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Evidenza di cambiamenti climatici sul Nord Italia. Parte 1: Analisi


delle temperature e delle precipitazioni

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5 authors, including:

Carlo Cacciamani R. Tomozeiu


Arpa Emilia-Romagna Arpae-Simc, Emilia-Romagna
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Quaderno Tecnico ARPA-SMR
n° 04/2001

Evidenza di cambiamenti
climatici sul Nord Italia.
Parte 1:
Analisi delle temperature
e delle precipitazioni

Carlo Cacciamani
Marco Lazzeri
Andrea Selvini
Rodica Tomozeiu
Ambra Zuccherelli
Nota Interna ARPA-SMR - Febbraio 2001 - Autori: C. Cacciamani, M. Lazzeri, A. Selvini, R. Tomozeiu,
A. Zuccherelli

EVIDENZA DI CAMBIAMENTI CLIMATICI SUL


NORD ITALIA.
PARTE 1: ANALISI DELLE TEMPERATURE E
DELLE PRECIPITAZIONI.

RIASSUNTO

In questo report si descrivono le caratteristiche climatologiche del campo termico e


pluviometrico dell’area del Nord Italia, all’interno della quale opera il Servizio
Meteorologico Regionale dell’ARPA dell’Emilia Romagna. Il lavoro è particolarmente
mirato alla individuazione di trend e della variabilità di tali parametri, al fine di
evidenziare analogie e differenze con quanto si osserva alle scale maggiori europea e
globale. Analogamente a quanto avviene per l’intera Europa meridionale, anche
sull’area limitata del Nord Italia le temperature tendono generalmente ad aumentare e le
precipitazioni a diminuire, denotando però degli interessanti aspetti di variabilità
spaziale e stagionale, probabilmente associati alla elevata complessità morfologica del
territorio.
1. INTRODUZIONE.

Il concetto comune di clima è legato alla constatazione empirica del riprodursi, in una
data area geografica, di un comportamento analogo o, per meglio dire, ricorrente del
tempo meteorologico, a cadenza annuale oppure stagionale. Questa affermazione porta a
costituire un quadro del clima del pianeta che può essere definito a ``mosaico'', in cui le
tessere sono costituite dai diversi climi locali.

E’ ormai divenuto evidente che il clima del nostro pianeta sta cambiando con una
velocità che sembra crescere di anno in anno. L’aumento sempre costante dei principali
“forcings” del sistema atmosfera-oceano, essenzialmente le emissioni dei gas clima-
alteranti (o gas serra) sembra essere il principale candidato di questo cambiamento
(IPCC, 2001).

Dall’analisi del terzo report del WG1 dell’IPCC (IPCC, 2001, consultabile anche sul
sito WEB: http://www.ipcc.ch) emergono le seguenti conclusioni:

alla scala globale la temperatura media dell’aria è cresciuta di circa 1 grado dal 1860
ad oggi, e il riscaldamento del 20° secolo è probabilmente il più alto degli ultimi 10
secoli. Gli anni ‘90 e il 1998 sono stati rispettivamente il decennio e l’anno più
caldi. L’incremento medio globale della temperatura dell’aria dal 1990 al 2100 è
stimato da circa 1.5 a 6 °C, questo sarebbe un evento che non ha precedenti negli
ultimi diecimila anni.

fonte: East Anglia University –Climate Research Unit, Norwich U.K.

Le precipitazioni sono aumentate tra lo 0.5 e l’1% (per ogni periodo di 10 anni)
durante il ventesimo secolo soprattutto alle medie ed alte latitudini dei continenti

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dell’Emisfero Nord, ed è altrettanto evidente un aumento delle piogge nelle aree
tropicali. Al contrario, nelle zone sub-tropicali (10°N-30°N), le precipitazioni
sembrano essere drasticamente diminuite (-0.3% per decade). Un’analisi dettagliata
della variabilità delle precipitazioni nell’Emisfero Nord (Dai et al., 1997), durante il
periodo 1900-1988, ha evidenziato una tendenza negativa, a livello annuale e
stagionale, a partire dal 1970 per tutte le latitudini a Sud di 60°N. L’intensità dei
fenomeni è divenuta più intensa soprattutto alle medie ed alte latitudini (aumento
dal 2 al 4% della frequenza di piogge intense).

Il livello medio dei mari è cresciuto fra 10 e 20 centimetri nel corso del 20° secolo,
probabilmente a causa dell’espansione termica delle acque dei mari e dello
scioglimento dei ghiacci. Questo evento non ha precedenti negli ultimi tremila anni.

Passando dalla scala globale all’analisi di quanto sta accadendo sul continente europeo,
emergono i seguenti punti salienti:

Pur con differenze anche talvolta elevate, la maggior parte delle aree europee ha
mostrato degli aumenti di temperatura sino a 0.8 °C in media su questo secolo
(Schoenwiese et al., 1990; IPCC 1996, WG1, Cap. 3). Tale tendenza non è stata
omogenea su tutto il periodo ma, al contrario, sembra essersi verificato un netto
aumento sino al 1940, poi una flessione sino al 1970 ed infine un nuovo drastico
aumento dagli anni ’70 ad oggi. In particolare, durante la decade 1980-1990, il
riscaldamento è stato molto elevato, con aumenti variabili tra 0.25 e 0.5 °C (in 10
anni!) rispetto alla media di lungo periodo. Queste caratteristiche sono
maggiormente evidenti alle medie ed alte latitudini.

In Europa la precipitazione annua è multo aumentata fin dalla metà del XIX secolo
con valori ben al di sopra della media dopo l’evento di siccità del 1940. Infatti, il
maggior contributo al trend positivo si ha nella stagione invernale ed in parte
primaverile, sebbene in questa stagione l’aumento sia meno marcato. La stagione
estiva mostra invece una lieve tendenza alla diminuzione nell’arco degli ultimi 130
anni (Bradley et al., 1987). Dal punto di vista delle precipitazioni annuali, in questo
secolo si è osservato un generale aumento nel settore settentrionale europeo (dalle
Alpi sino alle regioni scandinave), con aumenti variabili tra il 10% ed il 50%. Anche
in questo caso il contributo maggiore si evidenzia durante la stagione invernale.
Nell’area geografica che si estende dal Mediterraneo attraverso l’Europa centrale
sino alla Russia “europea”, le precipitazioni sono calate abbastanza
considerevolmente (sino al 20%, Piervitali et. al., 1998). A differenza però della
temperatura, dove il segnale di trend è molto netto, per la precipitazione la media su
tutta l’Europa non manifesta invece un trend molto evidente, specialmente a partire
dal 1950. La variabilità inter-annuale sembra essere calata nella seconda parte del
periodo.

