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La dispnea
1. La dispnea
La dispnea, o “fame d’aria”, descrive la percezione soggettiva di una respirazione
difficoltosa. Secondo l’ATS la dispnea comprende sensazioni qualitativamente differenti che
presentano un’intensità variabile. La soggettività della sensazione viene data da una serie di
fattori: meccanismi differenti, vie afferenti differenti e impatto emotivo e sociale concorrono a
dare un carattere prettamente soggettivo alla condizione di dispnea.
Tale esperienza soggettiva è determinata dall’interazione tra fattori fisiologici, psicologici, sociali
ed ambientali ed a sua volta può indurre risposte fisiologiche secondarie, pertanto risulta
impossibile quantificarla in maniera unitaria. La sensazione è avvertita e valutata, quindi, solo dal
paziente stesso.
La dispnea, più in generale, è data dallo squilibrio tra la richiesta ventilatoria e la capacità di
ventilazione.
Un soggetto che non sta compiendo nessuna azione ha una richiesta ventilatoria minima,
necessaria a garantire la sola sopravvivenza. Nel momento in cui il soggetto compie un’azione
come pettinarsi, lavarsi, camminare, le richieste ventilatorie aumentano, in quanto l’aumento di
esercizio richiede un adeguato supporto di ossigeno a livello muscolare.
In condizioni di dispnea, lo squilibrio tra richiesta metabolica e disponibilità di substrati energetici
provoca l’insorgenza di fatica ed esaurimento muscolare a causa di un accumulo di metaboliti
tossici a livello muscolare.
In letteratura esistono numerose scale per la valutazione e per la misurazione della dispnea,
raggruppabili in:
- Scale psicofiche il cui compito è quello di valutare il sintomo in relazione ad uno stimolo
(Borg e Vas);
- Scale cliniche il cui compito è quello di valutare l’impatto della dispnea sulla capacità
funzionale del paziente e possono essere correlate alla capacità di sostenere le ADL. Si
basano sull’anamnesi del paziente e si correlano all’intensità dell’attività che induce la
dispnea (MRC, la SADOUL e l’ATS). Permettono una classificazione basata solo sulla
grandezza delle azioni da svolgere, il che è insufficiente per avere una reale corrispondenza
clinica della dispnea, perché si possono compiere le stesse azioni riducendo o meno lo
sforzo compiuto.
La VAS e la BORG possono essere messe in relazione, in quanto più il punto è vicino alla polarità di
dispnea nella VAS, più alto sarà il numero nella BORG.
Scala mMRC
La Scala mMRC associa ad un determinato valore un’attività. La scelta di un valore della scala
categorizza l'individuo sulla base dell’attività di soglia che genera in lui il sintomo dispnea, questa
scelta può essere sia autonoma da parte del soggetto analizzato, sia guidata dall’operatore. Le
situazioni descritte nella scala vanno da: “Mi manca il fiato solo per sforzi intensi”, associata al
valore 0 e adatta a descrivere soggetti che non provano mai la mancanza di fiato se non per attività
molto impegnative, a "Mi manca troppo il fiato per uscire di casa o mi manca il fiato quando mi
vesto o mi spoglio", utile nel descrivere pazienti molto dispnoici nella loro cronicità o pazienti
solitamente meno dispnoici colti una riacutizzazione di patologia .
0. Dispnea per sforzi intensi;
1. Dispnea se corre in piano o per una salita leggera;
2. Dispnea se il paziente cammina in piano al suo passo (più lento rispetto ai coetanei) e necessita
di fermarsi per respirare;
3. Dispnea dopo pochi minuti di cammino in piano o 100 m;
4. Dispnea per vestirsi, svestirsi o uscire di casa.
La scala MRC non quantifica la dispnea percepita, ma misura la disabilità associata ad essa,
individuando quando la mancanza di fiato è presente in attività che normalmente non dovrebbero
essere accompagnate da questo sintomo, o quantificando in linea di massima la limitazione
all’esercizio fisico. La presenza della dispnea quindi viene valutata in maniera inscindibile
dall’attività che la provoca. La scala MRC è semplice e veloce da usare, si è dimostrata utile nel
valutare il grado di disabilità respiratoria al pari della distanza nel 6MWT ed è stata usata come
indice prognostico da sola o insieme ad altri elementi che caratterizzano il paziente con problemi
respiratori cronici.
