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VINCENZO CAPORALETTI

NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE


SULLE FONTI DI "TIGER RAG"

ESTRATTO
da

(IL) SAGGIATORE MUSICALE


2018/1 ~ a. 25
Anno XXV, 2018, n. 1
Rivista semestrale di musicologia

Anno XXV, 2018, n. 1


Al lettore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3
Articoli
Andrea Garavaglia, Funzioni espressive dell’aria a metà Seicento secondo il
“Giasone” di Cicognini e Cavalli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 5
Graziella Seminara, Per una rilettura di “Elektra” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 33
Vincenzo Caporaletti, Nuove prospettive interpretative sulle fonti di “Tiger
Rag” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 61
Linda Cimardi, Dall’Asia all’Occidente – via Venezia. Festival e musica orien-
tale in Europa negli anni ’60 e ’70 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 105
Interventi
Walther Dürr, Schubert, il Romantico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 129
Recensioni
Instrumental Music in Late Eighteenth-Century Spain, a cura di M. Á. Marín e M. Bernadó;
Historia de la música en España e Hispanoamérica, IV, a cura di J. M. Leza (A. Bombi), p. 145 –
G. Rossini, Le comte Ory, ed. critica a cura di D. Colas (F. Della Seta), p. 151.

Schede critiche
M. Smith, A. Cecchi e F. Lazzaro su E. Sala (p. 159), T. Pangrazi (p. 162) e L. Curinga
(p. 166).
Notizie sui collaboratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 171
Libri e dischi ricevuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 173
La redazione di questo numero è stata chiusa il 31 luglio 2018

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(segue in 3ª di coperta)
Anno XXV, 2018, n. 1

Leo S. Olschki
Firenze
IL SAGGIATORE MUSICALE
Rivista semestrale di musicologia
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Macerata-Roma

NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE


SULLE FONTI DI TIGER RAG

Oltre a essere uno dei brani jazzistici con il maggior numero di incisioni
fonografiche, Tiger Rag è certamente tra i più controversi, sia per quanto ri-
guarda l’attribuzione autoriale sia per l’identificazione filologica delle fonti
motiviche.1 Compositore della musica, o perlomeno, titolare del copyright,
è il cornettista italoamericano Dominic James “Nick” La Rocca (1889-1961),
che lo incise su disco per la prima volta nel 1917 con il quintetto Original
Dixieland Jass Band di New Orleans.2
È bene chiarire in via preliminare la complessa vicenda dei diritti d’au-
tore di Tiger Rag, spesso falsata nella letteratura da dati discordanti. Il pri-
mo copyright del brano reca la data 12 maggio 1917 ed è a nome di Max
Hart di New York, al tempo impresario dell’ODJB, che con tutta evidenza
si attribuì proditoriamente i diritti d’autore (suo figlio Lorenz sarebbe dive-
nuto il famoso autore e librettista, collaboratore del compositore Richard
Rodgers, 1902-1979).3 Il primo editore su supporto cartaceo fu Leo Feist,

1  Le incisioni discografiche di Tiger Rag fino al 1942 sono state 136: il brano è superato solo
da The St. Louis Blues: cfr. R. Crawford - J. Magee, Jazz Standards on Record, 1900-1942: A Core
Repertory, Chicago, Columbia College, 1992, p. x.
2  D’ora in avanti, ODJB (N. La Rocca, cornetta; L. Shields, clarinetto; E. Edwards, trom-
bone; H. Ragas, pianoforte; T. Sbarbaro, batteria); New York, 17 agosto 1917, Aeolian Voca-
lion, B-1206. Non si è mai stabilito con certezza quando la grafia ‘jazz’ rimpiazzò ‘jass’ nella
denominazione della band e nell’intitolazione dei brani: fu un processo graduale durato alcuni
mesi, con divergenze tra etichette dei dischi, manifesti e documenti del deposito legale dei
brani. La prima pubblicazione a stampa, realizzata nel settembre 1917 con l’editore Leo Feist
di New York, presenta la lezione ‘jazz’, come pure la registrazione del copyright del primo
brano inciso dall’ODJB, Dixie Land Jazz Band – One Step, effettuata il 9 aprile 1917. Si può quindi
verosimilmente ritenere che il cambiamento nella grafia sia da attribuirsi a Max Hart, di cui si
dirà tra breve.
3  Cfr. Library of Congress, Catalog of Copyright Entries: 1917, n.s., vol. 12, n. 1, part 3:
Musical Compositions, Washington, Government Printing Office, 8535, E403137.
62 VINCENZO CAPORALETTI

che l’8 settembre 1917 effettuò il deposito legale della raccolta Latest Vocal
and Instrumental Music, in cui figurava il brano.4 Max Hart aveva intestato
a proprio nome anche i diritti d’autore di altri brani composti ed eseguiti
dalla formazione di New Orleans, come Ostrich Walk, Barnyard Blues, Dixie-
land Jazz Band (One-Step) e Sensation (Rag): solo dopo la sua scomparsa, alla
fine degli anni ’20, La Rocca poté subentrargli nella titolarità delle royalties.
Queste gli furono conferite uninominalmente, anche se i proventi econo-
mici continuarono a essere regolarmente ripartiti, sulla scorta di accordi
precedenti, tra i membri dell’ODJB.5 Nel 1937, con l’adesione di La Rocca
all’ASCAP (American Society of Composers, Authors, and Publishers), gli
accordi pregressi subirono una restrizione a suo favore, cristallizzandosi poi
nel 1943 col rinnovo del deposito legale; tale stato di fatto causò forti dissa-
pori tra i membri dell’ODJB.6
L’attribuzione autoriale a favore di La Rocca fu contestata da più par-
ti, in primis dal pianista e compositore Ferdinand Joseph LaMothe ( Jelly
Roll Morton, 1890-1941), che a più riprese reclamò la paternità artistica
del brano.7 In una ricerca recente ho preso in esame la complessa querelle; 8
l’analisi delle prove addotte dalla testimonianza del pianista creolo – anche
sul puro piano musicale − mi ha indotto a confutare la sua tesi, conferman-
do in sostanza l’autorialità di La Rocca. Nello stesso tempo, ho rilevato le
contraddizioni insite in queste pur «convincenti e inoppugnabili conclu-
sioni»,9 alla luce di considerazioni di ordine socioantropologico. In questa
prospettiva, la problematica assume infatti altre connotazioni, rivelandosi
l’epifenomeno di una serie di dinamiche ingenerate dal passaggio da una
cultura tradizionale di stampo oralistico alla cognitività audiotattile e neo­
auratica,10 all’interno di un orizzonte antropologico, agli inizi del secolo

4 Cfr. ibid., 14818, E407792.


5 Questa circostanza è riferita in H. O. Brunn, The Story of the Original Dixieland Jazz Band,
Baton Rouge, Louisiana State University Press, 1960, p.  231, e confermata in S. Charters,
A Trumpet around the Corner: The Story of New Orleans Jazz, Jackson, University Press of Missis-
sippi, 2008, p. 151.
6  Cfr. Brunn, The Story cit., p. 245 sg.
7  L’edizione critica dell’intervista e delle esecuzioni musicali connesse è in Jelly Roll Mor-
ton: The Complete Library of Congress Recordings, a cura di J. A. Greenberg e A. Lomax Wood,
8 cd, s.l., Rounder, 2005, 11661-1555-2G01.
8 Cfr. V. Caporaletti, Jelly Roll Morton, la “Old Quadrille” e “Tiger Rag”. Una revisione storio-
grafica / Jelly Roll Morton, the “Old Quadrille” and “Tiger Rag”: A Historiographic Revision, Lucca,
LIM, 2011.
9  Così Bruce Boyd Raeburn, curatore del William Ransom Hogan Archive of New Or-
leans Jazz della Tulane University a New Orleans (ibid., p. 9).
10  Le nozioni di ‘principio audiotattile’ (PAT) e di ‘codifica neoauratica’ (CNA) sono alla base
della Teoria delle Musiche Audiotattili formulata da chi scrive. A grandi linee, e in via del tutto
indicativa in questa sede, possiamo dire che con il primo si intende un modello di razionalità e di
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 63

XX, caratterizzato dall’insorgenza della cultura di massa. Di fatto, appare


chiaro come Nick La Rocca abbia formalizzato in termini di proprietà in-
tellettuale e di cristallizzazione testuale discografica una serie di pratiche
ed espressioni, e dei veri e propri “motivi vaganti” costituenti il patrimonio
collettivo dei musicisti di New Orleans tra fine Ottocento e inizi Novecen-
to.11 In questo processo culturale l’italoamericano aveva così distanziato sé
stesso dall’anonima dignità del culture bearer oralistico per approdare a uno
status autoriale allora inconcepibile e inaudito per un illetterato musicale.
Nello stesso tempo, aveva sottratto alla jazz community di New Orleans un
bene collettivo, giustificando di fatto le rimostranze non del solo Jelly Roll
Morton, in uno scenario che travalica le contingenze di una particolare
attribuzione autoriale per accedere alle dinamiche di una drammatica mu-
tazione socioantropologica.
Ora, l’esatta determinazione filologica delle unità motiviche e delle
strutture armoniche utilizzate per la creazione di Tiger Rag è tuttora ogget-
to di discussione: scopo di questo saggio è chiarificare i termini di questa
intricata problematica (tra l’altro, intimamente interconnessa con l’attribu-
zione autoriale) e proporre alcune linee interpretative originali.

Schema strutturale di “Tiger Rag”

Propedeutica alla discussione delle fonti è la necessità di stabilire la mor-


fologia architettonica del brano; ciò comporta un passaggio sui criteri di for-
malizzazione, che riprendono la tassonomia da me elaborata.12 È ben noto
in antropologia culturale (e a maggior ragione nelle sue applicazioni musi-

costruzione della realtà (non solo musicale) di tipo olistico, esperienziale e contestuale, non ricon-
ducibile al paradigma astrattivo, riduzionista e disgiuntivo che nella cultura musicale della moder-
nità occidentale ha presieduto all’elaborazione della teoria musicale e alla correlata formalizza-
zione “nomologica” della notazione musicale. La specifica formatività ne compendia le concrete
implementazioni sia nelle musiche delle culture tradizionali sia delle tradizioni del jazz, rock, pop,
eccetera. Il concetto di ‘codifica neoauratica’ è invece relativo all’insieme dei valori estetici, delle
credenze e dei costituenti identitari artistici originati dal regime fonografico, dalla consapevolezza
della possibilità di fissazione del suono con i processi tecnologici. Per un opportuno approfon-
dimento, rimando almeno ai miei Processi improvvisativi nella musica. Un approccio globale, Lucca,
LIM, 2005, e Swing e Groove. Sui fondamenti estetici delle musiche audiotattili, Lucca, LIM, 2014. Per la
specifica discussione riferita a Tiger Rag, cfr. il mio Jelly Roll Morton cit., pp. 37 sg. e 77 sg.
11  Per ‘motivi vaganti’ intendo materiali melodico-armonici che circolavano nella jazz
community come strutture d’uso per le pratiche creative, di cui non si conosceva o si era di-
menticato l’autore. È un concetto introdotto da Aleksandr Nicolaevič Veselovskij in relazione
ai repertorii folklorici dei racconti di fiabe e all’epica orale; più da presso al contesto di cui ci
stiamo occupando, esso corrisponde alla nozione di floating folk strains (cfr. D. A. Jasen - Tr.
J. Tichenor, Rags and Ragtime, New York, Seabury, 1978, p. 22).
12 Cfr. Caporaletti, Jelly Roll Morton cit., p. 23 sg.
64 VINCENZO CAPORALETTI

cali) che, di norma, i parametri di classificazione degli outsider non collimano


con quelli degli insider.13 Questo assunto è paradigmatico per la ricerca su
Tiger Rag, in quanto, proprio per orientarsi nell’intrico delle testimonianze
storiche degli informatori, vòlte a identificare i precursori del brano – reso-
conti orali risalenti perlopiù alla metà del secolo XX, riferiti a fatti occorsi
cinquant’anni prima −, bisogna distinguere tra una segmentazione tributaria
della teoria musicale convenzionale e le etnoteorie messe in campo da una
cospicua parte di musicisti di New Orleans. La Rocca stesso non era alfabe-
tizzato musicalmente, come peraltro altri informatori intervistati in propo-
sito, e occorre pertanto tenere ben presente questo fatto nell’interpretare le
loro asserzioni in merito alle caratteristiche strutturali del brano e dei riferi-
menti motivico-melodici antecessori.14 Il nostro sforzo sarà proprio quello di
conciliare culturalmente i criteri e i designata etnoteorici con quelli della teo-
ria musicale occidentale, al fine di impostare una corretta analisi filologica.
Tiger Rag è un brano multisezionale che adotta lo schema formale tri-
butario della tradizione del ragtime statunitense,15 a sua volta derivante
dalle forme di marcia della musica europea scritta. La Tab. 1 ne sintetizza
la struttura, con segmentazione sezionale e connessa estensione metrica,
tonalità e andamento in bpm (battute al minuto). Esso si compone di tre
sezioni di 32 batt. (1, 2, 3), con relative subsezioni (1a e 1b, di 8 batt.; 2a e
2b, di 16 batt., e le sezioni variate 3x, 3y e 3z, ciascuna di 32 batt.). Il testo
di riferimento adottato è l’edizione critica della partitura retrospettiva della
registrazione 16 effettuata all’epoca dall’ODJB.17

13  Per un excursus critico su questo argomento, cfr. Br. Nettl, The Study of Ethnomu-
sicology: Thirty-One Issues and Concepts, Urbana-Chicago, University of Illinois Press, 2005,
pp. 149-160.
14  Ciò non significa affatto che i musicisti di New Orleans fossero nella loro totalità non
acculturati rispetto ai codici formali musicali: la cultura musicale europea era molto diffusa, e
in particolare «Creoles studied with musicians of the French opera house and with scores of
itinerant Latin American and European conservatory-trained performers»: Th. Fiehrer, From
Quadrille to Stomp: The Creole Origins of Jazz, «Popular Music», X, 1991, pp. 21-38: 28. Cfr. anche
D. Chevan, Written Music in Early Jazz, Ph. d. Diss., New York, City University, 1997.
15  Per un’introduzione generale sul ragtime, cfr. il classico E. A. Berlin, Ragtime: A Mu-
sical and Cultural History, Berkeley - Los Angeles, University of California Press, 1980. Dello
stesso autore, su Scott Joplin, cfr. King of Ragtime: Scott Joplin and His Era, New York - Oxford,
Oxford University Press, 1994. Cfr. infra per ulteriori rinvii bibliografici.
16  Per ‘edizione critica’ di musica non scritta, si utilizza la formulazione nel senso propo-
sto da B. Bartók, Scritti sulla musica popolare, a cura di D. Carpitella, Torino, Boringhieri, 2001,
p. 249: «la trascrizione dei dischi di musica popolare e le loro [sic!] pubblicazioni devono essere,
nei limiti del possibile, dei veri e propri Urtextausgabe (cioè un’edizione criticamente condotta,
nella quale i testi sono presentati in accordo con la presunta intenzione dell’autore ...)».
17  Cfr. N. La Rocca, Tiger Rag (Hold That Tiger), Miami, Warner, 1999 («Essential Jazz Edi-
tions», Set n. 1: New Orleans Jazz, 1918-1927). Si tratta del brano inciso dall’ODJB a New York il
25 marzo 1918, disco Victor Talking Machine 18472. Credo che la scelta, per l’edizione critica, di
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 65

Tab. 1 – ODJB, Tiger Rag, New York, 17 agosto 1917: schema strutturale-processuale.
1a 1a 1b 1a 2a 2b 3x 3y 3z 3x
8 batt. 8 batt. 8 batt. 8 batt. 16 batt. 16 batt. 32 batt. 32 batt. 32 batt. 32 batt.
Si M FaM Si M Mi M La M
123 bpm

Elemento di rilievo è la disposizione dei piani tonali, come si evince dallo


schema armonico delle sezioni e dalla loro relazione (cfr. Tab. 2; gli aspetti
motivici saranno discussi infra).

