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Tutti questi eventi segnarono duramente la società europea, e in particolare quella italiana,
inaugurando un periodo di guerre, instabilità e smarrimento, dove anche punti di
riferimento intoccabili come il papato sembrarono vacillare.
Il ‘500 fu un secolo ricchissimo sul piano letterario e artistico: ci fu una cultura prettamente
laica che ebbe nelle corti i suoi centri di produzione. All’interno della corte c’è un
crescendo di attività intellettuali e culturali rispetto al ‘400. Presente in questo secolo sarà
il classicismo, formato da equilibrio e perfezione, codici e regole di comportamento
letterario secondo le leggi aristoteliche per conseguire l’eccellenza della poesia. I maggiori
esponenti di questo secolo saranno Machiavelli e Guicciardini, ma andiamo per gradi:
Tale periodo viene diviso in altre due fasi definite “Rinascimento maturo” e “tardo
Rinascimento”, ponendo come spartiacque l’anno del Sacco di Roma ad opera dei
Lanzichenecchi (1527); la principale differenza tra i due momenti è il fatto che nei primi
trent’anni del secolo sono attivi i principali scrittori e artisti italiani (Machiavelli, Ariosto,
Michelangelo), mentre nella seconda fase c’è carenza di grandi opere e in poesia si
anticipa la tendenza del manierismo, che caratterizzerà la successiva età della
Controriforma e che consiste nell’imitazione dei modelli classici talvolta privi di originalità.
Il termine Rinascimento si focalizza soprattutto sulla ripresa dei valori classici e dell’arte
dopo i secoli “bui” del Medioevo, e in questo senso, il periodo si pone in forte continuità
con l’Umanesimo, tanto che alcuni studiosi parlano di civiltà umanistico-rinascimentale
senza vedere differenze tra i due secoli.
In realtà la differenza c’è: il Rinascimento sul piano letterario prosegue sì, sulla stessa
linea di quella precedente (riscoperta dei classici, rivalutazione della natura e del corpo
umano), ma con una maggiore consapevolezza e con una tendenza alla codificazione e al
regolismo in tutti i campi, specie in quello del comportamento e della lingua. Conosce un
grande sviluppo anche la stampa e viene letteralmente scoperto il teatro classico,
attraverso i due generi principali della commedia e della tragedia.
Altra novità è data dalla riflessione politica, che con l’opera fondamentale di Machiavelli
introduce il pensiero politico moderno, tagliando i ponti con la trattatistica medievale e la
visione teocentrica dello Stato.
MANIERISMO: (SECONDO 500) E’ una corrente artistica, prima italiana e poi europea. Si
presenta come una fase di transizione tra il Rinascimento e il Barocco ed è l’insieme di
correnti, manifestazioni e gusti letterali. La Chiesa dolo il Concilio di Trento mette in atto la
controriforma che si ostinava a controllare lo sviluppo della cultura; questa “soluzione” fece
venir meno gli stimoli culturali e innovativi tant’è che ogni interesse ed entusiasmo era
tramontato.
Appartengono al manierismo:
- Il piacere del paradosso di Berni
- L’autobiografismo eroicizzante di Cellini
- La prosa raffinata di Della Casa
- Il controllo stilistico di Firenzuola
- La bizzaria del Lasca e Gelli
- La grande poesia di Tasso
CENTRI DI DIFFUSIONE DELLA CULTURA
ACCADEMIE: le Accademie erano sottoposte al controllo del Principe e restano per tutto il
‘500 uno spazio di libertà e confronto culturale. Non possono confrontarsi con quelle del
secolo precedente perché quelle del ‘500 sono organismi concentrati sulla divulgazione
della cultura. Dal punto di vista della scrittura ogni Accademia ha un proprio metodo ma,
un tratto diffuso, è la pianificazione collegiale; è un tratto caratteristico che troviamo
nell’Accademia degli Intonati. La più bella opera uscita da questo centro di cultura è la
commedia “Gli ingannati”, pubblicata anonima; la stesura collettiva è come un copyright di
cui gli Intonati ne vanno fieri (solidarietà di gruppo). Ogni città italiana aveva accanto alla
corte una o più Accademia e rappresentano per tutto il secolo un’indipendenza
intellettuale.
UNIVERSITA’: nel ‘500 le Università non stavano passando un bel periodo perché si
ritardava nel coltivare i saperi. In Italia il controllo della Chiesa aumentò la crisi nel sistema
universitario: nel 1564 Pio IV fece fare un giuramento di fedeltà cattolica ai laureandi e
questo, chiaramente, provocò l’esodo degli studenti stranieri. A Padova e Bologna 37
nazioni studentesche si ribellarono e da questo episodio le Università italiane persero
punti. Anche Pisa si trasformò in un Ateneo locale.
TIPOGRAFIE: sono il nuovo centro di cultura del ‘500. La novità la troviamo negli
stampatori come Aldo Manuzio, che rappresenta l’incontro tra la cultura e la capacità
imprenditoriale. Marcolini e Giunti sono editori di mercato stampando non solo per gli
Umanisti ma anche per ogni classe sociale. Lo scrittore nel ‘500 scrive avendo in mente
già un editore, un libro a stampa e procedure di commercio. Ne sarà un esempio “Tasso”
nella sua “Gerusalemme liberata”.
CORTI: il rapporto tra gli intellettuali rinascimentali e il potere è davvero complesso. Nella
satira I dell’Ariosto si può notare la figura del Cortigiano: il signore offre privilegi e
protezione e in cambio il poeta dona la sua gratitudine attraverso i testi – questo scatenerà
una rivendicazione dell’indipendenza personale. Nasce nel poeta/artista un atteggiamento
di rifiuto per la vita di corte perché questo limita la sua libertà di uomo essendo sottomesso
ai favori del Principe: secondo Ariosto l’uomo non si realizza nella vita di corte ma in quella
privata perché solo lì è libero interiormente. Gli intellettuali si sentivano offesi e umiliati
perché costretti a lavorare per lavori poco pagati e perché erano limitati sulla creazione
delle opere. Occorre precisare che con le Guerre d’Italia la carriera ecclesiastica era molto
ambita perché, fino al Concilio di Trento, offrì dei benefici. Dal Concilio di Trento in poi la
vita ecclesiastica diventa una professione riservata: con la Controriforma la Chiesa diventò
rigida su chi far entrare nel clero.
