose. (Calvino)

Forse esistono molte realtà date tutte insieme e noi ne percepiamo solo una: la nostra
realtà anzi, la nostra prospettiva sulla realtà.

E' il sistema nervoso che struttura la realtà. Infatti noi percepiamo come materia solo
della vibrazioni. Tutte le cose sono abitudini della percezione.

In tutte le cose noi vediamo un confine che separa una cosa dall'altra. Ebbene,
questo confine non esiste! Serve a noi per capire perché capire è dividere.

C'è una sola cosa e ciò che sembra essere una pluralità è semplicemente una
serie di differenti aspetti di questa sola cosa prodotta dall'illusione.

Non posso descriverti la realtà perché è al di là di ogni spiegazione. La realtà è lo


stato senza nome. (Nisargadatta Maharaj)
Ritenere che tutta la realtà sia «vuota» significa ritenere che essa abbia una struttura
che è relativa, relazionale, e, nel contempo, transitoria, impermanente.

Conoscere la realtà al di là di ogni preconcetto e di ogni pregiudizio, come pure al


di là di ogni indagine storica e di ogni discussione filosofica: in questo senso di
radicale epoché la meditazione del buddhismo zen appare come una ripresa di quella
«visione intuitiva» (vipassana) che caratterizzò il buddhismo delle origini.
459
Qualsiasi cosa venga detta non è mai del tutto aderente alla realtà.

Tutto ciò che si pensa sulla vita non è la realtà, ma è una costruzione mentale che
l’uomo utilizza per vivere, perché la realtà sta ben oltre tutte le costruzioni mentali.

Tutto quello che noi pensiamo appartiene al mondo dei concetti ma la realtà non è un
concetto.

L'impermanenza dell'intera realtà: è impossibile catturare, con un'immagine o un


concetto, anche il più piccolo frammento di esistenza. In tal senso si potrebbe dire
che l'haiku è una forma di poesia mistica, in quanto, comunicando l'impermanenza di
un evento, comunica nel contempo anche l'impermanenza del linguaggio che lo
descrive, ed esplicita dunque l'intrinseca, ineludibile, ineffabilità di ogni fenomeno.

La realtà, in quanto eccedente la parola, diventa ineffabile, impossibilitata a


trovare una sua traduzione adeguata, degna, perciò, di non essere spiegata fino in
fondo: diventa, cioè sublime, divina e sacra.

Secondo Bergson occorre decidersi: o il reale crea il possibile (quello che è già
accaduto era possibile) oppure il possibile crea il reale. Bergson sceglie la prima
alternativa. Quasi tutta la filosofia moderna e contemporanea ha invece scelto la
seconda via: Heidegger, la volontà di potenza, la progettualità del soggetto quale
homo faber. Bergson invece afferma che nel nostro presente attuale, che sarà il
passato di domani, è già contenuta l’immagine del domani, anche se in realtà non
siamo in grado di determinarla. Se nella prospettiva delle ideae ante res il possibile
eccede il reale, in quella delle ideae cum rebus è il reale che sorprende il possibile
costringendolo a ristrutturarsi in continuazione. Domanda: ma siamo proprio sicuri
che il possibile diventi il reale? E se non fossero due distinte posizioni ma fossimo al
cospetto dell'avvolto che avvolge? E se sia il possibile che il reale fossero solo
concetti della mente così come lo è anche l'io?

La dualistica questione del possibile che crea il reale (Heidegger) e del reale che crea
il possibile (Bergson) è una problematica relativa alla mente della persona umana.
Nell'unica vera realtà che è l'invariante, l'incondizionato, il non personale e non
duale, la questione non si pone neppure anche perché nessuno la pone.

Ogni realtà è sia condizionata che condizionante. Ogni realtà è sia insostanziale
(anatta) che impermanente (anicca ).

Noi cerchiamo di liberare l'anima dal peso della realtà.

460
Qualunque cosa tu sappia o conosca, è una separazione. Quindi non è la realtà che è
inconoscibile e inscindibile. (Isabella di Soragna)

La realtà non è quasi mai all'altezza dei nostri sogni. (detto dell'India)

Al suo livello più profondo la realtà non è altro che una sorta di super
ologramma dove il passato, il presente ed il futuro coesistono simultaneamente.

E' impossibile descrivere una realtà complessa in modo semplice e completo.

Gli assiomi logici sono adeguati al reale o sono criteri e mezzi per creare il reale?
Per potere affermare la prima cosa bisognerebbe già conoscere l'essere: il che
assolutamente non è. Il principio non contiene quindi un criterio di verità ma un
imperativo circa ciò che deve valere come vero. (Nietzsche)

Realtà ed esistenza sono due cose distinte. (Weil)

Nella manifestazione della realtà non vi sono soggetti e oggetti fra loro distinti ma
solo processi inscindibili di manifestazione dell'Uno.

Noi non siamo gli spettatori della realtà: noi siamo i creatori della realtà!

Non lasciarti trarre in inganno dalle apparenze ma non lasciarti trarre in inganno
neppure dalla presunta realtà.

Noi uomini peniamo che esista solo ciò che conosciamo, ciò che percepiamo. Tutto il
resto per noi non esiste.

Doghen cerca di trovare le espressioni più adatte per comunicare l'esperienza


universale della realtà che sconfina oltre i limiti del pensiero umano ma che noi, in
quanto uomini, riconduciamo alla nostra esperienza di vita non consapevoli che
l'intelletto non esaurisce la realtà: bisogna andare oltre.

La realtà è solo un concetto ma un concetto non è la realtà.

La nostra rappresentazione della realtà può essere più facile da afferrare che la realtà
stessa. (Talbot)

Cos’è la Realtà? Qualcosa che non cambia mai (l'invariante!), che soggiace a
prima del concepimento e dopo la morte, ma anche questo diventa un concetto al
quale ti aggrappi.

La realtà è l'invariante cioè ciò che è indipendente dall'osservatore e quindi non


prospettico. L'unico invariante è il nulla. L'esistenza è il nulla visto dal di dentro.
L'universo è fatto di nulla. (Gefter) 461
Non vi è Realtà Assoluta. Una volta si parlava di Dio, di Coscienza. Si sono cambiati
solo i nomi. Non vale nemmeno il nome “silenzio”: se puoi esprimerlo,
sperimentarlo, allora non è silenzio.

C'è qualcosa di immutabile nel continuo apparente movimento della vita.

Gli osservatori creano la realtà ma gli osservatori non sono reali. (Gefter)

Il Supremo è al di là di tutte le distinzioni, e il termine "reale" non gli si addice,


perché in esso tutto è reale, e perciò non ha bisogno di essere definito così. È la fonte
stessa della realtà, dà realtà a tutto ciò che tocca. È impossibile capirlo a parole.
Anche una sublime esperienza diretta è solo una testimonianza e niente di più.

Una descrizione universale, indipendente dall'osservatore, dello stato delle cose del
mondo, non esiste. La realtà dipende dall'osservatore quindi la realtà non è reale.

Alcuni (realismo strutturale ontico) sostengono che esistono solo le relazioni e non
le sostanze, altri (realismo strutturale epistemico) dicono che noi possiamo
conoscere solo le relazioni ma che le sostanze esistono anche se sono inconoscibili.
Il realismo strutturale ontico sembra proporre una metafisica spinoziana in cui ci
sarebbe una sola sostanza piena di relazioni.

Berkeley crede di dimostrare che tutta la realtà è spirituale (senza spiegare cosa
significhi questa parola) ma dimostra invece che noi percepiamo le qualità (che
sono relative a chi le percepisce) e non le cose. Russell sembra affermare che
possono esistere colori in assenza di persone … distinguendo ancora percepiente e
percepito!
Non solo l'illuminazione ma anche la realtà è un concetto.
Crediamo che sia reale solo ciò che è percepibile da uno dei nostri sensi, laddove il
reale, forse, è ciò che non è percepibile dai sensi.
La realtà è vuota e non vuota allo stesso tempo!
Tra gli enti razionali (che sono una nostra creazione) e gli enti reali resta una alterità,
una differenza radicale. Per questo la realtà resta inconoscibile.
La Realtà assoluta NON è un’esperienza.
La realtà ultima non può mai essere oggetto di ragionamento o di conoscenza
dimostrabile. Né può essere descritta adeguatamente con parole, perché sta al di là
del campo dei sensi e dell'intelletto dai quali derivano le nostre parole e i nostri
concetti.

462
La realtà è vuota e non vuota allo stesso tempo: è sia A che non A
contemporaneamente!!! Altro che principio del terzo escluso di aristotelica
memoria!
Noi uomini non sappiamo vedere le cose e nemmeno noi stessi nella intrinseca realtà
e, proprio questo, ci permette di sopravvivere.
La realtà stessa è un'ombra, dipende da quale punto la osserviamo, esiste, non esiste.
La poesia libera l'animo dal peso della realtà.
Tutto quanto ti capita è una TUA percezione
Non nego la realtà ma sono scettico su qualsiasi definizione di essa. (Pirrone)
Non esiste una sola realtà! La percezione della realtà varia da individuo a individuo a
seconda dei sentimenti, degli scopi e delle rappresentazioni personali.
La nostra storia prevede altri percorsi, ciò che la metafora della meccanica quantistica
ha esportato nel mondo della cultura contemporanea, gli stati sovrapposti
dell’esistenza, mentre la realtà che noi conosciamo è unidirezionale segue solo un
tragitto. Sembra un paradosso poter affermare che noi non siamo mai nati, che siamo
vivi solo per il nostro sistema di riferimento e potremmo non esserci se osservati da
altri piani dimensionali, abitiamo una realtà nebulosa, tuttavia reale per noi forse
senza alcuna origine, che fluttua fuori da tempo, attraversa la curvatura del tempo e si
annichilisce nel vuoto oltre l’eternità. Inoltre, non esiste un solo tempo, ma tempi
diversi, mentre noi non siamo neanche un punto, ma la sua metafora.
L’esatta natura della realtà, sostiene Wheeler, dipende dalla partecipazione di un
osservatore consapevole. In questo modo è possibile far risalire alla mente la
responsabilità della creazioni retroattiva della realtà.
Davies afferma: “… che secondo Bohr l’indistinto e nebuloso mondo dell’atomo
prende corpo nella realtà concreta solo quando lo si osserva, In assenza
dell’osservatore, l’atomo è un fantasma che si materializza solo quando lo si
cerca”.
Se non ci fosse il tempo stringeremmo ogni cosa in un lampo d'infinito. La realtà
nella sua essenza profonda non appartiene ai sistemi integrabili. Le realtà sono
instabili, sono disseminate in un ibrido di esistenza ed inesistenza, tuttavia i loro
frammenti di certezza tendono a decadere e dissiparsi nel vuoto. Così la vita
nasconde nelle strutture più profonde l'indefinito, il virtuale e sembra strano che da
questa fantasmatica apparenza possa essersi concepita l'esistenza.
La realtà è un gioco infinito di forme in continua metamorfosi, gioco in cui siamo
immersi e coinvolti anche noi.
463
Poiché la nostra rappresentazione della realtà è molto più facile da afferrare che non
la realtà stessa, noi tendiamo a confondere le due cose e a prendere i nostri concetti e
i nostri simboli come fossero la realtà.
La realtà è solo il fluire delle nostre rappresentazioni. (Enesidemo)
Quale luogo stiamo attraversando? Dove sono finiti i nostri morti, forse sia noi che
loro non siamo mai nati, o nati e morti; come il paradosso del gatto di Schròdinger
che è vivo/ morto. Se si sposta il criterio dell'osservazione tutto cambia di
prospettiva, potremmo essere o non esserci, forse viviamo in stati ibridi sovrapposti,
ma ne percepiamo solo uno che definiamo reale. C'è consentito di osservare la realtà
da un solo angolo di visuale. E' come se esistessimo solo quando qualcuno ci osserva,
mentre scompariamo dalla vita quando quel qualcuno di cui non sappiamo niente
della sua esistenza volge lo sguardo altrove. La nostra natura nebulosa e vaga
acquista tonalità dense di colore, invece siamo meno consistenti del vuoto.
Un tempo pensavamo che tutto fosse in qualche modo progettato, disegnato a priori,
cioè che una qualsiasi organizzazione vivente non poteva che derivare da una
complessità superiore. Oggi, invece, si abbracciano ipotesi del tutto contrarie: dalla
disorganizzazione si va via via strutturando la complessità. È proprio lo squilibrio, la
dissipazione dell'energia ad offrire l'opportunità stessa dell'esistenza. L'universo è
condannato alla morte poiché dissipa la sua energia spargendola verso l'infinito,
ma è questa transizione che volge verso il suo decadimento ad offrirci l'opportunità di
esistere. Il vuoto si espande e l' universo si affretta, finché un giorno tutte le stelle si
spegneranno e sarà l'era della notte, l'epoca del buio eterno. Ma se osserviamo la
realtà da un punto di vista quantistico le cose potrebbero apparirci ben diverse, ciò
non vuol dire che non sia vera questa realtà, ma è solo una delle tante realtà, le realtà
esistono insieme, siamo noi che ne viviamo soltanto una.
Se il tempo è relativizzato, vuol dire che noi transitiamo soltanto l'ombra della realtà.
La realtà è una metafora, ci troviamo dinanzi a diverse curve temporali che
s'intersecano e divergono, come la geometria del caos che segue traiettorie indistinte.
Supponete di rappresentare il tempo attraverso una curva, ciascun tempo avrà una sua
curvatura, immaginate che dentro una di quelle curve ci sia la nostra vita, noi
vediamo solo una parte di una delle traiettorie, un dito d'universo, questo frammento
d'orizzonte è ciò che osserviamo, le altre dita o curve ci saranno precluse.
Non si può conoscere la Realtà, si può solamente dimenticare l’”io” ed
automaticamente essa è ed è questa la nostra vera natura.
Le anime sono presenze virtuali, hanno ragione sia i credenti, che gli atei, perché
sono presenze ed assenze, la loro vita come la nostra dipende solo dal punto di vista
in cui ci situiamo quando la supponiamo. La realtà è confusa!
464
Nello scoprire l'unica realtà dietro i tanti riflessi si vedrà che nessuna parola, pur
sublime, renderà giustizia a Quello.
Ciò che appare è visione del non manifesto. (Anassagora)
L'apparenza non è opposta alla realtà! Ne è invece la sua prima manifestazione.
Tutto ciò di cui facciamo esperienza è una realtà virtuale generata dal nostro
cervello. E poiché i nostri concetti (innati o appresi che siano) non sono mai perfetti,
percepiamo simulazioni necessariamente imprecise, che ci forniscono l'esperienza di
un ambiente assai diverso da quello in cui ci troviamo realmente. ne abbiamo ottimi
esempi: i miraggi e le illusioni ottiche; il sentire la terra ferma sotto i nostri piedi
nonostante il suo moto sia rapido e complesso; il percepire ad ogni istante un unico
universo e una singola copia del nostro sé cosciente quando sappiamo che ce ne sono
molte.
I realisti pensano che la realtà sia la fuori... forse però esistono solo scariche
elettriche!... esiste solo la realtà virtuale. Tutto ciò di cui facciamo esperienza è una
realtà virtuale generata dal nostro cervello. Percepiamo quindi simulazioni,
simulazioni imprecise: il percepire ad ogni istante un unico universo e una singola
copia del nostro ego cosciente è forse un errore perché potrebbero esistere sia molti
universi che molti io. LA REALTA' CHE STIAMO PERCEPENDO POTREBBE
ESSERE UNA PARTE NON SIGNIFICATIVA DI UNA STRUTTURA PIU'
GRANDE , INACCESSIBILE E PER NOI INCOMPRENSIBILE.

La realtà ultima è inesprimibile, è oltre la consapevolezza, al di là dei tre stati del


divenire (samsara), dell'essere (sat) e del non essere. Sat, Cit e Ananda sono tre
caratteristiche dell'inesprimibile Brahman increato e immutabile. Conoscere il
Brahaman significa essere il Brahman.

Se osserviamo la realtà da un punto di vista quantistico le cose potrebbero apparirci


ben diverse, ciò non vuol dire che non sia vera questa realtà, ma è solo una delle tante
realtà, le realtà esistono insieme, siamo noi che ne viviamo soltanto una.
La realtà sembra essere decisamente molto più ampia e variegata della sezione a
noi visibile, e delle modalità a noi percepibili. il binomio "passato - futuro" è relativo
alle modalità della nostra osservazione, non una caratteristica intrinseca
dell'esistenza, la quale invece lascia spazio ad infiniti diversi flussi tra "passato e
futuro"e ci impone, penso io, una profonda revisione del nostro modo di interpretare
la realtà. (Zamboni)
Per Musil la possibilità è ciò che è potrebbe benissimo non essere, o essere
diversamente da come è; la realtà non ha nulla di necessario né tantomeno di
465
definitivo ma è solo il concreto quanto momentaneo cristallizzarsi degli infiniti
possibili che prima furono e che poi saranno. Da qui il non dare maggior peso a ciò
che è rispetto a ciò che potrebbe essere.
L'uomo vede il mondo sorpassare se stesso nell'attimo stesso in cui tenta di
giudicarlo, rapito dall'indefinibile indeterminatezza del reale.

In noi esiste, erroneamente, la presunzione che la realtà, qual è per noi, debba
essere e sia per tutti gli altri. Invece la mia realtà è diversa dalla tua che è diversa
da quella di ogni altro; infinite realtà, infinite prospettive sulla realtà.

Ciascuno vuole imporre agli altri il mondo che ha dentro: gli altri devono essere
come lui li vede!

Una realtà non ci fu data e non c'è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere.

La realtà non è obiettiva, essa è solo consensuale.

Le cose diventano reali solo dopo che si è imparato a mettersi d'accordo sulla loro
realtà.
Nulla che sia percepibile è reale.

Non c'è una realtà unica condivisa da più osservatori. Ognuno è costretto a farsi
un mondo di cartapesta solo per se stesso.

Ciascuno può percepire della realtà soltanto ciò che è in grado di riconoscere e
comprendere.

Odifreddi dice che la complessità del reale rende difficile, se non addirittura
impossibile, una sua conoscenza esaustiva e ostensiva. Da sempre dunque si è cercato
di ridurlo e classificarlo in un progressivo percorso di semplificazione e astrazione
(divisione direi). La rappresentazione della realtà è stata ridotta dapprima a concetti e
ideogrammi. Poi si è arrivati alle lettere e ai numeri.

L’idea che la realtà va studiata per conquistarla, per sottometterla, per governarla a
nostro piacimento è una nostra invenzione occidentale, in particolare degli ultimi
secoli.

-RELATIVISMO**

Il relativismo è una posizione filosofica che nega l'esistenza di verità assolute, o


mette criticamente in discussione la possibilità di giungere a una loro definizione
assoluta e definitiva. In Europa se ne riconosce la prima comparsa all'interno
466
della sofistica greca; in seguito posizioni relativiste furono espresse
dallo scetticismo antico e moderno, dal criticismo, dall'empirismo e dal pragmatismo.

Se io avessi un io … sarei, per scelta, relativista. Ma vista che non credo di avere un
io, sarei nichilista. Stupidaggini! Vuoti concetti! Liberi dall'io, non si può essere né
relativisti e neppure nichilisti. Solo chi ha un io molto strutturato pensa al relativismo
e al nichilismo.

La cultura sofistica, servendosi della critica della nozione di verità, perviene ad una


forma radicale di relativismo. Non solo non esiste una verità assolutamente valida,
ma l'unico metro di valutazione diviene l'individuo: per ciascuno è vera solamente la
propria percezione soggettiva. Analogamente tale visione relativistica del mondo
viene applicata al campo dell'etica... Non esistono azioni buone o cattive in sé;
ciascuna azione deve essere valutata caso per caso. (Cioffi)

Il relativismo è l'atteggiamento del pensiero che consideri la conoscenza come


incapace di attingere una realtà oggettiva e assoluta. Il Relativismo culturale, ad
esempio, è la tesi per cui culture diverse presentano costumi e valori diversi, su cui
nessuna scienza può pronunciare giudizi di valore. Il Relativismo etico, è la tesi per
cui i principi e i giudizi etici sono relativi alle norme stabilite dagli individui o a
quelle vigenti in determinate culture, cosicché non esisterebbe alcuna morale
universale. Per i dogmatici di tutte le religioni e culture il relativismo è il nemico
da abbattere.

Chi è relativista sostiene che una verità assoluta non esiste, oppure, anche se esiste,
non è conoscibile o esprimibile o, in alternativa, è conoscibile o esprimibile soltanto
parzialmente (appunto, relativamente); gli individui possono dunque ottenere solo
conoscenze relative, in quanto ogni affermazione è riferita a particolari fattori e solo
in riferimento ad essi è vera.

Per i sofisti, nessun atto conoscitivo raggiunge la natura oggettiva delle cose, né
rappresenta una verità assoluta valida per ognuno. Per Protagora la conoscenza è
sempre condizionata dal singolo soggetto che percepisce e pensa, e non esistono
criteri universali che consentano di discriminare la verità e la falsità delle conoscenze
soggettive, né un bene ed una giustizia assoluti, che possano valere
da norma definitiva per i comportamenti etici.

Un ulteriore punto di vista, di cui Ludwig Wittgenstein fu il principale sostenitore, è


che, poiché tutto viene filtrato dalle percezioni umane, limitate ed imperfette, per
forza di cose ogni conoscenza è relativa alle esperienze sensibili per l'uomo.

467
Per il filosofo Nicola Abbagnano l'antica sofistica, lo scetticismo, l'empirismo e
il criticismo sono manifestazioni di un relativismo che tenta di crearsi una tradizione.
Ma in realtà la corrente detta Relativismo, per Abbagnano, è nata come fenomeno
moderno, legata alla cultura del XIX secolo. Manifestazione estrema la dottrina
di Oswald Spengler nel suo libro Il tramonto dell'Occidente (1918-1922) dove è
affermata la relatività di tutti i valori della vita in rapporto alle epoche storiche,
considerate come entità organiche, ognuna delle quali cresce, si sviluppa e muore
senza rapporto con l'altra: « Ogni cultura ha il suo proprio criterio, la cui validità
comincia e finisce con esso. Non vi è alcuna morale umana universale »

Tra le varie civiltà non è possibile alcuna comunicazione, poiché non vi sono valori
comuni tra esse; per cui anche la civiltà occidentale è quindi destinata ad estinguersi.
Ci sono cristiani che organizzano preghiere contro il relativismo. Non sarebbe, forse,
meglio amare il prossimo scevri da piccole ideologie divisive? Meglio i
comportamenti (orto-praxia) che le ideologie (orto-doxia).
I critici del relativismo sostengono che se, come affermano i relativisti, nessuna
rappresentazione umana può aspirare al rango di "oggettività", allora neanche il
relativismo stesso può aspirarvi; pertanto esso si contraddirebbe qualora pretenda
di essere nel vero. Attenzione però … il relativismo, forse, non pretende di essere nel
vero, ma esprime semplicemente un punto di vista, una prospettiva.
-RELAZIONE**

Essere è essere in relazione! L’esistenza è una rete di interrelazioni, noi tutti


continuiamo a muoverci l’uno dentro nell’altro. Quando ti parlo, che cosa faccio? Mi
muovo incessantemente dentro di te. Quando tu mi ascolti, apri una porta e mi
permetti di entrare. Respiri e l’esistenza penetra dentro di te; apri gli occhi e il sole
entra dentro di te: in ogni momento, ventiquattro ore al giorno, sei come un punto in
cui milioni di altri punti e linee si incontrano. Non sei separato! Prova a pensare:
puoi esistere separatamente? Puoi esistere nel totale isolamento? Moriresti nel giro di
pochi secondi. Tu non sei! Solo il Tutto è!
468
Nagarjuna dice che si può pensare l’interdipendenza senza essenze autonome.
Anzi l’interdipendenza — questo è il suo argomentare chiave — richiede di
dimenticare essenze autonome. La fisica moderna pullula di nozioni relazionali,
non solo nei quanti: la velocità di un oggetto non esiste in sé, esiste solo rispetto a un
altro oggetto; un campo in sé non è elettrico o magnetico, lo è solo rispetto ad altro, e
così via. La lunga ricerca della «sostanza ultima» della fisica è naufragata nella
complessità relazionale della teoria quantistica dei campi e della relatività generale.
(Rovelli)

La paranoia dell´identitá ci fa dimenticare una veritá antropologica


incontestabile: non siamo soggetti separati gli uni dagli altri, ma, al contrario,
siamo modellati da relazioni. Fin da quando veniamo al mondo, siamo costituiti
come un "io" a partire dall´appello del "tu" materno. E le relazioni che ci
coinvolgono nella nostra vita sono molteplici: con sé stessi, interpersonali, erotiche,
di genere, familiari, di generazioni, sociali, economiche, culturali e etniche, politiche,
ecologiche, religiose, ecumeniche. cosmiche. E tutte queste relazioni sono segnate
dalle diversitá culturali, dai cambiamenti storici a dal conflitto. Le relazioni ci
costituiscono e ci definiscono, ma, contemporaneamente, interpellano la nostra
libertá, le nostre decisioni, la nostra prassi. Non possiamo fingere che il contrassegno
delle relazioni umane é la raggiunta reciprocitá. Infatti, tutte le relazioni sono segnate
dall´ingiustizia e dall´assimetria etica. (Don Flavio Lazzarin - Missionario)

Il permanete ed inevitabile coinvolgimento del soggetto comparante nella relazione


comparativa evita ogni deriva relativistica, perché è vero che ogni sguardo, in quanto
soggettivo, è relativo, ma è ancor più vero che, non appena si rende di esistere solo
in quanto costituito da relazioni, esso diventa consapevole di essere,
necessariamente, sempre al di là della sua pura soggettività. (Pasqualotto)
Ogni sé concreto sia esso una persona, una specie, un popolo, uno stato, si forma e si
realizza partecipando al divenire storico, contribuendo alla sua formazione e
arricchendolo con la propria presenza, interagendo con gli infiniti altri individui. Il
mondo si determina come universale concreto in quanto interazione di tutte le
469
interazioni, espressioni delle infinite espressioni di vari sé che reciprocamente si auto
negano gli uni con gli altri e, autonegandosi, si affermano. (Nishida interpretato)
L'Essere contrapposto al Non Essere. Questo è uno dei principi fondanti della
filosofia occidentale. Invece l'antico pensiero orientale si regge sul concetto di
relazione. Relazione intrinseca e intransitiva che, alla fine, lega anche Essere e Non
Essere.
Il logos è connessione, potere di congiunzione e separazione, di unificazione e
divisione. Ogni evento di tal fatta implica l'atto della relazione, non
dell'essere. Il relazionare è contemporaneamente transitivo e intransitivo. Il
logos è ragione perché la ragione è connessione. Ogni connessione ritaglia
distinzioni dall'indistinto, ordine o frammenti d'ordine dal caos, senso sullo
sfondo dell'insenatezza. La connessione, in altri termini il potere di relazione,
produce tutti i modi dell'essere e i modi tutti delle possibili comprensioi
dell'essere. Logos è relazione. (Magno interpretata)

Il Brahman esalta il potere della parola che sta nella realizzazione del potere
benefico e produttivo che lega il contesto degli uomini a quello dell'ordine cosmico
nella consapevolezza della rete di relazioni che unisce tutti gli esseri. (Magno
reinterpretata)
La trama dei nessi che governa le cose è l'unità, l'unità di un ordine che si fa
tramite strutture di relazioni. (Magno)
Ogni fenomeno è l'apparire alla coscienza di una profonda relazione: filosofia
fenomenologica.
La matematica è relazione: la matematica è una sinfonia di relazioni di ogni tipo.
La logica è relazione: data la premessa maggiore e quella minore si trae la
conclusione.
La società è fondata sulle relazioni dice la sociologia anche perché l'uomo stesso è
relazione.
La realtà dell'universo è relazione afferma la meccanica quantistica.
La verità è relazione di relazioni ci insegna Nishida Kitaro, filosofo giapponese del
XX° secolo.
La felicità è avere buone relazioni come risulta da una indagine condotta
dall'Università di Harward dal 1938 e tuttora in corso.
Il pensiero è relazione. Pensante e pensato sono concetti utili alla rappresentazione,
ma non si danno nella realtà esterna al pensiero.
470
Il respiro è relazione!

Le cose e gli eventi sono relazione. I concetti sono relazione cosicchè anche l'io e
l'assoluto sono relazione (Buddha).
Anche la religione cattolica parla della relazione dicendo che l'uomo è relazione a
immagine di Dio. Agostino dice che logos può essere tradotto con relazione.
Essere e nulla sono indiscernibili. Sono chiasma. Sono relazione strettissima.
(Merleau Ponty)
Tutto è relazione?
Già Ibn Arab, pensatore arabo del XIII secolo, concepisce la realtà come
universo costituito da relazioni (e non come spazio in cui sono inseriti degli
oggetti fisici).

La koinonia (Koiné era l'antico linguaggio dialettale greco portato nel mondo da
Alessandro a seguito delle sue conquiste; tale dialetto fu la seconda lingua dei romani
e, quindi, anche il linguaggio dei primi documenti cristiani) o relazione in senso
metafisico è, per il filosofo Paci, la categoria che smaschera l’illusione
dell’irrelazionismo, e che rivela la richiesta talvolta disperata che abbiamo di
comunione e di amore. La Chiesa cristiana delle origini usava il termine
Koinonia per intendere la condivisione, la comunione dei beni e l'antica
eucarestia che era un pasto comune.
Nella cultura filosofica occidentale sono rari i pensatori che hanno inteso la realtà
costituita da relazioni. Eraclito (frammento n° 26); Platone (Sofista, 259a); Hegel
(Scienza della logica, vol. 1°, pp 33 - 35). Questo scrive Pasqualotto.
Solo la relazione può salvare il mondo! Senza relazione ci sono solo egoismo,
cattiveria e sopraffazione. Questo hanno capito tutto i grandi pensatori siano
essi religiosi, filosofi o matematici.
Ad Harward,negli Stati Uniti, è in corso una ricerca sulla felicità che va avanti dal
1938 e riguarda tutti i ceti sociali. Ebbene, quale verità si è dipanata sotto gli occhi
dei ricercatori di Harvard? Che a rendere felici gli esseri umani non sono né la
ricchezza né la fama, i feticci della modernità. È la qualità delle loro relazioni.
Soltanto quella. La solitudine e le frequentazioni sbagliate atrofizzano il cuore,
peggiorano la salute e fanno arrugginire precocemente il cervello. Chi a
cinquant’anni si comportava da orso o da animale in gabbia, e magari era un manager
di successo in perfetta forma fisica, è invecchiato male oppure è morto. Mentre chi
già allora coltivava buone relazioni con la famiglia, gli amici e la propria comunità è
471
diventato un vegliardo felice, vispo e in salute, anche se aveva il colesterolo alto. Il
calore umano sarebbe dunque l’elisir di lunga e felice vita che l’uomo cerca da
millenni senza sapere di averlo sotto il naso. Ovviamente non basta circondarsi di
legami: si può essere soli anche in una folla o in un matrimonio sbagliato. Perché
quei legami si scaldino e diventino affetti occorre investirci lo stesso tempo e le
stesse energie che normalmente vengono dedicate a procacciarsi fama e ricchezza. 

Harvard dà ragione ad Al Bano. La felicità consiste nel seguire il proprio «daimon»,


ma ancora di più nel tenersi per mano.

"Raccogli un fiore sulla Terra e muoverai la stella più distante". Chi scrive questo
non è un grande poeta ma un grande fisico: Paul Dirac, premio Nobel per la Fisica, il
quale intendeva significare l'interconnessione globale dell'universo.
Il rapporto di relazione, di implicazione, di reciproco contenersi, che fonda il
dharmadhatu, non significa annientamento delle distinzioni. L'uno coincide con i
molti senza che i molti vengano distrutti.
All'interno di un fenomeno è contenuta una molteplicità di fenomeni: uno e molti si
manifestano immediatamente. In una particella di polvere vi sono infiniti universi.
Buddismo o Meccanica Quantistica?
Il relazionismo è la dottrina filosofica che, opponendosi a ogni sostanzialismo, risolve
l’essere nelle sue relazioni. Tutto è relazione! A partire dal semplice atomo fino
all'universo intero. Infatti l'atomo è relazione in quanto, essendo composto quasi per
il 99,99% da vuoto, ha consistenza solo grazie alle relazioni (o forze) fra il nucleo e
gli elettroni e alle relazioni interne al nucleo. Per l'universo vale invece il concetto di
interdipendenza cosmica di tutti i fenomeni che è una delle tre leggi fondamentali
della meccanica quantistica. Unità e interconnessione cosmica ribadita anche
dall'antico pensiero orientale. Anche il tempo è relazione e pure lo spazio è relazione!
Ogni proposizione si basa sulla relazione fra un soggetto, un predicato e un
oggetto.
Il semplice pensiero ordinario è incapace di cogliere l'armoniosa e strettissima
relazione esistente fra l'uno e il molteplice. Il pensiero libero, cioè andato oltre tutti
gli schemi, riesce invece nell'intento.
Ogni identità non si costituisce, in un primo tempo, in sé e per sé, e poi, in un
secondo tempo, entra in relazione con una identità diversa, ma essa si costituisce,
fin dall'inizio, da relazioni con identità diverse che, a loro volta, si costituiscono
in modo relazionale. (Pasqualotto)
L'antico pensiero orientale non è nichilistico ma relazionalistico. E' il nulla a
consentire alle cose di avere forma. Tale forma è, per ciascuna, il suo essere tale solo

472
in relazione ad altro. Relazionismo universale con conseguente impossibilità di
esistenze individuali separate.
L'antico pensiero buddista di impronta cinese ci racconta che:
Li shi wuai: tra Principio assoluto e fenomeni nessun impedimento ma anche tra
Principio e fenomeni relazione armoniosa.
Shi shi wuai: fra fenomeno e fenomeno nessun impedimento ma anche una rete
infinita di relazioni.
Queste due asserzioni sono il cuore del dharmadhatu (realtà assoluta).
L'interconnessione universale dell'eterno ritorno! La gaia saggezza! Ogni cosa è
budda e budda è in ogni cosa (jijimuge - ji ji mu ge )
La prima e più importante relazione è quella con il fondamento originario e
sconosciuto: il Vuoto, il Nulla, l'Uno, il Tutto o Dio che dir si voglia.

La relazione non è semplicemente fra l'uno e l'altro (estrinseca) ma è costitutiva


(intrinseca) del loro stesso esserci, della loro essenza .

Alcuni (realismo strutturale ontico) sostengono che esistono solo le relazioni e non
le sostanze, altri (realismo strutturale epistemico) dicono che noi possiamo
conoscere solo le relazioni ma che le sostanze esistono anche se sono inconoscibili.
Il realismo strutturale ontico sembra proporre una metafisica spinoziana in cui ci
sarebbe una sola sostanza piena di relazioni.

Tutte le cose sono collegate le une con le altre, e sacra è la loro connessione:
nessuna, si può dire, è estranea all'uomo. Perché tutte sono organicamente coordinate
e insieme concorrono a formare l'ordine stesso dell'universo. (Marco Aurelio)
Il termine "relazione" comporta l'assunzione, da parte di ogni elemento, della
presenza di tutti gli altri, in quanto nessun è termine in sé isolato: nel momento in cui
si dà l'apertura all'altro che lo determina ponendosi in rapporto reciproco con l'altro,
immediatamente il vincolo relazionale stabilisce quella rete infinita di relazioni che è
metafora, immagine rappresentativa del carattere dialettico del reale; e relazione
indica propriamente che per ogni elemento ne va dell'essere e del manifestarsi degli
altri. (Ghilardi)
Quando l'ego ha il sopravvento sulla relazione, accade che un io accusa l'altro di
essere colpevole di qualche cosa, anzi, di qualsiasi cosa. Incolpare l'altro significa
distruggere la relazione per salvaguardare la propria immagine dell'ego.
E’ vero: in ogni fatto, in ogni cosa isolata, si rivelano legami con tutte le cose, con
tutti gli altri fatti. (Paci)
473
Ubuntu è un'etica, un'ideologia dell'Africa sub-Sahariana che si focalizza sulla lealtà
e sulle relazioni reciproche delle persone.
Il tai chi tu (taijitu) è relazione intrinseca.
Il respiro (Ki, prana, pneuma) è la prima e più importante fra le relazioni che il
vivente ha con il mondo. Il Respiro è l'energia primigenia senza la quale non
vivremmo.
L'atomo è costituito principalmente da relazione visto che la sua massa effettiva
è inconsistente: il 99% dell'atomo è vuoto!
L'insegnamento buddista sviluppa una poderosa articolazione argomentativa per
dimostrare l'inaggirabile relazionalità universale. (Pasqualotto)
Confucio dice che si realizza la propria umanità solo in relazione con altri esseri
umani.
Noi, tanto se siamo, quanto se diventiamo, siamo e diventiamo in relazione l'uno con
l'altro. (Platone)
Il nostro cervello è composto principalmente da cento miliardi di connessioni
neuronali che non sono altro che relazioni fra segnali elettrici.
Tommaso d'Aquino, nella sua riflessione teoretica sulla Trinità, afferma che la
singola persona divina è definita elusivamente attraverso le sue relazioni e aggiunge
anche che essa è in quanto relazione. Forse non sarebbe fuori luogo estendere il
concetto alla persona umana.
Paticcasamuppada è un termine in dialetto pali che significa "genesi
interdipendente" a significare che ogni elemento della realtà viene visto come
condizionato e condizionante allo stesso tempo. Al cuore di questa teoria sta infatti il
senso di reciproca implicazione che connette tutti gli elementi della realtà.
Paticcasamuppäda: ’sorgere dalla condizione precedente’, ’originazione dipendente’.
Forse vuole significare la connessione globale, il rapporto di reciproca dipendenza e
non sequenza causale. Dunque, un enorme processo di relazioni interconnesse:
"vedo migliaia di elementi interconnessi che hanno concorso alla formazione di
questa ciotola: terra, acqua, fuoco, aria, e molti altri" dice Ananda interrogato dal
Buddha. Si parla di relazionismo dinamico!
Ogni cosa è quello che è – scrive Paci – ma è anche l’indice delle altre. (...) La
correlazione – che spiega perché il ‘relazionismo’ di chi scrive queste righe ha dovuto
rifarsi alla fenomenologia che proprio nei testi inediti di Husserl si è dichiarata
relazionistica anche se tale era fin dall’inizio – significa in altre parole: se ritorno
all’io nell’io trovo tutto il resto e lo trovo fondato sull’esperienza mia ed altrui

474
Attraverso il relazionismo Paci ha delineato una filosofia sensibile ai problemi
dell’esistenza, aperta ai molteplici significati dell’esperienza, sempre incompiuta e in
‘corso’, capace di accogliere le problematiche della scienza, consapevole dei propri
limiti teoretici ma diffidente dalla ‘verità’ assoluta.

Non solo il mondo (l'atomo e l'universo) è retto dalla relazione ma pure l'individuo è
relazione. Si pensi, ad esempio, che l'esistenzialismo del filosofo Paci è la relazione,
intesa come condizione di esistenza di tutti gli avvenimenti che costituiscono il
mondo (Dall'esistenzialismo al relazionismo). Evento è anche l'io, che si conosce
come esistenza finita ed empirica in rapporto ad altre esistenze. L'Io infatti si
riconosce solo in quanto confrontato con un Altro, e sono quindi gli altri a dare
conformazione e identità al nostro Io, e questo processo è fruttuoso, forte e orientato
se il soggetto sa e si impegna a stringere “Relazioni”. Lo stesso filosofo Paci definiva
il suo pensiero Relazionismo (il suo relazionismo è “concreto” e non logico - astratto:
dunque esistenzialistico) intendendo il suo continuo impegno intellettuale di ricerca
di senso, anche e soprattutto mediante la Relazione. La Relazione per Paci è qualcosa
di fondamentale e ulteriore che cambia la nostra vita. Paci scriveva che la Relazione
prescinde i due soggetti che la intrecciano, è un concetto “nuovo”, “terzo” che è tanto
più significativo quanto più i soggetti sono disposti a farsi mutare consapevolmente
da essa, e dal lavoro di riflessione che ne segue. La relazione va cercata, coltivata,
resa e mantenuta continuamente autentica, anche se conflittuale. La riflessione,
infine, come salvezza dall'irreversibilità del tempo, ricrea e analizza il passato per
ricercarne ancora il senso, e proiettare questa ricerca nel futuro di un progetto.
Epochè, riflessione e relazione costituiscono, riassumendo, il lavoro esistenziale
di ricerca di senso.

Fenomenologia: il fenomeno è l'apparire alla coscienza di una relazione.


Senza relazione non si può esistere: “essere” significa essere in relazione! Non
sembra che la maggior parte di noi si renda conto di questo fatto, e cioè che il mondo
è relazione con tutto il resto.
L'idea di relazione è presente in Eraclito (frammento 26: quando si addormenta
l'uomo mette in relazione la vita con la morte - mia libera interpretazione); in
Platone Sofista 259a; in Spinoza che per Pasqualotto è addirittura un Buddha, un
risvegliato; in Hegel Scienza della logica (passim).
Anche nel Canone Pali del buddismo hinayana (il più antico) si celebra la relazione
come costitutiva di ogni realtà fisica o metafisica.
Il Neo - relazionismo nell'arte
La relazione è trasformazione. 
Le diversità si manifestano in quanto in relazione le une con le altre. Soltanto dal
confronto scaturisce il movimento e di conseguenza la trasformazione. La forma
475
iniziale di un processo si modifica in una forma finale che la contempla in uno
sviluppo organico: la trasformazione è metamorfosi. D’altro canto essa realizza le
diversità poiché stabilisce relazioni tra le nuove forme che si sono create nel tempo. 
La relazione è energia. 
Durante questo processo dinamico avviene uno scambio energetico. Il lavoro
termodinamico è energia, ma lo sono altrettanto il pensiero, la parola ed il sogno.
L’atto contemplativo e la meditazione sono energia. L’operazione di osservare è
relazione ed energia: non esiste l’osservatore assoluto che osserva l’oggetto
natura, ma il ricercatore è nella natura, così come la natura è nel ricercatore.
Nell’atto di conoscere, avviene la trasformazione, conseguenza dell’interazione che si
stabilisce tra essi. 
La relazione è valore. 
La trasformazione per sua stessa natura, sviluppa contenuti che sono gli effetti delle
diversità trasformanti, ma anche la causa della continuità del processo. Ogni evento è
in relazione con gli altri, sia presenti che passati o futuri. La comprensione di
questo meccanismo, comporta nell’essere umano la consapevolezza della totale
responsabilità della propria esistenza. Questa consapevolezza è valore. 

Preso atto di quanto enunciato, stabiliamo in questi sette punti il Manifesto del Neo–
Relazionismo: 

1. Tutto è relazione, l’esistenza è relazione, l’uomo esiste in quanto relazionante. 

2. L’arte è intuizione dell’interrelazione che pervade l’Universo, 


è metamorfosi, perché trasforma una forma in un’altra. L’opera d’arte è la
realizzazione di uno stato transitorio, è contemporaneamente effetto di un processo e
causa di un altro. La trasformazione continua attraverso la contemplazione da parte
dell’osservatore ed innesca in lui un processo di elaborazione dei contenuti. L’opera
d’arte è una chiave che permette di sintonizzare la propria vibrazione armonica
con quella del Tutto. Traghettando l’individuo che la osserva nel mondo delle
proprie intuizioni ed emozioni più intime, l’opera si relaziona con il fruitore in modo
unico. 

3. L’artista ha il dono di sentire, 


elaborare e trasformare i segni dell’Universo. Egli sa ricordare, lasciando che
immagini e simboli, provenienti dai propri livelli di coscienza, affiorino; li accoglie,
li elabora e li integra, attende che emergano naturalmente in superficie e li offre agli
altri. Egli, tramite la qualità e l’intensità della sua opera, non solo crea un’opportunità
di crescita per elevare se stesso, ma riesce anche ad innalzare coloro che entrano in
risonanza con la vibrazione irradiata dalla sua arte. 

4. L’artista si pone al servizio dell’ Umanità 


attraverso l’arte. Riconosce il proprio dono con umiltà e lavora con obiettivi sempre
476
molto elevati e puri, cioè costantemente focalizzati sull’amore incondizionato per la
Natura, l’Universo e l’Umanità intera. 

5. L’artista è sempre animato da un grande spirito di ricerca, 


supportato dall’esperienza diretta. Di conseguenza, egli riconduce nel quotidiano i
contenuti mistici, relazionando tra loro Spirito e Materia. Il desiderio di rimettersi
costantemente in gioco induce al cambiamento e consente all’artista di approfondire
la conoscenza del proprio essere. 

6. L’artista manifesta empatia 


nei riguardi dell’ambiente e di tutti gli esseri viventi. Egli percepisce il senso
profondo della vita e di conseguenza entra in connessione con gli altri, sentendone e
condividendone a fondo le esperienze emozionali. 

7. L’artista sviluppa senso di gratitudine 


verso ogni manifestazione dell’Universo. Accoglie l’esperienza spogliandone il
contenuto da qualunque forma di giudizio ed assaporandone quindi la bellezza nella
sua essenza. Egli è perciò consapevole del fatto che ogni situazione comporta un’
evoluzione personale. 

-RELIGIONI**

La religione è un'illusione, e deriva la sua forza dal fatto che corrisponde ai


nostri desideri istintuali. (Freud)

La religione è per Marx un inganno che l’umanità offre a se stessa, una droga che
ottunde i sensi e non permette di comprendere la natura inguaribilmente infelice
dell’esistenza. Di conseguenza parla della religione come dell'oppio dei popoli
(parafrasando Feuerbach) che porta alla alienazione religiosa.

Quando una religione ha la pretesa di imporre la sua dottrina all'umanità


intera, si degrada a tirannia e diventa una forma di imperialismo.
(R. Tagore)

Jonathan Zittell Smith, probabilmente il più influente studioso di religioni degli


ultimi cinquant’anni, ha dichiarato nel suo libro Imagining Religion: From Babylon
to Jonestown (1982) che “la religione è solamente una creazione degli studiosi”, e
che non ha “nessuna esistenza indipendente se non quella accademica”.

Mircea Eliade, maestro di Smith, sviluppa invece i concetti di “tempo sacro” e


“spazio sacro”. Secondo lo studioso, l’uomo arcaico, o Homo religiosus, ha sempre
raccontato storie su ciò che gli dei hanno fatto in un mitico “inizio”. Gli uomini
477
hanno consacrato il tempo attraverso la ripetizione di miti cosmogonici e riti disparati
che vanno dai sacrifici umani al pasto comune e al tracciare degli spazi sacri a
seconda del loro rapporto con il “simbolismo del Centro”. Questo particolare
simbolismo comprendeva la “montagna sacra”, in latino detto anche axis
mundi (l’asse del mondo) – il punto archetipico di intersezione tra sacro e profano –
ma anche città sante, palazzi e templi. I miti, i rituali e i luoghi specifici erano
culturalmente e storicamente differenti, ovviamente, ma Eliade li vide come esempi
di un modello universale.

L'etimo della parola religione si fonda sul concetto di legare insieme, di mettere
in rapporto l'uomo con il divino, dunque di relazione fra la parte e il tutto, fra il
relativo e l'assoluto. Una profonda relazione fra l'io e Dio (che non sono due
perché sono distinti ma non divisi).

A causa del concetto di Dio come persona, abbiamo dovuto creare un diavolo contro
Dio, e questo a causa di tutte le negatività. Dove le mettereste altrimenti? Devi creare
qualcuno su cui gettare tutte le negatività. Di conseguenza anche il tuo Dio diventa
falso, ed anche il tuo diavolo è falso, perché negatività e positività esistono insieme,
non separatamente. E alla fine attribuisci a Dio tutto ciò che ti piace, mentre tutto
quello che non ti piace lo passi al diavolo: è una divisione che fai tu. (Osho che
commenta Eraclito)

Il concetto di anima è il miglior antidoto che l’uomo ha creato contro la paura


della morte: la storia delle religioni ci insegna che l’umanità da secoli crede
nell’immortalità dell’anima, immagina mondi ultraterreni meravigliosi e
bellissimi, confida che farà parte del divino, pur di esorcizzare la spaventosa fine
della vita. È noto, i sistemi religiosi promettono esistenze eterne infinitamente
felici o disperate, a seconda del comportamento che l’individuo ha mantenuto in
vita, cioè in pratica a seconda del grado di sottomissione alle norme stabilite
dalle autorità religiose.

All’origine dell’«ipotesi religiosa» non c'è il «di meno» inquietante della paura ma il
«di più» della «meraviglia». La religione non serve a contenere l'angoscia ma a
liberare la gioia. (Petrosino)

Gli uomini hanno costruito degli dei e delle religioni a propria immagine e
somiglianza e con le loro stesse smanie di grandezza, con i loro stessi difetti. Ognuno
è convinto d'essere l'unico depositario della perfetta conoscenza di dio, come se DIO
fosse veramente conoscibile.

Il versetto 48 della Sura V del Corano recita: "E a te (o Muhammad) abbiamo


rivelato il Libro secondo Verità, a conferma delle scritture rivelate prima [a ebrei e
cristiani]… A ognuno di voi abbiamo assegnato una regola e una via (= una
478
religione), mentre se Iddio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una Comunità Unica,
ma ciò non ha fatto per provarvi in quel chi vi ha dato. Gareggiate dunque nelle
opere buone, ché a Dio tutti tornerete, e allora Egli vi informerà di quelle cose per le
quali ora siete in discordia". Da sottolineare sia l'idea di reciproco rispetto fra le tre
religioni del Libro (siamo nel VII secolo) nonché la bellissima frase: "gareggiate
dunque nelle opere buone".

In sintesi, secondo [i filosofi], [le religioni] sono necessarie perché conducono alla
saggezza [hikma] in modi condivisibili da tutti gli uomini, mentre la filosofia
[falsafa] conduce solo un numero limitato di persone intelligenti alla conoscenza
della felicità. [La filosofia] implica l'apprendimento della saggezza, mentre le
religioni mirano a insegnare al volgo in generale. Nonostante ciò, non esiste religione
che non sia attenta anche alle particolari esigenze dei sapienti, sebbene si occupi in
primo luogo di ciò cui tutta la massa può partecipare. (Averroè)

Sia per Averroè che per Giordano Bruno la religione è un sistema culturale necessario
a garantire l'ordine sociale, soprattutto delle masse, attraverso la morale. Infatti i
popoli rozzi vanno governati tramite la paura e la speranza. Solo una cerchia ristretta
di intellettuali, a loro parere, è in grado di cercare la verità attraverso i metodi della
filosofia. La teoria della doppia verità che, però non sarebbe mai stata appoggiata dal
pensatore arabo troppo coinvolto dal punto di vista religioso.

Buddismo delle origini e grecità non hanno testi sacri.

La cosmologia aristotelica fu accolta quasi in toto dai teologi cristiani. Escludendo


dottrine come l'eternità e l'ingenerabilità del mondo, sostituendo Dio al Primo motore
immobile e aggiungendo l'empireo come sede divina ed angelica, la prospettiva greca
venne inglobata in quella cristiana.

La ilaha illa Allah, solitamente tradotta con “non c'è altra divinità al di fuori di Dio”,
ma ciò che nel suo significato profondo indica è che non esiste realtà al di fuori
dell'Assoluta Realtà, negando tutto ciò che è altro rispetto ad Allah. Questa
formulazione, che è la base coranica della dottrina sufi dell'Unità dell'Essere
(wahdat al-Wujud) non implica che ci sia una continuità sostanziale tra Dio e il
mondo, o una qualsiasi forma di panteismo o di monismo; piuttosto, significa che non
ci possono essere due ordini di realtà indipendenti l'uno dall'altro.

La Jewish Enciclopedia sostiene: «La credenza che l'anima continui ad esistere


dopo la dissoluzione del corpo è argomento di speculazione filosofica e teologica
e di conseguenza non è espressamente insegnata in alcun punto della Sacra
Scrittura». Anche Papa Benedetto XVI, parlando della Chiesa antica, ha tenuto a
precisare: «Per la Chiesa antica è significativo che non esisteva alcuna
affermazione dottrinale circa l'immortalità dell'anima».
479
Il credo niceno-costantinopolitano parla della resurrezione della carne ma non fa
cenno alla immortalità dell'anima.

 Gli illuministi si chiedevano che cosa sarebbe stata la religione cristiana senza la
Madonna.

Il cristiano, per vocazione, è fratello di ogni uomo, specie se povero, e anche se


nemico. (Papa Francesco)

 La teoria cristiana dell'essere stabilisce che Dio è creatore del mondo: la creazione
è un atto libero di Dio che dal nulla (ex nihilo) pone nell'essere altri enti da se stesso
diversi. Questo nega che il mondo abbia carattere panteistico e nega alle cose
qualsiasi attributo divino. In altri termini Dio ha la sua natura e le cose la loro, e
non si confondono, e quindi neppure si amalgamano altrimenti non avremmo né Dio
né la cosa/anima, ma un terzo elemento che non sapremmo neppure come definirlo.
Quindi per il cristianesimo non vi potrà mai essere una commistione tra Dio e le cose
e le anime: una cosa o esiste in sé o non esiste, ma non è riassorbibile dall'essere
divino. Più dualisti di così non si può! La meccanica quantistica poi smentisce che
"una cosa o esiste in sé o non esiste".
La parola umana non può dire la verità divina. (Papa Benedetto XVI)
La vera religione è la vita che conduciamo e non il credo che professiamo. (Nizer)
Per Hume la religione è ricondotta al sentimento di timore e speranza che ciascun
uomo prova naturalmente di fronte alle forze della natura e al mistero della morte.
La mia religione è l'abbraccio.
La mia religione è, prima di tutto, domanda. Le risposte mi interessano poco,
soprattutto se preconfezionate e dogmatiche asserendo che "E' Dio che parla!".
Nietzsche attacca la pretesa di morali e religioni di migliorare l'uomo attraverso
pratiche di addomesticamento e di allevamento. Tutte le religioni, infatti, vogliono
cambiare l'uomo che però non sembra cambiare mai.
Gesù, forse, non era dualista: diceva, infatti, ama il prossimo tuo come te stesso (visto
che non siete due?).
Forse l'umanità non è costituita da molti esseri … ma da molte illusioni egoiche. Tu
sei quello!
O le religioni sono strumenti di pace e di empatia o non sono e spariranno! La pace
passa attraverso l'educazione al rispetto religioso dell'alterità.

480
Cusano, nel De Pace Fidei, dice che esiste una sola religione pur nella varietà dei riti.
E' ciò che le unisce pur nella diversità.
La spiritualità è forse superiore alla religione? Le emozioni interiori sovrastano i
dogmi esteriori?
Se qualcosa è buono, allora è anche divino. In questo stranamente si compendia la
mia etica. (Wittgenstein) Il che significa: non è il divino a stabilire il bene, ma è il
bene a stabilire il divino. Primato della vita sui libri sacri, sui dogmi, sulle gerarchie
ecclesiastiche. Una parola gentile, uno sguardo affettuoso, un abbraccio, una
carezza... ecco i veri sacramenti.
I Vangeli sono tutti posteriori all'anno 70, anno in cui Tito distrusse il tempio di
Gerusalemme. Non sono quindi contemporanei a Gesù. Sembrano essere un
passaparola ove spicca però anche la storia della figlia di Pietro. Costei era paralitica.
Pietro la guarisce di fronte alla folla. Poi però la ritorna paralitica perché dice che,
altrimenti, avrebbe tentato con la sua bellezza la purezza di molti uomini.
Terrificante!
La maldicenza è una sorta di rifiuto della complessità del reale - tanta è la sua
gravità … una disfunzione linguistica …, l'espressione distorta di un discorso
religioso che pretende che una nozione sia sempre - obiettivamente - o vera o
falsa e che uno abbia o ragione o torto. In questo "o/o" è racchiusa l'incapacità
di sopportare la relatività delle cose umane. Come se l'universo si svelasse a noi
sotto forma di un semplice fronteggiarsi di bene e male. Gli integralismi sono
effettivamente inclini a rendersi capaci di rispondere a tutte le domande e di
colmare i vuoti di senso. Spiegare ciò che è inspiegabile, dimostrare Dio. Il
Talmud, invece, preferisce mostrare l'ambiguità del mondo ed educare l'uomo a
una saggezza che è quella dell'incertezza, a un'intelligenza che è quella della
complessità. (Bernheim)
Nel Talmud; proprio nel primo trattato Berakhot (Benedizioni), c'è una frase amo che
molto: "insegna nella tua lingua a dire NON SO".

Per il buddismo non esiste il post-mortem e non esiste né corpo puro e neppure
coscienza pura: tutto è privo di sé e in rapporto con altro.

Gli "altri" dovrebbero poter essere liberi di "salvarsi" a modo loro senza che noi
imponessimo loro la nostra via di salvezza. DUBITA E AMA! Altro non puoi …

Potersi identificare col proprio progetto RELIGIOSO è la più grande prova


della spiritualità. Oltre ogni dualismo!

Non sono venuto a portare la pace, ma481


la spada, la discordia. (Lc 12,51)
E quei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli
davanti a me. (Lc 19,27)
Verrà e manderà a morte quei coltivatori ad affiderà ad altri la vigna. (Lc 20,16)
Chi sono mia madre e i miei fratelli? (Mc 3,33)
Voi siete delle tombe imbiancate. (Mt 23,27)
E la gente lo pregò di andarsene. (Mc 5,17)

Ogni causa, pensiero, personaggio grande si impone, schiaccia, compenetra, seduce,


porta a conseguenze immani, inani (inutili), incommensurabili. Anche nei migliori vi
sono tesori di malizia, di impurità e di passioni meschine.

Il vero religioso ha tre caratteristiche: è sempre luminoso, gioioso, non


melanconico; è pieno di amore verso gli altri ed è molto tollerante con il
prossimo.

Nella lunga strada, che mi condusse dall'ateismo all'agnosticismo, l'acquisizione del


senso del mistero fu, io credo, determinante. (Millu)

Molti miti assomigliano ai Vangeli. Incominciano con una catastrofe […] e poi tutto
finisce con un ritorno trionfale della vittima, spesso paragonabile a una resurrezione
[…] oggi anche molti cristiani sono persuasi che sia insostenibile rivendicare una
singolarità assoluta al cristianesimo.(Girard)

Desideriamo tutti intensamente, ma non sappiamo esattamente che cosa, dal


momento che è all'invisibile e all'inaccessibile che noi aspiriamo. (Girard)
Secondo l'autore anche Gesù ha provato questo desiderio!

Cullmann fa notare che la dottrina dell'immortalità dell'anima risale al II secolo e


che deriva dalla analoga dottrina ellenica, presa a prestito dal cristianesimo.
Scrive: « [Esiste] una differenza radicale fra l'attesa cristiana della risurrezione
dei morti e la credenza greca nell'immortalità dell'anima... Se poi il cristianesimo
successivo ha stabilito, più tardi, un legame fra le due credenze e se il cristiano medio
oggi le confonde bellamente fra loro, ciò non ci è parsa sufficiente ragione per tacere
su un punto che, con la maggioranza degli esegeti, consideriamo come la verità...
Tutta la vita e tutto il pensiero del Nuovo Testamento [sono] dominati dalla fede
nella risurrezione... L'uomo intero, che era davvero morto, è richiamato alla vita da
un nuovo atto creatore di Dio. »

L'unica vera competizione fra le religioni, se mai ce ne debba essere una, non è quella
che riguarda chi ha ragione o chi è il depositario della verità ma fra chi riesce a
donare più amore e serenità al mondo.

482
Se le influenze degli astri fossero reali e concrete, tutto sarebbe predeterminato e non
i sarebbe posto per il libero arbitrio. Le colpe e i meriti non sarebbero nostri ma
dovute alle stelle. A meno che per influenza delle stelle non si intenda semplicemente
l'interrelazione cosmica.

Pierre Teilhard de Chardin è stato un gesuita, filosofo e paleontologo francese. Il


punto Omega è un termine da lui ideato, per descrivere il massimo livello di
complessità e di coscienza, verso la quale sembra che l'universo tenda nella sua
evoluzione. Ma l'universo tende veramente verso qualche cosa? Oppure siamo noi
uomini a cercare un TELOS?

Io ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente, che si


parlano dentro, si interrogano a vicenda, si rimandano continuamente interrogazioni
pungenti e inquietanti l'un l'altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che
è in me e viceversa. (Martini)

La vera differenza non è fra chi crede e chi non crede ma fra chi pensa e chi non
pensa. (Bobbio)

L’illusione dell’immortalità permea invisibile ogni nostro gesto, ogni nostra


scelta, ogni nostro pensiero. Se l’uomo fosse davvero, intimamente, consapevole
della propria transitorietà, impazzirebbe, sosteneva Freud. E sapete perché? Perché
l'ego non vuole morire! Si è fermamente convinti che l'essere sia molto meglio del
non essere e non si vuole rinunciare all'essere.
La religione a cui ciascuno di noi appartiene è molto più un incidente di nascita che
una questione di scelta personale. (Hertzberg)
Signore e Signora sono normali appellativi di Dio e della Madonna (che non è però
sua moglie). Re e Regina sono ricorrenti appellativi di Dio e della Madonna (che non
sono però sposati). Si parla poi del Regno dei cieli … Nulla di democratico in tutta
questa faccenda. Solo Re, Signori, Padroni e così via.
La festa ebraica delle Luci dura otto giorni e inizia al tramonto del 24 dicembre.
Tutti i fiumi scorrono verso il mare e il mare non si riempie mai; sempre i fiumi
tornano a fluire verso il luogo dove vanno scorrendo. Ogni discorso resta a mezzo,
ché l'uomo non riesce a concluderlo. … Ciò che è stato e ciò che sarà, ciò che è
stato fatto e ciò che si farà. Niente di nuovo sotto il sole. (Qohelet)
Cacciari dice che la parola AMEN rende testimonianza della nostra apistia (mancanza
di fede) anzi, per meglio dire, del nostro credere incredulo (apistos pistos) o della
nostra scarsa fede (oligopistia).

483
Soltanto nella dimensione ebraica il dolore può essere pensato come scandalo, perché
soltanto in tale dimensione il dolore è innaturale e si può aspettare, con fiducia e
certezza, la sua totale sparizione. In questo c'è un'esperienza di senso irriducibile,
perché un greco avrebbe preso per folle chiunque gli avesse detto che ci può
essere un'esistenza senza dolore. Gli ebrei invece credono in una terra senza dolore
ove tutti i perduti, gli anonimi siano recuperati nella dimensione dell'immortalità e
della salvezza universale. Per il greco invece il dolore non ha bisogno di
giustificazione essendo scevro da ogni imputabilità. Esiste senza perché. Bisogna
solo dire si alla terra con tutto il suo dolore. Per Buddha invece il dolore è superabile
eliminando l'attaccamento all'io dovuto all'ignoranza.
Il male ha una sua origine; c'è il male perché c'è stata una colpa. La formula paolina,
che indica che col peccato è entrata nel mondo la morte, è una formula di causa -
effetto.
A vantaggio di un mondo “vero” – «irraggiungibile, indimostrabile, impromettibile»,
scriverà Nietzsche – si priva infatti di valore quella che è l’unica dimensione entro
cui ci si muove, l’ambito del “reale” che per Nietzsche coincide con l’esperibile (in
altri termini, il piano della nostra effettiva “conoscenza”).

Genius loci era originariamente una entità naturale legata ad un luogo e fatta oggetto
di culto nella religione romana.

Baal è una divinità adorata da quasi tutti i popoli del vicino oriente, di origine
semitica o hittita. Il suo nome significa: signore, padrone, possessore. Baal era lo
spirito della fertilità, il principio maschile cui era sacro il toro. Il culto di Baal,
quantunque severamente proibito dalla legislazione mosaica e severamente
rimproverato dai profeti, fu una tentazione costante anche per gli israeliti.
Lo shintoismo è la religione storica del Giappone. Prevede l'adorazione di Kami, un
termine che si può tradurre come divinità, spiriti naturali o semplicemente presenze
spirituali (animismo).
Teodicea (Theos - Dikè) è la giustificazione di Dio di fronte al problema della
sussistenza del male nel mondo e del libero arbitrio umano.
Teologia apofatica (non dire) è una teologia secondo la quale Dio è del tutto
inconoscibile attraverso la razionalità. In quest'ottica, l'approccio più adeguato a
Dio è quello che prevede il silenzio, la contemplazione e l'adorazione del mistero,
prescindendo da ogni indagine razionale dell'essere divino.
La teologia negativa è il modo di pensare Dio e di parlarne per viam negationis. Dio
si pone al di là di ogni cosa creata e per questo nessuna definizione può essere a Lui
484
adeguata. La teologia negativa è, dunque, il riconoscimento dell'impossibilità di poter
dire alcunché di positivo rispetto a Dio.
Pascal e Spinoza già tre secoli fa sostennero l'immanenza del Trascendente e per
questo furono e tuttora sono scomunicati e ignorati.
La religione è sempre stata permeata da una volontà di dominio sulla gente, la
filosofia non dovrebbe invece seguire questa strada. Purtroppo però la filosofia, a
volte, cerca stabilità, influenza, dominio, validità universale quasi fosse una religione.
L'influenza dell'invisibile è la categoria fondamentale della vita religiosa
elementare.
Nelle visioni del mondo religioso si conserva sempre un nucleo oscuro che nessuna
mente umana, teologi compresi, non potrà mai spiegare.
A livello primitivo la religiosità non sta in alcuna contraddizione con l'esistenza
sensibile. Anzi essa ne è il completamento psicologicamente necessario. (Dilthey)
Le religioni si attribuiscono validità oggettiva e concepiscono la loro nascita come
rivelazione (dove l'uomo conta poco e niente) o illuminazione (dove l'uomo è invece
centrale).
Vi è una bella differenza fra il Gesù che soffre, si sacrifica e muore e la chiesa che
domina e impone.
Se oggi metà del mondo è cristiano o musulmano, non è perché il monoteismo ha
conquistato i cuori e le menti di metà delle genti, bensì perché ha conquistato
militarmente le loro terre con spade a croce e scimitarre a mezzaluna, sull’esempio
della conquista mosaica della terra promessa.
La visione religiosa del mondo nasce fondamentalmente come tentativo di attribuire
alle divinità la responsabilità di quanto accade nel mondo e come volontà di
ingraziarsi tali divinità.
I sacerdoti, nel tentativo di spiegare il comportamento della natura e, con l'obiettivo,
non meno importante, di mantenere il popolo ingenuo e controllato, inventarono tutta
una panoplia di divinità, demoni e altri esseri mitologici ai quali attribuirono la causa
e l'origine di tutto ciò che succedeva. Le divinità e i demoni equivalevano alle leggi e
alle forze della fisica attuale.
Gli uomini hanno inventato una tecnica che si prefigge di influenzare, tramite le
preghiere, le offerte, la subordinazione, una realtà incomprensibile. Essi vorrebbero
avere le forze di questi esseri superiori unendosi ad essi. Nasce così la teurgia
praticata da guaritori, sciamani, maghi e sacerdoti.
485
Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i
figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante
ne vollero. Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo,
perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni».
C'erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo - quando i figli di Dio si
univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi
dell'antichità, uomini famosi.
Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni
disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver
fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse:
«Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l'uomo anche il bestiame e i
rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d'averli fatti».  Ma Noè trovò grazia
agli occhi del Signore. (Genesi 6) I giganti nella Bibbia !!!

La religione nasce circa novantamila anni fa con il culto dei morti. Un cacciatore
della zona dell'attuale Israele morì. I suoi compagni scavarono una buca in una grotta
e lo adagiarono appoggiando, sul braccio ripiegato, la testa di un cinghiale. Perché lo
fecero? Pensavano forse di fargli cosa gradita anche da morto sperando in una vita
successiva?
Gli ebrei tenuti schiavi in Egitto nel 1.200 a.c. erano poche migliaia. Mosè forse non
fu una persona ma un movimento religioso. La frase "Io sono colui che è" è molto
simile a quella trovata sulla piramide di Sais "Io sono tutto ciò che è". Rapporto
stretto fra Akenaton e Mosè?
Il testo originale della Torah è scritto a mano, a inchiostro su pergamena, ed è privo
di punteggiatura. L'assenza di vocali determina una grande libertà di interpretazione e
molteplici possibilità di combinazioni tra lettere. Facciamo un piccolo esempio:
prendiamo due consonanti, ad esempio C e S. quali parole possiamo ricavarne?
CASO, COSA, CASA, CASI, COSE, COSI' … etcetera etcetera … Ma attenzione!
Non finisce qui. Infatti le lettere ebraiche sono anche cifre: C, ad esempio, significa
anche il numero "tre" mentre S significa pure "trecento". Ecco profilarsi la
CABALA! Rapporto fra cifre e lettere perché le lettere fungono anche da cifre:
gematria. La parola ADAM, uomo, si scrive ADM ed ha un valore numerico di
1+4+40=45. Il numero 45, tradotto in lettere, si pronuncia MA e significa COSA?
L'uomo dunque sarebbe solo una domanda senza essenza propria.
Nell'arcipelago delle Andamane, Puluga è l'essere supremo. Il tuono è la sua voce, il
vento il suo respiro, l'uragano il segno della sua ira, poiché egli punisce col fulmine
chi non rispetta i suoi comandamenti. Puluga sa tutto ma conosce i pensieri degli
uomini soltanto di giorno. Fu Puluga a creare il mondo e il primo uomo chiamato
486
Tomo. L'umanità si moltiplicò, ma dopo la morte di Tomo dimenticò sempre più il
suo creatore. Finchè l'ira di Puluga scoppiò e un diluvio sommerse la terra. Solo
quattro persone si salvarono. Puluga ebbe pietà di loro, ma gli uomini continuarono a
dimostrarsi ribelli. Dopo aver ricordato per l'ultima volta i suoi comandamenti, il dio
si ritirò, e da allora nessun uomo l'ha più visto. Si potrebbe riassumere dicendo che la
divinità si è rotta le scatole dell'umanità …
Apocalisse non significa distruzione finale o fine dei tempi ma semplicemente
disvelamento cioè sollevamento del velo (di maya?). Questa rivelazione di Giovanni
(???) è fatta sotto forma di grandioso e drammatico poema, nel quale si annuncia il
regno della giustizia divina in terra. Stranamente compare anche il famoso numero
della bestia: 666!
La religione è la malattia infantile della filosofia? Einstein e Russell sembrerebbero
confermarlo.
Ci sono mondi veramente strani in giro per l'universo! Sul pianeta Arret vivono
uomini che dicono di avere parlato con dio... Questo dio lo descrivono come fosse
uno di loro: potente, sapiente, giusto... Il loro dio, chiaramente antropomorfo, avrebbe
dato loro delle regole: non uccidere, non rubare... Quasi nessuno però le rispetta!
Eppure molti, a parole, si dicono seguaci di questo loro dio.. Insomma un vero
rompicapo! Per fortuna da noi non è così...
Il purgatorio non è sempre esistito. La sua nascita ufficiale risale alla fine del XII
secolo. Prima di tale periodo esistevano solo la pena eterna o il premio eterno. Dopo
di tale periodo si instaurò questo luogo ove, soffrendo e pagando, ci si poteva
riscattare. Nasce la contabilità dell'aldilà. La monarchia del Papa-Re comanda su
questo e sull'altro mondo. La religione della paura.
La religione cristiana nasce come messaggio d'amore ma poi si va, via via,
burocratizzando: sembra scordarsi dell'input amoroso iniziale per trasformarsi in
un puro potere spesso repressivo e sempre di pura conservazione. Pensiamo al
dogma dell'infallibilità del Papa: esisterebbe dunque un uomo infallibile in questo
mondo! Cosa difficile da credere anche se il documento che vorrebbe sancire tale
dogma si chiude così: "Se qualcuno avrà quindi la presunzione di opporsi a questa
nostra definizione, Dio non lo voglia!: sia anatema". Siamo nel 1870.
Più il cammino religioso diventa maturo e più tace di se stesso. Il cammino religioso
parte dal conoscere meglio se stesso prima di volersi cimentare a salvare il mondo.
Conoscere se stesso non significa però affermare se stesso ma dubitare di se
stessi. Apprendere se stesso è dimenticare se stesso.