I maggiori svantaggi della MRC sono rappresentati dalla scarsa sensibilità e dalla poca specificità
nella valutazione del sintomo dispnea. Cambiamenti dei valori rilevati nello stesso soggetto sono
stati apprezzati, ad esempio, dopo interventi di chirurgia toracica, ma è meno probabile che una
persona migliori o peggiori in un breve periodo al punto da cambiare la sua posizione all’interno
delle categorie della scala. Allo stesso tempo non c’è modo di valutare quelle persone che si
trovano tra un livello e l’altro della scala, per esempio una persona che è in grado di uscire di casa
ma cammina meno di 100 metri non è descrivibile né con il livello 3, né con il livello 4 della scala.
In definitiva, nonostante l’ampio utilizzo della scala MRC come strumento per caratterizzare o
stratificare le popolazioni di studio, l’uso di questo strumento potrebbe non essere indicato per
rilevare cambiamenti moderati ma sostanziali nella condizione dei pazienti con problemi
respiratori cronici.
Il 6 minutes walk test è fondamentale per ottenere il substrato per programmare il riallenamento
allo sforzo più adeguato al paziente, nonché per valutare le risposte globali e integrate dei sistemi
coinvolti nell’esercizio.
È un test che prevede uno sforzo submassimale, poiché molte delle attività della vita quotidiana
prevedono questa intensità di sforzo; riesce dunque a rispecchiare al meglio il livello funzionale di
esercizio nelle attività fisiche della vita quotidiana.
L’obiettivo del paziente è eseguire quanti più metri possibili in 6 minuti, camminando quindi
velocemente ma senza correre o saltare.
Il test dovrebbe essere eseguito al coperto lungo un corridoio piano, rettilineo, senza grande
passaggio di persone. Con condizioni meteorologiche e ambientali ottimali è possibile eseguire il
test anche all’aperto. Il percorso dovrebbe avere una lunghezza di almeno 30 metri e
contrassegnato almeno ogni 3 metri. I due punti di inizio e fine percorso devono essere segnalati
con due coni/indicatori. La scelta della suddetta lunghezza deriva dal fatto che con corridoi di
lunghezza inferiore, i soggetti anziani impiegherebbero più tempo nei numerosi cambi di direzione
diminuendo conseguentemente la distanza percorsa. Infatti uno studio ha sottolineato come un
percorso circolare permetta ai pazienti di coprire maggiori distanze rispetto ad un percorso
rettilineo.
Il materiale necessario per l’esecuzione del 6MWT consiste in:
I tecnici esecutori del test dovrebbero essere inizialmente addestrati sulla corretta procedura da
seguire e supervisionati per svariati test prima di seguire la prova autonomamente.
Per meglio standardizzare il test è necessario seguire una procedura che dovrà essere applicata a
tutti i pazienti.
Il test deve essere ripetuto possibilmente sempre alla stessa ora per minimizzare la variabilità
intragiornaliera.
Il paziente viene fatto sedere su una sedia posta vicino al percorso per almeno 10 minuti prima
dell’inizio dello stesso. Durante questo tempo vengono prese misurazioni quali saturazione di
ossigeno, pressione arteriosa e frequenza cardiaca. Vengono inoltre valutate la sensazione di
dispnea e l’affaticamento muscolare.
Si verificano le eventuali controindicazioni e ci si assicura dell’idoneità dell’equipaggiamento del
paziente (vestiti e scarpe comode).
È necessario inoltre istruire il paziente sempre nello stesso modo, così da evitare anche variazioni
di misurazioni tra operatori tecnici diversi. In un recente studio la spiegazione del test riporta: ”lo
scopo di questo test è di camminare facendo più strada possibile in 6 minuti. Camminerà avanti e
indietro in questo corridoio. 6 minuti di deambulazione sono molti e quindi dovrà impegnarsi al
massimo. Probabilmente le mancherà il fiato o si sentirà affaticato. Se è necessario, le è permesso
di rallentare, fermarsi e riposare. Se decide di fermarsi per riposare, può appoggiarsi al muro, ma
deve cercare di recuperare e riprendere la camminata il più presto possibile. Durante la prova
dovrà girare intorno ai birilli il più velocemente possibile (dimostrazione del tecnico di come girare
intorno al birillo). È pronto per eseguire questo test? Io conterò quanti metri farà in questi sei
minuti e le ricorderò quanto tempo manca al termine della prova. Si ricordi il suo obbiettivo:
camminare COPRENDO LA MAGGIOR DISTANZA in sei minuti ma non corra né salti. Parta quando
vuole.”.