STAMPA E CENSURA: Nel ‘500 il mercato del libro si espande ad ogni classe sociale,
dall’altra c’è il controllo della carta stampata. La Chiesa si sentiva minacciata da questa
nuova “tecnologia” e così il papa decise che nessun libro poteva essere stampato senza
l’approvazione del vescovo del luogo. Con il Concilio di Trento questo controllo si
perfeziona: nel 1559 usciva “L’Indice” dei libri proibiti, un indice che proibiva gli scritti di
autori in volgare; successivamente uscirono altri indici con proibizioni diverse. Tutte queste
“giravolte” dimostravano che era difficile tenere sotto controllo la situazione tant’è vero che
nel 1586 Elisabetta d’Inghilterra stabilì la distruzione dei libri vietati e la persecuzione degli
stampatori: tutta l’Europa cristiana voleva limitare i danni della stampa.
La censura non si occupava di distruggere solo libri proibiti ma, per qualche testo, si
poteva chiudere un occhio per rassettarlo: è quanto successe al “Decameron” perché
giudicato testo da proibire ma troppo pregiato per distruggerlo. La prima revisione di
questo lavoro fu affidata a Vincenzo Borghini ma non bastò perché, nel 1582, Lionardo
Salviati, sottopone il testo a delle modifiche per salvaguardare gli uomini di Chiesa.
GLI ARTISTI
Inizialmente essere artista significava essere un artigiano ma nel ‘500 la storia cambia:
grazie alle migliori condizioni economiche essi potevano accedere al mondo della cultura
e della letteratura in proprio. Gli artisti cominciano a scrivere autobiografie come Cellini o
Michelangelo ma, l’opera che da agli artisti uno status nuovo sono “Le vite” dell’artista
Giorgio Vasari, al servizio di Cosimo I de’ Medici.
Primo libro: vengono elencate le qualità fisiche e morali (nobiltà, esercizio nelle
armi)
Secondo libro: si descrivono i comportamenti del cortigiano ideale (diplomazia,
conoscenza dei giochi di società)
Terzo libro: si delineano i tratti ideali della donna di palazzo (bellezza, devozione,
intelligenza)
Quarto libro: si chiude con un lungo discorso filosofico sull’amore platonico,
strumento fondamentale per la conoscenza del Sommo Bene.
Il cortigiano deve saper fare tutto, deve saperne di pittura, musica, deve conoscere l’arte
dell’eloquenza, deve essere un buon conversatore: il perfetto cortigiano è una figura
costruita. Lo stile del Cortigiano è improntato dagli ideali rinascimentali di equilibrio,
classicità e compostezza. Ebbe da subito una grande fortuna presso le principali corti
europee, fino alla rivoluzione francese.
Ludovico Ariosto è la voce più elevata della poesia rinascimentale. L’Orlando Furioso
propone una visione moderna e l’ideale della dignità umana; si offre come la sintesi di
un’eleganza narrativa che, comunque, mantiene in vita quella comicità quasi ironica, tipica
del racconto epico. Ariosto è l’esempio di un Rinascimento allegro e potente; è il
modello di una letteratura perfetta che sa equilibrare, senza sforzo, musica, figure e
ricchezza poetica.
Tradusse in forme poetiche il classicismo aulico, le tendenze, i gusti della sua epoca (della
civiltà cortigiana a cui apparteneva) in forme letterarie fino ad approdare allo “stupido
sognatore”, così definito da Carducci.
VITA
Nasce a Reggio Emilia nel 1474. La città all’epoca era collegata al ducato estense.
1484: il padre (Niccolò) si trasferisce a Ferrara e sarà qui che intraprenderà i primi studi di
legge, ma la sua era una vocazione umanistica e per questo motivo, abbandonati gli studi
di giurisprudenza, si dedica a quelli letterari (latino, non greco). A Ferrara ha la possibilità
di conoscere Bembo, uno dei più importanti intellettuali dell’epoca; furono legati da una
grande amicizia e sarà proprio lui a convincerlo nel coltivare la passione per la poesia in
volgare.
1503: passa al servizio di Ippolito d’Este (cardinale, fratello del Duca Alfonso) entrando
nella cerchia dei cortigiani stipendiati, con tutte le ambiguità che l’essere cortigiano poteva
rappresentare. Ariosto si trovava così ad essere incaricato di impegni di grande
importanza, svolgendo talvolta anche degli incarichi umilianti tant’è che si lamentò spesso
di questa condizione da cortigiano (nelle Satire). Dopo il servizio sotto Ippolito d’Este si
trova al servizio del Duca Alfonso, in cui gli fu affidato il compito di governatore della
Garfagnana.
Negli ultimi anni della sua vita vive come avrebbe voluto con la sua amata e suo figlio in
una casetta di periferia, in cui muore nel 1533. Nel 1532 scrive l’ultima edizione
dell’Orlando Furioso.
OPERE
OPERE MINORI: la commedia comica e le liriche latine furono gli ambiti privilegiati da
Ariosto all’inizio della sua attività letteraria. Ancora in tarda età si cimentò con le traduzioni
di Terenzio e Plauto.
COMMEDIE:
“La cassaria” (1508) e “I suppositi” (1509): inizialmente scritte in prosa ed
eseguite a Carnevale, successivamente modificate, sono commedie di
ambiente che, nell’osservazione di vizi, virtù, intrighi ed equivoci umani,
risentono anche del modello novellistico boccacciano. Alle corti erano
richieste commedie e feste. Non solo autore, ma anche commediografo,
Ariosto realizzava anche spettacoli. Inizialmente per le rappresentazioni si
prendevano le commedie latine e si rappresentavano le traduzioni, in un
secondo momento si elaboravano dei testi originali in volgare e Ariosto ne
costituì un punto di partenza (commedia regolare).
“Il Negromante”: abbozzata nel 1509, terminata nel 1520 e riscritta nel
1529, macchinosa ma meno interessante risulta essere quest’opera in
endecasillabi sdruccioli. Negromante era un mago imbroglione (il centro della
vicenda) per ridicolizzare le credenze irrazionali sulla magia da un punto di
vista dello scetticismo laico.
“La Lena” (1528): la più riuscita. Una commedia in versi in cui trionfano le
astuzie di due giovani innamorati. E’ l’interesse economico il tema centrale;
ci sono riferimenti alla realtà ferrarese con spunti satirici alla disonestà, alla
corruzione e alla burocrazia amministrativa.
