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IL CINQUECENTO – RINASCIMENTO

La data di inizio dell'era moderna è convenzionalmente posta al 1492, anno della Scoperta


dell’America, e della morte di Lorenzo il Magnifico, ago della bilancia nella scacchiera
politica italiana. Negli anni vicini, prima e soprattutto dopo, avvennero una serie di fatti di
gravità epocale che demolirono, uno dopo l'altro il sistema di certezze che era stato alla
base del mondo umanistico. Secolo decisivo per le sorti d’Europa, in quanto:
1. Con la morte di Lorenzo il Magnifico (1492), finisce così il periodo di pace e
stabilità nella penisola. Infatti l’Italia, debole e senza qualcuno che sappia mediare
la scena politica esterna ed interna, diventa facile preda per gli stati vicini che si
stanno man mano affermando sulla scena europea.
2. La discesa in Italia, nel 1494, dell’esercito di Carlo VIII di Francia, aiutato da
Ludovico il Moro, riesce ad impadronirsi del Ducato di Milano, di Firenze e del
Regno di Napoli. Successivamente, cacciato da una lega antifrancese, Carlo VIII
torna in Francia.
3. Inizia la creazione del grande impero asburgico di Carlo V e le inevitabili guerre
per la supremazia tra Impero e Francia; in tale quadro l’Italia è territorio di conquista
e teatro di lotte che culminano con il Sacco di Roma (1527).
4. Dal 1530 è riconosciuto il predominio di Carlo V sull’Italia; parallelamente si
affermano la grande riforma protestante di Lutero con le 95 tesi alla cattedrale di
Wittemberg. Alla riforma protestante segue la riforma cattolica: la Chiesa cattolica,
da parte sua, con il Concilio di Trento, ridefinisce le sue strutture e precisa i suoi
dogmi contro la scissione protestante. (reagisce alla diffusione della riforma
protestante in Europa)

Tutti questi eventi segnarono duramente la società europea, e in particolare quella italiana,
inaugurando un periodo di guerre, instabilità e smarrimento, dove anche punti di
riferimento intoccabili come il papato sembrarono vacillare.

Il ‘500 fu un secolo ricchissimo sul piano letterario e artistico: ci fu una cultura prettamente
laica che ebbe nelle corti i suoi centri di produzione. All’interno della corte c’è un
crescendo di attività intellettuali e culturali rispetto al ‘400. Presente in questo secolo sarà
il classicismo, formato da equilibrio e perfezione, codici e regole di comportamento
letterario secondo le leggi aristoteliche per conseguire l’eccellenza della poesia. I maggiori
esponenti di questo secolo saranno Machiavelli e Guicciardini, ma andiamo per gradi:

 Intorno agli anni ’30 ritroviamo la sintesi della cultura umanistico-rinascimentale


nell’opera di Machiavelli e Ariosto. L’opera di Guicciardini è come il simbolo di una
società italiana ormai in crisi, schiacciata dal potere della Francia e della Spagna. Il
lavoro filologico e poetico di Bembo, insieme a quello di Castiglione e altri,
stabilisce il canone del classicismo italiano: il petrarchismo.
 Solo marginalmente si diffonde la cultura del manierismo (Pietro Aretino, Bandello,
Folengo) accanto alla grande esperienza del teatro veneto (Ruzante).
 Dagli anni 50’ in poi la letteratura entra in una crisi profonda che è anche segno di
una decadenza politica. Figura di sintesi altissima quanto dolorosa è Torquato
Tasso, la cui “Gerusalemme liberata” è il segno di un’aspra tragedia, di una
decadenza culturale e storica ormai senza via d’uscita.
RINASCIMENTO: (PRIMO ‘500) Con il termine Rinascimento gli studiosi indicano il
periodo della massima fioritura letteraria e artistica che caratterizzò l’Italia nella prima
metà del ‘500, approssimativamente tra il 1492 (morte di Lorenzo il Magnifico e scoperta
dell’America) e il 1545 (apertura del Concilio di Trento che segna l’inizio della
Controriforma).

Tale periodo viene diviso in altre due fasi definite “Rinascimento maturo” e “tardo
Rinascimento”, ponendo come spartiacque l’anno del Sacco di Roma ad opera dei
Lanzichenecchi (1527); la principale differenza tra i due momenti è il fatto che nei primi
trent’anni del secolo sono attivi i principali scrittori e artisti italiani (Machiavelli, Ariosto,
Michelangelo), mentre nella seconda fase c’è carenza di grandi opere e in poesia si
anticipa la tendenza del manierismo, che caratterizzerà la successiva età della
Controriforma e che consiste nell’imitazione dei modelli classici talvolta privi di originalità.

Il termine Rinascimento si focalizza soprattutto sulla ripresa dei valori classici e dell’arte
dopo i secoli “bui” del Medioevo, e in questo senso, il periodo si pone in forte continuità
con l’Umanesimo, tanto che alcuni studiosi parlano di civiltà umanistico-rinascimentale
senza vedere differenze tra i due secoli.

In realtà la differenza c’è: il Rinascimento sul piano letterario prosegue sì, sulla stessa
linea di quella precedente (riscoperta dei classici, rivalutazione della natura e del corpo
umano), ma con una maggiore consapevolezza e con una tendenza alla codificazione e al
regolismo in tutti i campi, specie in quello del comportamento e della lingua. Conosce un
grande sviluppo anche la stampa e viene letteralmente scoperto il teatro classico,
attraverso i due generi principali della commedia e della tragedia.

Altra novità è data dalla riflessione politica, che con l’opera fondamentale di Machiavelli
introduce il pensiero politico moderno, tagliando i ponti con la trattatistica medievale e la
visione teocentrica dello Stato.

Se il Rinascimento è ancora una letteratura di corte, prodotta per un pubblico di cortigiani


e poco interessata al mondo esterno, vi sono comunque degli scrittori che non si
riconoscono in questo modello e propongono opere di carattere opposto, che ricercano
squilibrio e disarmonia, il cosiddetto antirinascimento.

MANIERISMO: (SECONDO 500) E’ una corrente artistica, prima italiana e poi europea. Si
presenta come una fase di transizione tra il Rinascimento e il Barocco ed è l’insieme di
correnti, manifestazioni e gusti letterali. La Chiesa dolo il Concilio di Trento mette in atto la
controriforma che si ostinava a controllare lo sviluppo della cultura; questa “soluzione” fece
venir meno gli stimoli culturali e innovativi tant’è che ogni interesse ed entusiasmo era
tramontato.
Appartengono al manierismo:
- Il piacere del paradosso di Berni
- L’autobiografismo eroicizzante di Cellini
- La prosa raffinata di Della Casa
- Il controllo stilistico di Firenzuola
- La bizzaria del Lasca e Gelli
- La grande poesia di Tasso
CENTRI DI DIFFUSIONE DELLA CULTURA

ACCADEMIE: le Accademie erano sottoposte al controllo del Principe e restano per tutto il
‘500 uno spazio di libertà e confronto culturale. Non possono confrontarsi con quelle del
secolo precedente perché quelle del ‘500 sono organismi concentrati sulla divulgazione
della cultura. Dal punto di vista della scrittura ogni Accademia ha un proprio metodo ma,
un tratto diffuso, è la pianificazione collegiale; è un tratto caratteristico che troviamo
nell’Accademia degli Intonati. La più bella opera uscita da questo centro di cultura è la
commedia “Gli ingannati”, pubblicata anonima; la stesura collettiva è come un copyright di
cui gli Intonati ne vanno fieri (solidarietà di gruppo). Ogni città italiana aveva accanto alla
corte una o più Accademia e rappresentano per tutto il secolo un’indipendenza
intellettuale.

UNIVERSITA’: nel ‘500 le Università non stavano passando un bel periodo perché si
ritardava nel coltivare i saperi. In Italia il controllo della Chiesa aumentò la crisi nel sistema
universitario: nel 1564 Pio IV fece fare un giuramento di fedeltà cattolica ai laureandi e
questo, chiaramente, provocò l’esodo degli studenti stranieri. A Padova e Bologna 37
nazioni studentesche si ribellarono e da questo episodio le Università italiane persero
punti. Anche Pisa si trasformò in un Ateneo locale.

TIPOGRAFIE: sono il nuovo centro di cultura del ‘500. La novità la troviamo negli
stampatori come Aldo Manuzio, che rappresenta l’incontro tra la cultura e la capacità
imprenditoriale. Marcolini e Giunti sono editori di mercato stampando non solo per gli
Umanisti ma anche per ogni classe sociale. Lo scrittore nel ‘500 scrive avendo in mente
già un editore, un libro a stampa e procedure di commercio. Ne sarà un esempio “Tasso”
nella sua “Gerusalemme liberata”.

CORTI: il rapporto tra gli intellettuali rinascimentali e il potere è davvero complesso. Nella
satira I dell’Ariosto si può notare la figura del Cortigiano: il signore offre privilegi e
protezione e in cambio il poeta dona la sua gratitudine attraverso i testi – questo scatenerà
una rivendicazione dell’indipendenza personale. Nasce nel poeta/artista un atteggiamento
di rifiuto per la vita di corte perché questo limita la sua libertà di uomo essendo sottomesso
ai favori del Principe: secondo Ariosto l’uomo non si realizza nella vita di corte ma in quella
privata perché solo lì è libero interiormente. Gli intellettuali si sentivano offesi e umiliati
perché costretti a lavorare per lavori poco pagati e perché erano limitati sulla creazione
delle opere. Occorre precisare che con le Guerre d’Italia la carriera ecclesiastica era molto
ambita perché, fino al Concilio di Trento, offrì dei benefici. Dal Concilio di Trento in poi la
vita ecclesiastica diventa una professione riservata: con la Controriforma la Chiesa diventò
rigida su chi far entrare nel clero.

STAMPA E CENSURA: Nel ‘500 il mercato del libro si espande ad ogni classe sociale,
dall’altra c’è il controllo della carta stampata. La Chiesa si sentiva minacciata da questa
nuova “tecnologia” e così il papa decise che nessun libro poteva essere stampato senza
l’approvazione del vescovo del luogo. Con il Concilio di Trento questo controllo si
perfeziona: nel 1559 usciva “L’Indice” dei libri proibiti, un indice che proibiva gli scritti di
autori in volgare; successivamente uscirono altri indici con proibizioni diverse. Tutte queste
“giravolte” dimostravano che era difficile tenere sotto controllo la situazione tant’è vero che
nel 1586 Elisabetta d’Inghilterra stabilì la distruzione dei libri vietati e la persecuzione degli
stampatori: tutta l’Europa cristiana voleva limitare i danni della stampa.