Posizionare il paziente alla linea di partenza e iniziare il test facendo partire il cronometro. Il
tecnico dovrebbe porsi a metà del percorso senza seguire il paziente. Nel caso in cui il paziente
avesse difficoltà nella deambulazione, l’operatore può seguire il paziente durante il test avendo
l’accortezza di camminare dietro (non a fianco né davanti) al soggetto per non influenzare la
velocità dell’andatura.
Durante il test il soggetto deve essere concentrato e non essere distratto da niente e da nessuno.
Gli incoraggiamenti sono fondamentali per una buona riuscita della prova, ma anch’essi devono
essere predefiniti per una miglior standardizzazione del test. Il tono di voce usato per gli stimoli
deve essere calmo e ad ogni minuto è necessario avvertire il paziente del tempo trascorso. Per
motivi di miglior standardizzazione del test è necessario usare sempre le stesse frasi.
Al termine della prova utilizzare la sedia per permettere al paziente di riposarsi.
Se il paziente riferisce l’intenzione di interrompere anticipatamente il test, annotare la distanza
percorsa, il tempo trascorso e il motivo dell’interruzione. In caso di pausa di riposo durante il
cammino non fermare il cronometro (i 6 minuti del test non sono effettivi) ed informare il paziente
dicendo: “Si può anche appoggiare al muro per riposare, ma appena riesce riprenda a
camminare”.
Al termine del test monitorare nuovamente i parametri vitali (FC, PA, SpO2, valutazione dispnea e
affaticamento muscolare con scala di Borg). Calcolare inoltre la distanza percorsa.
Disostruzione bronchiale
1. L’ostruzione bronchiale e l’atelectasia
La trachea si suddivide nei due bronchi principali, di destra e di sinistra. Ciascun bronco principale
entra nell’ilo del rispettivo polmone e si ramifica dando origine all’albero bronchiale. I bronchi si
suddividono in bronchi sempre più piccoli, fino a formare i bronchi respiratori.
Se all’interno dei bronchi ristagnano muco e secrezioni, i volumi e flussi che devono arrivare ai
sacchi alveolari avranno delle resistenze talmente importanti da non poter arrivare ai sacchi.
L’ostruzione bronchiale è una riduzione del lume delle vie aeree condizionante un’alterazione del
flusso d’aria che le attraversa, con conseguente perturbazione e disturbo della ventilazione. Più vie
aeree vengono compromesse, maggiore è il disturbo ventilatorio.
Un’ostruzione bronchiale può essere funzionale, nel caso in cui sia data da:
Mentre l’ostruzione è una perturbazione della ventilazione, l’atelettasia consiste nel collasso
delle unità polmonari periferiche che determina una diminuzione del volume polmonare. Le unità
alveolari che vengono definite atelettasiche perdono aria e collabiscono.
Può essere data:
Da compressione;
Da riassorbimento perché l’aria viene riassorbita e non più rifornita;
Da deficit di surfactante, una proteina che permette l’impedimento del collabimento degli
alveoli.
Ostruzione e atelettasia non sono la stessa cosa: l’ostruzione è una difficoltà al flusso, mentre
l’atelettasia è un collabimento alveolare per mancanza di aria.
Nell’ambito dell’atelettasia si effettua la riespansione, ovvero la capacità di portare aria al di là
della zona collabita.
Nel momento in cui si ha l’alveolo aperto l’aria lo riempie. Quando si ha una perdita di aria, perché
viene ceduta dall’alveolo ai capillari e all’alveolo stesso non ne arriva più, le pareti del sacco
alveolare di tutta l’unità alveolare collabiscono, dunque viene a mancare un punto di ingresso
dell’aria. Bisogna quindi far espandere le due superfici per permettere l’ingresso dell’aria.