LIRICHE LATINE: scritte nella sua prima giovinezza. Prende ispirazione dai modelli
classici (Orazio, Catullo e soprattutto Virgilio) ma con originalità. Immette nelle
liriche latine un’intonazione più realistica evidente nella denuncia che lo stesso
Ariosto fa all’interno delle liriche stesse: emerge in questi testi il contrasto tra la
durezza della vita quotidiana al servizio delle corti e l’ispirazione ideale dell’otium
letterario. Nella vita di Ariosto domina l’ideale dell’otium, una vita semplice e
lontana da ogni ambizione che possa turbare una vita serena. Queste differenze
emergono in un elegia: “De diversis amoribus” – (1503), il poeta esplicita il suo
rifiuto per la carriera cortigiana; troviamo l’esaltazione della mutevolezza
dell’esistenza, motivo al fondamento de “Orlando Furioso”. Troveremo come opera
lirica anche:
“Le Rime”: su modello petrarchesco e influssi boiardeschi, constano di 41
sonetti, 12 madrigali, 5 canzoni e 27 capitoli in rime dantesche. Il tema che
prevale è quello amoroso, in riferimento anche alla sua amata Alessandra
Benucci; l’opera aspira alla lirica cortigiana del II secolo del ‘400.
SATIRE: 7 lettere in versi, scritte dal poeta tra il 1517 e il 1525. Ariosto per questi
componimenti attinse al modello classico, ispirandosi al poeta Orazio.
L’atteggiamento del poeta è ironico per cogliere le contraddizioni e le problematiche
della società a lui contemporanea. Il tono delle satire, come da modello oraziano, è
conversevole. L’opera è lo sfogo di un intellettuale cortigiano che vive i propri
malumori all’interno di una condizione precaria e di grande crisi: troviamo un
Ariosto “morale” che trova il mezzo adatto per esprimere la sua frustrazione
attraverso quest’opera. Lo stile e la forma sono tipici della letteratura volgare, infatti,
sono scritte in terzine dantesche abbracciando temi vari:
I SATIRA – 1517: indirizzata al fratello Alessandro e all’amico Ludovico
D’abagno; in essa l’autore spiega le ragioni della rottura con il cardinale
Ippolito (suo signore), il quale si rifiutò di seguirlo in Ungheria. In questa
satira Ariosto va ad insistere sull’incompatibilità degli incarichi pratici del
cortigiano e la sua vocazione letteraria.
II SATIRA – 1517: descrive i fastidi verso la corte papale
III SATIRA – 1518: indirizzata ad Annibale Malaguzzi (suo cugino), ribadisce
i disagi della vita cortigiana.
IV SATIRA – 1523: descrive le difficoltà del suo compito in quanto
governatore della Garfagnana rimpiangendo l’attività letteraria che per questi
impegni aveva dovuto interrompere. Troviamo anche il tema sulla nostalgia
verso la città e la donna.
V SATIRA – 1519/21: discute i pro e i contro della condizione matrimoniale
VI SATIRA – 1524/25: indirizzata a Bembo. Chiede consiglio sull’educazione
dei figli ed esprime il suo rammarico per non aver imparato il greco.
Interessante è la sua riflessione sulla funzione civilizzatrice della poesia.
VII SATIRA – 1524: motiva il suo rifiuto per la nomina di ambasciatore a
Roma.
EPISTOLARIO: di Ariosto ci sono giunte 214 lettere scritte durante il corso della
sua vita. E’ un epistolario diverso dai soliti in quanto presenta conflitti interiori; non
furono scritti per una pubblicazione e quindi privi di intenti letterari.
ORLANDO FURIOSO
L’opera ebbe tre redazioni: 1516, 1521 (40 canti) e 1532 (46 canti).
Dietro l’Orlando Furioso c’è tutta la tradizione dei poemi franco-veneti, ci sono i cantari che
avevano dato al poema cavalleresco carattere popolaresco, storie di avventure e di magie.
La tecnica del suo racconto è la “suspense”, lasciando il discorso sul più bello in modo tale
da non rendere nessun personaggio come personaggio protagonista. Il divertimento
consiste nell’impigliare il lettore in una sorta di labirinto.
Aggiungerà, come già detto, nuovi canti, ma non in coda: li intreccerà alla trama
arricchendone la narrazione.
Ci troviamo di fronte a un’opera che è la massima espressione del classicismo
rinascimentale; la concezione della vita all’interno dell’opera è una concezione laica.
Il Furioso comincia proprio dalla fine del poema boiardesco, interrotto quando Re Carlo
decide di consegnare Angelica a colui che meglio sarà distinto nella battaglia dei mori.
1. AZIONE EPICA: funge da cornice, è incentrata sulla guerra tra Cristiani e Saraceni.
L’argomento bellico, tipico della tradizione del poema epico cavalleresco, inizia con
l’invasione della Francia e l’assedio a Parigi da parte del re saraceno. Agramante,
che inizialmente sembra avere la meglio sull’esercito cristiano di Carlo Magno, ha
vita facile perché quelli che dovrebbero essere i due campioni cristiani (Orlando e
Rinaldo) sono troppo occupati a contendersi la bella Angelica. Il ritorno in campo di
Rinaldo costringe, però, i saraceni alla ritirata ad Arles e successivamente alla
sconfitta su una battaglia navale. Le sorti della guerra sono così affidate ad una
sfida tra i migliori guerrieri mori (Agramante, Gradasso e Sorbino) e i tre campioni
cristiani (Orlando, Brandimarte e Oliviero) sull’isola di Lampedusa. Orlando
sbaraglia i nemici e assicura la vittoria al re Carlo Magno.
2. AZIONE SENTIMENTALE: si muove intorno a Orlando, alla sua ricerca di Angelica,
alla conseguente perdita del senno e al suo ritrovamento. Il re Carlo Magno aveva
sentenziato che la donna sarebbe andata in sposa al più valoroso in battaglia ma,
visto che non si vive solo di guerra, ecco che Ariosto intreccia il tema amoroso in
cui tutti amano Angelica. L’incantevole creatura è ambita da molti uomini ma lei
preferisce scappare. Gran parte del Furioso è tutta una fuga di Angelica che
successivamente viene anche salvata dal valoroso condottiero Ruggero, in sella a
un Ippogrifo, dopo essere finita su un isola e quasi uccisa: invece di ringraziare il
suo salvatore scappa di nuovo. Intanto la ragazza incontra un bel giovane,
gravemente ferito alle porte di Parigi, il saraceno Medoro: lo cura, si innamorano e
si sposano andando ad incidere i loro nomi sulla corteccia di un albero. Questi nomi
verranno visti da Orlando (che girava per trovarla) ed ecco che qui capiamo il titolo
dell’opera. ORLANDO FURIOSO perché esce completamente fuori di testa: spacca
tutto, corre per Francia, Spagna, attraverserà a nuoto completamente nudo
Gibilterra e scomparirà in Africa completamente impazzito. Sarà il valoroso
condottiero Astolfo a volare sulla Luna per recuperare in un’ampolla il senno di
Orlando, ovvero il buon senso (N.B: secondo Ariosto, sulla Luna, vanno a finire
tutte le cose che perdiamo). Astolfo farà annusare l’ampolla a Orlando che ritornerà
in se e sarà pronto per lo scontro finale.