487
Quando un uomo segue la via del mondo, o la via della carne, o la via della tradizione
(cioè, quando crede nei riti religiosi e nella lettera delle scritture, come se fossero
intrinsecamente sacre), la conoscenza della Realtà non può sorgere in lui. (Samkara)

L'abitudine a considerare la verità come qualcosa relegabile in una religione


educa l'uomo alla comoda grettezza di ritenere che la verità coincida con le sue
idee, i suoi dogmi e le sue tradizioni. Senza mai alcun dubbio in merito.

Non desiderare la donna e la roba degli altri: gli ultimi due comandamenti del
decalogo ebraico sono veramente preclusi a un dio qualsiasi esso sia. Non possono
essere che miseramente umani, anzi grezzamente ed egoisticamente maschili.

Se Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, "resta da vedere se questa


affinità" per citare la studiosa seicentesca Marie de Gournay "si riduca
essenzialmente alla barba".

I vangeli sono, forse, documenti a carattere apologetico propagandistico e non storico


scritti in greco e non in aramaico che era la lingua di Gesù. Scritti in epoche e
condizioni diverse e con obiettivi spesso discordanti ove Gesù appare come ebreo
osservante (frequenta il tempio) e assai riluttante, però, a precisare il proprio ruolo.

Il paganesimo pre-cristiano fu superato mediante la venerazione dei santi.

Saulo di Tarso trasforma Gesù da Messia di Israele a Messia Katholikos cioè


universale. Cambia quindi il corso del Cristianesimo visto che il popolo giudaico
rifiuta di accettare Gesù come Messia. Si supera la tradizione che voleva una
religione collegata a un popolo. Una vera rivoluzione.

L'impresa di conciliare il Cristianesimo con la ragione è ardua. Paolo di Tarso


infatti invita a credere nonostante sia assurdo mentre Tertulliano invita a credere
proprio perché è assurdo (credo quia absurdum). Anselmo d'Aosta dice di credere per
capire e non il contrario (credo ut intelligam anziché intelligo ut credam). Anselmo
cerca poi di dimostrare l'esistenza della sola ragione ma fallisce miseramente in
quanto pensare a Dio come l'essere più grande possibile non significa che Dio esista.

Iside con in braccio il figlioletto Horus: la nostra Madonna con in braccio Gesù?

Affermazione, negazione dell'affermazione, negazione della negazione. Nascita,


morte, negazione della morte (il cristianesimo direbbe resurrezione).

Nel cristianesimo il nirvana è la carità.

488
La religione è il rapporto tra l'uomo è il trascendente qualunque nome essa prenda. La
filosofia invece riguarda il rapporto fra l'uomo e la realtà che lo contiene.

Se tu vivi il sacro e disprezzi l'ordinario, galleggi ancora nell'oceano dell'illusione.

La preghiera non è lo sciocco passatempo dei vecchi. Correttamente compresa e


applicata diventa un potente strumento di azione. Questo scrive Gandhi che, forse,
intende dire che la vera preghiera non è per sé ma per gli altri e, in tal modo, si supera
l'egoismo.

Su una stele cinese dell'anno 781 si legge: "Il messia ha mostrato ai viventi la via del
cielo, quale è stata predisposta dal venerabile del cielo".

" … il giusto sarà flagellato, torturato, legato, … e da ultimo, dopo aver sofferto ogni
male, sarà crocefisso" … Non è un profeta che parla ma Platone nella Repubblica.

Secondo Odifreddi il razionalismo panteista (tutto è Dio) costituisce l'unica risposta


sensata alle domande sul senso ultimo delle cose e del mondo. In tale solco si sono
mossi, secondo lui, Eraclito, Pitagora, Anassagora, Platone, gli stoici, Plotino,
Giordano Bruno, Spinoza e Bergson.

Il panenteismo consiste nel vedere l'universo come parte dell'Essere supremo, quindi
differente dal panteismo, che identifica Dio con tutto ciò che esiste. Al contrario, il
panenteismo sostiene che Dio pervade il mondo, ma è anche oltre il mondo. Egli è
immanente e trascendente, relativo ed Assoluto. Questo ricomprendere gli opposti è
detto dipolarismo. Per i panenteisti, Dio è in ogni cosa, e ogni cosa è in Dio.
Un uomo sacro ama il silenzio, ci si avvolge come in una coperta: un silenzio che
parla, con una voce forte come il tuono, che gli insegna tante cose. Uno sciamano
desidera essere in un luogo dove si senta solo il ronzio degli insetti. Se ne sta seduto,
con il viso rivolto a ovest, e chiede aiuto. Parla con le piante, ed esse rispondono.
Ascolta con attenzione le voci degli animali. Diventa uno di loro. Da ogni creatura
affluisce qualcosa dentro di lui. Anche lui emana qualcosa: come e che cosa io non lo
so, ma è così. Io l'ho vissuto. Uno sciamano deve appartenere alla terra: deve leggere
la natura come un uomo bianco sa leggere un libro. (Cervo Zoppo - Sioux)
L'antico testamento gronda di sangue. Il Salmo 137.9 recita: « Beato chi afferrerà i
tuoi bambini e li sbatterà contro la roccia! ». Poveri bimbi di Babilonia. "Fu volere di
Dio che quelle città si ostinassero a combattere affinché gli Israeliti potessero
sterminarle senza usare loro pietà". Anche dopo la svolta cristiana, il pacifismo del
messaggio evangelico cedette ben presto il passo a un atteggiamento belligerante.

489
"Basta che si tratta di una guerra giusta" sosteneva Agostino mentre Tommaso alza
ancora il tiro parlando di "una spada sguainata come per ordine di Dio".   
"Non vi siano né ricchi né poveri nella comunità." (Deuteronomio)
"IO VI DICO: OGNI RICCHEZZA PUZZA DI INGIUSTIZIA" Luca 16,9
"Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro
proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno" Atti
degli Apostoli 2,42-47
"La ricchezza è il segno del successo" Sapete chi lo ha detto? Il primo Concilio
Lateranense del 1116...
"Avendo Dio, in questo secolo, privilegiato i ricchi e potenti rispetto ai poveri,
onorando i primi si è pienamente rispettosi del piano divino" (Bonaventura da
Bagnoreggio).
“Mulier taceat in ecclesia”. Paolo: nelle assemblee le donne tacciano e stiano
sottomesse, se vogliono imparare qualche cosa chiedano ai mariti; capo della donna è
l'uomo perché l'uomo è l'immagine e la gloria di Dio.
Il cardinal Bellarmino è stato dichiarato santo mentre Giordano Bruno è stato arso
vivo sul rogo e Galileo Galilei è stato ridotto al silenzio. Ogni commento è superfluo.
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 1, 1-18)
In principio era il Logos,
e il Logos era presso Dio
e il Logos era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
Logos: Relazione, Energia, Rapporto, Suono, Vibrazione.

Ci sono tante religioni quanti sono gli esseri pensanti.

Se mai ci fosse un aldilà, questo movimento detto "io" sarebbe assente. (U.G.)
Confucio afferma, più o meno, lo stesso pensiero di Gesù senza però parlare di un dio
trascendente: non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te (così, solo per
immanenza umana). Nel pensiero cinese non ci sono le contraddizioni assolute (bene
e male) ma gli opposti complementari (chiaro e scuro).
490
Lo Spirito Santo è il perfetto sconosciuto (forse l'Assoluto?) che fa parte del mistero
trinitario. Quello che per primo ne ha parlato è stato il tredicesimo apostolo, Paolo di
Tarso (il vero fondatore della religione cristiana vissuto dal 5/10 al 64/67), che in una
sua lettera alla comunità di Efeso fece per l'appunto un cenno a questa terza persona
trinitaria. Prima d'allora praticamente non se n'era mai parlato, gli apostoli avevano
Dio come Padre e Gesù come Figlio.

Gli occidentali cercano la perfezione nel futuro, nell'aldilà mentre la mentalità


orientale vuole la eventuale perfezione qui e ora: l'illimitato è già perfetto?

Egli, nella sua unità, è ogni cosa. Così chiamare tutte le cose con il suo nome o
chiamarlo con il nome di ogni cosa. (Hermes)

Giuliano il Teurgo (chi agisce sugli dei) è contemporaneo di Marc'Aurelio (120-180)


ed è forse l'estensore degli Oracoli Caldaici. Sono di ispirazione babilonese (mentre
il Corpus Hermeticum sarebbe di origine egizia) anche se vicini al neopitagorismo e
neoplatonismo. Giuliano dice però di averli ricevuti dagli dei. Che novità!!!! Vi si
parla di monade triadica: Padre, potenza, intelletto. Dio, secondo gli oracoli (ma
anche secondo il Corpus Hermeticum) si raggiunge con una sorta di unione
soprarazionale che si ottiene facendo il vuoto dentro di noi, vale a dire svuotando
l'anima e l'intelletto dai contenuti e dai pensieri legati al sensibile e al finito. Nel
"Fiore dell'intelletto" si legge che Dio si nutre del silenzio.

Maimonide 1135-1204 (seguendo Averroè) scrive che l'intelletto agente (Dio) è unico
mentre quello passivo è diviso perché ogni uomo ha il suo. Ne consegue che
l'immortalità non è mai del singolo uomo (intelletto passivo) ma riguarda solo
l'intelletto agente di cui facciamo parte.
Alessandro D'Afrodisia, aristotelico del 200 d. C., chiama l'Intelletto che viene da
fuori con il nome di attivo e immortale al contrario di quello nostro individuale che è
mortale: l'immortalità è impersonale!!!!
Wyclif (1320) oppone all'autorità del papa e della chiesa quella della Bibbia. L'uomo
è direttamente in contatto con Dio senza intermediari di sorta. Il capo della chiesa
è Cristo e non il papa. Le opere non sono sufficienti alla salvezza: la
predestinazione è volontà di Dio. Si vede già Lutero!
Lutero toccò il culmine della sua vita di riformatore negli anni che vanno dal 1510,
quando cominciò a condannare la simonia della Chiesa di Roma con la vendita delle
cosiddette indulgenze e fu scomunicato dal papa mediceo Leone X, fino alle tesi di
Wittenberg del 1517 e fino al 1520. Ma poi il suo pensiero cambiò e altrettanto i suoi
atti. Volle essere il sovrano assoluto della sua Chiesa, diventò conservatore,
prepotente, si sposò, si mischiò con la politica e alla fine decise che i luterani
491
dovevano far guerra non soltanto ai cattolici ma a tutte le Chiese protestanti, da quella
di Calvino e agli Ugonotti francesi. Decise infine che i luterani dovevano essere
soltanto l’unica religione della Germania.
Ficino (1433) filosofo fondatore dell'accademia platonica fiorentina, traduttore, mago
(come gli antichi Magi di Gesù che erano dei sapienti che sfruttavano i benefici
celesti) e sacerdote. Ermete Trimegisto, Zoroastro e Orfeo sono tre profeti in linea
con Gesù così come Pitagora e Platone. L'amor platonico e l'amor cristiano sono
simili e portano all'indiamento. Amando Dio abbiamo amato noi stessi! Amor Dei
intellectualis (Spinoza). Esalta la divina mania e il divino furore.

Apocatastasi è il ritorno allo stato iniziale, alla purezza iniziale prima del peccato:
tutti quindi si salvano, diavoli compresi. (Origene e Gregorio di Nissa).

Abbiamo l'idea che dobbiamo salvarci … ma dovremmo salvarci dall'idea che


dobbiamo salvarci.

Namastè: la parte divina che è in me si inchina alla parte divina che è in te.

Siamo tutti proiettati nell'aspettativa di un gran finale d'amore e beatitudine ….


Tanto più si usa il verbo DEVI, tanto più ci si allontana dal divino e ci si avvicina
all'umano.
Bonaventura da Bagnoreggio (1217) scrive un pezzo degno di nota: abbandona i
sensi e le operazioni intellettuali, le cose sensibili e quelle invisibili, l'essere e il non
essere, e, per quanto ti è possibile, abbandonati fiduciosamente con Colui che è sopra
ogni essenza e scienza.
E venne un tempo in cui l'uomo inventò l'arte di creare gli dei.
Gli orfici si proclamavano figli della terra e del cielo stellato: dalla terra veniva il
corpo e dal cielo l'anima. Con l'Orfismo si incomincia a ragionare della presenza
nell'uomo di qualcosa di divino e non mortale (concezione dualistica di anima e
corpo): l'anima appartiene alla stirpe degli dei.
La reincarnazione presuppone un EGO suscettibile di reincarnarsi. Ma, forse,
questo EGO non esiste. Il grappolo di memorie e speranze definito "io", immagina di
durare per sempre, e inventa il tempo per accogliere la sua falsa eternità. Per essere, il
passato e il futuro non mi servono. Ogni esperienza, dalla nascita alla morte, è un
prodotto dell'immaginazione. Io non immagino, perciò non sono nato e non morirò.
Solo quelli che si reputano nati, possono pensare di rinascere. Tu m'imputi di essere
nato, davvero non ne ho colpa! (Nisargadatta Maharaj)

492
L'immortalità dell'anima razionale non è, per Aristotele (come dice Russell),
personale ma è una partecipazione all'immortalità di Dio. Anche Averroè pare
pensarla allo stesso modo.
Quando si incontrano due principi non conciliabili, l'uno chiama l'altro folle o eretico.
Quando chiedo qualcosa, non sto pregando. Quando non chiedo niente, allora prego
davvero.
Ad Auschwitz ci hanno maltrattato, umiliato, massacrato ma soprattutto ci hanno
rubato l'anima senza che dio facesse nulla.
Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre. (Salustio: Degli Dei e del mondo)
La libertà individuale e l'onnipotenza divina sono inconciliabili?
Se tutte le religioni pensassero Dio come l'ultimo dei mendicanti e non come il Re dei
re o come il dio degli eserciti, forse il mondo sarebbe migliore: meno autorità e più
empatia... forse...
Non esiste la guerra santa. Esiste solo la pace santa. (Papa Francesco)
L'immortalità dell'anima e l'io sempiterno sono serviti alle religioni per poter
comminare le pene eterne e tenere in soggezione le persone. L'uomo saggio però
ama gli altri solo per empatia e non per paura della pena eterna.
Dio chiede ad Abramo di sacrificare la vita di suo figlio Isacco: sacrifici umani
chiesti da Dio?
Per Averroè tutto nella materia (energia) si trasforma e cambia nel movimento in un
ciclo perenne rispetto al quale l'individuo è solo una comparsa transitoria e quindi
l'immortalità non è personale ma riguarda l'intelletto divino.
Vangelo di salvazione individuale e razionalità eziologica greca non sono in linea
con il pensiero orientale non dualistico perché senza un vero ego.
Nel testamento dei 12 patriarchi (scritto nel 109 prima di Cristo) ci sono frasi già
cristiane: amatevi l'un l'altro di vero cuore e bandite ogni odio.
La preghiera fa bene a chi prega.
La prospera oscenità delle buone coscienze. (Jankelevitch)
Non vi è crudeltà o bassezza di cui la brava gente non sia capace. (Simon Weil)
L'onesta malvagità cristiana. (Kierkegaard)
La pratica religiosa come mera convenienza sociale.

493
Alla fine, Dio non ci chiederà se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili.
(Don Andrea Gallo)
Platone e Kant affermano che l'anima è immortale solo per motivi etici, morali (il
premio e la punizione).
SIGNORE e AMORE sono in contrasto fra loro: signore presuppone rispetto mentre
amore presuppone empatia.
Erasmo da Rotterdam affermava (circa cinquecento anni orsono) che la filosofia di
Gesù è l'amore mentre la filosofia della chiesa è il potere. Con ciò evidenziava una
potente aporia mai sanata.
Si predica l'amore ma si pratica l'egoismo.
E' più facile morire per una religione che viverla fino in fondo. (Borges)
Il mondo della vera filosofia è il mondo delle domande, dei dubbi, delle aporie. La
tradizionale religione è invece il luogo delle risposte, delle certezze, dei dogmi.
Obbedienza, Povertà e Castità...
non sopporto l'obbedienza...
combatto la povertà...
detesto la castità...
per me non c'è speranza?

Forse, ciò che voleva Gesù non è quello che voleva Paolo.
Paolo dice che senza la resurrezione il cristianesimo non sta in piedi. Penso che Gesù
non sarebbe d’accordo e direbbe che senza amore il cristianesimo non sta in piedi.
"EGLI è mio" dal Cantico dei cantici.
"Tu sei quello" dalle Upanishad.
Differenze di prospettiva....

Epicheia e apocatastasi! Basta giustizia...solo amore.


Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati,
anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei
discepoli, se avete amore gli uni per gli altri. (Giovanni 13,34-35)
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Il terribile è che proprio la più alta forma della religiosità (lasciare andare tutto ciò
che è terreno) possa essere la forma più alta di egoismo. (Kierkegaard)
L'obbedienza non è richiesta da Dio ma dagli uomini.
Fra tutti i concetti umani...quello dell'inferno è il più cattivo, vendicativo e stupido.
Per rinforzarlo lo si attribuisce poi a dio.
Se esiste una conoscenza post mortem e quindi libera dal corpo, ebbene, questa
conoscenza deve essere totalmente diversa da quella terrena che è basata sui sensi e
sull'immaginazione. Questo è il pensiero di Pomponazzi.
Tutto ciò che vorrei fare è dissacrare il sacro e rendere sacro il bisogno...
Gesù ha messo al centro la carità non il potere, non i dogmi, non la ricchezza. La
chiesa ha rovesciato la frittata....peccato!
Non sono mai stato attratto dalla religione formale e dogmatica. Però parlo spesso
con il Grande Vecchio dei suoi misteri.... e ci divertiamo come pazzi... senza capirci
mai!
Come puoi amare dio che non vedi se non ami l'uomo che vedi? (Giovanni)
Anche questo è vangelo! Ogni comportamento è vangelo! Il vangelo è solo amore!
Se mi racconti altro non è vangelo.
Voglio bene al mio amico Gesù proprio perché i suoi nemici, dice il Vangelo, lo
accusavano di essere un beone e un crapulone...
Dopo Auschwitz possiamo e dobbiamo affermare con estrema decisione che una
Divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile. (Jonas)
La strada mi arricchisce, continuamente. Lì avvengono gli incontri più significativi,
l'incontro della vera sofferenza, l'incontro di chi però ha ancora tanta speranza e
allora guarda, attende. Per la strada nascono le alternative, nasce il voler conquistare
dei diritti. (Don Gallo)
Come l'ape sugge il miele da fiori diversi, il saggio accetta l'essenza delle diverse
Scritture e vede solo il bene in tutte le religioni. (Srimand Bhagavatam)
Il mio cuore può adottare qualunque forma. E' un monastero di monaci cristiani, un
tempio per gli idoli, e per la Ka'ba dei pellegrini, e per le tavole della Tora, e per il
libro del Corano. (Ibn-al-'arabi)
In origine c'era un messaggio universale e interclassista del cristianesimo; ruolo
rivoluzionario: liberazione dalla schiavitù, uguaglianza, pacifismo radicale. Ma ben
presto tutto cambiò.
495
Dice Padre Gianfranco Magalini missionario in Etiopia: "Vivendo in mezzo a tanta
sofferenza e povertà, ho imparato a guardare il mondo dal basso, a partire dagli ultimi
(poveri, ammalati, soli, piccoli, lontani da Cristo). Se vedi il mondo con i loro occhi e
le loro sofferenze e necessità, riesci a rovesciare tante priorità della vita in
occidente..."
Sappi che quando imparerai a perdere te stesso, tu raggiungerai l'Amato. Non vi è
altro segreto da imparare, e più di questo io non so. (Abd Allah Ansari di Herat)
Il dio della chiesa è fatto di dogmi e di potere mentre il dio dell'intuizione mistica è,
forse, la semplice energia primigenia.
Gli dei sono l'indifferenziato, sono il nostro subconscio... personalità latenti e
inespresse dentro di noi, nel nostro profondo che la nostra ragione non sa cogliere
appieno.
La creatività attinge all'indifferenziato che ha più forza della ragione. Gli dei sono
l'indifferenziato...magma indistinto...energia pura mai domata.
Fondamentale per l'uomo è la persuasione che le entità buone e felici siano separate
da quelle cattive e tristi: le buone in cielo e le cattive sotto terra...e invece...L'uomo è
entrambe le entità fuse insieme!
Finalmente ho raggiunto il mio traguardo e risolto il segreto della mia anima: Io sono
quello a cui rivolgevo le preghiere, quello a cui chiedevo aiuto. Sono quello che ho
cercato. Sono la stessa vetta della mia montagna. Guardo la creazione come una
pagina del mio stesso libro. Sono infatti l’Unico che produce i molti, della stessa
sostanza che prendo da me. Poiché tutto è me, non vi sono due, la creazione è me
stesso, dappertutto. (Isabella di Soragna)
Non credere a coloro che ti parlano in nome di Dio... Dio comunica solo con il
silenzio....
Dio, se esiste, va deumanizzato... L'uomo, se esiste, va umanizzato!
Ho chiesto al mandorlo... raccontami di Dio. E lui si è messo a fiorire...
Perché Budda, Socrate e Gesù non hanno lasciato nulla di scritto di pugno? Non
sapevano scrivere? Non volevano scrivere forse perché avevano capito che tanto
sarebbe stato inutile?
Gli esseri sovrumani (elemento comune a tutte le religioni) esistono solo in quanto
l'uomo li coltiva (CULTO).

496
Gesù si circondava di donne: le stimava...le amava! Buddha invece no! Diceva che
avevano un cervello talmente piccolo che stava fra l'indice e il pollice quando le due
dita quasi si toccano...
"La dea autonoma, imperiosa, ribelle; la dea che non ebbe madre né padre ed è, nella
sua intima essenza, madre, nutrice, generatrice universale; la dea che assume tutte le
forme..." La Potnia mediterranea è la grande dea ancestrale, la femminilità del divino!
Era contemporaneamente la Vergine, la Madre e la Prostituta divina. Maga e
forse anche androgina...Era la Terra stessa provvida di doni per l'uomo del
paleolitico che la adora e la teme attonito. La Femmina atavica, Signora di ogni
cosa...La Misteriosa creatura che dona la vita!
« Quando (enu) in alto (eliš) il Cielo non aveva ancora un nome,
E la Terra, in basso, non era ancora stata chiamata con il suo nome,
Nulla esisteva eccetto Apsû, l'antico, il loro creatore,
E la creatrice-Tiāmat, la madre di loro tutti,
Le loro acque si mescolarono insieme…".
Sul pianeta Arret esistono costruzioni molto grandi che troneggiano rispetto alle altre:
si è portati a pensare che ci abitino dei Giganti! Invece non ci dorme nessuno. Sono
state costruite, con notevoli sacrifici, per rendere omaggio a un Tale che non si può
vedere...mistero!
Se devi comprare un cavallo, dei servi, delle vesti, una sedia...prima li metti alla
prova...solo la moglie non è fatta conoscere affinché non appaia sgradita prima che
sia sposata. (Gerolamo di Stridone).
Voi schiavi, voi poveri, voi sfruttati, voi che avete fame e sete, non
ribellatevi....nell'altra vita avrete un grande premio!
Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.... Nulla di femminile?
Omnia videre. Multa dissimulare. Pauca corrigere. Il motto del Vaticano.
La Chiesa ha sempre guardato con un po’ diffidenza all’amore, dando molta più
importanza alla verità.
In nome della verità è ricorsa alla violenza delle condanne a morte rimasta in vigore,
formalmente, fino al 2001.
Giovanni Battista Bugatti, boia dello Stato Pontificio dal 1796 al 1865, portò a
termine 516 esecuzioni. Gestire il sacro conferisce potere.
Nello Stato della Chiesa la pena di morte fu praticata sino al 1870: l'ultimo giustiziato
fu Agabito Bellomo, condannato per omicidio e ghigliottinato a Palestrina il 9
luglio 1870, due mesi prima della conquista di Roma da parte delle truppe sabaude.
497
Coerenza esistenziale: se uno è cristiano, deve amare il prossimo e non anteporgli la
ricchezza altrimenti si torna all'onesta malvagità cristiana di Kierkegaard.
Se Dio fosse perfetto dovrebbe essere immediatamente accessibile a tutti...
Senza la pietà non vi è neppure la religione.
Nei momenti in cui credo in Dio avverto che Dio non esiste. Nei momenti in cui non
credo in Dio sento che Dio esiste.
Nel preanimismo paleolitico primeggiava il MANA potenza impersonale insita nelle
cose quindi energia primordiale dalla quale tutto trae origine... prima
dell'antropomorfizzazione della religione. Una fra le più antiche religioni
preanimiste, quella dei popoli delle isole del Pacifico, si rifà al concetto di MANA. Il
mana è forza, potenza, energia primigenia. Nulla di umano o di riferibile a una
persona (seppur divina). La vanità degli uomini però ha voluto poi umanizzare il
MANA inventando dei, redentori e profeti...Forse era molto meglio il mana originale
e impersonale!
Dio e l'uomo sono sempre in lotta per stabilire che è il creatore dell'altro...
Egli, con il suo cuore (pensiero), e la sua lingua (parola) crea ogni cosa: dei, uomini,
città, templi....
Nella peggiore delle ipotesi ritorniamo la dove siamo venuti....nulla, dio, fai tu...ma
nulla di grave...solo un giro di giostra sulla vita...nulla di cui non poter ridere!
Basta dogmi! basta potere! basta cupi peccati! E' venuto il momento che il gioioso
amore spazzi via tutto come il vento di marzo...e con Dio ognuno se la vede a modo
suo!
Analizziamo il simbolo di OM, il più sacro dell'Induismo, il suono primordiale,
sintesi di ogni preghiera, messaggio simbolico profondo, vibrazione divina primitiva
da cui ha avuto origine l'universo manifesto...
"Non desiderare la roba d'altri". "Non desiderare la donna d'altri". Ecco dove nasce la
donna oggetto! Sia Davide che Salomone presero alla lettera il comandamento:
infatti, invece di desiderare la donna d'altri, si fecero entrambi un bel harem.
I Veda dicono che nessuno ha bisogno di essere salvato perché nessuno è condannato
se non dalla propria ignoranza della propria vera natura divina. La religione è quindi
ricerca del divino presente in sé...
Quando arrivarono i missionari, gli africani avevano la terra e i missionari avevano la
Bibbia. Ci insegnarono a pregare a occhi chiusi. Quando li aprimmo, loro avevano la
terra e noi la Bibbia. (Kenyatta)
498
Gesù ci ha lasciato un'eredità meravigliosa: l'amore (soprattutto verso le donne).
L'enorme valore del suo insegnamento perde forse importanza se, per ipotesi, Gesù fu
"solo" un uomo come noi?
Quando ho detto che i procedimenti usati dalla Chiesa non erano quelli degli
Apostoli, poiché oggi si usa la forza e non l’amore.. quando ho detto questo, non
avevo torto. Ho sbagliato quando ho creduto di chiedere proprio a Voi, di condannare
un sistema di arbitrio, di sopraffazione, di violenza..che mortificazione..chiedere a chi
ha il potere di riformare il potere! Che ingenuità! (Giordano Bruno, bruciato sul rogo
dall'inquisizione della chiesa romana il 17 febbraio 1600)
I cristiani, se non sono accoglienti, non dicano che sono cristiani. (Don Gallo)
Che senso ha essere cristiani e razzisti contemporaneamente? Che senso ha essere
cristiani e difendere la ricchezza e il potere?
La dove esiste dualità, ivi l'uno adora l'altro.
Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò. (Genesi 1:27)
Il Signore si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo. (Genesi
6:6)
Noi crediamo in dio perché crediamo nella grammatica: soggetto+predicato+ verbo:
Dio crea il mondo. Dio crea l'uomo. Ma senza dualità cade tutto.
Tutte le colpe sono dell'uomo...
Tutti i meriti sono di Dio...
E' un gioco impari!

Considero inutile e insensata la maggior parte dei dissidi tradizionali tra teisti, atei ed
agnostici. Di fatto, siamo tutti di fronte alla sbalorditiva immensità della natura
cosmica, che possiamo benissimo chiamare divina, se questa ci piace oppure no:
quale che sia la nostra scelta. L'esistenza non smetterà comunque di fornire le sue
sterminate meraviglie. (Zamboni)
"Forse, forse...E' un turbine di contraddizioni quello da cui siamo avvolti: ora pare
che un Dio creatore, che si rivela, troneggi lassù e uomo e mondo siano ai suoi piedi,
ora pare che, ancora una volta, sia il mondo a sedersi sul trono del potere e Dio e
l'uomo non siano che sue figliazioni, ora invece è come fosse l'uomo nella posizione
più alta a dispensare a Dio e al mondo la legge a modo suo, lui, la misura di tutte le
cose. .... Forse, forse...Non c'è alcuna certezza, c'è solo una ruota di possibilità che
gira. Un sé si accavalla ad un altro, un forse ne cancella un altro." (Rosenzweig)
499
La chiesa ci ha educato più al timore che all'amore...
Le divinità non sono altro che riflessi dell'unica realtà ultima: EGLI E' IN VERITA'
TUTTI GLI DEI!
Lo scopo dell'occidente era di raggiungere la santità: uomini sfiduciati ma pieni di
fede. Lo scopo dell'oriente era quello di raggiungere la saggezza: uomini senza fede
ma pieni di fiducia.
Finché tu uomo mi immagini, io Dio sono....
Proprio ciò che si presenta come la più alta forma di religiosità, è la forma più alta di
egoismo" (Buber rielabora Kierkegaard).
"La storia della Chiesa deve essere propriamente chiamata la storia della verità".
(Pascal, pensiero 469). Peccato che una cinquantina di anni prima fosse stato bruciato
vivo Giordano Bruno.
"Tutti gli uomini si odiano naturalmente l'un l'altro" (Pascal, pensiero 261). Ma Gesù
dice ben altro …
"Non sarei cristiano senza i miracoli, dice Agostino" (Pascal, pensiero 447). Forse
sarebbe meglio dire: senza amore non sarei cristiano …
L'uomo ha, da sempre, nei confronti della divinità due atteggiamenti principali: le
teurgia e la divinazione. La teurgia vorrebbe influenzare l'atteggiamento della divinità
nei confronti degli uomini. La divinazione vorrebbe interpretare il pensiero divino.
Forse basterebbe invece sorridere all'altro...anche se divino!
DOMANDA: Credi in Dio?
POSSIBILI RISPOSTE
-e se non fossimo due?
-dio chi?
-è stato dio a creare noi o siamo stati noi e creare lui?
-io credo in Lui e Lui crede in me: ci amiamo!
-come e dove potrebbe esistere un Dio?
-siamo la stessa cosa: come potrei non credere in lui?
-è il nulla che viene chiamato dio....
-quando sono in pace... la mia anima è piena di lui
-non esiste nessuno dio ma ci credo lo stesso
500
-quaesivi et non iveni...
-Dio è l'indescrivibile, il mistero della vita umana
-Dio è la trama del mondo, il tutto
-esiste un'idea chiamata Dio
-è il lenzuolo cosmico di cui noi siamo una piccola piega
-credo in Dio, poi, se Lui non esiste, sono affari suoi....
-Dio esiste e non esiste allo stesso tempo...
-dio è il tutto e il nulla contemporaneamente, senza contraddizione...
-l'essere di dio non è diverso dal suo non essere

Dio, se esiste, non ha certo creato la religione.


Agostino dice che tutti gli uomini, dopo il peccato originale, sono destinati
all'inferno e a nulla valgono le loro buone azioni: si salvano solo coloro che sono
prescelti da Dio. Pelagio invece afferma che le buone azioni sono fondamentali per
salvarsi. Secondo voi, chi dichiarò eretico e chi santo la chiesa ?
Il dovere dell'uomo è qui, ora, fra gli uomini... a prescindere dall'esistenza di Dio che
non si può ne dimostrare e neppure negare.
Le religioni e le filosofie le ho studiate per riconoscer poi che erano sotterfugi
concettuali per non vivere l’Ignoto che siamo. Noi siamo l’Ignoto o l’Inconcepibile
(prima di qualunque concetto)! Da allora non ebbi più paura..... e spesso sorrido
all'ignoto. Isabella di Soragna... da me rivisitata.
Alcuni sono sicuri che Dio esiste.
Altri sono sicuri che Dio non esiste.
Nessuno però sa dimostrare la sua idea.
Sono due opposte fedi?

Dio, anche se io lo amo sopra ogni cosa e lo desidero tanto... non mi ha mai lasciato
il suo indirizzo di casa... purtroppo!

La resurrezione dei corpi: troppo terrena


501
L'onnipotenza divina: troppo umana
L'eternità dell'io: troppo vanitosa

Prosciugare i mille oceani dell'infelicità


Accendere nuove stelle del firmamento della felicità
Questo è il compito dell'uomo
Prima di Platone l'idea dell'anima si concretizzava nella visione cosmologica del
soffio vitale (pneuma) che si particolarizzava nel singolo individuo. Tale visione è
molto simile a quella orientale ove il soffio vitale è il prana. Con Platone l'anima
assume un carattere decisamente individuale e personale: il corpo e l'anima sono
due realtà eterogenee in cui il corpo (corruttibile e mortale) è radicalmente separato
dall'anima (incorruttibile e immortale). Questa concezione, ripresa dalla tradizione
patristica e scolastica, è arrivata fino ai tempi nostri. E se Platone avesse combinato
un grosso guaio?
Caro Dio, oggi un tale (di cognome fa Ruini) ha affermato che Tu gli hai regalato, fin
dall'infanzia, la certezza della Tua esistenza. Ora ti chiedo: perché non l'hai regalata
anche a me e a tanti altri sbandati come me? Noi ti cerchiamo fra le stelle, fra le
parole, fra le persone, fra i concetti... senza trovarti. Per caso, Tu hai dei prediletti?
Sarebbe gradita risposta chiara! Ciao caro Dio. Un tuo affezionato.
Wittgestein giudica le dottrine religiose come insiemi di enunciati privi di significato
logico: sono afferrabili solo tramite una intuizione mistica.
L'immortalità temporale dell'anima dell'uomo, dunque l'eterno suo sopravvivere
anche dopo la morte, non solo non è per nulla garantita, ma, a supporla, non si
consegue affatto ciò che, supponendola, si è sempre perseguito. Forse è sciolto un
enigma perciò che io sopravviva in eterno? Non è questa vita eterna così enigmatica
come la presente? La risoluzione dell'enigma della vita nello spazio e tempo è fuori
dello spazio e tempo". (Wittgenstein)
La parola "religione" deriva dal latino e significa "legare" cioè, forse, mettere insieme
tutte le energie per essere luce a se stessi (al di là dei dogmi e dei riti e di ogni
autorità esterna perché non può esserci un'autorità spirituale). Se non si è liberi dalla
tradizione e dalla cultura non si può praticare la vera religione!
Il papa critica la falsa religiosità che copre il desiderio di potere. Ma qual'è il potere
più grande, se non quello di stabilire cosa sia bene e cosa sia male per l'uomo? Il
potere di far sentire in "peccato mortale" un uomo, e di rimettergli i peccati, è
infinitamente più grande di qualsiasi potere temporale.
502
Il mito fondamentale dell'induismo è che il mondo è Dio che gioca a rimpiattino con
se stesso.
"Quale persona assennata crederà che ci siano stati un primo secondo e terzo giorno,
di sera e di mattina, senza sole luna e astri (Gen. I, 5 segg)? E il primo giorno anche
senza cielo? Chi è tanto sciocco da credere che Dio a mo' di agricoltore abbia
piantato il paradiso nell'Eden verso oriente (Gen., 2, 8) e in questo abbia creato
l'albero di vita visibile e sensibile, sì che chi ne avesse gustato il frutto con i denti
corporei avrebbe ricevuto la vita? E ancora, chi potrebbe credere che uno possa
partecipare del bene e del male per aver masticato il frutto preso da questo albero
(Gen., 2, 9)? - Origene, I princìpi, IV, 1.

Il misticismo orientale afferma che Dio non è una entità, ma uno stato di
consapevolezza.

"Le chiese credono che la parola di Dio sia scesa tra gli uomini in modo tale da essere
inequivocabilmente conosciuta, e da dover quindi avere chi la rappresenta in modo
esclusivo. Io invece non lo credo. Penso piuttosto che la parola di Dio sfrecci davanti
ai miei occhi come una stella cadente, la cui fiamma, senza che me lo possa mostrare,
è testimone di un meteorite; io, per parte mia, posso solo dare testimonianza della
luce, non posso mostrare la pietra e dire: è questa." (Buber)

Da millenni l’ umanità è stata educata dalle varie Religioni del mondo, attraverso riti
e cerimoniali vari, a credere all’esistenza di un Creatore e di un Creato. A parlare di
un Dio Formale (in maniera antropomorfica) anziché di una Divinità Informale, come
stato di Coscienza Cosmica. In questo modo la “Teologia morale” ha potuto tenere in
scacco l’individuo, parlandogli di Giudizi universali, di condanne e di Peccato
Originale, da cui poi egli si è sentito oppresso in maniera punitiva  per le sue
miserevoli “colpe”. Riscattarsene oggi, con un DNA così preformato, è quasi un’
impresa disperata. (Marchi)

Da sempre il fatto che la materia sia intessuta in un modo così straordinariamente


perfetto, fino a manifestare una intelligenza del più alto livello ed in modo così
stupefacente, ha finito per implicare nella mente degli uomini la presenza nel mondo
di un “Grande Progettista” geniale, di un “Grande Orologiaio” distaccato, di un
“Grande Orchestratore” esterno, di un “Grande Architetto” costruttore, di un
“Grande Regista”, direttore dell’Universo. E ciò ha continuato ad avvenire,
nonostante la ricerca abbia ormai dimostrato largamente che tutti i sistemi viventi
(dato che neanche un atomo è materia inerte) abbiano mostrato un grado di
assemblarsi da soli veramente strabiliante, a seguito di una trasformazione “auto-
organizzata” o “auto-arrangiata”che lascia sbalorditi. Il concetto è difficile da
accettare perché sfida il programma subdolo di una cultura millenaria che lo  ha
503
spacciato per la nozione più eretica e blasfema che si possa immaginare. E poi perché
in quella dualità si annida il business dell’intermediazione, il più scandaloso affare di
tutti i secoli. Un affare che è la madre di tutte le atrocità compiute dall’ umanità,
perché toglie dignità a qualsiasi cosa creduta altro da noi stessi e al nostro stesso
simile. Quando invece siamo un “Singolo Organismo” o Campo di Coscienza
Universale, Un Intatto interamente intelligente. (Marchi)

La “caduta del mito di Dio e della Creazione”, è stata determinata dal punto di
incontro tra il misticismo orientale e la fisica quantistica. Finché la fisica non è scesa
nei meandri del mondo subatomico, non è stato possibile comprendere le Sacre
Scritture, ed in particolare quelle dei testi himalayani. Quando invece è discesa nelle
profondità dell’invisibile, ho scoperto che tempo e spazio perdevano di significato.
La verifica mi è stata data dal fatto che il misticismo orientale ha percorso questa
strada, partendo dall’invisibile, mentre la scienza occidentale è partito dal grossolano
del mondo materiale o visibile per incontrarsi con essa sul piano del “sottile”.
(Marchi)
L'INFERNO è il concetto più umano che si possa immaginare...attribuirlo a Dio è
veramente diabolico!
Non avete mai provato l'eternità di un solo attimo intenso? Percepire tutto insieme in
un colpo solo....
La sensazione più bella che possiamo provare è il mistero. Costituisce l'emozione
fondamentale che sta alla base della vera arte e della vera scienza. Colui che l'ha
provata e che non è ancora in grado di emozionarsi è come una merce avariata, come
una candela spenta. E' l'esperienza del mistero, spesso mischiata con la paura, che
ha generato la religione. La conoscenza di un qualcosa che non possiamo penetrare,
delle ragioni più profonde di una bellezza che si irradia, che sono accessibili alla
ragione solo nelle sue più elementari forme, è questa la conoscenza e l'emozione che
stanno alla base della religione; in questo senso, e in questo solamente, io posso
definirmi profondamente religioso. (Einstein)
Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo
perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista. (Camara)
La miglior preghiera è quella chi si fa senza parole cercando di confonderci con il
silenzio di Dio.
Ogni idea che noi abbiamo di noi stessi, del mondo esterno e di dio... è solo
umanamente e intimamente nostra.
Nessun dio potrà mai dirci chi è lui, cosa è il mondo e chi siamo noi... Ci dobbiamo
arrangiare...possibilmente AMANDO GLI ALTRI!
504
Molti individui frequentano i vari templi di varie religioni per cercare benefici
per il proprio ego.
Il mondo non è ancora compiuto: in esso ci sono ancora riso e pianto, le lacrime non
sono ancora asciugate da tutti i volti. (Rosenzweig)
"Dio cresce insieme con la crescita umana" dice Socino.
Spegniamo i fuochi dell'inferno....
La sacra trinità egizia: Osiride (il maschio fatto a pezzi) , Iside (la luna o la mucca
con le corna, principio femminile della natura che nel suo grembo tutto accoglie) e
Horus (il figlio). I tre vengono comparati con i numeri 3 4 5 dell'altezza, della base e
dell'ipotenusa del triangolo rettangolo sacro.
La religione è istinto e sentimento oppure dogmi e riti?
La Maddalena scrollava, alta, con fierezza, i lunghi capelli biondi, e continuava a
seguire il suo Amore, bella, come stendardo fiammeggiante d'ori trapunti: era già
santa, però non ancora molto pratica dei modi che s'addicono a quel grado e, le volte
che alzava i suoi occhi mordenti verso i signori, le mogli impallidivano. (Don
Lasagna)
Noi siamo palloncini colorati sfuggiti di mano alla terra, niente altro! Noi siamo un
soffio d'aria, niente altro! (Don Lasagna)
Attraverso i secoli, solo pochi uomini hanno compreso con chiarezza che tutto è
vanità, solo umana vanità.
L'uomo raggiunge la più vera libertà quando rientra nell'armonia del Tutto. (Giordano
Bruno)
Se voi mi date testimonianza, allora io sono Dio, e altrimenti no. (Is 43,10 Bibbia
Ebraica citata da Rosenzweig)
Papa Francesco azzarda e modernizza i concetti. Modifica il modulo e i ruoli, perfino
di Dio, il suo fuoriclasse. Che da uno e trino diventa duale, maschio e femmina. Da
gerarchico a paritario. Da sacrale a sensuale: “Non solo l’uomo preso a sé è
immagine di Dio, non solo la donna presa a sé è immagine di Dio”, ha esordito con
nonchalance mercoledì 15 aprile 2015, “ma anche l’uomo e la donna, come coppia,
sono immagine di Dio”.
"Possano tutte le vecchie confessioni continuare ad esistere e ad agire confessando
che esse esprimono una nostalgia e non un dogma" (Horkheimer LA NOSTALGIA
DEL TOTALMENTE ALTRO anche se poi Horkheimer parla anche di nostalgia della
perfetta giustizia: si deve poter sperare che il cattivo non la faccia franca o giù di li).
505
Non è possibile provare l'esistenza di Dio tanto meno è possibile rappresentarlo.
Non conta credere in Dio ma conta comportarsi adeguatamente nel mondo.
Tutta la rappresentazione di un Dio uno e trino che nella figura del figlio visita la
terra è puro mito così come lo sono il mito di Er ho quello di Atlantide. I miti sono
utili ma restano miti.
Insieme al pensiero di Dio muore anche il pensiero di una verità assoluta.
Padre, Figlio e Spirito Santo: tutti maschi! Il Tao invece è madre …
Bernardo Ochino dice che il papato è un'opera diabolica.
Ciò che è mistico non consiste nel modo in cui si configura il mondo, ma nel fatto
che è! (Wittgenstein)
Pensare di vivere eternamente in paradiso mentre altri uomini sono eternamente
condannati alle pene dell'inferno è di una cattiveria tragica. Un Dio buono non
potrebbe mai concepire una cosa del genere. Solo uomini vendicativi possono aver
inventato l'inferno.
Gnosi ermetica: l'uomo deve indiarsi già in questa vita terrena.
La Bibbia lo chiama Satana, lo combatte e quindi lo mantiene. Anche la beatitudine si
rivela un concetto e quindi ci deve essere un "qualcuno" che sperimenta e di qui
divisione, illusione. Tutto ciò significa spezzare l'unità. 
Crizia (parente di Platone morto nel 403 a.c.) dice che gli dei sono uno spauracchio
introdotto per frenare i malvagi e per far rispettare le leggi che di per sé non hanno la
forza necessaria per imporsi.
La grecità era cosmocentrica mentre il giudaismo (e quindi anche il cristianesimo)
sono antropocentrici essendo l'uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio. Per i
greci le molte divinità erano sottoposte alla legge di natura mentre il Dio giudaico
cristiano crea la legge: Dio è nomoteta. Si passa anche dall'intellettualismo greco al
volontarismo cristiano. La provvidenza biblica è personale cosa impensabile per i
greci: l'uomo si salva da solo non con la volontà e la fede ma con la conoscenza. La
concezione giudaico cristiana rovescia i termini della questione: solo la fede ci
salverà. Timore e tremore. Nessuna sicurezza dell'uomo può essere assoluta se non ha
un aggancio con l'Assoluto.
Se l'uomo Adamo era fatto a immagine e somiglianza di Dio, come ha potuto
peccare contro Dio? Se l'uomo è libero il peccatore è il solo Adamo. Ma se l'uomo è
libero Dio non è più onnipotente.

506
L'eros greco è mancanza e quindi salita dell'uomo tramite la bellezza mentre l'agape,
il nuovo amore cristiano, è discesa di Dio, è dono.
L'umiltà (sconosciuta a i greci) diventa la virtù dei cristiani. "Senza il mio aiuto
non potete fare nulla" dice Gesù negando l'autarchia predicata dai filosofi ellenistici.
Per i greci bisognava liberarsi del corpo mentre nel giudaesimo e cristianesimo
abbiamo addirittura la resurrezione dei corpi (che essendo tali devono stare in
qualche posto ma lo spazio e il tempo si annullano alla velocità della luce …).
Plotino scrive che la vera resurrezione non è quella del corpo ma quella dal corpo.
In Occidente diciamo: "Io aderisco a questa religione perché credo a questi dogmi".
In Oriente invece, per esempio, nel buddhismo invece si dice: "Seguite questa via
perché vi può portare ad essere liberi dal condizionamento".
I miti rivelano una fede primitiva nell'ordine e nella successione causa ed effetto che
è in armonia con la credenza che sia necessaria una ragione per l'esistenza di qualsiasi
cosa. Ma sarà proprio così?
Religione e spiritualità sono diverse: ci può essere religione senza spiritualità (tipo la
normale malvagità cristiana) e spiritualità senza religione (tipo lo zen).
Sono stati fatti milioni di morti in nome e per conto di un qualche dio. La pena di
morte fu sostenuta da Gerolamo, Agostino, Tommaso. Fu formalmente abrogata solo
nel 2001 dallo stato del Vaticano mentre venne attuata fino al 1870.
Ma Dio non ride mai?
Fin che ci ostineremo a dividerci fra cristiani, buddisti, islamici etc. etc. … non
avremo futuro.
Bisogna capire l'intima relazione che c'è tra ognuno e ogni cosa: non siamo mai
divisi, non siamo mai due.
Ricordiamo anche la sgradevole giustezza di coloro che sono deliberatamente e
metodicamente religiosi.
YHWH non è sessuato, non si accoppia come un dio pagano e non ha una compagna,
essendo l'unico Signore (e anche su questa parola ci sarebbe molto da discutere per le
sovrapposizioni fra religione e potere che suggerisce). La sessualità diventa così una
caratteristica tipicamente umana e quindi peccaminosa.
"Vuolsi così la dove si puote e più non dimandar…". Questo è, forse, il manifesto del
medioevo. Dio vuole e può tutto e tu, diavolo o uomo che sia, non fare altre domande
ma esegui la volontà di Dio.

507
Bibbia pagana: Inni Orfici, Oracoli Caldaici ed Ermete Trimegisto. Anche
l'interpretazione politeista di Giamblico con i suoi Misteri Egiziani in cui si insegna
la teurgia meta - razionale (evocare la divinità per influire su di essa). L'ultimo
paganesimo, dice Reale era però anche assetato di soteriologia, di voglia di salvezza,
di redenzione. In questo atteggiamento paiono rientrare tutte le grandi religioni
(induismo incluso?) tranne il Neoplatonismo.
Non credo nei miracoli, essi per me non esistono e non possono esistere. Se su questi
si poggia la credibilità del messaggio di Gesù allora lo si riduce di molto. Invece quel
messaggio è di una profondità assoluta, tanto da divenire una guida per l'umanità.
(Mimma De Maio)
Eppure è la cosa più diffusa tra i credenti, credere nei miracoli, pensare ai miracoli,
avere sulla punta della lingua il miracolo. Infantilismo della religione, superficialità
del rapporto col divino, povertà dello spirito, immaturità del pensiero. La Chiesa
sostiene la logica del miracolo per interesse, per tenere buone le persone e
sottomesse, sperando in un intervento divino che risolva le immancabili difficoltà
della vita. Sostenendo la logica dei miracoli l'uomo non maturerà mai e la Chiesa non
avrà assolto al suo compito di guida del credente a Dio. La fede è evoluzione del
credente in Dio non statica attesa di un evento. (Mimma de Maio)
Gesù ci ha dato come compito di crescere nella dimensione dello spirito per divenire
figli di Dio. Il miracolo non porterà mai su questa strada, come mai ha fatto in 2000
anni. Questa credenza invece farà rimanere sempre in uno stadio primitivo di
religiosità del prodigioso.
Tutto quello che il cristianesimo della Chiesa di Roma ha diffuso sui demoni e sui
miracoli, sull’attesa della venuta del Messia, sul Paradiso e sull’Inferno, sul giudizio
universale, serve per tenere sottomesse le persone e creare una forte attesa intorno
alla religione. Tutto questo però crea un clima di deresponsabilizzazione perché ci si
affida all'intervento di Dio e alle sue promesse e non si agisce nel mondo, si pensa
che basti seguire la religione, che è quello che vuole la Chiesa.. Invece tutto questo è
sbagliato, nulla avverrà, perché lo dicono i vangeli se si leggono con intelligenza e
correttamente, se si esce dalle interpretazioni false e scorrette, utili solo alla Chiesa su
cui ha poggiato la sua politica di dominio. Ora lo sappiamo. E sappiamo che solo con
il nostro impegno nel bene possiamo migliorare il mondo e facendo questo
costruiamo anche la nostra destinazione dopo la morte (Mimma de Maio).
I miracoli raccontati nei vangeli non sono fatti veri sono simboli del cambiamento
che avviene in noi se seguiamo il messaggio di Gesù. Ti dico anche che possono pure
avvenire delle guarigioni, ma queste sono dovute alla situazione psicologica di forte
tensione ed emozione che si crea in un ambiente di forte attesa. Sono guarigioni
naturali che ora la scienza ha anche dimostrato
508 possibili. (Mimma de Maio)
«Se qualcuno dice o sente che il castigo dei demoni e degli uomini empi è
temporaneo o che esso avrà fine dopo un certo tempo, cioè ci sarà un ristabilimento
(apocatastasi) dei demoni o degli uomini empi, sia anatema. » (quinto concilio
ecumenico di Costantinopoli del 553)
Iblis è il diavolo del Corano, dell'Islam. E' un diavolo strano e, quasi, simpatico.
Vediamo di capire. Quando Allah crea Adamo chiama tutti gli angeli e chiede loro di
prostrarsi davanti a questa sua opera. Tutti obbediscono tranne Iblis che si giustifica
pressappoco così: "Io non mi prostrerò mai davanti a qualcuno che non sia TU o
ALLAH". In tal modo, pur disobbedendo, si dimostra il più perfetto dei monoteisti,e
il più conseguente dal punto di logico e il più pieno d'amore per Dio. Questo Iblis
sembra, a volte, più coerente di Dio stesso che, non scordiamolo, "guida chi vuole e
svia chi vuole".
-RESURREZIONE
La Risurrezione è il culmine del mistero cristiano. La centralità della Risurrezione di
Cristo è direttamente proporzionale alla nostra fuga come da un incognito, alla
nostra smemoratezza di essa, alla timidezza con cui pensiamo alla parola e ne siamo
come rimbalzati via.
E’ nel mistero della Risurrezione il culmine e il colmo dell’intensità della nostra
autocoscienza cristiana, perciò dell’autocoscienza nuova di me stesso, del modo con
cui guardo tutte le persone e tutte le cose: è nella Risurrezione la chiave di
volta della novità del rapporto tra me e me stesso, tra me e gli uomini, tra me e le
cose. Ma questa è la cosa da cui noi rifuggiamo di più. È come la cosa più, se volete,
anche rispettosamente, lasciata da parte, rispettosamente lasciata nella sua aridità di
parola intellettualmente percepita, percepita come idea, proprio perché è il culmine
della sfida del Mistero alla nostra misura. «Se non esiste risurrezione dai morti,
neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora vana è la nostra
predicazione ed è vana anche la vostra fede. Se infatti i morti non risorgono,
neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete
ancora nei vostri peccati» (1Cor 15,1-22).
Il cristianesimo è l’esaltazione della realtà concreta, l’affermazione del carnale,
tanto che Romano Guardini dice che non c’è nessuna religione più materialista
del cristianesimo. E’ l’affermazione delle circostanze concrete e sensibili, per cui
uno non ha nostalgia di grandezza quando si vede limitato in quel che deve fare: quel
che deve fare, anche se piccolo, è grande, perché dentro lì vibra la Risurrezione di
Cristo. «Immersi nel grande Mistero», immersi come l’io è immerso nel «tu»
pronunciato con tutto il proprio cuore, come il bambino quando guarda la madre,
come il bambino sente la madre. Non mi posso concepire se non immerso nel Tuo
grande Mistero. La fede in Cristo risorto è il supremo atto dell’intelligenza
umana nel cogliere la realtà con lealtà e con affettività, amorosamente affermandola.
Questa affermazione amorosa del reale è condizione per cui l’intelligenza dell’uomo,
di fronte alla proposta di Cristo risorto, diventa
509 fede. La proposta di Cristo risorto e il
riconoscimento di fede non sono opera dell’uomo, non il prodotto di un’ipotesi di
lavoro della mente, non forza dell’intelletto, bensì possibilità della nostra intelligenza,
in quanto – come creatura – è una potenza d’obbedienza al Creatore: è per grazia. È
per grazia che noi possiamo riconoscerlo risorto e che noi possiamo immergerci nel
suo grande Mistero.
Senza la resurrezione di Cristo c’è una sola alternativa: il niente. Noi non pensiamo
mai a questo. Perciò passiamo le giornate con quella viltà, con quella meschinità, con
quella storditezza, con quell’istintività ottusa, con quella distrazione ripugnante in cui
l’io – l’io! – si disperde. Così che, quando diciamo «io», lo diciamo per affermare un
nostro pensiero, una nostra misura o un nostro istinto, una nostra voglia di avere, un
nostro preteso, illusorio possesso. Al di fuori della resurrezione di Cristo, tutto è
illusione. Ci è facile guardare tutto lo sterminato gregge degli uomini nella nostra
società: è la grande, sterminata presenza della gente che vive nella nostra città. E
noi non possiamo negare di sperimentare questa meschinità, questa grettezza, questa
storditezza, questa distrazione, questo smarrirsi totale dell’io, questo ricondursi
dell’io ad affermazione accanita e presuntuosa del pensiero che viene
(chiamandolo “verità della mia coscienza”) o dell’istinto che pretende afferrare e
possedere una cosa che lui decide essergli piacevole, soddisfacente, utile. È che tutto
è illusione. Distaccatevi due metri dalla vostra casa, guardate tutta la gente come vive
tante volte; normalmente viviamo così. Guardatela, uscite dalla vostra casa e state lì a
guardarla, due metri fuori: ditemi se l’ambiente non è così, se l’umanità non è questa!
È per questo che la liturgia ci fa dire: «Sostieni sempre la fragilità della nostra
esistenza con la tua grazia, unico fondamento della nostra speranza»: il che vuol
dire che senza il Mistero di Cristo risorto, il Mistero supremo del cristiano, sarebbe
vana la fede e saremmo ancora nel nostro peccato, vale a dire in una realtà che è
destinata a dissolversi e a omologarsi nella cenere ultima, nel nulla – e tutto ciò che
vibra nella vita e sembra eccitare i nostri nervi, i nostri desideri e i nostri pensieri
sarebbe illusione-. Non c’è altra alternativa che quella tra il Cristo risorto e questa
illusione della vita, «il brutto / poter che, ascoso, a comun danno impera, / e
l’infinita vanità del tutto», come finisce la breve poesia A se stesso di Leopardi. Non
c’è alternativa a Cristo risorto, se non questa frase di Leopardi.
Mai, come di fronte a Cristo risorto, la nostra insistenza sul chiedere, sul pregare, sul
domandare (usiamo la parola che è l’essenza della preghiera: domandare), la nostra
domanda deve intensificarsi. Per immergerci nel grande Mistero dobbiamo
domandare: questa è la ricchezza più grande. Come l’intelligenza più grande è
affermarlo, così l’affettività più ricca è domandarlo, il realismo più intenso e più
drammatico è domandarlo. Del resto, l’istante prima se n’è andato, l’istante
successivo ancora non esiste: la nostra libertà è nella decisione dell’istante. Se la
nostra libertà è nella decisione dell’istante, che cosa possiede la nostra libertà, che
cosa è capace di creare? Soltanto di svelarsi come domanda. Essa è, infatti, esigenza
di pienezza e di felicità, di essere. La nostra libertà è esigenza; il cuore, se vogliamo
usare il paragone biblico, è esigenza, cioè desiderio; l’istante è desiderio. Allora la
verità del desiderio è solo nel diventar domanda. La libertà è il desiderio originale
510
che diventa domanda. Nella domanda è il riconoscimento del positivo del disegno di
Dio; nella domanda è il riconoscimento – imperfetto e timidamente iniziato – del
Mistero che è tra noi.
Che cosa accade immergendoci nel grande Mistero di Cristo risorto? Ciò che
caratterizza l’io nuovo è la verità delle cose, è la verità della realtà, è una intelligenza
della realtà nella sua verità, è un amore alla realtà nella sua verità, è un immergersi
nella realtà come verità, è un immergersi nella verità della realtà. Gesù quando è
risorto ha fatto un’esperienza nuova della sua umanità, del suo essere davanti alla
gente, dell’essere nel tempo e nello spazio, del camminare e del mangiare;
è un’esperienza sottratta alla forma naturale dell’esperienza. Non era, il suo
mangiare, lo stare davanti a Maria e agli Apostoli, come per noi; era stare davanti a
tutto quello dentro il possesso della prospettiva ultima, dentro la verità, nella loro
verità. Questo è ciò che rende vera anche la nostra esperienza di rapporto tra di noi, di
rapporto con le cose, di rapporto con tutto.
Allora, già fin d’ora, se partecipiamo all’esperienza nuova che l’uomo Cristo, risorto
da morte, vive sino alla fine dei secoli, noi partecipiamo inizialmente, incoativamente
di questa sua signoria sul tempo e sullo spazio. Non c’è alternativa tra Cristo
risorto e la decadenza totale verso il niente. Non c’è niente che possa togliere la
differenza tra quella verità e la menzogna nei nostri rapporti: l’adesione a quella
verità o la menzogna, nei nostri rapporti. Anche il più intimo e il più amato, fino
all’ultimo ci lascerebbe con assoluto disinteresse. Mentre il rapporto più amato
diventa eterno, un possesso già eterno perché in esso «traluce» qualcosa che tu
riconosci. E perciò abbracci ciò che ami con quel distacco dentro che ti fa dire: «In te
traluce il grande Altro, Cristo. Amo te come Cristo, amo Cristo in te, amo te in
Cristo». E non esiste più l’estraneo, fosse anche il più lontano uomo che vive in
Kamchatka o nell’Australia: non esiste più estraneo, e tutto appartiene a me con
quel sollievo e quel riposo che mi dà la percezione del punto di fuga che è in tutto e
che raccorda tutto e ogni cosa al Destino ultimo, al Mistero ultimo che si è svelato
in tutta la sua potenza e misericordia e giustizia: Cristo risorto.
Ma questo è ciò per cui ci svegliamo oramai tutte le mattine: è un orizzonte e un
destino, un’intensità di vibrazione, è un vivere e un possedere, perché si è posseduti.
È un essere posseduti, ciò da cui parte il possedere, da cui parte la vibrazione e
l’intensità, da cui parte la cattolicità, la totalità dei rapporti, con la croce dentro
(possesso con un distacco dentro). Ciò da cui tutto parte è l’essere posseduti da Cristo
risorto, «immersi nel grande Mistero».
(Don Luigi Giussani)
Tutta la magnifica narrazione di cui sopra si fonda su alcuni presupposti:
1) esistono un tempo e uno spazio assoluti nei quali i nostri corpi materiali troveranno
albergo per l'eternità;
2) l'uomo ha un fine da perseguire e la sua libera autocoscienza lo aiuta nell'impresa;
3) il nulla, il niente sono terribili e temibili
511 e, dunque, da evitare assolutamente.
E se, per ipotesi:
1) se non esistessero tempo e spazio assoluti ma solo relativi, anzi, molto relativi
come ci insegna la fisica quantistica? Se, di conseguenza, non esistesse l'eternità? Se
ogni corpo fosse solo energia relazionale? Se l'intero universo fosse solo energia
relazionale che ha avuto un inizio e avrà una fine per poi, magari, ricrearsi
automaticamente? E se ogni cosa-evento fosse in stretta relazione con ogni altra cosa-
evento del mondo?
2) se l'uomo non fosse libero viste le molteplici e quasi infinite relazioni che lo
costituiscono e, dunque, lo vincolano? Se l'autocoscienza non fosse quel valore
fondante tipico solo di parte del pensiero occidentale? Se, a proposito dell'io, avesse
ragione l'antico pensiero orientale che lo vede solo come un abile trucco per vivere e
sbrigare la vita quotidiana?
3) il nulla non fosse così terribile ma, anzi, fosse la condizione di possibilità di tutto
ciò che esiste? E se il nulla non fosse così diverso dal tutto?
Attenzione particolare a queste affermazioni:
"Il cristianesimo è l’esaltazione della realtà concreta, l’affermazione del carnale,
tanto che Romano Guardini dice che non c’è nessuna religione più materialista
del cristianesimo".
"L'infinita vanità del tutto" non è una frase originale di Leopardi ma della Bibbia e
più precisamente del Qoelet.
" … è un vivere e un possedere, perché si è posseduti. È un essere posseduti, ciò da
cui parte il possedere …" Frasi ricolme di possesso e, dunque, di dualismo: un
soggetto possiede o è posseduto da altro da lui. E se, per caso, anche il dualismo
fosse superabile visto con ogni cosa-evento-concetto è in relazione con ogni altra
cosa-evento-relazione?
-RETE DI INDRA*
Secondo i Veda l'universo è strutturato come la "Rete di Indra" (re degli dei),
rappresentata come un mondo di sfere che sulla loro superficie lucida rispecchiano le
altre sfere, per cui le immagini di ogni cosa si specchiano in ogni altra cosa.
L'esperienza dell'interrelazione cosmica che accomuna lo zen a molte altre forme di
misticismo trasforma non solo le prospettive del pensare, ma modifica anche,
necessariamente, lo stile dell'agire: questo non solo perché ogni minima cosa su cui
agiamo è in realtà un universo, ma soprattutto perché ogni nostra azione, anche la
più piccola, influisce, benché in modi per lo più indiretti, su un'infinita quantità
di esseri e di cose. Avere la consapevolezza che ciascuna cosa è connessa a tutte le
altre non implica ritenere che essa si identifichi immediatamente con le altre, ma che
512
ciascuna cosa, nella sua particolarità, nei suoi caratteri specifici, è costituita da
tutte le altre.

L'immagine del ji ji mu ge (termine giapponese mentre in sanscrito si dice


dharmadhatu, e in cinese shi shi wu ai) : letteralmente questa locuzione significa
«consistenza di sé senza ostruzioni» e richiama l'immagine contenuta nel celebre
Avatamsaka Sutra, di una rete di gioielli in cui ciascun gioiello è, certo, se stesso per
la propria luminosità, ma tale luminosità dipende in realtà da quella di tutti
gli altri gioielli. Ciò significa che la trasparenza, ossia il vuoto di ciascun gioiello è il
fattore fondamentale che permette ad esso di essere quello che è: paradossalmente,
infatti, ciascun gioiello è se stesso solo in quanto si lascia attraversare dai raggi e dai
riflessi che provengono dagli altri gioielli i quali, d'altra parte, hanno la medesima
caratteristica di essere luminosi grazie alla loro trasparenza, cioè di esser qualcosa
grazie al loro vuoto, di essere consistenti grazie alla loro inconsistenza. Questa
metafora permette di cogliere assai bene la funzione del vuoto, il quale, da un lato,
mette in risalto i limiti e le differenze di ogni elemento, ma, dall'altro, fa risultare
vuoti di consistenza, ossia relativi e impermanenti, tali limiti e tali differenze. Ciò
significa, tra l'altro, che chi sa realizzare in sé il vuoto mentale riesce a cogliere più
nettamente di chiunque altro la forma impermanente di un albero visto che il vuoto è
il carattere più universale.

"Nel cielo di Indra, si dice esista una rete di perle, raccolta in modo che, se tu guardi
una di esse, tutte le altre vi si riflettono. Allo stesso modo ogni oggetto nel mondo
non è solo se stesso, ma implica ogni altro oggetto e, di fatto, è ogni altra cosa"
(Upanishad)
L’universo è come un’enorme rete che si estende all’infinito in ogni direzione, la
rete di Indra, per includere ogni aspetto dell’esistenza, senza eccezioni. Al punto di
intersezione di ogni nodo della rete c’è una lucente gemma dalla superficie
riflettente. Ciascuna gemma riflette ogni altra, generando una vasta rete di sostegno
che include tutto. Per quanto il loro numero sia infinito, nessuna gemma esiste senza
le altre o può essere considerata a sé stante. Ciascuna di esse è interdipendente dalla
presenza di tutte le altre. Se ne appare una, appaiono tutte. Se non ne appare una, non
ne appare nessuna. Se comparisse un puntino nero su una qualunque delle gemme,
comparirebbe su tutte.
Immaginate una rete di ragno multidimensionale, coperta di primo mattino di gocce
di rugiada. E che ogni goccia di rugiada contiene il riflesso delle altre gocce. E in
ogni goccia di rugiada riflessa i riflessi di tutte le altre gocce di rugiada in quel
riflesso e così all’infinito. Questa è la concezione buddhista dell’universo in
un’immagine. (Watts)

513
L'immensa prospettiva che sconvolge i canoni e le esperienze tradizionali cogliendo
l'interconnessione del cosmo: la rete di Indra!
È una metafora molto antica, tramandatoci dalla tradizione buddhista. Contiene una
verità fondamentale per capire cos’è la vita e il nostro rapporto col mondo:
l‘interdipendenza di tutte le cose. In fatto che siamo legati gli uni agli altri da
legami indissolubili, che si estendono a tutti gli altri esseri e a ogni elemento
dell’universo.
Thich Nhat Hanh parla di “interessere“, cioè del fatto che più che “essere” possiamo
“inter-essere” insieme a tutti gli altri e le altre cose con cui interagiamo.
Diane Rizzetto, una maestra di meditazione, ci dà una bella interpretazione della rete
di Indra, spiegandoci che “la mia vita e la vostra sono il continuo attualizzarsi di una
solitudine assoluta e un’assoluta intimità“. È il nostro destino di esseri umani, quali
creature completamente autonome, eppure definite solo in relazione con tutte le
altre. Siamo di fronte al paradosso insito in qualsiasi attività spirituale o di ricerca
interiore, compresa la meditazione.
Dunque la rete di Indra non è solo una spiegazione affascinante della realtà, uno
stimolo intellettuale, ma una sfida personale con la quale misurarci giorno per
giorno. Siamo in grado di vedere quanto dipendiamo dagli altri? E quanto le
nostre azioni si ripercuotono all’infinito nel tempo e nello spazio? Come ha detto
sempre Thich Nhat Hanh, quando compiamo un’azione che fa bene a noi stessi,
facciamo del bene al mondo. Quando compiamo un’azione che fa male a noi stessi,
facciamo del male al mondo.
Lo zen usa una metafora efficace per indicare la consapevolezza di questa relazione
biunivoca: nel bere il tè non c'è in realtà il tè bevuto da una parte e, dall'altra, chi beve
il tè, ma vi è !'«esperienza del tè» - ossia un " campo" che comprende sia il tè sia
chi lo beve. Ciò non significa affatto che si produca una " confusione" , una
situazione in differenziata dove tutto è uguale a tutto per cui non è più possibile
distinguere il tè da chi lo beve: anzi, una volta che un'esperienza - quella del bere il tè
come qualsiasi altra - venga vissuta allo stato "puro", ossia senza distrazioni,
interferenze, discriminazioni, pregiudizi e preconcetti, si ha un tipo di conoscenza
diretta in cui le cose, ma anche gli stati d'animo, le parole, gli eventi e le persone sono
sempre ben distinti tra loro e dal soggetto che li conosce, ma non risultano mai
separati, né, di conseguenza, opposti. A questo punto l'intera realtà appare
formata non da un insieme di atomi indipendenti, ma da una rete di
interrelazioni che mantiene le differenze senza tuttavia trasformarle in divisioni.
Nella tradizione del Buddhismo mahayana vi è un'opera straordinaria,
l'Avatamsakasutra, dove questa visione della realtà viene indicata con le metafore
della «rete di Indra», della «collana di gioielli» o della «ghirlanda di fiori»: tutte per
indicare che ogni elemento della realtà esiste solo in quanto è in relazione con
514
tutti gli altri elementi, così come accadrebbe in una rete infinita di cristalli, dove la
luminosità di ciascun cristallo dipende sempre dalla sua capacità di riflettere la luce
di tutti gli altri, senza che si possa mai separare la luminosità di uno da quella degli
altri. Ciò significa che se si vuole conoscere un elemento di qualsiasi realtà, non è
possibile conoscerlo isolatamente, perché, eliminando le relazioni, si
eliminerebbe l'elemento stesso.