Nel contesto della perdita di aria anche il surfactante che tiene aperte le varie facce dell’alveolo
viene meno, quindi bisogna contestualmente sollecitare la produzione del surfactante. Questa
viene stimolata dall’aria, per cui per ripristinare la produzione della proteina e per permettere la
riespansione delle due superfici del sacco alveolare è necessario l’ingresso dell’aria nella zona
alveolare.
2. Patologie da stasi di muco
3. Disostruzione bronchiale
Questo è un modello matematico che riporta le tecniche di disostruzione in rapporto alle vie
aeree.
Il cerchio in alto a sinistra (VA dist) rappresenta l’alveolo distale.
Le due linee orizzontali a sinistra rispetto alla linea tratteggiata (VA moy) rappresentano le vie
aeree medie, quindi le vie aeree fino alla diciassettesima/ventesima diramazione bronchiale.
Le due linee orizzontali a destra rispetto alla linea tratteggiata (VA prox) rappresentano le vie
aeree prossimali, quindi le vie aeree fino alla decima generazione bronchiale.
Le due linee curve in alto a destra rappresentano le vie aeree superiori (naso, bocca, fino alla
faringe).
L’equazione riportata fa si che in base alla variazione delle pressioni pleuriche, alla variazione del
volume e del flusso, si può comprendere a che livello dell’albero bronchiale agiscono le varie
tecniche di disostruzione. Sulla base di questo criterio, le metodiche vengono raggruppate.
- Nel 1970 venne scoperto che per lavorare sulle vie aeree distali le tecniche da utilizzare
dovevano prevedere delle inspirazioni lente (EDIC, spirometria incentivante e RIM, una
tecnica di riespansione inspiratoria).
- Nel 1980 venne scoperto che per lavorare sulle vie aeree medie le tecniche da utilizzare
dovevano prevedere le espirazioni lente (ELTGOL e ELPr che sono i corrispettivi per adulti e
bambini o il drenaggio autogeno). Sono poco conosciute perché molto giovani come
metodiche.
- Nel 1960 venne scoperto che per lavorare sulle vie aeree prossimali le tecniche da
utilizzare dovevano prevedere l’espirazione forzata, pertanto sono le metodiche che
lavorano con il meccanismo della tosse, un meccanismo fisiologico che non lavora in
maniera selettiva. Altre tecniche si riscontrano il drenaggio posturale e il clapping.
- Nel 1990 venne scoperto che per lavorare sulle vie aeree superiori le tecniche da utilizzare
dovevano prevedere l’inspirazione forzata. Fra queste la disostruzione retrograda.
La fisioterapia respiratoria, pertanto, si traduce in quattro manovre:
1. Inspirazione lenta;
2. Espirazione lenta;
3. Espirazione forzata;
4. Inspirazione forzara.
In fisioterapia respiratoria bisogna agire in velocità, altrimenti il paziente non ha il beneficio del
trattamento, per cui è fondamentale riconoscere quale delle 4 metodiche bisogna utilizzare.
Tecniche indirette: mirano in primo luogo a ripristinare la ventilazione in zone del polmone
che ne sono escluse e devono essere completate con le tecniche dirette.
Cambi posturali: sono delle tecniche di disostruzione perché si smuove il muco;
EDIC: è una riespansione in decubito di laterale in ispirazione;
Spirometria incentivante;
Iperinflazione manuale o meccanica: macchina della tosse;
PEP-CPAP: ausili;
PEP oscillante (flutter-acapella): macchina che spesso i pazienti hanno in casa;
Oscillazione ad alta frequenza della gabbia toracica: macchina che spesso i pazienti hanno in casa;
Ventilazione intrapolmonare percussiva: macchina che spesso i pazienti hanno in casa;
Farmaci che agiscono sul muco: fluimucil, mucosolvan… se non si ha una tecnica diretta che il
paziente riesce a fare, il muco rimane nell’albero bronchiale e il paziente annega nel muco
presente nell’albero.
4. La tosse
Secca e stizzosa perché ci sono delle zone che hanno ricevuto un insulto si sono un po'
chiuse e vogliono riaprirsi e quindi abbiamo la tosse per cercare di aumentare il volume di
aria.
