Dello stesso autore in edizione Garzanti:
Quaderni di Montaigne
Pascoli: la rivoluzione inconsapevole
Poesia italiana del Novecento
Verga e il naturalismo
Uperonaaso ome
nee i E
Tommaso | Giacomo Debenedetti
Vocazione di Vittorio Alfieri
Il romanzo del Novecento
Quaderni inediti
Presentazione di Eugenio Montale
Garzanti519-516 Ripresa
x. Italo Sveve
516-537 Tarda fortuna di Svevo ¢ d'altri
1537-558 Svevo e Proust
558-594 Svevo e Joyce
594-616 Tl monologo interiore
Per la quarta volta, torno sulla storia del romanzo ita-
iano dal primo dopoguerra (quello che segui il conflitto
mondiale 1915-18) a oggi. Entrerd subito in argomento, per-
ché le premesse sono state poste nei corsi degli anni passati.
Due premesse, in sostanza:
a) perché facciamo datare dal primo dopoguerra, ciot al-
Vincirca dal 1920, questa nostra storia della narrativa;
b) perché, € in quale misura, si possa parlare in Italia,
a partire da quel periodo, di un romanzo nuovo, del quale
possibile tracciare una storia con un suo inizio abbastanza
preciso e senza troppi addentellati con Ia storia della narra.
tiva che la precede. Perché, insomma, questa nuova narrativa
nasca come rottura.
Chi avesse la curiositi di conoscere quelle premesse nelle
loro ragioni e nei loro particolari, pud trovarle negli appunti
dove é conservata una traccia pitt o meno approssimativa di
quanto si 2 detto negli anni passati. D’altronde, alcune delle
notizie e delle deduzioni sulle quali avevamo fondato le nostre
premesse, ormai si sono diffuse anche fuori di queste aule, sono
divenute res communis omnium o, come avrebbe detto il
geniale e amaro attore comico Ettore Petrolini, appartengono
ormai al patrimonio delle « idée a prezzi popolari ». In so:
stanza: la poetica del romanzo nuovo, creato dal nostro se-
colo, nasce in antitesi alla precedente poetica del romanzo
naturalista. 1 campioni, gli esempi iniziali e forse a tutt’oggi
insuperati, gli archetipi insomma del nuovo romanzo, sono
quelli lasciatici da Joyce e da Proust. Le poetiche, ciot l'in-
sieme di aspirazioni espressive e conoscitive a cui rispondono
quei romanzi, sono state dichiarate nel modo pit esplicito
dai due maestri che le hanno messe in opera. Ora noialtri,
guardando dalla dovuta distanza, siamo riusciti a constatare
un fatto sorprendente: Joyce'e Proust, artisti diversissimi tra
loro, seguono due poetiche che vogliono la stessa cosa, che
obbediscono al medesimo bisogno, che mirano ad afferrare
513Io stesso aspetto, lo stesso strato o, se si vuole, lo stesso mo-
mento della realta. Tutti e due infatti considerano la realt
visibile, afferrabile, palpabile, la realta che si tocca con mano
e si percepisce con gli occhi, come l'involucro di un segreto
invisibile ed essenziale, quasi di un’anima che @ la sola depo-
sitaria, la sola detentrice del vero senso annunciato e insieme
‘occultato dallo spettacolo della vita. L’artista in genere, il ro-
manziere in ispecie, @ colui che riesce ad aprire in quell'invo-
lucro un momentaneo spiraglio, da cui quel senso, quel se-
greto occhieggiano, paiono per quell'attimo diventare nostri.
Questo, si dir, una ricerca delle essenze, un voler tiaprire
la disperata caccia alle sostanze metafisiche (sub-stantia, le cose
che stanno sotto o dietro le apparenze). L’arte nuova, il roman
z0 nuovo, sarebbero dunque animati da un'aspirazione meta-
fisica 0 mistica? II nostro secolo si & vantato pitt volte di avere
accantonato le oziose speculazioni della metafisica; ci sarebbe
dunque ricaduto attraverso l'arte? Se ci si vuole contentare
di constatazioni empiriche, per non addentrarci in problemi
troppo ardui e non di nostra spettanza, almeno in questa sede,
yorremmo rispondere con una formula che il critico letterario
Pietro Pancrazi ha escogitato, a titolo di agile definizione epi
grammatica, per la poesia di Montale: il romanzo del nostro
secolo, proprio quello che discende da Joyce ¢ da Proust, &
un romanzo fisico e metafisico. Non si contenta certo della
fisicita delle cose, vuole persuaderla a rivelare il segreto che
imprigiona, ma per atrivarci registra e rende quel visibile,
quel tangibile con una capacita e sottigliezza di presa ignote
alla narrativa precedente.