-RICCHEZZA -POVERTA'**

Se, con tutte le risorse che ci ha messo a disposizione la scienza moderna, non
siamo ancora stati capaci di togliere la fame nel mondo, siamo tutti colpevoli di
egoismo. (Churchill)

Immaginatevi un mondo con poche e piccolissime isole di prosperità, immerse in un


mare di povertà e stagnazione. Ci stiamo dirigendo lì!

La malnutrizione ogni giorno nel mondo causa la morte di 7.000 bambini sotto i
cinque anni. Le cifre sono fredde e non raccontano fino in fondo il dramma, ma basta
fissare per un minuto le lancette di un orologio e abbinare a quel breve lasso di tempo
la morte di 5 bambini, per rendersi conto del dramma. Sì, perché nell’era tecnologica
ci sono ancora Paesi colpiti da carestie e siccità, stremati da crisi, guerre e povertà
estrema. In questi Paesi i bambini sono la parte più debole, soprattutto nelle fasi
successive allo svezzamento, quando sono privati di cibo adeguato, acqua pulita e
cure mediche. Nel silenzio generale, se non perdono la vita perdono comunque
l’infanzia alla quale hanno diritto. Secondo un recente rapporto Unicef, Oms e Banca
mondiale nel 2017, la metà di tutte le morti sotto i 5 anni è avvenuta in Africa
Subsahariana, e un altro 30% in Asia Meridionale. In Africa Subsahariana, 1 bambino
su 13 è morto prima del suo quinto compleanno. Nei paesi ad alto reddito, questo
numero era di 1 su 185. Intanto noi vivamo la nostra "onesta" indifferenza cristiana!

La scandalosa realtà di un mondo ancora tanto segnato dal divario tra lo sterminato
numero di indigenti, spesso privi dello stretto necessario, e la minuscola porzione di
possidenti che detengono la massima parte della ricchezza e pretendono di
determinare i destini dell'umanità. Purtroppo, a duemila anni dall'annuncio del
Vangelo e dopo otto secoli dalla testimonianza di Francesco, siamo di fronte a un
fenomeno di "iniquità globale" e di "economia che uccide". (così dice la lettera che
papa Francesco ha inviato al vescovo di Assisi nel giorno di Pasqua 2017).

Il governo civile, in quanto viene istaurato per la sicurezza della proprietà, viene in
realtà instaurato per la difesa dei ricchi contro i poveri, cioè di coloro che hanno
qualche proprietà contro coloro che non ne hanno nessuna […] ". (Adam Smith La
Ricchezza delle Nazioni)

515
Spesso mi domando: ma i poveri ci saranno sempre? Sembrerebbe di sì, sembrerebbe
anzi che siano aumentati, in sintonia con l'aumento della popolazione. Il potere non
va mai d’accordo con la povertà. (Scalfari)

Mi fa male pensare che i teorici dell'economia immaginano probabilmente soluzioni


ideali e intanto, fino ad oggi, nessuno nel mondo, è riuscito a fare qualche cosa di
significativo. Intanto la differenza fra privilegiati ed esclusi va crescendo. E' una sfida
terribile al senso di giustizia perché questo stato di cose provoca sofferenze immani
per uomini, donne e, specialmente, bambini.

Nel neoliberismo contemporaneo, il monismo che caratterizza la cosmovisione


occidentale moderna (e che diverse volte, fra Ottocento e Novecento, è stato sul
punto di saltare) si è fatto sclerotico: nessun altro mondo umano è altrettanto
sviluppato e desiderabile quanto il nostro, tant’è vero che continuamente impiantiamo
‘progetti di sviluppo’ destinati a portare ovunque i nostri modi e i nostri valori.
Nessuna forma di conoscenza è altrettanto vera e affidabile quanto la Scienza, ed è
giusto e inevitabile che questa, prima o poi, soppianti tutte le altre. La forma-stato,
con i suoi confini e con la democrazia rappresentativa, è la sola organizzazione
politica accettabile. Il solo modo possibile di produzione e sussistenza è quello
capitalista-industriale, incentrato sul nesso di tecnica, merce e plusvalore.
L’intelligenza è per definizione quella che si sviluppa negli umani scolarizzati e si
manifesta come capacità logico-deduttiva. La veglia raziocinante è l’unico stato
cognitivamente affidabile e moralmente corretto: tutti gli altri devono essere
sanzionati oppure squalificati. Per finire, niente esiste prima, al di là o dopo
l’individuo, inteso come l’ente conchiuso, monadico, razionale, nel pieno
possesso delle sue facoltà intellettuali, mirante alla massimizzazione del suo utile
e partecipe solo di rapporti estrinseci che non ne modificano l’essenza. Questa la
fiction  che fonda il diritto e quasi tutta la grande filosofia borghese, e che oggi ci
strangola. Questa costruzione di noi stessi come individui isolati, egoisti e
competitivi, unita alla più sonora ignoranza “ecologica” delle relazioni, delle
connessioni e dei rapporti di interdipendenza fra enti, ci rende estremamente
pericolosi. (Consigliere)

La miseria non è fatalità, viene da noi, dalle nostre assurdità, dalla nostra capacità di
pensare ed attuare la condivisione. (Abbè Pierre)
Nel Tao Te Ching si coltiva la critica alla proprietà con l'invito a seguire la via del
cielo che è quella di diminuire a chi ha in eccedenza e di aggiungere a chi non ha
a sufficienza. Giustizia distributiva.
L'attaccamento alle proprie opinioni, ai punti di vista, alle proprie certezze è la
radice dell'attaccamento alle cose materiali.
516
L'accumulo di capitale è diventato l'unico metro di paragone per giustificare la bontà
intrinseca della propria vita terrena … Siamo forse prostrati davanti dio denaro?
Il mercato privo di regole si impadronisce della vita delle persone senza che loro se
ne accorgano.
Nel mondo attuale 62 controparti possiedono la stessa ricchezza (per lo più depositata
nei paradisi fiscali ove non viene tassata) della metà della popolazione più povera.
Oltre a ciò emerge che la ricchezza detenuta dall'1% della popolazione mondiale, i
'paperoni' del pianeta, supera, nel 2016, quella del restante 99% degli abitanti. La
denuncia arriva dal rapporto 'Grandi disuguaglianze' messo a punto da Oxfam, la
confederazione internazionale (composta da 17 organizzazioni di diversi paesi), attiva
sul fronte umanitario e su quello dello sviluppo. Per Oxfam "l'esplosione della
disuguaglianza frena la lotta alla povertà in un mondo dove oltre un miliardo di
persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno, e 1 su 9 non ha nemmeno abbastanza
da mangiare".
Quando, in economia, il criterio è il guadagno più alto e facile possibile e nel tempo
più breve possibile, allora il profitto non è più giusto, ma diventa scopo a se stesso,
giocando sulla vita degli uomini e dei popoli.
Non si può continuare a pensare che il PIL (ricchezza prodotta da una nazione)
continui a crescere all'infinito! Nessuna cosa materiale può farlo!
Il cervello paga il prezzo della povertà. In presenza di povertà, scende infatti il
quoziente intellettivo delle persone.
I ricchi pensano che Dio sia contento della loro ricchezza. I poveri non ne sono
altrettanto convinti, ma devono tacere.
Se do da mangiare ai poveri, mi chiamano santo. Se chiedo perché i poveri non hanno
da mangiare mi chiamano comunista. (Camara)
Il capitalismo globale ha forse occupato ogni spazio cancellando la morale: l'uomo è
ridotto a mezzo di produzione. Denaro e potere hanno azzerato tutti gli altri valori.
"Il liberismo è stato smentito dalla storia" dice Muchetti editorialista economico del
Corriere della Sera e aggiunge "Infatti tutti gli stati, anche i più sedicenti liberisti,
sono intervenuti massicciamente durante la crisi in corso (2008) per evitare fallimenti
di aziende".
Chi afferma che ogni persona che nasce dovrebbe avere pari opportunità di crescita è
utopista, è comunista, è liberista, è cristiano, o è semplicemente un sognatore?
Teoria dell'equilibrio di John Nash: "Unilateralmente possiamo solo evitare il peggio,
mentre per raggiungere il meglio abbiamo bisogno di cooperazione". Calvino
517
semplifica dicendo "a volte nella vita non riusciamo a raggiungere il meglio, ma
almeno possiamo evitare il peggio".
La società del denaro non coglie la bellezza del mondo e neanche il suo affanno,
riduce l’uomo a un salvadanaio che si può rompere troppo facilmente, lasciando
solo dei cocci. L’uomo non merita di diventare un contenitore di monete. (Andreoli)
Quando in una società contano solo il profitto e il denaro e l'etica scompare, quella
società non ha futuro.
Si continua ad abolire le feste e a incrementare il tempo lavorativo...bisogna produrre
di più e consumare di più! La nuova divinità, adorata da quasi tutti, si chiama PIL!
E il dolce riposo, il libero pensiero, la meditazione creativa? Questa civiltà, forse, non
vuole uomini pensanti ma automi produttivi e consumatori.
Le pagine di storia sono piene del lamento dei poveri! La geografia politica-
economica conferma il grande malessere della maggior parte del mondo. E noi cosa
facciamo? I filosofi misticheggianti?
Ipotizziamo uno stato composto da 10 persone che ha una ricchezza di 10 unità
complessive. Se la ricchezza è concentrata in una sola persona e gli altri nove non
hanno nulla (indice Gini pari a 1), lo stato non è certo democratico. Lo è totalmente
se invece ognuno ha la sua dose media di ricchezza (indice Gini pari a zero). Quindi
se uno ha 10 e gli altri zero, non è democrazia! Se ognuno ha qualcosa (almeno per
soddisfare i bisogni primari), vi è un inizio di democrazia! Se la ricchezza si
concentra, la democrazia vacilla.
Il 20% della popolazione terrestre consuma l'80% delle risorse disponibili!
" I poveri? Non mi riguardano..." dice tale Romney che è candidato presidente degli
Stati Uniti. Che sia questo il succo del pensiero della destra conservatrice?
"Il mondo governato dal denaro è fallito, riprendiamoci l'amore". (Winterson)
Possiamo moralmente considerare soddisfacente una comunità che, per la sua intima
costituzione, rimette a pochi individui tutto ciò che c'è di meglio mentre richiede
alla maggioranza di accontentarsi di qualità di secondo ordine? Platone,
Aristotele e Nietzsche sono d’accordo. Gli stoici, i cristiani e i democratici sono
contrari. Ogni uomo è o non è fine a se stesso? Oppure molti devono lavorare per la
ricchezza e la felicità di pochi? Trasimaco o Gesù? Ogni uomo deve stare al suo
posto (Platone, Aristotele e la Chiesa) o deve aspirare al cambiamento? Conservare o
innovare? In ogni epoca c'è stata una gran ricchezza di argomenti teorici per sostenere
le tesi economiche più convenienti: prima la Chiesa è contro gli interessi sui prestiti
poi, dopo Lutero, cambia idea.
518
Un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile,
il più rapidamente possibile. E' una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo
che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta. Stiamo facendo la
guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti
fingono di non vedere: una crescita infinita è per definizione assurda in un
pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto. Per fare la pace
dobbiamo abbandonarci all'abbondanza frugale, accontentarci. Dobbiamo imparare a
ricostruire i rapporti sociali. (Latouche)

Il taoismo dice "La via del cielo è quella di dare di più a chi ha poco e di meno ha chi
ha troppo". Giustizia sociale naturale del taoismo. La via degli uomini è invece è il
contrario di quella del cielo: la ricchezza si accentra in mano a pochi.

La diseguaglianza genera violenza. Questo non è comunismo, è solo la verità. (Papa


Francesco)

Liberté, Égalité, Fraternité: nessuna delle tre asserzioni però ha senso senza le altre
due. Non c'è liberta senza uguaglianza e fratellanza! "La distanza tra ricchi e poveri
in Africa ma anche in tutto il mondo rappresenta uno scandalo", dice Papa Francesco.
E ancora: "La convivenza fra ricchezza e miseria è uno scandalo, una vergogna per
l'umanità".
Il mondo è ora governato dall'economia (cioè i più forti) e non più dalla politica (tutti,
almeno si spera).
-RORSCHACH**
Il test di Rorschach si basa su dieci macchie di inchiostro che, di per sé, non hanno
alcun significato preciso. L'osservatore però tende ad attribuire loro significato in
base alla propria personalità. Il soggetto osservante reagisce a uno stimolo esterno
secondo la propria personalità. Proietta all'esterno quello che ha nella sua mente.

519
La pareidolia è l'illusione subcosciente che tende a ricondurre a forme note
oggetti o profili (naturali o artificiali) dalla forma casuale. Vediamo ciò che
vogliamo vedere?

Le macchie sono simmetriche perché la mente umana è simmetrica. Si tratta di un test


di tipo proiettivo.

La mente proietta all'esterno ciò che ha al suo interno. Dunque non esiste una realtà
esterna unica e oggettiva. Ogni soggetto percepisce un suo mondo particolare che
dipende dalla sua stessa natura. Ognuno vede secondo ciò che è e vede il mondo
per come lui è. Il soggetto tende quindi a esternare le relazioni con le persone che
hanno segnato la sua vita e con le esperienze che ne sono conseguite. Se una persona
è ottimista darà descrizioni delle macchie positive. Se invece la persona è pessimista
descriverà il mondo in modo negativo. Emergono dunque le capacità relazionali
dell'individuo e, quindi, la sua personalità. Grazie alle macchie, che altro non sono
che stimoli ambigui poi rielaborati dalla mente, si riesce dunque a fare una
psicodiagnosi dell'individuo.

Valutando il nostro rapporto, la nostra relazione con queste misteriose macchie


emerge che esso riflette il nostro rapporto, la nostra relazione con il mondo e la
sua realtà. Ogni individuo tende a creare una sua visione di ciò che gli sta di
fronte, sia esso una macchia d'inchiostro o l'intero universo. E poi scambia la
sua visione per la verità!

S
-SABBE DHAMMA ANATTA'**

520
Nel Buddismo si dice (in pali che è lingua dialettale e quindi non dotta come invece è
il sanscrito) SABBE DHAMMA ANATTA. Giangiorgio Pasqualotto dice che è
una delle frasi più profonde dell'intero pensiero umano. Significa che tutte
(sabbe) le realtà (dhamma), tutto ciò che esiste sia esso fisica o metafisica (persone,
anime, cose, eventi, pensieri, coscienza) è privo di un vero sé (anatta), non essendo
dotata di sostanzialità, di indipendenza, di autonomia, di autoconsistenza .

Nessuna cosa-evento è autonoma, indipendente, isolata. Ciascuna cosa esiste perché


è relazione in continuo cambiamento.

In generale, ogni realtà (dhamma) che pretenda di poter vantare la qualità "sé" è
costretta a riconoscere che, per potersi dare e dire come "sé" deve in qalche modo
ricorrere al confronto con ciò che è diverso da sé; deve accorgersi che, per poter
esistere, deve fondarsi su ciò che essa non è. Deve quindi entrare sempre in relazione
perché solo la relazione veramente è.

SABBE DHAMMA ANATTA Sabbe (tutti) Dhamma (tutto ciò che esiste a qualsiasi
livello: dai pensieri alle cose) Anatta (privo di sé): tutte le realtà sono prive di sé!!!!
Quindi nessuna cosa è indipendente, atomo isolato, monade autonoma ma ogni cosa
esiste solo come relazione in continuo mutamento. Il buddismo qui esposto si
allontana dall'induismo che invece affermava il grande sé e il piccolo sé. Per il
buddismo la coscienza pura non ci può essere perché la coscienza è sempre relazione
cioè coscienza di qualcosa.
In molti passi del canone buddista è ribadito che ogni elemento (dhamma) - e con ciò
si intendono enti materiali, contenuti psichici ed anche puri eventi - è privo di un sé,
di una sostanza o essenza propria, fissa e assoluta. In particolare ciò è detto in
estrema sintesi nella frase del Dhammapada "Sabbe dhamma anatta" cuore della
famosa teoria dell'anatta (non sé nel dialetto pali) che coinvolge in primo luogo la
qualità del presunto nucleo immortale della personalità definito anima in occidente e
atman in sanscrito.

-SAGGEZZA ORIENTALE **
Il satori è un momento di non mente! Viene meno l'autocoscienza …
Serve il congedo del pensiero da se stesso per una realizzazione pacificata
dell'ultima realtà, non più dispiegabile discorsivamente.

Gli antichi saggi orientali dicevano che per instaurare una profittevole relazione
dialettica servono, da parte di tutti i partecipanti, prajna (intelligenza) e karuna
(compassione). Se queste qualità mancano risulteranno solo sterili e, quindi,
inutili polemiche.
521
La vera liberazione per il buddismo consiste nell'essere non più consapevole di
se stesso. E qui, per noi occidentali, casca l'asino e non si rialza mai più!
Incominciamo a chiedere, a chiederci: "Ma chi si libera se io non sono più
consapevole?" In questo ultimo ragionamento c'è sempre un "io" di troppo, un "io"
ineliminabile che non vuole tramontare e mollare la presa!

I mistici orientali insistono continuamente sul fatto che la realtà ultima non può
mai essere oggetto di ragionamento o di conoscenza dimostrabile.
Né può essere descritta adeguatamente con parole, perché sta al di là dei campo
dei sensi e dell'intelletto dai quali derivano le nostre parole e i nostri concetti. 

Per il mistico orientale, tutte le cose e tutti gli eventi percepiti dai sensi
sono interconnessi, collegati tra loro, e sono soltanto differenti aspetti o
manifestazioni della stessa realtà ultima  . 

La nostra tendenza a dividere il mondo percepito in cose singole e distinte e a


sentire noi stessi come unità separate in questo mondo è considerata
un'illusione che deriva dalla propensione della nostra mente a misurare e a
classificare. 

Le cose, gli eventi, i concetti sono solo proizioni della mente. E' ooprtuno
divenire quindi spettatori indifferenti delle sue infinite produzioni, osservarle
sorgere e sparire. Questa è l'unica via per la liberazione dal gran teatro illusorio
dell'esistenza.

L'antico pensiero orientale non è nichilistico ma relazionalistico. E' il nulla a


consentire alle cose di avere forma. Tale forma è, per ciascuna, il suo essere tale solo
in relazione ad altro. Relazionismo universale con conseguente impossibilità di
esistenze individuali reali e separate.

Abbandonarci alla Totalità lasciando che faccia quello che c'è da fare senza più
preoccuparci del nostro non essere perfetti. (Lin-chi)

Nel buddismo la sapienza di un illuminato viene spesso paragonata a un grande


specchio rotondo, il cui simbolo è un cerchio. Uno specchio infatti non ha ego, non
ha mente: se si presenta un fiore, lo riflette; se si presenta un uccello, lo riflette. Ogni
cosa si rispecchia così com'è: non c'è una mente discriminante che faccia da filtro. E
una cosa appare, lo specchio la riflette; se scompare, la lascia scomparire.
L'indifferenza del saggio corrisponde a una trasformazione totale del rapporto con il
mondo.

522
Il dramma dell'esistenza umana consiste nel persistere a ritenere il finito autonomo e
permanente quasi fosse un assoluto comunque, lui pure, l'assoluto, è relazionale in
quanto non autonomo e non permanente.

Il nirvana, se mai esiste, significa semplicemente l'assenza di un io che lo


percepisca e se ne impadronisca.

La gnosi per i Veda è liberatrice mentre per noi cristiani è più un problema che una
risorsa: conta più la fede.

Mente e cuore che sono divisi nel pensiero occidentale perché una sede dei pensieri e
l'altro dei sentimenti (Pascal docet), per l'Oriente sono invece costituiti dalla stessa
energia vitale primigenia.

Bisogna sapersi allontanare da come il mondo appare a prima vista, cioè dalla visione
banale delle cose.

Anche l'universale è privo di sé (anatta).

Illuminazione significa essersi sbarazzati dell'ignoranza causata dall'attaccamento al


presunto io.

Se sono ancora anche minimamente identificata a un “corpo”, se credo di possedere


un nome, dei beni materiali o affettivi, continuerò a preoccuparmi e ad avere paura di
perderli, ma se mi convinco che sono solo apparizioni passeggere che vanno e
vengono tra sonno, sogno notturno e “sonno ”di veglia, dove sono allora? (Isabella di
Soragna)

Chi sa non parla. Chi parla non sa. Nella tradizione orientale è privilegiato il
silenzio rispetto alle parole.

L'anima individuale (jivatman), se vuole trovare se stessa, deve, paradossalmente,


uscire, perdersi nell'intero universo e poi in esso ritrovarsi, scoprire che, in definitiva,
essa coincide con l'anima universale (atman), con l'Assoluto, con il Brahman.

Nel Taoismo e nel Buddismo ogni ente è considerato essere quello che è non solo
perché in rapporto con altri enti, ma perché è costituito, fin dalla sua origine, dagli
altri enti con i quali con i quali è quindi in strettissima relazione. Anche la fisica
quantistica ha la stessa interpretazione della realtà.

Risvegliarsi è prendere coscienza che tutto quello che percepiamo è un’illusione


creata dalle nostre sensazioni (dalle quali derivano i nostri concetti) e che la sola
Realtà è la Vacuità.
523
Noi occidentali meditiamo su un testo (sacro) mentre gli orientali meditano
mettendo al centro il loro respiro che è la relazione più importante fra l'io e il
mondo.
Quando il non-sapere passa dalla testa al cuore, muore il filosofo e nasce il mistico.
(Bergonzi)
Bisognerebbe saper stare serenamente all'interno dell'infinita complessità della natura
ammettendo di non conoscere la verità ultima e accettando di non essere eterni, anzi,
di non essere che una finzione scenica.
In origine non c’è distinzione tra le cose e l’io: come si può dire che il mondo
oggettivo è un riflesso del sé, così il sé è un riflesso del mondo oggettivo. Non c’è
un io separato dal mondo che l’io vede […]. Cielo e terra hanno un’identica radice,
tutte le cose sono un corpo solo. Gli antichi saggi dicevano: «Questo sei tu», Tat
tvam asi!

La filosofia indiana descrive il contenuto della scoperta del Sé come divino in termini
mitologici usando la frase "Io sono Brahaman" o "Quello sei tu" a indicare che la
conoscenza dell'Io è un avverarsi della propria originale identità con Dio. Ma questo
non implica ciò che "il proclamarsi Dio" significa in un contesto ebraico cristiano,
dove il linguaggio mitico è solitamente confuso con il linguaggio di fatto, così da non
esservi chiara distinzione fra Dio come è descritto nei termini del pensiero
convenzionale e Dio qual è in realtà. Un indù non dice "Io sono Brahaman" con il
sottinteso che egli è personalmente responsabile dell'intero universo ed è informato di
ogni particolare del suo operato. Da un lato, egli non parla di identità con Dio a
livello della sua personalità superficiale; dall'altro il suo Dio - Brahaman - non è
responsabile dell'universo in modo personale. (Watts)
Siamo avatar - maschere di Dio.
Cerchiamo di stare tranquilli aspettando l'ignoto.

Senti profondamente che nulla è come appare. Non farti ingannare dalle
apparenze: è un miraggio costante. Non dire neppure che il mondo è illusione,
“maya”, perché anche questo è un concetto. Maya in realtà non esiste, dato che è
un’illusione. Allora tutto ciò che deriva da maya non esiste neppure.
Lo stesso dicasi per la Realtà Ultima, l’Assoluto, il Parabrahman, che diventano un
porto rassicurante per te, e sono ancora un modo di credere. Non provengono forse
dalla mente? Sei tu a dare questi nomi per qualcosa che non riesci a capire.

524
Se rinunci alle cose materiali, è ancora un inganno dell’ego. Se sei convinto di non
aver più alcuna forma, che male ti può fare vivere nel mondo? È il mondo che
rinuncerà a te, se mentalmente non hai più identificazioni.
Se vuoi sbarazzarti di qualcosa, significa che credi in un “io” che lo fa. Questo io
però non esiste.
La pace è rispetto di ogni uomo.

La grande esperienza dell'epoca delle Upanishad è la scoperta che l'essenza


irriducibile dell'uomo è identica all'essenza irriducibile dell'Universo.

Lo scopo della vita è la fusione della coscienza individuale nella coscienza


cosmica. (La Bhagavad Gita)

Nell'attimo stesso in cui rifiutiamo il fluire delle cose, desiderando che esse vadano
come vogliamo noi, ecco sorgere il  dolore, che non è male di per sé, ma lo è in
quanto offusca la bellezza e la grandezza delle cose così come sono. (Piazza
interpreta U.G.)

Rifiutiamo entrambi gli estremi secondo i quali “ogni cosa esiste” oppure “nulla
esiste”. il Buddhismo ricorda sempre la condizionatezza di ogni singolo aspetto della
realtà, comprese le nozioni metafisiche. Queste non sono da rifiutare o da riconoscere
nella loro assolutezza, vanno invece considerate sempre nel campo delle molteplici
relazioni in cui sono coinvolte e a partire da cui emergono.

Chi sogna non sa di sognare. Solo chi si sveglia capisce di aver sognato. Ma poi
sogna di non sognare …

Qual è la tua via?


Osservo le cose e le lascio andare.
E quando tutte le cose sono lasciate andare, cosa resta?
Resta la consapevolezza.
E quando lasci andare anche la consapevolezza?
Non lo so.
Ecco, dove tu non sai, lì c'è l'Assoluto che è l'abisso dell'ignoto.
C'è il mistero che non è un problema ma è pienezza.
Noi stessi siamo il mistero che, quindi, non è risolvibile.
Vivere sereni nel mistero.

Che differenza c'è fra la coscienza dell'io sono e la coscienza più generale?
Non ti perdere nei mille rami delle mille domande ma vai dritto alla radice,
all'unica domanda che conta e rimani fermo lì finché non muore colui che cerca,
il cercatore; allora ti troverai al di là, nell'ignoto
525 che tu sei.
Quale dottrina occidentale ha mai insegnato una concordanza così rigorosa del
microcosmo con il macrocosmo […]? Si ha l'impressione che i filosofi cinesi non
intendano come quelli dell'Occidente l'idea stessa di comprendere o di conoscere, che
non si propongano la genesi intellettuale dell'oggetto, che non cerchino di coglierlo,
ma solo di evocarlo nella sua perfezione primordiale; proprio per questo essi
suggeriscono e, nel loro caso, non si può distinguere il commento e ciò che è
commentato, l'avvolgente e l'avvolto, il significante e il significato; proprio per
questo, inoltre, nei loro testi il concetto è allusione all'aforisma, così come l'aforisma
è allusione al concetto. (Merleau-Ponty)

Non è male fruire delle cose o delle situazioni ed essere felici: il guaio è
l’attaccamento a ciò che ci procura la felicità.

Tutto è perché tu sei … ma visto che tu non sei … cosa resta?


Om mani padme hum: salve o gioiello nel fior di loto! (ove gioiello indica
l'illuminazione e il fior di loto indica la coscienza umana)
OM (il suono che diede inizio a tutto)
MANI (gioiello, nirvana)
PADME (loto, samsara)
HUM (la sapienza)
Il Mantra sta ad indicare che il Nirvana non va cercato al di fuori del Samsara, ma nel
suo "cuore", nella quotidianità.
Ti diverti perché le cose non sono mai le stesse, senza sapere che anche noi non
siamo mai gli stessi. Né il mondo e neppure la mente sono fissi.
La calma del saggio è come l'immobilità apparente di una trottola che gira
vorticosamente. Essa si muove troppo velocemente perché gli occhi possano vedere,
perciò appare immobile. Così è l'apparente inazione del saggio. (Romana Maharashi)
Non vi è felicità in nessun oggetto del mondo. Solo a causa della nostra ignoranza,
noi immaginiamo di ricavare felicità dagli oggetti. (Romana Maharashi)
Nell'induismo più antico, quello dei Veda, non vi è traccia di un paradiso,
soprattutto di una ricompensa personale.
Mantieni anzitutto in pace te stesso e così potrai pacificare gli altri: l'uomo operatore
di pace giova più dell'uomo dotto.
Il farsi vuoti è condizione di saggezza.
526
Data la sylllapsis universale, operando su di sé, si cambia il mondo.
Che la sapienza si arresti a ciò che non può sapere … è il culmine. (Chuang Tzu:
il sogno della farfalla!!!)
La grande sapienza tutto abbraccia, la piccola sapienza distingue; le grandi
parole compongono i contrari, le piccole parole discutono di futilità. (Chuang Tzu)
Le creature sono parziali: non vedono quello che l'altro vede, capiscono solo quello
che in sé conoscono. Vedono l'io come affermazione e l'altro come negazione
dell'affermazione. Non capiscono che l'io e l'altro si generano a vicenda.
Se le creature sono distinte, è la distinzione che non è poi così distinta.
Il santo mira allo splendore del confuso e del dubbio. Pertanto non s'ingegna ma si
rimette a ciò che è invariabile (INVARIANTE!). (Chuang Tzu)
C'è il principio, c'è quel che è prima che vi sia il principio, c'è quel che è prima di
quel che è prima che vi sia il principio. (Chuang Tzu)
Gli antichi davano un limite alla sapienza. Qual'era? Alcuni pensavano che il
culmine, il limite estremo e insuperabile, fosse il momento in cui ancora non v'era
materia. Venivano poi quelli che pensavano che fosse il momento in cui v'è materia,
ma prima che vi siano le barriere di separazione, prima che vi siano affermazione e
negazione. (Chuang Tzu).
Il risveglio è semplicemente il rendersi conto che si può vivere di illusioni oppure
no.
La via autentica è da sempre presente pur essendo al di là delle contraddizione che
pure ne fanno parte.
A quel modo che un mago crea esseri in realtà vuoti, così tutti gli esseri creati sono
vuoti così come colui che li crea. (Nagarjuna Maharaj)
Se dai un calcio a un albero in fiore verrai ricoperto di petali.
Si muove la bandiera, il vento o la mente? Nessuno si muove! C'è grande pace
oggi.
Samsara significa che “è necessario fare qualcosa”. I saggi che incarnano la vacuità
senza cambiamenti e senza forma, non vedono nulla di simile.
La mia felicità consiste:
nel sapere che provengo dal Principio
nell'osservare il succedersi delle stagioni
527
l'alternarsi del giorno e della notte
nel sapere che al Principio farò ritorno
(Chuang Tzu)
"Impara a guardare con occhio uguale tutti gli esseri, vedendo in tutti l'unico Se
Stesso" (Srimad Bhagavatam)
La forma è vuoto
Il vuoto è forma
Le cose non sono come sembrano...
... e il bello è che non sono neppure in un altro modo!
"Quando non hai più nulla, riesci a buttarlo via?"
"Certo! lo faccio senza far nulla!"

La caratteristica più importante della concezione del misticismo orientale - si


potrebbe quasi dire la sua essenza -è la consapevolezza dell'unità e della mutua
interrelazione di tutte le cose e di tutti gli eventi, la constatazione che tutti i
fenomeni nel mondo sono manifestazioni di una fondamentale unicità. Tutte le cose
sono viste come parti interdipendenti e inseparabili di questo tutto cosmico, come
differenti manifestazioni della stessa realtà ultima. Le tradizioni orientali si
riferiscono costantemente a questa realtà ultima indivisibile, che si manifesta in
tutte le cose e della quale tutte le cose sono parte. Essa è chiamata Brahman nell'
Induismo, Dharmakaya nel Buddhismo, Tao nel Taoismo. Poiché trascende tutti i
concetti e tutte le categorie, i Buddhisti la chiamano anche Tathata o Essenza
assoluta: Nella vita ordinaria, non siamo consapevoli di questa unità di tutte le
cose, ma dividiamo il mondo in oggetti ed eventi separati. Questa divisione è utile
e necessaria per muoverci nel nostro ambiente quotidiano, ma non è un aspetto
fondamentale della realtà. E un'astrazione e un'illusione ideata dal nostro intelletto
che distingue e classifica. Lo scopo principale delle tradizioni mistiche orientali è
perciò di rimettere ordine nella mente guarendola e acquietandola attraverso la
meditazione.

Il termine sanscrito per "meditazione" è samadhi, che significa letteralmente


"equilibrio mentale", alludendo allo stato mentale equilibrato e tranquillo nel
quale si sperimenta l'unità fondamentale dell'universo. Per gli Indù, Brahman è il
filo unificatore della rete cosmica, la base ultima di tutto l'essere. Nella tradizione
buddhista il nucleo centrale dell'Avatamsaka-sutra, uno dei più importanti testi del
buddhismo Mahayana (Grande Veicolo), e la descrizione del mondo come una rete
perfetta di mutue relazioni, nella quale tutte le cose e tutti gli eventi interagiscono
l'uno con l'altro in un modo infinitamente complesso. La rete cosmica svolge un ruolo
528
di primo piano anche nel buddhismo tantrico o Vajrayana ("Via del Diamante"), un
ramo del Mahayana che ha avuto origine in India intorno al terzo secolo d.C. e che
attualmente costituisce la scuola più importante del buddhismo tibetano.

I testi sacri di questa scuola sono chiamati Tantra, un termine la cui radice sanscrita
significa "tessere" e che allude all'intreccio e all'interdipendenza di tutte le cose e
di tutti gli eventi. I mistici orientali nella meditazione profonda arrivano ad uno stato
in cui cade completamente la distinzione tra osservatore e osservato, dove soggetto e
oggetto si fondono in un tutto unico indifferenziato. Questa è quindi la
comprensione definitiva dell'unità di tutte le cose. Essa viene raggiunta in uno
stato di coscienza nel quale la propria individualità si dissolve in un'unità
indifferenziata, dove si trascende il mondo dei sensi.

Quando i mistici orientali ci dicono che essi percepiscono tutte le cose e tutti gli
eventi come manifestazioni di una fondamentale unicità, ciò non significa che essi
asseriscano che tutte le cose sono uguali. Essi riconoscono l'individualità delle cose,
ma nello stesso tempo sono consapevoli che tutte le differenze e tutti i contrasti sono
relativi all'interno di un'unità che tutto comprende. Gli opposti sono concetti
astratti che appartengono al mondo del pensiero e in quanto tali sono relativi.

Il mistico trascende questo mondo dei concetti intellettuali, e nel trascenderlo diventa
consapevole della relatività e del rapporto polare di tutti gli opposti. Egli si rende
conto che buono e cattivo, piacere e dolore, vita e morte, bello e brutto non sono
esperienze assolute che appartengono a categorie diverse, ma sono semplicemente
due facce della stessa realtà. Raggiungere la consapevolezza che tutti gli opposti sono
polari, e quindi costituiscono un'unità, è considerato nelle tradizioni mistico-spirituali
dell'Oriente una delle più alte mete dell'uomo.

L'intero insegnamento buddhista - e di tutto il misticismo orientale - ruota attorno a


questo punto di vista assoluto che viene raggiunto nel mondo di a-cintya, o "non-
pensiero", nel quale l'unità di tutti gli opposti diviene una esperienza viva. Dice una
poesia Zen:

Al crepuscolo il gallo annunzia l'aurora


A mezzanotte, il sole risplendente

Poiché tutti gli opposti sono interdipendenti, il loro conflitto non può mai finire con la
vittoria totale di uno dei poli, ma sarà sempre una manifestazione dell'azione
reciproca tra l'uno e l'altro polo. Una persona virtuosa non è perciò quella che
affronta l'impossibile compito di battersi per il bene e di sconfiggere il male,
bensì quella che è capace di mantenere un equilibrio dinamico tra il bene e il
male. Questa idea di equilibrio dinamico è essenziale per il modo in cui l'unità degli
opposti è sperimentata nel misticismo orientale. Non è mai un'identità statica, ma
sempre un'interazione dinamica tra due estremi.
529
Nel Taoismo esiste il simbolismo dei poli archetipici yin e yang: all'unità
soggiacente allo yin e allo yang viene dato il nome di Tao. Una delle principali
polarità della vita è quella tra il lato femminile e quello maschile della natura umana.
Nel misticismo orientale si cerca di realizzare un'unità tra questi due aspetti della
natura umana.

In molte tradizioni orientali, l'equilibrio dinamico tra le modalità di coscienza


maschile e femminile è lo scopo principale della meditazione ed è spesso illustrato in
opere artistiche. Nel Buddhismo tantrico, la polarità maschio/femmina è spesso
illustrata con l'aiuto di simboli sessuali. La saggezza intuitiva è vista come la qualità
passiva, femminile, della natura umana, l'amore e la compassione come la qualità
attiva, maschile, e l'unione di entrambe nel processo di illuminazione è rappresentata
con estatici amplessi sessuali di divinità maschili e femminili.

I mistici orientali affermano che si può avere l'esperienza dell'unione della propria
mascolinità e della propria femminilità solo quando si è raggiunto un livello superiore
di coscienza, nel quale il mondo del pensiero e del linguaggio è trasceso e tutti gli
opposti appaiono come un'unità dinamica.

Nel misticismo orientale la conoscenza poggia saldamente sull'esperienza e


sull'osservazione. Nel Taoismo, questo concetto di osservazione è racchiuso nel nome
stesso col quale si indicano i templi taoisti, kuan, il cui significato originario è quello
di "osservare".

Nel buddhismo Ch'an, la scuola cinese dello Zen, spesso si parla dell'illuminazione
come della "visione del Tao", e in tutte le scuole buddhiste il vedere è considerato
come il primo passo del conoscere. E' importante ricordare, a tal proposito, anche le
parole del mistico yaqui Don Juan, protagonista dei romanzi di Carlos Castaneda:
"La mia predilezione è vedere ... perché un uomo di conoscenza può conoscere solo
vedendo". L'importanza attribuita al "vedere" va intesa in senso metaforico. Quando i
mistici orientali parlano del "vedere", essi si riferiscono a un tipo di percezione che
può anche comprendere la percezione visiva, ma che sempre la trascende in maniera
sostanziale per divenire un'esperienza non sensoriale della realtà. Ciò che essi
vogliono sottolineare quando parlano di vedere, guardare o osservare, è il carattere
empirico della loro conoscenza.

Nell'Oriente mistico le varie forme dell'arte sono modi di meditazione. Esse sono
intese come vie di realizzazione di sé attraverso lo sviluppo della modalità intuitiva
della coscienza. La musica indiana non si impara leggendo le note, ma ascoltando
l'insegnante che suona; i movimenti del T'ai Chi non vengono imparati seguendo
certe istruzioni verbali ma ripetendoli più e più volte in perfetta sincronia con il
maestro; le cerimonie giapponesi del tè sono ricche di movimenti lenti e rituali. La
calligrafia cinese richiede un movimento spontaneo e sciolto della mano. Nella
meditazione profonda, la mente è totalmente
530 attenta e vigile. Tale stato di coscienza è
simile allo stato mentale di un guerriero che attende l'attacco con estrema vigilanza.
In Giappone, infatti, la forte influenza dello Zen sulla tradizione dei samurai dette
origine al bushido, "la via del guerriero", un'arte della spada in cui l'intuito spirituale
dello schermidore raggiunge la più alta perfezione.

Il T'ai Chi Ch'uan taoista, che fu considerato la massima espressione dell'arte


marziale in Cina, fonde i lenti e ritmici movimenti con l'assoluta prontezza della
mente del praticante in una specificità unica. I mistici orientali sono perfettamente
consapevoli del fatto che tutte le descrizioni verbali della realtà sono imprecise e
incomplete. Essi sono interessati principalmente a fare esperienza della realtà e non a
descrivere tale esperienza.

La ricca immaginazione indiana ha creato un gran numero di divinità maschili e


femminili. Tuttavia, chi in India è dotato di intuizione profonda sa che queste
divinità sono creazioni e della mente, immagini mitiche che rappresentano i
molteplici aspetti della realtà.

I mistici cinesi e giapponesi preferiscono spesso accentuare la natura paradossale


della realtà ed evidenziare i limiti comunicativi del linguaggio verbale utilizzando
il linguaggio fattuale. Perciò i Taoisti si servono frequentemente di paradossi. Dai
Taoisti questa tecnica è passata ai buddhisti giapponesi e cinesi che l'hanno
ulteriormente sviluppata (con i cosiddetti koan, o "sfide interiori" del buddhismo
Zen).

In Giappone, esiste anche una forma speciale di poesia estremamente concisa che
viene spesso usata dai maestri Zen per puntare direttamente all'essenza assoluta della
realtà. Questa forma di poesia spirituale ha raggiunto la perfezione nello haiku, un
tipo di componimento poetico classico giapponese di esattamente diciassette sillabe:

Le foglie che cadono


giacciono una sull'altra
la pioggia batte sulla pioggia

Splende il sole

Brilla la bianca luna

La mente è chiara

Ronald Laing scriveva negli anni Sessanta: "La nostra civiltà non reprime soltanto gli
istinti e la sessualità, ma anche ogni forma di trascendenza. Il nostro stato normale e
ben adattato non è molto spesso che una rinuncia all'estasi, un tradimento delle nostre
più vere potenzialità. Molti di noi riescono fin troppo bene a costruirsi un falso io
per adattarsi a una falsa realtà. Negli ultimi anni però ciò che era stato rimosso da
questa cruda eclissi del sacro ha cominciato
531 a riemergere sotto forma di una nuova
sensibilità religiosa, connotata da esiti spesso ambivalenti. Da un lato la moda
dell'occulto, le sette suicide, il fascino dell'esotico e dell'esoterico, la sottomissione a
sedicenti guru, le superstizioni millenaristiche. Dall'altro la ricerca di un'autentica
esperienza spirituale, vissuta in prima persona, senza intermediari attraverso un
lavoro interiore che coniughi insieme contemplazione e azione. In tale prospettiva
l'incontro con la spiritualità orientale rappresenta per alcuni occidentali una preziosa
occasione per riscoprire attraverso un terreno religioso vergine, non dominato da
pregiudizi e da antiche ferite, la dimensione del sacro, celata nell'intimo di ciascuno.
Il viaggio in Oriente diviene un ritorno alle fonti del proprio spirito, come scrisse
Tagore in una bella poesia: "Sono le vie più remote che portano più vicino a te stesso.
Il viandante deve bussare a molte porte straniere per arrivare alla sua e bisogna
viaggiare per tutti i mondi esteriori per giungere infine al sacrario più segreto,
all'interno del cuore".

 È giusto che voi abbiate dubbi e perplessità; che la


perplessità si alzi in voi rispetto a ciò che è meritevole di
dubbio.
[...]
Non fatevi guidare da dicerie, tradizioni o dal sentito dire.
Non fatevi guidare dall'autorità dei testi religiosi,
né solo dalla logica e dall'inferenza,
né dalla considerazione delle apparenze,
né dal piacere della speculazione intellettuale,
né dalla verosimiglianza,
né dall'idea "questo è il nostro maestro".
Ma quando capite da soli [...] che certe cose sono cattive e
biasimevoli, portano danno e sfortuna, non solo secondo
voi, ma anche secondo il parere dei saggi, [allora]
abbandonatele.
[...]
Quando voi stessi riconoscete che certe cose sono buone,
non riprovevoli, in qualche maniera lodevoli, una volta
intraprese e provate portano a benefici e alla pace, [allora]
accettatele e dimorate in esse. (dall'Aṅguttaranikāya,
discorso n. 65, Kalāmasutta)
 Il beato rispose: "Ma, Ânanda, cos'altro può
chiedermi la comunità dei monaci? Io, Ânanda, ho
insegnato il Dhamma evitando di creare una
dottrina esoterica ed una essoterica: il Tathâgata
è ben lungi dall'essere un maestro dal
"pugno chiuso" (âcariyamu.t.thi) per quanto
532
riguarda gli insegnamenti!" ...
[...] ... "Perciò, Ânanda, siate un'isola (dîpa)
per voi stessi, prendete rifugio in voi stessi e non in altro!
Che la vostra isola sia il Dhamma, che il vostro rifugio
sia il Dhamma e non altro!" (dal Mahâparinibbânasuttanta,
seconda sezione, verso 33)
 Il bramino Dona vide il Buddha seduto sotto un albero e fu
tanto colpito dall'aura consapevole e serena che emanava,
nonché dallo splendore del suo aspetto, che gli chiese:
– Sei per caso un dio?
– No, brâhmana, non sono un dio.
– Allora sei un angelo?
– No davvero, brâhmana.
– Allora sei uno spirito?
– No, non sono uno spirito.
– E allora, che cosa sei?
– Io sono sveglio. (da Anguttara Nikaya, 4, 36)
 Il saggio che procede in solitudine, ben attento, non
turbato da biasimo e lode, come un leone che non sobbalza
ai rumori, come vento che non è trattenuto da una rete,
come un loto non zuppo per l'acqua, guida per gli altri e da
nessuno guidato, è quello che i saggi riconoscono come un
muni. (dal Sutta Nipâta, 212)

-SAN GIORGIO**
E' un santo paradigmatico per le religioni: ha compiuto gesta talmente eclatanti da
essere squalificato da santo. Dal 1969, infatti, non è più riconosciuto come tale!
Eppure era partito fortissimo con storie e avventure da valergli un fama indelebile.
Visto però che si era esagerato nell'attribuirgli meriti improponibili, si è trovato
detronizzato. Una vera disdetta in cui lui non è però colpevole di nulla visto che
hanno fatto tutto i vari apologeti. Ma andiamo con ordine. Pur in assenza di fonti
storiche certe, sembra sia vissuto in Cappadocia a cavallo fra il terzo e quarto secolo.
Si favoleggia del fatto che morì tre volte e resuscitò due volte. Non contento resuscitò
anche altre due persone morte da quasi cinquecento anni, le battezzò e poi le fece
sparire. Ma la faccenda per cui Giorgio è più famoso consiste nell'uccisione del drago
libico che carbonizzava con il fiato tutte le persone che incontrava ( e lavarsi un poco
i denti? Non poteva, visto che i draghi non sono mai esistiti! Come potrebbe uno che
non esiste lavarsi i denti …). Giorgio intervenne e, dopo aver chiesto la preventiva
conversione a quelle popolazioni (non si fa nulla senza ricompensa …), fece fuori il
533
drago inesistente ma con il fiato pesante. Dopo di ciò Giorgio divenne uno dei santi
più venerati sia del cristianesimo orientale che di quello occidentale. Divenne patrono
di città, paesi e villaggi nonché di varie categorie di persone. Gli si dedicarono chiese
in ogni dove. Lo si festeggiò, fin dal quarto secolo, il 23 aprile. Il nome di san
Giorgio era invocato contro i serpenti velenosi, la peste, la lebbra e la sifilide e, nei
paesi slavi, contro le streghe.
Come detto, nel recente passato ci si accorse di aver un poco esagerato nella
narrazione intorno a Giorgio. Si fece allora una rapida marcia indietro consigliando di
celebrare solo la sua memoria. Già, ma quale tipo di memoria? Se togliamo draghi e
resurrezioni, cosa resta di lui? E cosa resta dell'Apologia? E cosa resta della
religione?

-SCETTICISMO**

Alcuni ricercatori propongono una loro teoria. Le loro conclusioni vengono


controbattute da altri studiosi: costoro vengono definiti scettici. Si sente dire: gli
scettici negano... ma la frase è errata, gli scettici non negano, perché negare vuole
dire affermare una verità opposta. Lo scetticismo è invece la filosofia del dubbio,
non della negazione. Lo scettico autentico non nega una teoria perché ha dei
pregiudizi, ma perché esige che chi sostiene determinate tesi, le dimostri come
inequivocabilmente vere. E ciò risulta impossibile …
Lo scetticismo si forma come scuola di pensiero in epoca ellenistica. La scuola
proponeva il dubbio come unica azione logica possibile e come filosofia di vita.
Le virtù che gli Scettici insegnavano erano l'Afasia (l'arte del silenzio), l'Epochè (la
sospensione del giudizio) e l'Atarassia (l'imperturbabilità dell'anima). Storicamente lo
scetticismo non ha mai avuto fortuna nella storia del pensiero umano: l'uomo ha
bisogno di certezze come punti di riferimento, anche a costo di sbagliare, per
evolvere. Dal dubbio fine a se stesso non si può costruire nulla … o almeno così
pensano in molti.
Lo scetticismo passa poi al servizio della chiesa. Col Cristianesimo vengono proposte
delle verità che vanno accettate per fiducia (fede), l'antitesi di quanto propugnato
dallo scetticismo. Un certo atteggiamento scettico viene proposto dal Cristianesimo
nei confronti dei suoi avversari: l'impossibilità di questi di affermare tesi
assolutamente convincenti è la dimostrazione che le uniche verità sono quelle di fede.
Lo scetticismo oggi propone la filosofia del dubbio come filosofia della
tolleranza. Ho delle idee, ma dubito di esse, perché è probabile che i miei
interlocutori possano avere le loro buone ragioni. Quindi li rispetto. Lo scettico, oggi
come allora, è contro la credulità, il dogmatismo, la superstizione, specialmente se
questi limitano la libertà del singolo individuo.
534 Lo scettico può essere favorevole al
sapere scientifico ma nello stesso tempo critica la fiducia assoluta nei confronti della
Scienza. In sostanza lo scettico è aperto a tutto, ma nello stesso tempo, ne dubita.
In ultima analisi lo Scetticismo ha lo stesso valore di una spezia, come il pepe. Non si
posso preparare pietanze a base di pepe, nulla si può generare dal dubbio fine a se
stesso. Ma il pepe rende saporite altre pietanze, così il dubbio rende positivi gli altri
pensieri, cancellandone gli estremismi e gli eccessi causati dal dogmatismo.

-SCIENZA**

"Basta con la filosofia, mi fido solo della scienza" dice Boncinelli. Il genetista
riflette sul ruolo della filosofia: “Invenzioni che nulla hanno a che fare con la
realtà”. Risponde il fisico Rovelli. "No, la filosofia non è inutile per la scienza.
Ne è fonte vivissima di ispirazione, critica e idee. Questo ispirandosi ad
Aristotele: "La filosofia offre una guida su come la ricerca deve essere
condotta".
Il nostro sapere è incompleto ma è organico: cresce in cotinazione e ogni parte
ha influenza su ogni altra. (Rovelli)
E' una chiara imprudenza supporre che la scienza possa fornire una conoscenza
certa della verità su una cosa qualsiasi. (Oldroyd)
La scienza non persegue una spiegazione ultima e quindi non è essenzialista come,
invece, pensava Aristotele. (Popper)
Ma questo non significa che religione e scienza debbano essere in conflitto. Ci sono
grandi religioni che non hanno difficoltà ad accettare (...) la laicità della vita pubblica,
la pluralità delle opinioni, la tolleranza reale verso chi è diverso da noi, e l’idea che
nessuno di noi, dentro o fuori una o l’altra Chiesa, sia il solo depositario della verità
assoluta. (Rovelli)
La finitezza del conoscere umano si manifesta in due direzioni, quella di un limite
soggettivo e quella di un limite oggettivo. Il limite soggettivo consiste nel fatto che
ognuno di noi osserva il reale dal proprio punto di vista (prospettivismo). Ogni
esser umano ha dunque la propria visione della realtà: nessuna visione è quella
assoluta. C'è però anche un limite oggettivo della conoscenza, quello che ci obbliga
a cercare l'universale a partire dal particolare (induzione e deduzione), a cercare
di ricostruirlo a partire dalle tracce che ne individuiamo.
La scienza non cerca la verità, ma la maniera più efficiente di modificare il mondo.
(Boncinelli)
Bergson pensa che la scienza sia incapace di cogliere l'essenza profonda della realtà.
535
Né l'empirismo e neppure il razionalismo ci danno certezze! Non esistono
certezze assolute se non nelle menti deboli. Per tutti gli altri esistono dubbi e
ragionevoli certezze probabili.

Ogni nuova filosofia o scienza si è sorretta sulla fede nella verità di certe idee prima
che queste potessero essere verificate. La fede quindi anticipa la certezza ed anzi in
certi casi crea la sua stessa verificazione. (James)

Porre un limite alle pretese della scienza, negare il principio scientista, per cui tutto
ciò che è tecnicamente possibile è anche lecito (tipo la bomba atomica … n.d.r.)
diventa urgenza richiesta dalla tutela della qualità della vita di tutti. (Forte)
Supponiamo ora che abbia chiesto: «Come so che vedo e che vedo rosso? Ossia,
come so che faccio ciò che chiami vedere e vedere rosso?» Poiché noi usiamo le
parole „vedere‟ e „rosso‟ tra noi in un gioco che giochiamo insieme. (Wittgenstein)

La scienza non è una costruzione teorica indipendente dal modo in cui viene
edificata, è anzi una risultante di molteplici pratiche intersoggettive, sociali, politiche.
In particolare, è il dibattito innescato dalle ricerche nel campo della fisica quantistica,
con la scoperta del principio di indeterminazione e la constatazione
dell'inevitabilità dell'intervento soggettivo nell'osservazione oggettiva, a portarci
al cuore del problema. In effetti, ciò che l'idea di forma di vita contesta, è proprio
quella separatezza tra il soggettivo e l‟oggettivo che costituisce l‟obiettivo polemico
comune di alcune riflessioni sui fondamenti della scienza da un lato, e della critica
all'indipendenza del sapere scientifico dall'altro. (Kuhn, Feyerabend)

Il compito non è tanto di vedere ciò che nessuno altro ha ancora visto ma pensare ciò
che nessuno altro ha ancora pensato riguardo a quello che chiunque vede.
(Schrodinger)
Per quanto strategicamente efficace, il riferimento alla scienza come unica impresa
conoscitiva affidabile denota la persistenza della cosmovisione colonialista, secondo
cui solo la nostra cultura ha prodotto un’ontologia, un’epistemologia, un’etica, dei
percorsi di conoscenza e delle forme umane degne e desiderabili. Il che ci riporta alla
condizione di partenza: la nostra civiltà è un disastro planetario, ma non possiamo
che portare avanti i suoi lineamenti fondamentali perché, nonostante tutto, è l’unica
sensatamente fondata.
L'immagine del mondo secondo la Bibbia riprende la concezione babilonese della
terra piatta. Questa non solo è di dimensioni finite ma anche di forma
quadrangolare. Poi Aristotele, Tolomeo, Silvestro II e Dante concepiscono la terra
sferica al centro del mondo (geocentrismo). Copernico toglie infine all'uomo la sua
centralità nell'universo e mette in discussione le Sacre Scritture. Grandiosa infine la
visione dell'universo di Giordano Bruno:536infiniti mondi finiti (come dicevano anche
Leucippo e Democrito)! Superando così, in un solo passaggio, geocentrismo,
eliocentrismo e antropocentrismo. Ora si è giunti alla concezione di infiniti universi
basata sulle fluttuazioni quantistiche del vuoto! Altro che terra quadrata e finita …
Sono stati necessari circa quindici miliardi di anni di evoluzione stellare per produrre
il carbonio e l'ossigeno indispensabili per la vita umana.
Oggi la temperatura media dell'universo è di circa 270 gradi sotto zero,
corrispondente ad appena 3,15 gradi sopra lo zero assoluto temperatura alla quale  
le molecole e gli atomi di un sistema sono tutte allo stato fondamentale (ovvero il più
basso livello di energia possibile) e il sistema ha il minor quantitativo possibile
di energia cinetica permesso dalle leggi della fisica. Questa quantità di energia è
piccolissima, ma sempre maggiore di zero. Questa energia minima corrisponde
all'energia di punto zero, prevista dalla meccanica quantistica per tutti i sistemi che
abbiano un potenziale confinante. Serve una quantità di energia infinita per
raffreddare un corpo fino allo zero assoluto. Il raggiungimento dello zero assoluto è
contrario all'aumento di entropia nei sistemi isolati.
Per l'idealismo oggettivo di Dilthey i fenomeni del mondo da una parte sono soggetti
alle leggi fisiche, e dunque possono essere analizzati dalla scienza, ma dall'altra,
rimandano alla connessione vitale che lega ogni cosa alla totalità e che non può
essere indagata dalla scienza. E proprio la concezione di una totalità mai
scomponibile e analizzabile attraverso il procedimento scientifico implica, nell'ovvia
esclusione della possibilità di una conoscenza della realtà perfetta ed esaustiva,
che ogni forma di conoscenza possa rendere ragione solo di singoli aspetti della
totalità ma mai di questa nella sua dimensione complessiva.
Guardate che tutto questo vale solo all’interno della pratica della filosofia, ovvero
nel linguaggio. Lì vinciamo noi (filosofi). Finché ci invitano a parlare ne
smaschereremo sempre le contraddizioni in termini. Nella pratica vincono loro
(fisici). Nel fare. (Sini)
Forse il riso si sarà allora alleato con la saggezza, forse allora ci sarà, se non altro,
una 'gaia scienza'. Quello che Nietzsche intende per gaia scienza è un'alleanza del riso
con la saggezza, una scienza quindi che, comprendendo i propri limiti, ha la
leggerezza del riso, poiché non si prefissa più come scopo il determinare le leggi
universali della natura, mirando invece a favorire la sopravvivenza e la felicità
della specie umana.

La scienza viene individuata come il passo successivo al linguaggio: i concetti prima


vengono creati dal linguaggio e successivamente ripresi dalla scienza che li ordina in
strutture, e organizza attraverso queste strutture il mondo empirico in cui gli esseri
umani si muovono.
537
La scienza, così come l'intelligenza, non è democratica: può farsi capire solo da
pochi, anzi a pochissimi (purtroppo)!
La scienza non è in contatto con la realtà ultima. ((Jeans)
Per semplificare si potrebbe cominciare dicendo che il realista è colui che sostiene
che gli enunciati di una teoria scientifica sono veri o falsi, e che ciò che li rende tali è
qualcosa di esterno a noi, qualcosa di diverso dai dati sensoriali, dal nostro linguaggio
e dal nostro pensiero. (Dummett)
Nel classificare qualcosa resta non visto e non classificato. Pur tuttavia la gente
classifica per fare conoscere agli altri.
Non esiste un metodo certo e sicuro che, seguito con diligenza, consenta di
acquisire una conoscenza scientifica certa e sicura. (Feyerabend)
Uno dei più grandi scienziati della storia, Newton, era una appassionato convinto di
magia e di alchimia come testimonia il suo famoso baule pieno di carte e di studi
sull'apocalisse e sulle antiche civiltà tra le quali primeggiava quella egizia.
Feyerabend ci insegna anche che la scienza è solo una delle possibili maniere di
vedere la realtà.
Le inferenze (induzione, deduzione, abduzione e analogia) scientifiche non
producono mai certezze ma solo probabilità.
L'osservazione empirica si svolge sempre su entità che mutano: di loro si può solo
dire che diventano e non che sono.
Dalla visione assolutista del Kosmotheoros si passa al prospettivismo ove ogni
singolo osservatore ha il suo specifico punto di vista senza voler, per questo,
imporre il suo paradigma esistenziale agli altri.
Quod nihil scitur (Che nulla è noto) di Francisco Sanchez.
Le dimostrazioni non servono a imporre una credenza ma a suggerire dubbi.
(Lakatos)
Dal momento che l'universo è infinitamente vario, è molto probabile che solo
asserzioni di lunghezza infinita possano essere vere. (Lakatos)
La scienza è probabilistica non essendo mai possibile tener presenti
contemporaneamente tutti i dati inerenti ad un dato evento.
Vi è una concezione popolare della scienza secondo la quale il suo compito sarebbe
quello di fornire risposte alle domande, ovvero risolvere misteri. Nulla di più lontano
dal vero: il primo compito della scienza 538
(perché non tornare a chiamarla filosofia?) è
quello di renderli evidenti, i misteri, cui segue l'obbligo di tentare di immaginare
spiegazioni. Malauguratamente, queste non sono mai definitive e pienamente
appaganti. (Stafanini)
La più bella e profonda sensazione che noi possiamo provare è la sensazione del
mistico. E questo misticismo è ciò che sta alla base di tutta la vera scienza. Se esiste
un concetto come quello di Dio, allora è un sottile spirito, non l’immagine dell’uomo
che così tanti hanno fissata nella loro mente. Nella sua essenza, la mia religione
consiste in un’umile ammirazione per questo infinito e superiore spirito che rivela se
stesso nei minimi dettagli che noi siamo capaci di percepire con le nostre deboli e
fragili menti. (Einstein).
L'esperienza è in ogni caso fallace e difficoltosa: per quanto perfetta, essa mostra solo
ciò che avviene estrinsecamente, in nessun modo la vera natura delle cose.
La scienza pensa di osservare la natura oggettivamente ma ciò non è possibile.
La scienza non può farci apprendere nulla della verità: può servirci soltanto di
regola d'azione. (Poincaré)
I concetti scientifici esistenti abbracciano sempre solo una parte limitata della realtà,
mentre l'altra parte, quella tuttora incompresa, è infinita. (Heisenberg)
Gli atomi non sono cose, sono solo tendenze, possibilità!
Non esiste alcuna certezza, in nessun campo!
Si sceglie e si agisce solo sulla base della fiducia. Fiducia nel proprio IO
individuale. Fiducia in Dio. Fiducia negli uomini. Fiducia nella natura. Fiducia
nella inferenza logica... etc... etc
Lo scienziato tende a considerare l'oggetto secondo una coscienza neutra e sovrana.
Mi chiedo: esiste tale coscienza neutra e sovrana? Mi rispondo: è solo un umano
desiderio! Lo scienziato risponde: "no, non esiste una cosa del genere, però esiste
l'intersoggettività. Si propone di sostituire il termine "oggettivo" con
"intersoggettivo" proprio per risolvere questo problema e, forse, l'intera scienza non
ne soffrirebbe affatto, anzi, probabilmente, ne guadagnerebbe.
Non esistono linee dritte nel mondo sensibile e neppure cerchi veramente rotondi
ma noi facciamo finta che lo siano. (Russell)
L'uomo osserva (induzione) tanti cigni: sono tutti bianchi. Poi, per deduzione, pensa
che tutti i cigni, anche quelli che non ha visto, siano bianchi (senza poterne avere
mai la certezza: infatti si trovano in seguito anche cigni neri!) Dunque il processo
induttivo-deduttivo non porta alla verità assoluta. Questa potrebbe derivare solo dall'
539
innatismo, dall'a priori, dalla rivelazione divina....tutte cose fuori dalla logica
razionale.
Sembra che le credenze che rendono più felici le persone non siano quelle più
scientifiche.
Quello che è più incomprensibile è che ci sia ancora qualcosa di comprensibile.
(Einstein)
La scienza non offre alcuna certezza sulla via della conoscenza della verità. La
scienza Infatti la scienza è probabilistica non essendo mai possibile incorporare tutti i
dati pertinenti. (Reichenbach)
Non si può mai provare che una teoria scientifica è vera ma solo che è ben
confermata. (Popper)
Non è detto che i futuri - futuri siano uguali ai futuri - passati: non è sicuro che gli
eventi di cui abbiamo avuto esperienza siano uguali a quelli di cui non abbiamo
ancora avuto esperienza. (Russell)
Il sole è sempre sorto, fino ad oggi, ma ciò non significa che sorgerà anche domani
… è solo assai probabile.
La scienza è conoscenza dimostrata? Tutte le teorie create dalla mente umana sono
approssimative e probabilistiche.
La scienza, dopo tutto, è una nostra creatura, non la nostra sovrana; ergo, dovrebbe
essere la schiava dei nostri capricci e non il tiranno dei nostri desideri.
Il percepito non si da mai nella sua nella sua inseità ma in un contesto
relazionale. Non esiste un pensiero oggettivo che possa descrivere il mondo anche
perché noi ne siamo del mondo e non possiamo vederlo dall'esterno. La basilare
distinzione, da sempre propria sia della filosofia occidentale che della fisica, e cioè:
esiste un soggetto (uomo, persona, mente) ben distinto dall'oggetto (mondo natura,
cose) decade superata dalla fisica quantistica e dalla filosofia fenomenologica. Per la
nuova fisica il semplice atto di osservare altera l'oggetto osservato. Anche per
Merleau-Ponty non esiste un sapere oggettivo da parte di un soggetto distaccato:
soggetto e oggetto sono solo due termini del linguaggio ma non due realtà
distinte e separate.
"Senza caos non c'è conoscenza" dice Feyerabend. E Lakatos dice che le
dimostrazioni servono a suggerire dubbi non a imporre certezze.
Se ogni cosa nell'universo dipende in un modo fondamentale da ogni altra cosa,
potrebbe essere impossibile approssimarsi a una soluzione completa
investigando isolatamente le diverse parti del problema.
540
Copernico, Galileo, Newton sono ancora tutti nel campo del Kosmoteoros e nessuno
di loro riesce ad immaginare una stretta relazione fra chi osserva e l'osservato.
Non più contenitore e contenuto ma campo ove materia-energia, causa-effetto e
spazio-tempo si fondono e si condizionano.
Guardando le cose piccole noi le modifichiamo e loro modificano noi. Guardando le
cose grandi noi guardiamo sempre nel passato. Dunque noi vediamo un altro mondo:
non quello reale, non quello attuale. Altro che Kosmotheoros: il futuro è
imprevedibile.
Chi dice che la scienza vede tutto fatto di sola materia non sa proprio nulla di
scienza". (Rovelli)
-SCHIAVITU'*
Bologna è stata la prima città in Europa e nel mondo a liberare i servi dalla schiavitù.
Correva l'anno 1256 e il libero Comune di Bologna si prese l'impegno di riscattare i
5855 schiavi (considerati non persone!) pagando con il tesoro comunale. Papa
Francesco si è compiaciuto di ciò. Forse è stato un po’ meno soddisfatto del
comportamento della sua Chiesa in quel periodo e in altri periodi per quanto attiene la
storia della schiavitù o servitù che dir si voglia.

Secondo un luogo comune molto diffuso, il cristianesimo avrebbe “abolito” la


schiavitù.  A riprova si cita Paolo «Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né
schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in
Cristo Gesù» (Lettera ai Galati, 3,28). In realtà Paolo afferma sì l’uguaglianza, ma
solo su un piano spirituale, davanti a Dio e nell’altra vita. E tuttavia ancora nel
1888 Leone XIII nell’In plurimis ripeteva: «Non si attribuiranno mai abbastanza
elogi né si sarà mai abbastanza grati alla Chiesa cattolica, che per somma grazia di
Cristo Redentore abolì la schiavitù, introdusse tra gli uomini la vera libertà, la
fratellanza, l’uguaglianza, e perciò si rese benemerita della prosperità dei popoli».
Ma ciò è contraddetto dalla storia.
Già nei testi che, secondo la Chiesa, sono ispirati da Dio, si legittima la schiavitù.
Il Decalogo ordina di «non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo,
né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino» con ciò riconoscendole
“proprietà” legittime e anzi da rispettare. La Bibbia vietava agli ebrei di avere
schiavi ebrei, ma consentiva loro di fare schiavi i pagani. Paolo nella Lettera agli
Efesini dice «Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e
tremore, con semplicità di spirito, come a Cristo» (6,5) e nella Prima lettera a
Timoteo: «Quelli poi che hanno padroni credenti, non manchino loro di riguardo
perché sono fratelli, ma li servano ancora meglio» (6, 2). E in effetti i nobili romani,
benché convertiti, continuarono ad avere schiavi.