3. AZIONE POLITICA: improntata sui contrasti d’amore tra il moro Ruggero e la
guerriera cristiana Bradamante. Dalle loro nozze (e dalla conversione al
cristianesimo di Ruggero) avrà inizio la dinastia estense. Nella parte finale di questo
poema cavalleresco l’obiettivo si sposta su Ruggero, guerriero saraceno, e
Bradamante, sorella di Rinaldo e guerriera cristiana. I due, una volta sposati,
daranno origine alla dinastia d’Este. L’amore tra i due è ostacolato per tutta l’opera
dal mago Atlante che vuole evitare le nozze perché, in seguito a una profezia, se
Ruggero si convertisse alla religione cristiana morirebbe. Il guerriero viene quindi
imprigionato in un castello incantato ma, una volta fuggito, viene a sapere che la
sua amata è promessa in sposa a Leone, figlio di Costantino ed erede al trono
dell’impero romano d’Oriente. Leone successivamente rinuncerà a lei così che si
possa, finalmente, ricongiungere al suo amato e celebrare il matrimonio. Dopo
giorni di festeggiamento irrompe Rodomonte che accusa Ruggero di aver rinnegato
la sua fede. Scatta così un duello decisivo: Ruggero uccide l’avversario e l’opera si
conclude.
PERSONAGGI DEL FURIOSO: sono personaggi incuriosi di Dio, non mostrano nessuna
curiosità nei confronti di Dio nel momento che agiscono (al contrario dei personaggi
danteschi, non si domandano se il loro agire è collegato alle leggi di Dio).
CARATTERE NATURALISTICO DELL’UOMO, DELLA NATURA STESSA: è privilegiata
la dimensione orizzontale, non perché si escluda che l’uomo o la natura siano creazione di
Dio, ma è la prospettiva ad essere diversa concentrandosi molto sulle creature. Da qui si
passa al carattere naturalistico della natura stessa: la natura in questo periodo non è
avvertita come creatura, ma come vitalità.
Esempio: dietro la natura di Manzoni c’è la natura di Dio, dietro la natura di Dante non
c’è la natura di Dio ma la natura stessa.
Nell’idea ariostesca dell’uomo, quindi rinascimentale, anche nell’uomo si evince una nuova
vitalità. L’uomo ariostesco si compie sulla Terra, è questa la concezione laica. E’ un
uomo impetuoso, violento, tenero, dolce (insieme di sfaccettature), è un uomo che
sperimenta la gamma più ampia degli aspetti dell’uomo che soffre e si sacrifica: il risultato
è L’ESTREMA VARIETA’ E L’ESTREMA RICCHEZZA all’interno del Furioso, con una
serie di personaggi, diversi tra loro, molto ben individualizzati.
MITO DEL CAPPELLO DI ATLANTE: mito sulla follia. Si giunge verso questo
castello seguendo il proprio sogno e si resta prigionieri delle proprie passioni. Il
castello di Atlante è la metafora di un mondo senza certezze.
VIAGGIO DI ASTOLFO SULLA LUNA: sulla Luna si radunano le cose che gli
uomini perdono sulla Terra. Nel poema si può riscontrare una certa labilità che
ripropone in maniera importante una delle tante donne (Isabella), si tratta del
rapporto tra virtù e fortuna. Ariosto risolve questo rapporto a vantaggio della
fortuna perché riconosce una serie di elementi con cui bisogna fare i conti.
ARMONIA: Il lettore ideale del Furioso è il cortigiano di Castiglione. Il Furioso gli propone
la sua materia in una lingua ideale: quella di Bembo. Si può dire che l’armonia è il
carattere che maggiormente spicca nell’opera di Ariosto. Per armonia bisogna tener conto
del lettore ideale (il cortigiano), la lingua e lo stile ideale (Bembo). La caratteristica
dell’armonia sta a significare che nulla viene portato all’eccesso. La follia di Orlando non è
considerata eccesso perché non è definitiva, ma TEMPORANEA. Bisogna aggiungere che
le varie follie di Orlando vengono accentuate tramite l’incremento della lingua. Il modo in
cui le vicende e i personaggi si incontrano e si separano è dato dagli eventi che si
presentano in quanto è comunque in atto la grande guerra tra cristiani e saraceni che fa
da sfondo all’intero poema.
AGGIUNTA DEI CANTI: tra il ‘518 e il ‘519 (datazione controversa) l’autore elabora altri 5
canti da aggiungere all’opera che ruotano intorno al traditore Gano. L’aggiunta di questi
canti presenta una sorta di stagione nuova, dando un aspetto pessimistico; le figure
aggiunte si caratterizzano per la presenza di violenze e, ancora più difficile, è decidere
dove collocarle. I canti aggiuntivi presentano un aspetto più opaco e spento rispetto al
Furioso, dominato da presenze negative, false e immorali.
Innamoramento di:
- Carlo
- Filone e Berta (fine ‘400)
- Rinaldo (fine ‘400)
- Guidon Selvaggio (1516)
Facendo la sua comparsa nel 1505 una continuazione de “L’innamorato” del veneziano
Niccolò degli Agostini , presenta come un IV libro del poema di Boiardo. Un’ulteriore
continuazione, riallacciata a quella precedente, uscì nel 1514 “Quinto e fine de’ tutti li libri
de lo inamoramento de Orlando”, ad opera di Raffaello da Verona; nello stesso anno uscì
una V edizione scritta da Niccolò degli Agostini che nel 1520 concluse la sua fatica con
“L’ultimo e fine de tutti li libri de’ l’Orlando Inamorato”.
TRAMA: Rinaldo entra in scena mentre insegue la bella Angelica. Rinaldo è portatore
della morale dell’autore stesso. Lui matura la propria forza sulla consapevolezza che tutto
si basa sulla contraddizione. Un ruolo ideologico, anche essenziale, spetta ad Astolfo,
destinato a recuperare il senno di Orlando sulla Luna ed è protagonista di molte
avventure: Astolfo rappresenta il movimento, la disponibilità.