Tab. 2  –  Strutture metrico-armoniche di Tiger Rag (una casella equivale a una


battuta).
sezione 1 – tonalità di Si  e Fa maggiore
I V I V I
subsezione 1a: tonalità di Si  maggiore

V I V I V I V I
subsezione 1b: tonalità di Fa maggiore

sezione 2 – tonalità di Mi  maggiore


I V
V I II7 V
subsezione 2a

V I V I
V I IV II7 V I7
subsezione 2b

questa versione rispetto a quella originaria del 17 agosto 1917 sia dovuta alla maggiore affidabilità
acustica dell’incisione discografica, oltre che alla sua più larga diffusione sul mercato. Infatti, la
registrazione del 1917 con la compagnia Aeolian-Vocalion (il compartimento fonografico della
Aeolian, famosa ditta produttrice di pianoforti automatici) fu edita, compromettendone di fatto la
circolazione, su supporti discografici obsoleti con lettura verticale del solco di incisione (vertical
cut), in controtendenza con la tecnologia dei grammofoni a lettura orizzontale del solco che in quel
volgere di anni costituivano lo standard di mercato. Cfr. St. Sullivan, Encyclopedia of Great Popular
Song Recordings, Lanham, Scarecrow, 2013, p. 268 sg. Data comunque l’elevata somiglianza sotto
il profilo melodico-armonico, in questo studio considereremo le due versioni come equivalenti.
66 VINCENZO CAPORALETTI

sezione 3 – tonalità di La  maggiore


I V
V I
I I7 IV
IV I VI7 II7 V I (V)

La letteratura scientifica

Anzitutto, occorre interrogarsi sullo stato dell’arte. Che cosa si sa e cosa


manca al quadro d’insieme? A parte una serie di annotazioni sparse disse-
minate in letteratura, il testo di riferimento è l’edizione critica già citata.
Tra i vari contributi in essa contenuti ve n’è uno filologico sulle fonti di
Tiger Rag a firma di Jack Stewart, che segmenta il brano seguendo essen-
zialmente le indicazioni di La Rocca stesso.18 Specifico, per inciso, che in

18  La nota filologica di Jack Stewart (Tiger Rag, in La Rocca, Tiger Rag cit., p. 4) solleva
alcune perplessità. Lo studioso si avvale delle indicazioni di La Rocca traendole da Brunn, The
Story cit. (Stewart non indica le pagine: 94 sg.), volume che però si rivela fonte non primaria,
dato che riporta non verbatim le dichiarazioni di La Rocca stesso pubblicate in altre sedi: rispet-
tivamente, in italiano (D. La Rocca, Tiger Rag, «Jazz di Ieri e di Oggi», VI, giugno 1960, p. 30) e
in inglese (E. B. Allen - N. La Rocca, How “Tiger Rag” Was Composed, «International Musician»,
LIX, novembre 1960, p.  12). Vale la pena citare integralmente quest’ultima testimonianza:
«How could a self-taught cornetist like “Nick” La Rocca not only play, but compose, many of
the most popular offerings of the Original Dixieland Jazz Band, like Tiger Rag? He explains to
E. B. Allen: “I’ll tell you how Tiger Rag came about. A man who’s self-taught has only a limited
amount of material to draw on. He gets different ideas and then he tries to put them together.
Now they needn’t dispute me on this. I constructed the number; I should know where I got
the music. I knew only the tunes of my childhood days, and other tunes which I incorporated
in tunes which were to follow. Tiger Rag begins with an ending I always made to my numbers,
with a few little notes added. It’s a piece of tango. When people bothered me too much, I’d
blow these few little notes at them and they meant ‘get over, dirty’, just like ‘where did you get
that hat?’. As for the second part, it’s London Bridge Is Falling down − but in stop time ... The trio
is nothing but the chord construction of National Emblem March, by Sousa [recte, Edwin Eugene
Bagley (1857-1922)] − ‘Oh, the monkey wrapped his tail around the flagpole’ ... If you take
this, and put rhythms against it, you’ll see it’s nothing but the chord construction of the march,
with two beats syncopated. Another part comes from the old German bands in New Orleans
that used to play their ‘um-pa, um-pa’. But you make those notes used as background by brass
behind clarinet, and you get this part of Tiger Rag. Some people have tried to say that this tune
came from a French quadrille. Others claim it was being played under different names around
New Orleans long before I put it together. But I dispute all of these people and I never heard
any such quadrille”» (ibid.). Ma bisogna ricordare che disponiamo anche di un’intervista che
risale a due anni prima, registrata da William Allen il 21 maggio 1958 e conservata nello Hogan
Jazz Archive of New Orleans Jazz della Tulane University di New Orleans (La Rocca’s Inter-
view, HJA 05-21-1958, Reel 1), in cui il cornettista documenta in un’esecuzione al pianoforte la
relazione del brano con la struttura armonica del secondo tema della National Emblem March.
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 67

questo testo Jack Stewart ha accreditato la tesi autoriale pro La Rocca prima
della pubblicazione della mia monografia su Jelly Roll Morton, in cui, come
si è detto, contesto su basi oggettive e documentate le pretese del musicista
creolo; per questo motivo, credo, Stewart si limita a giudicare la ricostru-
zione di Brunn con un laconico «rings true».19 È opportuno citare integral-
mente questa analisi, indicando tra parentesi quadre, per comparazione, le
corrispondenze con la segmentazione del brano da me proposta: 20
This arrangement has a 32-bar verse in C major, m. 1-32. It uses the “get over,
dirty” phrase and a complementary phrase repeated in a slightly modulated man-
ner to make an eight-bar sequence [1a].
This sequence is repeated with a slight variation [1a].
This is followed by eight bars taken note for note from Schubert’s Sixteen German
Dances, Op. 33 [1b]. The fourth and final part is another eight-bar variation similar
to parts one and two [1a].
The second major section, m. 33-64, changes into F major and starts with two
bars of what Brunn probably referred to as the London Bridge theme in stop time,
followed by a two-bar break; this sequence is repeated once [2a].
Next is a two-bar fanfare and then another four-bar variation of London Bridge.
This section closes with an eight-bar riff “melody” and another eight-bar variation
on it [2b].
The trio section, of 128 bars, m. 65-192, changes into B-flat major and starts with
a 32-bar “melody”, m. 65-96, with the same chords used in National Emblem (1906),
Bill Bailey (1902), Washington and Lee Swing (1910), and many others [3x, 3y, 3z, 3x].

Al di là dei criteri filologici – e del fatto che Stewart citi le tonalità traspo-
ste per strumenti in Si  anziché quelle reali –, la sostanza dell’analisi non
convince. Oltre a riferirsi alle asserzioni di La Rocca - Brunn (per 1a, 2a, 2b,
3x, 3y, 3z), lo studioso indica altre fonti (per la subsezione 1b) senza però
documentarle: risulta infatti perlomeno curioso il rinvio all’Op. 33 di Franz
Schubert senza il riferimento specifico al brano e al preciso locus al quale
riferirsi. A un esame delle Sedici danze tedesche D 783 di Schubert non
risultano imprestiti «note for note», se non una vaghissima e inafferente
similitudine delle tre note iniziali della Danza n. 1 con l’iterato della sezione
3y (inciso irrelato, peraltro, sul piano melodico, intervallare e tonale), e di
un frammento melodico, nella prima battuta della seconda sezione della
Danza n. 2, con un passaggio della subsezione 2b. Tali somiglianze si pos-
sono ritenere del tutto casuali e non rilevanti.21

19  Stewart, Tiger Rag cit., p. 4.


20  Ibid.
21  È molto rischioso applicare meccanicisticamente questa logica etic, sulla scorta della
quale in linea teorica si possono individuare somiglianze con qualsiasi cosa. Con l’opposizione
68 VINCENZO CAPORALETTI

Ma è soprattutto la segmentazione del brano nel suo insieme a pre-


sentare criticità, giacché mal interpreta le indicazioni stesse di La Roc-
ca. Stewart attribuisce infatti la derivazione da London Bridge alla sezione
2(a+b), mentre un’analisi motivica (cfr. infra) ci spinge a ritenere che La
Rocca si riferisse a 1b. Inoltre, nella testimonianza che si è citato per intero
il musicista italoamericano è estremamente preciso su un punto: il riferi-
mento a London Bridge è eseguito in stop time. Ora, la convenzione formale
dello stop time non figura nella sezione 2, in quanto dal punto di vista degli
insider vi figurano invece dei break, il che sta a significare tutt’altra cosa. Lo
stilema stop time, infatti, a fronte di un’efflorescenza improvvisativa dello
strumento solista, prevede la scansione da parte dell’ensemble di un deter-
minato modello ritmico, con stacchi all’unisono o in omoritmia, così come
si vedrà nell’analisi di 1b, ma non l’interruzione misurata della continuità
pulsiva esplicitata, com’è nella tradizione dei break nel blues e poi nel jazz.22
In ogni caso l’ipotesi qui proposta, consequenzialmente, solleva la questio-
ne correlata dell’origine della sezione 2(a+b), che a questo punto resta in-
spiegata: anche questo aspetto sarà documentato e precisato più avanti.
Altro testo importante nella letteratura critica su Tiger Rag è il significa-
tivo contributo di Philippe Baudoin, che traccia un’ampia e documentata
sintesi delle problematiche autoriali e filologiche relative al brano.23 Bau-
doin tende ad accreditare la versione di Morton; inoltre, non fa menzio-
ne dell’“ipotesi London Bridge”, riconducendo l’origine della subsezione 1b
al valzer indicato da Morton stesso.24 Le questioni in ogni caso irrisolte,
evidenziate da Baudoin, riguardano l’origine della griglia armonica della
sezione 3 e, soprattutto, anche nel suo caso, la mancanza di riferimenti per
la sezione 2 («On ne sait pas trop d’où vient le deuxième thème»).25 Come

categoriale etic/emic, come noto, ci si riferisce alla distinzione introdotta da Kenneth Pike per
distinguere l’analisi basata sulla concretezza degli elementi, quindi descrittiva (linguisticamente
derivativa di ‘phonetic’), da quella fondata sulla loro funzione e pertinenza strutturale (analoga-
mente, da ‘phonemic’). Nella prospettiva antropologica il punto di vista etic è, di norma, riferito
all’outsider, mentre l’insider utilizza quello emic. Cfr. K. L. Pike, Language in Relation to a Unified
Theory of the Structure of Human Behavior (1954), The Hague, Mouton, 1967.
22  Cfr. B. Kernfeld, “voce” stop-time, in New Grove Dictionary of Jazz, a cura di B. Kernfeld,
2a ed., London, Macmillan, 2002, III, p. 669, in cui se ne dà una descrizione processuale: «An
ensemble or pianist repeats in rhythmic unison a simple one- or two-bar pattern consisting of
sharp accents and rests ...», mentre il break corrisponde a un «brief solo passage occurring dur-
ing an interruption in the accompaniment, usually lasting one or two bars and maintaining the
underlying rhythm and harmony of the piece» (Id., “voce” break, ibid., I, p. 295).
23  Cfr. Ph. Baudoin, Le tigre est toujours à l’affût, ou L’épopée de “Tiger Rag”, «Jazz Classique
Online», XXXVIII, novembre 2005, pp. 1-7: 5.
24  Per la trascrizione in notazione di questo valzer, cfr. Caporaletti, Jelly Roll Morton cit.,
p. 89.
25  Baudoin, Le tigre cit., p. 3.
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 69

si vede, è proprio la sezione 2 a sollevare le perplessità maggiori; in questo


saggio proporremo una soluzione all’enigma, non prima però di aver va-
lutato analiticamente le varie tesi, a partire proprio da quelle di La Rocca.

La versione di Nick La Rocca

Per quanto concerne la nozione di ‘stile formativo’,26 ossia, nella fat-


tispecie degli insider di New Orleans agli inizi del secolo XX,27 il peculiare
trattamento del modello figurale 28 musicale attraverso procedure polifo-
niche ed eterofoniche di creazione in tempo reale di tipo estemporizzati-
vo,29 si può ritenere che i criteri pertinenti nella categorizzazione musicale
audiotattile dei brani multitematici di derivazione ragtime,30 più che l’a-
spetto motivico-tematico, fossero (a) la struttura armonico-architettonica
delle singole sezioni, e (b) il rapporto tonale tra le sezioni tematiche.31 Gli
aspetti inerenti all’“asse della successione” 32 sintagmatica e alla dimensio-
ne melodica – scarsamente oggettivabili e documentabili in un contesto
audiotattile “puro” in cui non si attivi nessuna decodifica del sonoro attra-
verso le griglie cognitive e il “carico teorico” segmentante-astrattivo della
teoria musicale occidentale – erano surrogati, nel contesto dei musicisti