I cambiamenti “globali” del campo termico hanno un’enorme influenza sulla struttura e
sull’evoluzione della circolazione atmosferica. A loro volta, le modifiche dei flussi di
circolazione generale (ad esempio una diversa struttura della North Atlantic Oscillation,
NAO) si riflettono sull’evoluzione dei fenomeni a scala sinottica (3000-4000 Km.), sub-
sinottica (500-2000 Km.), sino alla mesoscala (100-500 Km.). Ad esempio, possibili
cambiamenti “climatici” nella struttura della NAO inducono spostamenti nella

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dislocazione degli assi delle “tracce dei cicloni” (storm tracks) e delle correnti a getto
polare e sub-tropicale, che tracciano le rotte preferenziali delle perturbazioni extra-
tropicali (cicloni ed anticicloni). Questi fenomeni interessano, ad esempio, il bacino del
Mediterraneo caratterizzandone il tempo meteorologico al suolo.

Il clima locale, che è l’ultimo anello di questa catena di complesse interazioni, viene
quindi sostanzialmente modificato. Lo studio di queste modifiche può essere fatto
indagando la variabilità di alcuni indicatori tipici del “weather” quali la temperatura
dell’aria vicino al suolo, la precipitazione (quantità ed intensità), il numero delle
giornate di sole e di cielo nuvoloso o coperto, il numero dei giorni con foschia, nebbia,
neve e così via.

Sicuramente, la conoscenza di questi aspetti del clima locale è quella che più interessa
sia il cittadino comune che gli amministratori pubblici, da quelli operanti in sede
centrale sino a quelli locali. Viste le ricadute sulle attività umane che un clima diverso
dall’attuale potrà avere, è necessario considerare il fattore “clima” come uno dei più
importanti nella catena delle decisioni. Una maggiore conoscenza delle caratteristiche
del clima locale, dei suoi cambiamenti nel recente passato (50-100 anni) e la definizione
di scenari climatici futuri è altrettanto fondamentale.

Il presente lavoro va in questa direzione. Lo scopo che, infatti, ci si propone in questo


primo studio è l’indagine del comportamento di alcuni indicatori del clima (temperatura
e precipitazioni) sull’area del nord Italia.

Dal punto di vista meteoclimatico quest’area è una delle più interessanti zone del
pianeta. La particolare struttura geo-morfologica, caratteristica della regione, è
responsabile della genesi di una vastissima varietà di fenomeni a "mesoscala" che danno
luogo ad anomalie termiche e precipitazioni talvolta anche molto intense. Questi
fenomeni sono spesso generati dall'interazione tra il flusso a scala sinottica e la
complessa orografia (catena alpina, appenninica e delle Alpi dinariche) che caratterizza
tale parte del globo terrestre.

Tra i fenomeni più noti, generati da tali interazioni, vanno ricordate la ciclogenesi sul
golfo ligure (Buzzi e Tibaldi, 1978) e le complesse modificazioni e ritardi che
subiscono le superfici frontali (in genere fronti freddi) dopo il passaggio della catena
alpina da NW a SE. Un altro fenomeno, che avviene su scale spaziali più ridotte, è lo
sviluppo della convezione profonda e dell’attività temporalesca che ne deriva
(soprattutto in estate), con spesso associati fenomeni grandinigeni e, meno
frequentemente, trombe d'aria (Cacciamani et al., 1995). La peculiare posizione della
catena alpina, che si trova in mezzo a tre grandi aree climaticamente differenti (l'Oceano
Atlantico, il Bacino del Mar Mediterraneo ed il continente Europeo), contribuisce
all’insorgere di queste manifestazioni meteorologiche.

Questa relazione è organizzata nel seguente modo:

• Il capitolo 2 illustra l’insieme di dati utilizzato e le metodologie statistiche.

• Il capitolo 3 descrive la variabilità spazio-temporale delle precipitazioni.

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• Il capitolo 4 contiene i risultati dell’analisi delle temperature medie, massime e
minime.

L’analisi del legame statistico esistente tra le configurazioni tipiche del flusso e le
precipitazioni sarà oggetto di uno studio successivo.

2. I DATI E I METODI USATI

I dati utilizzati nel presente studio sono stati estratti dall'archivio di messaggi sinottici
(messaggi SYNOP) ricevuti dall'Ufficio Generale di Meteorologia del Servizio
Meteorologico dell'Aeronautica Militare. Essi sono relativi a precipitazione e
temperatura dell'aria, rilevati in 30 stazioni sinottiche situate nel nord dell’Italia (vedi
figura 3.3) per il periodo 1960-1999. I bollettini SYNOP sono dei messaggi
meteorologici compilati da operatori. Essi riportano, ad ore prestabilite a livello
internazionale (0, 3, 6, 9, 12, 15, 18, e 21 G.M.T.) la misura di diversi parametri quali
temperatura, copertura nuvolosa, visibilità, pressione, precipitazione, tempo presente
etc. I bollettini SYNOP sono stati preventivamente sottoposti ad un’operazione di
controllo della qualità dei dati (Patruno e Selvini, 1985), organizzata in 5 fasi separate:

• Controllo sintattico: questo controllo interviene in fase di trascodifica del report


meteorologico che deve seguire particolari regole sintattiche (stabilite da WMO:
World Meteorological Organisation); l'eventuale non corrispondenza con queste
regole può compromettere l'archiviazione del dato. Se il dato ha particolare interesse
si prevede l'intervento manuale di correzione sul report: questa operazione non
interviene direttamente sul dato, ma ne modifica solo la sintassi correggendo solo la
conformità del messaggio con le regole in precedenza stabilite;

• Controllo climatico: questo controllo, che utilizza alcuni valori limite climatici,
effettua una prima e sommaria selezione dei dati. Esso stabilisce delle soglie limite
climatiche per le diverse variabili da controllare, e può essere effettuato solo su
grandezze che abbiano un andamento stagionale, oppure limiti imposti dal clima o
impliciti nel tipo di misura. La scelta delle soglie deve essere poco selettiva al fine
di non perdere gli eventi estremi atmosferici che, altrimenti, non potrebbero essere
più recuperati;

• Controllo di consistenza interna: in questo test vengono analizzate le variabili


presenti in un singolo messaggio che possono essere messe in relazione reciproca.
Le possibili relazioni esistenti fra parametri differenti, solitamente sincroni, possono
essere determinate da leggi fisiche, da norme di codifica o più semplicemente da
descrizioni di fenomeni consistenti fra loro;

• Controllo temporale: può essere eseguito solo su variabili continue nel tempo come
ad esempio la temperatura; consiste nell'imporre delle condizioni per il
cambiamento nel tempo di una variabile. Nel caso particolare di alcuni parametri è

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possibile verificare la loro variazione temporale attraverso l'utilizzo di una seconda
variabile ad essa correlata;

• Controllo spaziale: questo tipo di controllo può essere eseguito solamente su campi
che presentano andamenti continui nello spazio; consiste nell'imporre condizioni
sulla variabilità spaziale del parametro in esame, queste mutano a seconda della
variabile considerata e della scala dei fenomeni che si vogliono studiare: in pratica
vengono imposti alla variabile dei gradienti spaziali che non possono essere
superati.