Catarrale e produttiva, abbiamo un ristagno mucoso e quindi facciamo la tosse per
eliminarla.
Continua, cioè si hanno tantissimi episodi di tosse durante il giorno
Abbaiante: dura come timbro.
Convulsiva tipica nelle malattie esantematiche;
Sibilante cioè alla fine ho un momento di chiusura e quindi il flusso di aria diventa un sibilo;
Metallica;
Prevalentemente di giorno o di notte;
Prevalentemente durante il pasto: fa presagire un’inadeguata coordinazione deglutitoria, a
seguito della quale si potrebbe sviluppare una polmonite ab ingestis per aspirazione del
bolo che macera nel sito polmonare;
Durante l’esercizio fisico, questo ci deve far pensare che l’esercizio fisico magari sia troppo
pesante e il colpo di tosse gli dà la possibilità di dare una contrazione maggiore alla
componente ventricolare del cuore e quindi inviare più sangue;
Acuta: comunemente attribuibile a sindrome da raffreddamento;
Persistente: attribuibile ad asma, reflusso gastroesofageo, bronchite cronica e
bronchiectasie.
1. Prima fase
La prima fase è quella irritativa. Durante questa fase uno stimolo irritativo scatena l’arco riflesso.
Le afferenze vagali sembrano giocare il ruolo più importante nella trasmissione della stimolazione
neurosensitiva dalle vie aree al centro della tosse; le interruzioni di questo arco riflesso attraverso
la distruzione dei nervi afferenti, a causa di una malattia muscolare intrinseca o centralmente di
malattie del SNC possono causare la tosse inefficace.
2. Seconda fase
La seconda fase è quella inspiratoria. Si ha un aumento del volume inspiratorio che arriva a circa
l’80% della capacità vitale. Questo viene a dare una tensione dei muscoli espiratori ottimale che
facilita il ritorno elastico del sistema toraco-polmonare. In questi millisecondi di inspirazione la
glottide deve rimanere totalmente aperta.
L'efficacia della tosse è tanto maggiore quanto più alto è il volume inspirato perché ovviamente
più sarà il flusso e il volume di aria che abbiamo incamerato più riusciremo ad avere questo ritorno
elastico, ma questo dipende anche dalla pervietà delle nostre vie aeree, se noi siamo già pieni di
secrezioni durante l’inspirazione queste ostacolano il flusso di aria e quindi meno flusso riusciremo
a fare entrare meno sarà efficiente questo meccanismo. Il livello sonoro in questa fase è pari a 0.
3. Terza fase
La terza fase è quella di compressione. Durante questa fase vengono effettuate la chiusura della
glottide e la contrazione muscolare di tutta la parte espiratoria, che porterà ad un aumento della
pressione intratoracica e addominale.
Se un volume di gas viene compresso, questo acquista forza cinetica: per far ciò viene attuata la
contrazione dei muscoli espiratori toraco-addominali (prevalentemente gli obliqui esterni, in
minor parte il trasverso dell’addome), con conseguente raggiungimento di pressioni intratoraciche
che vanno dai 50 mmHg fino ai 100 mmHg.
4. Quarta fase
La quarta fase è quella di espulsione del materiale dal bronco, caratterizzata dall’apertura
improvvisa della glottide e dalla concomitante elevazione del palato molle.
La combinazione di un elevato volume pre-tussivo e di un’alta pressione intratoracica determina,
all’apertura della glottide, un rapido e transitorio aumento del flusso espiratorio, caratterizzato
sulla curva flusso-volume dalla presenza di uno “spike”, cui corrispondono valori di PCEF che
nell’adulto normale partono da un minimo di 360 L/min.
Nel momento in cui c’è l’esplosione, l’apertura della glottide è di 0,2 secondi. Essa si apre per un
meccanismo riflesso di abduzione attiva. L’aria espulsa causa una vibrazione delle corde vocali ed
in parte delle vie aeree centrali, creando così il tipico suono della tosse causato dalla genesi del
flusso turbolento e della vibrazione delle corde vocali. Dove vengono aperte le corde vocali e si ha
la fuoriuscita dell’aria precedentemente compressa. Il livello sonoro è proporzionale alla pressione
e alla forza cinetica dell’aria.
