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Lezione 5 prof.

Bellia

Tecniche di disostruzione bronchiale


Le tecniche di disostruzione bronchiale si suddividono in

 Metodiche convenzionali: sono le più utilizzate, nonostante siano superate perché prive di
un reale fondamento scientifico;
 Metodiche innovative.

1. Drenaggio posturale (metodica convenzionale)


Il drenaggio posturale è una tecnica che utilizza la forza di gravità per facilitare e
aumentare il trasporto di muco dalla periferia verso le vie aeree di maggior calibro, posizionando i
bronchi principali segmentali in posizione più o meno verticale.
La metodica nasce dall’esigenza di mobilizzare o espettorare le secrezioni che ristagnano
nell’albero bronchiale. Poiché le secrezioni sono fluide e viscose si pensava che esse seguissero le
leggi della gravità, quindi si supponeva che mettendo il paziente in posizione antigravitaria si
potesse riuscire a far fluire le secrezioni verso la trachea. Una volta qui, il paziente effettuerà il
colpo di tosse per espettorarle.
Sulla base della conoscenza anatomica dei bronchi vennero studiate decine di posizioni, per far si
che ogni bronco avesse una sua specifica posizione antigravitaria più favorevole. Il paziente veniva
pertanto posizionato a testa in giù, in decubito laterale, con il tronco ruotato, con le braccia in
diverse posizioni in base alla necessità specifica.
Attraverso la broncoscopia dinamica è stato visto, tuttavia, che la clearance muco-ciliare non
lavora secondo gravità, perché trasporta le secrezioni dalla periferia verso il centro. Ciò che fa
muovere le secrezioni sono la differenza fra flussi e volumi di aria. Pertanto, per giocare sulla
variazione di flussi e volumi ed ottenere la disostruzione, è necessaria solo la posizione laterale o
seduta. Per questo motivo è stato valutato che il drenaggio posturale non ha evidenze scientifiche.
Se da un lato il drenaggio posturale si rivela inefficiente nel caso di ostruzione bronchiale, è invece
utile in caso di versamenti liquidi, come ad esempio il sangue o siero. In caso di chirurgia toracica,
a seguito di questa vengono posizionati i tubi di drenaggio all’interno della cavità per permettere
la fuoriuscita dei liquidi. In questo caso il drenaggio pleurico fa si che il liquido venga convogliato
verso i fori dei tubi di drenaggio, basandosi sulla posizione degli stessi.
Controindicazioni:
Essendo la maggior parte delle posizioni a testa in giù, e pertanto potendo causare problematiche
a livello di altri organi, si ha la controindicazione in caso di:

 Dopo i pasti
 Ipertensione
 Reflusso gastroesofageo
 Traumi cranici
 Aneurismi aortici o cerebrali
 Insufficienza cardiaca

2. Clapping e vibrazioni
Il clapping è una manovra passiva simile al movimento effettuato quando il ketchup non
esce dalla bottiglia, per cui viene anche chiamato “the ketchup bottle method”.
Il terapista pone una mano a coppetta (unendo l’indice e il mignolo) sul torace del paziente e con
l’altra da delle percussioni sulla controlaterale.
Battendo sul torace del paziente si riesce a mobilizzare ed espettorare le secrezioni, tuttavia anche
questa tecnica non ha validazione scientifica. Il fatto di riuscire effettivamente a mobilitare le
secrezioni è dato non tanto dalla manovra in sé, quanto dal fatto che percuotendo il torace si ha
una variazione del flusso respiratorio: il paziente tende ad andare in apnea o, più in generale, a
variare la respirazione.
La manovra, inoltre, risulta dolorosa per il paziente, in quanto la percussione esercitata si riverbera
fino all’eventuale ferita chirurgica. Essendo presenti oggigiorno delle metodiche sicuramente
meno dolorose, è preferibile utilizzare queste ultime.
Lo strumento sul treppiedi (foto in bianco e nero) è uno strumento molto antico, così come i
pesetti, con i quali veniva effettuato il clapping.