Successivamente il lavoro è stato organizzato come segue:

• I dati precedentemente descritti sono stati archiviati per permettere la realizzazione


di analisi climatiche (statistiche).

• Il clima di riferimento è stato calcolato come media temporale dei dati per il periodo
1960-1990 (come stabilito da WMO, Climate Normals, CLINO, nota tecnica 847).
Successivamente è stata analizzata l’anomalia climatica dell’ultimo decennio da
quello di riferimento.

• Infine, sono state individuate eventuali tendenze di variazione climatica, deducibili


dall’analisi dei trend e sono state valutate le loro significatività.

3. LE PRECIPITAZIONI

La precipitazione mensile è ottenuta sommando tutti i dati giornalieri. In caso di 10 o


più giorni mancanti nell'arco del mese si è considerato non valido il dato mensile. Dal
dato mensile si sono ricavati i valori stagionali e quelli annuali, considerando mancanti
gli anni in cui non erano presenti tutti i 12 mesi o una stagione con meno di tre mesi.

Dopo la creazione di tale insieme di dati, è stata svolta una completa analisi statistica,
sia separatamente su ogni singola stazione, che applicata ai valori medi areali, tenendo
conto degli errori casuali e sistematici nella stima della precipitazione in una data area.

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3.1 Media annuale e stagionale

Figura 3.1: Precipitazione cumulata annuale media del periodo 1960-1999 (mm/anno).
La precipitazione media annuale è rappresentata in figura 3.1 ed è stata ottenuta per
interpolazione della media dei valori annuali di ogni stazione nei 40 anni considerati.

Le aree con precipitazioni più consistenti risultano essere quelle montuose (Alpi centro-
occidentali, orientali e Appennino) con valori che vanno dai 1100mm/anno ai
1300mm/anno mentre quelle pianeggianti sono caratterizzate da una piovosità minore
(in particolare il Polesine) con valori intorno ai 600mm/anno.

Dalla figura 3.1 si deduce che la distribuzione della precipitazione alpina è governata
dall'orografia. Essa è responsabile dell'ascesa delle masse d'aria lungo i pendii,
favorendo i fenomeni di condensazione e quindi dell'incremento della precipitazione.

L'influenza dell'orografia sulla quantità di precipitazione è particolarmente evidente


sull'area vicino ai laghi della Pianura Padana occidentale (Lago Maggiore, Como e
Ticino) e in Friuli; un altro massimo è evidente nei pressi dell'Appennino tosco-
emiliano. Quantità di precipitazioni inferiori si riscontrano nella parte di Pianura
Padana. Un'altra zona poco piovosa è il sud del Piemonte, in prossimità dell'Appennino
ligure. Infatti, questa parte di pianura è protetta dai rilievi, inoltre il sollevamento
forzato da parte dell'Appennino ligure delle masse d'aria non determina apprezzabili
precipitazioni a causa della sua modesta elevazione.

Queste conclusioni sono confermate anche dai risultati ottenuti da Frei e Schär (1996)
che hanno svolto un’analoga analisi utilizzando dati di 3600 stazioni, per un periodo che
va dal 1971 al 1995.

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3.2 Il ciclo annuale.

a) b)

c) d)

Figura 3.2: Precipitazione media stagionale (mm).


La climatologia stagionale mostra variazioni spaziali caratteristiche come si può notare
dalla figura 3.2, quadri a, b, c e d.

Sono evidenti differenze sostanziali fra la mappa invernale e quella estiva: l'inverno
(quadro a) (Dicembre, Gennaio e Febbraio) è generalmente più secco rispetto alle altre
tre stagioni, in particolar modo sulla zona alpina, in cui piovono dai 40 ai 120 mm; al
contrario in estate (quadro c) (Giugno, Luglio e Agosto) le Alpi sono caratterizzate dalla
più alta piovosità riscontrata, con valori che oscillano fra i 320 e i 480mm a stagione.

Le strutture medie autunnali (quadro c) e primaverili (quadro b) sono simili, anche se


differiscono per le quantità di precipitazione. L’analisi del ciclo annuale (non mostrato)
evidenzia alcuni mesi di transizione fra una stagione climatica e l'altra: Marzo, per
esempio, è caratterizzato da una debole piovosità sulle Alpi (comunque più elevata
rispetto ai mesi invernali), mantenendo tuttavia le caratteristiche climatiche dei mesi
primaverili. Allo stesso modo Novembre presenta peculiarità sia dei mesi invernali
(diminuisce la quantità di pioggia sulle Alpi), che di quelli autunnali (piovosità elevata
sugli Appennini).

La particolare conformazione della Pianura Padana influenza la distribuzione delle


precipitazioni su tale regione: l'arco alpino rappresenta un ostacolo imponente per le
correnti atmosferiche provenienti da sud che vengono convogliate, attraverso il Mar

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Adriatico, verso il nord dell'Italia. Nel passaggio sul mare le masse d'aria, relativamente
calde, aumentano il loro contenuto di umidità; tali correnti tendono a separarsi, in
genere, in due rami: uno percorre la pianura padana in direzione nord-ovest e l'altro
verso nord-est passa attraverso le Alpi Carniche e Giulie. Il moto ascendente indotto
dall'orografia determina il raffreddamento delle masse d'aria fino alla condensazione del
vapore acqueo in esse contenuto.