L’efficacia della tosse può essere compromessa da problematiche inerenti una o più delle
fasi:
1. La fase d’inspirazione può essere limitata da un deficit restrittivo, caratterizzato principalmente
da una riduzione della Capacità Vitale e, proporzionalmente, di tutti i volumi e di tutte le capacità
polmonari; CV<1500 ml per deficit di forza dei muscoli inspiratori, e/o per ridotta compliance del
sistema respiratorio.
2. La fase di compressione può risultare inadeguata a causa della riduzione della capacità dei
muscoli espiratori di generare forza, come indicato da valori ridotti di (MEP) oppure di una
disfunzione glottica, secondaria a problematiche neurologiche, che impedisca, oltre una certa
pressione, la chiusura completa della glottide.
3. La fase di espulsione può risultare insufficiente in conseguenza diretta del deficit di una sola o di
entrambe le fasi precedenti. Nelle patologie ostruttive, a causa delle compromesse proprietà
elastiche del parenchima polmonare (enfisema), della distruzione del tessuto di sostegno delle vie
aeree (bronchiectasie e fibrosi cistica), della presenza di edema, broncospasmo e ipersecrezione
bronchiale (bronchite cronica e asma), si ha una limitazione del flusso espiratorio secondaria ad
uno spostamento del Punto di Eguale Pressione durante tosse verso le vie aeree di calibro minore.
Si può valutare l’efficacia della tosse in base a delle misurazioni, anche se non tutti i
pazienti riescono ad effettuare una spirometria e quindi ad ottenere questa misura definita come
PCEF, ovvero picco di flusso espiratorio. Il PCEF viene misurato durante un colpo di la tosse ed è la
risultante delle tre fasi determinanti della tosse (fase di inspirazione, compressione ed espulsione).
Di conseguenza il risultato del PCEF è condizionato da alterazioni che compromettano una
qualunque di queste tre fasi. Svariati lavori hanno recentemente suggerito come il PCEF
rappresenti il miglior indicatore fisiologico dell’efficacia della tosse. il PCEF può essere misurato
utilizzando un Peak-Flow-Meter, collegati al paziente tramite una maschera facciale. Quando il
paziente compie un colpo di tosse, il flusso d’aria espirato fa muovere il cursore che si posiziona al
livello massimo ottenuto e permette al clinico di registrare il massimo picco di flusso espiratorio
raggiunto.
- La tosse viene definita efficace con un PCEF maggiore di 360 l/m;
- La tosse viene definita inefficace con un PCEF maggiore di 160 l/m;
Pazienti che all’inizio possono avere una tosse efficace affetti da una patologia a carattere
degenerativo (come la SLA) possono arrivare, con il tempo, ad avere una tosse inefficace.
- Risulta necessaria l’assistenza alla tosse quando il PCEF è pari a 270 l/m. L’assistenza può
essere manuale, con un addestramento del care-givers, oppure meccanica, con ad esempio
la macchina della tosse.
6. Tosse inefficiente
Le cause di tosse inefficiente possono essere da imputare a modificazioni strutturali, quali:
- Alterazioni delle ciglia causata da discinesia ciliare primitiva (sindrome di Kartagener) o
deciliazione (in caso di BPCO).
- Alterazioni delle pareti tracheo-bronchiali, fra cui rientra il collasso delle pareti dato da
una tracheomalacia, causata da una prolungata intubazione dei pazienti; la conseguenza
diretta consiste nella perdita della consistenza della trachea. Anche una stenosi delle
grosse vie aeree può determinare l’inefficacia della tosse (enfisema), così come un
aumento delle resistenze periferiche (dato ad esempio in caso di bronchiectasia, perché
della zona interessata di creano delle sacche non elastiche) ed una maggiore collassabilità
delle vie aeree centrali (BPCO ed enfisema).
- Alterazioni di tipo quantitativo o qualitativo del materiale da espellere, che può
aumentare, diventare adeso, denso o fluido.;
- Alterazioni del meccanismo di spinta della pompa data da debolezza dei muscoli
respiratori, per cui si ha una diminuzione delle pressioni pleuriche con conseguente
riduzione della compressione dinamica delle vie intratoraciche (distrofie muscolari, pazienti
midollari, neuromuscolari, con ictus).