541
Nel Medioevo cristiano la pratica della schiavitù era prevista e codificata. Nel V
secolo Agostino afferma che Cristo «non ha preso i servi e ne ha fatto dei liberi,
ma ha preso dei servi cattivi e ne ha fatto dei buoni». E aggiunge con involontario
umorismo: «Quale debito hanno i ricchi verso Cristo per il modo come ha loro
sistemato la casa!» (Esposizione sui salmi, 124, 7).  Agostino sostiene poi, come
ripeteranno Tommaso d’Aquino e Leone XIII, che «a buon diritto la condizione
servile è stata imposta all’uomo» come castigo del peccato.
Le Istituzioni (VI sec.) del cattolicissimo imperatore Giustiniano stabilivano «che i
padroni abbiano diritto di vita e di morte sugli schiavi» e vari concili locali
vietavano a vescovi e frati di vendere «case, schiavi e gli arnesi» della Chiesa. Il
concilio di Toledo del VII sec. decretava: «chi dal vescovo giù giù fino al
suddiacono abbia generato dei figli da nozze esecrande, sia con una donna libera
sia con una schiava, dev’essere punito secondo la legge canonica; i figli generati
da tale incesto devono appartenere per sempre come schiavi alla Chiesa». I frati
della Casa della Santa Trinità (XII secolo) avevano come regola di riscattare i
cristiani fatti schiavi da pagani dando in cambio denaro o schiavi pagani di loro
proprietà.
I papi, pur episodicamente vietando di trarre in schiavitù questa o quella categoria (i
cristiani, gli indi, i catecumeni ecc.), non condannarono la schiavitù in generale,
anzi la giustificarono e la ordinarono. Qualche esempio: il canone 27 del Concilio
Lateranense III (1179) autorizza a ridurre in schiavitù le bande anticristiane della
Brabanza, Aragona e Navarra; Niccolò V “concede” al re del Portogallo di
«ricercare, catturare, conquistare e soggiogare tutti i Saraceni e qualsiasi pagano e
gli altri nemici di Cristo… e di gettarli in schiavitù perpetua» (Romanus pontifex,
1454). Paolo III mente intima agli spagnoli di non trarre in schiavitù gli indii,
autorizza le ricche famiglie romane a servirsi di schiavi (1549).
Il traffico di schiavi fu poi pratica costante dello Stato della Chiesa in età moderna,
come attestano il fitto scambio epistolare di vari papi con funzionari vaticani per la
compra-vendita di esseri umani, soprattutto turchi: a titolo di esempio citiamo la
lettera con cui Innocenzo X informa nel 1645 mons. Raggi di aver ordinato «al
Principe Nicolò Ludovisio generale delle nostre galere che le provegga di 100
schiavi Turchi». E ancora nel 1794 tal Colelli ricopriva la carica di «intendente
pontificio per gli schiavi».
Solo nel 1839, con l’enciclica In supremo, Gregorio XVI condannò come “delitto” la
schiavitù in quanto tale, ormai bandita dai maggiori paesi europei. E tuttavia pochi
anni dopo un’Istruzione del Santo Ufficio approvata da Pio IX, dichiarava “Non
contrario alla legge naturale e divina che uno schiavo possa essere venduto,
acquistato, scambiato o regalato” (1866). La condanna di ogni forma di schiavitù
fu invece ripetuta dal Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, 1965).
In conclusione la Chiesa non ha abolito fin da principio la schiavitù anzi l’ha
praticata per secoli, ha giustificato la sua conservazione e ha speso la sua influenza
542
per perpetuarla. E quando si è decisa a condannarla non ha ammesso di aver predicato
l’errore per quasi due millenni. Né potrebbe, senza doversi riconoscere umanamente
fallibile anziché divinamente ispirata…
Una spia di tale contraddizione, e del tentativo di tenere insieme, occultandole sotto
una apparenza di “continuità”, dottrine contrastanti fra loro, può vedersi anche
nel Catechismo attuale (1992) che riporta a fronte il decimo comandamento odierno,
molto sobrio («Non desiderare la roba d’altri») e il testo assai più inquietante, anche
per l’attuale asserita parità uomo-donna, del decalogo biblico da cui deriva: «Non
desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo
bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
-SCOTO ERIUGENA***
Giovanni Scoto Eriugena (irlandese dell'815, neoplatonico, grecista, realista,
pelagiano e panteista) diceva che la vera religione è la filosofia:"se non diventate
filosofi, non entrate nel regno dei cieli" . Includeva nella Natura non solo ciò che
è ma anche ciò che non è! Natura divisa in quattro classi: ciò che crea e non è creato
(Dio come inizio di tutto); ciò che è creato e crea (le idee); ciò che è creato e non crea
(le cose la cui materialità è però illusoria!); ciò che non è creato e non crea (Dio come
fine ultimo, Dio inconoscibile agli uomini e anche a se stesso!). DIO alla fine: non
ci sarà altro che Dio senza però dissoluzione dell'individualità che verrà
trasfigurata).
Quindi l'inizio (la creazione dal nulla che è però ancora Dio) è uguale alla fine!
(Anassimandro: "da dove viene la vita degli esseri, li anche si compie"). La creatura
non è essere distinto da Dio! No alla dualità! Il Logos è il principio che porta i
molti all'Uno. La trinità ama se stessa in noi e in se stessa (Spinoza!). Il suo
panteismo (dottrina filosofica per cui Dio è in tutte le cose e quindi viene a coincidere con
l'universo nella sua totalità) che rifiuta alle creature una sostanziale realtà, è contrario
alla dottrina cristiana. Tutti si salveranno! (apocatastasi). Fu ripetutamente
dichiarato eretico!
Scoto Eriugena, ispirandosi a Dionigi l'Aeropagita, dice: quando arriverai a
ragionare perfettamente, ti sembrerà abbastanza chiaro che la affermazione e la
negazione, che ora ti appaiono contrarie tra loro, non si oppongono
assolutamente l'una all'altra quando vengono riferite alla natura divina, bensì
sono completamente e sotto tutti i punti di vista in mutua armonia. Scrive
Dionigi: la Causa buona di tutte le cose si può esprimere con molte parole e con
poche, ma anche con l'assenza assoluta di parole; infatti per esprimerla non c'è è
parola, né intelligenza, perché è posta sovra sostanzialmente oltre tutte le cose.
-SENECA *
La vera saggezza consiste nel rendersi conto di non esserlo.
543
Seneca (contemporaneo di Gesù) dice che i grandi mali non stanno nelle cose quanto
nella valutazione che noi ne diamo. Pertanto non vanno modificate le cose ma il
nostro modo di pensarle: ciò che conta non è cosa guardi ma come lo guardi
(simile al trascendentale kantiano?).
Sono sfuggito a molti mali ma non ancora a me stesso.
O come sono ridicoli i confini posti dagli uomini! Seneca scrive che Dio è la mente
dell'Universo e che è ciò di cui non si può pensare nulla di più grande (prova
ontologica di Sant'Anselmo). Dio è però anche Fato e Provvidenza (tutto è
necessitato: un intreccio che lega tutte le cose necessariamente).
Tutto ciò che esiste, esiste nel migliore dei modi possibili (Leibniz) e nessun essere
animato è uguale a un altro (sempre Leibniz).
Deus ipse se fecit! (anticipando Plotino). Bene è ciò che conserva e incrementa il
nostro essere (Spinoza).
Per Seneca il corpo è ritornato ad essere la prigione dell'anima come per i pitagorici.
Per quanto attiene l'immortalità dell'anima Seneca si rifà a Socrate; forse torniamo al
grande nulla, al sonno eterno senza sogni o forse è il passaggio ad una altra vita
migliore: "questo giorno che temi che temi come l'ultimo è (forse direi io) quello
della nascita all'eternità".
Seneca da valore alla coscienza e all'esame di coscienza come i pitagorici. Seneca va
però oltre il tipico intelletualismo greco introducendo la volontà nella filosofia (poi
utilizzata anche da Agostino). Dice anche che gli uomini sono tutti peccatori (???).
Seneca proclama l'uguaglianza fra tutti gli uomini senza schiavi e senza padroni: la
virtù è disponibile e fruibile per tutti.
E' libero chi si è sottratto alla schiavitù di se stesso: essere schiavi di se stessi è la
schiavitù più pesante scrive Seneca.

-SHANKARA **

La filosofia (l'Advaita-non duale e Vedanta-studio dei Veda) che proponeva Shankara


(788-820) era potente e in grado di svegliare il monismo mistico attraverso la
conoscenza e la consapevolezza intima dell'esistenza. Inoltre affermava che sia
l'universo fenomenico sia la nostra coscienza, sia il corpo che le nostre esperienze
sono realtà illusoria anche se questo non significa negarle.

La Verità Ultima è rappresentata da Brahman situato al di là del tempo e dello


spazio, al di là della causa e dell'effetto. Brahman è immanente e trascendente
non solo come concetto panteistico (direi anzi panenteistico) e, pur essendo la
544
causa materiale del cosmo, non è limitato dalla sua proiezione ma trascende la dualità
e gli opposti nella forma e nell'essere. La sua natura intima è incomprensibile alla
mente umana.

Si può però diventare consapevoli della fondamentale unità dell'essere


trascendendo la mente per unirsi all'Assoluto. In realtà la natura, l'universo è in
continuo divenire essendo relativo mentre il suo substrato (l'energia) è costante
essendo l'Assoluto (saguna e nirguna: con o senza attributi). Con quest'ultimo
bisogna identificarsi anziché con il relativo mutevole.

-SOCIETA' **

Non ci si deve gloriare di amare la propria patria ma piuttosto di amare il


mondo intero. La terra è un solo paese e l'umanità i suoi cittadini. Il benessere
dell'umanità, la sua pace e la sua sicurezza saranno irraggiungibili, a meno che e
finché la sua unità non sia saldamente stabilita.
( Bahá'u'lláh)

All'interno di quasi tutte le relazioni umane ci sono due posizioni dominanti: chi
ha fiducia dell'altro e chi teme l'altro. Chi ha paura dell'alterità crea regole per
amplificare la propria libertà personale, la propria potenza a scapito degli altri.
Chi ha fiducia negli altri si apre al mondo e chiede più giustizia e più
compassione per gli ultimi. La Chiesa da che parte sta?

L’intelligenza non è saper risolvere i problemi da soli: è saper riconoscere chi


sa meglio risolverli. Se la gente è così stupida da prendere ciarlatani per
profeti, la gente fa male da sola a sé a agli altri. (Rovelli)

“Abbiamo potuto vedere con i nostri occhi il lavoro meticoloso, l’istruzione più
solida, la disciplina e l’applicazione più serie, adattate a progetti spaventosi. Tanti
orrori non sarebbero stati possibili senza il supporto di tante virtù. Sicuramente è stata
necessaria una grande competenza scientifica per uccidere tanti uomini, dissipare
tanti beni, e annientare tante città in così poco tempo; ma sono state necessarie anche
delle qualità morali. Sapere e Dovere, siete dunque sospetti?” (Valery)  

Prendere posizione non vuol dire parteggiare, ubbidire a degli ordini, opporre furore
contro furore, vuol dire tender l’orecchio a tutte le voci che si levano dalla società in
cui viviamo e non a quelle così seducenti che provengono dalla nostra pigrizia o dalla
nostra paura, esaltate come virtù del distacco e dell’imperturbabilità, ascoltare i
richiami dell’esperienza e non soltanto quelli che ci detta un esasperato amor di noi
stessi, gabellato per illuminazione interiore. E soltanto dopo aver ascoltato e cercato
di capire, assumere la propria parte di responsabilità. (Bobbio)
545
Se si volesse poi andare ancora più a fondo nella ricerca delle reali motivazioni ce
muovono il lavoro della filosofia interculturale, si potrebbero scoprire tracce non
indifferenti di un enorme e sedimentato complesso di colpa della migliore coscienza
critica occidentale, la quale si è resa finalmente consapevole di aver ereditato una
storia infame alimentata da una irresistibile volontà di potenza che ha prodotto, per
almeno cinque secoli, in Asia, in Africa, in Oceania e nelle Americhe, eccidi e
genocidi, oltre che fisici anche culturali. (Pasqualotto)

«Una società chiusa assomiglia ad un gregge o a una tribù per il fatto che è
un'unità semi-organica i cui membri sono tenuti insieme da vincoli.» Al
contrario, la società aperta è quella nella quale gli uomini sono liberi di assumere il
timone della loro vita, liberi di manifestare un atteggiamento critico, liberi di
basare le loro decisioni sull'autorità della propria intelligenza. (Popper)

Se si comincia a teorizzare che in ogni ambito del sapere un'opinione vale l'altra, ecco
che qualsiasi 'trovata', adeguatamente narrata, può diventare 'soluzione', 'cura', con
enormi danni ai singoli e alla collettività. C'è più che mai bisogno di imparare e
insegnare ad applicare rigorosamente il metodo scientifico. La ragione è il più potente
antidoto agli stregoni di tutti i tempi. (Cattaneo)

Ogni tanto, sul palcoscenico della politica salgono nuovi interpreti. Grandi promesse,
grandi aspettative. Il popolo (esiste il popolo?) si infervora, chiedendo il meglio. Poi,
piano piano, si scopre l'imbroglio: o tutto resta come prima, oppure le cose
peggiorano.

Si considera l'ambiente naturale come se fosse costituito da parti separate che


devono essere sfruttate da vari gruppi di interesse. Questa visione non unitaria è
ulteriormente estesa alla società, che viene suddivisa in differenti nazioni, razze,
gruppi religiosi e politici.

Ognuno vorrebbe inverare il suo mondo, perché è convinto che sia quello giusto.
Però esistano anche gli altri con i loro mondi. Dunque, solo la democrazia, con
tutti i suoi enormi limiti, ci può aiutare.

A proposito del termine "popolo", è, forse, logico pensare che le "elites" elogino
questo concetto di popolo per far credere al popolo stesso di essere importante,
determinante mentre, in realtà, chi comanda sono sempre loro: le elites (che, a volte,
cambiano colore come i camaleonti) … e tutti, o quasi, ci cascano. Vengono create
verità illusorie via social in cui il "popolo" crede fermamente! Mentre piove cocaina,
dipendenza, ignoranza, arroganza. Dubitate gente, dubitate!

546
Il buonista ha un’idea ingenua degli uomini: pensa con Rousseau che nascano tutti
buoni e che sia la società (e i politici) a corromperli. Ma il cattivista è un pessimista
di natura, crede come Hobbes che nello stato di natura la vita degli esseri umani sia
destinata ad essere «solitaria, cattiva, brutale e breve», e che per questo, per prevenire
la guerra di tutti contro tutti, ci voglia un moderno gigante, un Leviatano dotato di
poteri assoluti, un Dio in Terra che ci protegga. Dove sia finito il più ragionevole
Locke nessuno lo sa.

Il vice primo ministro italiano ostenta una maglietta con scritto: "OFFENCE BEST
DEFENCE". Allo stesso tempo, vuole crocefissi nei luoghi pubblici. Forse non ha
capito bene il messaggio del crocefisso?

La politica è, forse, assimilabile alle macchie di Rorschach: non significa


null'altro che quello che ti bolle dentro.

La nostra società è, forse, preda di coloro, che si ritengono forti, e che


suggeriscono ai deboli di prendersela con i più deboli per potersi, così, credere
più forti. Intanto l'empatia, forse, sta morendo di lenta agonia.

In questi ultimi tempi si avverte una dose atomica di aggressività e una mancanza
sconfortante di curiosità per le opinioni degli altri. Ormai si può solo essere pro o
contro qualsiasi cosa — dai migranti, ai vaccini, ai vegani — e chi non si schiera a
prescindere è complice del nemico. L'odio e una certa dose di stupidità regnano
sovrani!

Siamo in questo mondo per esercitare la grande compassione e la reciproca


comprensione. Solo con il dialogo e lʼempatia si progredisce, e non certo fondando
una società fredda e distaccata allʼinsegna dellʼeconomia, mezzo che per eccellenza
estirpa la sensibilità dal genere umano. (Divino)

Tratterete lo straniero che abita fra voi come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te
stesso; poiché anche voi foste stranieri. (Levitico 19, 33)

Maria e Giuseppe in fuga come i migranti di oggi. (Papa Francesco)

Per risolvere i problemi complicati della nostra società è importante trovare soluzioni
adeguate. Solo gli ignoranti (oppure i veri geni) possono pensare di trovare soluzioni
facili a problemi difficili.

Quella forma di ‘volontà di potenza’ incarnata nella ‘tecnomania’ è una nostra


malattia che abbiamo diffuso su scala planetaria; e personalmente credo –in modo
affatto pessimistico– che tale epidemia non sia reversibile: il futuro sarà tutto
occidentale. (Pasqualotto)
547
L’espressione del sociologo Bauman, “modernità liquida” indica un’epoca in cui la
società e le sue strutture sono sottoposte a un processo di “fluidificazione”: per
effetto dei fenomeni globali, qualsiasi entità passa dallo stato solido allo stato liquido,
perdendo i suoi contorni chiari e definiti. Comportandosi proprio come i fluidi che,
non avendo forma propria, assumono quella del contenitore, anche i concetti di
luogo, di confine e di identità continuano a trasformarsi e la loro forma viene
continuamente ridefinita dalle situazioni. Si parte dai luoghi, passando per i confini,
fino a giungere all’identità: è l’itinerario baumiano. Tramite la conoscenza dello
spazio e l’esperienza del confine possiamo entrare in relazione con la realtà esterna e
con gli altri, costruendo così la nostra identità, la nostra persona. Questo percorso
ci rivela inoltre che i concetti non sono immutabili, bensì possiedono dei contorni
fluidi e flessibili, perché si adattano al variare della realtà in cui sono immersi. Essi
presentano un carattere ambiguo e sono sempre in evoluzione: allo stesso tempo
racchiudono un’idea e il suo contrario, esprimono una definizione del reale e
contemporaneamente il suo opposto. Questo ci fa capire che le distinzioni e i concetti
puri sono possibili solo a livello concettuale, perché per poter analizzare e
classificare i fenomeni del reale, servono delle categorie astratte, precise e univoche,
ma ciò non vuol dire che siano delle realtà concrete e immutabili.

Sono le persone a possedere la tecnologia (tipo il cellulare) oppure stiamo andando


verso un mondo dove la tecnologia possiede le persone?

La tesi genetica (ad esempio: una persona è violenta esclusivamente a causa dei suoi
geni) è comoda e conveniente (oltre che deterministica) perché evita di mettere in
discussione il contesto sociale e le problematiche di organizzazione del potere e
della ricchezza e della loro distribuzione in una data realtà. Insomma l'ambiente è
importante così come i geni: un bambino normale, messo in una stanza buia alla sua
nascita per un periodo prolungato, diventerà ceco. Allo stesso modo i bambini vanno
abbracciati e coccolati pena il loro mancato sviluppo empatico.

Niente è più terribile dell'ignoranza attiva. (Goethe)

Gli effetti prenatali hanno un notevole influsso sugli sviluppi dell'essere umano: una
madre stressata metterà, probabilmente, al mondo figli problematici.

Costruire ponti, abbattere i muri, integrare le diversità, promuovere la cultura


dell'incontrarsi, del dialogo e dell'ascolto, educare al perdono e alla misericordia, al
senso di giustizia, al rifiuto della violenza e al coraggio della pace. (Papa Francesco)

548
La stupidità, di gran lunga prevalente nell'umana specie, si nutre di certezze, di
semplificazioni, di generalizzazioni. Solo chi dubita sempre e comunque
(soprattutto di se stesso e delle sue idee) si salva in questo miserrimo contesto.

Ridicolizzare l’avversario è, in questa società, più efficace che confutarlo.

Chi vota può anche sbagliare ma chi non vota sicuramente sbaglia.
Imperialismo della soggettività, volontà di potenza e rapporto strumentale con la
natura si corrispondono. (Forte)

Il nostro comportamento tipico (di uomini) consiste nel difendere noi stessi e
offendere l'alterità. Questo vale sia a livello individuale che sociale. Forse
bisognerebbe invece mettere in discussione se stessi e rispettare gli altri. Questo
soprattutto in politica.

Agostino parla della lenta erosione della differenza fra uno Stato e una banda di
briganti. Già fin da allora.

Il mito del progresso non è che un'altra forma della volontà di potenza della ragione.
(Forte)

Qui il pericolo consiste, io credo, nel dare una giustificazione del nostro modo di
procedere, quando non esiste nessuna giustificazione e dovremmo limitarci a dire:
facciamo così. (Wittgenstein)

La società è fondata sulla violenza. Infatti il poema che inaugura la nostra cultura,
l'Iliade, altro non è che la narrazione, da parte dei vincitori, di un genocidio mentre
l'Antico Testamento è un repertorio di guerre e di stragi. Anche la buona novella (il
Vangelo) non disdegna la violenza, se è vero che Gesù afferma, di fronte agli
apostoli: "Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra; non sono
venuto a portare la pace ma una spada".

La differenza, che alcuni trovano così minacciosa, può diventare, mediante il dialogo
rispettoso, la fonte di una più profonda comprensione del mistero dell'esistenza
umana. (Giovanni Paolo II)

Dunque la differenza anche come valore e non solo come contrapposizione fra
diverse visioni del mondo o, peggio ancora, come scontro fra verità opposte. Non
chiusura sulle proprie presunte certezze ma apertura verso le altrui opinioni.

Il confine segna una diversità (che è giusto che sopravviva) ma non una vera
divisione. Bisognerebbe essere capaci di capire anche chi è diverso mettendosi nei
suoi panni.
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Il timore di fronte allo straniero non è motivato semplicemente dal timore che la sua
presenza costituisca una minaccia per la nostra sicurezza personale o per il nostro
modo di vivere. E' il timore, è la paura che lo straniero faccia nascere la domanda: chi
sono io? Perché anch'io sono uno straniero in molte maniere e non amo che mi venga
ricordata quella mia identità. (Cox)

Ipotizziamo uno stato composto da 10 persone che ha una ricchezza di 10 unità


complessive. Se la ricchezza è concentrata in una sola persona e gli altri nove non
hanno nulla (indice Gini pari a 1), lo stato non è certo democratico. Lo è totalmente
se invece ognuno ha la sua dose di ricchezza (indice Gini pari a zero). Quindi se uno
ha 10 e gli altri zero, non è democrazia! Se ognuno ha qualcosa (almeno per
soddisfare i bisogni primari), vi è un inizio di democrazia! Se la ricchezza si
concentra, la democrazia vacilla perché la vera democrazia non è solo poter votare
ma è anche poter vivere dignitosamente.
Nata per includere, ora la democrazia esclude. Nata per dar voce alle maggioranze
contestando il privilegio di pochi, ora è la voce di una minoranza privilegiata del
mondo. Nata per aprirsi, ora è attraversata da pulsioni a chiudersi come una cittadella
della ricchezza di fronte alla miseria. Così continuano ad aumentare gli esclusi.
La razionalità economica e aziendale è spesso irrazionalità ecologica e sociale.
Il fondamentalismo del mercato fa del mercato il Verbo al cui giudizio oracolare si
piegano le scelte politiche quasi fosse, il mercato, la via, la verità e la vita.
Solo la presenza di una comunità può dar conto dell'esistenza di regole.
Un tempo la casa era contenuta nel mondo. Ora la casa contiene il mondo.

Si chiama stato il più gelido di tutti i gelidi mostri. Io, lo Stato, sono il popolo. E' una
menzogna. Là dove lo Stato finisce, comincia l'uomo. (Nietzsche)

Per Hobbes la legge trova la sua giustificazione nell'autorità vigente e non certo nella
verità di idee eterne che sono solo finzioni.

Nella collettività finora amorfa si fa strada uno spirito di corpo, il senso di una
comune appartenenza. […] I membri sono convinti di essere i portatori dei più elevati
valori dell’universo, gli interpreti della volontà divina o della storia. L’ideologia del
movimento ha, come sua caratteristica, di essere una spiegazione completa e facile
per tutti e fornisce al movimento: a) una direzione; b) la sua giustificazione; c) le
armi concettuali ed emotive di attacco e proselitismo; d) la speranza o la certezza del
successo finale”. (Alberoni 1968)

550
La democrazia da spazio all’umano più che ogni altro sistema politico, dunque è la
grande arena dell’imbecillità. (Maurizio Ferraris, filosofo, che ha scritto un libro
dal titolo: "L'imbecillità è una cosa seria") 

Umberto Eco: "Internet? Ha dato diritto di parola agli imbecilli: prima parlavano
solo al bar e subito venivano messi a tacere".
"Il 90 per cento degli italiani è stupido" parola di Piergiorgio Odifreddi che ha
scritto, al proposito, un "Dizionario della stupidità".
Come ci si deve comportare con gli intolleranti? Bisogna tollerarli? O bisogna essere
intolleranti verso gli intolleranti?
I bambini sono le prime vittime dell’indifferenza planetaria, della povertà generata da
un sistema economico iniquo fondato sul «dio denaro», della «terza guerra mondiale
combattuta a pezzi. (Papa Francesco)
Ciò che è meglio per me dovrebbe concordare il più possibile con ciò che è
meglio per gli altri, altrimenti non è meglio per nessuno! Ogni singolo deve
trovare la miglior strategia rispetto alla miglior strategia di tutti gli altri. (Nash)
La tolleranza (semanticamente) è la posizione pacifica di chi crede di essere
migliore, come i genitori tollerano i capricci dei figli o le maestre tollerano un poco
di disattenzione durante le lezioni. Il rispetto è invece la comprensione e
l'accettazione incondizionata della diversità degli altri senza stabilire una gerarchia
tra chi è migliore o peggiore. Insomma chi è tollerante si ritiene superiore dell'alterità
mentre chi rispetta no.
Nessun potere è buono. (Pasolini ucciso come una bestia da povere bestie mandate da
altre brutte bestie)
Potere e autorità sono fattori determinanti in qualsiasi civiltà esistita.... si potrà mai
cambiare?
Verso la differenza (i diversi) o c'è diffidenza o c'è indifferenza ma quasi mai
attenzione.
L'educazione moderna non si occupa della totalità della conoscenza ma
principalmente della logica e di altre particolarità: frammentazione che si impone
sulla totalità.
Lottiamo, uccidiamo, distruggiamo la vita e i beni, tuttavia siamo capaci di affetto e
sacrificio. Siamo pieni di contraddizioni. Tutti uccidiamo l'innocente e tutti siamo
l'innocente ucciso perché tutto è interconnesso. Le cose sono come sono, e
nessuno in particolare ne è responsabile. L'idea di responsabilità personale viene
551
dall'illusione che ci sia un attore: "Qualcuno deve averlo fatto, qualcuno ne è
responsabile". La società com'è ora, col suo schema di leggi e costumi, si fonda
sull'idea di una personalità separata e responsabile; ma questa non è che una fra
svariate strutture sociali. Ve ne possono essere altre, in cui l'isolamento è debole, e la
responsabilità diffusa. (Nisargadatta Maharaj)

Marsilio da Padova (1275) scrive il Defensor Pacis in cui afferma che lo stato è una
semplice costruzione umana senza vincoli teologici di alcun genere. La legge non ha
né un fondamento divino, né un supporto etico e né si basa sul diritto naturale. Lo
stato di diritto si riconnette intimamente a quello democratico.
La cultura è l’unico bene dell’umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire diventa
più grande. (Gadamer)
Antifonte (sofista del 400 a.c.) dice che chi è più forte è naturale che domini su chi è
più debole e gli imponga i propri voleri (legge di natura, dice lui).
Si potrà mai cercare di superare la cultura del potere e del possesso?
La sofferenza deriva dalla non accettazione e dall'attaccamento. La serenità deriva
dall'accettazione nel non attaccamento.
Governare è l'arte di far credere. (Machiavelli)
L'ordine sociale, benché necessario, è fondamentalmente cattivo: ogni potere è
malvagio e cattivo altrimenti non sarebbe potere.
La violenza è l'unica penna che gli stolti possiedono per potersi evidenziare.
Nessuna giustizia nella storia e nessuna bontà nella natura.

La legge di natura è la legge del più forte dicono i sofisti Trasimaco e Callicle: questa
è pure l'unica giustizia.

Il progresso (concetto moderno secondo il quale si va verso un mondo migliore) è


divenuto un dogma che, come tutti i dogmi, non ha solide basi. Infatti non si sono
fatti grandi progressi se si considera, ad esempio, l'olocausto.
L'obbedienza estrema presuppone ignoranza in colui che obbedisce; la
presuppone anche in colui che comanda; questi non ha da deliberare, da dubitare,
da ragionare; non ha che da volere. (Montesquieu)
Ognuno in maggior o minor misura può contribuire al progresso, rispettando il
prossimo, uomo o animale, rifuggendo dalla violenza e dal razzismo. (Hack)

552
Levinas dice che bisogna strappare la radice dell’orgoglio umano che è la causa
della discordia, delle guerre, di tutte le violenze che rendono triste e tragica la
convivenza umana.
Le convenzioni sociali agiscono indipendentemente dai vari attori che sono
comunque gli stessi ideatori delle convenzioni stesse (per semplificare: gli uomini si
danno delle regole che poi pensano essere di origine divina).
Gli intolleranti vogliono agire sugli altri per cambiarli. I tolleranti cercano di agire su
se stessi per migliorarsi.
L'altro deve essere accolto e non fagocitato. (Levinas)
L’esperienza mostra abbastanza chiaramente che, in ogni tempo, gli individui che
hanno l’intelligenza più sviluppata e le vedute più larghe formano una minoranza
estremamente esigua. (Lamarck)
Foucoult parla di Biopolitica (il potere che si impone sulla vita), Bioetica (la dignità
umana è inviolabile e il corpo non è in vendita), Biopotere (rapporto fra potere e
corpo umano).
Una strada ricca di esiti nuovi. Tra questi c’è un radicale cambiamento nella
considerazione dell’altro, che non è più visto “diverso”, “stravagante”, “lontano”, ma
“prodotto di una cultura paritetica”, e che porta ad una visione della realtà più ampia,
poiché ciascuna realtà, anche la nostra, quella dell’orgoglioso Occidente, diventa
“una tra le altre e non più l’unica”. Siamo di fronte, come chiaramente si intuisce, ad
un tipo di analisi sicuramente valido e anche più adatto alle condizioni in cui ci
troviamo, con il collasso della cultura dell’Occidentale e con la deriva dell’Io che dal
secolo scorso si protrae al nostro tempo.
La coesistenza, la cooperazione e la solidarietà tra esseri umani sono la vie
razionali e relazionali che possono permettere a tutti di vivere meglio a parità di
risorse, mentre la via del conflitto ad ogni costo risulta estremamente pericolosa
e, sopratutto, impoverente: impoverisce materialmente e mentalmente,
restringendo il campo di azione di ogni membro del gruppo. L'ottimismo deriva,
in parte, anche dalla considerazione che dopotutto siamo, come specie, ancora vivi,
sopravvissuti. il che significa che nonostante la sterminata quantità di attività
conflittuali che abbiamo studiato sui libri di storia, la quota di attività cooperative,
fondata psicologicamente sulla percezione dell'affinità comune, in qualche modo ha
prevalso, e non ci siamo estinti. Almeno per ora …

In nome di che cosa si deve porre un limite al proprio bisogno di godimento? Questo
è anche il tema che oggi ritorna prepotentemente al centro del problema
553
dell’orientamento nelle società liquide dell’economia libidinale (orientata
all'espansione illimitata del godimento).

"Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti". Allora perché ci
sono appellativi tipo: santità, altezza, eminenza, eccellenza....? Perché ci sono molti
poveri e pochi ricchi?
L'individualità si costruisce per separazione: l'io si sviluppa opponendosi. La persona
si costituisce nelle relazioni: l'io-tu, il co - uomo, il mondo-del-con.
Dio, Patria e Famiglia
ll mio dio contro il tuo!
La mia patria contro la tua!
La mia famiglia contro la tua!
Odio, guerra ed egoismo......
CRISTIANO (amati e amali pur sapendo che non c'è alcun io)
ANARCHICO (nessun potere è buono)
ZEN (quando non hai più niente, buttalo via!)
E' giunta l'ora di decostruire! Smontare e verificare tutto ciò che ci è stato
insegnato:
il conscio è superiore all'inconscio
lo spirito è superiore al corpo
l'uomo è superiore alla donna
l'occidente è superiore a tutti
la guerra risolve i problemi
il liberismo è la panacea di tutti i mali
l'io è una solida realtà
la religione è sopra ogni cosa
etc.etc.etc.
Liberiamoci dagli insegnamenti e dubitiamo di tutto e di tutti, allegramente.
Antistene, cinico, credeva nel ritorno alla natura senza governo, proprietà,
matrimonio e religione. Ogni opinione, per lui, è vera e inconfutabile.
554
La finanza pubblica deve essere sana,
il bilancio deve essere in pareggio,
il debito pubblico deve essere ridotto,
l'arroganza dell'amministrazione deve essere combattuta
e controllata e l'aiuto ai paesi stranieri deve essere diminuito
per evitare il fallimento di Roma.
La popolazione deve ancora imparare a lavorare
invece di vivere di sussidi pubblici.
(scritto da CICERONE nel 55 A.C.)

Ciascun individuo diventa un consumatore telecomandato anziché un libero cittadino


grazie al prevalere dell'economia sulla politica.
Siamo diventati mostri digitali, abbiamo le gobbe per colpa degli smartphone. Non ci
parliamo più, risolviamo tutto con un tweet, uno status su Facebook o un
aggiornamento su LinkedIn.
La novità della società liquida (l'uomo di oggi non ha alcun vero riferimento
solido su cui fare leva: manca dio, manca lo stato, manca la giustizia, mancano i
valori e tutto il resto mentre l'apparire è divenuto l'unico vero valore) non è
rappresentata dall’assenza di autoritarismo, ma dalla mutazione del meccanismo di
controllo: la società dell’iperconsumo non orienta attraverso la repressione nel senso
della verticalità autoritaria, ma mira a ottenere il consenso orizzontalmente, attraverso
il nuovo imperativo della disinibizione e del godimento. La funzione repressiva e
ridistributiva viene svolta dal meccanismo dell’invidia e del desiderio mimetico.

555
La sfida è quella di recuperare una nuova dimensione di verticalità non autoritaria e
di orizzontalità non livellante. La grande onda di Kanagawa disegnata dal pittore
giapponese Hokusai nel 1830, rende forse questa idea. Questa immagine rappresenta
un’alternativa sostanziale non solo al modello della scala del paradiso, ma anche a
quello del soggetto erettivo. È un’immagine che esprime bene il processo di
formazione della singolarità: questa non prende forma nell’appoggiarsi a un’autorità
ideale, e neppure nell’erigersi autoreferenzialmente su se stessa, ma piuttosto nel
compiere l’esperienza della caduta e del fallimento. Questa caduta rappresenta
metaforicamente un auto trascendimento catartico che costringe la singolarità a
una deviazione ontogenetica imprevedibile.

Anche nella scala di Climaco è tematizzato il tema della caduta, ma nei termini di un
fallimento senza ritorno, in cui gli uomini rimangono catturati dai demoni e appesi a
penzoloni alla scala. L'onda indica il superamento di se stessi, l'andare oltre l'ego
senza aggrapparsi al dio di turno. Sfidare il nulla guardandolo diritto negli occhi.

Giustizia e libertà non stanno in un rapporto di identità ma in un rapporto dialettico (e


questo Marx non l'aveva ben capito). I ricchi e potenti chiedono libertà mentre i
poveri imbelli chiedono giustizia.
Si va verso una società amministrata ove si risponde a stimoli: si consuma non per
necessità ma per condizionamento.
"In ultima istanza l'uomo deve far uso delle sue capacità intellettuali e non dipendere
da nessuna autorità". (Horkheimer) Prima esistevano la tradizione e la fede, ora
esiste solo la scienza. La stragrande maggioranza delle persone non ha personalità e
rispetta solo la forza. La logica immanente nella storia va verso un mondo
amministrato da pochi e subito da molti. Altro che democrazia.
556
L'occidente ha inventato cristianesimo, scienza e capitalismo che hanno poi
conquistato il mondo intero o quasi. Peccato, però, che nessuno dei tre sembri la
soluzione defintiva ai problemi dell'umanità.
Predominio dell'economia sulla politica tipica del capitalismo esautorando i
singoli stati a favore delle imprese multinazionali. Le persone diventano
consumatori indipendentemente da ogni cultura o etnia. Sono forse più importanti i
capitali finanziari degli uomini? Sembra proprio di si. La globalizzazione vuole forse
rendere generale un punto di vista particolare (quello delle multinazionali)? Esiste
veramente una universale libertà di consumo o esiste invece una particolare libertà di
arricchimento da parte di poche multinazionali? Comunque la globalizzazione è un
fenomeno tipicamente economico: omogeneità delle merci e omologazione dei valori.
La nobiltà delle schiatte discende sempre da qualche soppruso, da qualche delitto.
-SOCRATE **

Appare interessante notare come la condizione a cui è condotto l'allievo nello zen sia
assai simile a quella in cui si trova il discepolo socratico, in particolare Menone,
quando, sconcertato dalle domande poste da Socrate, paragona il maestro ad una
torpedine: «Perché io sono veramente intorpidito nell'animo e nella bocca, e non so
più cosa risponderti». Non solo: assai simile appare anche il procedimento dialogico
che conduce a questa condizione di smarrimento. In entrambi i casi infatti, sia nel
dialogo socratico che nel mondò zen, il dialogare non è una discussione formale, un
semplice scambio di idee su qualcosa, ma investe direttamente e radicalmente gli
interlocutori, la loro persona, la loro vita; ciò significa, tra l'altro, che in entrambi i
casi non viene affatto valorizzata l'autorità della persona o quella che le deriva dalla
sua cultura, né vengono fatte valere le testimonianze a favore della propria tesi tratte
da maestri illustri o da testi canonici. In entrambi i casi si è invece soli davanti al
problema da risolvere e Socrate, come il maestro zen, non è che la voce di tale
problema, la manifestazione sensibile della difficoltà, e non un interlocutore che tenta
di convincere delle sue idee. Non è un caso allora che tanto il dialogo socratico
quanto il mondò zen si determinino in un porre domande e non in un semplice
scambio di opinioni o in un'opera di convincimento: in entrambi i casi la domanda
non viene posta dal maestro con lo scopo di ottenere una risposta adeguata, ma
con l'intenzione di scalfire o addirittura frantumare la corazza di certezze che
ricopre e paralizza la mente dell'allievo. È in tal modo che il porre domande di
Socrate coincide con l'elénchein, col «mettere alla prova», oltre che se stesso, anche
l'allievo; proprio come avviene nel mondò: la domanda ha infatti, come primo effetto
quello di sconcertare, di disorientare. Ma questo effetto di disorientamento non è
prodotto con l'intento, un po' sadico di mettere in difficoltà l'allievo mostrando la sua
inferiorità rispetto al maestro: ciò potrebbe accadere solo se il maestro avesse la
presunzione di possedere la verità e l'intenzione di trasmetterla all'allievo; in tal caso
557
le domande potrebbero anche non venir poste, in quanto sarebbero sostituibili con
semplici affermazioni, oppure potrebbero essere poste retoricamente, per stimolare
l'allievo a dare la risposta che il maestro già sa e vuole sentirsi dire. In realtà l'effetto
sconcertante nel dialogo socratico e l'effetto-vuoto nel mondò zen agiscono sia
sull'allievo che sul maestro: la radicalità del problema li investe entrambi con la sola
differenza che il maestro sa di non sapere, mentre l'allievo presume sempre di
sapere; il che significa in altri termini che il maestro, a differenza dell'allievo, è stato
capace di farsi vuoto. Si potrebbe notare che la presunzione di sapere, nel dialogo
socratico, viene demolita dalle continue domande poste da Socrate mentre nel mondò
zen vi è spesso una risposta del maestro; tuttavia la risposta fornita dal maestro zen
non è, come nel caso di Jòshù, sullo stesso piano della domanda, per cui l'effetto di
sconcerto che essa produce nell'allievo è lo stesso che è prodotto dal continuo
domandare di Socrate. In breve: le risposte dei maestri zen valgono e funzionano allo
stesso modo e con la stessa incisività delle domande di Socrate: in entrambi i casi ciò
che viene provocato è un radicale disorientamento, un «non poter fare più appello a
nulla». È, insomma, il vuoto. Tuttavia, in entrambi i casi, non si tratta affatto di
un'operazione nichilistica, ma di un'operazione purificatrice, di una catarsi: sia
Socrate che i maestri zen, infatti, procedono nella loro opera «distruttiva» non per
amore della distruzione, ma per poter suscitare una nuova nascita, perché il vuoto
prodotto sia a condizione prima e costante della purezza di ogni nuovo «pieno».
D'altra parte, in entrambi i casi, non si tratta di un intervento diretto del maestro
sull'allievo per condizionare e determinare modi, tempi e contenuti del novum che
nascerà: infatti la maieutica di Socrate non predica direttamente il dovere del ghnòthi
sautón ma stimola nell'interlocutore le capacità che egli stesso ha di produrlo da
sé; così come i maestri zen non insistono mai direttamente sulla necessità di ottenere
il vuoto della mente, ma suscitano nel praticante le sue capacità di ottenerlo. E come
Socrate poteva pertanto affermare di non essere mai stato maestro di nessuno
proprio perché aveva aiutato ognuno a diventare maestro, di se stesso, così un
maestro zen ha potuto affermare che «non vi sono maestri zen» non solo perché lo
zen non è dottrina, ma soprattutto perché il maestro, aiutando la catarsi
dell'allievo, pone le condizioni per le quali l'allievo, secondo le sue capacità,
scopra la propria buddhità ossia rinasca, da sé, a se stesso.
Vi è tuttavia, tra la maieutica socratica e quella zen una profonda differenza: mentre
la tecnica dialogica di Socrate è ancora tutta interna all'orizzonte delle procedure
discorsive e delle regole dell'argomentazione logica, le tecniche inventate e
praticate dai maestri zen tendono spesso ad andare oltre questo orizzonte fornendo
risposte che non sono costituite da una o più parole dotate di senso, e nemmeno,
addirittura, da parole in senso stretto. Spesso infatti l'ultima risposta di un mondò è
costituita da un'esclamazione, da un urlo o da un semplice gesto.

Socrate scopre o, forse, inventa la coscienza individuale e la libertà - responsabilità


morale.
558
Socrate è razionale: per lui non solo il pensiero è in grado di conoscere l'essere ma
anche di cambiarlo. Ottimismo teoretico (tutto deve essere razionale per essere
bello) poi smontato da Kant.
Odifreddi dice che Socrate e Parmenide sono due cattivi maestri perché il primo fa
vuoti discorsi sul bene e il secondo sull'essere.
Socrate è il primo dualista...energia e materia...il mondo fisico è imperfetto...ombra di
quello reale che è perfetto (come la chiesa!). Spiritualismo e idealismo.
Il peccato di Socrate è di aver sostituito alla vita il pensare alla vita e la
conseguenza di ciò è il non-vivere. Socrate ritiene che la ragione sia l'essenza
dell'uomo e che le passioni, residuo di animalità, possano e debbano essere
dominate.
Sempre sprezzante di ogni posizione che si cristallizzasse in un sistema o in una
moda.
Socrate insegnò che non ci sono maestri e, quindi, ciascuno deve partorire se
medesimo.
Devi conoscere te stesso per poterti prendere cura di te stesso (te stesso è il tuo io, la
tua autocoscienza, LA TUA ANIMA cioè il divino che è in te). Socrate insegnava ai
pittori e agli scultori di trattare dell'anima più che del corpo. La virtù è la conoscenza
di se stessi. Si sbaglia per ignoranza. Chi conosce il bene lo attua automaticamente
senza dover mettere in atto alcuna volontà.
Intellettualismo socratico. Scienza, conoscenza e virtù, libertà (anche se poi Socrate
dice che sa di non sapere). Perseguire l'utile dell'anima e non quello del corpo.
L'essenza dell'uomo è la sua anima.
La virtù è autarchica e non ha bisogno di ricompense, di premi nell'aldilà avendo già
in sé il proprio premio che è la felicità.
Morire è come non essere più nulla oppure come un trasmigrare dell'anima.
Fu un rivoluzionario non religioso (Dio non interviene nella formazione dell'etica e
non dispensa premi) e non violento. L'essenza dell'uomo è la psychè, il logos.
Socrate, pur praticando l'oralità dialettica, non scrisse nulla. Il suo allievo Platone usò
la dialettica scritta ma disse che le cose più importanti dovevano restare orali, non
scritte e quindi dottrine non scritte.
-SOGGETTO-OGGETTO**
Soggetto oggetto cessano di significare autonomamente alcunché e divengono
semplicemente funzioni reciproche. Non c'è oggetto se non in relazione ad un
559
soggetto (che osserva, isola, definisce, pensa), e non c'è soggetto se non in relazione a
un ambiente circostante oggettivo (che gli consente di riconoscersi, definirsi,
pensarsi, ecc., ma anche di esistere). L'oggetto e il soggetto, consegnati ognuno a se
stesso, sono concetti insufficienti. Appare così il grande paradosso: soggetto e
oggetto sono inscindibili, ma la nostra modalità di pensiero esclude l'uno tramite
l'altro, lasciandoci liberi soltanto di scegliere, secondo i momenti della giornata, tra il
soggetto metafisico e l'oggetto positivistico.

Un oggetto - diceva William James - è un prodotto dell’attenzione a “questo e non


a quello”. Questi pezzetti di attenzione etichettati con concetti e simboli, assumono
lo statuto immaginario di “cose” reali e indipendenti! E siccome “tutte le parole
sono dualistiche e separative, questo processo aggrava l’illusione che le cose sono
entità indipendenti che aspettano la percezione.” A questo punto confondiamo
completamente questi simboli con la realtà stessa e l’illusione è confermata.
Ogni cosa è un simbolo, in quanto rinvia sempre ad altro da sé, ovvero agli altri
fenomeni che la determinano sul suo stesso piano e all'interno di quel campo assoluto
che la accoglie e lascia che essa si determini in quella specifica modalità; e, in quanto
simbolo, ogni cosa è in sé paradosso: perché propriamente nessun ente, di per sé,
esiste, ma in quanto condizione determinante per l'esistenza di tutti gli altri, visto
sotto il suo aspetto insostanziale ed impermanente, esso è: dunque è e non è al
contempo. (Pasqualotto)
Presunta dualità soggetto-oggetto. Anche l'Oriente se ne occupa diffusamente.
Scrive infatti il Dalai Lama: <<Una volta tolta di mezzo qualsiasi possibilità di
fondare l'epistemologia in un mondo esterno (o in un mondo interno) veramente
esistente, riguardo all'argomento rimane una sola scelta: sviluppare un sistema
epistemologico in cui soggetto e oggetto siano interdipendenti. E' questo
l'approccio di base del sistema Madhyamica: in qualche senso la realtà del soggetto è
confermata dalla cognizione, e nel contempo la cognizione è confermata dalla realtà
dell'oggetto. Le due cose non sono realmente separabili. Sono così intrecciate che
parlare di una cognizione valida senza riferirsi alla realtà dell'oggetto è - si potrebbe
dire- semplicemente privo di senso. E analogamente, parlare di realtà di un oggetto
senza una cognizione che lo verifica è, di nuovo, priva di senso>>. Dunque
l'interpretazione che il Dalai Lama da della presunta dualità soggetto-oggetto
concorda perfettamente sia con la meccanica quantistica che con la fenomenologia di
Merleau-Ponty.
L'imperialismo del soggetto ha libero corso, anche nei rapporti con la natura. (Forte)
Non un soggetto puro e separato che opera su un oggetto ma un soggetto che si forma
e si trasforma.
560
Un oggetto infatti è tale solo in rapporto a un soggetto, cioè solo se esso viene
pensato.
Il soggetto che entra in crisi sul finire dell’Ottocento è un rifugio sicuro di concetti,
paradigmi e norme morali che per secoli hanno protetto l’uomo occidentale
dall’incubo del nomadismo, dalla mancanza di centro. Questo soggetto mostra in
questo momento storico tutta la propria inconsistenza e il proprio valore
“funzionale”, tanto da poter essere considerato come «dispositivo».

La colossale edificazione condotta dalla filosofia occidentale attorno e sul soggetto,


l’immenso lavoro che essa ha fatto per costruire sistemi perfetti o anche soltanto
coerenti, testimonia di un bisogno irrefrenabile di sicurezza, di protezione, di un
sapersi interni a un organismo anche soltanto logicamente regolato e regolare. Il
razionalismo della “coscienza europea” ha tentato di usare l’atomo-soggetto come
fondamento della realtà e della conoscenza del mondo, semplicemente sostituendo, in
tal modo, un centro trascendente – Dio – con un centro immanente più vicino. […] Il
sistema di certezze e di valori rimaneva pur sempre un sistema, una “casa” sicura,
ancorché sempre più nuova e sempre più laica. (Pasqualotto)

Il soggetto, al pari di qualsiasi prodotto della mano e del pensiero, o di qualsiasi


evento naturale, non è mai identico nel tempo. Il soggetto non è definibile come
forma fissa, ma esperibile come modo particolare di un universale formare senza
inizio e senza fine. Il soggetto è vuoto e impermanente. Ma anche l'oggetto è
vuoto e impermanente. Cosa resta?

Nel punto in cui svanisce il confine tra il soggetto e l'oggetto, emerge il senso di un
tutto che è insieme nulla. Esperienza del tuttonulla, del pienovuoto. (Fachinelli)
Quel che si pensa di essere (l'io della logica razionale) e quel si pensa di percepire (il
mondo, le cose, i fenomeni della logica razionale) sono tutt'uno (tu se ciò, tu sei
quello, tat tvam asi). Capire pienamente questa assenza di divisione fra soggetto e
oggetto equivale a raggiungere l'illuminazione che va oltre il dualismo.
Soggetto e oggetto non sono due diversi (Merleau-Ponty); Il soggetto, l'io è pura
finzione scenica: di per sé non esiste (pensiero orientale); l'oggetto, il mondo esiste
solo di fronte a una coscienza (meccanica quantistica). Cosa ci resta? Nulla o tutto?
La luna (soggetto) si specchia nell'acqua (oggetto). Senza luna nessuno si specchia.
Senza acqua nessuno si specchia. Senza soggetto non c'è oggetto. Senza oggetto non
c'è soggetto. Ma noi siamo afflitti dalla malattia del "soggetto".
La dialettica fra soggetto e oggetto che sono in un continuo e infinito processo di
mutuo adattamento, (Russell dice che Marx la pensava così).
Ogni oggetto può essere risolto in un fatto di coscienza.
561
-SOGNO**

Una volta Zuang Tzu (Chuang Chou) sognò di essere una farfalla: era una farfalla
perfettamente felice, che si dilettava di seguire il proprio capriccio. Non sapeva di
essere Chou. Improvvisamente si destò e allora fu Chou, gravato dalla forma. Non
sapeva se era Chou che aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla che sonava
di essere Chou. (Chuang Tzu)
Il sogno può continuare o meno, ma non siamo più identificati ad esso e non lo
prendiamo più sul serio. Questa è la sola pratica.
Mentre sogni non sai di sognare, solo dopo il risveglio sai di aver sognato. Ciò vale
forse anche per la vita?
Bisognava sbarazzarsi di qualunque concetto o identificazione, perfino quella del
senso di esistere. La vita era solo un sogno, di giorno come di notte. Svegliandoci al
mattino eravamo solo sonnambuli, addormentati.
Se per Schopenhauer la vita è sogno doloroso, per Nietzsche il sogno stesso è l’unica
dimensione possibile della vita, dimensione che è nient’altro che crogiuolo di
pulsioni e desideri il cui unico scopo (se di “scopo” si può parlare) è l’affermazione
di sé, il potenziamento, la divinizzazione, il dire «sì».

Il sogno è la piccola porta, nascosta nel più profondo e intimo santuario dell'anima,
aperta su quella originaria notte cosmica, che era l'anima assai prima che esistesse
un io cosciente, sopravviverà come anima e andrà molto più in la di ciò che un io
cosciente possa mai raggiungere. (Jung)
Mi sono stancato di rincorrere i sogni... ora aspetto che i sogni rincorrano me...
Nei sogni la mente crea il mondo. La stessa cosa avviene nello stato di veglia. Solo
che i sogni sono più appiccicosi: sembrano più reali della veglia. Non facciamo che
sognare: sogniamo di essere desti e sogniamo nel sonno.
Ognuno sogna a modo suo. Infatti i sogni sono il riflesso della nostra vita interiore...
C'è un sogno che ti sta sognando.

Sono arrivati i sogni risalendo il fiume. Ci fermiamo a parlare con loro, che sanno
tante cose, tranne da dove vengono. (Kafka)

-SPAZIO-TEMPO**

562
Esistono due diversi tipi di tempo. Il primo è quello fisico studiato, ad esempio, da
Newton e da Einstein. Il secondo è quello interiore studiato a Agostino e da
Heidegger.

La crescita dell'entropia orienta la direzione del tempo, e permette l'esistenza di


tracce e ricordi, e sono questi che tengono insieme il nostro senso di identità e
continuità e danno a noi creature viventi i senso del passare del tempo. Credo allora
che ciò che noi chiamiamo lo scorrere del tempo possa essere capito studiando la
struttura del nostro cervello più che studiando la fisica. Il tempo rimane in larga
misura misterioso, forse il più grande mistero. Buddha insegna l'impermanenza, cioè
il passare del tempo, come radice della nostra sofferenza. (Rovelli)

Guardando una cosa qualsiasi nello spazio si sta sempre guardando nel passato:
più la cosa è lontana e più tempo è passato. Guardando la luna, si vede la luna di
1,28 secondi prima. Guardando il sole, si vede il sole di 8 minuti e 31 secondi
prima. Guardando la stella Proxima Centauri, si vede la stella come era più di 4
anni orsono. Alcune galassie sono talmente lontane che ciò che si vede ora è
quello che esisteva milioni di anni fa. In alcuni casi, addirittura, noi vediamo la
luce di stelle che, nel frattempo, non esistono più! Ciò è dovuto al fatto che la
velocità della luce è limitata a 300.00 chilometri al secondo.

Secondo alcune teorie della meccanica quantistica, non solo il passato ma anche
il futuro influenza ciò che accade nel presente (sempre che il presente esista
come qualche cosa di diverso dal passato e dal futuro).

Il Libro dei mutamenti è l'unico testo dell'antica saggezza che mette al centro
dell'osservazione il mutamento stesso e riconosce il tempo come fattore
essenziale nella struttura del mondo e nello sviluppo dell'individuo. Il tempo non
è concepito semplicemente come agente negativo o distruttivo, da temere o
negare, ma quale vera essenza della vita e pertanto non opposto all'eterno: è
piuttosto ciò grazie al quale l'eterno viene rivelato. (Anagarika Govinda)

Non c'è nessun orologio che batte il tempo dell'universo nella stessa maniera. Un
orologio che si muove veloce nello spazio va più lentamente di uno che si muove
piano! Questa è la relatività di Einstein. (Rovelli) Il tempo però, probabilmente, non
fa parte della struttura caratteristica del mondo secondo la meccanica quantistica.
Come direbbe Kant, il tempo è un nostro concetto, un forma a priori per capire il
mondo che ci circonda.

Il tempo è un concetto complicato che investe molti campi dello scibile umano:
fisica, filosofia, escatologia religiosa.

Il tempo non è un oggetto ma qualcosa che ha a che fare con la percezione e


soprattutto con il modo in cui concettualizziamo il mondo, con cui vi entriamo
563
dentro. Dunque il tempo è qualcosa che è aperto alle interpretazioni ma è anche
il modo in cui una cultura costruisce il suo profilo, si autodefinisce. In questo senso
è un costrutto sociale, in quanto permette che i diversi appartenenti a una cultura
riescano a organizzare e a coordinare fra loro una serie di comportamenti e di
attività. 

Per la fisica il tempo non esiste, per la neurobiologia il tempo è il cervello mentre per
l'economia il tempo è denaro!

Per Newton lo spazio è un contenitore che può esistere anche senza oggetti
mentre per Leopardi lo spazio è grazie al nulla. Leibnitz invece afferma che lo
spazio è la relazione fra gli oggetti contenuti.

Lo spazio, il tempo ed gli oggetti sono interdipendenti e inseparabili e l’irrealtà


di uno di essi implica l’irrealtà degli altri due! Non esiste uno spazio vuoto
perché senza cose - eventi non c'è neppure lo spazio o il tempo.

Lo spazio-tempo non è un'entità assoluta e immobile ma è una struttura


dinamica e mutevole come ogni altro fenomeno. Forse lo spazio-tempo è fatto di
quanti (e tra un quanto di spazio-tempo e l'altro non esiste proprio niente,
neppure il vuoto) ed è pure probabilistico. Da rimarcare infine che l'osservatore
modifica realmente la geometria dello spazio-tempo così come modifica le
particelle subatomiche osservate (anche perché particelle e spazio-tempo sono
un unico campo quantistico).

Come il passato, prima che i quattro elementi fossero nati, e il futuro in cui sono
dispersi, sono entrambi vuoti, anche il presente in cui compaiono è vuoto. Gli eventi
che si danno nel passato, nel presente e nel futuro non risultano in realtà confinati
dentro alcuna di queste tre partizioni, perché nessuna di esse può vantare una «natura
propria», un «sé» autonomo. Per il buddhismo ogni evento presente è eterno, non
nel senso che dura in eterno, ma nel senso che è costituito dai fili di una rete
infinita di cause ed effetti che lo legano agli eventi passati e a quelli futuri.

Il tempo è influenzato dalla massa (che, ricordiamolo, è energia!), passa più


lentamente fino quasi a fermarsi nelle vicinanze di corpi dalla grande massa
quali possono essere i buchi neri. Ma è anche condizionato dalla velocità: infatti
un corpo che viaggia velocemente ha un tempo rallentato.

Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io


sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora
ma io sono il fuoco. (Borges)

564
Il tempo è un «ritardante» che ha la funzione di far in modo che tutto non sia dato in
una volta. (Bergson)

Viene attribuita alla tradizione teologica ebraico - cristiana la responsabilità del


profilarsi di quella concezione lineare del tempo, che è alla base del moderno mito
del progresso, causa di tante violenza nei confronti della realtà naturale, forzatamente
piegata alle rappresentazioni ideali e alle loro ambizioni di compimento rapido e
trionfante. (Forte)
Fin dagli albori dell'umanità ci si era posti il problema dell'origine. A molti filosofi
greci, incluso Aristotele, non andava a genio l'idea di una creazione del tutto (a
partire da che cosa, dal niente?); preferivano pensare a un mondo che esistesse da
sempre. In tale concezione, anche il mondo esisteva da sempre e non avrebbe mai
avuto fine. Invece, nella tradizione ebraico - cristiana l'universo ha aveva avuto un
inizio nel tempo e la sua età veniva stimata dagli interpreti della Scrittura nell'ordine
di alcune migliaia di anni. Agostino in La Città di Dio sosteneva che la creazione
dell'universo fosse avvenuta circa 5.000 anni prima di Cristo.
Oggi vado a Yüeh e arrivo ieri. (Hui-tzu)
Il tempo, quale forma personale, è all'origine dell'individualità la quale, non appena si
coglie come tale, concepisce subito che il tempo è il suo organo percettivo (il senso
interno come affermava Kant). (Vigevani)
Passato e futuro sono due astrazioni della mente che producono, rispettivamente, lo
stato d'animo troppo inerte dei rimpianti e quello troppo teso delle attese ansiose. Per
lo zen ciò che esiste realmente è solo il presente.

Otium o neg.otium? Il tempo utile qual'è dei due e quale è quello inutile? Marx
voleva liberare tutti dal tempo del lavoro …

E se non ora, quando? (Pirqé Avot 1,14)

La fretta è sottesa all'idea che il tempo abbia una direzione, uno scopo come nella
tradizione ebraico - cristiana. Se invece valesse la frase biblica (ma, forse, di matrice
greca) del Qoelet " … non c'è nulla di nuovo sotto il sole", a che servirebbe
affrettarsi? Se tutto si ripete eternamente, perché affannarsi tanto?

Mi fermo e non faccio nulla. Non succede nulla. Non penso nulla. Ascolto lo scorrere
del tempo. Questo è il tempo. Familiare e intimo. La sua rapina ci porta. Il precipitare
di secondi, ore, anni ci lancia verso la vita, poi ci trascina verso il niente... Lo
abitiamo come i pesci l’acqua. Il nostro essere è essere nel tempo. La sua nenia ci

565
nutre, ci apre il mondo, ci turba, ci spaventa, ci culla. L’universo dipana il suo
divenire trascinato dal tempo, secondo l’ordine del tempo. (Rovelli)

Perché alla fine — forse — il mistero del tempo riguarda ciò che siamo noi, più
di quanto riguardi il cosmo. (Rovelli)

Così come la terra sembra piatta e ferma, il tempo sembra scorrere omogeneo anche
se così non è. Infatti va più veloce in montagna che in pianura e rallenta se io mi
muovo velocemente. Poi c'è da aggiungere che non esiste un presente comune a tutto
l'universo: ogni luogo ha il suo tempo locale. Neppure la scienza ha le idee chiare
sulla natura del tempo.

Non considerate il tempo semplicemente come qualcosa che vola via; non studiate
solo l'aspetto fugace del tempo. Se realmente il tempo volasse via, ci sarebbe
separazione tra il tempo e noi stessi. (Dogen)

Il presente non va " salvato " cercando di redimerlo in base a qualche valore eterno
che sta fuori o sopra di esso, per il semplice motivo che esso è già costituito di
eternità. Il problema sta "solo" nel cogliere, mediante l'attenzione consapevole, questa
sua costituzione "eterna", questa sua propria natura " divina".

«Qui ed ora nozione-chiave; l'importante è il presente. La maggior parte di noi ha la


tendenza a pensare ansiosamente al passato o all'avvenire, invece di essere
completamente attenti ai nostri atti, parole e pensieri del momento. Conviene essere
sempre presente in ogni gesto: concentrarsi qui e ora, così è la lezione dello Zen»
(Deshimaru)

La nostra fissazione è per il tempo lineare, con un inizio assoluto e una fine
definitiva.

Il tempo non è solo divenire ma è anche e contemporaneamente essere eterno ora.


Così la vita non diventa morte e la legna non diventa cenere: la vita è vita e la legna è
legna.
Un istante di eternità: intensità dell'attimo estatico - qualunque sia la sua durata crono
logica. E' questa intensità che lo fa apparire, a chi lo vive, uno squarcio della verità,
della certezza assoluta. (Fachinelli)
Sono il tempo e lo spazio ad esistere in te, e non tu in essi. (Nisargadatta Maharaj)
Il tempo? Che cos’è? È solo un concetto usato dalla mente (assieme allo spazio e alla
causalità) per provare a dare un senso al mondo delle forme, quando sono
percepite come separate dal Sé.
566
L'attimo estatico è raccolto in sé, unico - e di colpo tende a pervadere il tutto. Il
tentativo di dire quell'attimo dev'essere asciutto, sobrio, al limite del silenzio.
(Fachinelli)
Neppure l'eternità può essere eterna visto che il tempo non esiste. Senza mente
non c'è tempo.
Se il tempo è apparente, lo è anche tutta la tela che si è intessuta attraverso questo filo
inconsistente.
Il cambiamento implica tempo e quindi se quest’ultimo non c’è, non c’è nemmeno il
primo.
L'universo non ha tempo: il tempo siamo noi. (Rovelli)
Ciò che accade, non accade nel tempo perché è il tempo stesso che accade!
Il pensiero ha imbrigliato la mente nella rete del tempo.
Il respiro del tempo: sentire il passato come un profumo.
Il tempo non scorre affatto e il presente è solo una finzione (così come l'ego!).
Il tempo non esiste: infatti il passato è un tempo che non esiste più, mentre il futuro
non esiste ancora. Il presente, mentre ne pensiamo, è già diventato passato. (Russell)
Non esiste un solo tempo, ma tempi diversi, mentre noi non siamo neanche un punto,
ma la sua metafora.
Se due eventi, A e B , che avvengono in luoghi diversi, appaiono simultanei a un
osservatore, un diverso osservatore vedrà invece che accade prima A e poi B; un altro
ancora vedrà accadere prima B e poi A. Quest'idea che l'ordine temporale di due
eventi possa apparire diverso a diversi osservatori potrà sembrare alquanto
paradossale. Come può la pallottola colpire prima che il fucile spari?
Cosa è un bip per noi? E' proprio niente, e noi rispetto al tempo cosmico siamo
infinitamente meno di un bip, ma l’aspetto più paradossale è che la fluttuazione della
nostra vita potrebbe essere stata solo un sogno all’interno di un bip cosmico.
Nel tempo reale, l’universo inizia e finisce in corrispondenza di una singolarità che
costituiscono un confine dello spazio - tempo e in presenza delle quali la validità
delle leggi scientifiche viene meno. Nel tempo immaginario, invece, non ci sono né
singolarità, né confini … L’idea per cui lo spazio e il tempo possono formare una
superficie chiusa ma priva di confini ha anche delle profonde implicazioni per quanto
riguarda il ruolo di dio nelle vicende dell’universo. (Hawking)

567
Con l’osservazione l’onda diventa corpuscolo. L’energia del Campo Unificato
(intelligente?) diventa materia. La materia si trasforma e produce il tempo e lo spazio
(il momento e la posizione). Dunque il tempo nasce dalla trasformazione
dell’energia in materia. Ma in realtà il tempo e lo spazio non esistono. Ci sono
intervalli rapidissimi che sembrano succedersi in continuità tra una scomparsa e una
apparizione di una particella e l’altra. Questi intervalli che sembrano susseguirsi in
rapida successione sembrano andare a costituire il tempo. Ma così non è. Se il nostro
occhio potesse avere un potere percettivo più veloce (più risolutivo), ci
accorgeremmo che nulla fluisce e nulla scorre.

Il giorno che ci renderemo conto che stiamo ritornando al Tutto (Uno), da cui
pensiamo illusoriamente di essere stati tolti (col Due, espresso dal mito della caduta),
allora capiremo il perché abbiamo l’impressione che il tempo scorra sempre in avanti,
verso il futuro (che non c’è). E allora il tempo cesserà di esistere, perché Tutto ciò
che è nell’Universo è già dentro di noi.

Senza tempo non c'è l'io e senza l'io che lo pensi non c'è tempo.
Lo spazio e il tempo diventano soltanto elementi del linguaggio come lo sono
soggetto e oggetto.
IL saggio vive nel presente che è per lui, la totalità del tempo.
I greci avevano costruito una mappa concettuale piuttosto sofisticata con tempi
diversi che riusciamo a interpretare con qualche sfasamento di senso. Questa mappa
prevede cinque termini: chronos, ora, eniautos, kairos e aion.
Chronos, che assomiglia così tanto al dio Kronos, il divoratore dei figli, da realizzare
fin dall’antichità un gioco di parole sul tempo che ci divora, è il tempo misurabile,
che si svolge dal passato verso il futuro. È il tempo rettilineo che non può
tornare indietro, che ha un inizio e una fine. Un concetto ben chiaro in
Anassimandro quando scrive: “…da dove infatti gli esseri hanno origine, ivi hanno
anche la distruzione secondo necessità poiché essi pagano l’un l’altro le pene e
l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo” (DK, f.1). Aristotele nel IV
libro della Fisica dirà, in maniera non dissimile da Agostino, che chronos non esiste
perché da una parte è stato ma non è mentre dall’altra è ma non è ancora. Insomma è
qualcosa che non riusciamo a prendere perché legato all’istante, al trascorrere della
cronologia.
Ora è la stagione, quindi il tempo maturo. Ora è la buona stagione: per seminare, per
mettersi in cammino, per fare la guerra. A ora si affianca eniautos, termine usato
per indicare l’anno e poi nel greco biblico qualunque intervallo di tempo. Eniautos è
un tempo circolare, non rettilineo, è il tempo ciclico che ritorna, come le foglie nel
bosco e le stirpi degli uomini, dirà Omero nell’Iliade.
Un quarto termine è kairos, il momento opportuno. Da un punto di vista
etimologico significa “misura”, ma è il tempo pieno che marca una cronologia. È il
568
tempo che ha significato, che è sorprendente e può determinare le nostre esistenze. È
per questa sua caratteristica che nei Vangeli acquista il significato di tempo in cui
agisce Dio, in cui non è più chronos, il tempo fatto di minuti, ore, giorni e anni a
definire le nostre vite, ma il tempo di Cristo.
Il quinto termine è aion, normalmente tradotto con “eternità” ma con
un’evoluzione semantica durata secoli che ha raccolto significati molto diversi. Ad
esempio in Omero più che un valore temporale indica la forza vitale e dunque la
morte è appunto una perdita di aion. Dopo Omero il valore vitalistico viene perduto
passando a indicare la durata dell’esistenza. Questi sono anche i due significati che
troviamo nella filosofia prima di Platone. Ma è proprio con quest’ultimo che cambia
tutto, perché sarà lui il primo ad opporre chronos ad aion pensando il secondo come
eternità e il primo come sua immagine. È solo sullo sfondo dell’aion, dell’eterno
che ciascun momento del chronos, ciascun istante può prendere luce, può diventare
vero e avere un senso.

-SPINOZA***
Il nostro intelletto coglie come separato ciò che invece è unito.
Omnis determinatio est negatio.
L'uomo è veramente libero solo se riesce a identificarsi con la sostanza unica,
con Dio. C'è solo una sostanza che è Dio ed ha infiniti attributi tra i quali noi
cogliamo solo lo spirito e la materia.
Secondo Spinoza non c'è immortalità personale. Lui rifiuta anche il libero
arbitrio in favore della necessità che tutto abbraccia. La necessità è la vera
libertà. La tranquillità nasce dalla consapevolezza della necessità che sovraintende il
tutto. L'uomo è partecipe della necessità del tutto. Ciò gli dovrebbe donare
tranquillità e beatitudine prescindendo dalla sua conoscenza inadeguata frutto di
mere opinioni.
Da dove viene l'illusione che le nostre scelte siano libere? La risposta di Spinoza è
semplice e folgorante: viene dal fatto che ignoriamo le cause complesse che ci
hanno portato alla scelta. Libero arbitrio è il nome che diamo alle nostre azioni
delle cui cause non siamo consapevoli. (Rovelli)
Da rimarcare che una recente e importante ricerca pubblicata su Nature Neuroscience
ha confermato che "pensiamo di scegliere ma in realtà non scegliamo nulla: la
sensazione di prendere una decisione consapevole appare non essere altro che un
effetto psicologico successivo agli eventi biochimici che hanno già determinato l'esito
della decisione una decina di secondi prima". (Rovelli)

569
"Io sono lieto e cerco di passare la mia vita non nella tristezza e nei lamenti, ma
nella tranquillità dell'anima, nella gioia. Non smetto di riconoscere che tutto
accade per la potenza dell'Essere sovranamente perfetto e per suo immutabile
decreto; a questa conoscenza io debbo la mia più profonda soddisfazione e la
tranquillità dell'anima".
Essere ciò che siamo e diventare ciò che possiamo diventare è l'unico scopo della
vita.
La Conoscenza sub specie aeternitatis (attraverso la ragione e l'intelletto) è quella che
porta alla totalità del reale (Dio per Spinoza). La conoscenza sub specie temporis
(attraverso l'immaginazione e i sensi) è inadeguata perché parziale in quanto perde di
vista il tutto e ritiene l'uomo "un impero nell'impero".
Spinoza propone un'interpretazione energetica del reale contrariamente a quella
sostanzialistica di Cartesio anche se poi noi sappiamo che materia ed energia sono la
stessa identica cosa.
Se volete che la vita vi sorrida, donatele prima il vostro buon umore.
L'amore è il mezzo attraverso il quale l'uomo può elevarsi al sommo bene.
Non si piange sulla propria storia, si cambia rotta.
In questo mondo non importa ciò che fai, ma ciò che sei. (???)
La pace non è assenza di guerra: è una virtù, uno stato d'animo, una disposizione alla
benevolenza, alla fiducia, alla giustizia.
Chi vive guidato dalla ragione si sforza, per quanto può, di ricambiare l'odio, l'ira, il
dispregio, eccetera, di altri contro di lui, con l'amore, ossia con la generosità.
Dio agisce per le sole leggi della sua natura (n.d.r. e se non esistessero?) e non
costretto da alcuno.
Tutte le cose e le azioni esistenti nella Natura sono perfette. (n.d.r. non sembra …
forse sono solamente ciò che sono senza aggettivazioni).
È dunque il timore la causa che genera, mantiene ed alimenta la superstizione.
Io metto la libertà non nella libera decisione, ma nella libera necessità.
Spinoza rappresentò l’uomo della tolleranza e della ricerca instancabile, l’avversario
di ogni dogmatismo, di ogni chiusura intellettuale e morale, di ogni ortodossia
teologica, ecclesiastica o politica che ostacoli o vieti la libertà di pensare e quella,
non meno importante, di esprimere le proprie idee.

570
Per l'identificazione dell'atto di causare se stesso con l'atto di causare le cose la
causalità divina è immanente; nella produzione divina si annulla la distinzione di
causa ed effetto. Dio non è la causa dell'effetto mondo. Dio è il mondo.
L'impotenza per Spinoza è causata dal fatto che l'uomo si fa guidare da enti esterni a
lui non realizzando quindi se stesso: essere eterodiretto. Per Spinoza la ragione
combatte contro paura e speranza per arrivare all' amor dei intellectualis con il
quale Dio ama se stesso tramite l'uomo. Il saggio si sforza di vedere il mondo come
lo vede Dio: sub specie aeternitatis ove il futuro è fissato altrettanto del passato
quindi né paura e né speranza! NEC SPE NEC METU

La materia pensa? Si chiede Locke (sensazione e riflessione) in riferimento allo


spinozismo.