Le configurazioni del campo barico, al suolo ed in libera atmosfera, associate a queste


piovose correnti meridionali, particolarmente frequenti in autunno e in primavera, sono
rappresentate da profonde saccature che vanno dall'Oceano Atlantico al Mediterraneo
occidentale. L'intensità massima delle precipitazioni sul Nord Italia avviene quando si
ha un minimo depressionario al suolo, nei pressi del Golfo di Genova o dell'alto-medio
Tirreno. Le precipitazioni in queste situazioni sono particolarmente abbondanti nelle
vicinanze dei versanti meridionali alpini e nella Liguria. Il Golfo di Genova, infatti, è
una delle zone in cui è più frequente la formazione di cicloni. Ciò avviene
principalmente per due motivi: il primo è quello dinamico ed è dato dalla
configurazione dell'arco alpino e dalla posizione sottovento del Mar Ligure rispetto alle
correnti atlantiche, provenienti dal settore nord-occidentale. Un secondo motivo è quello
del contrasto termico tra la massa d'aria proveniente dai settori settentrionali ed il
Mediterraneo; questo è vero soprattutto in autunno, quando a causa dell'inerzia termica
del Mediterraneo vi è una grande differenza di temperatura rispetto alle masse d'aria
fredde provenienti da nord. Quando l'area depressionaria si sposta verso est nell'area
padano-adriatica, l'aria umida convogliata verso ovest e richiamata dalla depressione è
costretta in parte a sollevarsi anche sul versante padano dell'Appennino tosco-emiliano;
le precipitazioni, così, si intensificano su questo settore dell'Appennino e sulle aree
pianeggianti vicine e possono risultare anche piuttosto abbondanti nel caso in cui l'aria,
calda e umida, venisse sollevata dall'aria più fredda affluita sull'alto Adriatico
dall'Europa orientale e richiamata sulla Val Padana dall'area depressionaria (Cacciamani
et al.,1994).

Nel periodo estivo le precipitazioni sulla regione in esame sono dovute in modo
particolare all'occorrenza di temporali che si sviluppano quando l'aria più fredda,
proveniente dal nord Europa, fluisce sopra la massa d'aria calda, umida e stagnante
presente in pianura e potenzialmente instabile (l'aria calda è meno densa di quella
fredda). Tale instabilità verticale favorisce l'insorgere di moti convettivi; questo si
verifica in genere nelle ore più calde della giornata ed è particolarmente frequente in
prossimità dello sbocco delle valli alpine e nel Friuli, in quanto sono più interessate
dagli afflussi di aria fredda (Cacciamani et al.,1995).

Area Stazioni
n.1 Adriatica Venezia, Padova, Treviso, Bologna, Ravenna, Rimini e
Falconara
n.2 Padana Centrale Milano Linate, Brescia, Verona, Vicenza, Bergamo e Piacenza
n.3 Padana Occidentale Torino, Bric Della Croce, Cameri, Malpensa e Monte Bisbino
n.4 Tirrenica Arezzo, Pisa, Genova, Firenze, Passo della Cisa e Monte
Cimone
n.5 Alpina Bolzano, Passo Rolle, Paganella, Dobbiaco, Tarvisio e Trieste
Tabella 1: Aree climatiche e stazioni in esse contenute.

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Dall'analisi soggettiva dell’andamento del ciclo annuale è possibile individuare alcune

aree omogenee di comportamento o aree climatiche: alpina, tirrenica, adriatica, padana


centrale e padana occidentale (figura 3.3 e tabella 1). A conforto di tale criterio di scelta
“soggettivo” è stata anche eseguita una “cluster analysis” di tipo gerarchico (Wilks,
1995) sui dati di precipitazione annuale. Questo procedimento oggettivo ha prodotto la
stessa suddivisione vista nel caso di analisi soggettiva (si veda la figura 3.4 per
l’andamento del ciclo annuale).

Figura 3.3: Visualizzazione delle 5 aree climatiche in cui è stato suddiviso il nord
Italia.
Dall'analisi della figura 3.4 si può notare che il settore alpino (area n.5) è caratterizzato
da un ciclo annuale a campana con il massimo di precipitazione nei mesi estivi (con
valori intorno ai 100mm), quando la pioggia è causata dal sollevamento forzato delle
masse d'aria lungo le pendici delle montagne, che da luogo ai temporali estivi.

Le altre aree sono caratterizzate da un andamento bimodale con massimi in primavera e


in autunno, con valori che vanno dagli 80 ai 100mm. Nel caso dell'area tirrenica (n.4) e
in quella padana centrale (n.2) il massimo di precipitazione si ha in Ottobre (125mm e
105mm rispettivamente), mentre per l'area padana occidentale si ha in Maggio (circa
120mm).

L'area adriatica (n.1) ha un comportamento leggermente diverso delle altre: pur


mantenendo un andamento pressoché bimodale, ha i massimi meno pronunciati ed il
mese più piovoso è Novembre (circa 75mm).

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Calcolando la media fra tutte le stazioni si ottiene un ciclo annuale molto simile a quello
dell'area padana centrale, con massimi in Giugno (85mm) e Novembre (100mm).

Figura 3.4: Ciclo annuale delle 5 aree climatiche.

3.3 Anomalie climatiche e andamenti temporali

Dall’analisi delle serie temporali dei dati annuali, per quanto riguarda l'area adriatica
negli ultimi dieci anni (figura 3.5) i valori di precipitazione si sono mantenuti al di
sotto della media del trentennio di riferimento (tranne che nel 1996), in particolare
modo gli ultimi tre anni sono stati fra i meno piovosi dei quarant'anni considerati.

Per l'area padana centrale gli ultimi tre sono stati anni poco piovosi; tuttavia non si
può parlare di una tendenza negativa della quantità di precipitazioni. Quest'area è
generalmente più piovosa di quella adriatica.

L'area padana occidentale ha un andamento temporale molto simile a quello dell'area

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padana centrale, anche se l'ultimo anno in questa zona si mantiene nella media.

Figura 3.5: Andamento temporale delle precipitazioni medie annuali delle 5 aree
climatiche.
L'area alpina ha un andamento più regolare delle altre; in ogni caso anche in questa
zona, negli ultimi anni, le precipitazioni sono state inferiori alla media.

L'area tirrenica ha un comportamento analogo a quello dell'area padana centrale.

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3.4 Significatività del trend (test di Mann-Kendall)

Per rendere più quantitativo lo studio sull'esistenza di trend, si è usato il test statistico di
Mann-Kendall per evidenziare l'eventuale significatività del trend, al livello di
confidenza del 95% (Sneyers, 1975). Le ipotesi sulle quali si fonda il test sono:

• Ipotesi nulla (H0) che suppone l'assenza di qualsiasi trend;

• Ipotesi alternativa (H1) che suppone la presenza di un trend nella serie temporale.

Figura 3.6: Mappe del coefficiente del trend annuale e stagionale e sua significatività.