Controindicazioni:

 Enfisema sottocuaneo
 Tubercolosi polmonare
 Contusione polmonare
 Broncospasmo
 Osteoporosi

3. ACBT (Active Cycle of Breathing Technique)


La tecnica ACBT non dovrebbe mai essere scomoda o stancante e l’espirazione forzata mai
essere violenta. Si può assumere qualunque posizione a seconda delle esigenze dell’individuo. La
posizione seduta è spesso efficace e l’aderenza al trattamento risulta migliore che in altre
posizioni.
È una metodica più dolce rispetto al clapping e al drenaggio posturale.
Si alterna un ciclo a volume corrente (non estremamente alto) con un momento di tosse
estremamente forzata.
La tosse forzata coinvolge solo le prime terminazioni, per cui se le secrezioni non sono già quasi in
gola, questa tosse forzata non fa altro che chiudere velocemente tutto l’albero bronchiale e spesso
e volentieri, essendo forzata, è estremamente dolorosa (motivo per cui si ha una ridotta
compliance nei pazienti chirurgici).
I respiri a volume corrente danno una cadenza, un respiro controllato, quindi sono molto utili,
mentre la tosse forzata è da rivedere.
La tecnica sfrutta 3 momenti: BC, HUFF e TEE.
Il momento BC (breathing control) corrisponde ad un respiro calmo a volume corrente, utilizzando
la parte inferiore del torace e mantenendo spalle e parte alta del torace rilassati. Questi respiri
danno una cadenza, prevengono il broncospasmo e l’aumento delle resistenze delle vie aeree.
Il momento HUFF corrisponde ad una manovra di espirazione forzata, basata sul fenomeno della
compressione dinamica delle vie aeree. Utilizza il Punto di Egual Pressione EPP (quel punto in cui,
durante il flusso espiratorio, la pressione intrapleurica e la pressione all'interno delle vie aeree
coincidono. generando un flusso espiratorio più veloce ed una maggiore interazione tra il muco e
l'aria). La riduzione del calibro delle vie aeree determinerà più alte velocità dei flussi espiratori con
possibili interazioni aria/muco.
L’alternanza
La Forced Expiration Tecnique (FET) consiste in una combinazione fra momenti BC e uno o due
HUFF. Le espirazioni forzate, ma non violente, vengono effettuate contraendo i muscoli
addominali, mantenendo sia la bocca che la glottide aperte. I volumi polmonari sfruttati sono
medio/bassi se si vogliono mobilitare secrezioni a livello più prossimale; se queste si trovano più
distalmente sono necessari volumi di partenza più elevati
Il momento TEE corrisponde ad una tosse.
4. Drenaggio autogeno
Il drenaggio autogeno prevede il solo addestramento, con successiva supervisione, da
parte del fisioterapista: la manovra viene eseguita solo dal paziente. La tecnica, pertanto, risulta
estremamente utile in pazienti con patologie croniche, come nel caso della fibrosi cistica. I
pazienti, grazie all’addestramento, possono autogestire il proprio tempo contestualmente al
bisogno di disostruirsi. Il momento della supervisione avviene generalmente durante periodi di
ricovero o durante le visite di controllo mensili.
A differenza del drenaggio posturale, in cui si ricercano posture antigravitare, nel drenaggio
autogeno è il flusso aereo espiratorio a determinare lo spostamento delle secrezioni dalla
periferia verso la trachea.
La velocità del flusso in espirazione deve essere la più elevata possibile in ogni generazione di
bronchi.
La pressione durante l’espirazione deve essere bilanciata per evitare la compressione delle vie
aeree e, allo stesso tempo, far risalire le secrezioni.
I fattori fisici in gioco sono nel drenaggio autogeno sono:

 Flusso aereo;
 Velocità di flusso;
 Pressione esercitata durante l’espirazione.
Lo scopo della tecnica è quello di ottenere la velocità dell’aria più elevata possibile in tutte le
generazioni bronchiali in modo sincrono ed omogeneo. Tutto l’albero bronchiale viene coinvolto
nella tecnica, per cui questa non è settoriale, bensì globale. Ciò fa intendere che il paziente andrà a
lavorare contestualmente su tutto l’albero bronchiale.
Il flusso sfruttato possiede delle caratteristiche, che sono:

 La velocità del flusso;


 La qualità del flusso;
 La sede di compressione delle vie aeree.
Queste caratteristiche sono a loro volta determinate da:

 Lo sforzo espiratorio;
 Il volume di riempimento polmonare;
 La resistenza delle vie aeree;
 La stabilità delle vie aeree.
Per ottenere la velocità ottimale (quindi la più elevata) di flusso dell’aria bisogna creare un flusso
laminare.
Questo flusso permette:

 maggiore velocità;
 maggiore interazione aria/muco;
 maggiore adesività del muco alle pareti.
Il risultato sarà un maggiore trascinamento del muco.