26  Cfr. G. List, The Distribution of a Melodic Formula: Diffusion or Polygenesis?, «Yearbook of
the International Folk Music Council», X, 1978, pp. 33-52: 50.
27 Per insider s’intendono qui i musicisti delle formazioni hot ragtime (prejazzistiche), in cui
vigevano processi di creazione musicale in tempo reale.
28  Cfr. B. Lortat-Jacob, Improvisation: le modèle et ses réalisations, in L’improvisation dans les
musiques de tradition orale, a cura di B. Lortat-Jacob, Paris, Selaf, 1987, pp. 45-59.
29  Per la nozione sistemica di ‘estemporizzazione’, come opposta a improvvisazione, cfr.
Caporaletti, I processi improvvisativi cit., pp. 98-115; per una discussione del processo estempo-
rizzativo in relazione al jazz di New Orleans, cfr. ibid., pp. 332-335.
30  Propria dei cosiddetti faker, soggetti cioè scarsamente o affatto alfabetizzati musical-
mente secondo i codici della teoria musicale occidentale.
31  Questo criterio tassonomico e categorizzante è confermato da Harry Brunn: «many
New Orleans musicians of that day, otherwise totally ignorant of written music, came to rec-
ognize their chords by letter and number ... This thorough knowledge of chords was one of
the most distinguishing features of the New Orleans ragtime musician, who perceived every
number as a certain chord progression and was quick to improvise within the pattern» (Brunn,
The Story cit., p. 7 sg.). Tale criterio distintivo era valido anche per altre attestazioni di perce-
zione etnica e audiotattile di brani multitematici. Per esempio, in Brasile l’identificazione della
differenza tra samba e maxixe, immediatamente dopo il 1917, era basata sulle relative qualità
tonali dei temi (monotonali per il samba e multitonali per il maxixe) e «meno per i loro aspetti
idiomatici»: M. A. Corrêa do Lago, Fonti brasiliane in “Le boeuf sur le toit” di Darius Milhaud.
Una discussione e un’analisi musicale, «Ring Shout – Rivista di Studi musicali afroamericani», II,
2003, pp. 11-77: 35.
32  Cfr. J.-J. Nattiez, Fondements d’une sémiologie de la musique, Paris, Union Générale d’Édi-
tions, 1975.
70 VINCENZO CAPORALETTI

di New Orleans non acculturati rispetto alla teoria musicale formalizza-


ta, da questi due fattori preponderanti. Il ritmo armonico e la mappatura
tonale dello spazio sonoro sono i pilastri di questo modello di percezio-
ne e categorizzazione musicale aurale e audiotattile, poiché sono fattori
considerati dal punto di vista di chi percepisce i brani ai fini di un’appro-
priazione creativa, anziché per una riproduzione di un testo, come avvie-
ne nella musica d’arte scritta. In questa prospettiva, gli elementi melodici
cedono inesorabilmente il passo, nella gerarchizzazione cognitiva, a quelli
strutturali-armonici.
L’analisi delle strutture armoniche (in questo caso, combinata con i rap-
porti tonali tra le sezioni) è quindi funzionale, in prima istanza, alla nostra
disamina emic – anche se, come vedremo, in via non esclusiva –, nella mi-
sura in cui gli appartenenti alla cultura di riferimento, ossia la comunità
dei musicisti di New Orleans con approccio cognitivo audiotattile, lo con-
siderava un indice significativo e decisivo nella codifica percettivo-creativa
di un brano. Da notare che questo criterio di categorizzazione è rimasto
inalterato anche attraverso gli sviluppi della cosiddetta tradizione moderna
del jazz.33
Se si esaminano nel dettaglio le dichiarazioni di La Rocca, il fattore che
emerge con maggior forza è la lapidaria conclusione: «I never heard any
such quadrille».34 Con questa affermazione, il musicista liquida tutto un
fronte di “oppositori” alla liceità del suo copyright: gli assertori – Jelly Roll
Morton in primis – della derivazione del pezzo, in toto o in parte, da un’an-
tica quadriglia, detta La Marseillaise o Praline.35
Come si è notato, anche gli storiografi che sostengono la paternità au-
toriale di La Rocca, in particolare Harry Brunn e Jack Stewart, propongono
delle interpretazioni a mio avviso fuorvianti. Elenchiamo, intanto, gli ele-
menti su cui vi è convergenza interpretativa.

Sub-sezione 1a
È una catch phrase musicale, una sigletta, come abbiamo visto dalla te-
stimonianza di La Rocca, con connotazione di dileggio («get over, dirty»),
composta di una proposizione melodica di due battute, di cui La Rocca am-
mette implicitamente la costituzione pregressa, come motivo tradizionale.
Si tenga presente, a questo proposito, che nel sistema di convenzioni del
New Orleans jazz è la cornetta a eseguire la melodia-guida (lead) nell’ordito

33  Il fenomeno dei contrafact è strettamente legato a questa percezione: cfr. Fr. Tirro, The
Silent Theme Tradition in Jazz, «Musical Quarterly», LIII, 1967, pp. 313-334.
34  Allen - La Rocca, How “Tiger Rag” Was Composed cit., p. 12.
35 Cfr. Caporaletti, Jelly Roll Morton cit., p. 18.
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 71

polilineare. Il siculo-americano integra, in Tiger Rag, questa proposizione


con altro materiale, a formare una frase che viene quasi testualmente ri-
petuta con clausola conclusiva, configurando così il periodo di otto battute
di 1a. Baudoin in proposito asserisce: «nous n’avons pas réussi à trouver le
passage qui colle avec la phrase: “Get over, dirty”».36
A questo proposito, ho individuato la registrazione di un’intervista rila-
sciata da La Rocca il 26 maggio 1958 nella quale il siculo-americano indica
esattamente la collocazione di questa espressione gergale.37 Ecco la mia tra-
scrizione dell’incipit del brano, con il punto esatto in cui si inserisce il motto:

Es. mus. 1 – ODJB, Tiger Rag, New York, 25 marzo 1918: inizio della subsezione 1a, batt.
1-2 (la trascrizione, in note reali, è di chi scrive). Nel riquadro è evidenziata la sigla «get
over, dirty».

Questa proposizione di due battute, che secondo La Rocca si lascia ricon-


durre a un tango, figura testualmente come incipit del primo tema di Barrel
House Rag di Fate Marable e Clarence Williams,38 a testimonianza della sua
larga circolazione (ma cfr. infra per un’interpretazione alternativa):

36  Baudoin, Le tigre cit., p. 3.


37  Cfr. New Orleans, Tulane University, William Ransom Hogan Archive of New Or-
leans Jazz, La Rocca Oral History, Interview, May 26 1958; l’indicazione figura a 10' 11"
dell’intervista.
38  La partitura è stata pubblicata a New Orleans da Williams & Piron nel 1916: cfr. D. A.
Jasen, Ragtime: An Encyclopedia, Discography and Sheetography, New York - London, Routledge,
2007, p. 494.
72 VINCENZO CAPORALETTI

Es. mus. 2 – Fate Marable - Clarence Williams, Barrel House Rag (New Orleans, Williams
& Piron, 1916), batt. 5-12. Le prime due battute corrispondono, trasposte, alle omologhe
di 1a.

V’è un’altra fonte edita che attesterebbe l’origine della subsezione 1a


dalla fantomatica quadrille cui si è sempre riferito Jelly Roll Morton. In
proposito ci informa Jack Stewart: «Though a printed version of [the qua-
drille] has never been discovered, Allan Jaffe, of Preservation Hall, did turn
up a music box disc from 1867 with a few measures of the first strain of
Tiger Rag (the so-called “Get over, dirty” theme)».39 Stewart si mostra però
scettico sull’attendibilità di questa fonte, edita su long playing col titolo Tiger
Rag (Quadrille Disc of Tiger Rag),40 come pure sull’“ipotesi quadrille” in sé
(«Neither of these references, though, would account for the fully devel-
oped version recorded by the ODJB in 1918»).41
Nell’Es. mus. 3 figura una trascrizione in notazione delle prime otto
battute di questo reperto, di cui abbiamo ricostruito parte dell’incipit, non
presente nella registrazione. Occorre precisare subito che questo pezzo,
in ogni caso, non corrisponde alla quadriglia esemplificata da Morton alla
Library of Congress nel 1938 (che invece si teneva da presso alla versione di
Tiger Rag di La Rocca). Ciò non mette in discussione la possibile attendibili-
tà di questa ulteriore testimonianza. Indubbiamente la struttura armonica
delle prime quattro battute, poi ripetuta, corrisponde a quella di 1a, nella

39  J. Stewart, The Strangest Bedfellows: Nick La Rocca and Jelly Roll Morton, «Jazz Archivist»,
XV, 2001, pp. 23-31: 26.
40  Cfr. Tiger Rag (Quadrille Disc of Tiger Rag), in Played with Immense Success, a cura di
A. Rose; disco Pirogue Race Records, 1979. Si tratta di un long playing miscellaneo, realizzato
con intento documentario in concomitanza con la mostra sulla cultura musicale di New Or-
leans “Played with Immense Success”, inaugurata nella Crescent City il 28 gennaio 1979, di
concerto con la Smithsonian Institution di Washington. Accanto ad altri interessanti reperti,
figura questo breve brano introdotto nelle note di copertina da una presentazione piuttosto
roboante: «This is fifty-five seconds of astonishing musical history. You hear it here playing
on a music box (1867) in its original quadrille form. The disc bears no title, but the work was
claimed in the early 20th century by “Jelly Roll” Morton and copyrighted by Original Dix-
ieland Jazz Band members Nick La Rocca and Larry Shields». Escludiamo, in ogni caso, che
questa quadriglia, sia pure per il primo tema, corrisponda a quella indicata da Morton.
41  Stewart, The Strangest Bedfellows cit., p. 26.
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 73

successione I-I-V-I.42 Così pure l’acciaccatura multipla d’attacco anacrusico


delle due semifrasi, e l’inciso con le quattro note di tonica nella prima e
quinta battuta. Manca il motivo corrispondente al motto «get over, dirty»,
ma possiamo tuttavia considerare questo brano, in funzione archeologica,
come uno dei precursori dei motivi vaganti diffusi nella Crescent City a fine
Ottocento, soprattutto in considerazione dell’approccio aurale consentito
dal medium del carillon, l’idiofono a pizzico meccanico attraverso cui era
riprodotto:

Es. mus. 3 – Reperto da carillon (New Orleans, 1867), in Played with Immense Success, disco
Pirogue Race Records, 1979: batt. 1-8 (la trascrizione è di chi scrive; i suoni reali sono cre­
scenti di circa un semitono).

Sezione 3
Oltre al secondo tema della National Emblem March di Bagley, Jack Stewart
ha individuato anche altri brani che recano nel primo tema la stessa strut-
tura: il più antico presente a New Orleans sarebbe Sobre las olas (1888) 43 del
compositore messicano Juventino Rosas (1868-1894).44 Su questa struttura
l’ODJB innescava: in 3x, processi estemporizzativi polifonici, caratterizzati
dalla preminenza della dissonanza metrica di raggruppamento ternario 45

42  Si tratta però di un modello armonico ricorrente nelle quadriglie: cfr. per esempio la
quadriglia n. 1, Old Folks at Home, nella raccolta Old Folks Quadrilles di Stephen Foster (1853).
Qui figura la stessa struttura armonica di 1a, e la medesima collocazione metrica – con, soprat-
tutto, identità motivica  –  della caratteristica clausola individuata come “marcatore figurale”
nel mio Jelly Roll Morton cit., p. 24 sg. Ulteriori ricerche potranno verificare la diffusione a New
Orleans di questa raccolta per accertare un possibile nesso.
43  Cfr. J. Stewart, The Mexican Band Legend: Myth, Reality, and Musical Impact; A Preliminary
Investigation, «Jazz Archivist», VI, n. 2, 1991, pp. 1-14: 1. Cfr. infra i dettagli relativi alla recezione
a New Orleans di questo brano alla fine del secolo XIX.
44 Anche Baudoin, Le tigre cit., p. 3, concorda con questa possibilità.
45  Cfr. H. Krebs, Some Extensions of the Concepts of Metrical Consonance and Dissonance,
«Journal of Music Theory», XXXI, 1987, pp. 99-120: 103 sg.; Id., Fantasy Pieces: Metrical Dis-
sonance in the Music of Robert Schumann, New York - Oxford, Oxford University Press, 1999;
P. M. Kaminsky, Aspects of Harmony, Rhythm and Form in Schumann’s “Papillons”, “Carnaval” and
“Davidsbündlertänze”, Ph.d. Diss., University of Rochester, 1989. Sulle modalità di categoriz-
74 VINCENZO CAPORALETTI

(secondary rag,46 secondo l’etnoteoria degli insider); in 3y, la formula itera-


tiva omofonica riferita a uno stilema delle bande tedesche di New Orleans
(«um-pa, um-pa», nell’immagine suggestiva di La Rocca); in 3z, l’elabora-
zione estemporizzativa in cui questa formula iterativa diventa il sincopato
che innesca, come risposta, il gesto sonoro fonoiconico del ruggito della
tigre.

Resta da stabilire l’attribuzione delle strutture 1b e 2(a+b). Per quanto


concerne la prima, si è già anticipato che, a differenza di quanto sostiene
Stewart, essa reca la stilizzazione derivativa del canto infantile London Brid-
ge. Si è già notato come in questa subsezione sia infatti presente lo stilema
stop time, mentre nella sezione 2 figurano dei break. Ma vi sono anche cor-
rispondenze ritmo-diastematiche che si rivelano all’analisi strutturale. Di
seguito si comparano la trascrizione in notazione dell’inizio della subsezio-
ne 1b di Tiger Rag (cfr. l’Es. mus. 4) con London Bridge, per verificare i criteri
dell’imprestito (cfr. l’Es. mus. 5):

Es. mus. 4 – ODJB, Tiger Rag, New York, 25 marzo 1918: inizio della subsezione 1b, batt.
17-20 (la trascrizione, in note reali, è di chi scrive).

zazione delle poliritmie nel jazz, cfr. L. Cugny, Analyser le jazz, Paris, Outre Mesure, 2009,
pp. 272-295.
46  La prima discussione in termini di teoria musicale formalizzata di questa formulazione
etnoteorica si ha in D. Knowlton, The Anatomy of Jazz (1926), in Jazz in Print (1856-1929): An An-
thology of Selected Early Readings in Jazz History, a cura di K. Koenig, Hillsdale, NY, Pendragon,
2002, pp. 457-461.
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 75

Es. mus. 5 – Comparazione tra la melodia di London Bridge Is Falling down e la riduzione di
La Rocca. Le note di maggiore dimensioni sono quelle selezionate da La Rocca ed eseguite
in stop time, ossia marcando solo gli accenti principali in omoritmia con la sezione ritmica.