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Il test statistico consiste nel determinare, per ogni elemento xi della serie temporale, il
numero di elementi ni che lo precedono (tutti gli xj, con j<i) tali che xj<xi, e valutare poi
la statistica

t = ∑ ni
i

La funzione di distribuzione di t è asintoticamente normale con media e varianza

Med.= n(n-1)/4 e Var. = n(n-1)(2n+5)/72

rispettivamente. L'ipotesi nulla (H0) è valutata introducendo la statistica:

u( t ) = [t − E ( t )] / var( t )

In particolare la serie ha un trend se u (t ) >1.96, che è il valore che corrisponde ad un


livello di confidenza del 95%. Il valore di u indica la presenza di trend crescente (u>0) o
decrescente (u<0) della serie temporale.

La figura 3.6 mostra il valore del coefficiente angolare della retta del trend per le varie
stazioni. I valori sono colorati in base alla significatività (al livello di 95%): quelli in
rosa sono i valori di trend significativamente positivi, quelli azzurri negativi, in nero
sono scritti quelli non significativi.

Nel grafico annuale si rileva una prevalenza di valori non significativi, solo due
risultano significativamente positivi, ovvero Arezzo e Cameri (si ha un aumento di
precipitazione di circa 6mm/anno) e quattro negativi: Rimini, Bologna, Monte Cimone e
Brescia (questi ultimi due con valore di precipitazione di –11, -12mm/anno).

In inverno si ha un'estesa zona che comprende la Romagna e il nord della Toscana


insieme a due stazioni sulle Alpi con trend significativamente negativo (valori inferiori a
2mm/stagione).

In primavera ed in estate rimane la prevalenza di una tendenza non significativa tranne


che per pochissime stazioni per le quali si ha trend significativamente negativo.

In estate rimane la maggioranza di dati non significativi, tranne quattro stazioni con
trend negativo e due alpine in cui è positivo.

In autunno si osserva che solo due stazioni presentano valori significativamente


negativi. In realtà, solo negli ultimi dieci anni si è avuto un aumento del valor medio
delle precipitazioni autunnali, ma nonostante questo, il valore del trend della serie
temporale non risulta significativo.

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3.5 Conclusioni sulle precipitazioni.

La tabella 2 riassume il comportamento degli ultimi dieci anni rispetto al clima di


riferimento 1960-1990 delle varie aree nelle diverse stagioni. Si osserva che le
precipitazioni invernali e primaverili hanno subito una diminuzione in tutte le aree
considerate: l'area tirrenica è quella che ha subito la maggior flessione invernale, la
padana occidentale, invece, è quella che presenta la maggiore diminuzione primaverile;
i valori autunnali, invece, sono tutti positivi, tranne quello relativo all'area adriatica.

Area/Stagione Inverno Primavera Estate Autunno Tutto l'anno

Alpina -8.7 mm -12 mm 5.2 mm 11.8 mm -2.9 mm

Adriatica -17.6 mm -11.8 mm -13.3 mm -0.9 mm -10.9 mm

Tirrenica -20.7 mm -9.1 mm -7.5 mm 38.3 mm 0.2 mm

Padana c. -17.9 mm -18.7 mm -13.1 mm 16.9 mm -8.2 mm

Padana oc. -11 mm -29.9 mm -8.2 mm 13.6 mm -8.6 mm

Totale -15.7 mm -17.9 mm -10.4 mm 16.1 mm -7 mm

Tabella 2: Tabella riassuntiva dell'anomalia delle precipitazioni calcolate tra le medie


del periodo (1990-1999) e del periodo (1960-1990).
Il valore medio annuale delle precipitazioni è diminuito negli ultimi dieci anni in tutte le
aree, tranne in quella tirrenica in cui si è mantenuto pressochè costante.

4. LE TEMPERATURE.

I dati di temperatura sono stati trattati con le stesse modalità viste per le precipitazioni.
Anche in questo caso, se ci sono dieci o più giorni mancanti in un mese si è scartato il
mese intero. Analogamente, sono stati ritenuti mancanti gli anni, o le stagioni, in cui
non sono presenti tutti i dati.

4.1 Media annuale e stagionale

La temperatura media annuale è mostrata in figura 4.1. I valori raffigurati sono quelli
medi nei quarant'anni considerati. Dall'insieme delle stazioni sono state escluse quelle al
di sopra dei 500m perché i loro valori differiscono in maniera consistente da quelle
relative alla pianura, pertanto l'interpolazione su griglia non sarebbe stata corretta.

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Dalle mappe si può notare che la temperatura massima su tutto il territorio considerato
ha valori piuttosto uniformi e va dai 16°C ai 21°C. La temperatura minima ha
un'escursione più ampia e va dai 4.5°C ai 13.5°C.

L’analisi del ciclo stagionale(fig.4.2) delle temperature massime e minime mostra che,
nei mesi di Gennaio, Novembre e Dicembre, le temperature massime assumono i valori
più bassi nella parte centrale della Pianura Padana; questo è dovuto in parte alla nebbia
che, riducendo la quantità di radiazione solare, impedisce a queste zone di raggiungere
valori analoghi a quelli dei luoghi in cui non è presente il fenomeno.

Le aree costiere, invece, registrano temperature più elevate perché, nella stagione
fredda, la temperatura media superficiale dell'acqua del mare è di qualche grado
superiore alla corrispondente temperatura dell'aria sulla terra. Per di più loro non sono
interessate dal fenomeno della nebbia. I valori dell'area tirrenica sono più elevati per la
maggior profondità del Mar Tirreno rispetto all'Adriatico.

Le temperature minime più basse si osservano invece nelle zone limitrofe alle Alpi,
come detto in precedenza nella carta non sono visualizzate le stazioni al di sopra dei
500m. Questi valori sono determinati in parte alla discesa di aria fredda nelle ore
notturne dalle vallate alpine e appenniniche che si affacciano sulla Val Padana. Sui
singoli pendii la risposta alla variazione radiativa giornaliera è la formazione di una
circolazione valle-monte (brezza di valle) durante il giorno e monte-valle (brezza di
monte) durante la notte. Il meccanismo che regola questi flussi è strettamente legato al
ciclo di riscaldamento solare diurno e al raffreddamento radiativo notturno degli strati
atmosferici vicini alla superficie.

17
Figura 4.1: Mappe delle temperature massime (in alto) e minime (in basso) medie
annuali.
Nei mesi primaverili la zona più calda rimane quella tirrenica. La zona calda è estesa
solo alla parte toscana della costa tirrenica e, gradualmente si unisce la zona calda della
Toscana a quella nei pressi delle Alpi occidentali. Durante questi mesi l'area nei pressi
della costa adriatica è relativamente fredda a causa dell'influenza della superficie
marina la cui temperatura media risulta, generalmente in primavera, inferiore a quella
sulla terraferma.