La quale spiegava il mondo, le vicende umane, certe curve
tipiche ed esemplari del nostro destino di viventi, trovandone
le cause, a lume di logica e di raziocinio. La nuova narrativa,
invece, vuole scoprire il senso di cid che appare e di cid che
succede, il senso dei destini. Alla ricerca delle cause, sostituisce
quella del senso delle cose. Ma uno dei caratteri del senso
delle cose ¢ proprio di balenare e di sfuggire, di essere privo
di stabilita, di promettere certezze che poi non diventano mai
un sicuro possesso del quale si possa disporre a nostro piaci-
mento. C’é una pagina del saggio di Sartre su Baudelaire *
che definisce nel modo migliore quello che noi qui intendiamo
con la parola senso. Basta, in quella pagina, sostituire appunto
la parola « senso », a quello che Sartre chiama « significato »
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(i due vocaboli non sono sinonimi, ma qui non mi ingolferd
acercare la distinzione, mi limiterd a leggere il passo di Sartre,
commettendo la grave scorrettezza di cambiare la parola):
Un oggetto che ha un senso» (e qui Sartre dice proprio:
senso) «indica, con un lieve cenno, un altro oggetto, una
situazione generale. Il senso, immagine della trascendenza
umana, & come un congelato superamento dell’oggetto da
parte di se stesso. Il senso esiste sotto i nostri occhi, ma non
@ effettivamente visibile: & un soleo tracciato in aria, una dire-
zione immobile. Intermediario tra la cosa presente che lo
contiene, e Voggetto assente che designa, trattiene in sé un
poco di quella e gid annunzia questo. Non @ mai completa-
mente puro, v'e in ess0 come un ricordo delle forme e dei
colori onde emana, ¢ nondimeno si pone come un essere al
di 14 dell’essere, non fa sfoggio di sé, si trattiene, vacilla un
poco, non é accessibile che a sensi? acutissimi ».* Nella nar-
rativa precedente gli oggetti bastano a se stessi, in quella nuova
valgono come annunzi, come segnali del senso che incorpo-
rano. Nella narrativa precedente i rapporti tra gli oggetti (e
per oggetti intendiamo anche i personaggi e i fatti) organiz-
zazione di questi rapporti sono una spiegazione sufficiente, non
rimandano ad altro, non hanno bisogno di altro. Nella nar-
rativa nuova non importa pid l'organizzazione, importa I'ap-
parizione di quegli oggetti, dei quali bisogna sciogliere il
mutismo esistenziale. La narrativa precedente era esplicativa,
a nuova & interrogativa. Naturalmente mi esprimo per anti-
tesi un po” drastiche, perché voglio proporre una linea inter-
pretativa d'insieme; lo studio dei romanzi e racconti moderni
esige poi un esame singolo e ravvicinato di ciascuno di essi;
si vedrebbe allora che i caratteri generali, i criteri ora accen:
nati con una semplificazione alquanto sommaria e spavalda,
funzionano e vogliono funzionare soltanto come orientamenti
generali.
Ma perché la narrativa moderna assume questo carattere
interrogativo? Perché 'uomo non sa pitt (0 non sa ancora,
non ha riappreso a capire) chi 2, Non lo sa perché é rotta la
tregua tra lui e la societa, tra lui e il mondo. La societi coi
suoi istituti non risponde pit alle esigenze del maggior numero,
altronde anche le minoranze privilegiate, i gruppi di potere,
anche coloro che beneficiano di quegli istituti li sentono in-
stabili e minacciati, provano l'angoscia di una fine, mentre
513coloro che soffrono della sopravvivenza di quegli istituti ormaj
insufficienti vivono Iansia, la tensione di una vigilia di batta-
glia, che in loro si associa al malessere, alle sofferenze di una
mancanza di beni e di diritti, ai quali sono ormai consci di
potere aspirare. L’uomo inoltre non é pitt d’accordo col mon-
do, inteso come natura, tanto @ vero che anche la fisica sta
cambiando tutte le sue ipotesi sulla struttura della materia
e sull’andamento dei fenomeni. Sino all’era contemporanea,
peri molti decenni dell'eta borghese, I'uomo aveva creduto alla
promessa di un progresso indefinito, che si sarebbe attuato
per le vie della normalita; con I'inizio dell’era contemporanea,
Tuomo vive come febbre, laceramento, angoscia la certezza
ormai ineluttabile che il’ progresso si avverer’, ma per vie
catastrofiche, e che per certi gruppi da tempo alla ribalta