L'uomo si crede libero solo per ignoranza.


Ogni definizione è una negazione.
Disperdere la propria individualità nella necessità del tutto. Leibniz (e il
cristianesimo prima e dopo di lui) non è assolutamente d’accordo: l'individualità
vivrà in eterno.
Ogni cosa si sforza di preservare il proprio essere.
Positivo è ciò che ci unisce al tutto e non ciò che lavora a mantenere le apparenze
della distinzione.
Ogni cattiva azione è dovuta a ignoranza (anche Buddha, Socrate e Platone la
pensano così).
Considera irreale il tempo. (In linea con la più moderna fisica quantistica)
Meditatio vitae. E non meditatio mortis come quasi tutti gli altri filosofi a partire da
Platone.
Non si arrabbiava mai.
Un uomo che ama Dio non può pretendere che Dio lo ami.
Insiste però sulle idee chiare e distinte …
La beatitudine non è la ricompensa della virtù ma è la virtù stessa.
Monismo logico: esiste un solo soggetto che è Dio.

571
Spinoza (che ammira Epicuro e gli stoici) dice che gli uomini credono di essere liberi
perché credono di fare delle cose: come se un sasso prendesse coscienza e credesse di
essere libero nel volare.
Siamo condizionati da infinite cause. Dunque, siamo relazione.
Volontà e intelletto sono la stessa cosa. Pensare e volere sono la stessa cosa. Siamo
mossi dal nostro istinto di conservazione.
L'etica è ignoranza.
Posso avere pensieri solo attraverso il corpo.
Ogni essere è guidato dall'istinto all'essere (conatus). Il corpo genera passioni: prima
fra tutte è l'immaginazione che è la più bassa delle conoscenze (sopravviviamo
tramite le fantasie tipiche di un bambino: primo genere di conoscenza); viene poi la
scienza che è la conoscenza per cause; il terzo genere di conoscenza è la filosofia, la
saggezza che ci purifica dalle fantasie raggiungendo la purezza dell'amore e della
pietà.
L'uomo forte è colui che non odia. L'uomo forte è colui che non pensa alla morte: la
morte non lo riguarda. Non sta scritto da nessuna parte che si debba essere triste!
Dio è un tutto imperscrutabile. Perfezionare l'intelletto è capire la necessità della
natura. L'uomo ha poca potenza, sa poco della natura e delle sue cause.
Non ci sono certezze. Bisogna però fare di questa povertà di potenza un ricchezza.
So di non sapere: dubito!
La natura non è fatta per noi anche se noi ne siamo parte e riflettiamo su di essa.
Guardiamo con libertà le cause necessarie che ci muovono!
L'odio distrugge e limita.
La vera liberazione è l'accettazione dei propri limiti (ignoranza compresa) … come in
Oriente!
Nessuno sa che cos'è il bene e cos'è il male! Eppure sono ancora concetti assoluti che
condizionano la vita di tutti perché alcuni dicono di sapere …
La voce di Spinoza giunge a noi da lontano e non chiede di essere ascoltata, proprio
per questo sarà sempre attuale.
Per Spinoza verità e felicità sono la stessa cosa.
Noi non possiamo vivere senza il corpo e non esiste aldilà.
Dubitiamo anche del nostro pensiero … soprattutto delle nostre certezze.
572
"Conosci te stesso" di delfica memoria vuol significare conosci la tua limitatezza!
La Natura naturans è come la luce (causa, diremmo noi dualisti) mentre la Natura
naturata è assimilabile ai colori (effetto, diremmo sempre noi dualisti).
Il Dio di Spinoza non è creatore, non ha personalità e non può fare miracoli. Inoltre,
Spinoza considera il concetto di peccato come un sistema di regolazione umana
che non ha niente a che fare con la volontà divina. Per tali motivi, alcuni lo
definiscono ateo.

-STOICISMO *

Zenone e la stoa: si riprende Eraclito e il suo fuoco che governa tutte le cose e lo
ricorda come logos (Dio è il fuoco eterno). Zenone di Cizia negò il soprasensibile (la
seconda navigazione). Determinò la physis in senso materialistico e panteistico (forse
per la prima volta): Dio immanente identificato con il cosmo. Non condivise
l'epicureo mondo (e uomo) atomistico e neppure l'identificazione del bene con il
piacere. Sostituì l'atomo e il piacere con il logos che è principio di verità in logica, è
principio creatore del cosmo in fisica, è principio normativo in etica.
Accettò e stimolò la critica al contrario di Epicuro anche se, come e più di lui,
sostenne la possibilità per l'uomo di raggiungere la verità assoluta (visto che il
logos personale è parte del logos universale anche se si parte da una tabula rasa;
però c'è anche la prolessi la capacità di accogliere gli universali che sono solo
nominali … un vero caos!!!!) e in essa riposare per sempre dimostrandolo a se e agli
altri.
Gli stoici, a differenza degli epicurei, sono teleologici. Predicano un monismo
panteistico e finalistico. Dio è impersonale, panteistico ed è sia physis che logos e
fuoco che divora e rigenera il mondo ogni. Poi aggiungono che l'insieme di tutte le
cose è perfetto perché teleologico.
Emerge per la prima volta la Provvidenza immanente e non è quella di un Dio
personale trascendente.
Aporia fra la potenza del destino onnipotente e la libertà umana (che molto simile a
quella fra il Dio onnipotente e la libertà umana!).
Ducunt volentem fata, nolentem trahunt (Seneca).
Epicuro invece si faceva beffe del destino. Agli stoici interessa il qui e ora non
l'aldilà. Quindi la virtù è premio a se stessa senza aspettative paradisiache. Però il
logos umano è parte del logos divino.

573
La virtù (l'arete umano è la ragione) è il bene per gli stoici mentre per gli epicurei
era il piacere. Bisogna riconoscere come positivo ciò che conserva e incrementa la
vita.
Per gli epicurei le leggi sono convenzioni sociali mentre per gli stoici sono derivano
dalla legge naturale eterna, la mente suprema di dio che comanda e vieta ogni cosa
dice Cicerone (che però dimentica le profonde differenze sia temporali sia spaziali
che contraddistinguono le varie leggi: ciò che era bene prima è male oggi oppure ciò
che è bene a Sparta è male ad Atene).
Gli stoici propugnano il cosmopolitismo basato sulla sostanziale uguaglianza umana.
Le passioni non vanno moderate ma estirpate essendo errori per il freddo logos
(negando la parte irrazionale dell'anima: irascibile e concupiscibile!). Da qui l'apatia
(a-pathos).
Panezio fu un scolarca del medio stoicismo (129 a.c. quando la Grecia è già
protettorato romano) e fu il punto di riferimento sia per Cicerone che Posidonio (gran
viaggiatore che affermava: vivere secondo natura significa seguire la ragione la quale
è della medesima natura del principio che regge l'universo). Rifiutò l'apatia e lodò la
felicità tratta dal fare il proprio dovere (umanesimo dello stoicismo). In questo modo
entrò nella nostra mentalità il concetto di dovere: se hai fatto il tuo dovere sei
felice!
Filone è il primo rappresentante dell'Eclettismo romano e porta il probabile nel
campo positivo. Segue Cicerone che fu il più grande diffusore della filosofia greca a
Roma. Prese da tutte le filosofie tranne che dagli Epicurei. Fece suo il motto di
Filone: la probabilità positiva è alla base della filosofia.
Il fenomenismo di Pirrone e di Enesidemo risolve la realtà nel suo apparire mentre
per Sesto Empirico il fenomeno è una mera affezione del soggetto non conosciuto di
fatto. Egli fa una distinzione fra il fenomeno e l'oggetto sussistente che presuppone la
differenza fra apparire e essere: c'è un oggetto esistente al di la del fenomeno?
L'apparire (soggettivo) dell'oggetto corrisponde al suo essere (oggettivo)?
Per gli stoici (all'inizio materialisti) non esiste il caso ma tutto è determinato: tutto ciò
che accade è già accaduto e accadrà di nuovo infinite volte (ciclo cosmico - eterno
ritorno - apocatastasi).
Dio (la mente infuocata del mondo) non è separato dal mondo (panteismo) e la vita è
buona se in armonia con la natura.
La virtù fine a se stessa è l'unico bene (nec spe nec metu? Sopportazione più che
speranza). Se però tutto è determinato come posso usare la mia volontà libera per
essere virtuoso cioè fuggire le passioni?
574
Epitteto: recita la parte che ti è stata assegnata nel modo migliore possibile.
Marc'Aurelio: considera di frequente la connessione fra tutte le cose dell'universo,
tutte le cose vengono date (DIO-natura), sono in te e ritornano a te.
-STORIA e storie**
Dice lo storico contemporaneo Gentile che l'unica costante della storia umana è
la stupidità. Ricordiamo che pure Einstein asseriva: "Due cose sono infinite:
luniverso e la stupidità umana, ma riguardo all'universo ho ancora dei dubbi".
Nietzsche parla del ruolo della conoscenza umana nella lotta per la sopravvivenza e
sostiene che alcuni degli errori prodotti dal nostro intelletto per immensi periodi di
tempo si dimostrarono utili perché atti alla conservazione della specie. Tali erronei
articoli di fede, che furono sempre ulteriormente tramandati e divennero infine quasi
il contenuto specifico e basilare dell'umanità, sono, per esempio, questi: che esistono
cose durevoli, che esistono cose uguali, che una cosa sia quella che essa appare,
che il nostro volere sia libero, che quanto per me è bene lo sia anche in sé e per
sé. James aggiunge all'elenco di questi idoli eterni anche le menti, i corpi, il tempo e
lo spazio, il soggetto, la causa, il reale e l'immaginario.

Alcuni segni astratti raffiguranti animali, cose, frecce, persone o ornamenti emergono
dal paleolitico inferiore dal 300.000 al 100.000 a.C. circa.
Un elemento fondamentale della storia umana e della sua evoluzione fu la
transizione dal matriarcato neolitico (10.000 a.c.) al patriarcato con tutte le
conseguenze storico-sociali che produsse. Il matriarcato era strettamente connesso a
una convivenza pacifica sia all'interno dei vari gruppi sociali che nei rapporti fra di
essi. Secondo i lignaggi matrilineari la filosofia era di stampo animistico -
sciamanico legata al culto di Madre Terra. Siamo nel mondo di Psiche! A questo
segui il mondo di Techne: ossia il popolo che originariamente non concepiva alcuna
dimensione spirituale ma che era legato ad un culto solare, patriarcale e
patrilineare, dotato di unʼideologia non-egualitaria e virile, bellicoso ma sopratutto
grande domatore di cavalli, allevatore di bestiame e costruttore di arnesi pratici, il che
li rendeva grandi navigatori ed esperti di fortificazioni. (Divino)

Fino a 10.000 anni fa circa sembra non esistessero le guerre. Questo afferma Rovelli
in base ale sue letture. La guerra sarebbe stata originata dal passaggio dal nomadismo
all'agricoltura. Infatti i primi scontri sarebbero sorti per raziare le provviste
immagazzinate come scorte. I primi ritrovamenti archeologici parrebbero confermare
questa datazione. In Africa, sulle rive del lago Turkana, in zona molto fertile, sono
stati trovati resti umani risalenti a 10.000 anni orsono. Questi scheletri portano
evidenti segni di morte violenta causata da armi quali lancie e frecce. La guerra era
cominciata.
575
Da sottolineare anche che nel VII/VI millennio prima di cristo alcune popolazioni
matriarcali del neolitico svilupparono una pre? - scrittura (che parrebbe fonetica)
nelle regioni danubiane: scrittura Vinca-Turdas (non decifrata).

Una importante corrente di studiosi pensa che i biondi achei che conquistarono la
Grecia fossero degli scandinavi e che Iliade e Odissea fossero in realtà ambientate in
Scandinavia e non in Grecia - Turchia. Dunque i nordici biondi, barbari e patriarcali
si sarebbero portati appresso le loro saghe, i loro miti mentre occupavano
militarmente zone a impianto matriarcale.

La scimmia pensante che noi siamo è in grado di pensare se stessa ma resta


comunque radicata alla sua animalità e al coacervo dei suoi istinti. Da quando il
nostro lontano antenato si eresse sulle zampe posteriori e poté sollevare la testa verso
il cielo stellato, quell'evoluzione coincise con una moltiplicazione prodigiosa delle
cellule cerebrali, della rete neuronale che le avvolge e le collega e con la formazione
di mappe con funzioni specializzate. Questa specializzazione ebbe un costo tutt'altro
che trascurabile; la comparsa della mente riflessiva comportò infatti l'indebolimento o
addirittura l'estinzione di alcune facoltà percettive e anche di alcune forme di
socialità che consentirono una maggiore autonomia dell'individuo. Le mappe della
memoria acquistarono una funzione primaria declinando in modo del tutto nuovo
l'approccio al transito del presente, all'irruenza del futuro e al ricordo continuo ma
continuamente cangiante del passato. A questo punto sul nostro schermo mentale
apparve la figura della morte e la tremenda necessità che la nostra esistenza avesse
un senso. L'uomo non può vivere neppure un istante senza l'invenzione
consolatoria d'un senso, senza una cometa che gli indichi un percorso, senza un
tema che organizzi l'affollarsi altrimenti disordinato dei pensieri. Così nacquero i
valori, così l'individuo acquistò la sua preminenza, così la cultura, cioè la chiave
musicale della mente, è diventata l'elemento coesivo delle comunità. E così è nata la
più stupefacente invenzione creativa della nostra specie: gli dei e il concetto stesso
del divino, anzi del sacro con tutti i suoi misteri che ci spaventano e ci rassicurano.
Così infine l'arte ha interpretato la natura, ne ha raccontato i mutamenti, spesso li ha
preceduti guidata dalla necessità di costruire a getto continuo ipotesi consolatorie,
riempiendo di senso la nostra esistenza di animali. (Scalfari)

La storia è un percorso di salvazione, di redenzione oppure è un contesto di


sopraffazione ove i più forti fagocitano i più deboli?

La storia insegna che si è sempre posposto le sofferenze delle moltitudini ai progetti


di potenza di regni e repubbliche, potentati economici e religiosi.

Popper dice che un senso della storia non esiste. Il corso della storia è imprevedibile.
576
Forse l’uomo si è illuso di essersi liberato da antichissime paure, forse l’uomo è
cresciuto troppo in fretta. Potremmo pensare anche che il problema potrebbe
consistere nella velocità stessa dello sviluppo della civiltà; abbiamo scoperto che
questo stesso sviluppo non solo possiede limiti intrinseci, ma anche deve riuscire a
porseli, nonostante essi non appaiano evidenti ed inevitabili. Dai grandi massacri, dai
genocidi, che sembrano continuare a ripetersi nonostante gli insegnamenti della
storia, insegnamenti che sembrano vani, si è passati ai grandi disastri che vedono
come protagonista l’ambiente naturale in cui vive l’uomo; il modo della civiltà
dell’uomo sembra ormai basata soprattutto sullo sfruttamento e sulla manipolazione
senza alcun limite della cosa/ente e del suo ambiente. Il problema sembra essere il
chiudersi e l’isolarsi dell’uomo in forme di verità che vengono rese assolute in quanto
assunte acriticamente, escludendo la possibilità del confronto, della discussione
critica, del rispetto reciproco. (Maffiotti)

La Storia è una discarica piena di coloro che erano certi di essere dalla Parte Giusta
ma hanno però generato solo catastrofi e morti … Gott mit uns! "Loro sono morti, e
vogliamo vederli tutti nella tomba! Io vedo questa sufficienza borghese nel giudicare
il nostro movimento […] mi hanno proposto un’alleanza. Così ragionano! Ancora
non hanno capito di avere a che fare con un movimento completamente differente da
un partito politico […] noi resisteremo a qualsiasi pressione che ci venga fatta. È un
movimento che non può essere fermato […] non capiscono che questo movimento è
tenuto insieme da una forza inarrestabile che non può essere distrutta […] noi non
siamo un partito, rappresentiamo l’intero popolo, un popolo nuovo […]. (Hitler)

La storia della nostra vita va forse letta a ritroso... visto che partendo dall'inizio non
pare avere molto senso. Se invece potessimo partire dalla fine... potrebbe, forse
averne di più!
L'uomo resta una delle specie più violente del pianeta, né più né meno di quanto era
ai suoi albori come specie, tra 160 e 200mila anni fa. Con uno studio che sembra dare
ragione a Hobbes, un gruppo di biologi dell'università di Grenada ha cercato di
rispondere alla domanda: da dove viene la nostra violenza? Se la sua origine sia
culturale o ancestrale è infatti un tema da sempre dibattuto fra gli antropologi. E qui
anche Rousseau sembra avere la sua parte di ragione, rispetto a Hobbes. In età
preistorica le morti violente erano il 2% del totale. Le tracce più antiche di una
guerra fra uomini risalgono a 10mila anni fa. Nel 2012 a Nataruk, in Kenya,
vennero ritrovati i resti di 21 adulti e 6 bambini massacrati in una cruenta battaglia fra
una tribù di cacciatori (gli uccisori) e una tribù di raccoglitori (gli uccisi).
La situazione non è migliorata nei secoli successivi, con un picco negativo tra 1.200 e
577
1.500. Nel medioevo si raggiunse il cupo record del 25% di morti violente. Ma da
quel momento in poi la situazione è tornata a migliorare. Oggi abbiamo recuperato
l'"innocenza" dell'uomo primitivo (il tasso di violenza attuale è tornato al 2%). Ma
gli stati stabili con una polizia efficiente arrivano anche allo 0,8-1%. Segno che la
cultura, a volte, può avere la meglio sui nostri istinti da lupi (anzi, da scimpanzé). E
che forse non ha torto nemmeno Steven Pinker, psicologo di Harvard autore nel 2011
de libro "Il declino della violenza: quella che stiamo vivendo è probabilmente l'epoca
più pacifica della storia". Non dimentichiamo però che la seconda guerra mondiale ha
provocato ben decine e decine di milioni di morti in tutto il mondo.
Un'alba struggente! Prima un cielo blu cobalto trapuntato i stelle scintillanti. Poi
bagliori rosati a oriente seguiti da una pioggia di luce dorata. Ed ecco spuntare il sole
rosso all'orizzonte. Lucy era serena quel mattino di tre milioni di anni fa.
Cupi echi di tuoni in lontananza. Dense nuvole nere cariche di pioggia. Lampi
accecanti a squarciare il cielo. Vento caldo ed elettrico da sud. … L'odio tracimò
nella testa di Caino e lui colpì, colpì con ira sempre crescente …
Cinquantamila anni fa i due si sono incontrati:da una parte l'uomo di Neandertal
istintivo ed emotivo, dall'altra l'uomo Sapiens Sapiens logico e dominante …
Era un giovane sciamano e aveva un grande amore. Da uno dei suoi viaggi nell'aldilà
però non tornò. Lei allora, abbracciandolo, lo seguì in quel mondo sconosciuto. Dopo
seimila anni li hanno trovati ancora abbracciati … a Mantova!
A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso è stata sfatata definitivamente la
teoria della cosiddetta “invasione ariana in India”, mediante la quale gli studiosi
europei volevano a tutti i costi provare che alcune popolazioni europee (caucasiche)
avessero invaso l’India verso il 1.500 a.C. e dato inizio alla cultura sanscrita,
costringendo le popolazioni dravida a fuggire nel Sud dell’immenso subcontinente.
Gli scavi dimostrano che non ci fu alcuna invasione, mentre gli unici segnali di una
possibile migrazione, sono da rintracciarsi in direzione del bacino gangetico, proprio
per permettere alle popolazioni dell’Indo-Sarasvati di sfuggire al prosciugamento del
fiume Sarasvati e, conseguentemente, di cercare aree abitabili e floride.
Fino a non molto tempo fa sembrava che i sudditi di Akhenaton (Amenofi IV)
fossero gli unici a non essersi pronunciati sulla sua eredità. Molti altri si sono profusi
in commenti sul faraone che regnò all’incirca dal 1353 al 1336 a.C. e tentò di
trasformare la religione, l’arte e l’amministrazione dell’Antico Egitto. I suoi
successori furono piuttosto critici con il suo governo. Persino Tutankhamon (suo
figlio) emanò un editto in cui deplorava le condizioni di vita sotto il padre: “Il paese
era nella confusione e gli dei avevano abbandonato questo paese”. Durante la dinastia
successiva, Akhenaton venne descritto come “il criminale” e “il ribelle” e i faraoni
578
distrussero statue e decorazioni con la sua effigie nel tentativo di rimuoverlo
completamente dalla storia. L’opinione sul faraone cambiò radicalmente in tempi più
moderni, quando Akhenaton fu riscoperto dagli archeologi. Nel 1905 l’egittologo
James Henry Breasted lo definì «il primo individuo nella storia dell’umanità». Per
Breasted e molti altri fu un rivoluzionario portatore di idee molto avanzate, tra cui il
concetto di monoteismo. L’esiguità della documentazione archeologica, d’altra
parte, è sempre stata tale da consentire un certo esercizio creativo nella ricostruzione
del personaggio. Nella sua monografia su Akhenaton, il cui eloquente sottotitolo
recitava Storia, fantasia e antico Egitto, Dominic Montserrat sottolineava la nostra
tendenza a servirci di evidenze anche non collegate fra loro per costruire un racconto
dell’antichità che risulti significativo per il nostro mondo. Lo facciamo, scriveva,
“per fare in modo che il passato faccia da specchio al presente”. In epoca moderna
questo specchio ha riflesso quasi tutte le identità immaginabili di Akhenaton. Il
faraone è stato ritratto come un proto-cristiano, un ambientalista amante della pace,
un omosessuale dichiarato e orgoglioso e un dittatore totalitario. La sua figura è stata
celebrata con entusiasmo tanto dai nazisti quanto dal movimento afrocentrista. Il
faraone compare nelle opere di Thomas Mann, Naguib Mahfouz e Frida Kahlo.
Sigmund Freud arrivò persino a svenire durante un’accesa discussione con lo
psichiatra svizzero Carl Gustav Jung sul fatto che il faraone nutrisse un amore
eccessivo per la madre. Gli archeologi hanno sempre tentato di contrastare simili
interpretazioni senza purtroppo disporre di alcuni pezzi chiave del puzzle.
Rivisitiamo la storia - leggenda di Romolo e Remo. Romolo attua il passaggio da
pastore ad agricoltore. Infatti Romolo impugna l'aratro e traccia il solco delle mura
della città. Remo invece, essendo ancora pastore, non riconosce il solco, il recinto. E
viene ucciso. Un cambiamento epocale! La cosi detta rivoluzione neolitica allorchè
l'invenzione dell'agricoltura pose le basi della stanzialità confliggendo con il
nomadismo pastorale. Ma attenzione! Anche Caino fu un costruttore di città: Genesi
4,16-17.

I beni intellettuali (quale è filosofia) sono altrettanto costosi di quelli materiali.


Dipendono dalle condizioni economiche: l'Atene di Pericle permise il benessere
necessario per poter sviluppare la filosofia ad Atene.
La medicina moderna risale a Ippocrate (400 a.C.). Proveniva dalla scuola degli
Asclepiadi, che avevano fondato in Grecia, in varie epoche, centri di cure ove i
sacerdoti guarivano con rituali e il canto magico (mantra e suoni primordiali usati
nella medicina ayurvedica). Pur non rinnegandoli, egli ruppe con quella tradizione di
sacerdoti - medici e si mise a considerare le malattie di per sé, fuori dal contesto
religioso. Secondo l’evoluzione della malattia, egli prescriveva questa o quella cura.
579
Questo metodo è praticato ancor oggi. Si cura la malattia non il malato, scelta
logica razionale. Così facendo ci si è però persi per strada tutto il pregresso mitico
religioso con la sua carica energetica? Si dimentica l'armonia globale, il tutto,
l'olon per occuparsi solo della parte malata: il cuore, il fegato o quant'altro.
Asoka, sovrano della dinastia Maurya, regnò sull'India per più di trent'anninel III
secolo a.C. (272-236). Asoka si rese celebre per aver diretto, nelle regioni dell'India
sud orientale, una sanguinosa campagna militare contro lo stato di Kalinga, che fece
centomila vittime e ridusse in schiavitù centocinquantamila persone. Poi entrò in una
profonda crisi, si fece buddista e divenne un sovrano molto illuminato.
"Noli turbare circolos meos" dice Archimede (287 a.c.) mentre il rozzo soldato
romano lo sta uccidendo. A quei tempi i romani erano rozzi nei confronti dei greci …
I maccabei salvarono l'ebraismo dall'annientamento voluto dal seleucida Antioco IV
che voleva, nel 175 a.c., ellenizzare Gerusalemme. In tal modo poterono sorgere
cristianesimo e islamismo.
Un testo scritto in pali (dialetto indiano) del II secolo a. C. è di grande importanza
storica e dottrinale. Storica perché si parla di Milinda che è il nome indianizzato di
Menandro, sovrano del Punjab, sesto successore di Demetrio fondatore di un regno
indo-greco nel 175 a. C., il che dimostra l'esistenza di importanti legami fra le due
culture. Dal punto di vista dottrinale l'importanza consiste nel fatto che vi si riportano
gli insegnamenti del Buddha come, per esempio, la consistenza condizionata e
impermanente dell'idetità personale.
Nel De bello gallico, Cesare racconta dei desiderantes. Erano soldati un po’
acciaccati che la sera di un giorno di battaglia aspettavano sotto le stelle i loro
compagni che dovevano tornare dalla guerra. Mi è sempre piaciuta quest’immagine
di guerrieri in attesa dei morti e dei vivi, del computo della virtù e della sorte. Virtù e
sorte insieme, bello. Così come sempre mi è piaciuto l’etimo della parola de-siderio:
dalle stelle. Da lì arriviamo ci ha spiegato la tecnologia molto dopo, ma il linguaggio
ovviamente già lo sapeva — altrimenti, direbbe il mio maestro, la scienza non
sarebbe mai potuta arrivare a dimostrarlo, se non fosse già stato implicito nella parola
originaria. Altro punto segnato per noi, e il nostro più grande desiderio non è che
tornarci: alle stelle.
L'impero romano distrusse il tempio di Gerusalemme due volte: nel 70 ad opera delle
milizie di Tito e nel 135 quando, per ordine di Adriano, l'intera città venne rasa al
suolo. Mai però si parla di Gesù: i romani combattevano gli ebrei e gli ebrei
combattevano i romani. Nessuno faceva cenno a Gesù.

580
Chi era veramente l'evangelista chiamato Giovanni? Egli non dice il suo nome. Il
quarto vangelo, a lui attribuito, è forse opera di più persone che lo hanno scritto in
tempi diversi. Si dice suoi seguaci. O, forse, magari seguaci di Maddalena?
Nel 325 Costantino, da imperatore, convoca e presiede il concilio di Nicea per
stabilire la relazione tra Gesù e Dio padre in assenza del papa o di chi per esso. Si
apre così il periodo dei dogmi, elle eresie e delle scomuniche. Da questo concilio ( e
da quello di Costantinopoli nel 381) esce il Credo attualmente proclamato.
Nel medioevo iniziò l'abitudine di chiamare il proprietario terriero con l'appellativo di
SIGNORE che è un termine che non implica solo l'idea della proprietà della terra ma
anche di una superiorità sugli altri. Si aggiunga poi che anche nelle preghiere si parla
spesso del SIGNORE e la sovrapposizione fra il rispetto dovuto al padrone e quello
dovuto alla religione è perfetto. Sempre di un superiore si tratta! Sempre nello
stesso periodo medioevale e sempre approfittando del titolo di SIGNORE, i contadini
furono privati di parte degli spazi incolti comuni nei quali, fino ad allora, tutti i
membri della comunità del villaggio avevano potuto cacciare, raccogliere frutti o
legna, pascolare animali. Il tutto a vantaggio del SIGNORE che vi stabilì la sua
riserva.
Si crede che, intorno all'anno 650, ci fossero in Italia solo poco più di due milioni di
abitanti. Ricordiamo che la sola Roma imperiale del secondo secolo dopo Cristo
aveva circa un milione e mezzo di abitanti. Poi, dopo l'ennesimo sacco del 1527 da
parte dei Lanzichenecchi (mandati da Lutero?), la popolazione di Roma si ridusse a
soli 40.000 abitanti quasi come ai tempi degli etruschi.
Alarico nel 410 saccheggia Roma (da alleato!) e poi muore quasi subito. Quando
Attila (uno come tanti e non il flagello di Dio), nel 452, cerca di marciare su Roma
viene, forse, fermato da papa Leone che gli fa presente la maledizione su Alarico
(oppure lo paga?).
Già nel 396 Girolamo aveva identificato le invasioni barbariche come un castigo
divino: «Se i barbari sono forti», aveva scritto, «è per i nostri peccati, ed è a causa dei
nostri vizi che l'esercito romano subisce sconfitte. E disgraziati noi che ci rendiamo
così poco accetti a Dio, la sua ira si abbatte su di noi attraverso la violenza dei
barbari». Dopo la devastazione di Roma da parte di Alarico (410), Agostino aveva
aggiunto: «La pazienza di Dio invita i cattivi al ravvedimento, come il flagello di Dio
(flagellum Dei ) istruisce i buoni alla pazienza».
Quella di Leone Magno che ferma Attila va, forse, considerata una leggenda o una
storia molto ingigantita rispetto a quel che accadde davvero. In ogni caso nacque a
quel tempo il mito del «flagello di Dio» piegato da una Chiesa disarmata. Uno dei più
grandi miti di tutti tempi. Un mito coevo di Attila che, non dimentichiamolo, era un
581
alleato dell'impero romano finche questo rispettò i patti versando l'obolo in oro
previsto. Attila, probabilmente, era semplicemente uno dei tanti capi barbarici
federati all'impero senza particolare ferocia: pare avesse addirittura un bagno in
muratura in casa!
Uno scrittore del sesto secolo, Salviano di Marsiglia, racconta che nella sua zona vi
erano religiosi che terrorizzavano i contadini minacciando l'inferno se non avessero
ceduto le loro terre agli enti religiosi.
La presunta famosa battaglia di Poitiers del 732 fu, in realtà una semplice
scaramuccia amplificata dalla leggenda. Carlo Martello non inchiodò gli arabi.
Ugualmente divenne il simbolo della resistenza cristiana ai mussulmani.
Baghdad è una città islamica costruita in pochi anni (fra il 762 e il 767) fra il Tigri e
L'Eufrate. Ha pianta circolare. Fu, fin da subito, una città cosmopolita come lo era
stata Alessandria d'Egitto. Come quest'ultima, anche Baghdad fu un luogo di grande
cultura. Se Alessandria aveva avuto il Museo e la grande Biblioteca, Baghdad ebbe la
Casa del Sapere dove venivano tradotti i libri provenienti dai paesi più diversi e
lontani. Bisognava conoscere greco, sanscrito, latino, ebraico, aramaico, siriaco,
copto. L'importanza dei libri era grandissima al punto scambiare prigionieri bizantini
contro preziosi libri provenienti da Costantinopoli. Nel 1258 Baghdad però, la
prestigiosa capitale d'Oriente, cadde sotto i colpi dei mongoli capitanati da Hulago
Khan. La Casa del Sapere fu incendiata e la grande cultura andò persa. Proprio come
era avvenuto ad Alessandria d'Egitto: dal 46 a.c. fino alla conquista araba del 642, da
Cesare fino al califfo Omar passando per il cristiano Teodosio. Tutti hanno dato il
loro contributo di protervia e di imbecillità.
Nel giorno di Natale dell'800 Carlomagno fu incoronato imperatore del sacro romano
impero da Leone III (personaggio molto enigmatico assolto dalle sue bassezze dallo
stesso Carlomagno). Puro atto di propaganda che doveva rafforzare sia il presunto
imperatore che la chiesa la quale aveva ricevuto, dal padre Pipino, le terre del centro
Italia (il cosi detto patrimonio di San Pietro) sottratte a Costantinopoli.
Da rimarcare che la chiesa aveva ostentato una donazione di terre da parte di
Costantino (altro bel personaggio da studiare a fondo per le sue nefandezze). Tale
donazione costantiniana fu poi smentita sia da Lorenzo Valla che da Nicolò Cusano
(due uomini interni alla chiesa!)
Da sottolineare anche che i meriti religiosi di Carlomagno furono quelli di aver anche
convertito, per primo, i sassoni. Vediamo un po' come: tre decenni di durissime
campagne militari accompagnate da esecuzioni e deportazioni. Cristianizzazione
forzata ottenuta con le armi e con le stragi.

582
Fra Carlomagno e il califfo Harun-al Rashid non c'è dubbio che sarebbe stato il primo
ad apparire come il re di un regno nel fondo ancora barbarico di fronte al signore di
un popolo di raffinata e colta civiltà.
Innocenzo III rilanciò le crociate e definì giusta ogni guerra combattuta in nome
della chiesa. Da questa scelta scaturirono (oltre alla nefasta istituzione
dell'Inquisizione chiamata anche e ancora Santa) tre misfatti clamorosi: il sacco della
cristiana Costantinopoli nel 1204, il massacro degli albigesi nel 1209 e, infine, la
strage di Las Navas ove vennero uccisi 60.000 mussulmani. Partiamo dal Sacco di
Costantinopoli. I crociati erano partiti per liberare Gerusalemme dai mussulmani ma
finirono per depredare una città santuario compiendo sacrilegi, uccidere altri cristiani
e violentare donne. Poi, per giustificarsi, dissero che erano stati premiati da Dio con
quel grande bottino (compresi i cavalli di piazza San Marco). Passiamo al massacro
degli Albigesi. Loro si consideravano cristiani anche se rifiutavano la proprietà
privata, la guerra e il potere (soprattutto quello della Chiesa di Roma). La crociata
contro di loro fu una carneficina nonché una guerra di rapina.
Montagne di nuvole bianche si stavano accalcando all'orizzonte sospinte dal vento
mentre il sole del tramonto indorava i loro profili. Montezuma intuì che, dal mare di
levante, erano in arrivo gli attesi Dei …
Cabeza de vaca era partito nel 1527 per conquistare le nuove terre delle americhe. Era
però naufragato. Gli indigeni lo avevano salvato e curato facendone poi il loro
sciamano. E Cabeza si era immedesimato nella parte a tal punto da guarire veramente
i nativi che, riconoscenti, lo adoravano.
Il 25 settembre 1555 Ferdinando d'Asburgo stipulò un trattato con i principi
protestanti facenti parte della Lega di Smalcalda, chiamata Pace di Augusta, detta
anche pace di religione. Questa pace sanciva ufficialmente la divisione di fatto della
Germania tra cattolici e luterani, e prevedeva principalmente:

 l'obbligo per i sudditi di seguire la confessione religiosa del proprio


sovrano.
In precedenza tutti i cristiani europei erano uniti da una sola fede, da riti comuni e da
una comune obbedienza alla Chiesa di Roma. I sovrani potevano farsi guerra ma i
sudditi erano quasi tutti (tranne per alcuni gruppi minori ed emarginati) cattolici.
Inoltre, Carlo V aveva già effettuato una sentenza provvisoria sulla questione
religiosa nel 1548, firmando con i protestanti l'interim di Augusta. Adesso si
imponeva, invece, una nuova realtà: i sudditi dovevano seguire la confessione del
loro sovrano, con la conseguenza che molte volte dovettero passare da una religione
ad un'altra in rapporto al succedersi dei sovrani.

583
 ciò comportò, quindi, l'istituzione del principio “cuius regio eius religio” (cioè
"Di chi è la regione, di lui si segua la religione").
Domanda: è il famoso e decantato libero arbitrio che fine fa?
Le vicende processuali di Pomponio Algieri e Giordano Bruno furono scandite dalle
stesse tappe: l’arresto nel territorio della Serenissima, l’estradizione concessa su
istanza di Roma, con lo stesso pretesto di non essere, i due, sudditi veneti. La furia
con cui la «vorace lupa romana» si avventò sulle carni del giovane studente e del
filosofo dei mondi infiniti lascia davvero interdetti. Possibile che non si rendesse
conto di creare, in questo modo, due fulgidi esempi di martiri, che pesano tuttora
come macigni sulla sua coscienza? L’uno talmente grande da essere accolto nel
Gotha del martirologio protestante, l’altro vittima sacrificale sull’altare del libero
pensiero. Entrambi, pur con intonazioni diverse, dimostrano di essere pienamente
consapevoli della propria scelta. Subito dopo la lettura della sentenza, Algieri prende
commiato così dai suoi giudici: «Questo è quello che ho sempre dimandato dal mio
Signor. Vivat Dominus meum in aeternum»; mentre Bruno pronuncia il suo famoso:
«Forse, avete più paura voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’accoglierla».

Nel 1828, a Varallo Sesia, veniva massacrata una donna di 64 anni detta la Stria
Gatina perché ritenuta una strega.
Con Pio IX il papa diviene infallibile e la Madonna vergine tramite il concilio
vaticano primo nel 1869.
-SUTRA DEL CUORE**
Ogni forma è vuota di autoconsistenza (anatta) mentre il vuoto, la vacuità è
condizione di possibilità di ogni forma.
(Kushan, quarto secolo dopo Cristo. Shariputra chiede a Avalokita, alla presenza del Buddha stesso in meditazione, come si possa fare esercizio della
pratica della perfezione della saggezza= prajna paramita )

Oh Shariputra, la forma è vacuità, la vacuità è forma; (dottrina della vacuità: sunyata)


ciò che è forma è vuoto, ciò che è vuoto è forma; cioè a dire che la forma è anatta!
lo stesso è per sensazione, percezione, discriminazione e coscienza.
Tutte le cose sono vuote apparizioni(tutti i dharma sono vuoti), Shariputra.
Non sono nate, non sono distrutte, non sono macchiate, non sono pure; 
non aumentano e non decrescono.
Perciò nella vacuità non c'è forma né sensazione, né percezione, né
discriminazione, né coscienza; 
Non ci sono occhi né orecchi, naso, lingua, corpo, mente;
Non ci sono forma né suono, odore, gusto, tatto, oggetti;
né c'è un regno del vedere,
e così via fino ad arrivare a nessun regno della coscienza;
non vi è conoscenza, né ignoranza,
584
né fine della conoscenza, né fine dell'ignoranza,
e così via fino ad arrivare a né vecchiaia né morte;
né estinzione di vecchiaia e morte;
non c'è sofferenza, karma, estinzione, via; (vengono negate le quattro nobili verità!
Nulla, neppure ciò che è ritenuto più sacro, possiede un'esistenza intrinseca)
non c'è saggezza né realizzazione.
Dal momento che non si ha nulla da conseguire, si è un bodhisattva.
Poiché ci si è interamente affidati alla prajna paramita,
la mente non conosce ostacoli;
dal momento che la mente non conosce ostacoli
non si conosce la paura, si è oltre il pensiero illusorio,
e si raggiunge il Nirvana.
Poiché tutti i Buddha
del passato, del presente e del futuro
si affidano interamente alla prajna paramita, conseguono la suprema illuminazione.
Sappi dunque che la prajna paramita è il grande mantra, 
il mantra più alto,
il mantra supremo e incomparabile,
capace di placare ogni sofferenza.
Ciò è vero.
Non è falso.
Perciò io recito il mantra della prajna paramita, 
Che dice:
Gate, gate, paragate, parasamgate, bodhi, svaha!
("andate, andate, andate insieme all'altra sponda, completamente sull'altra sponda,
benvenuto risveglio!" Oppure "andato, andato, andato oltre, completamente andato
oltre. Omaggio all'illuminazione!")

-SUTRA DEL DIAMANTE**


(bodhisatva, sunyata, prajnaparamita; il diamante che recide l'illusione; stampato in Korea nel 750 quindi ben prima di Gutenberg) (dialogo fra
Buddha e Subhuti)

Così udii una volta.


Subhūti domandò quale sia la pratica che deve seguire una persona che volesse
perseguire la via del bodhisattva. A questo punto il Buddha rispose che il
bodhisattva doveva porsi come obiettivo la liberazione di tutti gli esseri: i "nati
da uovo, nati da un utero [...] con o senza forma; dotati di percezione, privi di
percezione e privi sia di percezione che di non-percezione". (farò in modo che tutti costoro
passino completamente oltre il dolore. Benché un numero illimitato di esseri senzienti sia stato guidato in tal modo a
passare completamente oltre il dolore, nessun essere senziente è stato guidato a passare completamente oltre il dolore
anche perchè tutti gli esseri senzienti non esistono)

585
« Perché? Perché se in un bodhisattva dovesse intervenire la nozione di "essere" egli
non potrebbe venire chiamato un "essere di Bodhi [bodhisattva]". E perché? Non si
dovrà chiamare un "essere di Bodhi [bodhisattva]" colui nel quale interviene la
nozione di un io o di un essere, o la nozione di un'anima vivente o di una persona »

Il senso è che solo a partire dalla Perfezione della Saggezza, la Prajñāpāramitā,


dalla posizione di chi ha annullato le distinzioni, che la pratica della via del
bodhisattva diventa possibile, diventando un donatore che dona senza percepire sia
il fatto di essere un donatore sia l'atto stesso del dono.
Da questo punto del testo in poi è il Buddha che pone domande secche a Subhūti che
risponde sempre prontamente. Quindi passa a negare l'esistenza intrinseca della
stessa realtà della Liberazione, che non può essere né un dharma  né un non-
dharma. L'insegnamento stesso del Buddha, il Dharma, pur producendo immensi
meriti, non può essere considerato né entità né non-entità, e come tale non può essere
dato o preso nel piano della Prajñāpāramitā. (bisogna abbandonare sia il dharma-dottrina
che il bodhi-illuminazione perché lo stesso reale cumulo di merito è non-cumulo.)
« Pertanto, Subhūti, il bodhisattva, il grande essere, dovrà produrre un pensiero non-
sostenuto, vale a dire un pensiero che in nessun luogo sia sostenuto, un pensiero non
sostenuto da vista, suoni, odori, gusto, oggetti-del-tatto o oggetti-della-mente [un
pensiero che non sia sostenuto da non-vista, non-suoni, non-odori, non-gusto, non-
oggetti-del-tatto né non-oggetti-della-mente] »

È quindi solo nell'ambito del pensiero che non è prodotto come oggetto della mente
che la Perfezione della Saggezza può esplicitarsi appieno, in un livello diverso dal
ragionamento discorsivo, ma non da questo separato, infatti viene decisamente
negata l'esistenza indipendente di una "più alta e più completa mente risvegliata".
L'universo che viene descritto nel prosieguo del testo come smisurato (di tanti mondi
quanti i granelli di sabbia di tutti i Gange se questi fossero tanti fiumi quanti i granelli
di sabbia del Gange), pur tuttavia ciascun luogo diventa una Terra Pura se solo
quattro versi della Prajñāpāramitā vengono recitati.

T
-TAO**
Il Tao che  può essere detto non è il Tao.
L’uomo è simile a un dormiente che non scorge la natura onirica della sua
esperienza. Designificare il reale, togliendovi la sostanzialità che il fondamento

586
ontologico della verità gli attribuirebbe, vuol dire attingere al risveglio (dao),
scorgendo la realtà nel suo essere semplicemente priva di senso.

Il Sentiero Finale è privo di difficoltà: privo di quelle difficoltà che la mente incontra
finché è all’opera nell’attività analitica del suo distinguere il bene dal male,
ricercando con dolore irrimediabile il primo per evitare il secondo.
Il mondo ebbe un principio che fu la madre del mondo.
Lao zi ( Lao tzu, Lao tze: presunto autore del Tao Te Ching) significa letteralmente
vecchio bambino. Il massimo della saggezza, infatti, consiste nel riconquistare lo
stato originario di assoluta naturalezza e spontaneità.
Per l'Occidente la morte è "il sonno eterno" mentre per il Tao orientale è "il
gran risveglio"! Anche la morte è cambiamento, continuo cambiamento come il
tao! L'energia si personifica e poi ritorna energia.
Il Tao è l'ordine immanente alla natura (o presunto tale!) e non suo creatore e
signore. Non è un assoluto trascendente o una divinità separata dal mondo. Non esiste
infatti, nel taoismo, una anima umana che anela a Dio.
Il taoismo sembra essere di derivazione sciamanica mentre il confucianesimo è di
origine logico pratica.
Nel Tao si cerca di raggiungere l'armonia (chi cerca?), l'unione completa con
l'essenza del mondo, della natura, dell'universo che è appunto il Tao stesso (non
duale). Il raggiungimento di questa armonia è la vera felicità dell'uomo saggio che ha
compreso che ogni cosa è strettamente connessa con l'Universo intero cioè il Tao.
La felicità non va quindi cercata essendo solo una conseguenza: la conseguenza
della raggiunta armonia.
Il Tao ha la qualità di una condizione di possibilità: infatti, come vuoto, è condizione
di possibilità degli oggetti-eventi.
Yin e yang è il prototipo di ogni rapporto oppositivo. Amore e odio si danno a
vicenda così come il giorno e la notte. Il principio è la fine di qualche cosa mentre la
fine è il principio di qualcosa di altro. Il pieno e il vuoto: quando uno ha principio
l'altro ha fine.
Tao è la qualità attiva di ogni agire spontaneo. Non agendo, non esiste niente che non
si faccia.
Il Tao è la capacità di ogni cosa di essere se stessa. Non è una cosa, non è un
concetto.

587
E' la condizione di esistenza di ogni possibile connessione e, quindi, di ogni
relazione.
Il tao è uno e molteplice insieme, è universale e particolare insieme, è trascendente e
immanente insieme.
Il Tao è l'Energia che sostiene il mondo intero dall'interno.
Il grande tao come condizione di possibilità di ciascuno dei tao particolari. Da ciò
consegue il mistero della relazione fra piccoli e grande tao.
Tao è in tutte le cose ma non è identico con gli esseri perché non è differenziato né
limitato. (Chuang Tzu)
Tao è in ciò che vedi. Ma ciò che vedi non è Tao.
Essere e non essere sono, in realtà, Tao. Ciò che noi chiamiamo Essere, in realtà
non è, e ciò che chiamiamo Non Essere, è. (Borel)
Il vero Tao non può essere detto. Ma se proprio lo vogliamo dire con una sola parola
questa è madre.
Il Tao è uno e ciò che è uno non ha antitesi.
Compiere senza saper perché: ecco il tao! (non ci sono le risposte ultime!)
La gran via è piana ma la gente preferisce ripidi sentieri.
Psychè (natura in greco) e Ch'i (taoista) rappresentano il respiro, l'energia, il campo
vitale.
Il tao ci insegna ad essere noi stessi come la radice delle cose lo è: senza agire e senza
non agire, così il mondo si strutturerà da sé!
Nessuno sarà bandito da Tao per l'eternità, poiché tutti recano Tao in se stessi. I loro
peccati sono illusori come i vapori della bruma. Come hai potuto credere che i peccati
degli uomini avrebbero resistito al Tao? (Borel).
L'acqua è il simbolo del Tao e della modestia del taoista che evita la politica (vincere
senza combattere) a differenza di Platone.
Nessuna guerra santa taoista. Nessun antropomorfismo taoista.

588
Il TAI CHI TU (taiji tu): Relazione dinamica, immagine del culmine supremo,
origine incondizionata, infinita energia del culmine supremo, campo di forze in
azione, figura su sfondo, yin ombra femminile, yang sole maschile. La filosofia
cinese (almeno in tutta la parte conosciuta della sua storia) è dominata dalla nozione
di yin e yang. Rispettivamente Terra e Cielo. Queste due energie in relazione
interattiva (nessuna delle due può esplicare la propria natura senza l'altra) senza mai
essere assimilate al bene o al male (dunque nessun dualismo).

Complementarietà ontologica mentre in Spinoza c'è una complementarietà


gnoseologica fra pensiero ed estensione dell'unica Sostanza-Natura-Dio. Ci si chiede
però se ci possa essere complementarietà gnoseologica senza quella ontologica.

Il TAO TE CHING è un'opera del presunto Lao Tzu databile intorno al 400 avanti
Cristo. "il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao" Il Tao è un meta-odos
(metodo, via) spontaneo che lascia essere la vera natura propria: ogni essere si
conforma alla propria natura (arete, virtus, te).
Nel Tao non esiste nessun differenza fra creatore e creato: egli non chiama sua l'opera
compiuta. Non vi è fede in esso ma serve affidarsi ad esso per perseguire il telos
(fine) immanente.
Il Tao (monismo naturalista) non è assimilabile a un ente o a una divinità ma è il
lasciar essere le cose e gli eventi secondo la loro natura, il non agire (wu wei), l'agire
senza preconcetti e spontaneamente liberi da finalità, senza forma né scopo, come la
rosa che fiorisce da sé di Silesio.
Non più volontà e consapevolezza ma acqua che scorre inconsapevole e leggiadra fra
gli scogli senza sforzo alcuno (wu wei).
I desideri non vanno combattuti ma bisogna lasciarli svuotare così come il salice si
piega sotto la neve lasciandola cadere e liberandosene.

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Silesio: condividere al di là della dualità mio-tuo. Per Silesio il corpo è un contenitore
prezioso di Dio mentre per il Tao il corpo è prezioso di per sé.
Per Il Tao in mezzo alla massa di uomini pieni di cose, di persone e di idee bisogna
imparare a essere vuoti di cose, di idee e di persone.
Il taoismo privilegia la madre che nutre … al padre. Il saggio orientale è libero da
imposizioni (sia subite che imposte) a differenza del santo occidentale.
Condividere crea quiete.
Estensione e pensiero quali attributi divini spinoziani corrispondono al Yin e Yang
del taoismo.
Per la natura spinoziana necessità e libertà coincidono: la libera necessità che è tipica
anche dell'uomo in quanto parte della natura e del Tao.
L'uomo occidentale è segnato dall’indomabile volontà di rifare, letteralmente, il
mondo, in quanto si ritiene lui stesso il ‘centro del mondo (novello dio!). Il
pensiero orientale antico (Tao-te-king) teorizza invece che per fare bene bisogna non
fare niente. Ma questo non fare niente non è non agire, ma mettersi in una condizione
tale per cui ciò che si fa è spontaneo, naturale, senza nessuna forzatura.

Troppo facile evocare il vuoto semplicemente non disegnando nulla, devi evocarlo
disegnando pur qualcosa, che però sia nulla …

Tao Te Ching: il libro del cammino, della via, del modo in cui si muove la virtù.
Il Tao toglie ciò che è in eccedenza mentre l'uomo toglie a chi non ha.
Per i taoisti la giustizia è spontaneità mentre i confuciani dicono che la giustizia va
imposta con le leggi.
-TARA **

590
Tārā (letteralmente in sanscrito: Stella) è un Bodhisattva trascendente femminile
del Buddhismo tibetano (fin dal VII secolo) anche se le sue origine vanno cercate
nell'induismo. Rappresenta l'attività compassionevole (sanscrito: karuna) e la
conoscenza (sanscrito: prajna) dell'intrinseca vacuità di ogni dualismo
(prajñāpāramitā). E' la Divina Liberatrice o colei che fa il bene di tutti accorrendo in
loro aiuto appena invocata. Compassione e saggezza fuse insieme nella Salvatrice e
Liberatrice. Essa rappresenta l’energia femminile che simboleggia la perfetta attività
universale dei buddha diretta a risvegliare gli esseri dalla confusione e dall'ignoranza.
Dovunque c'è bisogno di aiuto, Tara è presente e questo vale anche per i non buddisti
visto che lei non è legata a una particolare religione o filosofia: anche la Madonna
Cristiana è considerata una manifestazione di Tara (o viceversa).

Tara è la compassione senza limiti, è l’energia sottile dello stato di Illuminazione,


cioè l’energia pura di tutti i Buddha.

La natura assoluta di Tara è rappresentata dalla Saggezza Trascendentale


(prajñõpõramitõ) di tutti i buddha: tale saggezza consiste nel comprendere la
Vacuità di ogni fenomeno. Infatti, ogni fenomeno (cosa, persona, evento, concetto)
possiede due distinti modi di essere: quello ultimo o definitivo e quello
convenzionale, empirico o apparente; la Vacuità è il suo modo ultimo ed assoluto di
esistere, è il modo in cui i fenomeni esistono realmente. Tutto ciò che esiste, ogni
cosa o fatto, ha una qualità essenziale: quella d’essere un evento che sorge ed esiste
in modo dipendente da qualcos’altro, cioè di essere il prodotto
dell’interdipendenza. Questa qualità è la Vacuità: che quindi significa “assenza di
esistenza in sé, autonoma ed inerente”. La Vacuità non è una negazione del
concetto di esistenza (nichilismo), ma suggerisce l’idea che l’esistenza non è auto-
sufficiente bensì è dipendente da cause e condizioni. Inoltre i fenomeni dipendono
anche dalla designazione della mente: un tavolo, ad esempio, in realtà esiste in
relazione al nome con cui lo chiamiamo e questo nome (che è un’imputazione
591
mentale) è attribuito ad un aggregato dipendente da varie parti, cause e circostanze
(quattro gambe di legno, un ripiano, un falegname che li ha messi insieme, ecc.)
Quindi, nella sua natura autentica Tara non si differenzia dalla Prajñõpõramitõ, la
Sacra Perfezione della Saggezza.

Tara pertanto è la forma buddhista della Grande Dea Madre (Yum chen-mo), che è
fiorita in India da tempo immemorabile sotto l’aspetto di varie divinità femminili. La
Dea Madre è l’espressione dell’archetipo femminile impresso nelle menti di tutti noi ;
esso comprende due aspetti : la funzione materna di contenere e quella di sviluppare e
trasformare (la madre contiene in sé l’embrione, che si sviluppa nel suo seno). Come
dea della trasformazione spirituale, Tara rappresenta il potere femminile
dell’inconscio, il potere materno che genera ed alleva, protegge e trasforma e in
cui opera una sapienza ben superiore a quella conscia dell’uomo (astratta e
concettuale, con le sue dannose illusioni di auto-sufficienza). Nel tantrismo
buddhista la Saggezza femminile è simboleggiata dalla luna (c’è connessione tra la
luna e il ciclo mestruale mensile): vi è una Tara “bianca come una luna d’autunno” e
di solito Tara è raffigurata seduta su un disco lunare oppure è appoggiata con la
schiena ad una luna piena.

Tara però non personifica soltanto una deità esclusiva del Tibet, straniera ed avulsa
ma anche quella della Grande Madre, che percorre anche tutta la mitologia e la
cultura occidentale. E’ la Terra che viene rappresentata come Grande Madre perché
vi è un parallelismo tra la funzione fecondante del suolo (la capacità di dare frutto) e
la funzione generatrice e materna della donna. Vi è infatti un rapporto fra il ritmo
agricolo delle stagioni e la fecondità e prosperità umana, con uno scambio di
significati fra la potenza generativa propria dell’essere umano e la forza germinativa
della terra. La Terra entra così nell’ambito della vita religiosa, mitica e rituale, in
forma personificata come Madre-Terra o Dea Terra. Essa è l’origine delle piante utili,
la custode del ritmo di produzione agricola e l’alimentatrice degli uomini e degli
animali : quindi, per estensione, anche madre di tutte le creature e dunque principio di
vita universale. Questa analogia tra la Terra e la Donna deriva anche dalla
corrispondenza tra l’utero che contiene una nuova vita e il grembo del suolo che
nasconde un mondo carico di ricchezze.

La dea nel suo aspetto radioso, sereno, beatifico e sorridente rappresenta la saggezza,
la compassione, l’armonia e l’equilibrio; quando appare nella sua manifestazione
aggressiva, furiosa, terribile, impressionante, spaventosa e minacciosa è ancora la
stessa dea ma sotto un nuovo aspetto perché per vincere il male bisogna parlare un
linguaggio battagliero e combattivo e scuotere l’individuo dalle fondamenta.
Introdotta nel culto buddhista mahayanico verso il VI secolo, Tārā era una divinità
del pantheon induista associata a Sarasvati, Lakshmi, Parvati, e Shakti. Quindi
un'espressione archetipa del principio femminile.
592
Con Tārā in effetti si intendono numerose diverse emanazioni e forme, come diversi
aspetti di un bodhisattva trascendente, preso cioè metaforicamente per incarnare una
particolare qualità. Tārā stessa potrebbe essere considerata una emanazione
di Avalokiteśvara o addirittura la sua variante femminile nel Buddhismo tibetano e
nel Buddhismo Mahayana indiano.
Con l'associare a Tārā del concetto di madre si produsse l'ulteriore associazione con
le qualità materne di compassione e pietà. Per i fedeli comuni nell'India del VI secolo
fu più facile riuscire a visualizzare come oggetto di culto una madre o una ragazza
piene di energia caritatevole e disinteressata, che il suo effettivo ruolo di
manifestazione della conoscenza (prajña) dell'intrinseco vuoto che permea ogni
dualismo, ovvero la consapevolezza, sulle prime piuttosto inquietante, che non esiste
affatto distinzione tra Saṃsāra e Nirvāṇa.
Siccome nel Sutra del Loto si sostiene che tutti i Bodhisattva nelle Terre Pure sono
maschili, i monaci maschi le proponevano di rinascere come maschio per meglio
realizzare la vera natura di Buddha. Lei rispose: <<In questa vostra affermazione non
c’è saggezza. A livello di verità assoluta non esiste rinascita, perché non c’è in
realtà alcun individuo auto-esistente che possa rinascere. E anche queste
definizioni e concetti dualistici di “maschio” e “femmina” sono erronei : solo gli
stolti legati alle cose del mondo cadono in questa illusione perché la natura
ultima dei fenomeni è la Vacuità>>. Detto ciò, formulò un ulteriore voto : <<In
verità, molti sono coloro che desiderano l’Illuminazione puntando sulla rinascita
come uomini ed in passato ci sono stati molti buddha che divennero tali sotto forma
di uomo, mentre nessuno lo fu finora sotto forma di donna e nessuno operò per il
bene degli esseri senzienti sotto un aspetto femminile ; per cui prendo l’impegno di
diventare io stessa un buddha dall’aspetto femminile : senza sosta lavorerò come
donna per il beneficio di tutti gli esseri senzienti sino alla fine del samsara>>.

Riguardo a questa storia così si espresse il XIV Dalai Lama:


"C'è un vero movimento femminista nel buddhismo che è collegato alla deità Tārā.
Perseguendo la sua educazione alla bodhicitta, ovvero la motivazione
del bodhisattva, lei pose lo sguardo su quanti si sforzavano di conseguire il pieno
risveglio, e si rese conto che erano troppo pochi quanti raggiungevano la buddhità
come donne. Così fece un voto: "Io in quanto donna ho sviluppato la bodhicitta. Per
tutte le mie vite lungo il percorso faccio il voto di rinascere donna e, nella mia ultima
vita quando conseguirò la buddhità, anche allora sarò una donna." Questo è vero
femminismo."
-TEOLOGIA **
Gli argomenti dei teologi presuppongono ciò che vogliono dimostrare: cioè,
un'esistenza che non è accessibile al pensiero, che lo trascende, perché ne è la
condizione. (De Monticelli)
593
La teologia si limita a parlare della divinità mentre la teurgia la vuole evocare e
condizionare. La divinazione si propone invece di capire la volontà della divinità.
La teologia della liberazione è una corrente manifestatasi all'interno del cattolicesimo
latino americano alla conferenza episcopale di Medellin del 1968 (Camara e Boff)
che propone di leggere il Vangelo all'interno delle condizioni e delle lotte dei poveri
ispirandosi al Concilio Vaticano II.
Affermare e negare insieme: teologia copulativa...(Cusano)
"Io non credo che la filosofia possa dimostrare o negare la verità dei dogmi religiosi"
dice Russell anche se molti filosofi e teologi si sono cimentati in questa gara ma
l'uomo non conosce le risposte alle grandi domande e forse non le conoscerà mai.
La guida dei perplessi. Maimonide 1138-1204 era un ebreo vissuto in Spagna sotto
l'islam. Maimonide era un aderente alla "teologia negativa" (nota anche come
"teologia apofatica"). In questa teologia, si cerca di descrivere Dio attraverso attributi
negativi. Non si dovrebbe quindi dire che Dio esiste nel senso comune del termine;
tutto ciò che possiamo dire con sicurezza è che Dio non è inesistente. Non
dobbiamo dire che "Dio è sapiente", ma possiamo dire che "Dio non è ignorante",
cioè, che in qualche modo Dio ha tutte le proprietà del sapere. Non dobbiamo dire
che "Dio è Uno", ma possiamo affermare che "non esiste molteplicità nell'essere di
Dio". In breve, si tenta di acquisire e di esprimere la conoscenza di Dio descrivendo
ciò che Dio non è, piuttosto che descrivere ciò che Dio "è".
Sempre da Maimonide sappiamo che il male è semplicemente l'assenza del bene, così
Dio non ha creato una cosa che si chiama male, bensì Dio ha creato il bene, e il male
è qualcosa che esiste dove il bene è assente. Dio dunque ha creato solo le cose buone
e non le cose cattive - le cose cattive vengono secondariamente. Se le affermazioni
del vecchio testamento contraddicono la realtà vanno interpretate allegoricamente.

-TERRA **

Per capire quanto siano vane e mutevoli le verità umane, ripercorriamo le


concezioni intorno alla nostra terra succedutesi nei secoli.

La prima visione che si ha della terra è quella ricordata anche nella Bibbia: una
superficie piatta con quattro angoli tipo il piano di un tavolo. Chi la sorregge?
Talete parla dell'acqua, altri parlano di tartarughe accatastate una sull'altra,
altri ancora di elefanti che, però, non si sa bene su cosa poggino. Ovviamente il
cielo è solo sopra la terra.

Arriva poi Anassimandro che descrive la terra come un colonna, un cilindro con
cielo sopra, sotto e da ogni lato. Il cilindro è sospeso nel vuoto. Il fatto eclatante è
594
però dato dall'esistenza di tanti altri mondi come la terra: quasi gli infiniti
mondi finiti di Giordano Bruno.

Il grande Aristotele inventa il mondo finito e geocentrico con la terra immobile


al centro e diversi cieli, l'ultimo dei quali, quello delle stelle fisse, delimita
l'universo. Oltre che cosa c'è? Non è dato di sapere. Questo sistema, con qualche
correzione tolemaica, resse fino al rinascimento e oltre perché fatto proprio
dalla nostra chiesa.

Copernico, ispirandosi anche ad alcuni studi pitagorici, mette in atto la grande


rivoluzione eliocentrica. La terra è solo un pianeta che, insieme agli altri pianeti,
gira intorno al sole in orbite perfettamente circolari (in ossequio alla greca
perfezione del cerchio). Keplero lo corregge descrivendo le orbite come elittiche.
E qui scende in campo la chiesa: siccome lei è schierata per il geocentrismo
tolemaico - aristotelico, si scatena, sbagliando grossolanamente, contro Giordano
Bruno, Galileo Galilei e altri.

Arriva poi Newton che ci racconta come ogni corpo dell'universo eserciti una
attrazione verso tutti gli altri corpi in proporzione alla sua massa e in
proporzione inversa alla distanza. Qui si parla già di RELAZIONE fra tutti gli
attori (stelle, pianeti e quant'altro) dell'Universo. Altro che sistema geocentrico!

Infine, per chiudere, per ora, si intrufolano la relatività di Einstein e la


meccanica quantistica che vanno oltre ogni limite affermando, la prima, che il
tempo e lo spazio vengono modificati dalla velocità e dalla massa. La seconda,
addirittura, ci parla di causalità sostituita dalla casualità e di una totale e
completa interrelazione cosmica. La terra e l'uomo quasi svaniscono in questo
grandioso gioco senza inizio e senza fine ove il vuoto la fa da padrone.

La terra si muove:
a circa 1000 km/h (0,25 km al secondo) alla nostra latitudine (1700 all'equatore e
zero ai poli) girando su se stessa;
a circa 106.000 km/h (30 km al secondo) girando intorno al sole;
a circa 792.000 km/h (320 km al secondo) muovendosi insieme al sistema solare
rispetto al centro della via lattea che, a sua volta, si sposta alla velocità di 600 km al
secondo rispetto alle altre galassie;
In conclusione la terra si muoverebbe, nell'universo; alla velocità di circa 1.000 km al
secondo!!!! Altro che terra immobile al centro dell'universo!
Noi uomini consideriamo la terra come un bene a nostra disposizione mentre gli
aborigeni dell'Australia si consideravano a disposizione della terra.
595
-TOMMASO D'AQUINO**
Cacciari scrive: Inspicere altissima (considerare attentamente le cose più profonde)
vuol dire comprendere, intelligere che vi sono cose incomprensibili: la dotta
ignoranza! Non è Cusano, è san Tommaso. E' Tommaso ad affermare che il fine
ultimo della creatura è intelligere Deum (comprendere/conoscere Dio) ma questo
intelligere non ha assolutamente il significato della comprensione concettuale, ha
bensì il significato di comprendere che vi sono cose incomprensibili,
incomprensibilia esse.
'Il pensiero occidentale e' un pensiero specializzato, analitico - ha dichiarato Panikkar
- che giunge alla verità, secondo la via indicata da Tomaso D'Aquino, dividendo e
analizzando. Ma il tutto non e' la semplice somma delle parti e questa e' una realtà
che intimorisce l'uomo, ossessionato dalla certezza cartesiana. La mistica, invece, e'
esperienza olistica e piena della vita, che non ha bisogno di specializzazioni''. L'unica
specializzazione che la mistica richiede e' la pratica, e cioè l'attuazione delle idee
nella vita quotidiana.
Dice Tommaso che il cristiano non può essere pessimista ma deve essere
radicalmente ottimista.
L'atto coniugale è sempre peccato: chiunque ami passionalmente la propria
moglie è un adultero.
Tommaso non è un filosofo ma un apologeta visto che prima di incominciare un
ragionamento sa già dove vuole e deve arrivare: non segue mai il ragionamento
ovunque lo porti. Scrive infatti che tutto ciò che esiste, in quanto esiste, è buono.
Poi però non lo dimostra: in tal modo si può mettere in campo qualsiasi affermazione,
anche il suo contrario e cioè che tutto ciò che non esiste, in quanto non esiste, è
buono.
Tutto ciò che muta deve essere mosso da altri: Dio l'immutabile
Ogni effetto ha una causa la causa prima è Dio
Ogni cosa contingente incomincia ad esistere solo a causa di qualche cosa che già
esiste: Dio il necessario.
Se esistono gli enti imperfetti deve esistere anche l'ente perfetto che è Dio
Se tutto ha un fine, Dio è il fine ultimo.
Queste prove usano tutte lo stesso argomento: un regresso all'infinito per dimostrare
un motore immoto, una causa prima, un ente necessario e perfetto e un fine ultimo.