Le temperature minime più alte per lo stesso periodo si hanno nei pressi delle zone
costiere. I valori più bassi si riscontrano nelle aree antecedenti le Alpi.

Le temperature stagionali sono presentate in figura 4.2. Osservando le temperature

18
massime invernali, si può dedurre che i valori medi più alti vanno dai 10°C ai 12°C; il
valore minimo più alto è compreso fra i 4°C ed i 6°C.

Le temperature massime primaverili sono piuttosto uniformi e sono comprese fra i 18°C
ed i 22°C; la città che presenta il valore minimo più alto rimane Genova (fra 10°C e
12°C).

L'estate ha un andamento analogo alla primavera, con valori massimi che vanno dai
28°C a 30°C, mentre i valori minimi sono compresi fra i 12°C e i 18°C.

Le temperature massime autunnali vanno dai 16°C ai 22°C. I valori più bassi sono
localizzati nella Pianura Padana centro-occidentale; le temperature minime vanno dai
4°C ai 14°C e i valori meno elevati si trovano nei pressi dell'arco alpino.

In estate il campo delle temperature massime presenta massimi lungo la fascia centrale
della Pianura Padana. I valori più bassi si hanno invece lungo la costa adriatica e in
Liguria, perché nel periodo estivo la temperatura media superficiale dell'acqua del mare
è inferiore alle temperature massime che si hanno sulla terraferma.

In autunno i valori massimi più elevati si hanno in Toscana, mentre quelli più bassi si
hanno nella zona delle prealpi piemontesi. I valori più bassi si riscontrano in prossimità
delle Alpi, particolarmente in Piemonte.

In tutte le quattro stagioni, i valori minimi più alti sono localizzati nei dintorni delle
zone costiere a causa, come detto in precedenza, della presenza del mare.

I cicli annuali delle temperature massime e minime non consentono di trarre particolari
conclusioni. Quello che si nota, ovviamente, è che i mesi più caldi sono quelli estivi, in
particolare Luglio per la maggior parte delle stazioni, mentre quelli più freddi sono
quelli invernali. I valori più bassi si rilevano nella maggior parte dei casi in Gennaio.

19
Figura 4.2: Mappe delle temperature massime e minime medie stagionali.

20
4.2 Anomalie climatiche e andamenti temporali

Figura 4.3: Andamenti temporali annuali e stagionali delle temperature massime e


minime.
Per approfondire lo studio sugli eventuali cambiamenti della temperatura negli ultimi
anni, si sono valutate le serie temporali delle temperature medie annuali, considerando
solo le stazioni al di sotto dei 500m per non avere valori che dipendono dalla quota. In
figura 4.3 sono raffigurati gli andamenti temporali annuali e stagionali delle temperature
massime e minime separatamente.

21
Se si osserva il grafico annuale, si può vedere che dal 1988 in poi i valori si
mantengono superiori alla media del trentennio di riferimento. Le temperature invernali
sono tutte superiori alla media dall'inizio degli anni novanta in poi, in particolar modo le
minime superano la media anche di oltre 2°C.

Le temperature medie primaverili sono superiori o circa uguali alla media dal 1988 in
poi, tranne che la massima del 1991 che è leggermente al di sotto, la differenza dalla
media è però inferiore a quella riscontrata in inverno.

In estate le temperature rimangono sopra la media dal 1985 in poi, in particolare le


minime degli ultimi due anni sono state superiori anche di oltre 2°C.

Le temperature autunnali, invece, non presentano una tendenza all'aumento. I valori


minimi si presentano leggermente al di sopra del valor medio di riferimento dal 1990 in
poi.

Figura 4.4: Andamenti temporali annuali delle temperature massime e minime delle 5
aree climatiche.
La figura 4.4 mostra gli andamenti temporali delle temperature massime e minime

22
(medie annuale) delle cinque aree climatiche.

L'area adriatica presenta i valori medi sia massimi che minimi dal 1989 in poi al di
sopra della media 1960-1990. L'area padana centrale presenta valori superiori alla
media solo dal 1992 in poi. Nel grafico dell'area padana occidentale si osservano dati
superiori alla media di riferimento dal 1989 in poi ad eccezione del 1996 in cui la
massima si trova 2°C al di sotto del valor medio. L'area alpina è quella che presenta un
andamento che si discosta da quello delle altre: le minime degli ultimi anni, infatti, si
trovano leggermente al di sotto della media, mentre le massime hanno un'escursione
elevata fra un anno e il seguente. In più i picchi sono molto pronunciati (si raggiungono
valori di 8°C superiori alla media). L'area tirrenica non presenta prticolari
caratteristiche: i valori massimi degli anni novanta sono di poco superiori alla media.

La figura 4.5 illustra gli andamenti temporali stagionali delle cinque aree climatiche. Le
temperature estive dell'area adriatica si mantengono al di sopra della media per tutti gli
anni novanta, quelle invernali sono superiori solo negli ultimi cinque anni, mentre
quelle primaverili e quelle autunnali non presentano particolari caratteristiche. L'area
padana centrale e quella adriatica presentano comportamenti analoghi.

L'area padana occidentale presenta valori invernali leggermente al di sopra della norma
negli anni novanta, tranne che nel 1991 in cui sia la massima che la minima sono
inferiori ed il 1996 in cui solo la massima lo è. I valori primaverili degli ultimi dieci
anni sono tutti leggermente superiori alla media e così pure quelli estivi ad esclusione
della massima del 1999 che è di 5°C inferiore. Le massime autunnali, invece, sono quasi
tutte più basse del valor medio ad eccezione della massima del 1997 che è di 1°C
superiore; le minime sono tutte leggermente superiori.

L'inverno dell'area alpina presenta i valori massimi tutti superiori alla media (tranne il
1999 che è leggermente inferiore) con un picco nel 1997 in cui l'anomalia dalla media è
di 7°C; le minime, al contrario, sono tutte inferiori dal 1991 in poi. Le massime
primaverili sono superiori dal 1990 in poi tranne che nel 1991, 1995 (in cui ha
raggiunto il valore più basso in assoluto degli ultimi 40 anni, cioè 6°C) e 1999. Le
minime sono tutte al di sotto tranne i dati del 1990, del 1992 e del 1997. Le minime
estive sono tutte leggermente al di sopra del valor medio tranne il dato del 1999 che è di
poco al di sotto. Le massime estive sono superiori o circa uguali al valor medio, con un
picco nel 1991 che raggiunge i 22°C, nel 1998, invece, si ha il valore più basso degli
ultimi 40 anni (circa 14°C). Le massime autunnali degli ultimi dieci anni si
mantengono al di sotto del valor medio, tranne quelle del 1994 (è leggermente
superiore) e del 1996 che registra il valore più alto del periodo in esame che è di circa
17°C; nel 1996, invece, si registra il valore più basso che è di circa 7°C. Le minime si
mantengono tutte leggermente al di sotto ad esclusione del 1994. Quello che si può
concludere è che il 1996 è stato un anno anomalo, per quanto riguarda le temperature
medie autunnali ed invernali della zona alpina.