quel progresso sari la fine del loro gruppo. Non posso tornare
a insistere su cose che ho gi detto in passato; ma & sintomatico
che tutte le analisi, tutte le interpretazioni, sia psicologiche
che antropologiche che sociologiche, dell'uomo moderno, con-
cordino nel vedere in quest’uomo un essere dissociato, dila-
niato dall'opporsi, eritro di lui, di due principi, o energie:
vedano ciot un uomo affetto da una forma schizoidea (dal
greco oyitew, dividere, dissociare). Nell'ultimo di questi nostri
Corsi, avevamo cercato sulla faccia dell'uomo, quale esso & rap-
presentato, raffigurato nei personaggi di romanzo, i sintomi di
esta dissociazione. Li avevamo trovati nella contrattura,
nella deformazione, in parole povere nell'imbruttimento fisior
nomico di quel personaggi:
Queste, ridotte ai minimi termini, le premesse della nostra
storia del romanzo. L’avevamo fatta partire dal primo dopo-
guerra, dagli anni intorno al 1920, perché da quel momento
anche il romanzo italiano registra le innovazioni, il nuovo
atteggiamento, che abbiamo accennato. Tutto questo aveva
avuto un precocissimo annunzio nella narrativa di Luigi Pic
randello (il fu Mattia Pascal risale al 1904), e una pid ingenua,
inconsapevole, ma pitt poetica forse pid flagrante affermazio-
ne nella narrativa di Federigo Tozzi. Il fatto che ora dobbiamo,
affrontare, in ordine cronologico, é la narrativa di Italo Svevo,
Storia alla mano, Svevo aveva preceduto Pirandello e Tozzi
a meno che la noviti di Pirandello non si voglia riportare
ai suoi primi lavori del decennio 1890-1900. Il primo romanzo.
di Svevo, Una vita, risale al 1892; il secondo, Senilité, al 1898.
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Ma quei due libri avevano avuto pochissime recensioni, al
loro apparire, e ai lettori non erano arrivati. Insomma, erano
rimasti lettera morta. Nel 1928, dopo venticinque anni di
apparente silenzio, cioé di vita letteraria strettamente privata,
Svevo pubblica un terzo romanzo, La coscienza di Zeno, Nel
1925 e negli anni successivi la critica e il pubblico (meno il
pubblico, perd, che la critica) si accorgono che Svevo é un
romanziere di importanza eccezionale.
La domanda pitt ovvia é: perché prima di allora non se
ne erano resi conto? La risposta pitt ovvia, dal nostro punto
di vista, @ che Svevo, coi suoi romanzi, presenta Vimmagine
dell'uomo che la nuova narrativa cerca e persegue; che anche
i suoi romanzi, come tutti i romanzi moderni, sono romanzi
interrogativi. Interrogano per cercare, forse invano, di sapere
il significato della vita, il senso del destino di un uomo disso-
ciato, dilacerato. Forse parra banale, ma & necessario, soggiun-
gere che formulare pitt o meno distintamente una domanda
non vuol dire promettere o far sapere una risposta. L'idea
che porre un problema sia gid risolverlo é tipica degli uomini
e delle eta ottimistiche (una simile idea, per esempio, era mol-
to cara a Benedetto Croce. Ma il Croce, per l'appunto, era
un ottimista, sia pure nel modo pid complesso e meno inge-
nuo). Il romanzo interrogativo, anche in Svevo, ¢ quello che
affaccia, e lascia aperto nella sua drammatica problematicit,
il problema di trovare il senso di cid che si vedet
Al quesito che ci siamo posti per entrare in argomento:
perché Svevo doveva rimanere per trent’anni in quarantena
prima di essere capito? ha gid cercato di rispondere il critico
triestino Bruno Maier, che tra l’altro sembra esplichi con
innegabile signorilita ¢ misura l'incarico, ufficiale ufficioso,
di amministrare le fortune ¢ la celebrit’ del lascito letterario
di Italo Svevo. Le constatazioni e conclusioni del Maier sono
contenute:in due saggi: Breve storia della fortuna di Svevo
Svolgimento storico della critica su Italo Svevo riuniti nel 1954
come introduzione a una raccolta delle Opere sveviane (i tre
romanzi, e alcune novelle tra cui Una burla riuscita, la No-
vella del buon vecchio, Vino generoso, La madre, ec.) pub-
blicata a Milano dall’editore Dall’Oglio Il saggio sullo svolgi-
mento della critica era gia apparso tre anni prima:® per la ri-
stampa, avverte Pautore, « stato corretto, riveduto, ridotto ».
Maier adopera un argomento, di cui forse allora (1951) non
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