Tutto questo venne studiato andando ad analizzare le spirometrie di ragazzi affetti da


fibrosi cistica. In particolar modo, si analizzò come, al variare il volume di aria inspirata, cambiasse
la spirometria.
Nel diagramma a sinistra, chiedendo dei volumi diversi, il grafico ottenuto varia, indice di
spirometrie differenti. Allo stesso modo, nel diagramma a destra, le curve sinusoidali cambiano in
base alle generazioni bronchiali coinvolte.
Nelle espirazioni controllate si osserva una minore caduta del flusso e la velocità è conservata o
addirittura aumentata.
Da ciò ne deriva che, nel drenaggio autogeno, l’obiettivo della fase di inspirazione è quello di
portare l’aria in periferia dietro le secrezioni per mobilizzare il muco.
Bisogna portare l’aria più lontano possibile dalla trachea, quindi verso il basso, anteriormente e
lateralmente, in modo tale da mobilizzare il muco.

Il flusso laminare ha velocità costante in ogni sua parte, a differenza del flusso turbolento
che ha una velocità maggiore nelle parti più lontane dalle pareti. Il flusso turbolento si manifesta
quando questo incontra delle resistenze, date dalle secrezioni, oppure nei punti in cui si dividono i
bronchi, dove vi è un cambio di continuità di lume.
Il flusso laminare può essere verificato attraverso il suono tranquillo che ne deriva, a differenza del
flusso turbolento, udibile a bocca aperta (la bocca amplifica il suono). Il suono varia a causa dello
scollamento e mobilitazione delle secrezioni. Più è udibile il rumore, maggiori saranno le
secrezioni; ciò andrà a facilitare il lavoro del terapista.
Per ottenere il flusso laminare bisogna fare in modo che la sua distribuzione sia omogenea in tutto
l’albero bronchiale. Per garantire questa caratteristica viene sfruttato il fenomeno dell’area
pendolare. Questo fenomeno si verifica nel caso in cui due alveoli A e B siano adiacenti. Nel
momento in cui si inspira, l’alveolo A si riempie, mentre l’alveolo B può non essere ancora pronto
ad aprirsi. L’alveolo B riceverà dunque l’aria delicatamente al riempimento totale dell’alveolo A.
Ciò significa che fra i due alveoli sono presenti due tempi di riempimento diversi.
Per dare il tempo al secondo alveolo di riempirsi, quindi, è necessario un momento di apnea
teleinspiratoria: viene inspirato un volume d’aria e il paziente entra in apnea teleinspiratoria per
permettere il riempimento dell’alveolo B una volta che l’alveolo A è totalmente riempito. Facendo
ciò si ottiene una distribuzione quasi omogenea di aria.
La quantità di aria inspirata dovrà essere regolata in base:

 Alle resistenze bronchiali;


 Alla forza di ritorno elastico degli alveoli;
 Alla localizzazione delle secrezioni;
 Alla mobilità della pompa respiratoria;
 Alla contrattilità muscoli respiratori.

Per effettuare una corretta inspirazione nel drenaggio autogeno bisogna dunque effettuare i
seguenti passaggi:
1. Far sedere il paziente con il tronco eretto;
2. Inspirare lentamente il volume necessario;
3. Mantenere le vie aeree superiori aperte;
4. Effettuare la pausa teleinspiratoria di 3\4 sec a glottide aperta, ovvero con la bocca e tutto
l’apparato fonatorio aperto.
Il livello di respiratorio di partenza dipende dalla posizione del muco: si parte con volumi bassi per
poi aumentarli.
Per effettuare una corretta espirazione nel drenaggio autogeno è necessario mantenere le
vie aeree superiori aperte. L’espirazione viene eseguita senza rallentare il flusso espiratorio, il
quale deve essere elevato e, al contempo, bilanciato in termini di forza espiratoria, per evitare il
collasso delle vie aeree.

Per accertarsi del corretto eseguimento si possono avere feedback:


- Visivi: si pone un fazzoletto davanti alla bocca per constatare la fuoriuscita di aria;
- Uditivi: si ausculta il rumore dell’aria in uscita;
- Tattili: si pongono le mani sul torace e se ne valuta la motilità.