596
E se invece, per caso, l'universo fosse tutto interconnesso senza principi e senza
fini, casuale e non causale, ove contingenza e necessità corrispondono e non ci
sono gradi di perfezione?
-TONAL-NAGUAL**
Tonal e Nagual sono due concetti degli sciamani toltechi e atzechi. Così almeno ci
racconta l'ntropologo Carlos Castaneda il quale afferma di aver icontrato l'ultimo di
questi sciamani (Don Juan) nel corso dei suoi studi svolti nel secolo scorso.
Il Nagual è tutto ciò che non può essere percepito né dai sensi e neppure
dall'intelletto e dall'immaginazione.
La realtà è formata da due parti, il TONAL e il NAGUAL. Il Tonal è il principio di
coscienza, che nel neonato è solo potenziale; crescendo, l’io a poco a poco costruirà
il mondo; il Tonal è il principio che organizza, codifica e configura la conoscenza, è
l’io che conosce ovvero il principio di coscienza. Il Tonal prende il materiale della
realtà assoluta e lo elabora trasformandolo in rappresentazione, ordina il caos, e
dalla vacuità dell’indifferenziato trae il mondo della realtà conosciuta. Senza il
Tonal nulla di ciò che chiamiamo mondo esisterebbe, esso è l’energia che crea il
mondo come conoscenza. Ma a un certo punto diventa geloso e totalitario e pretende
che tutta la realtà sia ciò che ha elaborato, come se un ragno pretendesse che la sua
tela comprenda il mondo. Tutto ciò che siamo, tutto ciò per cui abbiamo un nome,
tutto ciò che facciamo o sappiamo è Tonal. Ma non possiamo pretendere che esso
esaurisca l’intera totalità dell’essere. La costruzione operata dal Tonal, cioè dal nostro
principio di coscienza, comincia con la nascita e finisce con la morte. Il Tonal ha la
funzione di creare il mondo secondo le proprie leggi ma diventa sempre più
dispotico e assolutista. Il Tonal è ciò che conosco, un’isola di coscienza, la mia
realtà, l’insieme dei contenuti di consapevolezza, l’azione continua di
costruzione della realtà. Il Tonal pone in essere tutto ciò che siamo e sappiamo.
Questo insieme conoscitivo è come un’isola; l’isola è la fetta di realtà che crediamo
totale. Alcuni hanno realtà più ampie, altri meno, le isole non sono simili, e ognuno
vede solo la propria, il proprio territorio di conoscenza. Il Tonal è come una tavola
apparecchiata, su cui alcuni hanno più cose, altri meno. Il Nagual invece è l’ignoto,
tutto ciò con cui non abbiamo a che fare, che non conosciamo, che non
immaginiamo nemmeno, tutto quello che cade fuori dalla nostra consapevolezza,
che non è messo a fuoco dal nostro sguardo, il pensiero che pensa fuori di noi, la
parte di realtà per cui non abbiamo percezione, né descrizione, o parola o
sospetto.
Tutto questo avviene dentro o attorno alla mente. Ma anche la mente è un elemento
della tavola e anche l’anima è un elemento della tavola e anche i pensieri sono un
elemento della tavola. Anche Dio è sulla tavola, se penso a Dio. 
597
Il Tonal è tutto ciò che penso sia il mondo, compreso l’io e Dio, è la totalità dei
pensieri che penso, il conoscibile in quanto entra nella mia mente. Il Nagual è
invece ciò di cui non sono cosciente, il pensiero che fuori di me si pensa, la realtà
a me inconscia, tutto ciò che non appare nell’arco del mio sguardo, che non
entra nella mia consapevolezza, la realtà oscura oltre la soglia di ogni possibile
percezione e idea. (Don Juan di Carlos Castaneda)
All’istante della nascita siamo tutti Nagual, realtà inconscia, poi il Tonal comincia il
suo paziente lavoro per delimitare il mondo, per ritagliare l’isola del conosciuto.
Dall’oceano inconscio iniziale comincia a individuare una zona di controllo che è la
nostra realtà di coscienza; alla fine questa cresce e si sviluppa tanto da negare che
l’oceano inconoscibile esista e la volontà le crede perché non vuole aver paura.
Non si tratta di rafforzare l’ego, né di affermare che ‘’tanto è tutto un’illusione’’ per
poi continuare a subire l’autorità del teatro magico della persona e del mondo,
aggiungendo zavorra a zavorra. Si tratta di stabilizzare il “tonal” ossia realizzare – nel
quotidiano vissuto - che l’io-sono è concettuale e non esiste davvero, per poter
sostenere la forza dell’Assoluto o Nagual. (Isabella di Soragna)
Il Tonal è l'Universo creato dall'uomo, cosmos che ci serve per vivere, il descrivibile
(che può essere sia personale che sociale); è l'isola sopra la quale esistono alberi e
animali, è la superficie del tavolo sopra il quale ci sono piatti e bicchieri e la tovaglia
che è dio (tovaglia-dio che può mancare in certe culture-tavoli e in altri può essere
totalmente diversa per colori e forma). Ovviamente ci possono essere tanti tavoli,
tante isole tutti immersi nel NAGUAL per il quale non c'è descrizione, non ci sono
parole, non ci sono nomi: è il caos primigenio senza nome, l'inconcepibile. Forse è
l'inconoscibile, l'indescrivibile, l'ineffabile, l'energia-nagual che si trasforma
costantemente in particelle-tonal. Non possiamo descrivere l'indescrivibile.
Non c'è divisione tra Dio, l'ego e l'universo (Tonal). Essi sono la proiezione della
mente sull'indifferenziato, sul Nagual che è il non comprensibile.
-TORTURA*
La tortura è brutale e odiosa. Oltre a provocare sofferenze atroci, nega la comune
umanità delle vittime, che riduce a involucri di carne pieni di dolore e privi di
volontà e ragione. In modo totalizzante e intimo, occupa il loro mondo e distrugge la
loro libertà. La tortura calpesta anche la dignità dei torturatori, di cui corrompe il
carattere, compromette il giudizio, offende il senso di umanità e cancella le ragioni,
se presenti. La tortura, essendo diretta a spezzare il nemico e a terrorizzare la
popolazione, impedisce qualsiasi forma di azione politica pacifica: rende la politica
impossibile, se non nella forma di una guerra senza limiti. E per il diritto rappresenta
una soglia di non ritorno, che ne perverte lo spirito, ne denuncia l'ipocrisia,
598
disconosce la dignità dei suoi soggetti, annulla la distinzione fra uso legale della forza
e scatenamento di una violenza senza regole; superata tale soglia, lo stato di diritto si
riduce a una forma vuota, alla mera burocratizzazione della crudeltà. (Giulio
Itzcovich). Teniamo sempre ben presente che lo stato della Chiesa Cattolica ha
ampiamente praticato la tortura attraverso la sedicente sacra inquisizione.
Le convenzioni internazionali contrarie alla tortura: la Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo del 1948, la nuova convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra
del 1949, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950, seguite poi dal Patto
sui diritti civili e politici del 1966, dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la
tortura del 1984, dalla Convenzione europea per la prevenzione della tortura del
1987.
-TRASCENDENTE-TRASCENDENTALE**
Il trascendente é ciò che non possiamo concretamente vedere, ciò che non
appartiene alla realtà, come ad esempio Dio mentre i trascendentali (che non sono
riconducibile all'esperienza ma la rendono possibile essendo fondamenti a
priori) sono ciò che noi mettiamo di nostro nella nostra conoscenza: il tempo, lo
spazio (forme a priori della conoscenza e non attributi del mondo), le categorie
dell'intelletto sono trascendentali perché é l'uomo che li crea per convenzione, ma
in realtà non esistono. Kant é il primo a dimostrare che ciò che Aristotele
classificava come trascendente, che non si vede, sovrasensibile, é in realtà un
trascendentale, ovvero un qualcosa che non esiste ma che gli uomini hanno
sempre ritenuto conoscenza, facendo un uso trascendente del trascendentale.
Trascendente è ciò che trascende ovvero va al di là di questa realtà, ed è il contrario
di immanente. Il dio cristiano è trascendente, è all'esterno del mondo, mentre
l'essenza divina dei panteisti è immanente, è all'interno del Mondo. 

Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non di oggetti, ma del


nostro modo di conoscenza degli oggetti. (Kant) 

Kant infatti vuole spiegare non che cosa si conosce, ma come avviene la


conoscenza, ossia definire i presupposti teorici che rendono possibile la conoscenza.
Trascendentali sono quindi quelle condizioni e forme della conoscenza e della
sensibilità che nell'individuo sono originarie, ossia non derivabili dall'esperienza.
Esse sono a priori per l'individuo ma, in quanto trasmesse dalle generazioni
precedenti, sono a posteriori per la specie essendo comunque comuni a tutti gli
esseri umani.

599
Le Upanishad si occupano, in qualche modo, del “trascendentale”, intendendo con
ciò un’anticipazione della visione kantiana secondo cui la realtà empirica è soltanto
la forma in cui la realtà essenziale si presenta alla coscienza, ma tale realtà
empirica non sussiste indipendentemente da una coscienza.

U
-UBUNTU

In Africa esiste un concetto noto come Ubuntu, che sta a significare che il senso
profondo dell'essere umano si realizza solo attraverso l'umanità degli altri; se
concluderemo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro e alla realizzazione degli altri.
(Mandela)
È un'espressione in lingua bantu che indica "benevolenza verso il prossimo". È una
regola di vita, basata sulla compassione, il rispetto dell'altro. Appellandosi all'ubuntu
si è soliti dire Umuntu ngumuntu ngabantu, "io sono ciò che sono in virtù di ciò che
tutti siamo". L'ubuntu esorta a sostenersi e aiutarsi reciprocamente, a prendere
coscienza non solo dei propri diritti, ma anche dei propri doveri, poiché è una
spinta ideale verso l'umanità intera, un desiderio di pace. Ubuntu è un'etica,
un'ideologia dell'Africa sub-Sahariana che si focalizza sulla lealtà e sulle relazioni
reciproche delle persone.

Dunque, la nozione africana di ubuntu si fonda sulla relazione visto che esprime lo
straordinario concetto: "io sono perché noi siamo".

Secondo le parole di Desmond Tutu, l'ubuntu distingue l'idea della giustizia


occidentale (orientata alla punizione dello sconfitto e alla soddisfazione del
vincitore) dallo spirito della giustizia africana orientata invece alla riconciliazione,
alla reciproca accettazione, al riconoscimento dell'umanità delle persone, per farla
riemergere quando questa è umiliata dal crimine non solo patito ma anche commesso.
A noi l'ubuntu fa pensare a una forma di spirito comunitario, inteso in senso
benevolo, comprensivo, pacificatore. Il fare giustizia diventa allora un processo
salvifico tanto di chi ha subito il torto quanto di chi lo ha commesso. La giustizia
richiede di risanare le ferite, correggere gli squilibri, ricomporre le fratture e
riabilitare tanto le vittime che i criminali, anch'essi degradati nella loro umanità.
(Zagrebelsky)

-U.G.* l'anarchico eretico e divino che non si aggrappa a niente e a nessuno

600
U.G. ha una sua personalità, ma descrivendo quella ci si rende conto di non
descrivere U.G. e la sua realtà, piuttosto è come se ci si trovasse davanti ad uno
specchio vuoto che riflette tutti i volti dell'umanità con tutto il suo incommensurabile
numero di sfumature. (Piazza)

Il suo insegnamento appare molto negativo, nega la realizzazione, nega di essere un


realizzato, nondimeno ammette di essere passato attraverso un'esperienza
straordinaria che, a volte, chiama "Calamità", a volte, chiama "Il miracolo dei
miracoli". Sottolinea con forza che quanto è successo a lui non è riproducibile e tanto
meno trasmissibile e soprattutto si scaglia veementemente contro il tentativo di fare
rientrare quanto gli è successo nella sfera mistico/religiosa.

Alcuni hanno definito U.G. l'anti-guru e forse, da un certo punto di vista, il termine è
perfino limitativo; lui non è solo anti-guru è anti tutto. Se volessimo trovargli un
posto nella Trimurti tra Brahma, Vishnu e Shiva (creatore, conservatore e distruttore)
sicuramente  a U.G. andrebbe il posto di Shiva (il distruttore).
Ma in fondo cosa si nasconde dietro questo suo truce tagliare, cosa vi è dietro questo
suo spietato recidere, se non il desiderio di  sgravarci, dall'incommensurabile
fardello che ci siamo caricati sulle  spalle? Via, via tutto il superfluo, via l'inutile,
via il falso, affinché solo la verità che si regge su se stessa, che è auto dimostrante,
possa brillare.

NON HA SENSI DI COLPA: LI HA SUPERATI TUTTI!

Non si può creare la pace tramite la guerra. Non si può uccidere ora, adesso per
non uccidere più in futuro.

Il fatto che la vita non abbia senso, scopo o importanza è qualcosa che la gente
non riesce ad accettare. Ma è proprio così!

Il motivo per cui abbiamo la sensazione di essere carenti in tutto, o di aver


bisogno di qualche fantasticata illuminazione, è il fatto che le religioni
organizzate (tanto il buddismo quanto il cristianesimo) ci hanno insegnato che ci
manca qualcosa.

Stai ponendo domande alle quali hai già le risposte. Se non avessi la risposta, non
potresti avere la domanda. Tutte le domande che voi ponete a me, sono nate dalle
risposte che voi avete già trovato ma volete da me una conferma per le vostre
risposte.

Il mio insegnamento, se vi piace chiamarlo così, non ha copyright. Siete liberi di


riprodurlo, diffonderlo, interpretarlo, fraintenderlo, distorcerlo, alterarlo,
potete farne quel che vi pare, potete anche pretendere di esserne voi gli autori,
senza bisogno di chiedere né il mio consenso, né il permesso di chiunque altro.
601
L'individualità ha solo un'esistenza illusoria. Finché immaginiamo di avere
un'individualità separata, immaginiamo anche che essa abbia un libero arbitrio.
In verità l'ego non ha libero arbitrio, perché non c'è ego; ma sul piano della realtà
apparente, l'ego è composto da libero arbitrio: è l'illusione del libero arbitrio che
crea l'illusione dell'ego.
Voi siete pensiero e pensiero è quello che voi siete. Se non ci fosse il pensiero voi
non ci sareste. Se il pensiero non ci fosse, non ci sarebbe il mondo.
Non c'è nessun io. Io è solo un pronome personale, è solo una parola. L'io è
un'invenzione dei filosofi.
Possiamo rappresentarci il modo di definire l’identità della nostra persona come un
tracciare, consapevolmente o meno, un segno di delimitazione, una linea di confine:
tutto ciò che ricade all’interno del confine segnato sono io; quello che si trova
all’esterno è non io. Rispondere alla domanda: “chi sono io?”, significa in fondo
rispondere al quesito: “dove sta il confine?” Solitamente la linea di confine che
tracciamo è indicata dalla nostra pelle, anche se spesso finiamo per identificarci non
con la totalità della persona, ma solo con quegli aspetti di noi stessi - del nostro
corpo, della nostra mente, della nostra esperienza - che siamo disposti ad accettare,
trascurando, escludendo o addirittura negando i lati oscuri, le ombre che ci abitano.
Tale linea di confine può essere ridefinita, lungo l’asse del tempo e dell’esperienza,
annettendo o espellendo porzioni di territorio, attraverso procedimenti di
avanzamento o arretramento. A volte la linea di confine può divenire un terreno di
battaglia, un luogo di conflitto e sofferenza, fra noi e gli altri, fra noi e noi stessi
Quando proietti un mondo di sogno per te e ci vivi dentro, allora proietti anche un
Dio che se ne occupa. Quando smetti di proiettare, sia il mondo che Dio spariscono.
Non sono attento solo a cancellare quello che gli altri maestri hanno detto, cosa
fin troppo facile, ma sono attento a cancellare anche le mie stesse parole.
Se i libri e le conversazioni potessero cambiare la gente, questo mondo
diventerebbe un paradiso.
Il Sé è una invenzione dei filosofi. Ciò che sta guardando ciò che chiamate "io" è
proprio l'io stesso: sta creando una illusoria divisione di se stesso in soggetto e
oggetto. Fino a che vorrete capire l'io, la divisione continuerà e il dualismo si
perpetuerà. Si invece lo lasciate in pace … l'io si dilegua.
Serve un continuo racconto interiore per preservare l'identità. L'ignoto è ciò che
siamo. "L'io sono" va continuamente sostenuto e confortato da altri io sono …
altrimenti si perde … si spegne …

602
Il corpo è pensiero, la vita è pensiero, il sesso è pensiero. Voi siete pensiero e
pensiero è quello che voi siete. Se non ci fosse il pensiero voi non ci sareste. Se il
pensiero non ci fosse, non ci sarebbe il mondo. Il Sé è una invenzione dei filosofi.
Ciò che sta guardando ciò che chiamate "io" è proprio l'io stesso: sta creando
una illusoria divisione di se stesso in soggetto e oggetto. Fino a che vorrete capire
l'io, la divisione continuerà e il dualismo si perpetuerà. Si invece lo lasciate in pace
… l'io si dilegua.
La coscienza umana non è separata dalla coscienza globale: quest'ultima è
dappertutto.
Un guru è colui che ti fa buttar via tutte le stampelle. Ti dice di camminare e, se cadi,
di rialzarti e camminare senza voltarti indietro.
Tutto quanto scritto qui è assolutamente frutto di un mio punto di vista
personale.
E' bello che tu sia qui, ma temo che sia venuto nel posto sbagliato - Tu cerchi una
risposta  e pensi che la risposta che io ho trovato andrà bene anche per te. Ma non è
così. Io posso avere trovato la mia risposta, ma quella può non essere la tua. Tu
devi scoprire da te stesso e per te stesso il modo nel quale funzioni in questo mondo.
Quella sarà la tua risposta. 
Voi avete l'idea che dovete salvarvi. Ma è proprio da quest'idea che dovete salvarvi.
Voi credete nei salvatori. Ma è proprio da loro che dovete salvarvi.
Chi può dire questo è bene e questo è male?
"L'ignoto è ciò che siamo" - diceva U.G. : questa frase riassume tutti i lunghi
discorsi e invece di spaventarci ci dà un senso di infinità libertà. Anzi ci mostra che
siamo sempre … oltre la libertà.  Il "realizzato” è un concetto illusorio come il
"concetto” di Assoluto. Sapere = dividere. Se conosco, oggettivo "qualcosa” quindi
divido e creo un'illusione. Ecco perché è giusto dire: ”Non so nulla", perché questa
è la suprema ultima verità". Se vediamo un film in cui avvengono scene di orrori e
guerre o di luoghi paradisiaci e esseri angelici, proviamo emozioni, ma sappiamo che
è un film che scorre su uno schermo neutro, il quale non è toccato né da quelle scene
né da quei personaggi: esso accoglie e lascia andare, rimanendo uguale e immobile.
E' evidente che le religioni sono false. E' tutto falso: la religione, la spiritualità, la
società, voi, le vostre proprietà, i vostri motivi, i vostri valori, tutto quanto. Io non
sono qui per insegnarvi qualcosa. Qui non c'è nulla che possiate imparare. Il fatto
che abbiate deciso di venire qui a porre queste domande significa che tutti quei guru e
tutte quelle scritture non vi sono serviti a niente.
Niente giunge a una fine tranne quel qualcosa che non vuole arrivare a una fine.
603
Se mai ci fosse un aldilà, l'evento chiamato "io" sarebbe assente perché l'aldilà
sarebbe dato proprio dall'assenza di un "io".
L'assoluto, forse, non è consapevole della sua esistenza.
Per quell’altro tipo di domande nessuno ha le risposte e siccome non esistono le
risposte, non esistono neppure le domande. La dualità e la divisione non possono più
esistere.
La felicità, la beatitudine eterna, sono cose che non esistono. Voi pensate che
esistano, a causa di tutti quei libri che leggete e che parlano di felicità, di beatitudine
eterne. Ma nello stesso tempo sapete molto bene che quella ricerca non vi sta
conducendo da nessuna parte.
Il pensiero e il respiro sono due cose strettamente correlate. Questo è il perché voi
volete controllare il vostro respiro. Osservarlo è anche un modo per controllarlo
per qualche momento. Ma se trattenete il respiro a lungo, vi soffocherete e morirete
allo stesso modo per cui ogni cosa che fate per trattenere o bloccare il  flusso del
pensiero vi condurrà alla morte, letteralmente alla morte, o al meglio danneggerete
qualche organo.
Il pensiero è una vibrazione straordinaria. È come il vibrare di un atomo. Non
potete giocare con queste cose. Voi non dovete fare nulla. Non siete separati dal
pensiero. Questo è ciò che enfatizzo. Voi non potete separarvi dal pensiero e dire:
"questi sono i miei pensieri". Una cosa del genere è una vostra illusione, e voi
non potete restare senza illusioni. Rimpiazzate continuamente un'illusione con un
altra. Sempre. Se tu accetti il fatto che rimpiazzi continuamente un' illusione con un'
altra illusione, allora hai capito che il tuo volere essere libero dalle illusioni è
impossibile; che quel volere stesso è un' illusione. Perché vuoi essere libero dalle
illusioni? Sarebbe la tua fine.....
Non c'è nulla da raggiungere, nulla da guadagnare, nulla da ottenere.
Siamo talmente presi dagli stati di eccitazione e di depressione, dai sogni e dalle
paure, da non vedere che il nostro compito non è l'immortalità ma solo il
momento presente. Da solo e per conto mio ho scoperto che tutto quello che ci
hanno raccontato su Dio, sulla Libertà, sull'illuminazione è falso. Non per questo mi
ritengo superiore anche perché non mi sento diviso dal mondo e dagli altri.

 Gli chiedo: «U.G., come …». Mi interrompe subito: «Non appena dici “come”, sei in
un concetto, e ne stai cercando un altro per sostituirlo.” «Ma come posso non farlo?»
«Non cercare di non fare nulla!» «Ma …» «L’idea stessa che devi essere qualcosa
di diverso da ciò che sei, l’idea che c’è qualcosa che puoi ottenere, tutto questo ti è
604
stato messo dentro dall’esterno!» «Posso liberarmene?» «No! Non puoi liberarti di
nulla.» «Ma come posso progredire sul cammino spirituale?» «Non esiste un
cammino spirituale! Non c’è nulla al di fuori di te!» E poi: «Ma cosa consigli agli
occidentali sul cammino?». «Lascia perdere tutto! Dimenticati del cammino
spirituale.» «Ma con cosa lo sostituisco?» «Non sostituirlo con niente!»

-UNIVERSO**

L'universo potrebbe essere rimbalzato dopo una violenta contrazione! (Rovelli


interpreta Lemaitre). Viene alla mente l'Induismo con i suoi cicli cosmici: i Kalpa! Se
contate il numero totale di particelle di sabbia nelle profondità del fiume Gange, da
dove inizia a dove sfocia al mare, anche quel numero sarà minore del numero di
kalpa che sono trascorsi.

L'uroboro, simbolo della ciclicità del tempo.

Se noi uomini non ci fossimo, se non ci fossero le nostre menti, l'universo non
sarebbe ciò che è.

Pensiamo la sterminata distesa di più di cento miliardi di galassie ciascuna formata da


più di cento miliardi di stelle, ciscuna on la sua ghirlnda di pianeti, su uno dei quali
noi siamo come un fenomeno breve e fugace, granelli infinitesimi di polvere persi nel
cosmo sterminato. Ogni uomo centrismo impallidisce impallidisce di fronte a questa
immensità. Questo è il naturalismo. (Rovelli)

Penrose lancia il suo strabiliante suggerimento: se il futuro lontanissimo


dell’universo non fosse che il Big Bang iniziale di un nuovo ciclo di universo?
Forse l'immensità dell'universo futuro non è altro che la stessa cosa che il
microcosmo dell'universo che inizia, solo vista con un'altra scala, e il nostro stesso
Big Bang non è altro che l'infinito futuro di un universo precedente. (Rovelli)

Le varie scuole dei misticismo orientale, sebbene differiscano fra loro in molti punti
particolari, sottolineano tutte l'unità fondamentale dell'universo che è la
605
caratteristica principale del loro insegnamento. 

Cerchio - triangolo - quadrato: così Sengai (1750) dipinge l'universo. Il cerchio


(inteso anche come ensò) rappresenta l'infinito, che è il fondamento di tutti gli
esseri. Il triangolo è l'uno l'origine di ogni forma mentre il quadrato è il doppio
del triangolo e quindi rappresenta la molteplicità. Le tre figure sono distinte ma
non divise in una felicissima riduzione all'essenziale della relazione fra uno,
molteplice e infinito.
In principio questo Universo non era né Essere né Nonessere. In principio, in
verità, questo universo esisteva e non esisteva: solo la Mente esisteva. Tutto
l'Universo era indifferenziato. Fu poi reso distinto secondo il nome e la forma.
Secondo l'antico pensiero orientale, l'Universo è, allo stesso tempo, finito,
infinito, finito e infinito insieme, né finito e neppure infinito.
Nel periodo cinese dell'epoca in cui fu scritto lo Yueji (IV - I secolo a.C.) l'Universo
viene perlopiù concepito come un organismo in cui ogni realtà influenza le altre:
non esistono fenomeni indipendenti gli uni dagli altri.
Dal momento che la caratteristica dell'universo appreso nella sua qualità ultima,
radicale, è l'interrelazione di ogni elemento con tutti gli altri, sussistenti solo in
virtù di una rete infinita di mutue determinazioni causali, l'esistenza di un
qualunque elemento è necessaria all'esistenza di tutti gli altri: ogni entità, così
definita, è causa della totalità, e la totalità è causa di ogni singola entità; la
mancanza i un singolo tassello all'interno di tale infinito mosaico
determinerebbe la distruzione di tutto l'insieme. (Pasqualotto)

606
Niente di questo universo è un evento isolato: l'esistenza dell'evento A, dipende
dagli eventi B, C, D e altri infiniti eventi (e viceversa). Non soltanto essi dipendono
l'uno dall'altro, ma sussistono e si contengono l'uno nell'altro nel senso che c'è una
interdipendenza fra tutte le cose.
Il mandala può essere letto come una descrizione dell'intero universo, che,
originato dal vuoto, si è progressivamente determinato in una molteplicità di
mondi e di esseri, e che, in un tempo infinito, sarà sempre destinato a ritornare
alla sua origine.

L'universo è un algoritmo inconsapevole. (Boncinelli)


L'universo non è la somma delle cose contenute nello spazio e nel tempo. L'universo
è invece un insieme di relazioni fra eventi di energia sempre variabile.
Non solo l'universo è più strano di quanto pensiamo, è persino più strano di quanto
possiamo pensare. (Heisenberg)
Ogni universo, compreso il nostro, è un equilibrio instabile di materia - energia che
non durerà per sempre: anicca! Ogni universo, compreso il nostro, è privo si un vero
sé essendo solo relazione di energia instabile: anatta!
La gravità quantistica potrebbe non ammettere una singola descrizione
oggettiva e completa dell'universo.
Non possiamo conoscere nulla d'esterno a noi scavalcando noi stessi […] l'universo è
lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere
in noi. (Calvino)
La cosmologia tradizionale ci insegna che l'universo ha avuto un principio. Ci dice
anche da quanto tempo, a partire dal famoso Big Bang. La gravità quantistica a loap
ribalta completamente questa certezza: il Big Bang non sarebbe mai avvenuto, ed è
possibile che l'universo non abbia avuto alcun principio, né avrà mai alcuna fine.
Potrebbe anche essere che gli innumerevoli buchi neri siano incubatoi di nuovi
mondi.
Non si può più concepire l'universo come un insieme di pezzi sparsi nello spazio e
nel tempo e non correlati. Come un contenitore che contiene cose che variano al
variare del tempo. L'universo va invece visto come un Uno - Tutto strettamente
correlato, come un Campo Quantistico ove interagiscono, condizionandosi a
vicenda, Materia e Energia, Spazio e Tempo, Causalità e Casualità e quant'altro.
Senza più in qui oppure un là ma solo con ovunque interconnesso. Una rete di
relazioni.

607
E' possibile che l'universo, in uno strano senso, sia "portato alla luce" dalla
partecipazione di quelli che partecipano?
Nell'universo il disordine aumenta costantemente a seguito dell'entropia. E noi
cerchiamo l'ordine terreno e l'ordine cosmico …
L'universo non è infinito ma è illimitato (nello spazio) ed è, sostanzialmente, uguale
in qualsiasi direzione lo si osservi. Nel momento del Big Bang perdono senso tutte le
leggi conosciute come anche i concetti di spazio e tempo.
Il principio antropico debole afferma che "se l'universo fosse stato diverso non si
sarebbe sviluppata vita intelligente e quindi nessuno se ne sarebbe accorto". Quello
forte dice invece che "l'universo ha le proprietà che ha perché deve consentire la
vita"; in altri termini "lo scopo dell'universo è quello di far evolvere gli osservatori",
ovvero, "la nostra presenza è indispensabile perché l'universo esista". Ma siamo
proprio sicuri che l'universo abbia uno scopo?
La chiave di volta per capire l'universo sta, forse, nel vuoto (quantistico).
C'è chi si chiede da buon fisico: "Come legifera l'Universo?". A mio parere però
sbaglia la domanda. Quella più appropriata potrebbe essere: " Come si comporta la
nostra mente a contatto con l'universo? Quali leggi gli impone?"
In fisica l'intero universo può venir interpretato come un circuito autoeccitato
che genera l'osservatore che lo genera con l'osservazione: avvolgimento
reciproco!
La teoria standard della cosmologia, che è conosciuta con il nome di BIG BANG, ci
dice come si è evoluto l'universo a partire dal momento appena successivo al suo
inizio fino a oggi, tuttavia non ci spiega la sua origine.
Tutto sembra indicare che l'universo è un grande prestito del vuoto: resta solo da
capire in che termini tale prestito sia avvenuto.

Oltre alla sua natura illusoria, questo universo avrebbe altre caratteristiche
stupefacenti:  se la separazione tra le particelle subatomiche è solo apparente
(entaglement), ciò significa che, ad un livello più profondo, tutte le cose sono
infinitamente collegate. Gli elettroni di un atomo di carbonio del cervello umano
sono connessi alle particelle subatomiche che costituiscono ogni salmone che nuota,
ogni cuore che batte ed ogni stella che brilla nel cielo. Tutto compenetra tutto.
Sebbene la natura umana cerchi di categorizzare, classificare e suddividere i vari
fenomeni, ogni suddivisione risulta necessariamente artificiale e tutta la natura non è
altro che una immensa rete ininterrotta (la rete di Indra).

608
La galassie si stanno allontanando le une dalle altre e, di conseguenza, la densità e la
temperatura dell'universo sta via via calando. Si va verso una morte tecnica
dell'universo. Le quattro componenti dell'universo non sono più quelle dei
presocratici (terra, fuoco, acqua e aria) ma sono invece: materia (che è energia),
radiazione, energia oscura e materia oscura. Di queste ultime due non conosciamo le
proprietà (anche se, in realtà, non sappiamo neppure bene cosa sia l'energia!)
Stiamo infliggendo una grossa ferita al mondo che si sta dissanguando. L'abbiamo
infatti diviso in due frammenti ineguali chiamati NOI STESSI e il RESTO (ME e
NON ME). Il risultato è che non abbiamo un Universo ma un Duoverso, una Dualità
non un'Unità. E non sorprende che le due parti siano difettose, tragicamente malate.
(Harding)
Ognuno di noi è l'autore del proprio universo. (Gefter)
Crediamo che l'Universo contenga noi che abbiamo capito l'Universo che ci contiene.
La mente dell'uomo riflette un universo che riflette la mente dell'uomo. (Talbot)

Sei così accecato dal personale che non riesci a vedere l'universale e non capisci che
il vasto oceano della vita non è diverso da te, dal tuo personale.

E' un universo casuale al quale noi cerchiamo di dare un senso: in realtà non
controlliamo nulla.
Dante dice che l'universo è ordine simile all'ordine divino. Dove sia mai questo
ordine non ci è dato di sapere. Forse è solo nella mente di chi lo afferma. E non certo
l'ordine del mondo tolemaico - aristotelico.
Noi siamo in un UNIVERSO che vediamo in un modo ed invece è, forse, in un altro
modo, di cui conosciamo solo il 5%, in cui il qualcosa che ci ha fatto venire all'essere
e ci mantiene, che chiamiamo energia, ma che non si sa cosa sia.

Odifreddi dice che il Logos permea l'Universo e si riflette nell'uomo. Nel senso che
tutto è razionale, e la razionalità umana è in grado di comprendere, almeno
parzialmente, la razionalità cosmica. Tutto è razionale? E' forse razionale che ogni
cosa sia interconnessa con ogni altra cosa e quindi condizioni e sia condizionata da
tutti gli altri eventi? E' forse razionale il probabilismo insito nella quantistica? E'
forse razionale che la maggior parte dei fenomeni sia sottoposta alla legge del caos
deterministico? Forse Odifreddi intendeva dire che tutto è relazionale …

Il mondo, l'universo è fatto così perché se fosse stato diverso noi non saremmo potuti
essere così come siamo. E' un mondo adatto agli osservatori che creano l'universo. In
ogni caso si può cominciare dall'inizio della storia (bottom-up) per arrivare al suo
609
stato attuale o viceversa (top-down) partire dall'osservatore di oggi per capire
l'universo di ieri.
Una esperienza mistica è sempre una diretta intuizione della Realtà Ultima.
All'improvviso l'universo è visto diversamente: le miriadi di oggetti sono
contemporaneamente molti e Uno!
Nel nostro universo, al contrario di quanto si possa pensare, l'incertezza sembra
predominare sulla certezza, noi non possiamo stabilire la posizione della nostra vita
nella scala temporale, in ogni modo esistono diverse dimensioni temporali, noi ne
attraversiamo solo una parte. Il determinismo non è che un aspetto marginale della
realtà, mentre regnano incontrastate le fluttuazioni virtuali, proprio li si biforcano le
verità.
L'universo non è reale, è semplicemente chiamato universo!
Ogni fenomeno è una modificazione nella distribuzione dell'energia.
Al di la delle apparenze, nell'universo nulla è soggetto a cambiamento.
La luce che giunge dalle stelle lontane è soltanto luce ma noi la consideriamo "stelle".
Tutte le parti dell'universo subiscono l'influsso di tutte le altri parti.
L'universo dovrebbe trovarsi nello stato di limbo quantico. Senza una mente quale
quella predicata da Wigner che lo integri, l'universo non può che vagare in una
incerta condizione di irrealtà: popolato di fantasmi, si sfrangia nella coesistenza
ibrida di realtà alternative che si sovrappongono, nessuna delle quali è la realtà vera.
L'universo fisico è un oceano di energia illimitato e inconoscibile. Quindi
corrisponde, a grandi linee, all'Apeiron di Anassimandro e alla sostanza unica di
Spinoza.
Il centro dell'universo è ovunque: infiniti mondi finiti! (Giordano Bruno)
L'Universo, forse, non si sta espandendo sempre più velocemente lontano dal suo
centro. Anzi, è il tempo che sta rallentando e prima o poi si fermerà del tutto e ogni
cosa apparirà come se fosse congelata, in una sorta di fermo immagine che durerà per
sempre (ma a quel punto cosa significherebbe "sempre"?).
Secondo lo zen si può considerare l'universo da una pluralità di punti di vista
ugualmente validi: come molteplice, come uno, come uno e molteplice, come né uno
né molteplice ... liberi di assumere ogni punto di vista a seconda delle circostanze.
Ogni percezione deriva da un mutamento (uno scambio energetico); non si può
escludere l'esistenza anche di infiniti altri universi di fenomeni, completamente ignoti

610
alla percezione del soggetto in mancanza di scambi energetici che permettano di
osservarli. (Zamboni)
Siamo realmente mescolati alle stelle da miliardi di anni (in questo attuale universo,
da 15 miliardi di anni, circa) mentre l'energia continua il suo incessante viaggio da un
angolo all'altro dell'universo, senza fermarsi mai (o, ancora meglio, senza muoversi
mai!).
La nostra idea di creazione è un percorso dal caos verso l'ordine. Sembra invece che
nell'universo stia accadendo giusto il contrario! Al proposito si ricordi l'entropia …
«È una situazione alquanto imbarazzante dover ammettere che non riusciamo a
trovare il 90 per cento [della materia] dell'Universo.» dice Bruce H. Margon,
astronomo all'Università di Washington.
“Tutto l’ Universo è figlio di una donna sterile”. Una metafora per indicare come tutta
la Creazione sia … Increata. Ma come fare per spiegare alla mente umana un concetto
così difficile da assimilare? Come fare ad illustrare che l’Universo è “inessente”, e
che quindi non diviene, nel senso che non viene in essere, ma è? Per cercare una via di
uscita al problema il misticismo ha dovuto affidarsi al simbolo e al mito per esprimere
un concetto di Assoluto Eterno che eliminasse l’ idea dell’origine e della fine, della
nascita e della morte delle cose e degli esseri umani. Ma il misticismo, tra archetipi,
alchimie, astrologie e altro, mancava di un linguaggio adatto, di una “neolingua”,
capace di trasferire quanto sperimentato interiormente (spiritualmente) all’esterno. Per
questo la scienza (quantistica), pur arrivando in ritardo, ha avuto il grande merito di
tradurre in un linguaggio elaborato, ideale e più adatto alla massa qualcosa che ha le
dimensioni dell’“infinito”, per trasmettere tale “Informazione” alle capacità dell’
intelletto umano. E allora, coincidendo con quanto affermato dalla verità mistiche
millenarie, anche la fisica quantistica ha finito per concordare con i testi dei Veda e
dei Vedanta nel dire che non esiste un “altrove” (relatività), bensì un “ovunque”
(assoluto), non un luogo (spazio), ma la non-località. Non un tempo, ma un “hic et
nunc” (qui ed ora). Sempre. Ecco perché oggi l’oriente riconosce che: “Scienza e
Spiritualità sono come due gambe che consentono all’uomo di avanzare verso la
meta”. (Isabella di Soragna)

L’uomo è figlio di questo universo e questo universo è figlio dell’uomo. L’uno


genera l’altro, come il seme l’albero e viceversa, in un apparente paradosso
inesplicabile. Ognuna delle due “singolarità” non ha creata l’altra, altrimenti avrebbe
duplicata se stessa, ma si è semplicemente riflessa (disuguaglianza simmetrica).
“Tutto, assolutamente Tutto, è indissolubilmente e in continuità nucleo (uomo-
particella) e Campo o Spazio Pensante” (“ondi-cella”- Coscienza/Vibrazione)
(Schroedinger, 1958). La forma è solo un’area vibrazionale più densa del campo
energetico unificato. Pertanto l’Osservato dipende dalla presenza dell’Osservatore.
611
Lo scopo dell’universo del resto è quello di essere osservato. Senza l’ osservatore non
esiste l’Universo e/o osservato e viceversa. Sono Uno. Altrimenti se per assurdo così
non fosse, la vita non sarebbe.

L'universo è la somma di tutti i possibili punti di vista (geometrale). Ognuno ha il


proprio universo. L'universo non è fatto di alcunché. L'universo è fatto di nulla.

Se non siamo in grado di fare previsioni sul comportamento di un nucleo atomico,


immaginiamo quanto più fondamentalmente imprevedibile sia il comportamento
dell’intero universo. (Gell Mann)
Fuori, intorno a noi c’è uno straordinario mondo ancora inesplorato. Come un
bambino che si affaccia per la prima volta a una finestra sul mare, l’umanità intera sta
a guardare dall’oblò dei suoi telescopi, curiosa, incantata. (Rovelli)
-UNO **
Tutto è Uno. In queste chiare e semplici parole è racchiusa l’essenza di un
insegnamento tra i più antichi e nobili della civiltà umana. Essa esprime la
tradizione dell’Advaita Vedanta, letteralmente della “non- dualità nei Veda” tra
ciò che noi siamo soliti considerare mondo interno e mondo esterno, tra psiche e
materia, tra io e dio.

Prima la molteplicità va ricondotta all'Uno. Poi anche l'Uno va trasceso.

La filosofia greca sembra aver inizio con un'idea inconsistente, la proposizione che
l'acqua è l'origine e il grembo materno di tutte le cose [...] la frase asserisce qualcosa
sull'origine delle cose [...] lo fa in guisa immaginosa e senza favoleggiamenti; [...]
benché unicamente allo stato larvale, in essa è racchiuso il pensiero: tutto è uno. Il
motivo indicato per primo lascia Talete ancora in compagnia dei religiosi e dei
superstiziosi; il secondo lo snida da questa compagnia e ci mostra in lui il naturalista,
il terzo motivo fa però di Talete il primo filosofo greco. Se avesse detto: dall'acqua
viene la terra, avremmo soltanto un'ipotesi scientifica, fallace ma difficilmente
confutabile: egli però andò oltre lo scientifico. Nella rappresentazione di quest'idea di
unità mediante l'ipotesi dell'acqua, piuttosto che superato, Talete ha oltrepassato a dir
612
poco d'un balzo il basso stadio delle cognizioni fisiche del tempo. Le manchevoli e
disordinate osservazioni di tipo empirico che Talete aveva fatto sull'apparizione e
sulle trasformazioni dell'acqua, o più esattamente dell'umido, avrebbero consentito
ben poco o tanto meno consigliato una siffatta generalizzazione; ciò che condusse a
questa fu un articolo di fede metafisico che ha la sua origine in una intuizione mistica
e che incontriamo in tutte le filosofie insieme con i sempre rinnovati tentativi di
esprimerlo meglio - la proposizione "tutto è uno" [...]. Talete diceva: "Non l'uomo,
bensì l'acqua è la realtà delle cose". Egli comincia a credere nella natura, nella misura
almeno in cui crede nell'acqua. Come matematico e astronomo aveva acquisito una
certa freddezza nei confronti di tutto quanto sia mitico e allegorico, e se non gli riuscì
di disincantarsi fino alla pura astrazione "tutto è uno", restando inchiodato a
un'espressione fisica, costituì tuttavia, per i greci del suo tempo, una sorprendente
rarità [...] Quando Talete dice "tutto è acqua", con un sussulto l'uomo si solleva
cessando il brancicare e il tortuoso strisciare, a mò dei vermi, proprio delle scienze
particolari, presagisce la soluzione ultima delle cose e con questo divinamento supera
la volgare angustia dei gradi inferiori di conoscenza. (Nietzsche)

L'Uno non indica un predicabile. In questo senso, esso è il nulla, ossia totale
assenza di distinzione. (Meister Eckhart)

La prima distinzione è quella fra l'Uno Assoluto (En di Plotino) e l'uno relativo (Nous
di Plotino). Il primo è oltre ogni possibile rappresentazione, senza autocoscienza e
senza dualismo. Il secondo è autocosciente e, quindi, dualista. Come tale, da origine
al due e al molteplice.

Forse sarebbe utile considerare come un livello superficiale di comprensione quello


che si sofferma sulla molteplicità delle forme, utile al fine di esplicitare certi
contenuti, i quali si dimostrano manifestazioni plurime ed esteriori di un unico fondo
che le informa.

L'idea fondamentale della metafisica del sufi Ibn Arab è che Uno e Molteplice siano
due facce della stessa medaglia.

L'Uno e i Molti - proprio come L'oro e il leone di Fazang - 'sono' nel senso che
ciascuno è qualcosa di definito che non si confonde con l'altro; ma,
contemporaneamente, 'non sono' nel senso che ciascuno, per sussistere come
qualcosa di definito, ha bisogno dell'altro perché sono in stretta relazione. Anche
Platone nel Parmenide (166c) dice più o meno la stessa cosa. Questa
complementarietà dei 'principi' è resa possibile proprio dall'impossibilità per ciascuno
di essi di venir determinato in modo autonomo: la complementarietà si radica e si
sviluppa nell'assenza di autoconsistenza che connota ciascun 'principio'. In una
parola, essa dipende dalla 'vacuità' (xu) dei 'principi'.

613
I raggi del cerchio (e della ruota) rappresentano il percorso che va dal centro,
dall'unicità alla molteplicità data dai punti della circonferenza. Ma anche viceversa:
dalla molteplicità all'unicità. Per il Buddismo ciò significa la connessione dei
molteplici fenomeni con la loro unica natura comune: la vacuità. Per Platone ciò
significa la connessione tra i molteplici enti e l'Idea.

Il doppio movimento che va dall'Unità infinita alle molteplici realtà finite, e da queste
ritorna all'Unità, fonda e alimenta quasi tutte le visioni del mondo e della vita
prodotte dalla tradizione induista. Lo stesso doppio movimento si può però ritrovare
anche in molte tradizioni filosofiche occidentali: in maniera eminente nel sistema
filosofico di Plotino ma, in forme diverse per estensione e per qualità, anche in
Eraclito e in Hegel. (Pasqualotto)

L’essenza dell’artisticità, dice Nishida Kitaro, non risieda in una soggettività


prorompente, nella personalità di genio, bensì nella capacità di farsi uno con le cose
che si intendono descrivere, figurare, con le emozioni che si fanno catturare e
riprodurre.

Il gioco di prestigio dell'Uno e del molteplice: ci resta incomprensibile come una


molteplicità di contenuti possa inerire a una unità. La medesimezza di Dilthey è il
permanere di un insieme pur nella sua variabilità (la nave di Teseo), ciò che permane
identico in noi stessi pur nella variazione: permanenza nel variare, come per il
concetto di Io e di sostanza.
Il Cielo e la Terra ed io viviamo insieme, le diecimila creature ed io siamo l'Uno.
Poiché già siamo l'Uno, posso dirne parola? Poiché già l'ho chiamato Uno posso non
dirne parola? L'Uno e la parola sono due. (Chuang Tzu)
Ora i maestri lo prendono in quanto Uno, perché l'Uno è Uno più veramente di ciò
che è unito. A ciò che è Uno, è tolta ogni altra cosa; anzi, quel che è tolto è identico a
quel che è aggiunto, per il fatto che implica una mutabilità. E se non è né bontà, né
essere, né verità, né Uno, che cosa è dunque? È il nulla, né questo, né quello.
(Meister Eckart)

Se l’Uno è ciò che attivamente tiene insieme la realtà, esso non potrà essere fatto
oggetto del discorso, poiché sarà ciò che tiene insieme questo stesso discorso, ciò che
identifica i suoi concetti, organizza le sue parole, completa il suo senso. Ciò che
nascostamente sostiene il discorso non può dunque venire detto che nella forma di
un’assenza che è generativa.

Noi non possiamo pensare come dall'unità del mondo possa divenire una molteplicità,
dall'eterno qualcosa di mutevole perché questo è logicamente inconcepibile.

614
Dalle particelle subatomiche alle galassie giganti, tutto è allo stesso tempo parte
infinitesimale e totalità dell'UNO - TUTTO.

Per i bambini non si nasce e non si muore; l'intero mondo è animato; il passato,
il presente e il futuro sono distinzioni poco comprensibili; si soffre e si gioisce
con partecipazione totale, con tutto il corpo e con tutto l'ambiente nel quale il
corpo è calato; non esiste separazione, ma solo unità di tutte le cose.

Io lo chiamo cattivo e ostile all'uomo tutto questo insegnare l'Uno e il Pieno e


l'Immoto e il Satollo e l'Imperituro … Invece i migliori simboli devono parlare del
tempo e del divenire: una lode essi debbono essere e una giustificazione di tutto
quanto è perituro. (Nietzsche)

Con lo sguardo d'insieme (sinopsi) si sintetizza una molteplicità in una unità


mentre con la diairesis (distinzione, divisione) si scompone l'unità in una
molteplicità.

E’ l’ente che fa contemporaneamente tutte le esperienze che noi attribuiamo


invece separatamente a tutti quegli enti che distinguiamo soprattutto sulla base
della loro apparente diversità di forma. Esistendo solo l'Uno, qualunque
distinzione di forma fa dunque parte della sua manifestazione, e, perciò, ha origine da
esso, avviene in esso e si sviluppa per mezzo di esso. Se è il soggetto ultimo che fa
l’esperienza di tutto ciò che noi chiamiamo realtà, in definitiva vi è sempre e solo
l’Uno che fa l’esperienza di se stesso.
Vi è un'unica sola cosa e ciò che appare essere una pluralità è semplicemente
una serie di differenti aspetti di questa sola cosa prodotta da una illusione
(maya). (Schrodinger)
Quanti dei ci sono? 33.333. Quanti dei ci sono? 333. Quanti dei ci sono? 3. Quanti
dei ci sono? UNO. Questo aneddoto indù ci vuole insegnare che l'uno e il molteplice
non sono due.
Quando non si riconosce l'unicità nella totalità delle cose, allora nasce
l'ignoranza della particolarizzazione.
L'uno tutto non cancella la singolarità... la esalta!
Quello che appare con nomi e forme è solo un po' di farina del tuo sacco - corpo-
mente-interpretazione.  Tutto questo è importante viverlo, come respiri l'aria ogni
istante, non "saperlo". (Isabella di Soragna)
L’uomo ha l’illusione di essere altro rispetto all’essere un unico con il Tutto.

615
Risvegliarsi è conoscere ciò che la realtà non è. E' cessare di identificare se stessi
con un oggetto qualsiasi di conoscenza
Quando le Diecimila cose sono viste nella loro Unicità, noi torniamo all'Origine e
restiamo dove siamo sempre stati. (Sen T'sen)
Il gioco di prestigio dell'Uno e del molteplice: ci resta incomprensibile come una
molteplicità di contenuti possa inerire a una unità. Ciò vale sia per la sostanza che per
l'io...
L'UNO.TUTTO è oltre la frantumazione in soggetto e oggetto frutto dell'esperienza.
La dottrina dionisiaca dell'Unità iniziale di tutte le cose. La dottrina apollinea
dell'Individuazione come sofferenza e rottura dell'unità.
La Speranza della reintegrazione del molteplice nell'unità!

Tutto è Uno: questa è la soluzione di ogni problema, di ogni conflitto.

Francesco Patrizi (1529) scrive che la conoscenza è una forma di unione fra soggetto
conoscente e oggetto conosciuto con la conseguente necessità di una unità sostanziale
e metafisica di fondo del reale. Al proposito, dice Isabella di Soragna: Sapere =
dividere. Se conosco, oggettivo "qualcosa” quindi divido e creo un'illusione. Ecco
perché è giusto dire: ”Non so nulla", perché questa è la suprema ultima verità.
La natura, (physis, tao, ENERGIA, psyché o anima o respiro vitale, campo) come
condizione di possibilità di esistenza delle infinite cose: dall'uno tutte le cose e da
tutte le cose l'uno di Eraclito oppure le diecimila creature ed io siamo l'Uno del
taoismo.
-UOMO**
Un uomo armonioso è complesso, la sua semplicità è molto, molto complessa; perché
nella sua semplicità è compreso l’opposto. Ha una compassione profonda, ma può
anche essere arrabbiato. È assolutamente distaccato, ma sa anche amare; ama e
rimane distaccato. In lui, il picco e la valle si incontrano. In lui, il suono e il silenzio
si incontrano. E se hai un orecchio musicale e un cuore, riuscirai a vedere l’armonia
in una persona come questa. E una persona simile è rara, perché è diventata lei stessa
un Logos. Il loro essere funziona come l’esistenza; nel loro essere l’esistenza stessa si
rispecchia. Essi non rifiutano nulla, usano tutto. (Eraclito interpretato da Osho)
Non l'Uomo, ma gli uomini abitano questo pianeta. La pluralità è la legge della Terra.
(Arendt)
Gli uomini non sono prigionieri del destino ma di quello che c’è nelle loro menti.
(Roosevelt)
616
Leopardi dice che l’uomo è piccolo e fragile rispetto alla grandezza del tutto.
L'uomo vive il nulla essendo egli stesso il nulla. L'uomo è nulla! Così come lo è
l'essere in mezzo al nulla. "Quattro animaluzzi su un pugno di fango”: così,
Leopardi, definirà nel dialogo Copernico la piccolezza dell’uomo. Un niente in
confronto all’ universo. E rispetto al nulla-infinito stesso.

Il nostro «star bene» poggia su tre pilastri: quello dell’identità e della auto-
realizzazione (essere); quello delle risorse e delle opportunità (avere); quello delle
emozioni e delle relazioni con gli altri (amare). (Allardt)
La maggior parte degli uomini risulta dispersa nella molteplicità dei desideri,
delle paure e delle opinioni. Una minoranza cerca di reagire combattendo
eroicamente tale situazione. Una piccolissima parte di uomini riesce invece a vivere
serenamente desideri, paure e opinioni senza farsi troppo coinvolgere.
L'uomo non è la conclusione del processo e non è il centro fisso dell'universo;
l'uomo è nella natura e nella storia. L'uomo che si apre alla possibilità vuole la
relazione. In questa prospettiva, l'esistenza è relazione e temporalità, è storicità
concreta. (Paci)

L'uomo è relazione. (Kierkegaard)

L'essere umano vive e si realizza tramite le relazioni.

L'uomo giusto relativizza se stesso.

L'uomo è l'essere condannato a tradurre la necessità in libertà. (Ortega y


Gasset)

Ogni uomo ha un suo mondo: i grandi uomini godono di un mondo più vasto e più
completo.

L’idea che l’essere umano sia un “animale incompleto”, e che come tale abbia
bisogno di essere completato, sembra infatti essere comune a molte società, compresa
quella occidentale. (Fabietti)

L’uomo, se vuole sopravvivere e vivere meglio, deve far sopravvivere e vivere


meglio gli altri esseri e l'ambiente che lo ospita, e, viceversa per far sopravvivere
e vivere meglio gli altri e il proprio ambiente, è necessario che egli stia bene con
se stesso. (Pasqualotto)

C’è una frase dell’Antico Testamento che dice: l’uomo è uno stupido. Domanda: può
uno stupido essere stato creato a immagine e somiglianza di Dio?
617
L'uomo deve per forza credere a qualche cosa che dia senso, significato, valore alla
sua vita. Per qualcuno l'essenziale, lo scopo della vita è la soddisfazione degli istinti
(sopravvivenza, riproduzione e sicurezza), per altri contano l'onore, l'orgoglio, per
altri ancora il dovere. Insomma, ogni individuo, nessuno escluso, si pone lo scopo di
dare un significato alla propria esistenza che può essere l'amore per Dio, l'amore per
il genere umano, l'amore per sé stesso e cioè l'egoismo. Oppure una miscela fra
quanto sopra. Andare oltre sembra problematico se non impossibile per l'uomo.
Nietzsche dice che noi vediamo tutte le cose con la testa umana (che non
possiamo tagliare) e non come sono le cose realmente in se stesse. Prospettivismo.
Ci sono molti uomini che devono sempre urlare la loro esistenza per attestare di
esserci. Pochi altri invece sussurrano al nulla il loro presunto essere.

L'essere umano non ama le spiegazioni di tipo casuale. Preferisce quelle in cui si
enfatizza un fine, uno scopo. E' affascinato dall'idea di un progetto, ama
contemplare la realizzazione di un disegno dove l'uomo stesso è importante.

Noi esistiamo unicamente per essere energia che fluisce oppure siamo essere speciali
nei quali l'universo trova la possibilità di passare dalla materia allo spirito? (e se
materia e spirito non fossero diversi?)

La Bibbia racconta di un uomo che sembra nascere perfetto e direttamente dalle mani
di Dio, già essenzialmente diverso e superiore a ogni specie animale.

Noi occidentali siamo un gruppo umano fra gli altri, non i primogeniti dell’unico vero
dio.

Per i greci idiótes è l’uomo comune privo di capacità particolari, chi non partecipa
alla vita della città, la ‘persona privata’ che sta esclusivamente nel suo mondo.

Nella teoria dell’antropos-poiesis (‘costruzione dell’umano’), gli umani sono visti


come esito di una lunghissima operazione di plasmazione culturale che li rende adatti
a, e coerenti con, il mondo che sono chiamati ad abitare. Si tratta di un processo
integrale, che ha inizio fin dalla nascita e interviene a ogni livello: dal piano genetico
a quello cognitivo, da quello anatomo-morfologico a quello fisiologico, dalla
strutturazione pulsionale all’ingresso nella sfera linguistica. I modi dell’accudimento,
il rapporto con sé e quello con gli altri, le aspettative degli adulti, le pratiche di cura,
le vie della conoscenza, i tipi di enti che esistono, i canali di circolazione dei beni e
dei ruoli: tutto questo dà forma a umani specifici, figli di una storia e di un tempo,
portatori di forme storiche di umanità anche assai differenti fra loro. Non tutti
pensano, come noi, che esista (o non esista) un unico Dio; che il tempo abbia
618
avuto un inizio; che il fondamento razionale delle azioni sia l’utile; che la libertà
individuale sia lo scopo supremo. Ci sono mondi in cui gli umani ricevono
insegnamenti dalle piante; in cui si può far parte della stessa categoria ontologica del
serpente e generare figli appartenenti a una categoria differente; in cui si negozia con
gli spiriti che possiedono gli umani; in cui la natura non è matrigna; e molto altro
ancora.

Tra tutti i viventi, l’uomo è di gran lunga l’essere che ha adottato in misura maggiore,
per sopravvivere, tecniche climatizzanti, ossia volte a modificare l’ambiente
circostante per produrre condizioni più favorevoli alla sua vita. Ciò ha fatto
dell’uomo quell’animale che si è auto-domesticato, in quanto è stato, a sua volta,
modificato dalle pratiche tecniche e proto-tecniche, spontanee o intenzionali, volte a
garantirgli la sopravvivenza in un ambiente privilegiato. L’effetto essenzialmente
retroattivo delle tecniche di domesticazione e allevamento ha fatto sì che l’uomo
possa darsi soltanto all’interno di serre, ossia di spazi antropicamente modificati, al
fine di garantire la produzione di un clima interno, che allontana e protegge dalla
pressione ambientale del mondo esterno.

L'uomo si trova ad essere determinato dalla natura. Egli è natura: soddisfacimento


dei sensi e dell'animalità. Concordano con questa visione Democrito, Protagora,
Epicuro, Lucrezio, Carneade, Hobbes, Hume e Comte che parla della chiarezza solare
del sensibile. Sono contrari Eraclito, Platone e Paolo di Tarso.

L'uomo è un vivente in via di auto-evoluzione? Ha forse ragione Nietzsche con il suo


oltre uomo?

L’uomo si scopre nel contempo pienamente causa sui alla stregua e al posto del Deus
sive Natura spinoziano, da creatura naturata è assurta al rango di creatura naturante.

Nietzsche azzarda nel Frammento di Lenzerheide del 1887 ove scrive: «‘‘Dio’ è
un’ipotesi troppo estrema’, considerata ‘la potenza raggiunta oggi dall’uomo’.

Noi siamo il prodotto delle fluttuazioni quantistiche presenti nell'Universo


primordiale. (Hawking)

Se l'essere umano non imparerà a domare la propria aggressività potrebbe auto-


distruggersi con una guerra nucleare o batterica. Moriremo tutti e sarà colpa nostra.
Saremo distrutti dalla nostra aggressività e dalla tecnologia. (Hawking)

Davvero, un fiume immondo è l'uomo. Bisogna essere un mare per accogliere un


fiume immondo, senza diventare impuri. (Nietzsche)

L'uomo deve essere superato. L'uomo è stato un tentativo. (Nietzsche)


619
L'uomo sta al centro del suo cammino fra l'animale e l'oltreuomo. (Nietzsche)

Da quando vi sono gli uomini, l'uomo ha gioito troppo poco: solo questo fratelli è
il nostro peccato originale! Imparare a meglio gioire è per noi il modo migliore
di disimparare a far del male agli altri. (Nietzsche)

Gli uomini non sono uguali. E neppure devono diventarlo! Che sarebbe il mio amore
per il super uomo se io parlassi diversamente? (Nietzsche)

L'uomo immagina che tutta la realtà sia stata creata da una volontà simile alla sua e,
quindi, libera. Questo antropocentrismo è criticato da Spinoza perché l'uomo
pretenderebbe di essere al centro del mondo, della natura. Oltre a ciò l'uomo pretende
anche che Dio abbia sembianze umane (antropomorfismo). Anche tale pretesa,
insieme con il finalismo (teleologia), viene avversata da Spinoza che si fa fautore di
una concezione deterministica e necessitante della realtà escludendo quindi una
finalità.

Homo homini lupus (Hobbes) oppure la syn-pathein di Hume?

L'uomo appartiene, secondo Kant, a due mondi: a quello sensibile e fenomenico e a


quello intellegibile della libertà morale. Ancora e sempre dualismo?

A un certo punto l'uomo, libero da se stesso, dai suoi pregiudizi, dai suoi miti, dai
suoi dèi, potrà tornare a sé con uno sguardo diverso e un'affermazione nuova.
(Blanchot)

Per l'uomo sommo non esiste l'io. Per l'uomo sovrannaturale non esiste il merito.

L'uomo è il re del creato? O l'uomo è il più terribile degli esseri viventi?

Ogni essere umano ha molte radici: la nascita con relativo trauma, l'infanzia,
l'ambiente famigliare con le sue idee, la scuola, la religione, il linguaggio, gli amici,
alcuni insegnanti, alcuni personaggi che sembrano insignificanti ma che invece
lasciano un segno profondo, i suoi personali sogni, le sue personali speranze, le
personali sue paure e tanto altro ancora come, ad esempio, quantità e qualità
dell'intelletto ricevuto in dote. Ne esce un insieme imprevedibile e non facilmente
comprensibile date le sue molteplici implicazioni relazionali. Questo è l'uomo, ogni
uomo!

L'uomo in sé non è niente. Non è che un'occasione infinita. Ma è il responsabile


infinito di questa occasione. (Camus)

620
Essere vivo significa essere fatto di memoria. Un uomo che non è fatto di memoria
non è fatto di niente. (Roth)

Vogliamo essere un individuo separato che però possa naufragare nell'infinito …


vero Leopardi? Aporia pura … Giacomino mio, sei ancora dualista. Se tu naufraghi
nel nulla non sarai più tu ... ciao caro e dolce amico!

Gli esseri umani non hanno una realtà speciale in modo assoluto.

Critichiamo aspramente le debolezze altrui e, allo stesso tempo, pretendiamo che gli
altri tollerino le nostre debolezze … Nascono così le affollate solitudini.

Forse l'uomo è molto meno umano di quanto pensa di essere. Forse il narcisismo
egoistico ha quasi sempre il sopravvento sull'empatia altruistica. Senza che
l'uomo se ne renda veramente conto accecato dal suo io, dai loro noi. Forse.

Avvolti dalla nebbia gli uomini vivono nell’indifferenza verso tutte le cose tranne che
per quelle che hanno valore che per la loro utilità materiale.

L'uomo è:
animale politico per Aristotele
animale razionale per Tommaso
animale grazioso e benigno per Dante
animale cerimoniale per Witgenstein
ma sempre animale è!

Terenzio scrive: "Homo sum, humani nihil a me alienum puto".

Rousseau, fondatore del romanticismo, dice che l'uomo è per natura buono ed è
reso cattivo soltanto dalle istituzioni (è quindi contro il peccato originale). Le arti e le
scienze non hanno conferito benefici all'uomo. Il primo uomo che avendo cintato un
pezzo di terra si credette in diritto di dire "Questo è mio" e trovò gente abbastanza
ingenua da credergli, fu il vero fondatore della proprietà privata su cui si regge la
presunta società civile. Bisognerebbe abbandonare la civiltà e ritornare al buon
selvaggio che, dopo aver mangiato, è in pace con tutti. Per questa asserzione Voltaire,
ovviamente, lo prende in giro e litigano: Vi odio! Scrive Rousseau a Voltaire. Per
essere virtuosi basta seguire i sentimenti e non la ragione (tipica di Voltaire) dice

621
Rousseau. La religione naturale viene rivelata direttamente ciascun individuo. Il
romanticismo di Rousseau influenza Schopenhauer e Nietzsche.
Verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi
è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace,
menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo, l'uomo non ha limiti e quando un
giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo. (Giordano
Bruno)

Mentre l’animale rimane posizionato nel proprio ambiente in modo fisso, cioè nelle
modalità predeterminate dell’istinto e della pulsione, l’essere umano ha la capacità di
compiere la periagoge, cioè di riposizionarsi e di cambiare la prospettiva sul
mondo. In questo senso la periagoge è l’atto con cui l’essere umano sposta lo guardo
dalla prospettiva dominante e impara a guardare il mondo con un occhio nuovo.

L'uomo è fatto delle stesse particelle delle stelle: è tutto collegato nella totalità del
cosmo.
Ognuno è solo davanti alle sue produzioni mentali.
Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) studio a fondo la Cabala medioevale
ritenendola invece addirittura dell'epoca di Mosè. Nel libro Discorso sulla dignità
dell'uomo scrive che l'uomo è stato posto al confine fra due mondi: quello della
intelligenza angelica e quello dei bruti. L'uomo può essere ciò che vuole perché ha
natura camaleontica datagli dal Padre Dio che è oltre tutti i nomi che gli possiamo
dare: Uno, Bene, Essere.
Dioniso, figlio di Zeus, fu fatto a pezzi e divorato dai Titani i quali per punizione
vengono folgorati e inceneriti da Zeus. Dalla loro cenere nacquero gli uomini che
avrebbero quindi corpo titanico e anima dionisiaca.
Ricordo ancora quando scendemmo dagli alberi per conquistare la terra …
Erasmo da Rotterdam (1466) scrive nell'Elogio della Pazzia: "Che cos'è la vita
dell'uomo, se non una commedia, in cui ognuno ha una sua maschera particolare e
recita la sua parte, sinché il regista lo allontana dalla scena?" (ricorda Epitteto)
Compassione per l'individuo che invano cerca di concepire l'inconcepibile.
Che strana creatura l'essere umano: brancola nel buio con espressione, a volte,
intelligente! (Kodo Sawaki Roshi) 
L'uomo vuole svegliarsi ma non vuole abbandonare il sogno.
L'uomo è una dissonanza?

622
L'uomo, che è dentro l'essere, si chiede, (ritenendosi soggetto), cosa sia l'essere
(ritenendolo oggetto). Chi potrà mai rispondere?
Nessun uomo è saggio dice Socrate.
Nessun uomo è buono dice Gesù.
E se l'uomo non fosse altro che energia, un'onda di energia in un oceano di energia?
Il dramma dell'uomo è il caso di cui lui stesso è fatto.
La vera misura di un uomo si vede da come tratta qualcuno da cui non può
ricevere nulla in cambio.
Illusione secondaria è scambiare una corda per un serpente mentre illusione primaria
è scambiare una corda per un oggetto. Allo stesso modo l'ombra di un uomo è una
illusione secondaria mentre l'uomo stesso è una illusione primaria.
L'esistenza umana non trova dove poggiare: sempre l'uomo cerca di definirsi senza
che ciò gli riesca.
Agli uomini bisogna fornire ragioni egoistiche per essere virtuosi.
Gli uomini temono ciò che essi stessi hanno immaginato.
Pascal dice che nella miseria dell'uomo sta la sua grandezza.
L'uomo è preso in un ineludibile accadere a cui non riesce a opporsi tranne che nella
sua fantasia.
L'uomo è il solo animale che ride e che piange perché è il solo animale che
percepisce la differenza fra come le cose sono e come potrebbero essere.
L'uomo è qualche cosa ma non sa bene che cosa...
L'uomo non si rassegna facilmente a ignorare in eterno la natura profonda delle
cose. (Poincaré)
L'individuo è ineffabile...da di sé solo vaghi segnali...ma ha sempre bisogno di essere
amato.
L'uomo evidenzia un pressante desiderio di un'autorità incondizionatamente
degna di fede.
L'uomo cerca, da sempre, un qualche cosa (una legge, una formula, un Dio) che
stabilisca il funzionamento delle cose, del mondo senza esserne, a sua, volta
influenzato. Ciò pare però impossibile!
L'uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio ma l'uomo uccide e schiavizza gli
altri uomini. L'uomo è il re del creato ma623
l'uomo sta distruggendo la terra.
L'uomo è radicato nella falda della vita, senza avere alcuna centralità particolare....
Prosciugare i mille oceani dell'infelicità. Accendere nuove stelle del firmamento
della felicità. Questo è il compito dell'uomo.
Invano costringiamo l'essere umano vivente in questo o in quello schema .... tutti gli
schemi saltano....
L'uomo vuole inserire questa sua vita che scorre dall'oscurità iniziale a quella finale
entro una connessione nella quale risulti comprensibile...
Se è vero che l'uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, i casi sono due: o Dio
non è granché oppure l'uomo non gli è venuto molto bene...
L'uomo è fatto da ciò in cui crede. Come egli crede, cosi è. (Bhagavad Gita)
L'uomo è davvero un insensato: non è capace di creare un pidocchio e si ostina a
creare dei.
Dio vive solo nella mente dell'uomo! L'uomo vive solo nella mente di Dio!
IPOTESI: nell'anno 3333 l'uomo sparisce dalla faccia della terra a seguito di... ...
guerre nucleari? guerre batteriologiche? cambiamenti climatici? virus? mutamenti
geologici? mutamenti cosmici?.... Che ne sarà di Dio?
Schopenhauer, per evidenziare la stoltezza di noi uomini, afferma che, spesso, la
nostra felicità sta nella testa degli altri visto che siamo condizionati dal loro
giudizio Bisogna quindi riprendersi la felicità infischiandosene del giudizio degli
altri!
La vita organica, ci dicono, si è evoluta gradualmente dal protozoo al filosofo, e,
questa evoluzione, ci assicurano, rappresenta senza dubbio un progresso.
Disgraziatamente, chi ce lo assicura è il filosofo, non il protozoo. (Russell)
Una volta soddisfatti i bisogni primordiali, l'uomo desidera intensamente... ma non sa
esattamente che cosa desidera... è l'Essere che l'uomo desidera!
Invece di annullare, fagocitare l'altro, bisogna valorizzarlo, accoglierlo. (Levinas)
E' impossibile coincidere con se stessi.... la coscienza ordina agli occhi, alla memoria
di vedere, di ricordare in maniera epica, romanzesca.... io non saprò mai chi
sono ... se sono!
L'uomo ha la mania di voler definire l'indefinibile.
L'uomo è incapace di sapere con certezza ma anche di ignorare totalmente.
L'uomo cosale: colui che pensa di possedere le cose ma ne è invece posseduto.
624
L’Uomo, inteso tanto come singolo quanto come genere umano, ha imparato a
guardare a se stesso non più come un fatto, ma come un da fare. La consapevolezza
di questo cambiamento in atto, ha indotto un numero sempre maggiore di filosofi ad
introdurre nel dibattito contemporaneo un nuovo ambito di riflessione ed a coniare un
nuovo termine, un neologismo, per definirlo. Tale termine è: postumano. Ma cos’è il
postumano? Sulla base delle posizioni più comuni, una prima risposta approssimativa
potrebbe essere la seguente: «Il postumano è il nome col quale si è divenuti soliti
definire gli estremi di una nuova filosofia per la quale la natura biologica del corpo
dell’uomo, ivi compreso il cervello, non costituisce il limite delle possibilità
dell’essere umano. Anzi, per questa filosofia, tale natura può e deve essere superata
attraverso l’implementazione sul "corpo biologico" di protesi tecnologiche.
(Pacciolla)

-UPANISHAD E -VEDA*

I Veda sono un enorme complesso di opere (sei volte la Bibbia) suddiviso in quattro
sezioni: Rg Veda (Veda in versi), Samaveda (Veda dei canti), Yajurveda (Veda delle
formule sacrificali) e Atharvaveda (Veda di Atharvan, sacerdote del fuoco).

Il Rig Veda è uno dei più antichi e importanti testi filosofici e mitologici
dell’induismo. Fa parte di un complesso di quattro raccolte di inni in lingua sanscrita
denominate “Veda” (parola che significa “sapere”): Rig, Yajur, Sama, e Atharva. Gli
indù ritengono che questi inni siano “parole divine” pronunciate direttamente
dall’Ente Supremo, creatore dell’Universo con un atto di amore e di sacrificio, con lo
stesso amore offrì a tutta l’umanità le parole divine dei Veda attraverso la saggia
guida dei profeti. Non è chiaro in quale preciso periodo storico siano nati questi testi;
si ritiene che siano stati composti come inni e poi successivamente messi per iscritto
tra il 3500 A.C. e il 1300 A.C. . Altre fonti dicono invece che, per i Veda, la
conoscenza non è frutto di una rivelazione, come nell’Islam o nel Cristianesimo,
ma esiste da sempre.

Il Rg Veda (il più antico e importante dei Veda) fu conservato oralmente anche
quando gli indiani conoscevano la scrittura ormai da secoli. Essi rifiutavano di
conservare il Rg Veda per iscritto perché era un testo magico, il cui potere non
doveva cadere in mani sbagliate.

Upanishad è parola composta da upa (vicino), ni (giù) e sad (sedersi) e indica l'atto di
ascoltare gli insegnamenti ai piedi del maestro. Con tale nome vengono designati gli
scritti, composti tra l'XI e il IV sec. a.C. che commentano filosoficamente il
contenuto dottrinale dei Veda. Le Upanishad più importanti, composte tra il 700 e il
300 a.C., affrontano, in vari modi e con diversi livelli di profondità, il problema
625
della natura dell'Assoluto (Brahman), ma soprattutto quello del rapporto tra
l'Assoluto e le sue manifestazioni.

Nelle Upanisad l'esistenza dell'Assoluto è data di per sé mentre nel Buddhismo è


dichiarata necessaria in dipendenza dalle esigenze di salvarsi dal relativo: per pensare
a una via d'uscita dal samsara, ossia dalla catena delle esistenze dominate dalla
sofferenza, gli esseri umani devono poter pensare alla condizione del nibbana, ossia a
una situazione in cui la sofferenza sia definitivamente estinta.

Nelle Upanishad l'Assoluto, per quanto inafferrabile e mai completamente


descrivibile, è per lo più designato in termini positivi mentre nei testi buddhisti è
indicato come vacuità.

Nella Brhadaranyaka Upanisad il Vedanta fornisce una precisa e suggestiva


indicazione etica, quando si racconta che gli dei, gli uomini e i demoni, interrogato
Prajapati, il «Signore delle creature», ottengono questa risposta: «da da da :
dominatevi, donate e abbiate compassione».