La censura non si occupava di distruggere solo libri proibiti ma, per qualche testo, si
poteva chiudere un occhio per rassettarlo: è quanto successe al “Decameron” perché
giudicato testo da proibire ma troppo pregiato per distruggerlo. La prima revisione di
questo lavoro fu affidata a Vincenzo Borghini ma non bastò perché, nel 1582, Lionardo
Salviati, sottopone il testo a delle modifiche per salvaguardare gli uomini di Chiesa.

GLI ARTISTI

Inizialmente essere artista significava essere un artigiano ma nel ‘500 la storia cambia:
grazie alle migliori condizioni economiche essi potevano accedere al mondo della cultura
e della letteratura in proprio. Gli artisti cominciano a scrivere autobiografie come Cellini o
Michelangelo ma, l’opera che da agli artisti uno status nuovo sono “Le vite” dell’artista
Giorgio Vasari, al servizio di Cosimo I de’ Medici.

 GIORGIO VASARI: Pittore manierista, architetto e storico dell’arte


italiana. Il suo nome è legato all’opera “Le vite”, il primo libro di storia
dell’arte che ci sia pervenuto, nonché la fonte di notizie biografiche degli
artisti tra Medioevo e Rinascimento: Brunelleschi, Michelangelo e
Raffaello.
 BENVENUTO CELLINI: Scultore, scrittore e artista italiano. Considerato
uno dei più importanti artisti del Manierismo. Calorosamente accolto alla
corte medicea da Cosimo I de’ Medici, elevandolo a scultore di corte
realizzando “Perseo con la testa di medusa”. Scrisse anche una biografia
“La vita”.
 MICHELANGELO BUONARROTI: Scultore, pittore, architetto e artista
italiano – riconosciuto come il più grande artista di tutti i tempi. il giovane
artista venne accolto come figlio adottivo nella più importante famiglia in
città. Ebbe così modo di conoscere direttamente le personalità del suo
tempo, come Poliziano, Ficino e Pico della Mirandola, che lo resero
partecipe della dottrina neoplatonica e dell'amore per la rievocazione
dell'antico. Il suo nome è legato alla maestosità delle sue opere, quali:
- Il David
- La Pietà del Vaticano
- La Cupola di San Pietro
- Gli affreschi nella Cappella Sistina.
CLASSICISMO RINASCIMENTALE: a partire dagli anni ’20 e ’30 si consolida un’idea di
classicismo, di raffinatezza e di armonia linguistico-espressiva che non si limiti a proporre i
canoni di un’imitazione generica della letteratura classica. Mentre altrove si consolidano
Francia, Spagna e Inghilterra, nel ‘500 l’Italia non è in grado di dar vita a un paese
moderno. Ci si chiedeva quale italiano usare in Italia e autori che diedero un contributo
a questo dilemma furono:

PIETRO BEMBO (1470-1547): diede un contributo decisivo per il cambiamento della


lingua letteraria in Italia; la sua idea fu quella di fare una distinzione tra lingua scritta e
lingua parlata. Nel suo dialogo “Prose della volgar lingua” (1525) in tre libri, dimostra
come la lingua cortigiana non può essere lingua nazionale sia perché varia, sia perché è
legata a una politica poco stabile. Bembo critica Vincenzo Calmeta, autore del trattato
“Sulla volgar poesia”, perché proponeva come lingua nazionale una lingua di corte (quella
romana); dimostra che tra tutte le corti quella Pontificia è la più sconsigliata perché a
Roma i papi cambiano e portano con sé inclinazioni linguistiche diverse a seconda della
loro nazionalità. Bembo mette agli atti che l’Italia non ha un centro di elaborazione di una
lingua nazionale e che, essendo la nazione divisa in tante realtà locali, non può aspirare a
una lingua d’uso unitaria. Stabilisce così la necessità di usare il volgare come lingua
letteraria, sostenendo il recupero del toscano di Dante, Boccaccio e Petrarca come
lingua letteraria nazionale in opposizione a chi proponeva l’uso della lingua delle corti
(Castiglione) o quello fiorentino contemporaneo. La sua soluzione riuscì a imporsi nella
società letteraria italiana: Ariosto, per esempio, modificò la lingua del Furioso e molti altri
scrittori si adeguarono alle norme e alle regole codificate da Bembo. Altre opere di Bembo
sono “Le Rime”, in cui si rifà a Petrarca e sembrano scritte sotto l’occhio del “Canzoniere”:
ne riprende termini, storie; da questa opera verranno scritti poi i “petrarchini”, glossari del
lessico petrarchesco. Bembo non ha una sua personalità poetica originale, era un
rifacitore del modello petrarchesco (principio di imitazione). Citeremo anche gli “Asolani”
in cui si parla dell’amore platonico.

BALDESAR CASTIGLIONE (1478-1529): codifica le norme di comportamento del perfetto


uomo di corte. Castiglione è celebre per il trattato in 4 libri, scritto in forma dialogica e
intitolato “Il libro del Cortegiano”, in cui si parla di quali siano gli atteggiamenti più
consoni ad un uomo di corte e una dama di palazzo.

 Primo libro: vengono elencate le qualità fisiche e morali (nobiltà, esercizio nelle
armi)
 Secondo libro: si descrivono i comportamenti del cortigiano ideale (diplomazia,
conoscenza dei giochi di società)
 Terzo libro: si delineano i tratti ideali della donna di palazzo (bellezza, devozione,
intelligenza)
 Quarto libro: si chiude con un lungo discorso filosofico sull’amore platonico,
strumento fondamentale per la conoscenza del Sommo Bene.

Il cortigiano deve saper fare tutto, deve saperne di pittura, musica, deve conoscere l’arte
dell’eloquenza, deve essere un buon conversatore: il perfetto cortigiano è una figura
costruita. Lo stile del Cortigiano è improntato dagli ideali rinascimentali di equilibrio,
classicità e compostezza. Ebbe da subito una grande fortuna presso le principali corti
europee, fino alla rivoluzione francese.

GIANGIORNO TRISSINO (1478-1550): fu un sostenitore del classicismo letterario e


artistico. Nel dialogo “Il Castellano” affrontò la questione della lingua, rifiutando la tesi
della lingua toscana e fiorentina stando a favore dei vari dialetti (parlar comune) sulla
base del dantesco. Propose una riforma ortografica, chiedendo di aggiungere nuove
lettere dell’alfabeto italiano per distinguere quei suoni che non hanno un corrispettivo
grafico.

GIOVANNI DELLA CASA (1503-1556): figura più rappresentativa del petrarchismo


manierista. “Il Galateo de costumi”, considerato il capolavoro Della Casa, è un trattato
sulle buone maniere e sul corretto modo di comportarsi in società. Nel testo un vecchio
saggio educa un giovane alle buone maniere da tenere a tavola, nelle riunioni conviviali,
nel vestire, nelle conversazioni. L’opera codifica così, all’interno degli ideali umanistici,
norme di comportamento improntate all’ideale classico del giusto mezzo.

ANNIBAL CARO (1507-1566): fu autore di un libro di “Rime” di stampo petrarchista.


L’opera che gli valse la maggior fama fu la sua traduzione in endecasillabi sciolti
dell’Eneide di Virgilio; tradusse, inoltre, la “Poetica” di Aristotele e “Lettere a Lucilio” di
Seneca. La sua commedia gli “Straccioni” è un importante esempio di teatro erudito
rinascimentale che fornisce una descrizione di Roma del ‘500.
LUDOVICO ARIOSTO

Ludovico Ariosto è la voce più elevata della poesia rinascimentale. L’Orlando Furioso
propone una visione moderna e l’ideale della dignità umana; si offre come la sintesi di
un’eleganza narrativa che, comunque, mantiene in vita quella comicità quasi ironica, tipica
del racconto epico. Ariosto è l’esempio di un Rinascimento allegro e potente; è il
modello di una letteratura perfetta che sa equilibrare, senza sforzo, musica, figure e
ricchezza poetica.

Tradusse in forme poetiche il classicismo aulico, le tendenze, i gusti della sua epoca (della
civiltà cortigiana a cui apparteneva) in forme letterarie fino ad approdare allo “stupido
sognatore”, così definito da Carducci.

VITA

Nasce a Reggio Emilia nel 1474. La città all’epoca era collegata al ducato estense.

1484: il padre (Niccolò) si trasferisce a Ferrara e sarà qui che intraprenderà i primi studi di
legge, ma la sua era una vocazione umanistica e per questo motivo, abbandonati gli studi
di giurisprudenza, si dedica a quelli letterari (latino, non greco). A Ferrara ha la possibilità
di conoscere Bembo, uno dei più importanti intellettuali dell’epoca; furono legati da una
grande amicizia e sarà proprio lui a convincerlo nel coltivare la passione per la poesia in
volgare.

1503: passa al servizio di Ippolito d’Este (cardinale, fratello del Duca Alfonso) entrando
nella cerchia dei cortigiani stipendiati, con tutte le ambiguità che l’essere cortigiano poteva
rappresentare. Ariosto si trovava così ad essere incaricato di impegni di grande
importanza, svolgendo talvolta anche degli incarichi umilianti tant’è che si lamentò spesso
di questa condizione da cortigiano (nelle Satire). Dopo il servizio sotto Ippolito d’Este si
trova al servizio del Duca Alfonso, in cui gli fu affidato il compito di governatore della
Garfagnana.

Negli ultimi anni della sua vita vive come avrebbe voluto con la sua amata e suo figlio in
una casetta di periferia, in cui muore nel 1533. Nel 1532 scrive l’ultima edizione
dell’Orlando Furioso.

OPERE

OPERE MINORI: la commedia comica e le liriche latine furono gli ambiti privilegiati da
Ariosto all’inizio della sua attività letteraria. Ancora in tarda età si cimentò con le traduzioni
di Terenzio e Plauto.