L’esecuzione prevede il paziente seduto con il tronco eretto (postura facilmente raggiungibile
da quasi tutti i pazienti) con il fisioterapista posto posteriormente ad esso (soprattutto nelle fasi di
addestramento). Il terapista andrà a porre le proprie mani sul torace del paziente per constatare le
vibrazioni date dalle secrezioni in movimento. Il ciclo viene ripetuto fino a quando le secrezioni
arrivano in trachea ed il paziente può espettorarle. Talvolta si rivela necessario il colpo di tosse.
Le tre fasi respiratorie nel drenaggio autogeno sono:
1. Fase di scollamento: avviene a bassi volumi, fino al volume residuo respiratorio;
2. Fase di raccolta: avviene a bassi-medi volumi, quasi al livello del volume corrente;
3. Fase di rimozione: avviene a volumi alti, fino al livello del volume di riserva inspiratorio.
I 3 momenti avvengono quasi come una scala, dove i gradini fanno salire in progressione, in modo
tale da avere il momento di espettorazione senza il colpo di tosse. Evitare il meccanismo della
tosse è fondamentale perché in pazienti che effettuano la manovra quotidianamente, a lungo
andare, si può manifestare uno sfiancamento del pavimento pelvico con conseguenti perdite
urinarie.

5. Drenaggio autogeno assistito


Il drenaggio autogeno assistito viene effettuato nei pazienti non collaboranti quali neonati,
bimbi o soggetti con deficit neurologici.
Il fisioterapista posiziona le mani sul torace del bambino, tenendo parzialmente ferma la parete
addominale, e aumenta gradualmente la pressione in senso cranio caudale, così da ottenere un
aumento del flusso espiratorio, della velocità dell’espirazione e del tempo espiratorio.
Si segue il respiro fisiologico del bambino, si poggiano le mani sul torace e si crea questa variazione
di flusso attraverso la pressione delle nostre mani. Le secrezioni in questo caso vengono aspirate.

6. ETGOL
L’ETGOL è un’espirazione lenta a glottide aperta.
La metodica si basa sulla variazione molto veloce dell’espirazione che va da capacità funzionale
residua (FRC) a volume residuo (RV).
Viene eseguita in postura laterale. Il lato di decubito viene scelto in base all’auscultazione, per
individuare la zona da trattare. Una volta individuata, questa sarà la parte di appoggio (se le
secrezioni sono a destra, il lato di decubito sarà il destro). Così facendo si otterrà la migliore
escursione ventilatoria del polmone da trattare.

Nella figura a sinistra viene indicato il movimento del diaframma in decubito laterale.
Le linee continue concave in basso indicano il diaframma. La linea sinusoidale è invece la porzione
mediastinica. In decubito laterale, le linee si modificano nelle linee tratteggiate. Il diaframma viene
spinto verso l’alto dai visceri sottostanti. Il diaframma a sua volta spinge il polmone grazie alla
contrazione. Allo stesso modo anche le linee indicanti la zona del pericardio si modificano, perché
la zona mediastinica ha un suo peso. Durante il respiro si ha un lavoro contro i visceri e contro il
peso del polmone sovrastante.
Nella figura a destra si evidenziano le zone 3’, 4’… Questi canalicoli si chiudono, come se venissero
spremuti, mentre quelli in alto 3, 4… rimangono più aperti grazie alla forza di gravità. Il polmone in
basso è come se venisse spremuto, quindi le secrezioni hanno una spinta verso i bronchi con lume
maggiore.
Riepilogando i fattori che agiscono sulla deflazione del polmone infralaterale sono:

 forza di gravità sul parenchima polmonare;


 discesa del mediastino;
 spinta dei visceri addominali.
in questo modo si effettua la disostruzione del polmone più vicino alla superficie di appoggio.
Il fisioterapista si pone dorsalmente rispetto al paziente ed utilizza la mano e l’avambraccio
caudali, esercitando una spinta diagonale sui visceri a partire dai quadranti addominali inferiori.
Con la mano craniale, invece, stabilizza l’emitorace superiore.

Controindicazioni:

 Lesioni cavitarie;
 Ascessi;
 Ampie bronchiectasie;
 Patologia pleurica unilaterale;
 Neoplasie.
Il posizionamento del paziente viene deciso sulla base di segni obiettivi: l’auscultazione ed
eventualmente la radiografia.

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