Al II filone sono legate le coppie di amanti, come Fiordiligi e Brandimante, Isabella e
Zerbino, cioè storie tangenti. Abbiamo la presenza di cicli minori che portano lontano dai 3
centri: Guidon Selvaggio, le vicende di Doromonte e Doralice.
Tra gli inserti più ampi è bene ricordare quelli del canto III, in cui la Maga Melissa, nella
casa di Merlino, fa una vera e propria storia della casa Cadestre, presentando a
Bradamante le ombre dei suoi futuri discendenti.
Nella narrazione c’è un procedimento allegorico che traspare in alcuni episodi: episodio
sull’Isola di Alcina con la prigionia di Ruggero e la sua liberazione (canti VI – VIII) dove si
allude alle diverse facoltà dell’anima, alla coscienza di sé attraverso il racconto. Si
raccontano degli episodi che hanno significati allegorici. L’autore rinvia ai valori
tradizionali, ma anche ad alcuni episodi in cui c’è una morale rovesciante con tre novelle
che si inseriscono nella parte finale del poema e riguardano: L’INCOSTANZA
FEMMINILE, il tema dell’INESAURIBILITA’ DEL DESIDERIO e il tema della RELATIVITA’
DEI PUNTI DI VISTA.
Dopo le ottave dell’esordio, nella V stanza I canto, il poema da avvio alla narrazione,
sintetizzando quello che Boiardo aveva sintetizzato nel nucleo centrale de “Orlando
Inamorato”.
Con la stanza X inizia la nuova invenzione di Ariosto a partire dalla fuga di Angelica. Da
qui riparte la macchina narrativa a partire dall’incontro con Rinaldo. Qui si da un aggancio
preciso con l’Innamorato, dove Ranaldo era entrato nella selva inseguendo il suo cavallo.
“Orlando Furioso” costituisce un organismo letterario che è il risultato di un lavoro di figure,
storie e situazioni. Nel 1900 fu pubblicata un’opera “Le fonti de Orlando Furioso” ad opera
di Pino Rajna. Rajna ha evidenziato come il Furioso sia riconducibile ad una fittissima
serie di precedenti che hanno a che fare con le Chanson de Gesta, con la novellistica e la
tradizione cantica. Sottolinea anche che il Furioso si riferisce alla letteratura latina e che
quindi, l’opera, è la parte finale di tutta questa materia.
Molto importante (di Rajna) il lavoro nel momento in cui non diminuisce il valore
dell’impresa ariostesca, ma evidenzia l’originalità del Furioso perché rivela la vera
ricchezza dello sguardo RETROSPETTIVO dell’autore che lavora sul “già fatto”,
ricombinando le fonti.
Queste deviazioni fanno capo al romanzo nel momento in cui assumono le due forme di
movimento portanti della narrazione cavalleresca:
Inchiesta e Ventura sono sostenuti dal continuo emergere del MERAVIGLIOSO (elemento
contestuale al bene romantico), figura dell’illusione presente nel reale. Al meraviglioso si
riconduce la SINGOLARITA’ sia dello spazio che del tempo del poema ariostesco
4) ORLANDO FURIOSO
5) INNAMORATO vs FURIOSO
IN COMUNE:
DIFFERENZE:
Testimone della storia del suo tempo e grande prosatore italiano. E’ il teorico di una
politica razionale.
VITA
Nato a Firenze nel 1469, ebbe una formazione umanistica quando la città di Lorenzo de’
Medici era all’apice della potenza e del prestigio culturale. Dopo il rogo di Savonarola
(1498), Machiavelli iniziò l’attività politica al servizio della Repubblica fiorentina come
responsabile della seconda cancelleria e segretario dei Dieci di Balia, organo di
governo della città. Si trovò quindi protagonista della vita politica della Repubblica, con un
ruolo destinato ad accrescersi sempre più con l’ascesa del gonfaloniere Piero Soderini,
svolgendo per 14 anni un’intensa attività diplomatica.
Proprio le innumerevoli missioni diplomatiche lo portarono in giro per l’Italia e per l’Europa,
presso le corti principali del tempo, rivelatosi fondamentali per “quella esperienza delle
cose moderne” che Machiavelli rivendicò più tardi nella prima pagina del “Principe”:
missioni che gli palesarono le difficoltà in cui veniva a trovarsi la città di Firenze.
1512: i Medici assunsero di nuovo il governo della città, mandando via tutti i funzionari
che avevano servito la Repubblica di Soderini e anche Machiavelli stesso. Sospettato poi
di aver preso parte a una congiura antimedicea (1513), fu incarcerato, torturato e
condannato al confino per un anno. Sarà proprio in questo anno che scriverà “Il Principe”
(nel pieno delle guerre d’Italia); si rivolge essenzialmente a Lorenzo e ai Medici che sono
tornati, nella speranza di dimostrare quanti consigli utili potesse ancora dare, cercando di
convincerli ad assumerlo anche con incarichi umili.
Oltre alla sua maggiore opera, scriverà in quegli anni di ritiro dalla vita politica:
1520: c’è un riavvicinamento alla vita fiorentina e ai de’ Medici con le riunioni agli Orti
Oricellari, il giardino di un palazzo a Firenze, luogo in cui lesse “Discorsi sopra…”
1525: dopo la consegna ufficiale al papa Clemente VII delle “Istorie fiorentine”, torna a
ricoprire qualche incarico ufficiale fino al 1527, quando dopo il Sacco di Roma i Medici
vengono nuovamente cacciati da Firenze. Morirà nella città lo stesso anno.
LINGUA E STILE: Machiavelli scrisse tutte le sue opere principali in volgare, scelta
abbastanza "rivoluzionaria" in un periodo in cui la trattatistica storica e politica era perlopiù
in latino, e la lingua da lui usata anche nel “Principe” è il fiorentino contemporaneo, da
lui considerato strumento più efficace e di più immediata comprensione rispetto al
fiorentino trecentesco teorizzato da Bembo.
IL PRINCIPE
PREMESSA: mentre tutto il resto dell’Europa era impegnato nella formazione degli stati
nazionali, l’Italia risultava essere ancora divisa in tante signorie. Tutte queste signorie
erano impegnate nel farsi la guerra fra loro per affermare il proprio potere, motivo per il
quale il contesto della riflessione politica si concentrava principalmente sulla figura del
principe, ovvero sui mezzi che lui avrebbe dovuto adoperare per conquistare e mantenere
il potere. Non è un caso se l’opera più importante di Machiavelli è proprio intitolata “Il
Principe”, opera letteraria importante anche perché nasce dalla pratica, da un’analisi reale
e non immaginaria dell’ambiente politico; con Machiavelli parliamo di un REALISMO
POLITICO perché è un’analisi compiuta sulla realtà dei fatti e non sull’utopia.