 COMMEDIE:
 “La cassaria” (1508) e “I suppositi” (1509): inizialmente scritte in prosa ed
eseguite a Carnevale, successivamente modificate, sono commedie di
ambiente che, nell’osservazione di vizi, virtù, intrighi ed equivoci umani,
risentono anche del modello novellistico boccacciano. Alle corti erano
richieste commedie e feste. Non solo autore, ma anche commediografo,
Ariosto realizzava anche spettacoli. Inizialmente per le rappresentazioni si
prendevano le commedie latine e si rappresentavano le traduzioni, in un
secondo momento si elaboravano dei testi originali in volgare e Ariosto ne
costituì un punto di partenza (commedia regolare).
 “Il Negromante”: abbozzata nel 1509, terminata nel 1520 e riscritta nel
1529, macchinosa ma meno interessante risulta essere quest’opera in
endecasillabi sdruccioli. Negromante era un mago imbroglione (il centro della
vicenda) per ridicolizzare le credenze irrazionali sulla magia da un punto di
vista dello scetticismo laico.
 “La Lena” (1528): la più riuscita. Una commedia in versi in cui trionfano le
astuzie di due giovani innamorati. E’ l’interesse economico il tema centrale;
ci sono riferimenti alla realtà ferrarese con spunti satirici alla disonestà, alla
corruzione e alla burocrazia amministrativa.
 LIRICHE LATINE: scritte nella sua prima giovinezza. Prende ispirazione dai modelli
classici (Orazio, Catullo e soprattutto Virgilio) ma con originalità. Immette nelle
liriche latine un’intonazione più realistica evidente nella denuncia che lo stesso
Ariosto fa all’interno delle liriche stesse: emerge in questi testi il contrasto tra la
durezza della vita quotidiana al servizio delle corti e l’ispirazione ideale dell’otium
letterario. Nella vita di Ariosto domina l’ideale dell’otium, una vita semplice e
lontana da ogni ambizione che possa turbare una vita serena. Queste differenze
emergono in un elegia: “De diversis amoribus” – (1503), il poeta esplicita il suo
rifiuto per la carriera cortigiana; troviamo l’esaltazione della mutevolezza
dell’esistenza, motivo al fondamento de “Orlando Furioso”. Troveremo come opera
lirica anche:
 “Le Rime”: su modello petrarchesco e influssi boiardeschi, constano di 41
sonetti, 12 madrigali, 5 canzoni e 27 capitoli in rime dantesche. Il tema che
prevale è quello amoroso, in riferimento anche alla sua amata Alessandra
Benucci; l’opera aspira alla lirica cortigiana del II secolo del ‘400.
 SATIRE: 7 lettere in versi, scritte dal poeta tra il 1517 e il 1525. Ariosto per questi
componimenti attinse al modello classico, ispirandosi al poeta Orazio.
L’atteggiamento del poeta è ironico per cogliere le contraddizioni e le problematiche
della società a lui contemporanea. Il tono delle satire, come da modello oraziano, è
conversevole. L’opera è lo sfogo di un intellettuale cortigiano che vive i propri
malumori all’interno di una condizione precaria e di grande crisi: troviamo un
Ariosto “morale” che trova il mezzo adatto per esprimere la sua frustrazione
attraverso quest’opera. Lo stile e la forma sono tipici della letteratura volgare, infatti,
sono scritte in terzine dantesche abbracciando temi vari:
 I SATIRA – 1517: indirizzata al fratello Alessandro e all’amico Ludovico
D’abagno; in essa l’autore spiega le ragioni della rottura con il cardinale
Ippolito (suo signore), il quale si rifiutò di seguirlo in Ungheria. In questa
satira Ariosto va ad insistere sull’incompatibilità degli incarichi pratici del
cortigiano e la sua vocazione letteraria.
 II SATIRA – 1517: descrive i fastidi verso la corte papale
 III SATIRA – 1518: indirizzata ad Annibale Malaguzzi (suo cugino), ribadisce
i disagi della vita cortigiana.
 IV SATIRA – 1523: descrive le difficoltà del suo compito in quanto
governatore della Garfagnana rimpiangendo l’attività letteraria che per questi
impegni aveva dovuto interrompere. Troviamo anche il tema sulla nostalgia
verso la città e la donna.
 V SATIRA – 1519/21: discute i pro e i contro della condizione matrimoniale
 VI SATIRA – 1524/25: indirizzata a Bembo. Chiede consiglio sull’educazione
dei figli ed esprime il suo rammarico per non aver imparato il greco.
Interessante è la sua riflessione sulla funzione civilizzatrice della poesia.
 VII SATIRA – 1524: motiva il suo rifiuto per la nomina di ambasciatore a
Roma.
 EPISTOLARIO: di Ariosto ci sono giunte 214 lettere scritte durante il corso della
sua vita. E’ un epistolario diverso dai soliti in quanto presenta conflitti interiori; non
furono scritti per una pubblicazione e quindi privi di intenti letterari.

ORLANDO FURIOSO

Poema cavalleresco composto da 46 canti.


Il suo capolavoro si presenta come una sorta di intrattenimento: ci rimanda a Ferrara, al
pubblico di dame e cavalieri al quale il poema è rivolto. Ariosto continua Boiardo non solo
perché riprende la trama lasciata interrotta, ma perché ne eredita la capacità di trasportare
la “recita” all’interno della corte.

L’opera ebbe tre redazioni: 1516, 1521 (40 canti) e 1532 (46 canti).
Dietro l’Orlando Furioso c’è tutta la tradizione dei poemi franco-veneti, ci sono i cantari che
avevano dato al poema cavalleresco carattere popolaresco, storie di avventure e di magie.
La tecnica del suo racconto è la “suspense”, lasciando il discorso sul più bello in modo tale
da non rendere nessun personaggio come personaggio protagonista. Il divertimento
consiste nell’impigliare il lettore in una sorta di labirinto.
Aggiungerà, come già detto, nuovi canti, ma non in coda: li intreccerà alla trama
arricchendone la narrazione.
Ci troviamo di fronte a un’opera che è la massima espressione del classicismo
rinascimentale; la concezione della vita all’interno dell’opera è una concezione laica.

Il Furioso comincia proprio dalla fine del poema boiardesco, interrotto quando Re Carlo
decide di consegnare Angelica a colui che meglio sarà distinto nella battaglia dei mori.

La trama del poema segue tre fili narrativi:

1. AZIONE EPICA: funge da cornice, è incentrata sulla guerra tra Cristiani e Saraceni.
L’argomento bellico, tipico della tradizione del poema epico cavalleresco, inizia con
l’invasione della Francia e l’assedio a Parigi da parte del re saraceno. Agramante,
che inizialmente sembra avere la meglio sull’esercito cristiano di Carlo Magno, ha
vita facile perché quelli che dovrebbero essere i due campioni cristiani (Orlando e
Rinaldo) sono troppo occupati a contendersi la bella Angelica. Il ritorno in campo di
Rinaldo costringe, però, i saraceni alla ritirata ad Arles e successivamente alla
sconfitta su una battaglia navale. Le sorti della guerra sono così affidate ad una
sfida tra i migliori guerrieri mori (Agramante, Gradasso e Sorbino) e i tre campioni
cristiani (Orlando, Brandimarte e Oliviero) sull’isola di Lampedusa. Orlando
sbaraglia i nemici e assicura la vittoria al re Carlo Magno.
2. AZIONE SENTIMENTALE: si muove intorno a Orlando, alla sua ricerca di Angelica,
alla conseguente perdita del senno e al suo ritrovamento. Il re Carlo Magno aveva
sentenziato che la donna sarebbe andata in sposa al più valoroso in battaglia ma,
visto che non si vive solo di guerra, ecco che Ariosto intreccia il tema amoroso in
cui tutti amano Angelica. L’incantevole creatura è ambita da molti uomini ma lei
preferisce scappare. Gran parte del Furioso è tutta una fuga di Angelica che
successivamente viene anche salvata dal valoroso condottiero Ruggero, in sella a
un Ippogrifo, dopo essere finita su un isola e quasi uccisa: invece di ringraziare il
suo salvatore scappa di nuovo. Intanto la ragazza incontra un bel giovane,
gravemente ferito alle porte di Parigi, il saraceno Medoro: lo cura, si innamorano e
si sposano andando ad incidere i loro nomi sulla corteccia di un albero. Questi nomi
verranno visti da Orlando (che girava per trovarla) ed ecco che qui capiamo il titolo
dell’opera. ORLANDO FURIOSO perché esce completamente fuori di testa: spacca
tutto, corre per Francia, Spagna, attraverserà a nuoto completamente nudo
Gibilterra e scomparirà in Africa completamente impazzito. Sarà il valoroso
condottiero Astolfo a volare sulla Luna per recuperare in un’ampolla il senno di
Orlando, ovvero il buon senso (N.B: secondo Ariosto, sulla Luna, vanno a finire
tutte le cose che perdiamo). Astolfo farà annusare l’ampolla a Orlando che ritornerà
in se e sarà pronto per lo scontro finale.
3. AZIONE POLITICA: improntata sui contrasti d’amore tra il moro Ruggero e la
guerriera cristiana Bradamante. Dalle loro nozze (e dalla conversione al
cristianesimo di Ruggero) avrà inizio la dinastia estense. Nella parte finale di questo
poema cavalleresco l’obiettivo si sposta su Ruggero, guerriero saraceno, e
Bradamante, sorella di Rinaldo e guerriera cristiana. I due, una volta sposati,
daranno origine alla dinastia d’Este. L’amore tra i due è ostacolato per tutta l’opera
dal mago Atlante che vuole evitare le nozze perché, in seguito a una profezia, se
Ruggero si convertisse alla religione cristiana morirebbe. Il guerriero viene quindi
imprigionato in un castello incantato ma, una volta fuggito, viene a sapere che la
sua amata è promessa in sposa a Leone, figlio di Costantino ed erede al trono
dell’impero romano d’Oriente. Leone successivamente rinuncerà a lei così che si
possa, finalmente, ricongiungere al suo amato e celebrare il matrimonio. Dopo
giorni di festeggiamento irrompe Rodomonte che accusa Ruggero di aver rinnegato
la sua fede. Scatta così un duello decisivo: Ruggero uccide l’avversario e l’opera si
conclude.

1) RAPPORTO TRA FURIOSO E RINASCIMENTO:

E’ un rapporto che ha a vedere una concezione della vita laicamente intensa.

PERSONAGGI DEL FURIOSO: sono personaggi incuriosi di Dio, non mostrano nessuna
curiosità nei confronti di Dio nel momento che agiscono (al contrario dei personaggi
danteschi, non si domandano se il loro agire è collegato alle leggi di Dio).
CARATTERE NATURALISTICO DELL’UOMO, DELLA NATURA STESSA: è privilegiata
la dimensione orizzontale, non perché si escluda che l’uomo o la natura siano creazione di
Dio, ma è la prospettiva ad essere diversa concentrandosi molto sulle creature. Da qui si
passa al carattere naturalistico della natura stessa: la natura in questo periodo non è
avvertita come creatura, ma come vitalità.

Esempio: dietro la natura di Manzoni c’è la natura di Dio, dietro la natura di Dante non
c’è la natura di Dio ma la natura stessa.

Nell’idea ariostesca dell’uomo, quindi rinascimentale, anche nell’uomo si evince una nuova
vitalità. L’uomo ariostesco si compie sulla Terra, è questa la concezione laica. E’ un
uomo impetuoso, violento, tenero, dolce (insieme di sfaccettature), è un uomo che
sperimenta la gamma più ampia degli aspetti dell’uomo che soffre e si sacrifica: il risultato
è L’ESTREMA VARIETA’ E L’ESTREMA RICCHEZZA all’interno del Furioso, con una
serie di personaggi, diversi tra loro, molto ben individualizzati.