- Disfagia: in condizioni di scialorrea, difficoltà nell’elaborazione del bolo, ristagno di cibo in
bocca si ha un maggiore rischio di aspirazione. Si ha una difficoltà nel meccanismo di
chiusura delle corde vocali, per cui il bolo, invece di seguire il canale digerente, finisce
nell’albero bronchiale, invadendo l’apparato respiratorio. Il bolo innesca meccanismi di
ostruzione ed infezione che possono portare ad una grave IRA.
Inspira un volume di aria sufficiente? (vediamo gonfiare il torace quando prende un respiro
profondo?) .
Chiude la glottide? il paziente disfagico non chiude bene la glottide quindi il momento della
compressione sarà un momento di flop.
Riesce a contrarre gli addominali? Gli addominali forti contribuiscono ad avere un colpo di
tosse con esplosione maggiore (la manovra tipica che si effettua nei pazienti midollari è il trust
addominale, cioè le mani del fisioterapista si sostituiscono agli addominali [le mani del
fisioterapista spingono gli addominali cranialmente nel momento in cui il pazienti è pieno
d’aria]).
Ha assunto una posizione favorevole per tossire? Ci saranno dei pazienti come i midollari che
tossiscono da supini perché il fisioterapista lo aiuta con un trust addominale e ci saranno dei
pazienti di chirurgia toracica o cardio chirurgia che vanno messi a 90 ° perché il dolore
provocato dalla ferita chirurgica è minore rispetto a una posizione più bassa quindi o a 60° o in
posizione supina.
La qualità delle secrezioni fluide, viscide, dense? La composizione delle secrezioni fa sì che
per potersi muovere hanno bisogno di più o meno forza, di più o meno volume per poter
risalire l’albero bronchiale.
Quanto dolore, ansia, paura hanno i pazienti nel momento in cui fanno un colpo di tosse? i
pazienti chirurgici ad es. non lo fanno perché hanno paura che si apra la ferita a ogni colpo di
tosse oppure perché non hanno una copertura degli analgesici e quindi ogni colpo di tosse è
doloroso.
7. Tosse provocata e tosse assistita
La tosse provocata è un riflesso ottenuto tramite stimolazione a livello dell’orofaringeo e
della trachea. La stimolazione viene data dal pollice sulla cartilagine cricoidea, spingendo
delicatamente e in modo deciso a livello della fossetta sovrastante il manubrio sternale. La zona
deve essere stimolata delicatamente perché è molto cartilaginea.
La tosse assistita consiste invece in una serie di manovre che producono una tosse efficace in
presenza di paralisi parziale o completa della muscolatura addominale o per aumentare la capacità
dei muscoli addominali.
Un esempio di tosse assistita è il barrage addominale, con le mani poste al di sotto delle ultime
coste, sul diaframma, accompagnando con decisione e fermezza la risalita del diaframma.
Nella manovra trans addominale l’operatore ha l’avambraccio proprio sotto la fine della gabbia
toracica e agguanta in parte i due retti dell’addome in modo da fare da barrage agli addominali e
dare una spinta maggiore sul diaframma.
Un’altra manovra viene effettuata contenendo la zona chirurgica (nella foto sotto le mani
dell’operatore), per far si che quella zona venga protetta e il paziente senta meno dolore, e al
contempo si incita il paziente per far si che si abbia la massima espulsione.
Se il paziente viene abbracciato lateralmente, la mano si trova nel punto di una ferita chirurgica
che può essere sia di cardio-chirurgia o di chirurgia toracica, in cui la ferita si trova fra due coste. Si
utilizza una presa posteriore, invece, quando si ha una ferita sullo sterno (timectomia o
cardiochirurgia).
In questo terzo caso si ha un’autoassistenza alla tosse: il paziente abbraccia la propria gabbia
toracica per sfruttare i meccanismi di pressione e volume per riuscire a tossire senza danneggiare
la gabbia toracica.
L’auto-assistenza alla tosse viene insegnata per evitare il danneggiamento della gabbia toracica
raggiungendo adeguate pressioni intrapolmonari. Ciò fa si che si possa avere un’esplosione di
flusso e quindi avere il beneficio della tosse senza avere una dolorosa espansione della gabbia
toracica.