Machiavelli scrive e analizza la politica, i suoi trucchi e i suoi meccanismi. Tratta le cose
per come sono e non per come dovrebbero essere perché, prima di essere uno scrittore, è
stato un politico.
1513: compone la sua opera più importante: “IL PRINCIPE” – trattato di strategia
politica, quasi un manuale, di 26 capitoli scritti in soli tre mesi. E’ il frutto del forzato
allontanamento da Firenze e il primo tentativo di riaffacciarsi alla vita pubblica della città
stessa. Il libro è fortemente ispirato al condottiero Cesare Borgia, considerato da
Machiavelli l’esempio ideale dell’uomo di potere, uno che si serve dei mezzi più efficaci
per conservare la propria posizione anche con la violenza e con l’inganno, al fine di
costruire uno Stato solido.
L’opera di Machiavelli nasce da due spinte: l’opera del TEORICO e l’opera dell’UOMO
D’AZIONE, della sua passionalità, dal suo desiderio di incidere attivamente sulla realtà.
Siamo nel momento in cui in Italia c’è crisi di corruzione a cui segue la consapevolezza
dell’inferiorità politica italiana, inferiorità militare e morale: su questa base si pensa a un
possibile riscatto della nazione stessa. La sintesi tra il momento TECNICO
SPECULATIVO e PRATICO PASSIONALE si spiega perché ciò che fa Machiavelli è
quello di creare le fondamenta per uno Stato.
RAPPORTO CON GLI ANTICHI: Machiavelli guarda gli autori del passato e li guarda con
gli stessi metodi degli umanistici, ma ritiene che la lezione degli antichi possa essere
universale grazie alla “naturalità” degli uomini, ovvero la tendenza di avere sempre gli
stessi comportamenti da secoli e millenni. Le storie non vanno considerate solo per la
lettura, ma sono fonte di esempi, modelli e di insegnamenti.
Machiavelli storico rivela una maturità di pensiero straordinaria; egli presenta un carattere
pragmatico degli scritti storici: attraverso la scrittura storica , egli tende a dimostrare con
l’analisi del passato la VALIDITA’ delle sue tesi politiche. Nelle sue opere possiamo
notare, infatti, la sua passione per la politica.
“ISTORIE FIORENTINE”: opera storica di 8 libri in volgare dedicata a Giulio de’ Medici.
Nel I libro viene sintetizzata la storia dell’Italia, dalla caduta dell’Impero Romano al 1434.
Dal II al IV libro Machiavelli racconta la storia di Firenze fino al 1434, anno in cui Cosimo
de’ Medici instaura la Signoria. Nei 4 libri successivi si va dal 1434 al 1492, morte di
Lorenzo il Magnifico.
Il fine pragmatico dell’opera si evince all’interno del poema dove Machiavelli rimprovera
agli storici umanistici (Bracciolini) di essersi soffermati su elementi di politica estera. Per
l’autore è più importante “mettere a fuoco” le CIVILI DISCORDIE (storia interna),
specialmente in una città come Firenze. – Machiavelli dimostra così di essere un
grande storico in quanto attinge a fonti senza aver paura di sottoporle alla verità. –
OPERE LETTERARIE
“IL DEMONIO”: novella in un cui tratta un tema tradizionale, tema della dama in
grado di portare alla disperazione.
“LA MANDRAGOLA”: commedia considerata un capolavoro del teatro
cinquecentesco, un classico della drammaturgia italiana. Composta da un prologo e
5 atti, è una potente satira sulla corruttibilità della società italiana dell’epoca.
OPERE POLITICHE
“DISCORSI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO”: frutto di una lunga elaborazione
durata tre anni (’13 al ’19), l’opera punta a individuare i fattori di durata dello Stato
prendendo spunto dalla storia di Roma di Tito Livio. Furono di pubblicazione postuma, nel
‘531.
FRANCESCO GUICCIARDINI
Francesco Guicciardini fu protagonista della vita politica italiana negli anni delle guerre tra
Francia e Spagna, diventandone l’interprete sul piano storiografico.
VITA
Nasce a Firenze nel 1483, ricevette una solida formazione umanistica. Contro il volere del
padre sposa Maria Salviati in quanto la sua famiglia era avversaria a Pier Soderini,
gonfaloniere a vita di Firenze. Non si curò di queste rivalità perché il suo scopo era quello
di avere un ruolo futuro politico e, infatti, questo matrimonio fu per lui un trampolino di
lancio garantendogli una brillante ascesa politica:
1516: con la salita al soglio pontificio di Giovanni de’ Medici (Leone X), viene
nominato governatore di Modena
1517: viene nominato governatore di Reggio Emilia e Parma
1521: nominato commissario generale dell’esercito pontificio in quanto
scoppiato un conflitto fra Leone X alleato con Carlo V (re di Spagna), contro i
francesi.
Il servizio di Guicciardini alle dipendenze del papa Clemente VII ebbe degli esiti disastrosi:
consigliere di fiducia del pontefice, lo spinse a formare un’alleanza con la Francia (Lega di
Cognac). Consiglio fatale perché nel ‘527 ci fu il Sacco di Roma, data che coincide anche
con la morte di Machiavelli e la caduta dei Medici a Firenze – sarà in questo anno che
verrà rimosso da ogni carica che copriva.
Dal 1537 al 1540 (anno della sua morte), si ritirò nella sua villa privata dove scrisse “Storia
d’Italia”. Morì lì in solitudine.
OPERE
“STORIE FIORENTINE”: (1508/9) qui l’autore indaga sulla causa degli eventi mettendo in
risalto la figura di Lorenzo de’ Medici e Savonarola, con l’interesse di illustrarne le
contraddizioni.