RAPPORTO TRA RINASCIMENTO E FURIOSO (punto di vista storico): ci troviamo in


un periodo in cui si affrontano molte guerre. L’Orlando Furioso è una narrazione in cui
traspare la gioia del narratore. Il Furioso contempla una visione del mondo inquieta;
questa concezione la si può trovare nei miti:

 MITO DEL CAPPELLO DI ATLANTE: mito sulla follia. Si giunge verso questo
castello seguendo il proprio sogno e si resta prigionieri delle proprie passioni. Il
castello di Atlante è la metafora di un mondo senza certezze.
 VIAGGIO DI ASTOLFO SULLA LUNA: sulla Luna si radunano le cose che gli
uomini perdono sulla Terra. Nel poema si può riscontrare una certa labilità che
ripropone in maniera importante una delle tante donne (Isabella), si tratta del
rapporto tra virtù e fortuna. Ariosto risolve questo rapporto a vantaggio della
fortuna perché riconosce una serie di elementi con cui bisogna fare i conti.

Sono miti particolarmente eloquenti che rivelano la visione inquieta.

ARMONIA: Il lettore ideale del Furioso è il cortigiano di Castiglione. Il Furioso gli propone
la sua materia in una lingua ideale: quella di Bembo. Si può dire che l’armonia è il
carattere che maggiormente spicca nell’opera di Ariosto. Per armonia bisogna tener conto
del lettore ideale (il cortigiano), la lingua e lo stile ideale (Bembo). La caratteristica
dell’armonia sta a significare che nulla viene portato all’eccesso. La follia di Orlando non è
considerata eccesso perché non è definitiva, ma TEMPORANEA. Bisogna aggiungere che
le varie follie di Orlando vengono accentuate tramite l’incremento della lingua. Il modo in
cui le vicende e i personaggi si incontrano e si separano è dato dagli eventi che si
presentano in quanto è comunque in atto la grande guerra tra cristiani e saraceni che fa
da sfondo all’intero poema.

PICCOLA NOTA: l’impostazione classicistica sembra trasformarsi in una sorta di distanza


dalla realtà, nel senso che tutte le cose non arrivano all’eccesso. In realtà non si parla di
ironia, ma ci troviamo di fronte a una rappresentazione classicista della realtà;
l’atteggiamento che passa sottoforma di ironia è invece segno di eleganza di Ariosto, di un
eleganza del classicismo cortigiano

ANALISI DELL’OPERA: nel I verso dell’ottava quinta si riconosce un omaggio a Boiardo.


Quello che viene raccontato prima che Angelica fugge, viene raccontato da Boiardo
stesso: Re Carlo decide di consegnare Angelica a colui che meglio sarà distinto nella
battaglia dei mori ma ci saranno dei cambiamenti, le cose non andranno come previsto
(vincono i saraceni e non i cristiani), così Angelica coglierà l’occasione per fuggire. Sarà
da questo momento che inizieranno le invenzioni di Ariosto – la fuga di Angelica
presuppone l’inseguimento = RICERCA. La famosa ricerca dei cavalieri ha come
caratteristica il deperimento. Il meccanismo che presiede il momento narrante di Ariosto è
L’INSEGUIMENTO DELL’OGGETTO AMATO.

AGGIUNTA DEI CANTI: tra il ‘518 e il ‘519 (datazione controversa) l’autore elabora altri 5
canti da aggiungere all’opera che ruotano intorno al traditore Gano. L’aggiunta di questi
canti presenta una sorta di stagione nuova, dando un aspetto pessimistico; le figure
aggiunte si caratterizzano per la presenza di violenze e, ancora più difficile, è decidere
dove collocarle. I canti aggiuntivi presentano un aspetto più opaco e spento rispetto al
Furioso, dominato da presenze negative, false e immorali.

2) INNAMORAMENTI: ORLANDO INNAMORATO E ORLANDO FURIOSO

Innamoramento di:

- Carlo
- Filone e Berta (fine ‘400)
- Rinaldo (fine ‘400)
- Guidon Selvaggio (1516)

Facendo la sua comparsa nel 1505 una continuazione de “L’innamorato” del veneziano
Niccolò degli Agostini , presenta come un IV libro del poema di Boiardo. Un’ulteriore
continuazione, riallacciata a quella precedente, uscì nel 1514 “Quinto e fine de’ tutti li libri
de lo inamoramento de Orlando”, ad opera di Raffaello da Verona; nello stesso anno uscì
una V edizione scritta da Niccolò degli Agostini che nel 1520 concluse la sua fatica con
“L’ultimo e fine de tutti li libri de’ l’Orlando Inamorato”.

Nonostante tutte le continuazioni, l’opera è un opera autonoma. L’edizione precedente


(1516) è considerata una specie di romanzo pagano, al contrario dell’ultima, considerata la
massima realizzazione del classicismo volgare.

TRAMA: Rinaldo entra in scena mentre insegue la bella Angelica. Rinaldo è portatore
della morale dell’autore stesso. Lui matura la propria forza sulla consapevolezza che tutto
si basa sulla contraddizione. Un ruolo ideologico, anche essenziale, spetta ad Astolfo,
destinato a recuperare il senno di Orlando sulla Luna ed è protagonista di molte
avventure: Astolfo rappresenta il movimento, la disponibilità.
Al II filone sono legate le coppie di amanti, come Fiordiligi e Brandimante, Isabella e
Zerbino, cioè storie tangenti. Abbiamo la presenza di cicli minori che portano lontano dai 3
centri: Guidon Selvaggio, le vicende di Doromonte e Doralice.

Tra gli inserti più ampi è bene ricordare quelli del canto III, in cui la Maga Melissa, nella
casa di Merlino, fa una vera e propria storia della casa Cadestre, presentando a
Bradamante le ombre dei suoi futuri discendenti.

Nella narrazione c’è un procedimento allegorico che traspare in alcuni episodi: episodio
sull’Isola di Alcina con la prigionia di Ruggero e la sua liberazione (canti VI – VIII) dove si
allude alle diverse facoltà dell’anima, alla coscienza di sé attraverso il racconto. Si
raccontano degli episodi che hanno significati allegorici. L’autore rinvia ai valori
tradizionali, ma anche ad alcuni episodi in cui c’è una morale rovesciante con tre novelle
che si inseriscono nella parte finale del poema e riguardano: L’INCOSTANZA
FEMMINILE, il tema dell’INESAURIBILITA’ DEL DESIDERIO e il tema della RELATIVITA’
DEI PUNTI DI VISTA.

Queste tre novelle sono:

1. La novella di Fiammetta (canto 28)


2. La novella del cavaliere del Nappo (canto 43)
3. La novella di Argia e Adonio (canto 43)

3) FONTI DE “ORLANDO FURIOSO”

Dopo le ottave dell’esordio, nella V stanza I canto, il poema da avvio alla narrazione,
sintetizzando quello che Boiardo aveva sintetizzato nel nucleo centrale de “Orlando
Inamorato”.

Con la stanza X inizia la nuova invenzione di Ariosto a partire dalla fuga di Angelica. Da
qui riparte la macchina narrativa a partire dall’incontro con Rinaldo. Qui si da un aggancio
preciso con l’Innamorato, dove Ranaldo era entrato nella selva inseguendo il suo cavallo.
“Orlando Furioso” costituisce un organismo letterario che è il risultato di un lavoro di figure,
storie e situazioni. Nel 1900 fu pubblicata un’opera “Le fonti de Orlando Furioso” ad opera
di Pino Rajna. Rajna ha evidenziato come il Furioso sia riconducibile ad una fittissima
serie di precedenti che hanno a che fare con le Chanson de Gesta, con la novellistica e la
tradizione cantica. Sottolinea anche che il Furioso si riferisce alla letteratura latina e che
quindi, l’opera, è la parte finale di tutta questa materia.

Molto importante (di Rajna) il lavoro nel momento in cui non diminuisce il valore
dell’impresa ariostesca, ma evidenzia l’originalità del Furioso perché rivela la vera
ricchezza dello sguardo RETROSPETTIVO dell’autore che lavora sul “già fatto”,
ricombinando le fonti.

Interessante è il rapporto nell’Orlando Furioso tra il genere epico (guerra) e quello


romanzesco (amore). La volontà di costruire un poema estense (come mostrano la dedica
al cardinale Ippolito e tutto il valore che viene attribuito alle vicende di Ruggero) indirizza il
Furioso verso un epica di tipo ENCOMIASTICO, un’epica costruita in rapporto al sistema
di potere di una famiglia regnante.

In Boiardo questo intento encomiastico c’era, ma restava più episodico rispetto


all’importanza che assume in Ariosto, in quanto organizza in maniera più sistematica
questo orizzonte encomiastico. Le vicende di Ruggero e Bradamante (appartenenti a
questo filone) assumono un rilievo eroico ed epico più netto. Ariosto da voce anche alla
parte negativa dell’eroico, come la figura di Rodomonte.

Queste deviazioni fanno capo al romanzo nel momento in cui assumono le due forme di
movimento portanti della narrazione cavalleresca:

1. FORMA DI MOVIMENTO DELL’INCHIESTA


2. FORMA DEL MOVIMENTO DELLA VENTURA

ANGELICA E’ L’OGGETTO DEL DESIDERIO PER ECCELLENZA.

Inchiesta e Ventura sono sostenuti dal continuo emergere del MERAVIGLIOSO (elemento
contestuale al bene romantico), figura dell’illusione presente nel reale. Al meraviglioso si
riconduce la SINGOLARITA’ sia dello spazio che del tempo del poema ariostesco

4) ORLANDO FURIOSO

 I OTTAVA: proposizione della materia (donne, cavalieri) – tema: armi e amore


 II OTTAVA: Orlando fa capo al tema dell’amore
 III OTTAVA: dedica al cardinale Ippolito d’Este
 IV OTTAVA: appare il nome di Ruggero, il capostipite
 V OTTAVA: iniziano gli antefatti che si rifanno al Boiardo (fino alla IX)

5) INNAMORATO vs FURIOSO

IN COMUNE:

 Il periodo storico è lo stesso (siamo sotto l'impero di Carlo Magno)


 Sono entrambi poemi cavallereschi.
 Entrambi i poemi parlano dell'amore di Orlando e dunque una delle tematiche
principali dei due romanzi è proprio il tema dell'amore.
 lo schema metrico è simile: ABABABCC in entrambe le opere.
 Ogni stanza è divisa in 8 versi.
 Entrambi dedicati agli estensi: Boiardo lo dedica a Ercole d'Este e Ariosto a Ippolito
d'Este.

DIFFERENZE:

 Il poema del boiardo è incompiuto.