23
24
Figura 4.5: Andamenti temporali stagionali delle temperature massime e minime delle
5 aree climatiche.
Le temperature massime invernali dell'area tirrenica degli ultimi anni sono di poco
superiori alla media ad eccezione del 1991, il cui valore è leggermente inferiore. Le
minime, invece non presentano particolari caratteristiche. I dati primaverili, sia massimi
che minimi, sono leggermente superiori o circa uguali al valor medio, così pure quelle
estive ad eccezione degli ultimi due anni nel caso delle minime in cui i valori sono
supreriori alla media di 3°C e 2°C rispettivamente. Le massime autunnali non
presentano caratteristiche salienti, mentre i valori minimi degli anni novanta sono tutti

25
al di sopra della media, ad eccezione del 1995 che è di poco inferiore.

4.3 Significatività del trend (test di Mann-Kendall)

Anche per la temperatura come per le precipitazioni è stato usato il test di Mann-
Kendall per verificare la significatività di un eventuale trend.

La figura 4.6 rappresenta i valori annuali e stagionali del coefficiente angolare della
retta del trend della temperatura massima. Nel grafico annuale si nota che gran parte dei
valori sono significativamente positivi e vanno dai +0.01°C/anno di Pisa ai
+0.05°C/anno di Passo Rolle e Bergamo. La maggior parte dei valori non significativi
appartiene a stazioni di montagna. In inverno si ha circa lo stesso andamento che si
aveva nel grafico annuale, con la differenza che in quest'ultimo non sono significative
anche alcune stazioni sulla costa. In primavera la maggior parte dei valori non è
significativa, mentre in autunno, di nuovo, si hanno molti valori significativamente
positivi. In questo periodo si ha un andamento anomalo rispetto alle altre stagioni, in
fatti tutte le stazioni non sono significative, tranne due che sono significativamente
negative.

La figura 4.7 mostra la mappa annuale del trend e quella stagionale per le temperature
minime. I valori annuali sono per la maggior parte significativamente positivi, con
valori che vanno dai +0.02°C/anno di Ravenna ai +0.06°C/anno di Bolzano. Le stagioni
che influenzano maggiormente questa tendenza annuale sono quella invernale e quella
estiva in cui la quasi totalità delle stazioni presenta un trend significativamente positivo.

Risultati analoghi sono stati ottenuti in altri studi (Maugeri et al., 1998) anche se
eseguiti su serie temporali più lunghe.

Figura 4.6: Mappe del coefficiente del trend annuale e stagionale delle temperature
massime e sua significatività.

26
Figura 4.7: Mappe del coefficiente del trend annuale e stagionale delle temperature
minime e sua significatività.

4.4 Conclusioni per le temperature.

Le tabelle 3 e 4 riassumono il comportamento degli ultimi dieci anni delle temperature


sia massime che minime.

27
Le temperature massime medie annuali sono aumentate ovunque nel periodo 1990-
1999, in particolar modo sull'area adriatica e sulla padana centrale. L'unica stagione che
presenta valori negativi sull'area alpina, sulla tirrenica e sulla padana occidentale è
quella autunnale.

Area / Stagione Inverno Primavera Estate Autunno Tutto l'anno

Alpina 1.1°C 1°C 0.8°C -0.6°C 0.6°C

Adriatica 1.2°C 0.9°C 1.6°C 0.5°C 1.1°C

Tirrenica 0.8°C 0.8°C 1°C -0.1°C 0.6°C

Padana c. 1.5°C 1.3°C 1.2°C 0.3°C 1.1°C

Padana oc. 1.4°C 1.4°C 0.7°C -0.3°C 0.8°C

Totale 1.2°C 1°C 1°C 0.1°C 0.8°C

Tabella 3: Tabella riassuntiva dell'anomalia delle temperature massime calcolate tra le


medie del periodo (1990-1999) e del periodo (1960-1990).
Area/Stagione Inverno Primavera Estate Autunno Tutto l'anno

Alpina 0.9°C 0.8°C 1.2°C 0.4°C 0.8°C

Adriatica 1.1°C 0.6°C 1.3°C 1°C 1°C

Tirrenica 0.5°C 0.5°C 1.1°C 0.7°C 0.7°C

Padana c. 1°C 0.7°C 1.2°C 0.8°C 0.9°C

Padana oc. 1.4°C 1°C 1.1°C 0.5°C 1°C

Totale 0.9°C 0.6°C 1.1°C 0.8°C 0.9°C

Tabella 4: Tabella riassuntiva dell'anomalia delle temperature minime calcolate tra le


medie del periodo (1990-1999) e del periodo (1960-1990).
Le temperature minime, presentano tutti valori di anomalie positive e, in generale, più
elevati: in particolar modo le temperature estive sono quelle che hanno subito un
incremento maggiore su tutte le aree considerate.

28
5. CONCLUSIONI

Il lavoro descritto in questo rapporto si basa sullo studio dei dati di temperatura e
precipitazione registrati negli ultimi 40 anni in 30 stazioni localizzate nel nord Italia.

L'analisi effettuata ha permesso di evidenziare alcune caratteristiche climatiche sia per


le precipitazioni che per le temperature:

Precipitazioni:

• Analizzando i cicli annuali delle stazioni a disposizione si è osservata la presenza di


aree climatologicamente omogenee (area alpina, padana occidentale, padana
centrale, adriatica e tirrenica) ognuna delle quali è caratterizzata da una diversa
distribuzione delle precipitazioni nel corso dell'anno. L'area alpina presenta un
unico massimo di precipitazione in corrispondenza dei mesi estivi (associato,
quindi, all'attività temporalesca). Le altre aree, invece, hanno una struttura di tipo
“bimodale” con i massimi centrati sui mesi primaverili ed autunnali.