Il procedimento di riduzione e selezione di tratti ritmo-melodici di Lon-


don Bridge da parte di La Rocca è interessantissimo, giacché rivela alcuni
fondamentali processi della cognitività audiotattile esplicata in contesto di
elaborazione oralistica (ricordiamo che La Rocca non era alfabetizzato mu-
sicalmente). Per il cornettista italoamericano assume specifica pertinenza
la struttura accentale del brano che egli realizza in omoritmia con il resto
del gruppo, in particolare ritenendo il prolungato stazionamento tetico del
Do4 iniziale del canto infantile (batt. 17, parte della cornetta), e trasceglien-
do l’accento metrico che cade sul La3 della seconda battuta di London Bridge,
oltre agli accenti di durata che sottolineano la parola down nella terza e
quarta battuta (cfr. l’Es. mus. 5). Nella trasfigurata trasposizione in Tiger
Rag, La Rocca attua una compressione metrica – qualcosa che potremmo
accostare alla condensazione del processo onirico freudiano –, elidendo la
fine della seconda e l’inizio della terza battuta di London Bridge, e trasfor-
mando così la rilevanza fonico-testurale dell’accento di durata in accenti
metrici (anche qui, inconsciamente, con effetto di eco onomatopeico sulle
sillabe [fal]-ling down). Il La3 conclusivo (batt. 20 di La Rocca nell’Es. mus. 4)
al posto dell’atteso Do4 si giustifica con l’esigenza di varietà, evitando la
coincidenza con il Do4 con cui inizia l’inciso melodico-ritmico (specula-
re) nella seconda metà del periodo. Alcune altre testimonianze di recen-
te acquisite da chi scrive confermano in maniera incontrovertibile questa
analisi.47

47  Durante la stesura di questo articolo ho identificato una testimonianza orale di Nick La
Rocca – da considerarsi sinora sconosciuta, o non interpretata a dovere, data la mancanza di ri-
scontri (o la contraddittorietà) in letteratura – conservata nel William Ransom Hogan Archive
of New Orleans Jazz (intervista telefonica di Dave Winston a Nick La Rocca: La Rocca’s Inter-
view, HJA 01-03-1960, Reel 1), che conferma la mia ipotesi. In ogni caso, questa intervista non
era nota a Jack Stewart al tempo della redazione dell’edizione critica di Tiger Rag (cfr. Stewart,
Tiger Rag cit.). Credo che ciò sia da attribuirsi al fatto che la trascrizione dell’intervista non è
letterale ma riassuntiva, non documentando nel dettaglio la testimonianza di La Rocca. Infatti,
con riferimento a 6' 45" della registrazione, il testo trascritto recita: «La Rocca’s Tiger Rag is
mentioned, NLR [scil. Nick La Rocca] scats parts of this composition; it is based on a tango,
London Bridge Is Falling Down, and the chord construction of Sousa’s [recte, Bagley’s] National
76 VINCENZO CAPORALETTI

Si veda ora la sezione 2(a+b). Se si riferisce London Bridge a 1b, quest’altra


sezione rimane evidentemente non attribuita. Chi scrive ritiene che la stra-
tegia per far luce sulla più misteriosa e controversa delle sezioni di Tiger Rag
consista nel cercare un brano in cui essa sia collegata con la sezione 3, anzi-
ché tentare di identificare quest’ultima in maniera geneticamente autonoma
(come avviene tramite la pur importante “ipotesi Sobre las olas”). Tale opzione
metodologica può far luce solo su un singolo elemento di un insieme molto
più complesso e organico; in realtà, è la correlazione del binomio costituito
dalle sezioni 2 e 3 ad assumere valore distintivo. Inoltre, la ricerca di un brano
con queste due strutture, abbinate nell’ordine indicato, offre il notevole van-
taggio metodologico di restringere decisamente il campo di indagine.
Ora, un brano che corrisponde ai parametri impostati – il criterio (a),
come si è visto, delle modalità di categorizzazione degli insider  –  è stato
individuato. E conferma, guarda caso, la versione di La Rocca tanto vitu-
perata dagli assertori della “teoria della quadriglia”: si tratta della già citata
National Emblem March (©1906) di Edwin E. Bagley, che presenta la sequen-
za sezionale 2-3 su base armonica. Questa marcia è quindi un archetipo for-
male di Tiger Rag non solo per quanto attiene al suo secondo tema, come
ritengono Baudoin e Stewart, ma anche in quanto comprensiva della strut-
tura metrica e armonica del primo. Com’è noto, il primo tema di questa
marcia è una citazione di The Star-Spangled Banner,48 fatto salvo il metro
ternario, adattato a quello binario tipico della marcia.
Di seguito si riportano le strutture armoniche dei primi due temi della
National Emblem March confrontate con quelle del binomio 2a-3 di Tiger Rag:

Anthem (i.e., Emblem) March» (New Orleans, Tulane University, William Ransom Hogan Archive
of New Orleans Jazz, La Rocca Oral History, January 3 1960, Transcript, p. 6). Di fatto, si riba-
discono dati più volte acquisiti, senza circostanziarli. Invece, nella verifica aurale del passaggio
registrato si percepisce chiaramente come La Rocca introduca canticchiando la subsezione
1a, non facendo peraltro menzione dell’inciso motivico «get over, dirty», ma attribuendola
genericamente a un ritmo di tango (fatto del tutto coerente, considerando la sincope idioma-
tica), e poi la subsezione 1b, asserendo «That’s London Bridge» e chiarendo così la derivazione
di questa subsezione con estrema precisione. Ho inoltre localizzato un’ulteriore testimonianza
orale di La Rocca, risalente a un anno e mezzo prima, in cui indicava la stessa circostanza (New
Orleans, Tulane University, William Ransom Hogan Archive of New Orleans Jazz, La Rocca’s
Interview, HJA 05-26-1958, Reel 1); la precisazione è a 10' 33" della registrazione.
48  Quando nel 1902 compose la National Emblem March (edita quattro anni dopo), The
Star-Spangled Banner non era ancora l’inno degli Stati Uniti d’America – lo sarebbe diventato nel
1931 – bensì, dal 1898, musica d’ordinanza dell’alzabandiera della Marina statunitense (in questa
chiave Puccini lo cita nel 1904 in Madama Butterfly, come introduzione all’aria «Dovunque al
mondo»). La musica deriva dall’Anacreontic Song, composto negli anni ’70 del secolo XVIII dal
compositore britannico John Stafford Smith (1750-1836). Negli Stati Uniti questo canto si era
disseminato in varie forme popolari, con diversi testi verbali, divenendo un inno patriottico solo
quando nel 1814, durante la Guerra angloamericana, Francis Scott Key vi sottopose il testo. Cfr.
O. G. Th. Sonneck, Report on “The Star-Spangled Banner”, “Hail Columbia”, “America”, “Yankee
Doodle” (1909), Honolulu, University Press of the Pacific, 2001.
Tab. 3 – Relazione di congruenza tra gli schemi metrico-armonici dei primi due temi della National Emblem March e le
sezioni 2a e 3 di Tiger Rag.

||: I V I V

V I II7 V6 II7 V :|| V I II7 V
  National Emblem March, struttura armonica del tema 1   Tiger Rag, subsezione 2a

I V I V
V I V I

I I7 IV I I7 IV
IV° I4/6 II7 VI74/6 IV V° I4/6 II7 V I IV I VI7 II7 V I
  National Emblem March, struttura armonica del tema 2   Tiger Rag, subsezione 3
78 VINCENZO CAPORALETTI

Il fraintendimento in cui sono incorsi non solo gli studiosi citati è stato
intendere il riferimento di La Rocca alla National Emblem March unicamente
come schema armonico del suo secondo tema, tralasciando il primo. Sta
di fatto che la sequenza metrico-armonica 2a-3 corrisponde perfettamente
ai primi due temi della National Emblem March. Per inciso, si ricorda che le
testimonianze di La Rocca furono rese tra il 1958 e il ’60: il siculo-ameri-
cano era molto malato – sarebbe scomparso nel 1961 –, e si riferiva a fatti
accaduti più di quarant’anni prima. Non ci si può attendere una precisione
adamantina. Quando La Rocca indica la National Emblem March, probabil-
mente non ricorda il punto da cui aveva estrapolato l’exemplum.
Ma a parte i criteri armonici, particolarmente pertinenti per gli insider,
come si è visto, vi sono almeno altri tre fattori di connessione tra le sezioni
di Tiger Rag e questa marcia, relativi a diversi piani fraseologici e sintattici,
che possono rivelarsi a un’analisi musicale più approfondita.
In primo luogo, la struttura fraseologica profonda del primo tema della
National Emblem March sembra implicare fattivamente la nozione audiotatti-
le di break: in questo senso, il break della ODJB in 2a sarebbe la trasposizione
jazzistica della struttura fraseologica del primo tema della marcia. Se si osser-
va la riduzione relativa all’inizio della citazione del Star-Spangled Banner nella
marcia di Bagley, primo tema (cfr. l’Es. mus. 6), si vede che all’incipit della
melodia esposta da trombone ed eufonio rispondono flauti, clarinetti e oboi
con una proposizione acefala, riempiendo il vuoto lasciato dalla struttura ica-
stica della melodia.49 È proprio questa dialettica pieno/vuoto che l’ODJB co-
glie, trasformando l’originaria risposta dei legni in un break (cfr. l’Es. mus. 7).
Si noti anche l’identità tonale dei due pezzi, entrambi in Mi  maggiore, e la
stilizzazione da parte della cornetta di La Rocca dell’incipit motivico.

Es. mus. 6 – Riduzione della citazione del Star-Spangled Banner nella National Emblem March,
batt. 11-14 (la trascrizione, in note reali, è di chi scrive; il metro in 2/2 è stato reso in 2/4
per esigenze di comparazione con l’omologo passaggio in Tiger Rag nell’Es. mus. 7). La
parte contrassegnata è stata trasformata in break dall’ODJB.

49  Bagley, che qui espone in metro binario la melodia di origine ternaria, tende a ridurre
lo schematismo pieno/vuoto anticipando il Mi3; ma è percepito come una variazione di una
struttura profonda altrimenti ben marcata.
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 79

Es. mus. 7 – ODJB, Tiger Rag, New York, 25 marzo 1918: inizio della subsezione 2a, batt.
33-36 (la trascrizione, in note reali, è di chi scrive).

In seconda istanza, dopo i due break in Tiger Rag (e le due risposte dei le-
gni nella marcia) si afferma un’analoga reattiva “animazione” testurale nei
due brani, segno di come tra la subsezione 2a e il primo tema della National
Emblem March vi sia una relazione di stretta omologia senso-motoria.
V’è un terzo e ultimo aspetto da discutere, in questo caso di caratte-
re sintattico, sempre a sostegno dell’omologia tra 2a e primo tema della
National Emblem March. È un argomento che potremmo definire del “Ge-
neralauftakt”. In effetti, si potrebbe rilevare una divergenza tra i due brani
per via del fatto che la struttura armonica 2a è ripetuta testualmente nel
primo tema della National Emblem March, a differenza di quanto accade in
Tiger Rag, in cui diventa 2(a+b). Paradossalmente, tale difformità corrobora
invece la nostra ipotesi, in quanto esito di un adattamento specifico a Tiger
Rag del primo tema della famosa marcia: qualificandosi quindi come un’ap-
plicazione ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere se operata su un
altro pezzo musicale. In altri termini, v’è una precisa ragione compositiva
per l’inserzione della subsezione 2b subito dopo 2a, e questa motivazione
ha a che fare proprio con il piano tonale complessivo di Tiger Rag.
La differenza di fondo tra la National Emblem March e Tiger Rag, anche
a fronte dell’identità di strutturazione armonica dei primi due temi della
composizione di Bagley rispetto alle sezioni 2 e 3 del brano jazz, riguarda
ciò che abbiamo definito criterio (b) di categorizzazione degli insider, ossia
il rapporto tonale relativo delle varie articolazioni architettoniche del bra-
no multisezionale. I primi due temi della marcia sono nella stessa tonalità
80 VINCENZO CAPORALETTI

(Mi  maggiore), mentre tra i loro omologhi di Tiger Rag sussiste un’escur-
sione tonale di quarta ascendente (Mi  maggiore - La  maggiore). Questo
perché nell’economia formale delle composizioni ragtime cui si ispira Ti-
ger Rag la sezione 3 è intesa come Trio: 50 un’unità sezionale che di norma
presenta – nella tradizione della marcia europea, impiantata nelle forme di
ragtime – un’escursione tonale alla quarta superiore rispetto alla sezione
che lo precede. Invece, il secondo tema della marcia di Bagley non è un trio
(e infatti permane sulla tonalità del primo tema). Ora, ciò ha comportato
alcune conseguenze nell’adattamento di La Rocca.
Il primo tema della National Emblem March, con la protensione verso la
zona dominantica, proposta due volte, presenta un aspetto funzionale omo-
logo a un Generalauftakt sul piano armonico e rispetto al secondo tema
della marcia.51 In altre parole, questa sezione può intendersi come un’estesa
anacrusi armonica, gravitante sulla dominante, in funzione della risoluzio-
ne sul I grado (rappresentato su larga scala, nella National Emblem March,
dal secondo tema). Dal punto di vista dell’economia formale di Tiger Rag,
questo tratto era invece disfunzionale, in quanto il ruolo armonico su larga
scala della sezione 2  –  nella logica della macrostruttura tonale del pezzo
multisezionale – è di predisporre l’ulteriore modulazione alla quarta supe-
riore del Trio (nella sezione 3) una volta raggiunta la propria tonica, e non
di stazionare sulla propria dominante. In questo senso si spiega la manca-
ta ripetizione testuale della struttura (come avviene nella National Emblem
March) e l’inserimento strategico di un aggravamento di 1b con le misure
raddoppiate (subsezione che qui si è denominato 2b) nelle successive 16 bat-
tute. Tale espediente riveste la funzione di scaricare l’energia dominantica
di 2a verso il polo della tonica (I grado di Mi  maggiore), conferendo un sen-
so di conclusione compiuta alla sezione e predisponendo così l’ulteriore
modulazione (in verità, ex abrupto) alla quarta superiore della sezione 3 (La  
maggiore), per attribuirle la dovuta caratterizzazione di Trio. Questa fun-
zione puramente sintattica di sviamento della vettorialità dominantica dell’o­

50  Come noto, nelle forme ternarie classiche, tra cui il minuetto, il Trio è una parte con-
trastante dal carattere più lirico e intimista, con impianto tonale di regola alla sottodominante.
Nel genere musicale della marcia – in particolare nella tradizione nordamericana, pervenuta a
Tiger Rag per tramite del ragtime – il Trio è solitamente il terzo tema: nel nostro caso, la sezione 3
(Trio strain, in Tiger Rag eccezionalmente alla quarta della sottodominante).
51  Nei termini della teoria fraseologica, secondo la nomenclatura di Hugo Riemann, il
Generalauftakt «designa quel particolare tipo di anacrusi che ricorre all’inizio di unità formali
di due, quattro o otto battute ... Anziché riguardare soltanto la battuta cui è preposta, tale
anacrusi concerne l’intera unità fraseologica che segue»: I. Bent - W. Drabkin, Analisi musicale,
Torino, EDT, 1990, p. 298. Nel caso della National Emblem March è esattamente un doppio Pe-
riod (del primo tema), un’ipermisura con valore di anacrusi di ampie proporzioni che prelude
a un’affermazione tetica (del secondo tema).
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 81

mologa sezione nella marcia verso un attracco alla tonica, in 2b, con l’andare
degli anni sarà stata avvertita dai musicisti come pleonastica e ridondante
– o forse si è semplicemente perso il senso della sottile funzione da essa rive-
stita –, e certamente percepita come ostacolo alla scorrevolezza del brano,
tanto da giustificarne l’eliminazione nelle esecuzioni a partire dagli anni ’30.52
La discussione sin qui condotta ha una doppia valenza, funzionale e gene-
tica. In primo luogo depone a favore della tesi di La Rocca, sia perché dimostra
che le strutture armoniche di entrambi i primi due temi della National Emblem
March sono state impiegate, nella stessa sequenza, ai fini della composizione di
Tiger Rag, sia perché dà conto anche delle modifiche intercorse nello specifico
processo di adattamento al nuovo brano. Ciò confermerebbe l’intenzionale
opzione creativa di fondo, ossia la scelta specifica della National Emblem March
come modello, coerentemente con le dichiarazioni di La Rocca. In subordine,
chiarisce finalmente l’origine, sinora inesplicata, della sezione 2.
Come ulteriore attestazione, vale sottolineare che questa interpreta-
zione è stata implicitamente suffragata, con la sottile allusività del Signify-
in(g),53 nientemeno che da Louis Armstrong, il quale, a partire dalla sua pri-
ma incisione di Tiger Rag,54 ha spesso “citato” musicalmente la National Em-
blem March. Vale anche ricordare che nella famosa intervista del 1938 Jelly
Roll Morton stesso, subito dopo aver discettato delle origini classicistiche di
Tiger Rag, esegue la marcia di Bagley in una forma d’inconscia rivelazione.55
Ci si può a questo punto chiedere se questa strategia di adattamento
della marcia, e la connessa dislocazione tonale del Trio, sia stata un’idea
originale di La Rocca o sia modellata su un exemplum precedente da lui as-
similato per inculturazione. La prassi, in ogni caso, è attestata per l’ODJB:
anche il brano Dixieland Jass Band One-Step inciso dalla ODJB il 26 febbraio
1917, con struttura parimenti derivativa dal ragtime, prevedeva il Trio fi-