 La sua opera è meno armoniosa ed elegante dell'Ariosto, ma Boiardo è più
energico ed incisivo nel disegno e nella figurazione di certi episodi.
 Nell'opera di Ariosto è presente una ironia che manca nel Boiardo e Ariosto vede i
suoi personaggi con maggiore distacco.
 Boiardo può essere definito un "celebratore della cavalleria". A differenza di Ariosto,
che scrive ad un solo secolo di distanza, e non crede più in questa attualizzazione
di un mondo cavalleresco.
 Entrambi, come già detto, trattano il tema dell'amore, ma nel Furioso il tema è
portato all'esasperazione ed infatti assistiamo anche ad Orlando che impazzisce
per amore di Angelica, perde il senno e poi glielo devono andare a recuperare sulla
Luna. Invece nel Boiardo Orlando capisce che innamorarsi non è una cosa adatta
ad un tipo come lui che deve invece spendere tutta la sua vita a combattere per
Dio, per il re e per la patria.
 Mentre Boiardo dipinge il mondo cavalleresco con una sorta di ammirazione e
rimpianto per quel mondo e dipinge un Orlando eroe cristiano, Ariosto e i suoi
personaggi rispecchiano i caratteri della concezione rinascimentale dell'uomo e
della vita.
NICCOLO’ MACHIAVELLI

Testimone della storia del suo tempo e grande prosatore italiano. E’ il teorico di una
politica razionale.

VITA

Nato a Firenze nel 1469, ebbe una formazione umanistica quando la città di Lorenzo de’
Medici era all’apice della potenza e del prestigio culturale. Dopo il rogo di Savonarola
(1498), Machiavelli iniziò l’attività politica al servizio della Repubblica fiorentina come
responsabile della seconda cancelleria e segretario dei Dieci di Balia, organo di
governo della città. Si trovò quindi protagonista della vita politica della Repubblica, con un
ruolo destinato ad accrescersi sempre più con l’ascesa del gonfaloniere Piero Soderini,
svolgendo per 14 anni un’intensa attività diplomatica.

Proprio le innumerevoli missioni diplomatiche lo portarono in giro per l’Italia e per l’Europa,
presso le corti principali del tempo, rivelatosi fondamentali per “quella esperienza delle
cose moderne” che Machiavelli rivendicò più tardi nella prima pagina del “Principe”:
missioni che gli palesarono le difficoltà in cui veniva a trovarsi la città di Firenze.

1512: i Medici assunsero di nuovo il governo della città, mandando via tutti i funzionari
che avevano servito la Repubblica di Soderini e anche Machiavelli stesso. Sospettato poi
di aver preso parte a una congiura antimedicea (1513), fu incarcerato, torturato e
condannato al confino per un anno. Sarà proprio in questo anno che scriverà “Il Principe”
(nel pieno delle guerre d’Italia); si rivolge essenzialmente a Lorenzo e ai Medici che sono
tornati, nella speranza di dimostrare quanti consigli utili potesse ancora dare, cercando di
convincerli ad assumerlo anche con incarichi umili.

Oltre alla sua maggiore opera, scriverà in quegli anni di ritiro dalla vita politica:

 “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio”


 “Storie fiorentine”
 “La Mandagola”
 “Belfagor arcidiavolo”
 “ I dialoghi dell’arte della guerra”

1520: c’è un riavvicinamento alla vita fiorentina e ai de’ Medici con le riunioni agli Orti
Oricellari, il giardino di un palazzo a Firenze, luogo in cui lesse “Discorsi sopra…”

1525: dopo la consegna ufficiale al papa Clemente VII delle “Istorie fiorentine”, torna a
ricoprire qualche incarico ufficiale fino al 1527, quando dopo il Sacco di Roma i Medici
vengono nuovamente cacciati da Firenze. Morirà nella città lo stesso anno.

CARRIERA DIVISA IN DUE PERIODI: il primo periodo va fino al 1513, anno


dall’allontanamento dal servizio politico: questo primo periodo corrisponde a un
Machiavelli segretario in quanto esercitava un periodo di attività più pratica che scritta. Il
secondo periodo va dal 1513 fino all’anno della sua morte: corrisponde alla lunga fase
della lontananza alla vita pubblica.
FORTUNA DOPO LA SUA MORTE: ci troviamo in un’epoca di controriformismo in quanto
la Chiesa risponde alla riforma protestante e in questo momento si usa il termine
“machiavellico”, ovvero dottrina immorale. “Il Principe” viene considerato cinico e
immorale.

LINGUA E STILE: Machiavelli scrisse tutte le sue opere principali in volgare, scelta
abbastanza "rivoluzionaria" in un periodo in cui la trattatistica storica e politica era perlopiù
in latino, e la lingua da lui usata anche nel “Principe” è il fiorentino contemporaneo, da
lui considerato strumento più efficace e di più immediata comprensione rispetto al
fiorentino trecentesco teorizzato da Bembo.

IL PRINCIPE

PREMESSA: mentre tutto il resto dell’Europa era impegnato nella formazione degli stati
nazionali, l’Italia risultava essere ancora divisa in tante signorie. Tutte queste signorie
erano impegnate nel farsi la guerra fra loro per affermare il proprio potere, motivo per il
quale il contesto della riflessione politica si concentrava principalmente sulla figura del
principe, ovvero sui mezzi che lui avrebbe dovuto adoperare per conquistare e mantenere
il potere. Non è un caso se l’opera più importante di Machiavelli è proprio intitolata “Il
Principe”, opera letteraria importante anche perché nasce dalla pratica, da un’analisi reale
e non immaginaria dell’ambiente politico; con Machiavelli parliamo di un REALISMO
POLITICO perché è un’analisi compiuta sulla realtà dei fatti e non sull’utopia.

Machiavelli scrive e analizza la politica, i suoi trucchi e i suoi meccanismi. Tratta le cose
per come sono e non per come dovrebbero essere perché, prima di essere uno scrittore, è
stato un politico.

1513: compone la sua opera più importante: “IL PRINCIPE” – trattato di strategia
politica, quasi un manuale, di 26 capitoli scritti in soli tre mesi. E’ il frutto del forzato
allontanamento da Firenze e il primo tentativo di riaffacciarsi alla vita pubblica della città
stessa. Il libro è fortemente ispirato al condottiero Cesare Borgia, considerato da
Machiavelli l’esempio ideale dell’uomo di potere, uno che si serve dei mezzi più efficaci
per conservare la propria posizione anche con la violenza e con l’inganno, al fine di
costruire uno Stato solido.

L’opera di Machiavelli nasce da due spinte: l’opera del TEORICO e l’opera dell’UOMO
D’AZIONE, della sua passionalità, dal suo desiderio di incidere attivamente sulla realtà.
Siamo nel momento in cui in Italia c’è crisi di corruzione a cui segue la consapevolezza
dell’inferiorità politica italiana, inferiorità militare e morale: su questa base si pensa a un
possibile riscatto della nazione stessa. La sintesi tra il momento TECNICO
SPECULATIVO e PRATICO PASSIONALE si spiega perché ciò che fa Machiavelli è
quello di creare le fondamenta per uno Stato.

Dall’uomo di azione, cioè da colui che guarda la realtà in maniera spregiudicata, da


Machiavelli deriva il trattato del “Principe”, figura non sempre perfetta proprio per la
considerazione di ingratitudine che vede dell’uomo. Dal suo pessimismo ne deriva
l’esigenza si creare uno Stato solido per garantire la tranquillità del popolo.
RELIGIONE: la religione per Machiavelli non è intesa come un fatto sociale, atto a
garantire alcune virtù legate al comportamento, tant’è vero che spenderà qualche parola
anche nei confronti della Chiesa e del Cristianesimo stesso che, secondo la sua opinione,
hanno un’influenza negativa sugli uomini portandoli alla rassegnazione, alla svalutazione
del mondo e della vita terrena. Machiavelli esclude la religione dalla vita dell’uomo in
quanto la sua è una morale politica.

RAPPORTO CON GLI ANTICHI: Machiavelli guarda gli autori del passato e li guarda con
gli stessi metodi degli umanistici, ma ritiene che la lezione degli antichi possa essere
universale grazie alla “naturalità” degli uomini, ovvero la tendenza di avere sempre gli
stessi comportamenti da secoli e millenni. Le storie non vanno considerate solo per la
lettura, ma sono fonte di esempi, modelli e di insegnamenti.

VIRTU’ E FORTUNA: Machiavelli afferma che l’uomo non è completamente libero, ma la


fortuna domina il mondo. Questo significa che ci sono degli eventi che sfuggono al volere
e al controllo degli uomini, tuttavia l’autore si rifiuta di accettare che la fortuna o Dio
possano dominare completamente il mondo perché, se così fosse, la libertà dell’uomo
sarebbe nulla e l’unico atteggiamento da assumere è quello di rassegnarsi alla sorte. La
fortuna, secondo l’autore, agisce solo a metà e il vero principe è “l’artefice del proprio
destino” in quanto deve essere capace di dominare la fortuna e farla propria. Proprio
grazie alla virtù, sempre secondo l’autore, l’azione dell’uomo è presente nel corso degli
eventi: se il principe è capace di esercitare questa virtù, allora sarà in grado di volgere gli
eventi a proprio favore. Per la virtù bisogna essere lungimiranti, in quanto il principe deve
prevedere quello che può succedere e preparare la risposta; tra l’altro la virtù di
Machiavelli è “morale” perché consente al principe di governare in modo migliore.
Abbiamo la “morale privata” del principe – riguarda solo lui e la sua anima – e la “morale
pubblica” – insieme delle virtù.

L’opera può essere scandita in quattro parti:

1. (1-11): si esamina la tipologia dei principati – ereditari, nuovi, misti, ecclesiastici,


civili
2. (12-24): si considerano le offese e le difese degli stati con speciale attenzione
al tema delle armi e della virtù del principe
3. (25): affronta il tema della fortuna
4. (26): consiste nell’esortazione finale a liberare l’Italia dai barbari.

Machiavelli viene considerato il fondatore della politica moderna perché ha sancito


la differenza tra politica e morale: secondo lui, se il principe agisce contro morale,
condurrebbe inevitabilmente il principato alla rovina. Infatti per lui il principe dovrebbe
possedere la virtù della forza e dell’astuzia.
OPERE STORICHE

Machiavelli storico rivela una maturità di pensiero straordinaria; egli presenta un carattere
pragmatico degli scritti storici: attraverso la scrittura storica , egli tende a dimostrare con
l’analisi del passato la VALIDITA’ delle sue tesi politiche. Nelle sue opere possiamo
notare, infatti, la sua passione per la politica.

“ISTORIE FIORENTINE”: opera storica di 8 libri in volgare dedicata a Giulio de’ Medici.
Nel I libro viene sintetizzata la storia dell’Italia, dalla caduta dell’Impero Romano al 1434.
Dal II al IV libro Machiavelli racconta la storia di Firenze fino al 1434, anno in cui Cosimo
de’ Medici instaura la Signoria. Nei 4 libri successivi si va dal 1434 al 1492, morte di
Lorenzo il Magnifico.