“DIALOGO DEL REGGIMENTO DI FIRENZE”: (1526 – due libri) qui Guicciardini propone
il modello di governo misto che dia sfogo sia alle esigenze del popolo e allo stesso tempo
il prestigio ai grandi
“STORIA D’ITALIA”: scritta tra il ‘537 e il ‘540, in 20 libri. Qui Guicciardini si rifà a
Machiavelli riprendendo da dove l’autore aveva lasciato; l’opera abbraccia avvenimenti tra
il 1494 (morte di Lorenzo) e il 1534 (morte di Clemente VII). Si tratta del quadro della
decadenza italiana e quest’opera presenta caratteristiche diverse dalla tradizione
umanistica. E’ in quest’opera che vengono fuori le capacità di Guicciardini, la sua
straordinaria capacità analitica (smontare un evento nelle sue tante componenti) e la
capacità sintetica (visione complessiva dei fatti), fino ad illustrare lo scenario che ha
condotto in condizioni disastrose l’Italia. Dallo studio del passato nasce così l’idea di un
Italia che ha bisogno di realizzarsi come uno stato unitario; chiaramente Guicciardini non
si illuse che questo potesse avvenire in breve tempo. L’opera presenta una lingua di
grande nobiltà formale.
“RICORDI”: 1530, anno della redazione definitiva dell’opera. La stesura di queste brevi
riflessioni coprì tutto l’arco della vita dello scrittore. Qui l’autore riflette sulla rovina d’Italia
con una lucidità che esclude ogni riferimento a modelli e teorie. La sua qualità per
eccellenza è la DISCREZIONE, ovvero “il buon occhio del saggio” in grado di cogliere i
tratti distintivi in una situazione che ha come caratteristica la PARTICOLARITA’
(situazione irripetibile). In questo quadro l’obiettivo da perseguire è costituito dal
PARTICOLARE (ambizione, conformismo), che riguarda sia la sfera personale sia il
campo politico, ha una forte forma di egoismo e, IL SENSO DELL’ONORE può redimere il
particolare. Guicciardini non ha una buona visione della Chiesa e del clero perché
convinto della loro corruzione. In virtù della consapevolezza di questa corruzione dice di
voler passare dalla parte luterana ma non lo fa per il particolare, una forma di
conformismo; in questo conformismo c’è una forma di debolezza personale: troveremo
queste tesi esposte ne “i Ricordi politici”.
Altre opere:
REALTA’ E STORIA: per Machiavelli gli eventi seguono precise logiche, quindi è utile
rifarsi al passato per evitare danni futuri, per Guicciardini la storia passata non serve per
comprendere e controllare gli eventi.
GENERI
Il ‘500 è il periodo in cui si codificano i generi letterari. Alla base di questa definizione
troviamo la poetica di Aristotele nella quale il romanzo ovviamente non c’era.
ROMANZO: si presenta come genere nuovo che causa disdegno e diffidenza nei
classicisti, dovuto dal fatto che non era previsto questo nuovo genere. Con diffidenza
perché il romanzo è un genere misto in cui concorrono più forme e ricomposizioni, ma
riscuote un grande successo nel pubblico e nei lettori.
LIRICA: la lirica del primo ‘500 (il secondo ‘500 il classicismo degenera fino a diventare
manierismo e poi barocco) presenta anche delle mutazioni su figure sociali che fin ora
erano rimaste ai margini: le donne. Troviamo la categoria della cortigiana honesta, una
prostituta di alto livello sia perché selettiva nelle frequentazioni, sia perché non
intraprendeva relazioni amorose, ma anche intellettuali e artistiche. Tra le più importanti
poetesse ricordiamo:
TRAGEDIA: genere prettamente cortigiano che si pensa solo nella forma aulica e perfetta.
La tragedia segue le regole formulate nella “Poetica” di Aristotele: unità di tempo, luogo e
azione.
ANTICLASSICISMO
Il consolidamento delle monarchie assolute e il dominio della Spagna sull’Italia sono gli
elementi di un periodo di grave crisi politico-culturale. Ancor più determinante lo
sconvolgimento prodotto dalla riforma protestante. La Chiesa reagì convocando il Concilio
di Trento (‘545-‘563) con l’intento di una più rigida definizione dei dogmi. Il forte controllo
della Chiesa si esercitò anche sull’elaborazione della cultura.
EPISODI
1527: Scacco di Roma che rappresentò un duro colpo per l’Italia andando ad abbattere
l’ottimismo del popolo stesso.
1545: era iniziato il Concilio di Trento e finito nel 1563; dopo questo concilio il mondo
cristiano occidentale si trovò diviso in: cattolici e protestanti.
1559: è la data del Trattato di Cateau – Cambésis con conseguente dominazione dell’Italia
da parte degli spagnoli. Questo trattato delinea una vera e propria linea tra la fine di una
fase storica e l’inizio di un’altra: parliamo di una dominazione DIRETTA da parte della
Spagna.
Nel 1559 gli artefici massimi italiani erano morti: Bembo (1547), Ariosto (1533), Machiavelli
(1527), Guicciardini (1540). Così la crisi, già presente dopo la morte di Lorenzo il
Magnifico e la scoperta dell’America, era ormai evidente.
A fine ‘500 la crisi che seguì a determinati eventi si manifestò lentamente e si fece sentire
in modo più forte a partire dalle GUERRE che continuarono a sconvolgere l’Italia,
l’AVANZATA DEI TURCHI, le PESTILENZE e le varie RIBELLIONI (Napoli, Palermo,
Messina…)
Fu il clero a controllare la scuola e la cultura. Gli scrittori si trovarono a fare i conti con la
Chiesa e con i sovrani alleati tra loro.
LA CHIESA: alla Chiesa bisogna riconoscere un posto centrale nella vita di questo
periodo. La riforma protestante, che allontanò da Roma buona parte dell’Europa, provocò
una duplice risposta: la prima è la controriforma protestante, la seconda è la riforma
cattolica.
Controriforma protestante: è stata la risposta della Chiesa in alleanza con i
sovrani (movimento esterno)
Riforma cattolica: fu un moto di rinnovamento del sentimento religioso interno da
parte della Chiesa (movimento interno)
Con l’opera di Francesco Berni “Il dialogo dei poeti”, scritto nel 1527, fa notare il “divorzio”
tra fede e umanesimo, andando ad evidenziare che la letteratura umanistica non poteva
accordarsi perfettamente alla fede cristiana, per cui i poeti moderni umanisti potevano
essere cacciati per “incredulità”.
La letteratura del secondo ‘500 è caratterizzata da INQUIETUDINE. Ci fu un circolo di
religiosità creatosi intorno alle figure di Vittoria Colonna, Giovanni Della Casa, Luigi
Tansillo che scrisse “Le lacrime di San Pietro”, poemetto religioso che l’autore fa seguire
ai poemetti licenziosi nel momento in cui vive una nuova fase.