52  Si chiarisce così un ulteriore enigma di Tiger Rag, acutamente evidenziato da Baudoin,
Le tigre cit., p. 3.
53 Con questa nozione elaborata da Henry Louis Gates, e applicata alla musica da
S. A. Floyd jr, The Power of Black Music: Interpreting Its History from Africa to the United States,
New York - Oxford, Oxford University Press, 1995, s’intende una forma di comunicazione in-
trinseca alla cultura africana-americana, di tipo allusivo, orientata sul piano connotativo più
che denotativo, in cui i significati sono identificabili sulla scorta di codici a stretta specificità
culturale intragruppo.
54  Cfr. Louis Armstrong and His Orchestra (L. Armstrong ed E. Anderson, trombe;
H. Hicks, trombone; B. H. Th. McCord, clarinetto; C. McCord, sax tenore; J. Turner, piano-
forte; B. Addison, chitarra; Lavert Hutchinson, tuba; W. Lynch, batteria), Tiger Rag, New York,
4 maggio 1930, disco OKeh 8800.
55  V’è inoltre anche una testimonianza dell’esplicito e sineddotico accostamento di The
Star-Spangled Banner a Tiger Rag nel resoconto dell’esecuzione dell’ODJB al Victory Bal tenutosi
al Savoy Hotel di Londra il 28 giugno 1919, in occasione dei festeggiamenti per il trattato di
Versailles: cfr. Brunn, The Story cit., p. 134.
82 VINCENZO CAPORALETTI

nale in La  maggiore (da un identico impianto tonale iniziale in Si  mag-
giore, e ugualmente passando per Mi  nella seconda sezione).56 È del tutto
plausibile che La Rocca possa aver attuato una sincretica 57 sovrapposizione
delle due strutture modulari di Bagley in riferimento a un altro brano con
la struttura armonica della sezione 3, in cui fosse operante la dialettica dei
piani tonali a distanza di quarte. Si potrebbe cioè essere verificata la rifun-
zionalizzazione di un brano più arcaico che presentava la sezione 3 con il
rapporto tonale di quarta rispetto alla subsezione 1a, cui La Rocca avrebbe
sovrapposto l’immagine più “moderna” della National Emblem March, con
le connesse procedure di adattamento creativo cui ci siamo riferiti.

“Number Two” e gli africani-americani


Alcune testimonianze convergono nell’asserire che nella New Orleans
tra Otto e Novecento, nell’ambiente musicale audiotattilmente formativo
di La Rocca, qualcosa di simile a Tiger Rag fosse chiamato Number Two o
Nigger Number 2. Per esempio, negli anni ’50 del Novecento Samuel Char-
ters raccoglie tra i musicisti africani-americani della Crescent City la se-
guente versione dei fatti: 58
Tiger Rag was usually known as Nigger Number 2 by the white musicians and as
Jack Carey by the colored. Mutt [Carey] had gotten the first strain out of a book
of quadrilles, the second and third strains were worked out by the band to show
off George Boyd, the fine clarinet player, and the “tiger” section was worked out
at a rehearsal one afternoon by Jack and Punch [Miller] when Jack started making
loud slides on a last chorus.

Da notare che queste circostanze si riferiscono al 1913, anno in cui Jack


Carey (1889-1934) organizzò la Crescent City Orchestra. Anche Warren
“Baby” Dodds (1898-1959), veterano batterista afroamericano della Creole
Jazz Band di Joe Oliver e sodale di Louis Armstrong, non solo nelle incisioni
degli Hot Five e Hot Seven, ricorda: 59

56  Ai nostri fini è interessante notare come questo Trio sia un altro imprestito: ossia, la
terza sezione tematica di That Teasin’ Rag di Joe Jordan (1906), originariamente in Do maggio-
re, poi trasposto in La  maggiore in Dixieland Jass Band One-Step.
57  ‘Sincretismo’ inteso come «the tendency to identify those elements in the new culture
with similar elements in the old one»: M. J. Herskovits, The New World Negro, a cura di F. Hers­
kovits, Bloomington, Indiana University Press, 1966, p. 57.
58  S. Charters, Jazz: New Orleans, 1885-1963: An Index to the Negro Musicians of New Orleans,
New York, Oak, 1963, p. 24.
59  W. Dodds, The Baby Dodds Story, as Told to Larry Gara (1959), a cura di L. Gara, Alma,
Mi., Rebeats, 2002, p. 14.
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 83

And Tiger Rag they used to call Play, Jack Carey. The part where they say “hold that ti-
ger”, Jack Carey would make on the trombone and they used to say “Jack Carey, Jack
Carey”! Everybody played that way saying “Jack Carey” instead of “hold that tiger”.
Was called by a dozen names in New Orleans: No. 2, Meatball, Jack Carey, Snotsy.

Un contributo per dirimere questa complessa materia proviene da un


brano registrato nel 1924, dal titolo Number Two Blues. Si tratta della più
remota registrazione a nostra disposizione che presenti proprio l’arcaica
denominazione (come si è visto, Number Two, accanto a Nigger Number 2 e
similari).60 Questa registrazione,61 a nome del cornettista Johnny De Droit
(1892-1986), è di grande interesse anche perché è la prima “presa diretta” di-
scografica, in loco, di musicisti di New Orleans.62 Inoltre, De Droit apparte-
neva allo stesso milieu di La Rocca, ossia all’ambiente di quegli strumentisti
formatisi nell’àmbito delle Reliance Band di Papa Jack Laine (alias George
Vital, 1873-1966): tant’è vero che il patriarca dell’hot ragtime lo considerava
suo prediletto.63
Questa registrazione costituisce quindi un riferimento altamente atten-
dibile. Se si osserva la Tab. 4 (qui alla p. 84) si nota come lo schema architet-
tonico di Number Two Blues comprenda effettivamente la struttura armonica
della sezione 3 (in questo caso, differentemente da Tiger Rag, con diretto rap-
porto tonale di quarta con la subsezione 1a, anziché di quarta della quarta)
accanto alle altre due subsezioni 1a e 1b, qui confermando il relativo rappor-
to tonale di quinta; non compaiono invece le subsezioni 2a e 2b:

60  Nulla toglie all’autentica origine del brano il fatto che il cornettista Johnny De Droit, di
cui si dirà, abbia aggiunto al titolo il termine Blues (infatti, il pezzo non è un blues), interpreta-
bile come espediente per sentirsi «free to copyright the arrangement as his own composition»
(Charters, A Trumpet around the Corner cit., p. 151). Number Two è stato anche il primo pezzo in
assoluto a essere eseguito extra moenia da una formazione di musicisti euroamericani di New
Orleans (la Tom Brown Band from Dixieland) nel famoso ingaggio al Lamb’s Cafè di Chicago
nel 1915. La serata di esordio si aprì proprio con questo brano: ciò la dice lunga sul tipo di con-
siderazione di cui godeva. Cfr. Hear Me Talkin’ To Ya: The Story of Jazz as Told by the Men Who
Made It (1955), a cura di N. Shapiro e N. Hentoff, New York, Dover, 1966, p. 81.
61  Cfr. Johnny De Droit and his New Orleans Jazz Orchestra ( J. De Droit, cornetta;
R. Papalia, trombone; H. Raymond, clarinetto; R. Levy, sax contralto; F. Cuny, pianoforte;
G. Potter, banjo; P. De Droit, batteria), Number Two Blues, New Orleans, 16 marzo 1924, disco
OKeh 40150.
62  Com’è noto, le incisioni di “jass” e poi di jazz dei musicisti di New Orleans furono
effettuate a New York e Chicago; la campagna di registrazione “sul campo” di Ralph Peer per
la OKeh nel 1924 fu invece il primo reportage sulla realtà sonora originaria della Crescent City,
còlta nel proprio contesto culturale. Cfr. R. M. Sudhalter, Lost Chords: White Musicians and
Their Contribution to Jazz, 1915-1945, Oxford - New York, Oxford University Press, 1999, pp. 65-
69. Anche qui, Number Two è tra i principali biglietti da visita dei musicisti euroamericani locali.
63 Cfr. ibid., p. 67. Inoltre, nell’organico della New Orleans Jazz Orchestra al trombone
compare anche il siculo-americano Russ Papalia (1903-1972).
84 VINCENZO CAPORALETTI

Tab. 4 – Johnny De Droit and His New Orleans Jazz Orchestra, Number Two
Blues, New Orleans, 16 marzo 1924: schema strutturale-processuale.
1a 1a 1b 1b 1a 3 3 3
8 batt. 8 batt. 8 batt. 8 batt. 8 batt. 8 batt. 8 batt. 8 batt.

estemporizzazione solo Cl. solo Cnt. estemp. solo Cl. estemporizzazione


collettiva stop chorus collettiva collettiva

FaM DoM FaM Si M


89 bpm

Es. mus. 8 – Johnny De Droit and His New Orleans Jazz Orchestra, Number Two Blues,
New Orleans, 16 marzo 1924: inizio della subsezione 1a, batt. 1-4 (la trascrizione, in note
reali, è di chi scrive).

Potrebbe essere realmente questo brano l’antecessore di Tiger Rag? È


possibile verificare, incrociando le informazioni provenienti dalle testimo-
nianze orali e le acquisizioni che risultano dall’analisi musicale, se le tre
sezioni erano tali all’origine o furono eventualmente assemblate in segui-
to? Nel 1955 Hentoff e Shapiro raccolgono un’importante dichiarazione
di Jack Weber, un musicista itinerante di New Orleans, secondo il qua-
le l’archetipo di Tiger Rag, che lui identifica nel brano Number Two, «had on-
ly two parts until the Original Dixieland Jazz Band added parts for dance
dates and recordings»,64 affrettandosi a puntualizzare che le band utilizzava-

64  Hear Me Talkin’ To Ya cit., p. 60.


NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 85

no gli stessi pezzi cambiando loro il titolo; bisogna comunque stabilire co-
sa intenda l’insider, in questo caso, per ‘parti’. Forse i primi due elementi 1a
e 1b intesi sotto il profilo della sostanza motivica? Oppure la classificazio-
ne che egli operava era di tipo armonico-formale, per schemi di 32 battute?
In tal caso, il binomio 1a e 1b sarebbe il costituente della sezione aaba di
32 battute (detta first strain), cui andrebbe a corrispondere l’altra “parte”, la
3, anch’essa di 32 battute. Weber però nulla ci dice, o è in grado di dire, sui
rapporti tonali intersezionali.
Esaminiamo in dettaglio le due possibilità. Per quanto attiene al primo
caso – classificazione per pertinenza melodica –, un attento scrutinio del-
la versione di Johnny De Droit ci offre almeno un importante elemento
di riflessione. Stranamente, la subsezione 1b è ripetuta. Ciò deporrebbe a
favore della concezione di una sua autonomia formale: questa subsezio-
ne, nella categorizzazione che ne davano i musicisti, non sarebbe così da
intendersi come inciso (bridge) di una forma aaba, bensì dotata di distinta
identità architettonica (e questo sembra più consono con lo stile ragtime).
Ciò corroborerebbe la “tesi National Emblem March” di La Rocca (nel senso
dell’utilizzo del suo secondo tema sub specie armonica), che presupporreb-
be un’acquisizione relativamente tarda della struttura 3 (post 1906). Questa
potrebbe identificarsi effettivamente come una delle parti aggiunte in se-
guito dalla ODJB, seguendo la testimonianza di Weber, e poi retroattiva-
mente incorporata, a sua volta, con gusto novelty, in Number Two Blues da
De Droit (ricordiamo che l’incisione è del 1924, di ben sette anni successiva
alla prima della ODJB).
Qui s’impongono però alcune considerazioni attinenti all’estensione
formale, un dato da non trascurare sia in àmbito di tecnica compositiva sia
di categorizzazione percettiva. Gli elementi subsezionali 1a e 1b avrebbero
da soli potuto garantire una consistenza morfologica tale da giustificare
un’unità di concettualizzazione musicale indipendente? In altri termini, il
brano avrebbe avuto una durata sufficiente? Ricordiamo che ciascuna sub-
sezione è costituita da una concisa struttura di sole quattro battute, ripe-
tute per raggiungere l’estensione di un’unità fraseologica. Effettivamente,
una tradizione musicale cui ascrivere il pezzo con 1a e 1b esisterebbe, ed era
attiva nel sud degli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento: è quella che faceva
capo alle pratiche improvvisative nei folk rag.65 Forse Number Two faceva
parte di questo specifico repertorio? Chi scrive nutre in proposito delle ri-
serve, in quanto l’assenza della sezione 3 si sarebbe rivelata esiziale sotto
l’aspetto della consistenza formale.

65 Cfr. R. Scivales, L’improvvisazione nel ragtime, «Ring Shout – Rivista di Studi musicali


afroamericani», II, 2003, pp. 109-156.
86 VINCENZO CAPORALETTI

Consideriamo ora il secondo caso, in base al quale il termine ‘parte’,


per Weber, corrisponderebbe alla struttura formale di 32 battute: compren-
dendo, quindi, accanto all’unità aaba (first strain), basata su 1a e 1b, la se-
zione 3. Quest’ultima tesi inficerebbe la posizione di La Rocca e l’“ipotesi
National Emblem March”, dovendosi retrodatare uno dei principali archetipi
formali-armonici di Tiger Rag – che a questo punto corrisponderebbe all’ar-
caico Number Two – anteriormente al 1906. In tal caso, De Droit avreb-
be effettivamente proposto un vetusto esempio della tradizione orale di
New Orleans. Contestualmente, riprenderebbe corpo l’ipotesi di Stewart
e Baudoin dell’ascendente genetico Sobre las olas, brano, come si è detto,
pubblicato nel 1888 da Rosas, ma la cui prima recezione nella Crescent City
risale addirittura al 16 dicembre 1884. In quella data, il pezzo fu infatti uffi-
cialmente eseguito a New Orleans in occasione della World’s Industrial and
Cotton Centennial Exposition dalla Banda dell’VIII Cavalleria messicano,
di cui era maestro concertatore proprio Rosas.66

Es. mus. 9 – Juventino Rosas, Sobre las olas (Over the Waves): prima sezione.