Il fine pragmatico dell’opera si evince all’interno del poema dove Machiavelli rimprovera
agli storici umanistici (Bracciolini) di essersi soffermati su elementi di politica estera. Per
l’autore è più importante “mettere a fuoco” le CIVILI DISCORDIE (storia interna),
specialmente in una città come Firenze. – Machiavelli dimostra così di essere un
grande storico in quanto attinge a fonti senza aver paura di sottoporle alla verità. –

OPERE LETTERARIE

Scrisse opere di letteratura, come:

 “IL DEMONIO”: novella in un cui tratta un tema tradizionale, tema della dama in
grado di portare alla disperazione.
 “LA MANDRAGOLA”: commedia considerata un capolavoro del teatro
cinquecentesco, un classico della drammaturgia italiana. Composta da un prologo e
5 atti, è una potente satira sulla corruttibilità della società italiana dell’epoca.

OPERE POLITICHE

“DISCORSI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO”: frutto di una lunga elaborazione
durata tre anni (’13 al ’19), l’opera punta a individuare i fattori di durata dello Stato
prendendo spunto dalla storia di Roma di Tito Livio. Furono di pubblicazione postuma, nel
‘531.
FRANCESCO GUICCIARDINI

Francesco Guicciardini fu protagonista della vita politica italiana negli anni delle guerre tra
Francia e Spagna, diventandone l’interprete sul piano storiografico.

VITA

Nasce a Firenze nel 1483, ricevette una solida formazione umanistica. Contro il volere del
padre sposa Maria Salviati in quanto la sua famiglia era avversaria a Pier Soderini,
gonfaloniere a vita di Firenze. Non si curò di queste rivalità perché il suo scopo era quello
di avere un ruolo futuro politico e, infatti, questo matrimonio fu per lui un trampolino di
lancio garantendogli una brillante ascesa politica:

 1516: con la salita al soglio pontificio di Giovanni de’ Medici (Leone X), viene
nominato governatore di Modena
 1517: viene nominato governatore di Reggio Emilia e Parma
 1521: nominato commissario generale dell’esercito pontificio in quanto
scoppiato un conflitto fra Leone X alleato con Carlo V (re di Spagna), contro i
francesi.

Il servizio di Guicciardini alle dipendenze del papa Clemente VII ebbe degli esiti disastrosi:
consigliere di fiducia del pontefice, lo spinse a formare un’alleanza con la Francia (Lega di
Cognac). Consiglio fatale perché nel ‘527 ci fu il Sacco di Roma, data che coincide anche
con la morte di Machiavelli e la caduta dei Medici a Firenze – sarà in questo anno che
verrà rimosso da ogni carica che copriva.

Dal 1537 al 1540 (anno della sua morte), si ritirò nella sua villa privata dove scrisse “Storia
d’Italia”. Morì lì in solitudine.

OPERE

“STORIE FIORENTINE”: (1508/9) qui l’autore indaga sulla causa degli eventi mettendo in
risalto la figura di Lorenzo de’ Medici e Savonarola, con l’interesse di illustrarne le
contraddizioni.

“DIALOGO DEL REGGIMENTO DI FIRENZE”: (1526 – due libri) qui Guicciardini propone
il modello di governo misto che dia sfogo sia alle esigenze del popolo e allo stesso tempo
il prestigio ai grandi

“CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI SOPRA LA PRIMA


DECA DI TITO LIVIO”: scritte nel 1528. Guicciardini dimostra che i discorsi di Machiavelli
sono in realtà infondati. Si oppone al Machiavelli mettendo in luce le proprie interpretazioni
della storia e della politica, ammettendo che i fatti nella storia non si ripetono mai allo
stesso modo tra loro e in automatico non ci sono leggi valide da applicare in ogni Stato ed
epoca semplicemente perché ogni realtà ha delle proprie regole.

“STORIA D’ITALIA”: scritta tra il ‘537 e il ‘540, in 20 libri. Qui Guicciardini si rifà a
Machiavelli riprendendo da dove l’autore aveva lasciato; l’opera abbraccia avvenimenti tra
il 1494 (morte di Lorenzo) e il 1534 (morte di Clemente VII). Si tratta del quadro della
decadenza italiana e quest’opera presenta caratteristiche diverse dalla tradizione
umanistica. E’ in quest’opera che vengono fuori le capacità di Guicciardini, la sua
straordinaria capacità analitica (smontare un evento nelle sue tante componenti) e la
capacità sintetica (visione complessiva dei fatti), fino ad illustrare lo scenario che ha
condotto in condizioni disastrose l’Italia. Dallo studio del passato nasce così l’idea di un
Italia che ha bisogno di realizzarsi come uno stato unitario; chiaramente Guicciardini non
si illuse che questo potesse avvenire in breve tempo. L’opera presenta una lingua di
grande nobiltà formale.

“RICORDI”: 1530, anno della redazione definitiva dell’opera. La stesura di queste brevi
riflessioni coprì tutto l’arco della vita dello scrittore. Qui l’autore riflette sulla rovina d’Italia
con una lucidità che esclude ogni riferimento a modelli e teorie. La sua qualità per
eccellenza è la DISCREZIONE, ovvero “il buon occhio del saggio” in grado di cogliere i
tratti distintivi in una situazione che ha come caratteristica la PARTICOLARITA’
(situazione irripetibile). In questo quadro l’obiettivo da perseguire è costituito dal
PARTICOLARE (ambizione, conformismo), che riguarda sia la sfera personale sia il
campo politico, ha una forte forma di egoismo e, IL SENSO DELL’ONORE può redimere il
particolare. Guicciardini non ha una buona visione della Chiesa e del clero perché
convinto della loro corruzione. In virtù della consapevolezza di questa corruzione dice di
voler passare dalla parte luterana ma non lo fa per il particolare, una forma di
conformismo; in questo conformismo c’è una forma di debolezza personale: troveremo
queste tesi esposte ne “i Ricordi politici”.

Altre opere:

 “Il diario del viaggio in Spagna”: 1512


 “La relazione di Spagna”: 1514
 “La relazione della difesa di Spagna”: 1521

DIFFERENZA MACHIAVELLI/GUICCIARDINI: le idee di Guicciardini sono in buona parte


differenti da quelle di Machiavelli. Guicciardini nei “Ricordi” non cita mai Machiavelli
direttamente, ma ne discute le posizioni idealistiche che aveva espresso nell’opera “Il
Principe”.

 UOMO: Machiavelli ha una visione pessimista dell’uomo in quanto avido e egoista,


Guicciardini ha una visione più positiva che negativa anche perché lavorò in un
ambiente religioso (segretario dello Stato Pontificio)
 VIRTU’ E FORTUNA: per Machiavelli la virtù serve a l’uomo per dominare la
fortuna, per Guicciardini la fortuna ha un peso maggiore rispetto alla virtù, poiché è
essa a dominare l’esito degli eventi

REALTA’ E STORIA: per Machiavelli gli eventi seguono precise logiche, quindi è utile
rifarsi al passato per evitare danni futuri, per Guicciardini la storia passata non serve per
comprendere e controllare gli eventi.
GENERI

Il ‘500 è il periodo in cui si codificano i generi letterari. Alla base di questa definizione
troviamo la poetica di Aristotele nella quale il romanzo ovviamente non c’era.

ROMANZO: si presenta come genere nuovo che causa disdegno e diffidenza nei
classicisti, dovuto dal fatto che non era previsto questo nuovo genere. Con diffidenza
perché il romanzo è un genere misto in cui concorrono più forme e ricomposizioni, ma
riscuote un grande successo nel pubblico e nei lettori.

LIRICA: la lirica del primo ‘500 (il secondo ‘500 il classicismo degenera fino a diventare
manierismo e poi barocco) presenta anche delle mutazioni su figure sociali che fin ora
erano rimaste ai margini: le donne. Troviamo la categoria della cortigiana honesta, una
prostituta di alto livello sia perché selettiva nelle frequentazioni, sia perché non
intraprendeva relazioni amorose, ma anche intellettuali e artistiche. Tra le più importanti
poetesse ricordiamo:

 GASPARA STAMPA (cortigiana honesta): ripiega il linguaggio


petrarchista in una versione “femminile” – “Rime”
 VERONICA FRANCO (cortigiana honesta)
 VERONICA GAMBARA
 TULLIA D’ARAGONA (cortigiana honesta)
 CHIARA MATRAINI
 ISABELLA DI MORRA
 VITTORIA COLONNA

NOVELLA: all’interno delle novelle di questo periodo, troveremo accentuato il carattere


cupo che rispecchiano la realtà delle corti. Le novelle si rifanno al “Decameron”

 MATTEO BANDELLO: vescovo cattolico e scrittore. Scrive una raccolta


di 214 novelle divise in quattro parti. Grande è la varietà dei temi e
registri: si va dal tragico al grottesco, dal comico al farsesco, dall’osceno
al patetico. Troviamo una certa predilezione per il genere erotico e per gli
“amore sfortunati”.
 AGNOLO FIRENZUOLA: traduce “L’asino d’oro” di Apuleio. Scrive
“Ragionamenti d’amore” e “Discorsi delle bellezze delle donne”.
 ANTON FRANCESCO GRAZZINI (IL LASCA): autore delle “Cene”, una
raccolta di novelle. Rappresentazione della borghesia perché lui è di
estrazione borghese rispetto agli aristocratici puri.
 GIAMBATTISTA GIRALDI CINZIO: scrive gli “Ecatommiti”

POEMA CAVALLERESCO: L’“Orlando Furioso” rappresenta un punto di riferimento, se


questo punto di riferimento non c’è si parla di “libertà compositiva”. Dal primo ‘500 il
romanzo sta per “poema cavalleresco”. Si riscopre la poetica di Aristotele in cui troviamo
dei precetti che si contrappongono alla libertà compositiva di questo periodo: vicenda
(UNA) e i personaggi (L’EROE). Si affianca la fonte classica come modello da cui ispirarsi
(Illiade – Odissea).
 GIANGIORNO TRISSINO: “L’Italia liberata dai Goti” è un modello antico.
Nella composizione rinuncia alla materia cavalleresca optando per un
racconto storico.
 GIAMBATTISTA GIRALDI CINZIO: “Intorno al comporre dei romanzi”,
testo teorico in cui si teorizza le possibilità di allargare la visuale del
precettiamo aristotelico: un solo eroe ma con mille avventure.
 BERNARDO TASSO: “Amadigi”, un testo freddo ma che riscontrò
successo. L’autore sembra molto attaccato alla teoria senza permettere la
spinta creativa.

TRAGEDIA: genere prettamente cortigiano che si pensa solo nella forma aulica e perfetta.
La tragedia segue le regole formulate nella “Poetica” di Aristotele: unità di tempo, luogo e
azione.