Ci sono 108 Upanisad. Questo numero è sacro per l'India vedica e anche per tutto
l'Oriente: Induismo, Buddismo, Giainismo e varie altre religioni orientali lo reputano
tale. La sacralità del “108” pare derivare dai tre numeri che lo compongono anche se
non sembrano esserci certezze al proposito:
1 (bindu): è il punto da cui inizia la creazione e si sviluppa la moltitudine;
0 (sunyata): è il vuoto, lo stato da raggiungere per liberarsi dal ciclo dell'esistenza;
8 (ananta): indica ciò che è senza fine, l'infinito.
I Veda (di cui le Upanishad sono dei commenti) dicono che nessuno ha bisogno
di essere salvato perché nessuno è condannato se non dalla propria ignoranza
della sua intrinseca natura divina.

La grande scoperta delle Upanishad fu che l'essenza più intima dell'uomo è


uguale all'essenza irriducibile dell'universo.

Max Scheler ha proposto una formula concisa per intendere la filosofia: un atto,
determinato dall'amore, di "partecipazione del nucleo di una persona umana finita
all'elemento essenziale di ogni cosa possibile".

Non vi è né nascita, né dissoluzione, né aspirante alla liberazione, né alcuno che sia


in schiavitù. (Mandukya Upanishad)
Allorché si risveglia l'anima individuale, già dormiente a causa dell'infinita maya,
essa diventa cosciente di colui che è privo di nascita, sonno, sogno, dualità.
626
La visione classica delle Upanishad afferma che mediante la conoscenza si ottiene la
liberazione la quale null'altro è che l'intuizione immediata e continua di ciò che si è e
cioè: Atman che è il Tutto visto dalla prospettiva della parte e, Brahman che è il
Tutto visto dalla prospettiva del Tutto.
Mio caro, questi fiumi scorrono, quelli orientali verso est, quelli occidentali verso
l'ovest. Usciti dall'oceano, essi vi ritornano, e l'oceano permane (come unica realtà).
Allorché essi sono nell'oceano non sanno di essere questo o quel fiume.
(Chandogya Upanishad)

Gli inni del Rig Veda sono dedicati, nella stragrande maggioranza dei casi, a divinità
che rappresentano personificazioni dei poteri della natura. Ma alcuni brani hanno
come argomento le speculazioni sull’origine del mondo attraverso l’azione di un
creatore. In particolare, un inno intitolato “Inno della Creazione” (Rig Veda X.129) è
molto interessante perché espone una teoria della genesi dell’Universo senza il
diretto intervento di una divinità specifica. Ecco il testo dell’inno, tradotto
dall’inglese, come viene esposto in un saggio universitario pubblicato in India 

In quel momento non vi era né l'esistente, né il non-esistente.


Non vi era aria, né il cielo che è al di là.
Che cosa conteneva? Dove? Chi proteggeva?
C'era l'acqua, insondabile, profonda?

In quel momento non vi era né la morte né l'immortalità.


Non vi era segno della notte, né nel giorno.
L'Uno respirava, senza respiro, con il suo stesso potere.
Oltre a quello non vi era nient'altro.

In principio vi era oscurità nascosta da oscurità;


indistinguibile, tutto questo era acqua.
Ciò che era nascosto dal vuoto, l'Uno, venendo in essere,
sorse attraverso il potere dell'ardore.

In principio il desiderio venne prima di tutto,


che fu il primo seme della mente.
I saggi che cercavano nei loro cuori con saggezza
scoprirono il legame dell'esistente con il non-esistente.

La loro corda fu estesa attraverso:


che cosa c'era al di sotto e che cosa c'era al di sopra?
C'erano portatori di semi, c'erano poteri;
vi era energia al di sotto, e impulso al di sopra.

Chi lo sa veramente? Chi può qui dichiarare


da dove è stata prodotta, da dove viene la627
creazione? 
Dalla creazione di questo universo gli Dei vennero successivamente:
chi allora sa da dove ciò è sorto?

Da dove questa creazione sia sorta,


se lui l'ha fondata oppure no:
lui che la sorveglia nel più alto dei cieli,
lui solo lo sa, o forse non lo sa.

La creazione viene descritta semplicemente come un passaggio dal non-esistente


all’esistente, dal vuoto alla materia, ma non è possibile affermare di più: la mente
umana non può concepire il nulla. Infatti prima della creazione non può esistere
alcuna realtà, alcun concetto come quello di esistenza, e neanche la sua negazione.
Non solo, ma anche gli Dei non possono essere d’aiuto, in quanto sono stati
generati dopo la creazione stessa. Solo un’intuizione, una presa di coscienza
dell’uomo distolta dal mondo dell’impermanenza e del continuo movimento, può
forse, come i Saggi del testo, arrivare a sperimentare fisicamente l’inconcepibile.
Dialogo tra padre e figlio contenuto nell’antica Chandogya Upanishad:
1. “Portami un frutto di quel nayagrodha” disse il padre. “Eccolo Signore”, rispose il
figlio. “Taglialo”, ordinò il padre. “Eccolo tagliato”, rispose il figlio. “Che ci vedi
dentro?” chiese il padre. “Tanti piccoli grani”, rispose il figlio. “Ebbene, spezza uno
di quei grani”, ordinò il padre. “Eccone uno spezzato”, o Signore, rispose il figlio.
“Che ci vedi dentro?” “Nulla o Signore”.
2. Il padre allora gli disse: “Questa sottile essenza che sfugge alla tua percezione, è
grazie a questa sottile essenza che questo albero, per quanto grande esso è, si innalza
in cielo.
3. Credimi, mio caro. Questa sottile essenza anima tutte le cose; essa è l’unica
realtà, essa è l’atman. Tu stesso, o Svetaketu, lo sei”.

-VACUITA' -VUOTO- sunyata***


Il fascino dell'assenza nello zen.
Il Silenzio nel dialogo e in musica.
Il Caso nella scienza.
Il Vuoto in fisica.
Lo Zero in matematica.
In Non Essere in ontologia.
Il Nulla in filosofia e in teologia.
La Non Autocoscienza nell'Assoluto.
628
Portentosa forza del negativo o solo astratti concetti? The vacuum is not empty!
In fisica il Vuoto Assoluto non esiste mai. Il vuoto quantistico è infatti un
turbinio di coppie di paricelle e antiparticelle virtuali, che si creano dal vuoto e
si annichiliscono successivamente nel vuoto.
Nessuna cosa è inserita nel tempo e da esso è modificata ma essa stessa è il tempo.
L'energia non è mai immobile, il vuoto non coincide mai con il nulla.

Oltre ad avere molteplici e sorprendenti proprietà fisiche, il vuoto quantistico non è


affatto vuoto. Infatti, come impone il principio di indeterminazione di Heisenberg, è
un oceano brulicante di attività, in cui incessantemente si producono fenomeni di
creazione e di annichilazione di particelle e antiparticelle.
Sunya Sunyata è la vacuità del Vuoto: anche il Vuoto viene superato in quanto
lui pure è anatta! Dharmadhatu è spesso utilizzato come sinonimo di Sunyata e,
quindi, di Assoluto inteso, paradossalmente, come modalità di relazione.

La vacuità
Immagina, prova la vacuità
Che tutto abbraccia
In cui nuota l'universo
Come una nuvola nel cielo

Il vuoto traboccante
Sii libero dal nome e dalla forma
Dai desideri e dalle paure che essi comportano
Cosa resterà?
Resterà un vuoto pieno fino a traboccare

L'essenza delle cose di aristotelica memoria viene sostituita, in Oriente, dall'assenza,


dalla vacuità, da sunya vera caratteristica di tutti i fenomeni.

Il vuoto costituisce la qualità costante di tutte le realtà siano esse di carattere


fisico, psicologico o metafisico: in particolare, il vuoto costituisce la fonte di tutte
le realtà, lo sfondo da cui esse emergono, il loro fondamento e la loro
destinazione.

La materia è identica alla vacuità, senza differenza. La materia è proprio


vacuità, la vacuità è proprio materia; anche sensazione, nozione, impulsi,
coscienza sono vacuità. Altri saggi orientali dicono invece che la materia è
distinta seppur non divisa alla vacuità. Opinioni, bellissime opinioni.

629
Il principio è l’assolutamente neutro, vuotezza designificante ogni determinazione.
Nulla, in ultima analisi, ha senso, ma è bensì l’attaccamento desiderativo umano –
radice del dolore – a conferire significato a un darsi del reale in sé assolutamente
vuoto (cioè privo di senso).

Grandi filosofi quali Aristotele e Cartesio negavano l'esistenza del vuoto. Dalla
moderna fisica si evince invece che, quasi, esiste solo il vuoto. Infatti, se si prendesse
l'intera umanità e si togliesse il vuoto dai loro atomi (che, come sappiamo, sono
composti per 99,99% di vuoto) ebbene resterebbe ben poca cosa: un cubo di circa un
metro di lato!

Per il taoismo il vuoto è un grande valore a differenza di quanto pensiamo noi


occidentali che lo abbiamo sempre assimilato, sbagliando, al nulla oppure lo
abbiamo negato del tutto come fecero sia Aristotele che Cartesio. L'Occidente ha
sempre temuto il vuoto perché assimilabile al non essere, al nulla. Di conseguenza ha
rifiutato, fino al tredicesimo secolo anche lo zero!

Il vuoto va inteso non come concetto teorico ma come esperienza di vita vissuta.

Troppo facile evocare il vuoto semplicemente non disegnando nulla, devi evocarlo
disegnando pur qualcosa, che però sia nulla!

Kenosis è una parola greca, che significa letteralmente "svuotamento" o "svuotarsi",


ed è storicamente utilizzata quasi esclusivamente per indicare un concetto legato
alle teologie e alle mistiche delle religioni cristiane. Essa corrisponde all'antica parola
greca κένωσις, kénōsis, in italiano "kenosi" o "chenosi", che deriva dal sostantivo
κενός, kenós, che significa "vuoto".

Nagarjuna è vertiginoso.  Dice infatti: "Allora la verità ultima è questa vacuità?" e


subito risponde: "No, perché la vacuità stessa è egualmente vuota" e non è una
"verità ultima..." Insomma è una cosa che vuota i pensieri meravigliosamente!
(Rovelli)

La vacuità è forma. In generale ciò vuol dire che il vuoto non è affatto assimilabile
al nulla: ha una sua realtà o, come avrebbero detto i taoisti, una sua té, una propria
efficacia. Il vuoto di ciascuna forma materiale, infatti, che cos'è? È ciò che fa sì che
ciascuna forma materiale sia quella che è in rapporto ad altre forme materiali: questo
non nel senso che ciascuna forma materiale sussiste in sé e il vuoto garantisce che
essa si rapporti con un'altra forma materiale in sé sussistente; ma nel senso che il
vuoto agisce già all'interno di ciascuna forma materiale distruggendo le sue
pretese di avere e di far valere un «sé» autonomo: così agendo, il vuoto produce
contemporaneamente le condizioni per le quali ciascuna forma materiale esiste ed è
630
conoscibile solo in rapporto alle altre forme materiali. Il vuoto si pone quindi come
un «campo» fisico in cui interagiscono delle forze che, senza di esso, non
esisterebbero e non sarebbero nemmeno percepibili: ovvero, il vuoto può essere
inteso come equivalente di uno sfondo a figure che manifestano i loro propri
contorni solo grazie all'interazione reciproca tra di esse, interazione garantita e
resa possibile dallo sfondo stesso. «La vacuità è forma» significa allora che il vuoto è
la condizione di possibilità di ogni forma materiale, ma anche che ha la medesima
caratteristica di ogni altra forma materiale, anch'esso infatti non può vantare
alcuno statuto di realtà autonoma, di autoconsistenza. Infatti, come nessun campo
fisico esiste prima o indipendentemente dalle forze che vi agiscono, e come
nessuno sfondo sussiste separato dalle figure che vi si dispongono, così il vuoto non
può avere realtà separata rispetto alle forme materiali che esso rende possibili.
Si comprende ora perché anche nella Prajnàpàramità, come nel Canone, si parli di
«vacuità della vacuità» il vuoto non può esser compreso come un «qualcosa», come
una forma materiale auto consistente. Esiste solo la relazione!

E' necessario «fare il vuoto anche del vuoto», ossia purificarsi anche dell'idea di
purificazione.

La vacuità manda in rovina colui che l'afferra come non essere. Chi d'altro lato,
immagina la vacuità come un essere ed attribuisce esistenza ai coefficienti, il
fondamento, secondo lui, di essa vacuità, - anche per costui, che non ha compreso
qual'è il cammino che porta al nirvana, l'insegnamento della vacuità è fonte
unicamente di confusione. In tal modo la vacuità manda in rovina anche colui che
l'afferra come un essere. Dunque il Vuoto non è né il Nulla e neppure l'Essere. Chi
trasforma il Vuoto nel Nulla o nell'Essere lo rende un oggetto, anche se nelle
dimensioni e nella qualità di Oggetto Assoluto; così facendo lo dispone ad essere
fonte di attaccamento e, quindi, di dolore. Il vuoto è impermanenza sia SPAZIALE
che TEMPORALE: ANATTA e ANICCA!!! Il vuoto è condizione di possibilità
di ogni forma materiale.

Il vuoto è «un vuoto che è pienezza, una pienezza che è totalità». Vuoto che è
presente e attivo nei singoli esseri. La respirazione è infatti alternanza dialettica di
vuoto e pieno. E ad ogni respiro attento dell'uomo corrisponde un respiro dell'intero
mondo - universo.

Tutti i fenomeni sono vuoti di esistenza intrinseca (e quindi sono puri) e io stesso
sono questa Vacuità (e la mia natura è questa Vacuità). Il che significa che la
mia mente che percepisce la vacuità dei fenomeni, è essa stessa vacua, cioè priva
di una sua propria natura e quindi è pura; in altre parole: “io sono la
personificazione della purezza di tutti i fenomeni oggettivi e soggettivi”. Così si
deve riflettere che tutti i fenomeni sono privi di una natura propria: non è che

631
non esistano, ma non hanno un’essenza intrinseca. La vacuità (o mancanza di
tale esistenza intrinseca) elimina l’apparenza dualistica delle cose.

Tutti i dharma sono caratterizzati dalla vacuità. «Dharma» è un termine che rinvia a
molti significati, tra i quali i principali sono: 1) insegnamento di un sapere
sistematico; 2) condotta secondo giustizia; 3) condizione causale; 4) fenomeno,
effetto; 5) Realtà Ultima (Tathata).

You wu: il vuoto è reale (SI) affermazione della negazione


Wu wu: il vuoto non esiste (NO) negazione della negazione
Wu you: il vuoto è costitutivo del pieno (SI) negazione dell'affermazione
wu you indica la necessaria presenza del non essere nella costituzione dell'essere,
e non la semplice negazione dell'essere.
In altri termini, le tre proposizioni vogliono dire: «facile è accorgersi della presenza
del vuoto, difficile è accorgersi che il vuoto costituisce parte integrante e
funzione costitutiva dell'essere»; «facile è vedere il vuoto del vaso, difficile è
ammettere che tale vuoto costituisce il vaso al pari del pieno». Il vuoto di un vaso,
infatti, non è semplicemente la sua parte interna o lo spazio vuoto che lo circonda, ma
è ciò che lo fa essere vaso, ciò che rende funzionale la sua «argilla», ossia il suo
pieno.

La dialettica taoista tra pieno e vuoto, travalicando il piano della pura logica e
investendo anche quello della fisica, ricorda da vicino la quasi contemporanea
dialettica democritea tra atomi e vuoto, tra essere e non-essere: «Leucippo e il suo
seguace Democrito dicono che elementi di ogni cosa sono il pieno e il vuoto, e l'uno
di questi chiamano ente, l'altro non-ente. Perciò affermano che il non-ente è quanto
l'ente, perché il vuoto esiste al pari del corpo». Se questi accostamenti tra dialettica
taoista e alcune espressioni classiche della dialettica greca sono interessanti in quanto
pressoché «incredibili» - data l'impossibilità, fino ad oggi, di trovarne le
giustificazioni storiche e filologiche -, ancor più incredibile è il fatto che la dialettica
taoista relativa al rapporto pieno/vuoto sembra aver anticipato di quasi duemila anni
alcune acquisizioni della scienza fìsica a noi contemporanea: «Rutheford è giunto alla
conclusione che 1'atomo è quasi vuoto, [...] L'atomo è infatti vuoto quasi come il
sistema solare; ciò significa che il nucleo atomico è così piccolo in rapporto alla
dimensione dell'atomo come il sole lo è in rapporto alle orbite dei pianeti;
nell'intervallo non c'è niente. In particolare è interessante rilevare che la fisica
contemporanea, con la nozione di campo, sembra aver dato una spiegazione
scientifica alla nozione di vuoto e soprattutto alla sua funzione, al suo carattere di
«utilità»: «Il campo esiste sempre e dappertutto, non può mai essere eliminato.
Esso è il veicolo di tutti i fenomeni materiali. È il "vuoto" dal quale il protone crea i
mesoni>>.

632
Se si interpreta la figura del taijitu in modo statico, la disposizione dello yin e dello
yang suggerisce la relazione complementare del vuoto e del pieno della figura e
dello sfondo, la loro necessaria compresenza; se invece la si interpreta in modo
dinamico, la disposizione dello yin e dello yang rappresenta il movimento di
alternanza, ovvero la possibilità della loro reciproca sostituzione.

Il vuoto viene spesso, sbrigativamente ed erroneamente identificato al non-essere, al


niente. L'inopportunità di identificare Vuoto e Nulla! il Vuoto non si manifesta e non
opera se non mediante il Pieno. L'intreccio dialettico tra Vuoto e Pieno.

Il carattere di (wu) deriva dalla stilizzazione di una balla di fieno e di un fuoco


sottostante, ad indicare ciò che rimane dopo l'azione del fuoco: niente. Quindi già
all'origine il vuoto era inteso non come fondamento o come principio assoluto, ma era
associato ad un'azione, ad un processo. La parola (wu) non può essere reso
semplicemente con «non-essere». Nelle lingue e nelle tradizioni filosofiche europee il
termine «non-essere» ha infatti, per lo più, da Parmenide in poi, un'accezione
metafisica che tende ad identificarlo con il Nulla assoluto, con il vuoto totale, puro;
invece nella lingua e nel pensiero cinese il carattere di wu significa «non-esserci»,
«non», «senza» e non rinvia dunque né al semplice opposto ontologico o logico di
«essere», né ad un Nulla o ad un Non-essere originario, fondamento e causa prima
degli enti, ma rimanda ad una assenza determinata, nel senso di «qualcosa che non
c'è», ovvero ad un vuoto determinato, nel senso di «ciò che, in qualcosa, non c'è>>.
(Wu) indica un vuoto determinato, non astratto: non indica un concetto generale, ma
segnala sempre la presenza e, come si vedrà, l'efficacia del vuoto-di-qualcosa.

Il culmine dell'itinerario di liberazione si ha quando si ha quando si riesce a fare a


meno anche del vuoto come verità, quando si riesce a svuotare anche il vuoto. Dopo
aver constatato la vacuità di tutti i fenomeni, bisogna saper cogliere anche la
vacuità del vuoto.

I tradizionali sentieri tracciati dai procedimenti di deduzione e induzione vanno


superati ed è necessario trovare la strada che conduca al nucleo centrale del taoismo e
del buddhismo chan e zen, dal quale sorge e si irradia l'energia che genera e sviluppa
tali forme di esperienza estetica. Questo nucleo centrale è dato dal vuoto. Non dal
concetto di vuoto, ma dall'esperienza del vuoto.

Più si conosce la natura "vuota " - ossia insostanziale (anatta) e impermanente


(anicca ) - di tutti i fenomeni, tanto più ci si comporta in modo giusto.

ll Buddhismo giapponese, consapevole del pericolo sempre incombente che sorgano


interpretazioni in senso nichilistico della vacuità, usa la locuzione «vuoto
erroneamente inteso» (akushu ku).

633
Se la natura ultima di ciò che esiste è la Vacuità, ne deriva che ogni distinzione
che noi facciamo nella nostra realtà empirica e relativa, è illusoria a livello di
verità assoluta: per cui ogni fenomeno non nasce (non è prodotto) né muore (non
si estingue).

Il calice vuole tornare vuoto … Zarathustra è un risvegliato che ama gli uomini.
(Nietzsche)

Nel centro del vuoto, quando l'io si perde, pienezza. Il vuoto si capovolge in pieno;
l'assenza in presenza. Totale cambiamento fra il prima e il dopo. Vuoto non è
simmetrico di pieno. Attenzione: non si parla del "vuoto" in modo "pieno". Non si
possiede il "vuoto". (Fachinelli)
La natura assoluta di Tara è rappresentata dalla Saggezza Trascendentale
(prajñõpõramitõ) di tutti i buddha: tale saggezza consiste nel comprendere la
Vacuità di ogni fenomeno. Infatti, ogni fenomeno (cosa, persona, evento) possiede
due distinti modi di essere : quello ultimo o definitivo e quello convenzionale,
empirico o apparente ; la Vacuità è il suo modo ultimo ed assoluto di esistere, è il
modo in cui i fenomeni esistono realmente. Tutto ciò che esiste, ogni cosa o fatto,
ha una qualità essenziale: quella d’essere un evento che sorge ed esiste in modo
dipendente da qualcos’altro, cioè di essere il prodotto dell’interdipendenza. Questa
qualità è la Vacuità: che quindi significa “assenza di esistenza in sé, autonoma ed
inerente”. La Vacuità non è una negazione del concetto di esistenza (nichilismo), ma
suggerisce l’idea che l’esistenza non è auto-sufficiente bensì è dipendente da cause
e condizioni. Inoltre i fenomeni dipendono anche dalla designazione della mente :
un tavolo, ad esempio, in realtà esiste in relazione al nome con cui lo chiamiamo e
questo nome (che è un’imputazione mentale) è attribuito ad un aggregato dipendente
da varie parti, cause e circostanze (quattro gambe di legno, un ripiano, un falegname
che li ha messi insieme, ecc.) Quindi, nella sua natura autentica Tara non si
differenzia dalla Prajñõpõramitõ, la Sacra Perfezione della Saggezza.

Dal punto di vista della meccanica quantistica il vuoto non è vuoto ma è uno
stato fisico associato all'energia minima indispensabile. Immaginiamo un mare di
bassa energia (appunto il vuoto quantistico) dal quale si generano particelle che, in
brevissimo tempo, poi annichiliscono in un processo continuo e infinito. Dunque il
vuoto quantistico, definito come lo stato di energia minima di un sistema fisico, è
pieno di campi che fluttuano.
L'occidente è condizionato dall'horror vacui. Lo teme da sempre perché lo associa
alla morte, al sepolcro, al non essere. Questo perché lo guarda dal di fuori
inconsapevole che, invece, il vuoto è intrinseco in ognuno di noi. Infatti il nostro
presunto essere è fatto fondamentalmente di non essere. Solo chi balza al di là
634
delle contraddizioni (senza più dualismo fra corpo e spirito) può capire l'importanza
del vuoto che non è né bello e neppure brutto.
Il vuoto fluttua in modo aleatorio tra essere e non essere. Su scala quantica il
vuoto è pieno! (Niculescu)
Nel mondo reale non esiste qualche cosa come lo spazio vuoto. (Zukav)
Intendere la vacuità (o vuoto) come qualcosa è altrettanto erroneo che considerare
“l’essere” come qualcosa.
Vi è una contiguità inquietante fra il nulla e l'essere: non paiono essere due enti
diversi.
Il vuoto è una costruzione mentale che in natura non esiste: nel mondo subatomico il
vuoto non è vuoto! Su scala quantica il vuoto è pieno!
Dalle fluttuazioni del vuoto l'intera vita evolve. Per comprendere questo apparente
paradosso voglio solo fare qualche accenno alle particelle virtuali. Il vuoto non è
vuoto, pullula di particelle virtuali ed altre stranezze di cui ne sappiamo ancora poco,
si può considerare come un mare increspato, o come una turbolenza gassosa,
semplicemente che noi non riusciamo a vedere le sue onde, le sue frange, crediamo
che il vuoto sia assenza di tutto. Le sue particelle saltano fuori dal nulla e si
annichiliscono in tempi brevissimi, tanto da non essere direttamente osservabili.

Solo ora forse si è incominciato ad intravedere che il “nulla” o il “vuoto” di cui


parlavano il “realizzato” himalayano o il sufi islamico non stavano ad indicare il
“niente”, bensì il “pieno” di uno stato quantico vibrazionale, privo di spazio e di
tempo e materia, dal quale scaturisce il manifesto e ad esso ritorna eternamente in un
ciclo senza fine e senza inizio. Il limite del nostro ragionare è che esso è lineare e si
snoda in un’unica direzione, secondo un orientamento unidirezionale come il
presunto sviluppo del tempo, mentre nella realtà noi non vediamo che esso è
“ossidato” dalla nostra incapacità  di renderlo circolare. E ciò dipende dal fatto che
noi crediamo che il nostro tempo di vita sia inferiore a quello dell’universo, dalla
concezione che ci siamo fatti di essere una parte, e “da parte”, quindi marginali
al Tutto, da cui ci sentiamo strappati, isolati e chiusi.

Dal vuoto-nulla nasce qualcosa e nel vuoto-nulla questo qualcosa si annienta.


L'energia sgorga misteriosamente dal vuoto.
"Per noi il Vuoto è il nome più alto per indicare quello che Voi vorreste dire con la
parola "Essere". Colloquio fra Heidegger e il Giapponese.
Il vuoto è condizione di possibilità: è lo sfondo sul quale le cose-eventi emergono.
635
Secondo la teoria dei campi, il vuoto è ben lungi dall'essere vuoto. Al contrario,
esso contiene un numero illimitato di particelle che vengono generate e scompaiono
in un processo senza fine. Comunque è chiaro che è superata l'affermazione fatta
propria anche da Lucrezio che asserisce: "Ex nihilo nihil fit" che letteralmente
significa "Nulla viene dal nulla". Anzi, potrebbe anche essere che, da una vibrazione
quantistica del vuoto-nulla, sia nato l'intero universo.

IL VUOTO non equivale al NULLA. Il vuoto è fondamentale per il taoismo sia


fisicamente che mentalmente. Il vuoto della mente la rende libera e quindi aperta a
tutto. Il vuoto come sfondo bianco su cui si può scrivere e disegnare. Il vuoto può
essere anche metafisico. Lo Yin è vuoto (organo sessuale femminile) mentre lo Yang
è pieno (organo sessuale maschile). Opposti complementari senza gerarchia alcuna.

-VANITA' ***

La percezione della caducità di tutte le cose e la meditazione sulla loro impermanenza


viene detta, in latino, vanitas e in sanscrito anicca.
“Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità.
Ho visto tutte le opere che si fanno sotto il sole, ed ecco: tutto è vanità e un correre
dietro al vento. “
( Ecclesiaste, 1,2.14)

Qoelet

Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re a Gerusalemme.


Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità.
Quale guadagno viene all’uomo
per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?
Una generazione se ne va e un’altra arriva,
ma la terra resta sempre la stessa.
Il sole sorge, il sole tramonta
e si affretta a tornare là dove rinasce.
Il vento va verso sud e piega verso nord.
Gira e va e sui suoi giri ritorna il vento.
Tutti i fiumi scorrono verso il mare,
eppure il mare non è mai pieno:
al luogo dove i fiumi scorrono,
continuano a scorrere.
Tutte le parole si esauriscono
636
e nessuno è in grado di esprimersi a fondo.
Non si sazia l’occhio di guardare
né l’orecchio è mai sazio di udire.
Quel che è stato sarà
e quel che si è fatto si rifarà;
non c’è niente di nuovo sotto il sole.
C’è forse qualcosa di cui si possa dire:
«Ecco, questa è una novità»?
Proprio questa è già avvenuta
nei secoli che ci hanno preceduto.
Nessun ricordo resta degli antichi,
ma neppure di coloro che saranno
si conserverà memoria
presso quelli che verranno in seguito.

Facciamo finta di ignorarlo, ma il Qoelet (Ecclesiaste) forse ha ragione: tutto è vano


ed insignificante. Cosa sono infatti le guerre, i regni, gli amori, i libri, l’arte, o
qualsiasi altro prodotto dell’umanità, di fronte all’immensità dell’Universo?
Le specie nascono e muoiono, le stagioni si susseguono un ciclo dopo l’altro,
montagne vengono spianate, fiumi scavano vallate, mari divorano coste, vulcani
eruttano, continenti si separano e si riuniscono, poli magnetici si invertono, stelle si
gonfiano e muoiono per generare altre stelle e altri pianeti, tra comete, asteroidi,
buchi neri, altri pianeti e altre stelle, in galassie che tra di loro si scontrano, in un
Universo che si espande da 14 miliardi di anni.
La Natura, come Leopardi scrive nel suo meraviglioso “Dialogo della Natura e di un
islandese”, non bada alla felicità o all’infelicità degli uomini, e nemmeno si accorge
di danneggiarli o favorirli con il proprio operato:
“Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle
fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho
l'intenzione a tutt'altro che alla felicità degli uomini o all'infelicità. Quando io vi
offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n'avveggo, se non
rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e
non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per
dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra
specie, io non me ne avvedrei.” (Giacomo Leopardi, Dialogo della Natura e di un
islandese, in Operette Morali, 1827-31)
Il terremoto non si preoccupa di lasciare famiglie intere senza casa. Al vulcano non
interessa conservare il monumento storico. Lo tsunami non ha paura di travolgere un
ospedale.
637
Se il pianeta dal quale proveniamo è così “non a misura d’uomo”, come potrebbe
esserlo l’Universo, teatro di fenomeni ancora più distruttivi e violenti? Esso non è
stato minimamente intaccato da Shakespeare o dalla Rivoluzione Francese, e mai lo
sarà.
L’Impero Romano, le Signorie italiane, l’Austria - Ungheria, l’URSS, il Terzo Reich,
e tanti altri potentissimi Stati sono caduti, e molti altri ancora ne cadranno. Uomini
sono morti, e ne continueranno a morire altri. E così sarà, fino a quando il Sole
diventerà gigantesco e brucerà tutto (o quasi) il proprio sistema planetario, per poi
rimpicciolirsi e spegnersi lentamente. Tutti gli eventi, le statue, le storie, le tradizioni,
le musiche e le persone, che ai nostri occhi appaiono come sublimi e immortali, non
saranno mai nulla nel cieco meccanismo di costruzione e distruzione che fa girare il
Cosmo. E chissà se, un giorno, il Cosmo di ripiegherà su stesso e, come un grande
animale che respira, darà vita ad altri mondi, dove esseri minuscoli vivranno,
lotteranno e moriranno credendosi immensi.
Anche per quanto attiene alla così detta Teoria del Tutto l'Oriente ha una sua ricca
letteratura che nega tale possibilità in linea con quanto fanno sia la nuova fisica che la
filosofia di Merleau-Ponty. Mi limiterò a richiamare solo uno splendido Koan zen:
<<Se tutto è riconducibile a Uno, a che cosa è riconducibile l'Uno?>>. Per quanto
attiene la finitezza o il limite della conoscenza umana (Vanità di ogni vanità!
Tutto è vanità!) si citano, come esempio, due frasi tipiche del pensiero orientale. La
prima è di Doghen che asserisce: <<Quando si mette in evidenza un lato, l'altro è
all'oscuro>>. L'altra dice invece: <<Una buona frase è un palo al quale un asino può
restare legato per diecimila eoni>>. Non bisogna quindi restare legati alle vecchie
certezze ma è necessario liberarsi sempre però nella consapevolezza del limite insito
nella nostra natura e quindi nella nostra conoscenza.

A se stesso di Leopardi

Or poserai per sempre,


Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
638
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l'infinita vanità del tutto. 

Nietzsche parla dell'inanità del tutto (vacuità, inutilità del tutto).

-VERITA' **

Nietzsche sottolinea come l'istituzione della verità serva a scongiurare il timore


dell'inesistenza di tutto l'accadere. È dunque nella posizione di senso, o
meglio nella posizione di un unico senso  esclusivo e vincolante, che trova
fondamento il potere non solo della verità, ma anche delle visioni del mondo che
ritengono di possederla: la metafisica, la morale, la religione, la scienza. Pur con
differenti modalità e strumenti, tutte perseguono infatti l’obiettivo di rendere
la realtà sensata  per l’uomo

Di solito noi scambiamo le nostre idee con la verità. Ciò perché non abbiamo
imparato a dubitare di noi stessi e delle nostre idee.

Il desiderio stesso di descrivere la verità, la nega, perche non può essere


contenuta nelle parole. Può essere espressa solo da azioni che negano il falso.
Per questo devi riconoscere il falso come falso (viveka) e respingerlo (vairagya). Il
falso e limitato nel tempo e nello spazio, ed è prodotto dalle circostanze.
(Nisargadatta Maharaj)

La verità è relazione di relazioni. Vediamo di spiegare. In prima battuta si


riteneva che la verità consistesse nel dire le cose come stanno: la mente si adegua
alle cose. Poi Kant rivolta la frittata con la sua filosofia trascendentale: sono le
cose che si adeguano alla mente. Infatti non conosceremo mai la cosa in sé, il
noumeno, ma solo le cose come sono percepite dalla nostra mente (filosofia
trascendentale). Alla fine abbiamo la rivoluzione della rivoluzione a cura di
Kitaro Nishida. Egli afferma che sia soggetto che oggetto sono relazione e,
dunque, la verità è il rapporto, la relazione fra due relazioni.

Due verità che gli uomini non crederanno mai. L’una di non sapere nulla; l’altra
di non essere nulla. (Leopardi)

Vi sono due modi per cercare la verità: il primo consiste nel prendere a prestito la
conoscenza, il secondo nel cercare in prima persona. La verità deve essere tua: questa
è una condizione imprescindibile. Anche se io ho conosciuto la verità, non posso
trasmetterla a te. Nell’atto stesso della trasmissione si trasforma in un falso. È questa
la sua natura. Quindi nessuno può darti la verità, e non puoi prenderla a prestito,
639
rubarla, comprarla. Puoi soltanto conoscerla. E finché non la conosci, la tua
conoscenza non è reale. (Osho che commenta Eraclito)

La verità, forse, è come l'arcobaleno: più ti avvicini e più lei si allontana ... il
bello è cercare ... così, senza speranza di trovarla, così, solo per gioco!

Un politico americano ha affermato che la verità non è la verità mentre un


politico italiano dice che esiste anche il diritto a diffondere notizie falsein quanto
non si può limitare la libertà individuale! Povera verità!

Attenzione! Una non verità ripetuta all'infinito può anche diventare verità.

La materia illusoria rappresenta la verità convenzionale mentre vacuità


rappresenta la verità assoluta. Tra le due verità non sussiste alcuna ostruzione.

La verità fu, probabilmente, il tema fondamentale della filosofia greca antica. La


verità consisteva, per i greci, nel fatto che la nostra mente deve capire come stanno
le cose del mondo e per fare questo la mente deve adeguarsi alle cose, al mondo.
Facciamo un esempio. Davanti a una rosa i sensi si mettono in moto: la vista
percepisce il colore, l'odorato sente il profumo e il tatto coglie la morbidezza dei
petali e la ruvidezza delle spine. Questi dati vengono trasmessi alla mente che li
assembla e chiama il risultato con il nome di rosa. Questo tipo di approccio dominò la
filosofia per millenni ed è tuttora il nostro modo ordinario di vedere il mondo. Ma
Kant fece la prima rivoluzione copernicana asserendo che sono invece le cose che si
devono adeguare alla mente. Per cercare di spiegare cosa significa ciò, facciamo
l'esempio della luna che sorge all'orizzonte: sembra molto più grande di quando è alta
nel cielo. Ma la luna, in realtà, è sempre uguale. E allora? La discrepanza è causata
dal nostro apparato sensoriale che ingrandisce ciò che è in basso e rimpicciolisce ciò
che è in alto. Dunque la luna si è adeguata alla nostra mente. Riprendiamo anche
l'esempio della rosa. I sensi e, di conseguenza, la mente riescono a cogliere solo
alcuni aspetti della rosa ma non la vera natura della cosa in sé. Noi percepiamo i
fenomeni ma non i noumeni. Ad esempio, noi non riusciamo a vedere gli atomi che,
come sappiamo, sono la vera struttura del mondo. Dunque, ciò che percepiamo non è
ciò che veramente è la cosa che ci sta di fronte ma solo ciò che percepiamo. Infine si
presenta sulla scena Kitaro Nishida che mette in campo la rivoluzione della
rivoluzione. La sua affermazione di base è: "l'esperienza pura può andare oltre
l'individuo" e "non è che essendoci il singolo individuo c'è l'esperienza, ma
essendoci l'esperienza c'è il singolo individuo". Una prospettiva completamente
nuova e originale che pone l'accento sull'esperienza, sulla relazione intrinseca
mentre la mente e le cose del mondo, prima protagoniste, ora svaniscono nella
relazione. Questa visione è molto simile a quella di Nietzsche quando afferma che
l'io non è il proprietario dei pensieri ma è solo un pensiero fra i pensieri. La
verità, dunque, è la relazione, null'altro che relazione fra la mente e le cose!
640
Riflettiamo poi bene sul fatto che non si sa bene né cosa siano le cose e tantomeno
cosa sia la mente.

Non c’è una verità assoluta. La verità va sperimentata da ogni singolo. La


ragione non può arrivare a dirimere le grandi questioni metafisiche “una volta
per tutte” perché è limitata. Ecco l’agnosticismo di Buddha e del buddhismo, molto
simile a quello di Kant. E la verità è che “Sabbe dhamma anatta” Ogni realtà è priva
di sé, tutte le cose esistono in maniera interdipendente, non esiste nulla di
immediato. Il sapere arriva fino a qui, e non oltre. E’ la sua grande potenza – e il suo
limite – dissolve le pretese di tutto ciò che è determinato a valere come assoluto.
La consapevolezza della incapacità umana di esprimere un riferimento alla verità
ultima in maniera diretta si traduce così nel ricorso al paradosso, come espediente in
grado di unire elementi affermativi e negativi, dunque contrastanti, con l'intento di
riassumere in unità ciò che appare distinto. (Ghilardi)
Dice Russell che cercare la verità è come cercare un gatto nero in una stanza
buia dove il gatto non c'è. La verità non esiste proprio come il gatto! ma noi uomini
la amiamo avendola creata. Tutto ciò è bellissimo e, una volta capito, ti rende sereno!
Vedo il mondo da dentro il mondo. Vedo me stesso da dentro me stesso. Come
potrò mai essere obiettivo? Ciò che io vedo è il mio punto di vista!
Rido la verità....

La verità è, forse, solo un'opinione molto presuntuosa.

È l’annuncio della “verità” che il balbettio dei frammenti presocratici ci


tramanda; αληθεια è altresì l’oggetto, differentemente, sia del corpus platonico
che di quello aristotelico. Con una formula a un tempo apodittica quanto
problematica, diremo che la filosofia occidentale è la storia stessa del concetto di
verità.

Verità è la parola chiave della filosofia occidentale, è il problema intorno a cui


tutta la ricerca filosofica si affaccenda dal giorno in cui nacque prendendo congedo
dal mito e dalla religione. Anche la religione, infatti, ritiene di dire la verità, ma
il fondamento della sua verità risiede nell' autorità di chi la enuncia, mentre la
filosofia cerca una verità capace di stare in piedi da sola, senza il conforto di
alcuna autorità.

Nel taoismo il concetto di verità viene disintegrato alla luce di una  visione del
reale quale indifferente processo: essendo il principio indeterminata vuotezza, i
641
contrari giudicati tali dalla mente risultano in ultima analisi identici: il Sentiero
Finale è e non è, simultaneamente, ogni cosa.

Nell'antico pensiero dell'oriente estremo una dottrina, un fatto non sono mai
assolutamente veri o assolutamente falsi ma solo prevalentemente veri o falsi con
possibilità di cambiare aspetto. Insomma la verità non è mai un valore assoluto.

La verità, dunque, posta come adeguazione comprensiva di un oggetto da


parte di un soggetto, non è fondante, bensì accidentale: ed è inoltre l’accidente
costituente l’ostacolo per il risveglio. Quest’ultimo essendo la visione del
semplicemente “è così”, il naufragare di ogni opinione, l’intuizione che nulla è
sostanziale. Qui il pensiero umano si costituisce a partire da una visione
fondamentalmente opposta alla dicotomia di platonica memoria fra αληθεια e
δοξα. Tutto, potremmo dire impropriamente, è δοξα: in quanto non vi è nessuna
αληθεια che fondi ontologicamente la sostanzialità delle cose: bensì tutto è parte
di un processo neutro insignificante; di un “gioco”, potremmo dire usando il
termine nella sua accezione più squisitamente psicanalitica.

L’assenza della verità come fondamento ontologico dell’esserci costituisce una


visione del mondo nel quale l’uomo stesso è privo di sostanzialità: è tale non-essere-
sostanza, tale nientevolezza,  che relativizza il dolore costituente l’umano,
estinguendolo una volta svelata la natura illusiva della sua origine.

Se l’unificazione è possibile è perché nessuna forma è isolata e perché nessuna forma


viene assolutizzata e oggettivata. Nessuna operazione e nessun soggetto sono
l’operazione totale o il soggetto che ha compiuto tutte le operazioni e che coincide
con la verità finale. Se è vero che il soggetto non può negare in sé un centro, sia pure
infinitesimale, di vita della verità, è anche vero che nessun soggetto e nessuna
comunità di soggetti possono mai pretendere di possedere e tanto meno di essere la
verità. (Paci)

Il buddismo non afferma mai "questa è l'unica verità!" ma si limita a dire "questo
potrebbe essere un aspetto della verità". E' anche così ma non è solo così:
prospettivismo.

Nella verità relativa gli opposti sono opposti mentre nella verità assoluta gli
opposti non sono più tali: nirvana è samsara e samsara è nirvana. A livello della
verità assoluta la logica e il linguaggio collassano. Come accade nei Koan zen.
Collassano in quanto il principio del reale è indeterminato, vuoto: nulla ha senso, di
per sé. La verità è non altro che la manifestazione di un attaccamento generante il
dolore che costituisce la materia dell’esserci. Per questo attingere al risveglio vuol
dire liberarsi dalle opinioni, dalla verità.
642
L'antico pensiero cinese è privo sia di un oggetto (la verità) che di un soggetto
(l’uomo nell’attività del concepire: la mente). Pone invece in essere una sorta di
processo, volto a realizzare, nel senso inglese di realize, “prendere coscienza”, ciò
che, semplicemente, naturalmente è.

La filosofia occidentale si è occupata molto di che cosa sia la verità mentre


l'antico pensiero orientale si è preoccupato invece di capire qual è la via da
percorrere per vivere sereni in un mondo di relazioni impermanenti ove non è
dato un io determinato e solido.

"Ogni epoca e ogni società ha la sua verità e solo rendendoci consapevoli del suo
carattere pluralistico è possibile aprirsi alla tolleranza" (Bodei) … forse sarebbe stato
meglio parlare di rispetto anziché di tolleranza ….

Dice Nietzsche che la verità è stata posta come essere, come Dio, come la stessa
istanza suprema. Ma la verità, secondo lui, è costituita da illusioni di cui si è
dimenticata la natura illusoria. Nietzsche infatti contesta la possibilità che la
nostra conoscenza conduca a un sapere certo e assoluto e che essa apra la strada a
una verità intesa nel senso di una adaequatio rei cioè di una corrispondenza allo stato
delle cose.

Vero e falso sono solo attributi del discorso. Laddove non c'è discorso non c'è
neppure verità o falsità. (Hobbes)

Aristotele scrive che la verità logica deriva dalla verità delle premesse … e così
all'infinito visto che la verità delle premesse deriverebbe dalla verità delle premesse
delle premesse.

La verità è una totalità aperta che si sviluppa insieme alle molteplici esistenze.
(Jaspers)

Nietzsche scrive che la verità non è qualcosa che esiste già in modo fisso e
determinato per sempre e che, quindi, è solo da trovare, da scoprire. No! La verità è
qualcosa che è sempre in fase di creazione in un continuo divenire.

Il punto di partenza delle riflessioni di James (filosofo pragmatico) sulla verità è il


rifiuto della teoria della corrispondenza, ossia dell'idea che la verità possa
esprimere la realtà in sé. Per lui la verità è un tipico idolo tribus. Il pragmatismo
può essere interpretato come una strategia per affrontare il problema della mancanza
di senso della nozione di verità sollevato in epoca moderna da scienza e filosofia, e
non semplicemente come un metodo per risolvere tale questione.

643
La verità è dire le cose come stanno (presupponendo, erroneamente, che stiano
sempre allo stesso modo) ove il dire diventa protagonista. Ma la verità muta,
cambia dice Merleau-Ponty. Quindi le cose non stanno sempre allo stesso modo.
Alla fine la verità è un dire di cose mutevoli. La verità è un'avventura!

Nulla può essere espresso e quindi è impossibile affermare che questa è la verità.
La verità in realtà non esiste, c'è solamente una premessa costruita su basi
logiche. (U.G.)

Per il pragmatismo è vero ciò che è utile per la specie, per la società. Anche la teoria
della conoscenza di Nietzsche si poggia sull'idea che qualsiasi valore di verità deriva
da una valutazione utilitaria.

La metafisica occidentale è costruita, almeno fino a Nietzsche, su una assoluta


volontà di verità che è gran seduttrice dei filosofi. Nietzsche invece propone una
forma di sapere prospettico ove esistono indefinite interpretazioni e descrizioni
del mondo apparente che è l'unico esistente.

Se si volesse con il virtuoso entusiasmo e la balordaggine di alcuni filosofi togliere


completamente di mezzo il "mondo apparente", ebbene, posto che voi possiate
fare questo - anche della vostra "verità", almeno in questo caso, non resterebbe più
nulla! Sì, che cosa ci costringe soprattutto ad ammettere che esista una sostanziale
antitesi di "vero" e "falso"? Non basta forse riconoscere diversi gradi di illusorietà,
nonché, per così dire, ombre e tonalità complessive, più chiare e più scure
dell'apparenza? (Nietzsche)

Crepuscolo degli idoli di Nietzsche: ciò che nel titolo viene chiamato "idolo" è
semplicemente ciò che fino ad oggi si chiamava verità.

Mi sento come un bambino che gioca sulla riva del mare, e si diverte a trovare ogni
tanto un ciottolo più liscio o una conchiglia più bella del normale, mentre il grande e
inesplorato oceano della verità si estende davanti a lui. (Newton)

Una verità assoluta e incondizionata non solo non può essere in alcun modo
raggiunta, ma può neppure essere pensata, risultando impossibile dal punto di
vista logico. Questo dice Nietzsche che sottolinea anche il carattere necessario
dell’apparenza, evidenziando la dimensione essenzialmente metaforica delle ‘verità’
per dimostrarne quindi la sostanziale vacuità.

Cusano dice che nulla può essere detto di così preciso da non poter essere
superato da una precisione più grande e così via all’infinito. Ogni sapere è
congettura, prospettiva sull’unità che mantiene una propria progressione scalare nei
confronti delle altre congetture e prospettive e, tuttavia, nei confronti di quel vero che
l’attraversa e la forma dall’interno, ogni congettura rimane infinitamente distante.
644
Nulla resterebbe nella verità se fosse tolta l’uguaglianza, dato che nella verità stessa
non si trova niente altro che uguaglianza (adaequatio che presuppone due termini
quali mens e res). (Cusano ispirato da Tommaso). Ma, siccome l'uguaglianza non
esiste nel mondo fenomenico (vero Leibnitz?), non esiste neppure la verità?

La cultura non è il terreno della verità, ma della disputa intorno alla verità.
(Chiaromonte). E se invece fosse semplicemente la disputa intorno alle opinioni sulla
verità?

Forse solo la molteplicità delle visioni si avvicina alla verità che è raggiungibile, in
teoria ma non in pratica, solo dal geometrale di Leibnitz ossia dall'insieme di tutte le
infinite prospettive. La verità viene così formalizzata come una totalità generata
dall'incorporazione di differenti punti di vantaggio tutti assieme.

Chi pensa che la verità non esista svuota del suo senso qualunque dialogo. La logica
lo coglie in contraddizione. (De Monticelli). Forse però il dialogo è solo relazione
mentre la verità è solo opinione. La logica poi è uno strumento limitato e non del
tutto affidabile. Forse.

Mentire non è dire il contrario di ciò che è vero ma solo dire il contrario di ciò che
uno pensa sia vero. Mentire è non credere a quello che si dice!
L'ebraico non ha una parola che dica "verità"; dice verità la parola fedeltà (émet). La
verità ebraica è pattizia mentre quella greca è monistica. La verità ebraica sta nella
relazione; quella greca nella comprensione, nel dominio, nell'idea (stessa radice
dell'aoristo del verbo orao, vedo).

La questione buddhista riguarda il rapporto tra le due verità e se, effettivamente, vi


siano due verità. Per i profani, quello delle due verità è un argomento della riflessione
di Nagarjuna, considerato da tutte le scuole Mahayana il principale filosofo
buddhista. Nagarjuna parla della verità convenzionale, che è quella dei fenomeni
come noi li percepiamo ordinariamente... e poi la verità ultima, che è il modo in
cui i fenomeni effettivamente sono, ossia vuoti di esistenza intrinseca e
indipendente. Ogni dualismo, si sa, lascia aperto un problema, la cui soluzione è
presente nella stessa dialettica buddhista... ma in modi decisamente diversi. In che
rapporto stanno le due verità?
Secondo Gorampa, le due verità sono totalmente separate: la verità convenzionale è
esclusivamente frutto dell'ignoranza, mentre quella ultima della saggezza. Non vi è
quindi alcuna unità tra le due verità e anzi, si può tranquillamente dire che quella
convenzionale non è affatto una verità. Non vi è quindi soluzione di unità tra le due
verità, ma soltanto assoluta separazione... e ne consegue che un Buddha, nel suo
approcciarsi ai fenomeni, percepisce soltanto la verità ultima e non quella
convenzionale.

645
«Così, dunque, tu dici che è la concordanza fra gli uomini a decidere che cosa è
vero e che cosa è falso!» (Wittgenstein)

Verità, giustizia e pace sono i tre concetti che reggono il mondo da sempre. Peccato
che nessuna delle tre abbia mai trovato vera attuazione. Così come è accaduto a
uguaglianza, fraternità e libertà. PAROLE … PAROLE … PAROLE …
SOLTANTO PAROLE!!!

Dice Merleau-Ponty che la verità è "un tesoro sparso nella vita umana prima di ogni
filosofia". Quindi nessuno possiede la verità. Tutti la cerchiamo, anche solo
prospettivamente.
Il vero ecumenismo consiste nel mettere in evidenza le distinzioni e che per ognuno
di noi sia necessario non l'accordo con l'altro, ma l'altro in quanto altro: non un altro
dimidiato, con cui ci si possa trovare d'accordo in una qualche linea intermedia, ma
proprio l'altro, cioè chi espone una verità diversa dalla nostra. (Cacciari)

Gli effetti dello zen non sono solo teorici o limitati all'interiorità della coscienza, ma
sono immediatamente visibili: esperire l'impermanenza significa, per esempio,
non rimanere attaccati a nessun "bene" e a nessuna opinione, anche se si
presenta sotto forma di Verità Suprema, o in quella forma scettica che afferma
non esserci alcuna verità.

Per Nietzsche esiste il «pregiudizio morale» in base al quale «la verità ha


maggior valore dell’apparenza». Si reagisce così istituendo una dimensione ideale
in cui ogni imperfezione di vita, natura e storia viene sanata. Parla della bimillenaria
costrizione educativa alla verità.

L’ideale ascetico riposa su una «sopravvalutazione della verità» e, più


precisamente, su una «fede nella insuscettibilità di valutazione e di critica da parte
della verità» (Nietzsche GM III 25). In altre parole, in esso si manifesta quella
«volontà di verità» che è per Nietzsche un arrendersi di fronte alla cultura platonico-
cristiana e alla «fede in un valore metafisico, in un valore in sé della verità» (GM III
24) che essa ha insegnato. La verità è stata posta come l'Essere, come lo scopo da
perseguire, come Dio, anche se, forse non è così. Nietzsche si propone invece di
farsi carico di tale critica e di mettere in questione proprio il valore della verità.
Combatte così sia la volontà del nulla che la volontà di verità.

Un inesorabile lavoro di auscultazione, nel corso del quale gli «idoli eterni» vengono
«toccati con il martello come con un diapason», risuonando con fragore proprio
perché al loro interno non vi è alcunché di consistente. Questi idoli – Nietzsche lo
rivela nella sezione di Ecce Homo dedicata al Crepuscolo – sono proprio le antiche
verità, i principi sui quali l’umanità ha fino a oggi edificato il proprio sapere e il
646
proprio agire, e delle quali secondo Nietzsche occorre sbarazzarsi, per poter dare
avvio a una nuova stagione di pensiero.

La verità per gli uomini: illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria!


(Nietzsche) L'oblio del fatto che trattasi di illusioni è tipico dell'uomo debole mentre
l'uomo oltre non dimentica che trattasi solo di illusioni.

Nel «Piccolo discorso della vacuità», Buddha presentata una serie di temi di
meditazione in un vertiginoso " crescendo" che parte da alcuni "oggetti" empirici
(uomo, villaggio, foresta) per giungere ad alcuni " oggetti" astratti (spazio, infinito,
coscienza infinita, nulla, raccoglimento mentale privo di segni). A ciascuno di questi
oggetti di meditazione corrisponde ogni volta l'illusione di aver raggiunto la verità,
l'essenza, il fondamento dell'intera realtà. Ma, alla fine, la mente riconosce che anche
il più esteso e profondo di questi "oggetti" «è coeffettuato e concepito e tutto ciò che
coeffettuato e concepito è destinato a finire.

Il nostro errore non è credere in una verità, ma ritenere che essa sia unica,
assoluta ed eterna. E' anche così ma non è solo così. (Pensiero buddista)

Quale oscurità c'è per colui che guarda la storia del mondo nell'illusione di aver preso
in appalto la verità. Questo gran sacerdote di una qualche metafisica disconosce
completamente l'origine soggettiva, temporalmente e spazialmente condizionata, di
ogni sistema metafisico. (Dilthey)
Che la verità abbia maggior valore dell'apparenza, non è nulla più che un
pregiudizio morale. Lʼidea che la verità sia migliore dellʼillusione è anchʼessa
unʼillusione. Il raggio di azione dellʼuomo che ricerca la verità è limitato al
riconoscere diversi gradi di illusorietà e ad avere consapevolezza di non poter
raggiungere la verità extramorale con strumenti razionali. (Nietzsche)

Molte sono le verità prospettiche mentre, forse, non c'è alcuna Verità assoluta.
Secondo Nietzsche bisogna prendere atto che lʼintelletto è uno strumento
dellʼuomo per muoversi nel mondo e non per cogliere una qualche verità
universale.

Lʼuomo spesso non è consapevole del ruolo mediatore dellʼintelletto, e sorge


invece la convinzione che esso colga direttamente il mondo oggettivo. A causa di
questo equivoco lʼintelletto viene innalzato a strumento di verità universale: in questo
innalzamento dellʼintelletto a un ambito che non gli è proprio ha origine la
dimensione illusoria in cui vive lʼuomo.

647
Mai la verità fu al fianco di un assoluto. (Nietzsche)
Alfred Tarski nel 1936 dimostra l'indefinibilità della verità all'interno di un sistema
dato, non è definibile dal linguaggio ma dal metalinguaggio che sta all'esterno del
sistema.
In ogni sistema ci sono verità indimostrabili (tipo gli assiomi, i postulati, gli atti di
fede). Ci sono formule che non sono né dimostrabili né refutabili. Il principio del
terzo escluso non vale per la dimostrabilità perché le formule di Gödel
costituiscono un forma di terzo gaudente fra i due litiganti della dimostrabilità e
della refutabilità.
La verità non deve essere una pretesa di possesso, non deve tendere ad escludere le
altre verità ma deve essere includente. NON E' SOLO COSI' … MA E' ANCHE
COSI' … No all'attività inquisitoria che giudica in base a un valore indiscutibile.
La verità è soltanto una delle illusioni metafisiche che la logica è riuscita a
decostruire. (Odifreddi)
Per Platone la verità è la corrispondenza fra il linguaggio e il mondo (cioè fra la
mente e gli enti).
La soluzione dei paradossi può venire soltanto da una teoria che colleghi le
affermazioni del linguaggio ai fatti del mondo: ad esempio, è quasi impossibile che
tutti i cretesi mentano (discendendo dall'astrazione alla concretezza).
Verum et factum convertuntur. (Vico)
Per Protagora (Ciascuno di noi è misura tanto delle cose che sono, quanto di quelle
che non sono) il problema sta nel come ci orientiamo nei confronti delle opinioni e
delle sensazioni reali ma personali: io ho freddo mentre tu hai caldo nello steso posto
e nello stesso momento. Non esiste una verità assoluta! Esistono tante opinioni fra
le quali è giusto scegliere quella che funziona meglio: meglio la democrazia della
tirannia diceva Protagora. Con il mio discorso io ti convinco di qualunque verità!
Sofismo, Retorica. La forza della parola!
Come se "vero" e "falso" fossero le sole modalità della vita intellettuale!
(Merleau-Ponty)
Chi può stabilire che cos'è essenziale e non essenziale, importante e non importante?
Chi può giurare: questo è il centro e quella è la periferia? (Fachinelli)
Il certo, nessuno lo ha mai colto né ci sarà nessuno che possa coglierlo, sia per
quanto riguarda gli dei che per ogni cosa. Infatti, se pure ci si trovasse a dire qualcosa
di vero, non lo si saprebbe per esperienza diretta; noi possiamo avere solo opinioni
perché non è che da principio gli dei abbiano rivelato tutto ai mortali, ma col tempo,
648
cercando, gli uomini trovano il meglio. (Senofane, filosofo greco del sesto prima di
Cristo)
"La verità è il non star nascosto, lo stare in luce (aletheia)" dice Severino parlando
anche di episteme cioè ciò non può essere smentito.
Ogni verità, quando si cristallizza in dottrina, tende a perdere vivacità e a mostrare
sempre un'unica faccia come fosse la sola possibile.
A volte è possibile capire molto più profondamente la verità esistenziale dell'essere
tramite l'immaginario lasciando da parte le statistiche, i test e gli altri dati che,
sebbene ritenuti precisi, tuttavia non rivelano il vissuto.
L'attenzione per la verità determina la nascita della filosofia occidentale.
L'uomo, quando sale su una nave e salpa, se guardandosi attorno fissa la riva, ha
l'illusione che sia la riva a muoversi. Se riporta con attenzione gli occhi sulla nave, sa
che è la nave ad avanzare; così quando affermiamo giudizi verso le cose mentre
corpo e spirito sono in disordine, ci illudiamo che la nostra natura sia permanente.
Se attraverso la pratica fatta con il cuore si fa ritorno qui, allora si fa evidente la
verità che le cose non consistono in me. (Dogen)
La verità è che non osiamo dire: "Non so".
Il vero e il falso sono la malattia della mente.
La verità è aldilà delle parole.
La verità è interpretazione. (Gadamer)
Secondo l'Eristica è possibile confutare ogni e qualsiasi asserto.
Non c'è futuro, non ci sono persone, non c'è terra, non c'è nessuno che cerca
l'illuminazione e nessuno che la trova. Questa è la sola e ultima verità. (Poonja)
Per credere nella verità, è indispensabile la fede: eternità e verità sono sinonimi.
La verità è relativa al contesto in cui la si dichiara.
Le uniche cose a cui un dadaista si oppone sono le idee universali come Verità,
Giustizia, Onestà, Ragione anche se egli non nega che spesso sia una buona politica
agire come se tali idee esistessero e come se vi credesse. Il dadaista non solo non ha
alcun programma ma è contrario a ogni programma essendo egli anche antidadaista.
Sigieri di Brabante (1240) professa la dottrina della doppia verità: studia la filosofia
(Aristotele) anche se in contrasto con la fede pur accettando le verità di fede. Espone
le opinioni di Aristotele (intelletto unico e non personale, la materia è eterna non
creata da Dio) senza presumere che queste affermazioni fossero vere.
649
Per Ruggero Bacone (1214) la verità è figlia dei tempi mentre sapere è potere.
Inventò gli occhiali e intuì navi a motore, automobili, sottomarini, esplosivi, aerei,
ponti.
Ci sono due tipi di verità: quella semplice il cui contrario non può essere vero e
quella profonda il cui contrario è anch'esso vero. Il paradosso dei paradossi è che
il contrario di ogni verità è ugualmente vero.
Ogni conquista, di per se, diventa il prossimo ostacolo da superare. Questo a causa
della cultura intesa solo come patrimonio di conoscenze sacre, immobili e
immutabili: i famosi libri sacri … Eraclito dice che non bisogna comportarsi come i
figli dei padri.

L'unica verità è l'inesistenza della verità … ma allora non c'è nessuna verità!

La verità è un giudizio auto contraddittorio. La verità è contraddizione per il


raziocinio. Tesi e antitesi costituiscono insieme l’espressione della verità; in altre
parole la verità è antinomica e non può non essere tale. (Mancuso)
E' evidente che non sappiamo altro del vero se non che non è comprensibile in
maniera precisa. (Cusano)
Le "verità" dovrebbero reggersi da sole senza il sostegno delle autorità.
La verità è interpretata come una corrispondenza fra il mondo e le nostre idee
concernenti il mondo.
Fino a quando crederai nella verità, sarai succube di coloro che la gestiscono.
La verità, se mai esistesse, non avrebbe bisogno di parole per essere espressa.
L'unico valore della verità sta nel fatto che qualcuno la cerca.
La verità esiste per il singolo solo nella misura in cui egli stesso la genera agendo.
(Kierkegaard)
La verità è inesauribile. (Lenin)
L'essere umano insiste per conoscere la verità che però è nozione antropomorfica.
Ci sono due verità: una provvisoria, locale e convenzionale legata alla visione dei
fenomeni. L'altra è definitiva e assoluta; quest'ultima però ...non è esprimibile, ...non
è immaginabile, ... è inconoscibile!
Faremmo bene a commiserare reciprocamente la nostra ignoranza, a sforzarci di
vincerla con tutti i mezzi e a non trattare gli altri da ostinati e perversi solo per il fatto
che non rinunciano alle loro opinioni per accettare le nostre che vorremmo
imporre loro. Infatti non c'è nessuno che650 possieda la verità tutta intera.
NON SO: questa è l'unica verità! Siamo l'inconcepibile. Siamo l'incommensurabile.
Siamo l'ineffabile.
Dov'è dunque l'assoluto? Dov'è l'assolutezza della verità? Forse nell'attimo
fuggente. Non a caso Faust voleva fermarlo, ma non ci riuscì. L'attimo fuggente si
ferma solo con la morte e la morte è la sola verità che si realizza trasformando un
corpo vitale in una spoglia e restituendo alla natura quel tanto di energia che
chiamiamo vita. Perciò, amici realisti, la verità assoluta non esiste. È soltanto
un'ipotesi, non so neppure se consolatoria. Freud intitolò il suo libro fondamentale "Il
disagio nella civiltà". Qualcuno cambiò il titolo con "Il disagio della civiltà". Ma
l'originale è il primo. Il disagio sta nella civiltà. Noi siamo scimmie pensanti e quello
è il disagio: il pensiero. L'animale che non pensa opera soltanto mosso da istinti coatti
e non evolutivi. Per lui non esiste l'attimo fuggente perché vive una sequela di attimi
che si ripetono. L'animale è innocente. Noi no perché noi pensiamo e sappiamo.
(Scalfari)
Noi non possiamo avere alcun accesso alla verità in qualsiasi tipo di senso oggettivo
o assoluto.
La verità è sempre più grande di noi, non siamo noi i possessori della verità;
tolleranza è ammettere che anche l'altro ha una sua verità.
La conoscenza è stata inventata, ma la verità lo è stato più tardi ancora. (Foucault)
Essere sempre consapevoli che quello che crediamo può rivelarsi sbagliato, ascoltare
sempre i punti di vista diversi, ma cercare sempre, ad ogni momento di chiedersi chi
ha meno torto.
Se guardando le cose le modifichi (come insegna la meccanica quantistica), come
potrai parlare di verità?
Con la pura ragione non sarà mai possibile pervenire a qualche verità assoluta.
(Heisenberg)
Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere. (Wittgenstein)
La verità era uno specchio che cadendo dal cielo si ruppe. Ciascuno ne prese un...
pezzo e vedendo riflessa in esso la propria immagine, credette di possedere l'intera
verità. (Mevlana Rumi, Sec. XIII)
Ogni singolo individuo possiede una propria immagine del mondo e di se stesso...
nessuna però è la verità, neppure quelle che pensano di esserla!
Non credere alle tradizioni solo perché sono state tramandate di generazione in
generazione. Non credere a quello di cui hanno parlato e chiacchierato in molti. Non
credere semplicemente perché vengono mostrate le dichiarazioni scritte di qualche
651
vecchio saggio. Non credere alle congetture. Non credere come una verità ciò a cui ti
sei legato per abitudine. Non credere semplicemente all’autorità dei tuoi maestri e
degli anziani. Dopo l’osservazione e l’analisi, quando concorda con la ragione e
conduce al bene e al beneficio di tutti e di ciascuno, solo allora accettalo, e vivi
secondo i suoi principi. (Buddha)
Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente
onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e
mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità.
L'imparzialità è un sogno, l'integrità morale è un dovere.
Ario diceva: non seguitemi. potrei sbagliare.
Ciò che chiamiamo verità è una parvenza che si vuole elevare sopra tutte le altre
parvenze.
Nulla intorno a me è semplice. Nulla è facile.
Non so cosa sia il mondo...vivo di espedienti.
Sono sempre alla ricerca: del mio io e del mio dio. Esistono questi due birichini? Non
lo so, però li amo. Comunque, pur non conoscendo la verità, le mente è chiara...
Aspettava che la verità piombasse su di lui come un fulmine e contava sulla sua
eccellente memoria per conservarla... ma non accadde nulla.... e lui sorrise da solo.
I fatti esistono attraverso le interpretazioni. Le interpretazioni sono formulate dalla
mente. La mente è un'efflorescenza immateriale prodotta da un organo composto da
miliardi di cellule ed ha con il cervello lo stesso rapporto che uno strumento musicale
ha con la musica. Fate che una corda di quello strumento sia stonata e anche la
musica sarà stonata o, se volete, diversamente intonata. Ogni esecuzione musicale
dello stesso brano e della stessa orchestra è diversa dalle esecuzioni precedenti e da
quelle successive. È un "unicum". Perciò ogni verità è relativa. (Scalfari)
Ogni presunta verità è tale fino a prova contraria.
Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola. Solo gli imbecilli son sicuri di
ciò che dicono. (Voltaire)
La verità è interpretazione. Ognuno interpreta il mondo dal suo punto di vista.
Credete a chi cerca la verità, non credete a chi la trova. (Gide)
I filosofi greci andavano alla ricerca della verità ovunque li portasse il cammino
mentre i teologi scolastici andavano alla ricerca di conferme di ciò che già credevano.

652
Gli esseri umani sono enti progettuali non votati solamente alla conoscenza della
verità ma anche al suo incremento gioioso. (sicuro di ciò caro Lombardo?)
La verità (se mai esistesse) sarebbe nel pensiero e non nella realtà. (rielaborazione di
Aristotele che non usa il condizionale)
William James. Empirismo radicale: un'idea è vera fintantoché credere in essa è utile
per le nostre vite. Se l'ipotesi Dio è utile per noi essa è anche vera. Esiste solo la
pura esperienza (ente non molto chiaro) che è la sostanza primigenia anteriore
della materia e dello spirito, del soggetto e dell'oggetto! Monismo neutrale.
Le teorie onnicomprensive hanno un effetto irresistibile sulle menti deboli.
La verità è, forse, l'opinione del vincitore, del più forte.
Voler aver ragione … costa MOLTO caro in dispendio di energie.
Non siamo noi a percepire, è la cosa a percepirsi laggiù,- non siamo noi a parlare, è la
verità a parlarsi in fondo alla parola. (Merleau-Ponty)

Ogni affermazione sulle cose ultime deve essere fatta nella suggestiva forma del
mito o della poesia.
La verità non è un premio di buona condotta, o perché hai superato gli esami. Non si
ottiene. È la fonte ancestrale e non-nata di tutto l'esistente. Perciò non devi
meritarla. Ne hai diritto perché sei. È tua, purché tu smetta di fuggirla inseguendola.
Sii calmo e quieto. La verità sta nello scoprire, non in ciò che si scopre. Il non
sapere mi ha mostrato che tutta la conoscenza è un'ignoranza, che "non so" è
l'unica verità. Ad esempio, esamina l'affermazione: "sono nato". Ti sembra veridica,
non lo è. Non sei nato, né morirai. L'idea è nata e morirà, non tu. (Nisargadatta
Maharaj)

La verità presuppone infinite prospettive (il geomatrale di Leibniz) perché scritta con
una formula infinita secondo Lakatos.
Cosa serve per afferrare la verità? Servono le mani? Serve l'intelligenza? Serve la
fede? Oppure la verità, pur esistendo è sfuggente? Oppure ancora; "Nessuno sa e
nessuno saprà mai" come dicono i meravigliosi e incoerenti filosofi scettici?
La parresia è Il diritto - dovere di dire la verità. Già, ma quale verità? La mia
personale? Quella di una chiesa? O quale altra?
Negli ultimi tempi (2016) siamo arrivati al concetto di post verità: scrive infatti
Battista sul Corriere: "Non c’è dubbio che siano i movimenti antisistema a sentirsi a
proprio agio nei vapori della politica «post-verità». E c’è una ragione politico-
psicologica per questo squilibrio: il complottismo
653 antisistema si fonda sul sospetto
gridato come fosse verità negata che le forze del «sistema» occultino per i loro
loschi interessi i fatti «veri». È il «sistema» che nasconde la pericolosità dei vaccini,
è il sistema che non vuole ammettere, schiava dei luridi interessi farmaceutici, che il
bicarbonato curi il cancro. È il sistema che racconta la «menzogna dell’11
settembre». Si crede alle colossali falsità dei politici populisti perché si vuole credere
in una verità alternativa a quella ufficiale. È questo il veleno culturale che circola
nella politica di massa del ventunesimo secolo, perché il supporto di Internet e dei
social, oltre a dare una meravigliosa pluralità di informazioni a portata di mouse,
satura la Rete di una quantità enorme di informazioni false, distorte, o
addirittura inventate di sana pianta. Ecco il trionfo della post-verità. A essere
sfidata è la politica ma anche il sistema dei media, che dovrebbe moltiplicare i suoi
sforzi di accuratezza nel racconto dei fatti, ma troppo spesso non lo fa, lasciando
spazio alla «post-verità»".
Siamo diventati i megafoni delle esagerazioni perché così funzionano le piattaforme
social e il motore di ricerca di google al quale tutti ci rivolgiamo come un oracolo e
che in cima alla lista dei risultati non mette le risposta "migliore", la "verità", ma solo
quella che ha avuto più link, più collegamenti da altri siti web; e se sei bravo in cima
ci fai arrivare quello che vuoi, al punto che se chiedi a google se "Hitler era cattivo?"
ti risponde con un sito che elenca i 10 motivi per cui era il dittatore dell'Olocausto era
buono. La verità è nelle mani del SEO, la Search Engine Optimization, le regole per
ottimizzare i risultati su un motore di ricerca. Non sembrano ottime mani e giudicare
dai risultati. Infatti risulta essere vero ciò che è più cliccato …

-VITA**

La vita nell’universo è un azzardo accidentale. (Boncinelli)

La vita non è uno sforzo per raggiungere qualcosa, è una celebrazione. (Osho
commenta Eraclito)

Gli esseri viventi sono tali solo perché si nutrono di altri esseri viventi. Nessun
essere vivente si nutre infatti solo di acqua, aria, terra o fuoco.