Questo brano sarebbe il progenitore di Number Two e, in seconda gene-


razione, della sezione 3 di Tiger Rag, secondo lo schema seguente:

66  Cfr. Stewart, The Mexican Band Legend cit., p. 1.


NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 87

Sobre las olas (1884)



Struttura metrico-armonica 3 in Number Two (ultima decade del secolo XIX)

Struttura metrico-armonica 3 in Tiger Rag (1917)

Tale ipotesi troverebbe conferma nell’osservazione di Jack Stewart, per cui


Sobre las olas «was definitely a New Orleans favorite. It was Henry Brunies’s
theme song, and was recorded and played extensively by both Sharkey Bo-
nano and George Lewis. An early waltz folio from the Johnny De Droit
repertoire shows it to be a well used favorite».67 Questa sequenza genetica,
tra l’altro, attesta il processo di trasformazione della struttura portante ar-
monico-formale di un brano d’autore (Sobre las olas) in materiale musicale
di pubblico dominio (Number Two), fino alla sua codifica neoauratica (e neo­
autoriale) – procurata dalla mediazione discografica – con l’inserzione in
un ulteriore macrotesto (Tiger Rag).
A conti fatti, la testimonianza di Jack Weber pare ridimensionare il ruo-
lo di La Rocca, implicitamente asserendo che, in pratica, come suo unico
apporto strutturale originale a Number Two debba intendersi la sezione 2,
ossia 2(a+b). Ciò è avvalorato dal rapporto di quarta nel piano tonale di
Number Two per cui, sotto questo profilo, vi potrebbe essere stata in Tiger
Rag l’inserzione di 2(a+b), che avrebbe “modularmente” a sua volta causa-
to l’ulteriore dislocazione, sempre in chiave di rapporto di quarta, della se-
zione 3 (e così si spiegherebbe la derivazione della tonalità di La  maggiore
per questa sezione).
Nondimeno, per altri aspetti Weber conforta la sostanza della versione
di La Rocca, quando individua il margine di novità creativa in altre par-
ti effettivamente aggiunte dalla ODJB. Ma di quali parti si tratta? Non vi
sono altre parti oltre a quelle enucleate sinora, a meno che Weber non
intenda – e così sembra essere – gli elementi motivico-tematici con cui gli
ex “Papa Laine’s boys” estemporizzavano queste strutture, da interpretarsi
come risultato di una serie di routines preprogrammate, secondo la lezione
seguita dalla maggioranza degli storici del jazz. Per chi scrive, esse sono in-
vece da intendersi soprattutto come esito dei processi di codifica neoaurati-
ca che hanno cristallizzato e reso “tematici” dei processi estemporizzativi di
tipo secondario, basati sulla formatività audiotattile, magnificati ed elevati
a rango compositivo dagli addentellati estetico-antropologici derivanti dal-

67  Ibid., p. 3.


88 VINCENZO CAPORALETTI

le dinamiche mediologiche della registrazione sonora.68 Qualunque fosse


la strutturazione decisa in sede di prove, insomma, è la reale versione disco-
grafica – con tanto di idiosincratici elementi derivanti dall’imponderabilità
dell’esecuzione – che ha finito per prevalere, a seguito del riascolto da parte
degli esecutori stessi che hanno interiorizzato quella versione come testo
da riprodurre nelle successive performances, sia dal vivo sia discografiche.69
In ultima analisi, dalla testimonianza di Jack Weber si desume che i fat-
tori creativi innovativi, di competenza di La Rocca e sodali, consisterebbe-
ro nella sezione 2 e in tutta l’articolazione melodico-ritmica prodotta sul-
la struttura 3, con lo “stile” idiosincratico esibito. L’elemento motivico 3y
(mnemotecnicamente definito da La Rocca hone-ya-da) sarebbe già presen-
te nella Quadrille, secondo Morton, e in ogni caso è utilizzato da De Droit
nel 1924 come obbligato nel trattamento contrappuntistico del secondo
tema di The Swing,70 un altro membro del sistema di Familienähnlichkeit di
Tiger Rag (anche se, verosimilmente, potrebbe essere stato utilizzato da De
Droit dopo la pubblicazione discografica del brano).
Gli elementi del puzzle paiono pian piano disporsi in maniera attendi-
bile, ma la ricerca può andare ancora più in profondità. Number Two Blues è
certamente un antico reperto della tune family di Tiger Rag: 71 in ogni caso il
più antico discograficamente, con la denominazione sicuramente attestata,
come si è visto, nelle testimonianze orali. Ma siamo sicuri che Weber si rife-
risse proprio a questo pezzo quando indicava le due parti dell’antecedente
archetipico? Egli effettivamente cita Number Two, ma l’esperienza insegna
che a volte gli informatori confondono situazioni e dettagli quando si riferi-
scono a circostanze lontane nel tempo, e comunque a un orizzonte fattuale
molto articolato.
A questo proposito ci soccorre un altro brano, a tutta prima irrelato
rispetto alla presente discussione, inciso nel 1944, ossia venti anni dopo
Number Two Blues, da un gruppo di africani-americani. È un pezzo apparen-
temente di routine, in àmbito stilistico di “New Orleans Revival”, a firma

68 Cfr. Caporaletti, I processi improvvisativi cit.


69 Per queste dinamiche, basate sulla mediazione cognitiva neoauratica, cfr. ibid.,
pp. 121-135.
70  Cfr. Johnny De Droit and his New Orleans Jazz Orchestra ( J. De Droit, cornetta;
R. Papalia, trombone; H. Raymond, clarinetto; R. Levy, sax contralto; F. Cuny, pianoforte;
G. Potter, banjo; P. De Droit, batteria), The Swing, New Orleans, 16 marzo 1924, disco OKeh 40090.
71  Cfr. S. P. Bayard, Two Representative Tune Families of British Tradition, «Midwest Folklore»,
IV, 1954, pp. 13-33. Non si utilizza la formulazione ‘famiglia melodica’ (nella letteratura etnomu-
sicologica, corrente versione italiana di tune family) giacché in questo caso non è tanto pertinente
l’assetto melodico quanto la strutturazione armonico-tonale delle sezioni. Per analogia con il
concetto di ‘campo associativo’ del segno linguistico, si potrebbe impiegare la più comprensiva
nozione di ‘campo associativo del brano’ o di ‘unità di concettualizzazione musicale’.
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 89

di due illustri veterani: il trombonista Edward “Kid” Ory (1886-1973) e il


chitarrista-banjoista Arthur “Bud” Scott (1890-1949). Verosimilmente un
brano originale, quindi, che qui assume però un senso del tutto particola-
re. Il titolo, per lo storico del jazz, non passa inosservato, in quanto rinvia
in maniera inequivocabile alle antiche testimonianze raccolte nel 1939 da
Ramsey e Smith, e poi confermate da Marquis: si tratta di Get Out of Here
(And Go on Home), proprio la sigla finale che la band di Charles “Buddy”
Bolden (1877-1931) – la figura capostipite dell’hot ragtime – eseguiva intorno
al 1897, e che le testimonianze degli informatori designavano come «Tiger
Rag in the “district”».72 Si noti che tra i musicisti di quest’incisione figura il
cornettista Thomas “Papa Mutt” Carey (1891-1948),73 fratello di quel Jack
Carey accreditato, come si è visto, della “trovata” del glissato discendente
di trombone (un portamento in origine non associato fonoiconicamente al
ruggito della tigre).
Il senso riposto di questa registrazione discografica emerge in tutta la
sua intenzionalità alla luce della discussione presente. Sembra quasi che i
vecchi musicisti afroamericani di New Orleans, in una reunion dal valore
consapevolmente documentale, abbiano voluto tramandare con un esote-
rico double talking un manoscritto nella bottiglia, un’ultima testimonianza
su qualcosa che risaliva a più di quaranta anni prima e di cui erano stati
testimoni agli inizi della loro carriera musicale (nel 1907, al momento del
ritiro dalle scene di Bolden, Ory aveva 21 anni; Scott 17, ma aveva già avuto
modo di collaborare col cornettista). Come a dire che, se cercate le origini
di Tiger Rag, scavate qui. E l’escavazione analitica non lascia a mani vuote,
se si tengono presenti le argomentazioni sin qui svolte.
Ebbene, coerentemente con quanto asserito da Jack Weber il brano pre-
senta effettivamente due sezioni (cfr. la Tab. 5, qui alla p. 91), che si alterna-

72  Cfr. Kid Ory’s Creole Jazz Band (Th. “Mutt” Carey, tromba; E. “Kid” Ory, trom-
bone; O. Simeon, clarinetto; B. Wilson, pianoforte; B. Scott, banjo; E. Garland, contrabbasso;
A. Redd, batteria), Get Out of Here (And Go on Home), Los Angeles, 3 agosto 1944, disco Crescent
2. Così scrivevano Ramsey e Smith: «Get Out of Here and Go on Home – that’s what they called
Tiger Rag in the “district”»: C. E. Smith, White New Orleans, in Jazzmen, a cura di Fr. Ramsey jr
e Ch. E. Smith, New York, Harcourt, Brace and Company, 1939, pp. 39-58: 51. E poi Marquis:
«The last [Buddy Bolden’s] number of the evening was also a special theme song, but it differed
according to the audience ... The closing number was always Get Out of Here and Go on Home
[which] seems to have been the dismissal number for rougher places like Funky Butt or Odd
Fellows halls»: D. M. Marquis, In Search of Buddy Bolden, First Man of Jazz, 2a ed., Baton Rouge,
Louisiana State University Press, 2005, p. 108.
73  Come si è detto, Charters, Jazz: New Orleans, 1885-1963 cit., p. 24, riferisce che Mutt
Carey avrebbe creato la subsezione 1a adattandola da un libro di quadriglie, ma questa indica-
zione è in contrasto con l’utilizzo pregresso, ampiamente attestato, da parte di Bolden a partire
dal 1897 («Another number that Bolden and most everyone in New Orleans played was the
tune later known as Tiger Rag»: Marquis, In Search of Buddy Bolden cit., p. 107). D’altronde, Mutt
Carey ha iniziato la propria attività musicale non prima del 1910.
90 VINCENZO CAPORALETTI

no secondo l’arcaica tradizione dei rag estemporizzati; esse corrispondono


in toto alle nostre strutture armoniche 1a e 3, con il relativo rapporto tonale
di quarta (come in Number Two). Dal punto di vista melodico, 1a in Get Out
of Here presenta una parafrasi della corrispondente subsezione di Tiger Rag
dell’ODJB (cfr. l’Es. mus. 10). Inoltre, la connotazione semantica «get over,
dirty» che La Rocca attribuiva alla melodia di questa sezione corrisponde al
«get out of here (and go on home)»: possiamo ipotizzare che nella cultura
dei locali da ballo l’esortazione segnalasse la fine della serata e fosse rivolta
soprattutto ai clienti più riluttanti ad abbandonare la sala (Marquis, come
si è visto, lo definisce «the last number of the evening», una “sigla finale”).
Curiosamente, la sezione 3 è eseguita con diminuzione metrica, secon-
do la particolare norma di trasformazione dell’andamento con “raddoppio
reale” del valore metronomico della unità di movimento 74 (differenziata
dall’altra convenzione performativa detta “tempo doppio”: di fatto la strut-
tura strofica, il chorus, in questo caso corrisponde a 16 battute anziché alle
canoniche 32).75

74 Cfr. V. Caporaletti, La fenomenologia del ritmo nella musica audiotattile: il ‘tempo doppio’,
«Ring Shout – Rivista di Studi musicali afroamericani», I, 2002, pp. 77-112.
75  Questa compressione metrica si trova anche nel Trio del già citato Barrel House Rag di
Fate Marable e Clarence Williams, che impiega, con lievi varianti cadenzali, proprio la struttu-
ra armonica della sezione 3 (e si ricordi che in questo brano si è rinvenuta anche l’esposizione
testuale ed esplicita dell’incipit di 1a, l’inciso «get over, dirty»): nel complesso, questi fattori
lo qualificano come un riferimento non secondario per Tiger Rag. Per questi e altri aspetti, se
visto in relazione con quello dell’ODJB, con cui sembra condividere più di una caratteristica,
il brano solleva degli interrogativi. È da escludere però una sua diretta influenza: il 9 novem-
bre 1916, quando Barrel House Rag fu depositato legalmente (copyright n. E391570; Marable
risulta ‘Marble’), i musicisti della recentemente costituita ODJB erano a Chicago da otto mesi,
e verosimilmente avevano già in repertorio Tiger Rag. Barrel House Rag non fu inciso su disco,
ma pubblicato a stampa e su rullo di pianola (Kimball 7142), quindi diffuso tramite altri canali
(a differenza del medium discografico, non in grado di codificare i processi estemporizzativi).
Possiamo invece ipotizzare una possibile relazione “in senso opposto”, se si mette in relazione
la data del 9 novembre con il 31 ottobre precedente, giorno in cui il clarinettista Alcide “Yellow”
Nunez fu licenziato da La Rocca (cfr. Brunn, The Story cit., p. 44) e, animato da risentimento,
lasciò Chicago per New Orleans. Di lì a qualche mese Nunez stesso avrebbe anticipato pro-
ditoriamente l’ODJB nel deposito legale di Livery Stable Blues (copyright E403401, 24 mag-
gio 1917, a nome di Alcide Nunez e Ray Lopez), costringendo la band a un’estenuante quan-
to inutile causa legale per i diritti d’autore. Alla luce di ciò, si può ritenere verosimile che in
quel frangente, per vendicarsi di chi lo aveva bistrattato, Nunez avesse potuto convincere Clar-
­ence Williams, tra le maggiori autorità musicali della Crescent City e sicuramente in grado
di accedere facilmente come editore a tutele legali, a registrare con copyright uno dei brani
di pubblico dominio circolanti a New Orleans (proprio il brano, ricordiamolo, che si era nel
frattempo trasformato, con il nome di Tiger Rag, in uno dei pezzi di punta del repertorio della
band con cui Nunez aveva suonato negli ultimi mesi). Probabilmente un argomento persuasivo
di Nunez fu il rivelare che l’ODJB spacciava per propria la composizione di Clarence Williams
e Armand Piron Brown Skin (Who You For?); il fatto è attestato da L. Abbott - D. Seroff, Brown
Skin (Who You Really For?), «Jazz Archivist», XV, 2001, pp. 10-16. Si noti anche che molti anni
più tardi Williams sostenne la derivazione di Tiger Rag da un brano più arcaico (forse proprio
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 91

Tab. 5 – Kid Ory’s Creole Jazz Band, Get Out of Here (And Go on Home), Los An-
geles, 3 agosto 1944: schema strutturale-processuale. Nella sezione 3 si verifica un
dimezzamento dell’unità di tempo.