• Analizzando gli andamenti temporali si può notare dalla tabella 2 come le


precipitazioni invernali e primaverili di tutte le aree siano diminuite negli ultimi 10
anni, le precipitazioni estive sono aumentate solo sull'area alpina.Le precipitazioni
autunnali sono aumentate ovunque tranne che nell'area adriatica in cui sono
lievemente diminuite. Il valore medio annuale è diminuito su tutte le aree tranne che
in quella tirrenica in cui è circa costante.

• L'analisi del trend ha evidenziato valori significativamente negativi nella stagione


invernale su gran parte delle stazioni dell'area tirrenica e di quella adriatica. Il mese
di Novembre, invece, presenta valori significativamente negativi sull'area adriatica,
sulla padana centrale e su gran parte di quella alpina.

Temperature:

• Anche nel caso delle temperature si sono osservate delle aree climatologicamente
“omogenee” differenziate principalmente dalla maggiore o minore “continentalità”,
in altre parole, dalla lontananza o dalla vicinanza dal mare.

• Gli andamenti temporali delle temperature massime della tabella 3 rivelano che i
valori sono aumentati su tutte le aree in inverno, primavera ed estate.In autunno
hanno subito, invece, una flessione nell'area alpina, tirrenica e padana occidentale.
Il valore medio annuale è aumentato ovunque. Per quanto riguarda le temperature
minime (tabella 4) si nota che tutti i valori sono positivi in ogni area ed in ogni
stagione.

• L'analisi del trend ha evidenziato valori significativamente positivi in inverno ed


estate sia per le temperature massime che per quelle minime, sulla maggior parte
delle stazioni. I mesi che maggiormente influenzano queste tendenze sono
Dicembre, Gennaio Luglio e Agosto.

29
APPENDICE

Precipitazioni

La figura A1 mostra gli andamenti temporali stagionali delle cinque aree. Nel caso
dell'inverno dell'area adriatica si nota (quadro a1) una ciclicità negli ultimi venti anni
che modula una generale diminuzione nello stesso periodo. Nelle altre tre stagioni
(quadri a2, a3, a4) non si notano particolari periodicità, tranne che in autunno per il
quale, dal 1977 al 1995, si evidenzia una periodicità quasi decennale.

Osservando il grafico invernale (quadro b1) dell'area padana centrale, si può notare
nuovamente la ciclicità degli ultimi vent'anni che di nuovo modula la flessione generale
delle precipitazioni. Nel grafico autunnale (b4) si può osservare un notevole incremento
delle precipitazioni nella prima parte degli anni novanta, seguito da una flessione e
quindi da un nuovo rialzo nel 1999.

Nel grafico dell'area padana occidentale invernale (c1) è molto evidente la ciclicità
degli ultimi venti anni. In primavera (c2) si nota un periodo che va dal 1975 al 1990, in
cui si sono alternati alcuni anni caratterizzati da una piovosità superiore alla media con
altri in cui le precipitazioni sono risultate inferiori. In particolare, dagli anni novanta, le
precipitazioni sono state inferiori alla media (tranne che nel 1994 in cui il valore è
appena al di sopra). Nell'andamento delle precipitazioni estive (c3) non si riscontra
nessuna ciclicità evidente; si può rilevare, invece, che nella prima metà degli anni
novanta c'è stato un aumento delle precipitazioni autunnali (c4), seguito da una
diminuzione e da un nuovo aumento nel 1999.

L'area alpina è caratterizzata da precipitazioni invernali (d1) poco pronunciate, tranne


che per due anni (1997-1993) per i quali si ha un picco. Dal 1994 in poi si ha una
notevole diminuzione della quantità totale di precipitazione invernale. La primavera
(d2) è caratterizzata da valori al di sotto della media del trentennio 1960-1990 per tutti
gli anni novanta, mentre in estate (d3) non si notano caratteristiche particolari. In
autunno (d4) si osserva, come visto precedentemente, un incremento delle precipitazioni
nella prima metà degli anni novanta, una successiva diminuzione e di nuovo una ripresa.

Nell'area tirrenica, di nuovo, è abbastanza evidente la ciclicità invernale (e1) degli


ultimi venti anni; durante la primavera (e2) si hanno precipitazioni inferiori alla media
di riferimento dal 1992 in poi. Quest'area è caratterizzata da scarse precipitazioni estive
(e3), mentre è particolarmente pronunciato l'incremento autunnale (e4) di precipitazione
negli anni che vanno dal 1990 al 1996; i due anni successivi hanno valori di
precipitazione inferiori alla media, mentre nel 1999 si assiste ad una ripresa.

30
Figura A1: Andamento temporale delle precipitazioni medie stagionali delle 5 aree
climatiche.

31
32
33
34
Successivamente sono stati calcolati gli coefficienti del trend delle precipitazioni mese
per mese, (figura A2): gran parte del contributo per quanto riguarda l'inverno è dato dai
mesi di Gennaio e Febbraio, mentre Dicembre non è mai significativo tranne che per i
valori relativi al Monte Cimone.

Novembre è l'unico mese in cui la maggior parte delle stazioni, in particolar modo
quelle del settore nord-occidentale, presentaun andamento significativamente negativo
con valori di precipitazione che vanno dai -0.73 ai -3.12mm/stagione.L'unico mese in
cui tutte le stazioni sono non significative è Settembre.

35
Figura A2 Mappe del coefficiente del trend mensile e sua significatività

36
37
Temperatura

Sono stati calcolati, inoltre, i coefficienti per i dati mensili e sono illustrati in figura A.3
(in appendice) e A.4 (in appendice). Per quanto riguarda la temperatura massima i mesi
che influenzano maggiormente la tendenza positiva invernale sono Gennaio e
Dicembre. Nei mesi di Aprile e Giugno ci sono alcuni valori significativamente
negativi. I dati di Luglio e Agosto sono quasi tutti significativamente positivi, mentre i
mesi restanti non presentano alcuna tendenza a livello globale.

Nel caso della temperatura minima i mesi che presentano una maggior quantità di dati
significativamente positivi sono Luglio e Agosto, con valori che vanno dai
+0.03°C/mese ai +0.10°C/mese; infatti, come visto precedentemente, la stagione che
mostra una significativa tendenza all'aumento della temperatura è proprio l'estate. A
Novembre e ad Aprile vi sono alcuni dati significativamente negativi, con valori che
vanno dai –0.03°C/mese di Vicenza ai –0.10°C/mese di Padova.

Figura A.3: Mappe del coefficiente del trend mensile delle temperature massime e sua
significatività

38
39
40
Figura A.4: Mappe del coefficiente del trend mensile delle temperature minime e sua
significatività

41
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