 GIANGIORNO TRISSINO: “Sofonisba”, tragedia ispirata al modello


aristotelico.
 LUIGI ALAMANNI: “La coltivazione”, poemetto scritto sulla falsariga delle
“Georgiche” di Virgilio”
 GIOVANNI RUCELLAI: “Rosmunda” e “Oreste”, entrambe tragedie.
Scrive anche un poemetto in endecasillabi sciolti “Le api”

COMMEDIA/TEATRO: per il ‘500 il teatro è di fondamentale importanza, è un genere più


borghese. Le compagnie teatrali diventano sempre più stabili e gli spettacoli si spostano
dai cortili, alle sale e infine le corti. La commedia si sviluppa con uno sguardo rivolto alla
commedia latina (Plauto e Terenzio) e riprende anche modelli più recenti (Boccaccio): i
personaggi vengono presi dalla commedia latina e ambientati in contesti più moderni.
Troviamo uno stretto rapporto tra INVENZIONE e IMITAZIONE. La tendenza è
sicuramente anticlassicista. La commedia non restò comunque estranea alla
sperimentazione manieristica o dialettale. Scrissero commedie:

 PIETRO ARETINO: “I ragionamenti”, tema erotico. “Pasquinati”,


componimenti satirici sulla base di lamentele a Roma contro la curia che
si affiggeva sulla statua di un certo Pasquino, ma la sua vena satirica si
estendeva a tutte le commedie: “Satira del pedante”, si sottolinea che il
pedante è la negazione dell’umanità vera e lo fa beffeggiare da prostitute,
servi ed altri elementi bassi. Scrive altre commedie, quali:
- La cortigiana
- Il mare scalco
- La talanta
- Lo ipocrito
- Il filosofo
 ANGELO BEOLGO (RUZZANTE): “La satira del villano”, stessa cosa di
Aretino: si nota un’idea di bassa umanità. La lingua non è aulica. Tra le
commedie troviamo:
- La betìa
- La moscheta
- La fiorina
- Parlamento di Ruzzante che torna dalla guerra (da cui lo
pseudonimo)
- Il bìlora
 FRANCESCO BERNI: è un anti-petrarchista. Compone “Le Rime”, in cui
fa parodia alle “Rime” di Bembo (pag.73 dispense). L’anticlassicismo si
vede nel momento in cui celebra in modo solenne temi futili (nelle Rime
celebra in modo solenne la donna brutta)
 TEOFILO FOLENGO: “Moschaea”, una parodia dell’Illiade.

ANTICLASSICISMO

Nel Rinascimento si manifestarono anche proposte alternative al classicismo: esperienze


plurilinguistiche e sperimentali, come la lingua “macheronica” (contaminazione di parole
latine con termini volgari e viceversa), promuovono una letteratura molto lontana dal
modello petrarchesco, con protagonisti come Teofilo Folengo e Pietro Aretino.

 TEOFILO FOLENGO: autore del “Baldus”, poema macheronico, rielaborò


la materia classica senza temere di contaminare la tradizione letteraria e
senza fermarsi di fronte ad alcuna stranezza. L’opera prende spunto da
materiali di ciclo cavalleresco, manipolati con estrema libertà.

 PIETRO ARETINO: si impose come autore satirico, scrittore di violente


“Pasquinate”. La sua fama è legata ai dialoghi di oscene prostituite dal
titolo “I Ragionamenti”. Considerato autore osceno fino all’800, Aretino è
stato rivalutato dalla critica del ‘900 per la vivacità stilistica e per la
realistica rappresentazione della società cinquecentesca.
FINE ‘500 INIZIO ‘600

FINE ‘500: MANIERISMO – INIZI ‘600: BAROCCO

Il consolidamento delle monarchie assolute e il dominio della Spagna sull’Italia sono gli
elementi di un periodo di grave crisi politico-culturale. Ancor più determinante lo
sconvolgimento prodotto dalla riforma protestante. La Chiesa reagì convocando il Concilio
di Trento (‘545-‘563) con l’intento di una più rigida definizione dei dogmi. Il forte controllo
della Chiesa si esercitò anche sull’elaborazione della cultura.

EPISODI

1527: Scacco di Roma che rappresentò un duro colpo per l’Italia andando ad abbattere
l’ottimismo del popolo stesso.

1545: era iniziato il Concilio di Trento e finito nel 1563; dopo questo concilio il mondo
cristiano occidentale si trovò diviso in: cattolici e protestanti.

1559: è la data del Trattato di Cateau – Cambésis con conseguente dominazione dell’Italia
da parte degli spagnoli. Questo trattato delinea una vera e propria linea tra la fine di una
fase storica e l’inizio di un’altra: parliamo di una dominazione DIRETTA da parte della
Spagna.

Nel 1559 gli artefici massimi italiani erano morti: Bembo (1547), Ariosto (1533), Machiavelli
(1527), Guicciardini (1540). Così la crisi, già presente dopo la morte di Lorenzo il
Magnifico e la scoperta dell’America, era ormai evidente.
A fine ‘500 la crisi che seguì a determinati eventi si manifestò lentamente e si fece sentire
in modo più forte a partire dalle GUERRE che continuarono a sconvolgere l’Italia,
l’AVANZATA DEI TURCHI, le PESTILENZE e le varie RIBELLIONI (Napoli, Palermo,
Messina…)

Fu il clero a controllare la scuola e la cultura. Gli scrittori si trovarono a fare i conti con la
Chiesa e con i sovrani alleati tra loro.

LA CHIESA: alla Chiesa bisogna riconoscere un posto centrale nella vita di questo
periodo. La riforma protestante, che allontanò da Roma buona parte dell’Europa, provocò
una duplice risposta: la prima è la controriforma protestante, la seconda è la riforma
cattolica.
 Controriforma protestante: è stata la risposta della Chiesa in alleanza con i
sovrani (movimento esterno)
 Riforma cattolica: fu un moto di rinnovamento del sentimento religioso interno da
parte della Chiesa (movimento interno)

Da questo duplice comportamento nacquero le diverse convinzioni e reazioni che lacerano


quest’epoca. La Chiesa italiana esce vittoriosa dalla lotta al protestantesimo: abbiamo una
Chiesa che esibisce la sua potenza ma c’è anche la Chiesa che risponde alla riforma
cattolica – nascono i gesuiti.
Con la controriforma si parla di sottrazione delle ricchezze del popolo con accentramento
di queste ricchezze nel clero, allo scopo di controllare la cultura.
GABRIELE PALEOTTI scrisse “Discorso attorno alle immagini sacre e profane”, in cui
fissava un catechismo delle immagini: cosa si poteva o non si poteva rappresentare e
come rappresentarlo.
Il gesuita GIANDOMENICO OTTONELLI condannò la libertà del teatro comico,
sottolineando quanto fosse necessario modellarlo.

Le diverse associazioni culturali furono soppresse e controllate. A Napoli il vice-re


spagnolo Toledo chiuse tutte le Accademie, tranne quelle gesuitiche.
Una particolare attività la svolsero proprio i gesuiti che fondarono molte associazioni
scolastiche acquistando un grande prestigio. Presso le istituzioni scolastiche vennero
formate le nuove generazioni aristocratiche e dell’alta borghesia.

Con l’opera di Francesco Berni “Il dialogo dei poeti”, scritto nel 1527, fa notare il “divorzio”
tra fede e umanesimo, andando ad evidenziare che la letteratura umanistica non poteva
accordarsi perfettamente alla fede cristiana, per cui i poeti moderni umanisti potevano
essere cacciati per “incredulità”.
La letteratura del secondo ‘500 è caratterizzata da INQUIETUDINE. Ci fu un circolo di
religiosità creatosi intorno alle figure di Vittoria Colonna, Giovanni Della Casa, Luigi
Tansillo che scrisse “Le lacrime di San Pietro”, poemetto religioso che l’autore fa seguire
ai poemetti licenziosi nel momento in cui vive una nuova fase.

Molto interessante è la Rassettatura del Decameron. Il Decameron offendeva gli scrupoli


moralistici della nuova generazione, ma non era un opera eliminabile perché considerata il
più alto modello di prosa italiana; bisognava però depurare questo testo e così fu fatto. Ci
fu Frà Cipolla ad occuparsi della rassettatura.

Questa nuova temperia culturale comprende un RIGIDISMO PRECETTISTICO. Si mirò a


disciplinare l’attività degli scrittori attraverso dei PRECETTI e delle REGOLE che
dovevano disciplinare lo scrittore nel momento in cui andava a condizionare la libera
comunicazione a favore della cultura. Lo scrittore doveva quindi abituarsi a un’arte
fortemente REGOLARE.

A questa ricerca parteciparono molti scrittori, quali:


 Torquato Tasso
 Gianbattista Giraldi Cinzio
 Giangiorgio Trissino
 Sperone Speroni
 Giulio Cesare Scaligero
 Ludovico Castelvetro
 Alessandro Piccolomini

I centri nobili di queste discussioni furono:


- La distinzione tra poema cavalleresco (romanzo) e poema eroico
- Definizione delle unità aristoteliche (o regole teatrali) – unità di tempo, di luogo e di
azione

Di queste unità si teorizzò la necessità relativamente alla tragedia.


1. UNITA’ DI AZIONE: presuppone che si tratti di una sola azione
2. UNITA’ DI LUOGO: presuppone che si svolga in un medesimo luogo (non ci
devono essere cambiamenti di scena
3. UNITA’ DI TEMPO: presuppone che gli avvenimenti narrati devono avere una
durata massima di 20h o massimo 30h.

Si parla di CLASSICISMO RETORICO improntato sull’EROICO, DECOROSO,


RAZIONALE che si richiama ai classici ma non ha la stessa leggerezza e spontaneità.
C’è un rapporto tra DIDATTICISMO e DILETTO, che si basa su un equilibrio difficile; da
una parte ci sono le preoccupazioni religiose, dall’altra parte si va all’opposto.

Possiamo avere una poesia fortemente CLASSICA e una poesia ANTICLASSICA.


Possiamo avere due filoni distinti o opere che li accolgono entrambi.
TORQUATO TASSO

VITA

Nacque a Sorrento nel 1544 e girò molto. Studiò a Napoli presso i gesuiti; fu anche a
Roma, Urbino e Venezia dove compose il I canto del “Gierusalemme” (116 ottave), opera
incompiuta. A Padova, luogo in cui studiò diritto, venne a contatto con i maggiori esponenti
della cultura padovana, tra cui Sperone Speroni; studiò la politica di Aristotele e si educò
a quella lucida riflessione di poesia. Visse una vita drammatica peregrinando tra varie città
e corti italiane, vittima di turbe psichiche dello sforzo creativo e delle angosce derivanti
dalla vita cortigiana, morirà a Roma nel 1595.