1a 1a 3 3 1a 1a 3 3 3 3 3 3
8 batt. 8 batt. 16 batt. 16 batt. 8 batt. 8 batt. 16 batt. 16 batt. 16 batt. 16 batt. 16 batt. 16 batt.

estemporizzazione collettiva solo Cl. estemporizzazione


collettiva
Si M Mi M Si M Mi M
114 bpm 120 bpm

Es. mus. 10 – Kid Ory’s Creole Jazz Band, Get Out of Here (And Go on Home), Los Angeles,
3 agosto 1944: subsezione 1a, batt. 1-8 (la trascrizione, in note reali, è di chi scrive).

È interessante notare come, nel sistema semantico dei musicisti di New


Orleans – ossia, nella percezione degli insider –, le strutture armonico-for-

Get Out of Here di Buddy Bolden): «The next month [November 1936], “Orchestra World” pub-
lished a letter from [Clarence] Williams, backing off from his October claim that Tiger Rag was
an original Negro tune»: L. Gushee, Pioneers of Jazz: The Story of the Creole Band, Oxford - New
York, Oxford University Press, 2005, p. 208.
92 VINCENZO CAPORALETTI

mali 1a, 1b e 3 e i rapporti tonali connessi siano fattori specifici di Number


Two, mentre analogamente 1a e 3 (con quest’ultimo in compressione me-
trica) siano i costituenti di Get Out of Here. Il tratto distintivo fondamentale
è quindi 1b, la cui presenza/assenza marca il mutamento dell’unità di con-
cettualizzazione musicale,76 assieme, parrebbe, al carattere del pezzo dato
dalla conduzione dell’andamento, più vivido in Get Out of Here e maggior-
mente contenuto in Number Two.
In questo senso, è interessante la posizione della Friars Society Orches­
tra (ossia i New Orleans Rhythm Kings, in cui militava il grande clarinet-
tista siculo-americano Leon Roppolo), che nella sua versione di Tiger Rag
del 1922 omette proprio il tema 1b,77 quasi raccordandosi con il più arcaico
Get Out of Here. Comunque, non è per combinazione che la modificazio-
ne di 1b in 2b (come abbiamo visto, variante metrica e tonale) costitui-
sca, assieme a 2a, una fondamentale marcatura distintiva dell’unità con-
cettuale-musicale di Tiger Rag nelle versioni dell’ODJB (e, guarda caso, di
Morton nelle registrazioni della Library of Congress), correlandosi stret-
tamente all’impianto metrico-armonico della National Emblem March. Vale
la pena notare anche che Morton, nell’esemplificare la Quadrille, segue
esattamente lo schema sezionale e il piano tonale di Number Two – segno
di una qualche attendibilità filologica –, anche se poi, quando propone la
“sua” versione jazzistica, jazzin’ the classic, ricalca incontrovertibilmente
quella della ODJB.78
Ad ogni modo, anche alla luce dell’analisi di Get Out of Here, ecco con-
fermarsi lo scenario a sostegno della seconda ipotesi ventilata rispetto a
Number Two Blues. Regge la tesi che individua, nei fattori strutturali-ar-
monici della sezione 2 e motivico-tematici delle sezioni 3x, 3y, 3z, gli ap-
porti originali della ODJB, oltre naturalmente al complesso di elementi
della “forma concreta”, di tipo energetico-dinamico, ossia gli elementi
senso-motorii originati dai processi di estemporizzazione e fissati su sup-
porto sonoro.

76  Qualsiasi considerazione genetica di tipo evolutivo, basata sull’apparente maggiore ar-
caicità di Get Out of Here rispetto a Number Two in ragione della minore complessità strutturale,
è del tutto congetturale. Le ricerche etnomusicologiche ormai da tempo hanno evidenziato
che il meno complesso non è necessariamente il più arcaico, in quanto può verificarsi un pro-
cesso inverso, per cui nel decorso cronologico alcune strutture perdono delle parti, semplifi-
candosi. Nello specifico, comunque, parrebbe plausibile ipotizzare una progressione dal sem-
plice al complesso.
77 Cf r. Friars Society Orchestra (P. Mares, cornetta; G. Brunies, trombone; L. Rop-
polo, clarinetto; J. Pettis, sax tenore; E. Schoebel, pianoforte; L. Black, banjo; S. Brown,
contrabbasso; F. Snyder, batteria), Tiger Rag, Richmond, 29 agosto 1922, disco Gennett
4968.
78 Cfr. Caporaletti, Jelly Roll Morton cit.
Tab. 6 – Presenza/assenza delle strutture individuate in varie incisioni di Tiger Rag, e comparazione con altri brani della tune family. La tabella è orga-
nizzata per densità di elementi e non cronologicamente.

Morton Morton ODJB ODJB ODJB ODJB Morton Friars De Droit De Droit Lyman Ory Marable Louisiana
1938 1938 1917 1918 1919 1923 1924 (NORK) 1924 1924 1923 1944 & Williams Five
Quadrille Tiger Rag Tiger Rag Tiger Rag Tiger Rag Tiger Rag Tiger Rag 1922 Number The Swing Weary Get Out 1916 1919
[idem 1936] Tiger Rag Two Waesel of Here Barrel Clarinet
House Rag Squawk
1a + + + + + + + + + + – + + +
1b + (valzer) + + + + + + – + – – – – –
2 – + + + + + + + – – – – – –
3 + + + + + + + + + + + + + –
(mazurka)
3x – + + + + – – – – – – – – –
3y + – + + + + – – – + – – – –
3z – + + + + + + + – – + – – –
altre – – – – – – – – – + – – + +
94 VINCENZO CAPORALETTI

Questi fattori non sono stati sinora valutati a dovere in letteratura (e


si apre così un ulteriore f ronte d’indagine rispetto ai piani armonico-for-
male e motivico-tematico, a livello gerarchico ancor più subordinato). Ci
si riferisce al complesso di elementi altrove denominati ‘inf rasegmentali
D(x)’,79 fondamentali per la definizione dei processi noti come swing e
groove nelle musiche audiotattili. Se si considerano i parametri legati alla
sonorità, al profilo di attacco e rilascio del suono, all’idioletto di suddi-
visione del tactus 80 e al fattore di conduzione temporale, Number Two
e Tiger Rag  –  omologhi sul piano armonico e su quello dei processi di
estemporizzazione  –  assumono caratteri connotativi totalmente diver-
genti, con implicazioni semantiche differenziate. Number Two (con semi-
minima = 89 bpm) ha passo largo, incede allegramente ondeggiante, con
una placida rusticità da oleografico deep South, mentre nella musica della
ODJB si ritrovano la f renesia ritmica della pulsante realtà metropolitana
industriale del nord e l’immagine sonora dei connessi nuovi modelli à la
page di interazione sociale, col mito futurista della velocità (nella versio-
ne del 1919 di Tiger Rag, registrato dalla ODJB, il valore della semimini-
ma è di 130 bpm).
Questi effetti sono inoltre determinati da un altro importantissimo fat-
tore differenziale: la suddivisione del tactus. In Number Two, l’andamento
più contenuto permette di evidenziare una leggera sfasatura nella dura-
ta delle due crome putative di suddivisione dell’unità di movimento, con
una lieve articolazione long/short. Nella frenetica esecuzione della ODJB
la maggiore velocità metronomica ha l’effetto di una perequazione delle
crome. È comunque del tutto diverso sia il profilo di attacco e rilascio del
suono sia il modo di articolare la pulsazione: ciò implica una differente
qualità groovemica nelle due esecuzioni.
È importante sottolineare che gli aspetti cui ci stiamo riferendo, sia sul
piano semantico-musicale (ossia, dei significati extramusicali di tipo con-
notativo che emergono dalle linee di pertinenza identificate dalle coppie
oppositive cultura urbana-industriale/agricola, metropoli/provincia, atti-
tudine progressista/tradizionale), sia a livello di interpretante 81 motorio da
parte dei fruitori coreuti (un qualcosa che ha che fare con il subjective beat
di Waterman),82 assumono un rilievo sostanziale nella negoziazione dei

79 Cfr. Id., Swing e Groove cit., p. 272 sg.


80 La nozione di ‘idioletto’, intesa come «codice privato e individuale di un solo parlante»,
è stata introdotta in àmbito estetico da U. Eco, La struttura assente, Milano, Bompiani, 1968,
p. 68.
81 Cfr. C. S. Peirce, Le leggi dell’ipotesi. Antologia dai “Collected Papers”, Milano, Bompiani,
1984.
82  Cfr. R. A. Waterman, African Influence on the Music of the Americas (1952), in Write Me
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 95

sensi musicali, in quanto sono percepiti con chiarezza dal pubblico. Infatti,
è anche per queste vie che fondamentalmente la musica diventa un fatto
sociale. Quei segnali erano inscritti nel livello profondo infrasegmentale di
Tiger Rag, mediati dal motor behavior connesso al principio audiotattile; 83
nella fattispecie, al loro primo apparire segnarono per la loro pregnanza
tutta un’era, la cosiddetta jazz age.
La creatività musicale audiotattile, quella che si trasfonde poi nelle ma-
nifestazioni dell’antropologia sociale, metaforizzandosi nei comportamen-
ti e nelle forme di vita, trascende la serie di valori veicolati da media visivi
come la scrittura; si vivifica, invece, in fattori attivi nell’implementazione
psicosomatica della performance, e attraverso i media elettronici in grado di
registrare, come sensori, quei dati energetici.

Conclusioni

Nella vicenda formativa di Tiger Rag e nella sua disseminazione socia-


le è in realtà Nick La Rocca stesso a sviare le ricerche con le proprie pur
attendibili dichiarazioni, poiché né dispone del bagaglio teorico-musicale
convenzionale né tematizza, in termini antropologici, la propria condizio-
ne di musicista autodidatta, privo di alfabetizzazione musicale formalizza-
ta (faker). Probabilmente il cornettista siculo-americano sarebbe rimasto
esterrefatto nell’apprendere che il modello della sua esperienza musicale
può essere descritto come una pratica formativa radicalmente audiotattile,
in cui il criterio di concatenamento e istanziazione di motivi vaganti è me-
diato da processi di codifica neoauratica.
I processi di categorizzazione attivati da La Rocca non si basano su prin-
cipii cognitivi modellati dalla teoria musicale occidentale: la sua rappresen-
tazione auditiva della struttura armonica della National Emblem March gli
consentiva di individuare con precisione alcuni elementi topici che poi,
debitamente tradotti in specifiche istanze di codifica del sonoro per media-
zione psicocorporea, condivise dal suo milieu culturale, si sarebbero rive-
lati subservienti per imbastire una trama formale. Come si è detto, si può
definire audiotattile la forma di cognitività e d’intenzionalità poietica che
presiede a queste dinamiche.84 La possibilità di astrazione e segmentazione

a Few of Your Lines: A Blues Reader, a cura di St. C. Tracy, Amherst, University of Massachusetts
Press, 1999, pp. 17-27: 21.
83  La nozione di motor habit riceve una prima formulazione in E. M. von Hornbostel,
African Negro Music, «Af rica. Journal of the International Af rican Institute», I, 1928, pp. 30-62.
84 Cfr. Caporaletti, I processi improvvisativi cit., pp. 69-86.
96 VINCENZO CAPORALETTI

formale consentita dalla teoria musicale occidentale, basata sul computo


metrico delle unità morfosintattiche proiettate in un contesto visivo-no-
tazionale, così come proposto nelle analisi musicali di questo contributo,
consente di venire a capo di istanze la cui mera rilevazione aurale e descri-
zione iconica, pur se adattata sul piano culturale nell’orientamento prag-
matico-comunicativo degli insider, non riesce a definire i profili e le pro-
prietà metriche. E il problema si complica ancor più se, come nel caso di
La Rocca, questa illustrazione immaginifica si esercita su un agglomerato
sonoro percepito, di per sé, come un insieme non strutturato visivamente e
non segmentabile attraverso le formalizzate nozioni teoretico-musicali, ma
vissuto esclusivamente in modo audiotattile, come forma di interazione
energetica psicosomatica e affettiva.
In altri termini, la “etnoteoria” musicale di La Rocca, efficace per comu-
nicare con i propri partners ai fini della realizzazione di una performance
o della sua trasmissione in un contesto di apprendimento mimetico, non
garantisce la possibilità dimostrativa di istanze autoriali e l’attestazione
irrefutabile dei loro modi di implementazione compositiva. La sensibilità
musicale audiotattile passa attraverso i canali di una mediazione cognitiva
più sensitivo-energetica che astrattivo-razionale, e gli elementi pertinenti
a specificità culturali hanno scarsa sussistenza al di fuori della diretta espe-
rienza percettiva. Per questo la tematizzazione da parte degli insider è oltre-
modo problematica quando debba formularsi nei termini legittimati dalla
giurisprudenza del diritto d’autore.
Per esempio, quando La Rocca parla della prima sezione di Tiger Rag,
illustra il significato provocatorio e derisorio che assumeva per lui il mo-
tivetto, le circostanze in cui lo utilizzava, e altro ancora: tutto meno che
descriverlo formalmente. E quando si riferisce alla struttura armonica della
National Emblem March, non fa distinzione tra i temi di cui si compone (egli
utilizza, come si è visto, il primo e il secondo tema in funzione, però, armo-
nica). Nel caso dell’inciso iterativo che agisce in funzione di call-response,85
La Rocca parla di un «um-pa» delle vecchie bande tedesche di New Orleans:
un riferimento gergale dell’argot dei musicisti di banda, concreto-descritti-
vo, onomatopeico, con incerta cittadinanza in un contesto esplicativo di
proprietà formali.
In realtà, come si è più volte ribadito, l’elemento pertinente per La
Rocca era la struttura armonico-architettonica dei brani cui si riferiva, da
impiegare strumentalmente per imbastire la trama estemporizzativa poli-
fonica assieme ai sodali dell’ensemble. È del tutto evidente che questa è una
categorizzazione di tipo poietico, con riferimento alla triade semiologica

85  Cfr. Floyd jr, The Power of Black Music cit.


NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 97

di Nattiez-Molino,86 in quanto segnala la prospettiva attiva dell’emittente


del messaggio, del musicista estemporizzatore che di un brano coglie in
maniera funzionale la struttura, l’architettura armonica, per potersi muo-
vere creativamente al suo interno. Altro fattore non secondario nella cate-
gorizzazione del cornettista era la logica delle mozioni formali di ordine
energetico e del decorso prosodico: per esempio, in London Bridge la strut-
turazione simmetrica e cantilenante della ritmica infantile, che dà luo-
go alle strutture responsoriali dei portamenti di clarinetto nel secondo tema
in stop time. In ogni caso, per un modello cognitivo audiotattile forte-
mente caratterizzato, le connessioni di ordine motivico-tematico rivestono
una funzione gerarchica sottordinata rispetto alle caratteristiche sensomo-
torie e del ritmo (e modello) armonico, poiché su questi s’innestano i valo-
ri e i dispositivi creativi in tempo reale.
Per cogliere le fila di quest’analisi, si riassumono di seguito le deduzioni
circa le fonti di Tiger Rag:

Subsezione 1a
Derivati dal congegno fonotattico del 1867 o da altro reperto adespo-
to, alcuni incisi motivici si sono diffusi a New Orleans alla fine dell’Otto-
cento per tradizione orale, divenendo Get Out of Here (And Go on Home) di
Buddy Bolden e l’inciso «get over, dirty» di La Rocca (cfr. l’Es. mus. 1). Il
riferimento sub specie armonica si ritrova anche nel primo tema di Num-
ber Two inciso da Johnny De Droit. L’aspetto semantico è quello della “si-
gla di chiusura” dello spettacolo, utilizzato poi in Tiger Rag come pure in
Barrel House Rag di Marable-Williams come incipit con funzione evocativa
dell’atmosfera festiva dell’intrattenimento danzante. Questo fatto è indice
di una stabilita e stretta correlazione, nel sistema semantico degli orleanians
agli inizi del Novecento, tra la breve proposizione della cornetta (che ese-
guiva la melodia-guida), alla base della subsezione 1a, e i locali da ballo,
nel preciso senso metaforico più che, come per altri brani, genericamente
sineddotico-connotativo.