VITA
Nacque a Sorrento nel 1544 e girò molto. Studiò a Napoli presso i gesuiti; fu anche a
Roma, Urbino e Venezia dove compose il I canto del “Gierusalemme” (116 ottave), opera
incompiuta. A Padova, luogo in cui studiò diritto, venne a contatto con i maggiori esponenti
della cultura padovana, tra cui Sperone Speroni; studiò la politica di Aristotele e si educò
a quella lucida riflessione di poesia. Visse una vita drammatica peregrinando tra varie città
e corti italiane, vittima di turbe psichiche dello sforzo creativo e delle angosce derivanti
dalla vita cortigiana, morirà a Roma nel 1595.
1577: lo sforzo creativo e le tensioni della vita cortigiana mirarono il suo fragile squilibrio
psichico, sentendosi sempre più vittima di congiure. Per verificare la propria correttezza
teologica volle sottoporsi al vaglio del Sant’Uffizio: assolto, non accettò volentieri la
sentenza, in quanto si sentiva incerto nei confronti della fede cattolica. Sempre più
sospetto mostrò un atteggiamento delirante che culminò con l’aggressione a un servo,
per cui venne messo in custodia nel convento di San Francesco.
Tasso fuggi da Ferrara e dopo varie peregrinazioni ci tornò nel 1579, nel giorno delle
nozze di Alfonso II, cominciando ad inveire contro il duca: arrestato, fu rinchiuso
nell’ospedale di Sant’Anna. Durante la sua reclusione uscì la prima edizione integrale
della “Gerusalemme liberata” – il poeta seguì con ansia e interesse le vicende del proprio
lavoro e scrisse l’apologia della Gerusalemme liberata in difesa delle scelte compiute.
OPERE PRINCIPALI
AMINTA: questo dramma pastorale rivela la grandezza poetica di Tasso. L’opera risente
dell’aristotelismo in cui abbiamo una divisione in 5 atti e la presenza di unità di tempo e
luogo. Il mondo è rappresentato come una specie di paradiso terrestre non toccato dal
peccato né tantomeno dalla consapevolezza di esso; è la dimensione in cui l’essere
umano raggiunge la perfezione seguendo il proprio istinto naturale. L’opera termina con un
matrimonio (conclusione moralistica). Il centro lirico dell’Aminta è il vagheggiamento
della mitica età dell’oro, quando l’onore ancora non si conosceva.
Sono testi che danno ragione alle preoccupazioni retoriche e stanno alla base della
Gerusalemme. Goffredo è l’unico protagonista dell’opera , ne deriva una
regolamentazione della cultura. Al fondo dell’opera c’è un MOTIVO RELIGIOSO presente
in due specie: nella specie della controriforma e la riforma cattolica (senso sincero del
divino, peccato misto a un desiderio di saggezza).
Un altro motivo è quello della guerra e dell’eroismo. Sono motivi che si rifanno a una
concezione dolorosa della vita. La guerra, la lotta e la morte hanno qualcosa di tormentoso
perché essa non è più motivo di coraggio, non è più un’avventura, ma è un dovere che
porta alla morte e in automatico al dolore. Nascono figure di cavalieri pensosi che
meditano sulla vita.
Troviamo un altro tema, quello dell’amore: Tasso vede l’amore in modo rinascimentale. E’
inteso come pathos ma misto all’amore struggente (uomo o donna che fugge) – in questo
struggimento c’è qualcosa di artificioso.
L’opera dopo la sua pubblicazione è stata subito oggetto di critiche. La sua uscita offre un
argomento importante, andando a creare una vera e propria polemica letteraria fondata
sul confronto tra il “Furioso” e “Gerusalemme”. Il periodo di tempo che intercorre tra la
pubblicazione delle due opere non è da sottovalutare in quanto erano passati pochi anni
tra le due opere; tuttavia in quegli anni si erano verificati diversi cambiamenti a causa degli
avvenimenti e delle conseguenze che la riforma e la controriforma avevano determinato.
Tasso risente molto del cambiamento di tendenze tant’ vero che nella sua opera ne
troveremo due diverse:
1. STILE EROICO: abbiamo il senso del magnifico, del grave, del sublime.
Questo stile si trasforma in un linguaggio aulico (vengono spesso usati
termini come “alto” e “magnifico”: segno di ispirazione alla grandezza eroica)
2. STILE PATETICO: troviamo un tono lirico, sentimentale, pastorale, solenne
e commosso. Sono stili che si intrecciano e alternano tra loro, in un MODUS
ricco di pause, lontani dall’ARMONIOSA OTTAVA ARIOSTESCA.
“A dar si volse vita con l’acqua a chi col ferro uccise” – all’interno di questo verso c’è
l’antitesi (vita-morte). La morte ha un significato letterario, la vita ha un significato diverso
in quanto la vita eterna è garantita dall’acqua battesimale. Questa metafora fa capo al
concettismo, come tante altre presenti nel Tasso; questo gusto si accentuerà nella
poesia barocca.
ARGOMENTO STORICO: Tasso è teorico della sua poesia e dal momento in cui scrive la
“Gerusalemme liberata” ha bisogno di vedere applicata nella sua poesia poetica quei
principi che lui stesso ha enunciato nei testi teorici. Uno di questi principi riguarda la scelta
dell’argomento. Nel caso di quest’opera si tratta di un argomento storico (differenza con
Ariosto che aveva discusso temi cavallereschi), scegliendo di parlare della conquista del
sacro sepolcro (fatto storico realmente accaduto). Questo argomento scelto consente
all’autore di trovare uno spunto per attingere al meraviglioso (diverso da Ariosto in cui
c’erano fate e maghi), al sovrannaturale cristiano (avremo angeli e diavoli), l’intervento
del cielo e quello infernale (andrà ad ostacolare i crociati). E presente anche il motivo
della guerra (presente anche in Ariosto ma in maniera diversa).
ALTRE OPERE
1562: inizia la composizione del poema cavalleresco “Il Rinaldo”, con dedica al Cardinale
Luigi D’Este che lo assunse al suo servizio nel 1565, entrando così alla corte ferrarese. E’
un poema bilanciato tra il pensiero aristotelico e la fedeltà al genere romanzesco. In
quest’opera è evidente la voglia di staccarsi dal poema cavalleresco.
Nello stesso anno viene concepita una bozza dei “Discorsi dell’arte poetica”, pubblicata
postuma nel 1587; nel 1572 va al servizio del Duca Alfonso, nel 1573 troviamo il
frammento di una tragedia “Galealto re di Norvegia” e, come riconoscimento della sua
arte, nel 1576 venne nominato storiografo di corte.