La struttura neronale dei polpi è diversa dalla nostra: invece di essere concentrata in
un cervello, è articolata attraverso l'intero corpo dell'animale, compresi i soi
tentacoli. E' una intelligenza complessa, ma diversa. Tentacoli staccati dal corpo
continuano ad avere capacità complesse di elaborare informazioni. Ma come deve
essere sentirsi un polpo, con un cervello diffuso ovunque, e tentacoli che pensano
ciascuno a modo suo? (Rovelli)

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Ci sono persone che vivono la loro vita presente in attesa di quella futura. Ma lo zen
insegna che "Conviene essere completamente presenti in ogni gesto: concentrarsi
qui e ora. Infatti quando ho fame mangio e quando ho sonno dormo: nulla di più".

La vita in sé stessa è tutto quello che c'è. E' la ricerca di un significato spirituale che
ha fatto diventare la vita un problema. Invece di vivere, siete ossessionati da come
dovreste vivere. (U.G.)
 
Buddha dice che la vita felice non dipende dalla soluzione dei grandi problemi
metafisici. Infatti Wittgenstein aggiungerebbe che di ciò di cui non si può parlare si
deve tacere. Esiste un Assoluto? L'anima è immortale? L'universo è infinito ed
eterno? Da rimarcare che pure Kant dice che le tre questioni di cui sopra sono senza
soluzione razionale.

La vita è contaminazione, è sporcarsi di continuo le mani con il nuovo, il diverso,


l’imprevisto. La vita è movimento: l’esatto opposto della purezza, statica per natura.
Per Jung l’obiettivo di ogni esistenza umana non consiste nel raggiungere la
perfezione, ma la completezza. I puri si sentono perfetti, ma saranno sempre
incompleti. La loro è un’utopia monca e sterile, però non nel senso di pulita. Nel
senso di improduttiva. Tutti gli integralisti, in qualsiasi campo, sono dei sedicenti
puri.

Agire senza ragioni è ciò che costantemente facciamo nella nostra forma di vita.
(Wittgenstein)

Nella tendenza a cercare un senso della vita a tutti i costi si esprime un più generale
bisogno metafisico che Nietzsche individua come caratteristica dell’umanità
occidentale: non siamo capaci a vivere senza una fine. La paura che la vita non
abbia un senso, che non sia possibile offrire principi di orientamento assoluti per
trovare la propria strada nella selva dell’umana esistenza, è ciò che l’uomo teme più
di ogni altra cosa.

I «concetti fondamentali» del nostro vivere sono intrecciati tra loro in modo talmente
stretto e generale che non è possibile separarli l'uno dall'altro. (Wittgenstein)

Il senso attribuito alla vita è un modo per stare nel mondo e esplorarlo non risolve
l'enigma dell'esistenza. Il mondo greco pensava che il suo senso della vita fosse
l'unico, altrettanto fece la cultura ebraico - cristiana. Noi invece oggi sospettiamo che
nessun senso possa essere l'unico esaustivo.

La vita inautentica è quella che viviamo tutti: tutti noi siamo infatti inautentici perché
non abbiamo scelto di essere ciò che siamo. Le persone ragionano con la testa degli
altri, quasi tutte le persone. Vi è molto poco di originale, di autentico in noi.
655
Diventa ciò che sei, diventa autentico. Quasi impossibile. Siamo convinti di essere
dalla parte giusta, dalla parte di Dio. Invece siamo solo un prodotto della cultura e
dell'ambiente. Sono assolutamente cosciente della mia inautenticità.

Per la mentalità greca non può esistere una esistenza senza dolore essendo esso
naturale. Il vero problema è di reggerlo tramite l'arete. Gli ebrei (ricordiamo il
lamento di Giobbe) invece ritengono ci si possa aspettare la sua totale sparizione
essendo esso innaturale: Dio asciugherà le lacrime da ogni volto! Infine il pensiero
orientale ritiene che il dolore e la gioia sono inscindibili: senza l'uno non esisterebbe
neppure l'altra.

La nostra vita è una recita continua e complessa. Tutti interpretiamo vari personaggi. Non
siamo noi a mentire; sono loro!
L'enigma della vita è l'unico, oscuro e spaventoso oggetto di tutta la filosofia.
L'antico problema della soluzione dell'enigma della vita impegnò i pitagorici o
Eraclito allo stesso modo come i sacerdoti orientali. (Dilthey)
La vita di ogni individuo crea da se stessa il proprio mondo. (Dilthey)
Dilthey sostiene che la stratificazione e l'ampliamento delle esperienze della vita non
riescono mai a prendere ragione del significato ultimo della vita nella sua
complessità, per cui nessuna spiegazione della stessa può assumere validità
universale e definitiva. L'enigma della vita appare irrisolvibile dal punto di vista
della certezza scientifica: l'uomo non può conoscerla nella sua essenza ma deve
limitarsi ad alcuni aspetti espressi dalle visioni del mondo.

Dilthey sostiene che la stratificazione e l'ampliamento delle esperienze della vita non
riescono mai a rendere ragione del significato ultimo della vita nella sua complessità,
per cui nessuna spiegazione della stessa può assumere validità universale e definitiva.
La vita, nella sua essenza, non è mai pienamente spiegabile, perché di essa è possibile
svelare solo singoli, mutevoli aspetti, ma ogni pretesa di disvelarla nella sua interezza
è destinata a fallire.

La vita è un gioco la cui prima regola è di far finta che non lo sia. (Watts)

Non è la vita che cambia fuori di noi ma è il nostro rapportarsi ad essa che diventa
più maturo e profondo.

E' la vita che si veste di "me" e che dice "io".

Tu non saprai mi cosa è la vita. Nessuno potrà mai sapere cos'è. Potrà dare delle
definizioni ma esse non hanno alcun senso. (U.G.)
656
Che senso ha la vita? Semplice: farai molta strada per tornare la da dove sei partito!

C'è solo la vita, nessuno che la vive. Se contempli la vita com'è, infinita, indivisa,
onnipresente, sempre attiva, scopri di essere tutt'uno con essa. Vita ed energia sono
sinonimi. (Nisargadatta Maharaj)

La vita pensante tende all'infinito...pur essendo esposta ai rutti della natura!


Non siamo noi che viviamo la vita ma è la vita che vive in noi: in realtà però non
c'è un noi separato dalla vita!
La vita è tutto quello che c'è e non ha particolare significati o scopi. Noi però
vogliamo dargli scopo e significato.
La vita umana è un dono, è un caso o è una condanna? O nessuno dei tre?
E' stupenda la vita con le sue fantasmagorie, ma non prendiamola troppo sul serio.
L'altro è un altro mondo possibile che emette dei segni che interpreto. La vita è fatta
di segni da interpretare e valutare.
La vita è un concetto che abbiamo inventato. Nel tentativo di definire la vita,
abbiamo tracciato una linea a un livello arbitrario di complessità e dichiarato che tutto
ciò che è al di sopra di quel confine è vivo, e tutto ciò che è al di sotto non lo è. Ma
questa suddivisione non esiste al di fuori della mente. Se una persona usa la mente
olisticamente si rende subito consapevole che non si dovrebbe valutare una cosa
disgiuntamente dalle altre.

Il tempo della vita si curva e poi scompare e la vita si dissolve come se non fosse mai
stata, l'unica sua presenza è la traccia della sua assenza che macchia gli eventi, però
ritorna il suo flusso, mentre l'energia dell'universo si dissipa al suo cospetto, è proprio
la lenta morte termica del cosmo a rinnovare la vita. Così, mentre l'universo volge
verso la notte eterna la vita guizza di qua e di là, ma non sarà perenne, è solo un
fenomeno sporadico che avrà in un tempo remoto la sua fine. Quando l'energia
dell'universo decadrà, non ci sarà più nessun opportunità per la vita.

Eppure resta che qualcosa è accaduto, forse un niente che è tutto. (Montale)
L'unica cosa di cui dobbiamo veramente sbarazzarci è il desiderio di liberarci dei
nostri condizionamenti!
La vita non e' aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia.

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Avvolti dalla nebbia gli uomini vivono nell'indifferenza verso tutte le cose, che non
hanno valore che per la loro utilità materiale. Più che vivere, sopravvivono. Gli
uomini della nebbia sono tutti presi dalle loro occupazioni mondane, materiali, sono
rivolti costantemente alle preoccupazioni per il futuro e alle nostalgie e ai rimpianti
per il passato. In breve, vivono perché sono nati, vivono per vivere, cioè per non
morire: la loro persuasione è la paura della morte. Vivono per non morire, ma
paradossalmente sono già morti. (Michelstaedter)

-VIOLENZA**

Sappiamo tutti - e attualmente ne siamo più consapevoli - che nel passato la storia del
cristianesimo contiene pagine di violenza scaturita dalle convinzioni religiose, fino
alle guerre di religione. (Martini)

La violenza delle Scritture ebraiche e cristiane: una violenza che non è di un solo
colore o figura, ma multiforme e poliedrica, perché tale è la violenza nella vita, nella
storia, nella società. Nella Bibbia c'è ampiamente la violenza descritta: nei racconti
di Caino e Abele, nella storia di Giuseppe venduto dai fratelli, nelle pagine dell'Esodo
con le distruzioni degli egiziani, nel momento dell'ingresso bellicoso del popolo di
Dio nella terra promessa, nelle vicende truci e terrificanti dei libri dei Re, fino alla
caduta di Gerusalemme. C'è poi la violenza evocata; nei Salmi, nelle Lamentazioni,
in alcuni libri dei Profeti. In terzo luogo c'è quella violenza che appare come
giustificata o addirittura comandata da Dio - e il problema comincia a diventare più
grave - all'uomo: a partire dal sacrificio di Isacco fino alla distruzione dei Re Cananei
e soprattutto ai fatti narrati dai libri di Giosuè e dei Giudici. Ci sono inoltre pagine
che parlano degli interventi punitivi di Dio descritti a volte in termini durissimi:
dalla condanna a morte comminata al primo uomo alla condanna dei malvagi, al
fuoco eterno, passando per i castighi dati o minacciati al popolo e ai nemici di Israele.
Quanti salmi contro i nemici! E' la violenza approvata e promossa o anche attribuita a
Dio che crea soprattutto in noi, oggi, gravissime e in qualche modo insormontabili
difficoltà di accettazione. Noi siamo del parere che non basta una nobile causa per
giustificare una guerra condotta per ordine di Dio. E c'è poi quella che viene sovente
chiamata la "violenza ultima" cioè la dottrina del castigo eterno che conferisce a
Dio l'iniziativa di un tormento per sempre a persone che hanno peccato, immerse
nella fragilità e nell'ambiguità di una storia umana confusa e contraddittoria. Del
resto, non ci si è forse appellati - lungo i secoli della storia della Chiesa - al giudizio
implacabile di Dio, per ritenersi autorizzati ad anticiparlo in qualche modo nella
tortura, nelle crociate, nelle forme di eliminazione degli avversari della fede? Cade a
proposito la parola del Papa: la Chiesa, alla fine del secondo millennio, deve
esprimere il pentimento per tutte le volte che ha usato la violenza nel proporre la
fede. (Martini)

658
La violenza è alla base della società; la violenza è alla radice del nostro cuore;
persino l'amore e la fede non sono senza qualche violenza. (Martini)

Viene quasi da affermare, al di là d ogni tradizione religiosa su una colpa primitiva,


che l'umanità probabilmente è nata violenta o, almeno è stata violenta fin dagli
inizi; che la violenza le è in certo modo connaturale e che è piuttosto la non violenza
a stupire e ad andare contro corrente. (Martini)

Questa violenza non è soltanto intorno a noi ma è anche dentro di noi. (Martini)

Se ogni amore ha qualche violenza, la fede, che è una conoscenza mediata dall'amore,
partecipa di tale natura. C'è così una tensione ad espandersi, che è tipica quasi di ogni
fede religiosa; e c'è una sorta di invadenza tipica di quasi ogni gruppo religioso, a cui
esso non può rinunciare senza isterilirsi, senza dichiararsi insignificante, quindi senza
autodistruggersi. (Martini) Mi pare quindi di capire che le religioni sono come l'io: si
affermano opponendosi! Sarà proprio la strada giusta?

-WU WEI **

In Oriente non c'è l'idea di un dio che si rimbocca le maniche e fa (wei), costruisce
mondi, uomini, anime, leggi che illustrano LA VERITA'. Gli orientali pensano che il
Tao lascia crescere senza fare (wu wei).

Il non fare orientale al posto dell'usuale concezione dell'Occidente ove Dio controlla
tutto essendo onnipotente e diviene così l'immagine di ciò che l'uomo amerebbe
essere.

Il pensiero occidentale è tutto incentrato su concetti quali la volontà, la coscienza, la


consapevolezza, la determinazione per conseguire lo scopo mediante lo sforzo.
Siamo lontanissimi dalla spontaneità del wu wei ove "la rosa fiorisce senza perché"
come dice Silesio.
Wu-wei: lasciare che le piante dell'orto crescano da sole senza dovere tirare con le
mani. Oppure lasciare che l'acqua scenda in basso (giardino zen) e non salga in alto
tramite fontane.

Nei primi testi taoisti, wu wei è spesso associato con l'acqua che ne rende
perfettamente il concetto. Anche se l'acqua è leggera e debole, essa ha la capacità di
erodere lentamente la roccia. L'acqua è compatta e rimane sempre uguale a sé stessa,
a differenza del legno, la pietra o qualsiasi altro materiale che può essere suddiviso in
pezzi. Essa può tuttavia riempire qualsiasi contenitore, assumere qualsiasi forma,
andare dovunque, anche nei buchi più piccoli.

Ecco come bisogna essere! Bisogna essere come l'acqua. Niente ostacoli – essa
659
scorre. Trova una diga, allora si ferma. La diga si spezza, scorre di nuovo. In un
recipiente quadrato, è quadrata. In uno tondo, è rotonda. Ecco perché è più
indispensabile di ogni altra cosa. Niente esiste al mondo più adattabile dell'acqua. E
tuttavia quando cade sul suolo, persistendo, niente può essere più forte di lei. (Laozu)

Quando si suddivide in tante gocce, l'acqua ha ancora la capacità di riunirsi.

L'obiettivo del Wu Wei è quello di mantenere l'uomo in armonia con la natura,


affinché il mondo segua la sua naturale evoluzione. Per fare questo l'uomo non deve
ambire ad azioni troppo grandi o complesse. Queste azioni, se irrealizzabili, saranno
solamente causa di sofferenza e sentimenti negativi nell'uomo. Applicando il wu wei
invece l'uomo è consapevole di dover fare scelte razionali nella propria vita,
procedendo a piccoli passi. Quando l'uomo coltiva le leggi del Tao, aumenta il suo
stato di armonia con la natura, e, come afferma il filosofo taoista Zhuang Zi,
raggiunge lo stato di Ming, o chiarezza. È allo stato di Ming che deve applicare il wu
wei, agendo solo quando deve agire, in modo da non sconvolgere gli equilibri del
Tao.

Z
-ZEN**
Lo zen non è il migliore, è il peggiore! è il peggio del peggio.... perché gioca con
le nostre certezze!
Lo zen è ineffabile e intuitivo.
La dottrina zen non ha nessun percorso prestabilito e neppure schemi prefissati.
A volte spiega principi mondani, a volte esprime dottrine oltremondane. In ogni
caso lo scopo è dissolvere i punti di aderenza delle persone e liberarle dalla schiavitù.
Pertanto non vi è alcun dogma né alcuna ortodossia dottrinaria. L'unica questione è
cosa porterà effettivamente la persona alla liberazione e alla illuminazione. (Kokushi)

Lo Zen è, forse, la filosofia del momento presente in ogni ambito della nostra vita.
La cultura Zen è strettamente legata al gesto, al momento in cui il pensiero si
annulla e conta solo l’azione. Non c’è esitazione all’interno di un puro gesto zen,
perché quel gesto è diventato così tanto parte di te che il tuo corpo lo esegue senza
che la mente venga coinvolta.

660
Se semplicemente alzo la mano, ecco lo zen! Ma se lo annuncio, lo zen è già
svanito. L'inesprimibilità dell'assoluto.
La vera spiritualità non è pensare all'assoluto mentre si pelano le patate, ma è
proprio pelare le patate …
L'arte di cavalcare il vento per superare tutte le convenzioni.
Al di fuori della dottrina; indipendente dalla tradizione.
Non fondato su parole o su lettere.
Diretto alla mente umana.
Lo zen oppone un lungo silenzio a colui che è certo del suo sapere....
senza tetto e senza pavimento
senza tempo e senza spazio
senza mente e senza mete
senza io e senza dio
...l'allegro VUOTO!
Dice Basho in un piccolo haiku:
Vecchio stagno
rana balza
suono d’acqua
È tutto qui. Ha detto tutto. Ecco l’immagine: un vecchio stagno, una rana
sulla sponda, poi il salto. Puoi vedere il tonfo e sentire il rumore dell’acqua.
Al di sopra, senza una tegola per coprire il capo; Al di sotto, senza un palmo di
terra per il piede.
Non so! questa è la risposta definitiva dello zen...
Forma è vuoto e vuoto è forma ma anche forma è forma e vuoto è vuoto. Senza
alcun dualismo.
Lo zen è semplice, diretto, pratico e riguarda il qui e ora ed elimina tutte le
distinzioni dualistiche del tipo: io e tu, soggetto e oggetto.
L’esperienza dello zen non mira a distaccare l’io dal mondo ma a renderlo più
partecipe. Ciò significa che il presunto "Io" può essere: o allargato fino a riunificarsi
con il "TUTTO" o rimpicciolito fino scomparire nel "NULLA".

Lo Zen è un processo di abbandono di tutte le forme fisse di pensiero (anti


dogmatismo e anti intellettualismo) come le ideologie per mezzo delle quali la mente
661
cerca di afferrare la propria vita. Bisogna imparare a disapprendere e coltivare lo
zen di ogni istante! Lo zen non va imparato ma praticato. Non va dimostrato ma
semplicemente mostrato.
Nel Buddismo Zen l'àskesis (esercizio, allenamento), come nella tradizione di alcune
scuole filosofiche greche, non significa in alcun modo "ascesa" o preparazione di una
"discesa" in se stessi di una potenza divina trascendente, ma significa, letteralmente,
esercizio, disciplina di ampliamento e intensificazione della coscienza, i cui risultati
non possono essere elargiti da alcun Ente Supremo ma possono essere raggiunti da
ciascuno secondo le sue proprie capacità nell'attesa che questo qualcuno si dilegui
definitivamente.

Nella concezione dello zazen di Dogen il pensare-senza pensare era impiegato non
tanto in un'accezione trascendentale, quanto realizzativa; era senza oggetto, senza
soggetto, senza forma, senza scopo e senza intenzione. Ma non era privo di contenuto
intellettuale come in un vuoto.

Se lo zen dicesse qualcosa a proposito della via da percorrere, dei motivi e dei modi
per percorrerla, si ridurrebbe a un'ennesima proposta di verità, di dottrine o di
formule pedagogiche. Lo zen può condurre a liberarsi da preconcetti e da
pregiudizi, ma non intende pronunciarsi sui fondamenti e sulle finalità di questa
libertà conquistata, perché sa che ogni "pronunciamento" si trasformerebbe ben
presto in una nuova occasione per produrre altri precetti morali e altre certezze
intellettuali.

Nella tradizione della Scuola zen Rinzai viene detto: «Il vero uomo della via
(shinnin) [ . . . ] quando vuole camminare cammina, quando si vuole sedere si siede;
non pensa mai neppure per un istante a ricercare la Buddhità». Ciò significa che
è necessario essere sempre presenti, attenti a quello che si pensa, si fa e si dice.
Questo essere presenti significa non avere la mente altrove: anche se questo " altrove"
si presenta con l'aura della massima nobiltà, come ricerca della Buddhità, o con
quella della massima profondità, come abisso dell'autocoscienza. In altri termini:
quando si pensa, si agisce, si parla, è necessario essere coscienti di quello che si fa, si
pensa e si dice, ma non si deve esser coscienti di questo esser coscienti e, quindi,
all'infinito, esser coscienti di essere coscienti di esser coscienti . . . di ciò che si fa, si
pensa e si dice. Altrimenti il risultato è che non si fa, non si pensa e non si dice nulla:
si gira a vuoto come un motore in folle, ci si specchia in una serie infinita di specchi
alla fine della quale ciò che si specchia non si vede più.

Al livello più profondo, si può affermare che lo zen, al pari di gran parte della
tradizione mistica occidentale, pratica lo scioglimento delle barriere dell'io,
producendo uno stato psicofisico in cui l'identità personale non viene
semplicemente negata, ma viene superata e allargata mediante la consapevolezza
662
dell'infinita molteplicità di interconnessioni che la costituisce. Inoltre, lo zen può
considerarsi un'àskesis mistica in quanto riesce a concepire come "cristallo
trasparente" non soltanto l'io, ma ogni elemento della realtà: in tal modo anche un
minimo particolare del mondo fisico, come un grano di senape, oppure un brevissimo
movimento, come quello di una rana che si tuffa nello stagno, diventano non solo
simboli, ma concentrati reali di un cosmo infinito dove ciascuna cosa, per essere se
stessa, è contemporaneamente altro da sé, dove ciascun fenomeno, pur
differenziandosi da tutti gli altri, partecipa della loro stessa natura, come avviene
nell'esempio metaforico della rete di gioielli evocata nella formula ji ji mu ge.

«lo vi dico che non c'è alcun Buddha, alcun Dharma, nulla da praticare, nulla da
dimostrare. Si può sapere cosa state cercando in questo modo sulle vie maestre e sulle
scorciatoie? Ciechi ! State mettendo una testa sopra quella che avete già» (Linji)

Quando si parla di Buddhismo zen, si intende, letteralmente, quella forma di


Buddhismo che coltiva in primo luogo e soprattutto la meditazione (???), lasciando
sullo sfondo le discussioni teoriche, gli aspetti dottrinali, i riferimenti ai testi
canonici, e l'uso di cerimoniali che caratterizzano, in modi e gradi diversi, tutte le
altre Scuole della tradizione buddhista.

Di norma pensiamo che vi sia un qui, dove si trova il nostro soggetto che vede, tocca,
sente, e un là dove sta un oggetto visto, toccato, sentito: queste due realtà vengono
percepite non soltanto come distinte, ma come separate. L'intuizione che prepara e
accompagna il Risveglio ci fa percepire immediatamente, indipendentemente da ogni
ragionamento e da ogni discorso, che queste due realtà non sono due blocchi che si
fronteggiano, ma due poli di un medesimo campo di forze, i quali, proprio come
accade nel caso di un campo magnetico, non possono esistere uno senza l'altro.

L'uomo deve riuscire a fondersi con l'Assoluto. La mente zen è la mente di ognuno di
noi. Tutto è collegato con tutto, interdipendenza totale.
Non bisogna praticare aspettando l'illuminazione; non c'è nulla da conseguire!
L'illuminazione è trascendere il dualismo tipico della percezione umana.
L'illuminazione è trascendere l'io tipico prodotto del dualismo.
Non tutte le domande hanno bisogno di una risposta: la risposta a certe domande sta
nel non farle.
L'uomo è il cosmo e il cosmo è l'uomo.
Insieme e non insieme sono la stessa cosa.
Qui e ora include l'eternità.
663
Il corpo e a mente non sono né due e neppure uno: sono, allo stesso tempo, due e
uno!
Tra un po’ moriremo ma, allo stesso tempo, non moriremo. Lo zen è sempre
contradditorio!
Lo zen non si occupa di teoria ma solo di pratica e di comportamenti reali. E' il
buddismo originario.
Zen indica l'essenza del buddismo comunicata nei secoli non come un dato dottrinale
pertinente a una particolare religione ma come una forma concreta del modo di
essere originale della realtà universale.
"ESISTE CIO' CHE NON ESISTE?" è un perfetto KOAN ZEN al quale non puoi
rispondere con la logica! serve una risposta di altro tipo. Il Koan ha lo scopo di
riunire il soggetto con l'oggetto eliminando ogni dualismo.
Lo zen è ginnastica per allenarti all'assurdo, l'assurdo è infatti l'unico sbocco di una
mente libera e intelligente!
Le frasi zen senza senso hanno un senso...certo non logico, non razionale...ma hanno
un senso istintivo, immediato, profondo...è nel profondo che scorre la vita...
Una tazza vuota non ha bisogno di essere riempita.... lo zen dice che sta molto meglio
vuota... capito questo si è capito lo zen, forse …
"Il vero e il falso sono la malattia della mente" ci dice lo zen.
Lo zen ascolta solo la voce del Tutto, cercando di coglierne l'intima essenza al di là
dei rumori del mondo. (Mimma de Maio)
L'essenza della via è il distacco. E il fine di coloro che praticano è la liberta dalle
apparenze. (Wùxìng lùn)
Lo zen è liberazione dal super ego, da tutto, da tutti.
Noi siamo cristiani e quindi...per noi la liberazione è l'amore. Per l'oriente l'amore è
una favola...perché non si può amare ciò che non esiste... cioè l'io e l'altro. Esiste però
karuna …
Lo zen è ...una stupidaggine che dice tutto e nulla, quindi non una stupidaggine da
poco!
Studiare la Via è studiare il sé.
Studiare il sé è dimenticare il sé.
Lo zen è immediato, imprendibile, paradossale, irridente verso ogni sapienza
soddisfatta, spesso nascosto dietro gli 664
schermi del vuoto e del non sapere. E' il
fascino inafferrabile dell'incompletezza. Sereni, si gode la vita in beata tranquillità
osservando la propria fine come un petalo che cada dal fiore.
E poi, tutto a un tratto, il fondo si staccò e cadde: niente più acqua nel secchio e
niente più luna nell'acqua!
Nessuno dovrebbe essere sicuro delle sue certezze....si cerca, certo, ma sempre con
umiltà a con mente aperta...pronti a cambiare opinione...come una palla trascinata
dalla corrente di un torrente di montagna...tra mille massi che si oppongono e mille
asperità...
Lo zen è zen. Il non-zen è zen.
Lo zen è aperto a tutto: anche alla razionalità!

Lo zen non è religione e non è filosofia; è un'esperienza non verbale (le parole
sono vane).

Il pensiero essenziale dello zen rifiuta di venir organizzato anche perché i modelli di
pensiero orientali sono molto diversi dai nostri occidentali.

Nel corso della storia si è constatato che la mente dell'uomo è capace di due tipi di
conoscenza; la prima modalità è quella razionale, tenuta in grande considerazione
dall'occidente; la seconda è quell'intuitiva che, in genere, è esattamente l'opposto,
ed è confacente all'atteggiamento orientale. La conoscenza razionale appartiene al
campo della scienza e dell'intelletto, la cui funzione è quella di analizzare,
discriminare, dividere, confrontare, misurare e ordinare in categorie. La conoscenza
razionale è un sistema di concetti astratti e di simboli; in questo modo si considera
l'ambiente naturale come se fosse costituito da parti separate, e si costruisce una
mappa intellettuale della realtà, nella quale le cose sono ridotte ai loro contorni. Per
noi la conoscenza è convenzionale (frutto di una convenzione sociale) nel senso che
riteniamo di sapere solo ciò che ci possiamo rappresentare con parole, cifre, note
e quant'altro.

Si può considerare l'universo da una pluralità di punti di vista tutti ugualmente validi
(prospettivismo): come uno, come molteplice, come uno e molteplice insieme, come
né uno né molteplice. Lo zen al proposito è libero di scegliere di volta in volta
secondo le circostanze senza chiedersi il perché.

Non esiste la verità o la morale e la vera mente non è mente.

Non c'è differenza fra chi conosce e ciò che è conosciuto.

Gli oggetti sono solo pensiero.

665
L'illusione del mondo scaturisce dal vuoto.

Ci creiamo mentalmente una meta e poi la inseguiamo.

La propria vera natura è nulla e nessuno.

Ogni cosa evento implica tutte le altre cose evento. Gli opposti sono complementari e
armonici. La vera mente è non mente. In realtà nessuna cosa esiste.

Poiché la nostra idea sulla realtà è più immediata della realtà stessa, noi scambiamo le
idee con la realtà.

Tutto ciò che sembra presupporre una mia decisione, accade invece spontaneamente.

E' costante la mente e varia il mondo o è costante il mondo e varia la mente oppure la
mente e il mondo non sono due? Infatti quando cerchiamo le cose non vi è null'altro
che la mente mentre quando cerchiamo la mente non vi è null'altro che le cose.

Noi possiamo pensare linearmente solo una cosa alla volta (mentre, ad esempio, il
nostro corpo svolge spontaneamente moltissime funzioni contemporaneamente) e
dobbiamo comunicare mediante astrazioni mentre il mondo è tutto interconnesso e
noi ne siamo parte di questa rete di Indra. Insomma, la complessa realtà ci sfugge
sempre perché non può essere rappresentata per simboli come invece tentiamo
sempre di fare noi che vogliamo imprigionare il mondo nella nostra rete di astrazioni
dell'intelligenza convenzionale.

La ragione dipende dai processi che furono sviluppati dall'inconscio. La sua visione
razionale è un limite rispetto alla visione globale d'insieme.

Maya è l'equivalente di nama (nome) e rupa (forma) e quindi è l'atto di dividere


(radice sanscrita dva da cui diavolo e dualismo) è l'illusione che vela il sottostante
Brahaman che è l'Uno non monistico ma semplicemente senza dualità: la figura e lo
sfondo non sono separabili mentre è altresì impossibile imprigionare il mondo
reale nella rete mentale di parole e concetti.

Forse Buddha (e, dopo di lui, Socrate e Gesù) non scrisse nulla perché con le parole e
i concetti non si può trasmettere la verità (se mai quest'ultima esistesse!).

Al giorno d'oggi la gente cerca solo di riempirsi di conoscenze e di deduzioni


lasciando galoppare la mente alla ricerca di ciò che non si è mai perduto.

L'idea è tanto più comprensibile della realtà, i simboli sono tanto più stabili (la
stabilità è l'essenza dei simboli! Essi pretendono di essere la realtà dei fatti. Di
conseguenza noi tendiamo a identificarci con la nostra idea di noi stessi. Lo zen pone
in rilievo che il nostro prezioso "io" è666
solo un'idea abbastanza utile per le cose
pratiche ma disastrosa se identificata con la nostra vera natura: io non possiedo
altro me stesso che la totalità delle cose di cui sono cosciente. (Watts)

Da rimarcare pure che noi partiamo sempre dalla convinzione che la mente sia
fissa e il mondo cambi ma, in realtà, la mente è nel mondo, fa parte del mondo.
Allora chi è fisso e chi no?

La risposta zen è una indicazione diretta e non un commento concettuale. Infatti


quando mancano i nomi il mondo non è più classificato entro limiti e confini.
Bisogna evitare la confusione fra parole, segni e il mondo inesprimibile e
infinitamente vario.

Non cercare di seguire le orme dei savi di un tempo; cerca ciò che essi cercavano.
(Basho)

La conoscenza è imparare qualcosa ogni giorno.


La saggezza è lasciar andare qualcosa ogni giorno.

Il mondo è il monastero dell’uomo saggio; la vita è il suo maestro.

Centinaia di fiori in primavera, la luna in autunno,


la brezza fresca d’estate, la neve in inverno.
Se non occupi la tua mente in inutili cose,
ogni stagione è per te una buona stagione.
(Wu-men)

Che strana creatura l’essere umano:


brancola nel buio con espressione intelligente!
(Kodo Sawaki Roshi)

Rallenta, e ciò che stai inseguendo si avvicinerà e ti prenderà.

Prima del risveglio tagliavo legna e portavo acqua;


dopo il risveglio tagliavo legna e portavo acqua..

Non ci sono limiti per chi li accetta.

Più si da agli altri più si è ricchi;


il saggio non accumula possesso.

667
Il vento non si muove. La bandiera non si muove.
E’ la mente che si muove.

La vera saggezza è vedere senza guardare,


udire senza ascoltare.

Un granello di polvere contiene tutto l’universo.


Quando un fiore si apre, il mondo appare.

Il Maestro si immerge nell’attimo della vita che vive.

L’amicizia e l’amore non si chiedono come l’acqua, ma si offrono come il thè.

L’illusione fondamentale dell'umanità consiste nel supporre che io sono qui e tu


sei lì. (Yasutani Roshi)

Trattenersi non vuol dire rinunciare,


ma esaltare la dote della pazienza.

Se capisci, le cose sono così come sono.


Se non capisci, le cose sono cosi come sono.

Saggio è colui che ha per amico il silenzio.

A volte, semplicemente seduta, l’anima raccoglie saggezza.

Ove ti trovi adesso é dove sei.


Puoi aver concepito uno smisurato desiderio di trovarti altrove, facendo altro, ma tu
non sei là, sei qui.
Fai esperienza di questo momento in tutta la sua pienezza.

La dottrina è come una zattera che vi serve ad attraversare un fiume.


Quando siete giunti sulla sponda opposta, lasciatela andare.
(Buddha)

668
Anche camminare è Zen, anche sedersi è Zen.
Che si parli o si rimanga in silenzio, che ci si muova o che si stia immobili, il corpo
rimane sempre in pace.
(Yoka Daishi)

Un arciere, ha un solo bersaglio: il suo proprio cuore.

Comincia adesso, da dove sei.


Usa quello che hai. Fai al meglio quello che puoi.
Che altra filosofia di vita ti serve?

Solo chi ha il coraggio di scrivere la parola fine,


può trovare la forza per scrivere la parola inizio.

Prima che una persona studi lo Zen,


i monti sono monti e le acque sono acque;

dopo una prima occhiata alla verità dello Zen,


i monti non sono più monti e le acque non sono più acque.

Dopo l’illuminazione, i monti tornano a essere monti e le acque a essere acque.

I saggi restano calmi e silenziosi


in attesa del tempo giusto..

Quando guardi avanti nel tempo, sembra che tutto prosegua in eterno.
Quando guardi indietro nel tempo, sembra che la vita sia passata in un lampo.

Il corpo della libellula è esile,


ma attraversa ballando la tempesta.

Sedendo quieto, non facendo nulla, la primavera arriva e l’erba cresce da sola.

Abbi una grande fiducia in te stesso, non di quello che tu pensi dovresti essere, ma di
quello che sei. (Taizan Maezumi Roshi)

669
Camminando, semplicemente cammina.
Stando seduto, semplicemente siedi.
Soprattutto, non tentennare.
(Yun-Men)

Non sapendo com’è vicina la verità, la cerchiamo lontano: è come se fossimo


immersi nell’acqua e implorassimo da bere.
(Hakuin)

Qual’è il suono di una sola mano che applaude?


Koan Zen

Che colore ha il vento?


Koan Zen

Un monaco desideroso di imparare lo zen, chiese al maestro: “Qual’è la via che


conduce allo zen?”.
Il maestro rispose: “Senti il mormorio del torrente lontano?”.
“Lo sento”, disse il monaco.
E il maestro: “È lì l’ingresso”.

In sostanza nulla esiste, ma se c’è il tè bevo il tè e se c’è il riso mangio il riso.

L’occhio che guarda non può vedere se stesso.

Se non riesci a trovare la verità là dove sei,


in quale altro luogo speri di trovarla?
(Dogen)

Per fare offerte al Buddha, non c’è bisogno di molto incenso.

Chiese a Chao-Chou: “Sono appena entrato in monastero.


Ti prego, dammi qualche consiglio.Rispose Chao-Chou: “Hai mangiato la zuppa di
riso?”. Il monaco: “Sì”. E Chao-Chou: “Allora va a lavare la tua ciotola”.

Rendi il tuo spirito simile al vento, che passa su tutte le cose senza attaccarsi a
nessuna di esse.

670
La nostra vita è lo strumento mediante il quale compiamo esperimenti con la verità.
(Thich Nhat Hanh)

L’illuminazione è come il riflesso della luna nell’acqua.


La luna non si bagna né l’acqua si rompe.
Sebbene la sua luce sia diffusa e grande, la luna si riflette anche in una pozzanghera
di pochi centimetri.
La luna tutta quanta e l’intero cielo si riflettono in una goccia di rugiada sull’erba.
(Dogen)

Parlare sempre di zen è come cercare orme di pesce nel letto di un torrente asciutto.
(Wu Tzu)

Qual è la sala in cui meditare? Il tuo stesso cuore.


(Dogen)

Ogni cosa è la stessa; ogni cosa è diversa.

Ognuno deve cercare personalmente,


domandarsi personalmente,
capire personalmente e risvegliarsi personalmente.

Imparare lo Zen significa trovarsi, trovarsi significa dimenticarsi,


dimenticarsi significa trovare la natura del Buddha e la natura del Buddha è la nostra
natura originale.
(Dogen)

Il Maestro Apre La Porta, Ma Tocca All’allievo Il Compito Di Varcarla.

Lo Stelo Del Fiore, Sapiente Percepisce La Bufera


E Si Piega Al Suo Arrivo.

La maggior parte delle persone è vissuta dal tempo, io invece vivo il tempo.

L’abile viaggiatore non lascia traccia;


l’abile parlatore non dice una parola di troppo.

Pensa al non-pensiero.
Come si fa a pensare al non-pensiero?
671
Non pensando.
(Dogen)

In origine la Via è priva di parole. Noi la illustriamo con le parole.


Ma, quando volete vederla, dimenticate le parole.

Per Vedere Chiaramente La Nostra Immagine, Dobbiamo Solamente Pulire Lo


Specchio

-ZERO **

Il concetto di zero germoglia nel subcontinente indiano. Nel 628 si trova


chiaramente descritto come numero in un'opera del matematico indiano
Brahmagupta.

Lo zero (termine inventato da Fibonacci agli inizi del tredicesimo secolo) lo si


incontra per la prima volta a in India nel settimo secolo. Ne fa uso un matematico di
nome Brama Gupta. Prima il concetto di zero aveva avuto una lunghissima
gestazione in tutto il mondo orientale. Esso è sinonimo di sunya (il vuoto, l'assenza)
termine tipico della cultura indiana per rappresentare il non essere, la non esistenza,
ciò che non ha forma, ciò che non è stato pensato, ciò che non è presente, l'assente, il
nulla (concetti questi rifiutati dal cristianesimo medioevale: anche Gerberto d'Aurilac
- Papa Silvestro II del 999 introdusse le nove cifre indo - arabiche ma si fermò
davanti allo zero perché lo zero - vuoto - nulla faceva paura).
I greci non conoscevano il concetto di zero.
ZERO: everything is nothing (ogni cosa è nulla, tutto è niente).
Lo zero è chiamato anche ananta (l'infinito). Lo zero si chiama anche sunya-kha
(vuoto-spazio ), sunya-chakra (vuoto-circonferenza), sunya-bindu (vuoto-punto) e
sunya-samkhya (vuoto-numero). Il bindu era per gli Indù il punto originario dotato di
energia creatrice e capace di generare il tutto, punto archetipo e simbolo dell'universo
nella sua forma non manifesta anteriore alla sua trasformazione in mondo delle
apparenze.

-ZUANG ZI *** -Chuang-Tzu -Zhuangzi 

La filosofia di Zhuangzi (che visse nel IV secolo prima di Cristo) è basata sia sul wei
wu wei (agire senza agire - fare senza fare) e sia sul concetto della limitatezza della
vita in confronto all'infinitezza della conoscenza: chi distingue, distingue ciò che
non può distinguere. Usare il limitato per raggiungere l'illimitato, egli
affermava, era impossibile. Il nostro linguaggio, cognizione, percezione, sono una
672
prospettiva personale delle cose, per questo bisogna esitare prima di definire
qualche conclusione come universalmente vera e valida. Il pensiero di Zhuangzi
può essere considerato anche precursore del prospettivismo. Il suo pluralismo lo ha
portato anche a dubitare delle basi degli argomenti pragmatici sino a mettere in
discussione i presupposti che la vita sia positiva e la morte negativa.
La grande sapienza tutto abbraccia, la piccola sapienza distingue; le grandi
parole compongono i contrasti, le piccole parole discutono di futilità.
Nessuna identità può costituirsi se non attraverso un originario e continuo
confronto (relazione) con la diversità.
Il Tao abbraccia e sostiene tutti gli esseri. Infinita è la sua grandezza! Il saggio
deve fare il vuoto nel proprio spirito per comprenderlo; praticare il non agire,
ecco il cielo; esprimere il non dicibile, ecco la virtù. Amare gli uomini ed essere
benevolo verso gli esseri, ecco la bontà. Considerare come identiche le
differenze, ecco la grandezza. Abbracciare la varietà delle differenze, ecco la
ricchezza.
Invero ogni essere è altro da sé ed ogni essere è se stesso. Questa verità non la si
vede a partire dall'altro, ma si comprendo partendo da se stessi. Così è stato detto:
l'altro proviene dal se stesso, ma se stesso dipende anche dall'altro. Si sostiene la
teoria della vita, ma in realtà la vita è anche la morte e la morte è anche la vita. Il
possibile è anche l'impossibile, e l'impossibile è anche il possibile. Adottare
l'affermazione è adottare la negazione; fare propria la negazione equivale a far
propria l'affermazione.
Ci pare importante rilevare l'aderenza di queste affermazioni alla dialettica platonica
di identico e diverso. (cfr. Sofista 259a-b)

Zhuangzi sognò di essere una farfalla che volava leggera e spensierata. Dopo
essersi svegliato era confuso, si domandò come potesse determinare se era veramente
Zhuangzi quando aveva appena finito di sognare di essere una farfalla o una farfalla
che aveva appena iniziato a sognare di essere Zhuangzi. Ciò suggerisce molte
domande sulla filosofia della mente, del linguaggio e sulla gnoseologia. Zhuangzi,
mentre sognava, per la proprietà della condensazione, si vedeva farfalla, ma allo
stesso tempo era anche essere umano. L'episodio ci fa pensare che esiste una
dimensione dove gli opposti sembrano non esserci, dove i contorni non sono nitidi e
un'altra dove bisogna dare i nomi alle cose affinché non ci si senta perduti. Il
primo piano è quello del sogno e il secondo è quello della veglia. Il fatto che esista un
piano di non distinzione, riesce a risolvere problemi come quello della paura della
morte.

Per l'uomo sommo non esiste l'io, per l'uomo santo non esiste il merito, per
l'uomo saggio i nomi sono solo vuoti nomi.

673
C'è il principio e c'è quello che c'era prima del principio e c'è quello che c'era prima
di prima del principio … non so se ciò che ho detto abbia o non abbia significato.
Nel sonno lo spirito mescola, nella veglia la forma separa.
Tu sai ciò che non sai?
Oggi vado a Yueh e arrivo ieri.
Chi ha intelligenza penetrante si rimette a ciò che è invariabile (n.d.r. vedi anche
la voce invariante della fisica quantistica).
L'io è anche l'altro e l'altro è anche l'io. Allora esistono realmente e distintamente
l'io e l'altro?
Zhuangzi dichiara esplicitamente l'impossibilità di sapere se l'origine del mondo
e della vita sia costituita dall'Essere o dal Non-Essere; con parole che fanno
ricordare il Kant della Dialettica della ragion pura, Zhuangzi afferma: «La tesi che vi
sia un autore del mondo e la tesi contraria non sono che parole la cui portata si limita
all'ambito degli esseri. Ciò vuol dire: l'idea di Causa Prima - sia questa causa
identificata con l'Essere o con il Nulla - vale solo nell'ambito dell'esperienza
empirica. L'unica posizione razionale ed equilibrata in tale questione è per i
taoisti quella che, in termini filosofici occidentali, è denominata agnostica: «Di
tutto ciò che è al di là dell'universo, il Santo ammette l'esistenza, ma non ne tratta.
Tutto ciò che è all'interno dell'universo, il Santo ne tratta ma non lo commenta».

All'origine dei mali dell'uomo risiederebbe il fatto che ciascuno scelga una
posizione e rifiuti di vedere il contrario, essendo invece la realtà solo
un'alternanza di contrari. Superare ogni personalismo ed utilizzare l'empatia per
mettersi nei panni degli altri sarebbe dunque la sola salvezza dell'uomo illuminato.

Un amico va a visitare Zhuangzi per porgergli il cordoglio per la morte di sua moglie.
Quando arriva dentro la casa di Zhuangzi, lo trova sul pavimento intento a suonare un
tamburo e cantare. L'amico, fervente confuciano, rimane scandalizzato perché non
rispetta il rito del lutto e chiede a Zhuangzi perché si stia comportando così. Risponde
che anche lui aveva avuto un periodo di lutto in cui era stato distrutto dal pianto, ma
poi aveva compreso una cosa: c'era stato un periodo in cui la moglie non era nata ed
era sotto forma di Qi (soffio vitale in circolo nell'universo cioè pura energia), poi
ha preso forma, ha vissuto la sua vita come moglie di Zhuangzi, è morta ed è
ridiventata pura energia. Zhuangzi quindi ha smesso di piangere, ha capito che non
è una perdita definitiva, non perché abbia fatto un ragionamento logico o razionale,
ma perché non ha sublimato le sue emozioni, è arrivato al culmine dell'angoscia ed
esso ha generato il suo contrario: la calma, l'accettazione.
Il saggio accompagna il sole e la luna, si infila l'universo sotto il braccio, si fonde con
le cose, abbandona la confusione e l'oscurità, e guarda gli schiavi come nobili. Gli
uomini ordinari si affannano e lottano, il saggio è stupido e semplice. Partecipa a
674
diecimila età e raggiunge la semplicità nell'unità. Per lui, tutti i diecimila esseri sono
quello che sono, e perciò si avvolgono l'un l'altro.

-COACERVO DI PENSIERI**
Com'era bello all'inizio! Non c'era nessuno e non c'era neppure l'inizio …
E' stato interessante vivere la consapevolezza. Non è pero detto che l'assenza di
coscienza sia da temere.
Una esperienza mistica è sempre una diretta intuizione della realtà ultima.
La mente umana non percepisce quello che è la, ma quello che crede che sia la.
Imparare ad accettare ciò che si presenta è l'unica via per la tranquillità. (Blofeld)
Come la pioggia nel mare, io mi dissolvo dentro di me. (Pessoa)
La nostra ombra è un'illusione (secondaria) perché non ha esistenza propria e
indipendente. Ma anche il corpo è un'illusione (primaria) perché anche lui non ha
esistenza propria e indipendente.
In casa c'è una carta geografica del mondo nella quale la Groenlandia è raffigurata
più grande dell'Australia. In realtà la seconda ha una superficie di circa sette volte
maggiore rispetto alla prima. Errore? No! Semplice distorsione prospettica
considerato che tutto ciò che è sopra l'equatore è raffigurato come molto più grande
rispetto a ciò che sta sotto. Perché mai avviene ciò? Forse perché chi disegnava le
carte del mondo abitava nell'emisfero boreale e non in quello australe? Anche la
geografia cambia a seconda degli interessi e delle prospettive.
Le due fisiche: quella meccanicistica di Cartesio non accettava il vuoto mentre quella
di Newton aveva bisogno del vuoto dell'attrazione reciproca fra corpi. Fisica terrestre
e fisica celeste con regole diverse: nel mondo celeste esisteva solo il moto circolare
che è il movimento perfetto. Newton unificò le due fisiche.
Ciò che sopportiamo meno negli altri sono i nostri difetti.
Tu non guardi il cielo, tu sei il cielo. (Wilber)
Il nostro essere qui è l'essere eterno. Molti immaginano che il qui abbia un'esistenza
propria, mentre il divino è la. E' un'illusione popolare. (Meister Eckhart)
Il fato può essere il prodotto del nostro io più profondo, o delle nostre volontà, ossia
noi realmente produciamo ciò che sembra capitarci. (Mann)
Per trovare se stesso l'essere umano deve incontrare due occhi in cui vedersi e
specchiarsi.
675
Liberati dalla logica, dall’ego e dal nulla e percorri la tua strada che poi tua non è!
"Non lo so" … per molti significa sofferenza. Per pochi significa libertà.
Il nostro (occidentale) ESSERE corrisponde al loro (orientale) VUOTO.
L'attività inquisitoria giudica in base a un principio indiscutibile che, però, non esiste.
Si vede ciò che si sa.
La notte fra il 12 e il 13 dicembre arriva Santa Lucia... che nella nostra zona
sostituisce, da sempre, Babbo Natale e la Befana. Riaffiora alla mente un ricordo di
quando ero un bambino puro come l'acqua! Chiedevo: "Perché Santa Lucia porta
regali belli a chi ha una bella casa e regali meno belli a che ha una brutta casa?
"Ricordo tre tipi di risposte: "E' giusto così!"; "Santa Lucia è la mamma"; "… tu
bambino diventerai un pericoloso comunista". All'epoca non capii queste frasi...però
compresi che i "GRANDI" non sempre sanno farsi capire....
Il padre non è più il simbolo della saggezza visto che i figli sono molto più
tecnologici di lui …
L'indiscussa verità delle sacre scritture? Apologia teologica.
Fichte: non è il sapere ma la saggezza che conta. Resta solo da definire cos'è la
saggezza.
A volte l'improbabile si realizza diventando più reale del probabile.
E se l'imprevedibile vincesse e l'ovvio perdesse? (Sun Tzu)
…. la neve non può cadere al di fuori della mente...
IO NON DIVIDO NIENTE CON NESSUNO, NEMENO LE BRICIOLE dice un tale
che si ritiene intelligente …
"I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”. Parola di Umberto Eco:
"È l'invasione degli imbecilli". Conferma Odifreddi: "Il 90% degli italiani è stupido!"
Assaporare lo stato di vuoto-pieno.
Non perdere mai di vista la tua vera identità cioè il vuoto, questa è la meditazione.
Anche le idee più belle diventano logore e malconce quando cominciano a circolare.
La vita è un equilibrio sopra la pazzia.
Non permettere a nessuna idea di controllare la tua mente.
Non c'è identità senza differenza: l'identità è intrinsecamente relazionale.
Liberiamoci dalla dittatura delle etichette.
676
Contengo in me una bestia, un angelo e un pazzo.
Le convenzioni restano valide finché reiterate.
Ho più domande che risposte e di questo sono molto felice.
Sono stanco di inseguirmi senza trovarmi mai, forse ho capito: non sono una cosa
seria!
Credere obbedire combattere - Dio Patria Famiglia … ma dai!
Sono una parte di tutto ciò che ho incontrato nella mia vita.
Esistono più strade per giungere alla stessa meta. E se esistessero anche più mete?
La mia più grande emozione è quella di poter incontrare persone aperte, intelligenti,
libere, sorridenti, incredibili! Persone che possano squarciare il mio piccolo io....
Grazie!
Parlo spesso con me stesso.... Sono in compagnia di matti, ubriachi, primitivi e
bambini... Che spettacolo!
Noi siamo il subconscio del mondo... che sa comunicare con la propria antica
essenza...parliamo con le origini...FORSE!
La vera ANIMA di una persona è, forse, ciò a cui lei si dedica con più interesse.
L'intelligenza e l'empatia sono equamente divise fra conservatori e progressisti?
Ipotesi, dovunque solo ipotesi!
Cosa sia la vita è un enigma irrisolvibile.
Non ho ancora capito bene cosa il mondo vuole da me e cosa io voglio dal mondo....
Ampliamento dell'io o depotenziamento dell'io?
Nella vita si deve fare una scelta: o si opta per la serenità o si lotta per avere ragione!
Che cos'è che rende la vita degna di essere vissuta? La vita stessa!
La sensazione di gioia è regolarmente collegata ad una intensificazione della vivacità
di coscienza. Così essa potenzia l'attività. Ma contemporaneamente ne vengono
rafforzati i sentimenti simpatetici. (Dilthey)
Un Sé esiste solo la dove viene distinto da un mondo esterno e il mondo esterno
esiste solo in quanto separato dal Sé... se togliamo l'uno dobbiamo togliere anche
l'altro...e cosa resta?
L'uomo è un mistero che sa pensare al Grande Mistero....
677
L'io, Dio e il mondo sono solo convezioni sociali: solo il mistero e il dubbio sono
reali...eppure mi nasce un sorriso nel profondo!
Il comprendere è il ritrovare l'io nel tu...
La coscienza è finita e corruttibile come tutte le cose.
La vita umana è un gioco e un giogo allo stesso tempo...
Non sono ateo...non ho neppure una fede...sto cercando solo cercando, serenamente,
ciò che è impossibile trovare...
Gli uomini non sono solo conoscenza ma anche volontà e sentimento...
Molti non sanno di non sapere...troppi! L'ignoto di coloro che sanno diventa il noto di
coloro che non sanno....
Il caso è uno dei fondamentali della quantistica...che Einstein ha sempre avversato:
Dio non gioca a dadi...e invece ci gioca e, forse, si diverte pure.
Sono sereno e anzi, a volte, in preda a una dionisiaca allegrezza.
Una casa senza libri è una casa senza pensiero indipendente.
Dio buono...mi sei sfuggito per un pelo....ti avevo quasi preso...mi avevi quasi
preso...TI SONO SFUGGITO PER UN PELO!
Bisogna, forse, abbandonare tutto: il corpo, l'ego e la mente! ...e non cercare più la
verità!
Entri ed esci dalla mia vita come un uragano, un ladro, un malfattore! A volte però mi
doni momenti di estasi, di entusiasmo, di pace... Chi sei veramente?
Io sono sempre in guerra con me stesso. (Derrida) Domanda: Ma come fai se non
esisti?
L'immaginazione è una facoltà quasi divina che percepisce tutto a priori. (Baudelaire)
L'uomo dovrebbe insegnare a dio ad essere più buono e mi spiego; se io fossi stato
LUI (se lui esiste...) avrei toccato il cuore di Hitler evitando milioni di morti...Dio
invece...nulla! per questo mi chiedo, dobbiamo, forse, noi miseri uomini, insegnare
qualcosa a lui, l'onnisciente?
Non tutte le domande necessitano di una risposta.
"Prendendoci tutti meno sul serio sapendo che siamo solo attori di un copione da
decifrare". (Rossini)
Lo specchio accoglie l'immagine di chiunque si presenti pur restando sempre se
stesso. 678
Ho sognato che dio e il diavolo giocavano a carte insieme nelle cantine della mente.
Erano amici e ridevano di noi uomini che litighiamo sempre!
Fare del suo soffio un verbo, di quel verbo un altro inizio, un’altra unica creazione.
(Mujica)
Non tutto è come appare.....non tutto appare com'è....
La vera sfida è vivere all'inferno e rimanere un angelo.
La continua ricerca di equilibrio fra il lampo dell'intuizione (noesi) e il rigore della
dimostrazione (dianoia) ...senza mai giungere alla verità...
Gran parte dell'umanità è priva di umanità.
Il nulla quantistico può essere un campo di potenzialità sino ad ora inespresse nel
senso che la nostra mente non le ha ancora portate all'essere?
Il vero e il falso sono la malattia della mente.
Chi non è con me è contro di me....???? Ma dai Gesù … cosa dici mai …
Quattro sono le modalità dell'esegesi: letterale, allegorica, morale e mistica. Chi
oltrepassa i quattro livelli arriva in paradiso.... ???
Sto bene dove sto e non sto mal dove non sto. Siamo approdati "da nessuna parte" e
qui, "stiamo benissimo".
Conscio e inconscio, intelletto e passione, razionale e irrazionale non sono poi così
diversi...come molti credono.
L'uomo stesso (Atman), tramite il suo TAPAS (ascesi), è la fonte dell'energia che
sostiene l'universo (Brahman)...così dicono i Veda.
L'arte è un grido inarticolato che sembra la voce della luce. (Hermes Trimegisto)
...tanto più si tocca l'infinito e l'indicibile, tanto meno se ne può parlare...
I fremiti di una intelligenza pura sono voci silenti con cui si canta nascostamente al
Nascosto. (Isacco il Siro)
Se riuscirai a liberarti della logica, dell'ego e del nulla...forse allora potrai aspirare a
incontrare il mistico TUTTO.
Le foglie non nascono dagli alberi, né gli alberi dalla terra, più di quanto essi non
nascono da noi! (detto Zen)
L'unica regola fissa sembra essere l'assenza di una regola fissa, benché si rischi
l'antinomia nel dirlo. (Zamboni)
679
L'anima del tutto vive in ciascuno. (Pitagora)
"Il corpo dell'uomo vuole cibo,
la mente assiomi,
l'anima estasi"
(Zolla)
“Quod principi placuit, legis habet vigorem” Il principio “ciò che piace al principe ha
vigore di legge” a cui si richiamavano gli assolutisti.
Sono nel cuore di ogni essere e da me viene il ricordo, la sapienza e l’oblio. Il fine di
tutti i Veda è quello di conoscermi; in verità sono Io che ho composto il Vedanta e Io
sono Colui che conosce i Veda. (Bhagavad-gita)
Ogni progresso è dovuto agli scontenti. Le persone contente non desiderano alcun
cambiamento.
Non ci si libera da una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola. (Pavese)
La risata è il fenomeno più sacro che esista sulla terra, perché esso è la vetta più alta
della consapevolezza. La vita intera è una grande barzelletta cosmica. (Osho)
Lasciar essere l'indefinito, l'indistinto del bianco o del silenzio... (Fèdida)
L'essere vivente è un luogo di passaggio.
Le immagini si formano, si trasformano e non si fermano. (Fèdida)
La nudità è la libertà dei puri...gli altri sono vestiti..di ipocrisia.
Come diceva Ortega y Gasset, nessuno, se totalmente assorbito in un’occupazione,
può sentirsi infelice.
Non l'uomo ma gli uomini abitano la terra: una pluralità di esseri unici. (Arendt)
Il fiume della vita collega tanti ponti!
La felicità è saper giocare il gioco della vita con sereno distacco ridendo di tutto e di
tutti in attesa del NULLA-TUTTO da cui la vita ha avuto inizio.
Stavo appendendo stelle in cielo... quando ti ho visto e mi sono appeso a te...
Niente dura, è vero, e conta solo l'attimo, ma l'attimo riserva il suo splendore a chi lo
immagina eterno. Vale solo l'effimero che sembra immortale. (N. Goméz Dávila)
Ignoti nulla cupido. (Ovidio)
Per trovare CHI sei trova prima che cosa non sei.
680
Per lasciar andare qualcosa devi prima sapere cos’è.
Chi sperimenta fa parte dell’esperienza.
Tutto ciò che pensi di essere non lo sei.
Causa- effetto, materia ed io... sono solo abitudini! (Hume)
Il dubbio non è una limitazione ma una libertà: vi insegnerò a dubitare! (Pietro
Pomponazzi da Mantova)
La conoscenza non ha per oggetto le cose ma le idee. (Locke)
Non possiamo dire ciò che non possiamo pensare. (Wittgenstein)
E' il ponte che scorre... non l'acqua! (detto zen)
Lo spirito non è nell'io, ma TRA L'IO E IL TU. Non è come il sangue, che circola
dentro di te, ma come l'aria in cui respiri. (Buber)
Non vediamo le cose come sono, le vediamo come siamo...
L'ansia è la rabbia che hai trattenuto.
Vorrei poter pensare quel che pensare non si può.
L'essere vivente è soprattutto un luogo di passaggio. (Bergson)
Inspiriamo esteriorità ed espiriamo interiorità... il confine però non esiste.
In questi anni siamo corsi così avanti che ora dobbiamo sostare per lasciare che le
nostre anime ci raggiungano (Ende)
… ciao ragazzo! ti auguro buona vita e spero di averti fatto intravedere cosa è lo zen:
assenza di schemi, di maestri, di saggi, di concetti giusti, di certezze... sii libero, se
puoi, da tutti e da tutto!
Il problema dell'umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti
sono pieni di dubbi..!! (Russell)
In Joice il centro del libro è ovunque: l'ultima parola dell'"Ulisse" è "il" che è
l'articolo della prima parola...
FARFALLE: Le parole sono volate via....
Sono stanco, non so nulla e non vorrei che posare il viso nel tuo grembo, sentire la
tua mano sul mio capo e rimanere così per tutte le eternità. (Kafka)
Fuori da una poesia, la vita non ha senso!

681
Non dirmi più nulla... tanto io non capirei... tanto tu non capiresti... Lasciamo che il
silenzio, solo il silenzio ci unisca.
Due sguardi si sono incrociati: è nata una magia....
L'immortalità è puro desiderio. Il libero arbitrio è un sogno. Cosa ci resta? Giocare
con la vita!
Quanti sileni alla rovescia ho incontrato... sono stupito.
Gli altri non sono quello che tu pensi ... sono solo un'altro io di cui però tu non hai il
controllo...
Non c'è nulla di speciale in ciò che faccio ogni giorno: mi limito a tenermi in
armonia.
Vi è gente che trascorre tutta la vita aggrappata a nomi e concetti... sogna solo di
capire... e non riesce ad arrendersi.
Non meravigliarti del meraviglioso... e lui si meraviglierà di te!
Una buona frase è un palo al quale un asino può restare legato per migliaia di
anni.
Chi vuole cambiarti non è te che vuole.
La luce non è diversa ma illumina in modo diverso le varie cose.
La natura della pioggia è sempre la stessa, ma fa crescere rovi nelle paludi e fiori nei
giardini. (proverbio Arabo)
Io non voglio cambiare le regole. Io voglio cambiare il gioco! (Breton)
Non credere mai a tutto quello che ti racconti. (Jung)
Sono stanco di certezze, sono stanco di volere e di desiderare, sono stanco di
discutere e offendere, sono stanco di essere un io.... Vorrei solo amare e dubitare!
Giocate il vostro gioco, se ne siete capaci mentre il caos scorre lento e affascinante …
Noi uomini saremmo capaci anche di annoiarci della vita eterna... per fortuna però
non corriamo questo rischio...
Sarebbe bello provare una tua emozione... non solo capirla... non il mio io che cerca
di comprendere, no! ma il mio io che diventa te e vive la tua emozione come la vivi
tu! che meraviglia!
Il soggetto può essere oggetto del suo stesso pensiero?
Una volta nel gregge è inutile che abbai: scodinzola!
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Rincorro da sempre un io e un dio... entrambi però si negano...
Se l'io non esiste in quanto pura finzione scenica... se dio non esiste in quanto pura
speranza dell'io scenico... ...cosa ci resta? l'empatia!
Rifiutate tutto ciò che si può rifiutare, compreso questo suggerimento. Che cosa
resta?
L'autentica libertà consiste nel rispondere al proprio destino...
Ognuno vive le proprie certezze e rifugge i propri dubbi... forse sarebbe bello
ispirarsi al contrario.
Noi cerchiamo ciò che è perenne... ciò che non ha bisogno del pensiero per poter
essere.
I rari momenti in cui cogliamo la vita così come essa è...
Non avevo mai provato l'eternità di un attimo....
Mi sono perso per strada... felicemente perso... spero di non ritrovare più la strada....
"Lavora, diventa ricco, divertiti... e non farti domande!" Questo è il motto attuale.
Che dialogo è quello in cui ciascuno considera se stesso assoluto e legittimo e l'altro
relativo e discutibile? Si fa esistere l'altro solo come propria esperienza.
La vita è un po’ come il jazz: viene meglio quando si improvvisa. (Gershwin)
Certo che sono felice qui! E' meraviglioso! Specialmente perché non ho alternative...
Voglio conoscere quello che non sono. Quello che di me si palesa solo nei sogni. Non
voglio essere io.
La teoria della Gestalt (forma) suppone che le cose vengano percepite come totalità e
non come somme di parti (coniglio-anatra).
"V'è davvero dell'ineffabile. Esso mostra sé, è il mistico" (Wittgenstein) I limiti di ciò
che può essere detto con significato non coincidono con ciò che può essere pensato...
Le leggi sono solo imposizioni che i potenti sono sempre dispensati dal rispettare...
ma che gli altri devono rispettare... per farla breve... un potente può fare ciò che
vuole!
Veleggiamo a vista, nei cieli infiniti dell'essere... e del non essere!
La mia piccola mente è così aperta che, a volte, entrano anche spifferi dal nulla...E
allora sono grandi battaglie fra "essere e non essere"!
Non so nulla con certezza, ma la vista delle stelle mi fa sognare. (Van Gogh)
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Fuso nel Tutto ma non confuso nel Tutto? Dualismo!
Benedetto l'uomo sulla cui tomba si possa scrivere: "Hic iacet nemo".
Pellegrino, pellegrinaggio e strada o via, altro non sono che il mio IO in cammino
verso Me stesso.
Non mi avvicino a te per convertirti alle mie idee ma per cercare di capire le tue.
Per Nicola Cusano le mura del Paradiso nel quale dimora Dio sono fatte di opposti.
Molti santi danno l'impressione di mentire.... I peccatori mai!
Tutti i viventi dovrebbero provare, almeno per qualche attimo, la gioia di vivere!
La bellezza salverà il mondo? Da che cosa lo salverà?
Il caso e la necessità sono partoriti dalla mente di Democrito, il filosofo che ride.
Dubito, sorrido e amo .... è il massimo che posso fare!
Il più solido piacere di questa vita, è il piacere vano delle illusioni. (Leopardi)
Nulla è separato, tutto è onnipresente.
Tutto è colmo, egualmente e allo stesso tempo, di luce e di notte senza luce.
Anche quando senti che il nulla può turbarti, sei ancora nell’illusione.
Rendere simile il pensato e il pensante.
Sono dentro la vita pur essendone già fuori... serena nostalgia del presente.
In mezzo al silenzio fu parlata la parola segreta.
Può una freccia arrivare al bersaglio prima di partire? Certo che si!
Voltaire detestava Pascal! Infatti quel gran genio di Pascal smentiva l'equazione fra
ignoranza e fede, fra cristianesimo e cretinismo.
Ciò che mi pare incomprensibile... dovrà per forza essere assurdo?
La vita mi ha confidato il suo segreto: "io sono il continuo e necessario superamento
di me stessa".
Un mal di stomaco cala un'ombra su tutte le cose. (Heidegger)
L'infinito è interiore ad ognuna delle sue parti?
E se il gioco e non il logos fosse la struttura portante dell'essere e della vita?
Il piacere di essere gregge è più antico del piacere di essere io.
684
Non esiste un soggetto che ha emozioni, esiste la vita che scorre.
L'istante è eternità visto che ritorna infinite volte.
Il mare dorme e sogna... senza divenire.... senza molteplice.
Se potessimo vederci con gli occhi degli altri, scompariremmo all'istante! (Cioran)
E' da se stessi che bisogna imparare a distaccarsi.
Il logos occidentale deve imparare a essere più femminile e meno aggressivo.
Ti prego, ascolta ciò che non so dire.
Gli altri non hanno di me la stessa immagine che io ho di me.
Ciò che percepiamo non è ciò che esiste ma è solo ciò che percepiamo.
L'uniformità procura nausea a tutti i sensi e in tutti i sensi: bisogna aspirare alla
diversità come fa la natura ove ogni foglia è diversa da tutte le altre e ogni oliva e
diversa da tutte le altre. (Giordano Bruno)
Essere originali, vuol dire tornare alle origini... prima che....
Fra la Religione/Teologia e la Scienza esiste quella terra di nessuno chiamata
Filosofia.

Nel mondo la mescolanza di necessità (anankè) e di finalità (telos) è opinione


comune dei greci (Platone compreso).
Non c'è qualcuno che si gode la beatitudine perché non c'è separazione.
La descrizione non è ciò che è descritto.
Ogni cosa è della natura di nessuna cosa.
Si può amare senza conoscere? Si può conoscere senza amare?
Il momento in cui non c'è nessuno che sperimenta qualche cosa …
Bisogna cercare di essere tranquilli anche nell'agitazione: l'agitazione non deve essere
repressa ma vissuta tranquillamente.
Chi lo ha messo l'ago ( o l'ego?) nel pagliaio?
Qualunque cosa cerchiamo … saremo sempre delusi.
Rifiuta tutto e poi getta via anche il rifiuto.
Esiste un'opinione comune per cui è meglio esistere che non esistere. Chi sa
perché ..
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Com’è meraviglioso che nell’oceano illimitato del mio Sé le onde degli esseri viventi
sorgono, interagiscono, entrano in collisione, giocano e scompaiono secondo la loro
natura.
Alcuni pensano che esiste qualcosa, altri che nulla esiste. Raro è colui che non pensa
a nessuna di queste faccende ed è quindi libero da distrazioni.
Se mi etichetti, mi annulli.

Lasciate che (io) sia quello che (forse) sono, così, semplicemente... senza ragione ma
con una dolce empatia per tutti voi...

Può morire chi non è mai nato?


Come descrivere l'indescrivibile?
Dov'eri prima che tuo padre e tua madre nascessero?
Rimettiamo in questione la validità dei nostri adorati simboli e di tutta la mappa da
essi costituita.
Nessuno è separato da nulla: tu non guardi il cielo, tu sei il cielo.
Tutti discutono ed emettono categorie dei contrari. Vorrei ascoltare un discorso che
non entri in nessuna categoria.
La risposta al tuo problema è di vedere chi lo ha.
Abituiamoci ad ascoltare le cose che non si possono sentire.
In realtà nulla accade: le immagini vanno e vengono … scorgi la luce e dimentica
l'immagine!
Gli ignoranti evitano i fenomeni ma non il pensiero. I saggi evitano il pensiero ma
non i fenomeni.
Chi cerca e la cosa cercata sono la stessa cosa.
Invano costringiamo l'essere vivente in questo o in quello schema: tutti gli schemi
saltano. (Bergson)
Un fiore cade anche se lo amiamo. Una erbaccia cresce anche se non la amiamo …
L'atto perfetto non ha risultato. Perché no? Perché non c'è l'attore!
Il giorno e la notte si susseguono in noi, così come le stagioni. Nessuno li comanda,
semplicemente accadono.
Il vero e libero pensatore forse è agnostico e non ateo.
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Noi non siamo mai gli stessi (Chuang Tzu)

Trovare gioia nel vivere il caos fino in fondo …

Il ciarpame della finitezza. (Kierkegaard).

Non c'è senso: è semplicemente così … è tutto qui, non ci sono significati
reconditi.

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