Subsezione 1b
A dispetto di quanto mostra l’edizione filologica di Tiger Rag, questa
subsezione trova il suo ascendente motivico in London Bridge (cf r. qui l’Es.
mus. 4).

86  Cfr. Nattiez, Fondements d’une sémiologie cit.


98 VINCENZO CAPORALETTI

Sezione 2(a+b)
Questa sezione, assai controversa e inspiegata in letteratura quanto
all’attribuzione genetica, è stata ricondotta, per ciò che concerne 2a (cfr.
l’Es. mus. 7), alla struttura metrico-armonica e fraseologica del primo tema
della National Emblem March (The Star-Spangled Banner in metro binario)
e, per 2b, al suo adattamento sintattico alle dinamiche implicite nella distri-
buzione dei piani tonali di Tiger Rag. Ci si potrebbe interrogare sulle mo­
tivazioni di questa scelta di La Rocca: perché proprio la National Emblem
March? Certamente bisogna considerare la suggestione data dalla connota-
zione patriottica di questa marcia. Come simbolo dell’identità nazionale,
per un dago,87 figlio di un ciabattino italiano arrivato a New Orleans nel 1887
da Salaparuta, il brano catalizza sia il desiderio d’integrazione in una società
in cui le barriere di classe ed etniche erano molto forti, sia l’amer­ican dream,
che sarebbe poi potuto divenire realtà proprio tramite Tiger Rag, in cui
questo coacervo di rimandi simbolici era inscritto come un codice occulto.

Sezione 3
È plausibile che tra gli anni ’80 e ’90 del secolo XIX la disseminazione
nella Crescent City della struttura armonica di Sobre las olas abbia costitui-
to un veicolo privilegiato, una Urstruktur, un archetipo morfemico su cui
sperimentare le potenzialità creative delle forme performative di estempo-
rizzazione collettiva dello hot ragtime. Attraverso Get Out of Here (And Go
on Home) e Number Two, per sovrapposizione sincretica, come si è visto, La
Rocca utilizza il riferimento alla struttura armonica del secondo tema della
National Emblem March aggiungendo, in una forma di creazione condivisa
con gli altri elementi del gruppo, attraverso processi estemporizzativi, i se-
guenti addentellati formali sul piano ritmo-melodico:
– nella sezione 3x, elementi melodici di tipo iterativo, che nella strut-
tura metrica binaria impiantano dissonanze metriche di raggruppamento
ternario (poliritmia denominata secondary rag, come abbiamo visto, nell’etno-
­teoria dell’argot jazzistico), in particolare nella parte del clarinetto:

87  Con l’appellativo dagoes erano dispregiativamente chiamati negli Stati Uniti gli immi-
grati di origine italiana. Sullo status socioantropologico attribuito ai dagoes, Peter Vellon cita
un’eloquente nota pubblicata sul «New York Sun» del 4 agosto 1899: «the average man will clas-
sify the population as whites, dagoes, and negroes. This is the explanation of the lynching of
Italians in Louisiana ... The unwritten law of the South is that a white man shall not be lynched
... The only exception is the Italian, who in this respect has been placed on terms of equality
with the Negro»: P. Vellon, “Between White Men and Negroes”: The Perception of Southern Italian
Immigrants through the Lens of Italian Lynchings, in Anti-Italianism: Essays on a Prejudice, a cura di
W. J. Connell e F. Gardaphé, New York, Palgrave Macmillan, 2010, pp. 23-32: 26.
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 99

Es. mus. 11 – ODJB, Tiger Rag, New York, 25 marzo 1918: inizio della sezione 3x (la trascri-
zione, in note reali, è di chi scrive).

– nella sezione 3y, la formula ritmica in ostinato, mnemotecnicamente


definita da La Rocca hone-ya-da (cornetta e trombone in omoritmia per
seste), a imitazione di stilemi delle bande tedesche:

Es. mus. 12 – ODJB, Tiger Rag, New York, 25 marzo 1918: inizio della sezione 3y (la trascri-
zione, in note reali, è di chi scrive). Nel riquadro è evidenziata la cellula ritmo-melodica
detta hone-ya-da.
100 VINCENZO CAPORALETTI

– nella sezione 3z, la sincopazione di questa formula in ostinato, che


innesca il famoso ruggito della tigre come risposta e interpolazione, con il
glissato discendente di trombone (plop); di fatto, per tutta la sezione 3y si
verifica un crescendo iterativo, un accumulo di energia che sfocia nel sinco-
pato finale di 3z, cui fa eco l’imitazione del ruggito:

Es. mus. 13 – ODJB, Tiger Rag, New York, 25 marzo 1918: inizio della sezione 3z (la trascri-
zione, in note reali, è di chi scrive).

Al di là delle diatribe autoriali, è del tutto verosimile che sia stato pro-
prio l’icastico ruggito, che conferiva un riferimento iconico e onomatopei-
co al glissato del trombone, a promuovere il successo di Tiger Rag; e qui si
entra nell’àmbito delle dinamiche dello show business del secolo XX e delle
strategie di marketing ad esso connesse. Con l’immagine aggressiva della
tigre, e tramite un’azzeccatissima trovata, si forniva una chiave di lettura
del brano e di tematizzazione alle movenze di danza. Il riferimento ai versi
degli animali era un espediente espressivo derivante dal vaudeville e allo-
ra piuttosto diffuso (come per esempio in Livery Stable Blues, ove il canto
del gallo è imitato dal clarinetto, il nitrito dalla cornetta, il muggito dal
trombone),88 che incuriosiva e divertiva il pubblico metropolitano. Anche
le danze ispirate a movenze di animali (Grizzly Bear, Kangaroo Hop, lo
stesso Fox-Trot, eccetera) erano diffusissime.

88  Cfr. ODJB, Livery Stable Blues, New York, 26 febbraio 1917, disco Victor Talking Machine
18255-B. Questo disco è stato il primo grande successo dell’ODJB, con oltre un milione di copie
vendute, nonché il primo esempio di New Orleans jazz preservato su supporto discografico.
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 101

Ma nel contesto urbano di New York l’immagine della tigre, connessa


con il potenziale energetico sviluppato dalla compatta unità orchestrale,
evocava un ben diverso sistema di connotazioni. Esulava infatti dal mon-
do rurale e tradizionale, e sfuggiva quell’immagine ridanciana e un po’
buffonesca dei consueti riferimenti faunistico-musicali. Proiettava l’identi-
tà del gruppo nella dimensione futurista dell’irruente mito della velocità,
dell’inesausto e barbarico vitalismo fisico 89 e, non ultimo, dell’esotismo,
codificando allo stesso tempo la disinvolta ed elegante aggressività delle
flapper e la strenua determinazione nella rincorsa all’autoaffermazione, in
tutti i campi. Il successo discografico era così preannunciato, assicurato a
prescindere, forse, dai contenuti musicali stessi, secondo i codici di comu-
nicazione di massa che si cominciavano a sperimentare. Con Tiger Rag non
si produceva soltanto un disco, ma s’inventava una Gestalt, una forma sim-
bolica dello Zeitgeist, un gadget di consumo destinato a segnare una moda,
un costume, un’ideologia di vita urbana, introducendo in grande stile lo
spirito degli imminenti roaring Twenties.
L’arcadica versione riferita da Charters secondo cui l’afroamerica-
no Jack Carey avrebbe escogitato in un placido e assolato pomeriggio del
1913 l’espediente espressivo del glissato di trombone assieme a Ernest “Kid
Punch” Miller (1894-1971) – come se a New Orleans potesse bastare l’inizia-
tiva di un singolo per creare il “fenomeno Tiger Rag”, senza il fuoco di fila
della poderosa macchina bellica dell’allora nascente industria discografica
nordstatunitense (nello specifico, esclusivamente newyorkese) –, è stata cri-
ticata, ritengo con una certa attendibilità sul piano storiografico, anche da
Daniel Hardie.90 Questi nota come Miller fosse entrato a far parte della
Crescent City Orchestra nel 1919, ben due anni dopo l’incisione della ODJB.
Comunque, è pur vero che il glissato di trombone fu allora un effetto inno-

89  Questo antintellettualismo dell’ODJB si può leggere nell’ostentata e compiaciuta enfasi


posta dai suoi membri sul loro analfabetismo musicale. Nick La Rocca, per esempio, afferma-
va: «I don’t know how many pianists we tried before we found one who couldn’t read music»
(Smith, White New Orleans cit., p. 51). Quest’asserzione peraltro non corrispondeva al vero, in
quanto sia Eddie Edwards sia il pianista che aveva rimpiazzato Henry Ragas, Joseph Russel Rob­
inson, erano acculturati con codici musicali formalizzati (cfr. Brunn, The Story cit., p. 13). In
ogni caso, questa immagine rafforzava il tratto primitivistico e lo spontaneismo creativo con
cui l’ODJB veniva percepita, sebbene in realtà le loro performances fossero frutto di accurate
sessioni di prova (cfr. ibid., p. 91), e per le loro pur estemporizzate esecuzioni degli anni ’10 non
si possa parlare di improvvisazione vera e propria. Per questa forma di “calcolato primitivismo”
nel jazz delle origini, cfr. W. H. Kenney, Chicago Jazz: A Cultural History, 1904-1930, New York -
London, Oxford University Press, 1993, p. 41 sg.
90  Cf r. D. Hardie, Exploring Early Jazz: The Origins and Evolution of the New Orleans Style,
San Jose, Writers Club, 2002, p. 91; ma cf r. anche Lawrence Gushee: «Charters’ work, though
pioneering, is widely understood ... to be unreliable»: L. Gushee, recensione a Fr. Tirro,
Jazz: A History, «Journal of the American Musicological Society», XXXI, 1978, pp. 535-540:
536.
102 VINCENZO CAPORALETTI

vativo e caratteristico dello stile cosiddetto tailgate, e che Jack Carey sia stato
senza dubbio uno dei primissimi trombonisti a introdurre questo stilema.
Non si potrà mai stabilire con certezza se l’uso di acclamare il nome del
trombonista (Play, Jack Carey!) fosse diventato un gioco di società diffuso
prima o dopo la pubblicazione discografica di Tiger Rag, né quando la Cres­
cent City Orchestra cominciò a eseguirlo come fosse un brano proprio.
Ma potremmo anche rimescolare le carte e accettare tutte le ipotesi, in un
caleidoscopio di interconnessioni atto a rivelare la ricchezza e la bellezza dei
processi di ibridazione culturale, sfuggendo alla rigidità delle spiegazioni
monocausali. Ciò che possiamo asserire fuori d’ogni dubbio, invece, è che
l’inveterata e normalizzata pratica di condivisione comunitaria delle unità
di concettualizzazione musicale nel contesto della tradizione orale, fino a
vanificarne l’eventuale origine autoriale, in quel volgere di anni tra la prima
e la seconda decade del secolo XX aveva ormai perso ogni ragion d’essere.
Questo snodo antropologico epocale, del quale la dinamica formativa, dif-
fusiva e recettiva dell’unità culturale Tiger Rag è uno degli esempi e simboli
più pregnanti,91 segna propriamente il crinale in cui la musica di tradizione
orale – mediata dalla nuova sensibilità neoauratica del secolo XX, procurata
dai mezzi di cristallizzazione e fissazione del testo sonoro e dalle connesse
strutture sociali e istituzionali di sfruttamento economico – si è trasforma-
ta propriamente e in modo irreversibile in musica audiotattile.

Abstract – The productive and receptive dynamics of Tiger Rag, perhaps the


most famous piece of classical jazz, have been marked by irreconcilable contro-
versies concerning both its correct authorial attribution and the specific origin of
the “floating folk strains” that the copyright holder (©1917), the Italian-American
Nick La Rocca, assembled by his own admission. In a recent article by the present
author, the authorship of La Rocca has been confirmed in contrast to the version
of the pianist and composer Jelly Roll Morton, who repeatedly claimed authorship
of the piece, which led to him being credited as the true author by jazz historiog-
raphy. As evidence of the importance of Tiger Rag, it is worth noting that Morton
even indicated it as the piece from which the history of jazz started. It was the
result of a rhythmic-improvisational treatment of a quadrille of European origin.
In this article the sources are examined with results that substantially reshape
the historiographic and philological framework outlined by the standard critical
edition, the retrospective score published by the Library of Congress based on
the Original Dixieland Jazz Band’s historical recording. The new attribution to
La Rocca is not only consistent with the musician’s indications, but the use of

91  Per la nozione di ‘unità culturale’, cfr. U. Eco, Trattato di semiotica generale, Milano,
Bompiani, 1975, pp. 98-100.
NUOVE PROSPETTIVE INTERPRETATIVE SULLE FONTI DI TIGER RAG 103

appropriate philological tools has made it possible to identify other sources which
have not been taken into consideration until now. In this new interpretative per-
spective, Tiger Rag acquires the character of a symbolic divide between traditional
oral music, in which the “floating folk strains” were the common heritage of New
Orleans musicians, and what the present author has dubbed ‘audiotactile music’,
fully integrated into a context of mass-media and participating in the authoritative
and aesthetic dimension of an art-music tradition.
Direttore responsabile
Giuseppina La Face Bianconi
Registrazione del Tribunale di Firenze n. 4456 del 22-2-1995
Iscrizione al ROC n. 6248

FINITO DI STAMPARE
PER CONTO DI LEO S. OLSCHKI EDITORE
PRESSO ABC TIPOGRAFIA • CALENZANO (FI)
NEL MESE DI DICEMBRE 2018
Rivista semestrale di musicologia
fondata da Lorenzo Bianconi, Renato Di Benedetto, F. Alberto Gallo,
Roberto Leydi e Antonio Serravezza

Comitato direttivo
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ni: i pareri vengono integralmente comunicati per iscritto agli autori. I contributi,
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ISSN 1123-8615

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