1577: lo sforzo creativo e le tensioni della vita cortigiana mirarono il suo fragile squilibrio
psichico, sentendosi sempre più vittima di congiure. Per verificare la propria correttezza
teologica volle sottoporsi al vaglio del Sant’Uffizio: assolto, non accettò volentieri la
sentenza, in quanto si sentiva incerto nei confronti della fede cattolica. Sempre più
sospetto mostrò un atteggiamento delirante che culminò con l’aggressione a un servo,
per cui venne messo in custodia nel convento di San Francesco.

Tasso fuggi da Ferrara e dopo varie peregrinazioni ci tornò nel 1579, nel giorno delle
nozze di Alfonso II, cominciando ad inveire contro il duca: arrestato, fu rinchiuso
nell’ospedale di Sant’Anna. Durante la sua reclusione uscì la prima edizione integrale
della “Gerusalemme liberata” – il poeta seguì con ansia e interesse le vicende del proprio
lavoro e scrisse l’apologia della Gerusalemme liberata in difesa delle scelte compiute.

OPERE PRINCIPALI

AMINTA: questo dramma pastorale rivela la grandezza poetica di Tasso. L’opera risente
dell’aristotelismo in cui abbiamo una divisione in 5 atti e la presenza di unità di tempo e
luogo. Il mondo è rappresentato come una specie di paradiso terrestre non toccato dal
peccato né tantomeno dalla consapevolezza di esso; è la dimensione in cui l’essere
umano raggiunge la perfezione seguendo il proprio istinto naturale. L’opera termina con un
matrimonio (conclusione moralistica). Il centro lirico dell’Aminta è il vagheggiamento
della mitica età dell’oro, quando l’onore ancora non si conosceva.

 TRAMA: L’opera si incentra sull’amore del pastore Aminta per la ninfa


Silvia, ritrosa e scontrosa, che solo alla fine, mossa dalla pietà, si decide
a riconoscere il proprio sentimento e ad accettare quello del pastore. Il
contenuto dell’opera è piuttosto esile e si fonda su colpi di scena (come
l’aggressione ai danni di Silvia), e su equivoci (morte apparente prima
della ninfa, poi del pastore che ha tentato il suicidio salvandosi all’ultimo
momento). La conclusione felice è il coronamento di tante prove e la
vittoria dell’amore.

GERUSALEMME LIBERATA: poema in ottave in 20 canti nel quale, partendo dal


principio delle finalità educative della poesia, Tasso si propone di narrare una vicenda che
esalti il “meraviglioso cristiano”, si fondi sulla storia (quella della prima crociata) e
presenti elementi atti a stupire il lettore e a renderlo più disponibile ad accogliere la
verità. Composta a Ferrara e frutto di un lungo lavoro e di vere e proprie angosce,
l’argomento scelto aiuta a dividere la scena in due campi contrapposti, uno seguace del
Bene, l’altro espressione del Male, a caratterizzare gli eroi, a riproporre le vicende epiche,
l’assedio della città nemica.

 TRAMA: il racconto si apre con l’intervento divino per invitare Goffredo a


riportare l’unità tra le schiere cristiane e a condurle sotto le mura di
Gerusalemme per dar l’assalto finale alla città. Il tema della
LIBERAZIONE DEL SANTO SEPOLCRO nella I crociata, rappresentava
una storia vera che appassionava il lettore moderno in un momento in cui
c’era la battaglia contro i turchi e i protestanti. Poema epico in linea con i
poemi epici greci e latini (Odissea, Eneide), conforme al poema ideale
della poetica aristotelica. In questo quadro entrano in gioco i diversi
elementi che rendono più fluida e poeticamente efficace la narrazione:
- Il paesaggio: composto di tinte sfumate, di aspetti accoglienti e
allo stesso tempo minacciosi capaci di rappresentare lo stato
d’animo dei personaggi.
- La magia: suddivisa in positiva e negativa riguardo ai fini, ma
rivolta a svelare la dimensione inconscia dell’animo umano
dove risiedono le paure, i sogni, i desideri erotici degli eroi
- L’amore: unisce i vari modi di destini delle donne pagane e di
cavalieri cristiani. L’amore per Tasso si congiunge per lo più a
immagini morte, ma nelle pagine che descrivono il giardino di
Armida rivive, con una nota di erotismo più matura, il sogno
della perfezione dell’età dell’oro già evocato nell’Aminta.
 OPERE TEORICHE CHE VIAGGIANO INSIEME ALL’OPERA:
- 1587: pubblicò “Discorsi dell’arte poetica”
- 1594: pubblicò i 6 libri de “I discorsi del poema eroico”

Sono testi che danno ragione alle preoccupazioni retoriche e stanno alla base della
Gerusalemme. Goffredo è l’unico protagonista dell’opera , ne deriva una
regolamentazione della cultura. Al fondo dell’opera c’è un MOTIVO RELIGIOSO presente
in due specie: nella specie della controriforma e la riforma cattolica (senso sincero del
divino, peccato misto a un desiderio di saggezza).

Un altro motivo è quello della guerra e dell’eroismo. Sono motivi che si rifanno a una
concezione dolorosa della vita. La guerra, la lotta e la morte hanno qualcosa di tormentoso
perché essa non è più motivo di coraggio, non è più un’avventura, ma è un dovere che
porta alla morte e in automatico al dolore. Nascono figure di cavalieri pensosi che
meditano sulla vita.

Troviamo un altro tema, quello dell’amore: Tasso vede l’amore in modo rinascimentale. E’
inteso come pathos ma misto all’amore struggente (uomo o donna che fugge) – in questo
struggimento c’è qualcosa di artificioso.
L’opera dopo la sua pubblicazione è stata subito oggetto di critiche. La sua uscita offre un
argomento importante, andando a creare una vera e propria polemica letteraria fondata
sul confronto tra il “Furioso” e “Gerusalemme”. Il periodo di tempo che intercorre tra la
pubblicazione delle due opere non è da sottovalutare in quanto erano passati pochi anni
tra le due opere; tuttavia in quegli anni si erano verificati diversi cambiamenti a causa degli
avvenimenti e delle conseguenze che la riforma e la controriforma avevano determinato.

- FURIOSO: ha una struttura aperta, sembra che a regolare le vicende dei


personaggi sia il caso, una casualità tutta terrena. Questo perché Ariosto ha una
visione laica della vita e quindi non è presente nell’opera nessuna concezione
provvidenzialistica. Nell’opera prevale più l’azione dei sentimenti.
- GERUSALEMME: in Tasso la struttura dell’opera non è aperta e c’è una
visione della vita religiosa. Sono presenti diversi intrecci narrativi ma il fine è la
conquista della città da parte dei crociati. Troviamo una visione psicologica e
sentimentale che ritroviamo nelle parole e nei gesti dei personaggi e la sua
idea della vita è spesso associata alla morte.

Tasso risente molto del cambiamento di tendenze tant’ vero che nella sua opera ne
troveremo due diverse:

1. STILE EROICO: abbiamo il senso del magnifico, del grave, del sublime.
Questo stile si trasforma in un linguaggio aulico (vengono spesso usati
termini come “alto” e “magnifico”: segno di ispirazione alla grandezza eroica)
2. STILE PATETICO: troviamo un tono lirico, sentimentale, pastorale, solenne
e commosso. Sono stili che si intrecciano e alternano tra loro, in un MODUS
ricco di pause, lontani dall’ARMONIOSA OTTAVA ARIOSTESCA.

MORFOLOGIA DELL’OPERA: in Tasso è presente la figura retorica dell’enjambement.


Utilizza termini come “ignoto”, “infinito”, “antico”, “innumerabile”, “ermo”, “ruina”, “solitario”.
C’è una fortissima aggettivazione nello stile del poeta usando abbondantemente gli
aggettivi e meno i sostantivi. La presenza dell’enjambement crea una “frattura” che ha
anche valore lirico, perché impone al lettore di soffermarsi sulle parole congiunte e
divise. La presenza di questa figura retorica ci impone di continuare a leggere dopo la fine
del verso per comprendere il significato. Possiamo trovare la presenza di metafore, figura
retorica basata sull’analogia che può essere:

 Analogia semplice: facilmente riconducibile al significato


 Analogia artificiosa: il lettore resta disorientato e non riesce a cogliere subito il
senso del significato. Dal momento in cui lo comprendere noteremo stupore e
meraviglia.

“A dar si volse vita con l’acqua a chi col ferro uccise” – all’interno di questo verso c’è
l’antitesi (vita-morte). La morte ha un significato letterario, la vita ha un significato diverso
in quanto la vita eterna è garantita dall’acqua battesimale. Questa metafora fa capo al
concettismo, come tante altre presenti nel Tasso; questo gusto si accentuerà nella
poesia barocca.
ARGOMENTO STORICO: Tasso è teorico della sua poesia e dal momento in cui scrive la
“Gerusalemme liberata” ha bisogno di vedere applicata nella sua poesia poetica quei
principi che lui stesso ha enunciato nei testi teorici. Uno di questi principi riguarda la scelta
dell’argomento. Nel caso di quest’opera si tratta di un argomento storico (differenza con
Ariosto che aveva discusso temi cavallereschi), scegliendo di parlare della conquista del
sacro sepolcro (fatto storico realmente accaduto). Questo argomento scelto consente
all’autore di trovare uno spunto per attingere al meraviglioso (diverso da Ariosto in cui
c’erano fate e maghi), al sovrannaturale cristiano (avremo angeli e diavoli), l’intervento
del cielo e quello infernale (andrà ad ostacolare i crociati). E presente anche il motivo
della guerra (presente anche in Ariosto ma in maniera diversa).

ALTRE OPERE

1562: inizia la composizione del poema cavalleresco “Il Rinaldo”, con dedica al Cardinale
Luigi D’Este che lo assunse al suo servizio nel 1565, entrando così alla corte ferrarese. E’
un poema bilanciato tra il pensiero aristotelico e la fedeltà al genere romanzesco. In
quest’opera è evidente la voglia di staccarsi dal poema cavalleresco.

Nello stesso anno viene concepita una bozza dei “Discorsi dell’arte poetica”, pubblicata
postuma nel 1587; nel 1572 va al servizio del Duca Alfonso, nel 1573 troviamo il
frammento di una tragedia “Galealto re di Norvegia” e, come riconoscimento della sua
arte, nel 1576 venne nominato storiografo di corte.

Si potrebbe dire che Tasso finisca il Rinascimento e inizi qualcosa di complesso e


contraddittorio che è, in fondo, lo spirito stesso della poesia “moderna”. La “Gerusalemme
liberata”, poema dell’aspra tragedia umana, è anche il capolavoro di un sentimento antico
e perduto. Tasso fu modello di poetica della meraviglia per la cultura barocca.

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