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La fraseologia: origini e genere tra italiano e spagnolo.

Un’analisi comparativa.
Alessia Della Rocca
Università degli Studi Internazionali di Roma

Abstract
Il presente articolo analizza il ruolo della fraseologia all’interno della lingua italiana e spagnola,
nonché la loro correlazione con la cultura, quale substrato d’origine. Il loro legame con il passato, la
loro attinenza e il loro uso contemporaneo sono elementi di riflessione in maniera contrastiva.
La questione di genere nella paremia assume un aspetto rilevante in due lingue prevalentemente
androcentriche quando queste presentano espressioni, desuete e non, che tutt’oggi formano parte della
comunicazione e che veicolano stereotipi di genere. Si propone una riflessione per una modifica
dell’atteggiamento verso certe categorie paremiche, per considerare un rispetto sempre crescente
della componente di genere, quale elemento imprescindibile all’interno di una società in ogni sua
sfaccettatura.

Parole chiave: fraseologia, cultura, genere, paremia.

This article’s aim is to analyse the role of phraseology within Italian and Spanish languages, and their
correlation with culture, as their substrate. Their link with the past, their relevancy with it and their
contemporary use serve as a basis for further contrastive reflection. Gender in phraseology also
constitutes an important aspect in two mainly androcentric languages, when they present idiomatic
expressions, both obsolete and modern, that are still part of today’s communication and that convey
social and gender stereotypes. The article also offers a reflection for a change in the attitude towards
some phraseological categories, in order to consider an increasing awareness of gender-based issues,
as a key element within a society in all its various forms.

Key words: gender, phraseology, culture, gender-based issues.

Introduzione
Il patrimonio linguistico che ogni lingua presenta comprende, in vasta scala, un’ampia porzione di
fraseologia. La fraseologia, intesa come “insieme delle frasi (nel senso di locuzioni o espressioni
caratteristiche, idiomatiche) proprie di una determinata lingua o di una determinata sezione del
lessico, relativa a una particolare attività umana”1, rappresenta un patrimonio linguistico inestimabile
che riflette la storia della comunità linguistica, nonché il suo estro, la sua cultura, gli usi e costumi e
le credenze e leggende che da sempre la forgiano.
Una parte imprescindibile del patrimonio linguistico è costituito da tutti i detti, le frasi fatte e i
proverbi che compongono una fitta trama riflettente le abitudini di una determinata società. A seconda
del paese in cui ci si trova, dalla sua cultura, dalla sua storia e dalle sue origini, è possibile notare una
presenza più o meno spiccata di elementi di fraseologia. L’Italia e la cultura italiana, senz’altro, molto

1 http://www.treccani.it/vocabolario/fraseologia/ - AA. VV. Vocabolario Treccani della lingua italiana online.


Consultato il 12/07/2017.
possiedono in quanto a elementi fraseologici o idiomatici. Tuttavia, è possibile riscontrare nella
lingua e cultura spagnola un’infinità di essi, molto più di quanti ne esistano nella nazione italiana, e
molto più utilizzati di quanto non lo si faccia in patria.
La lingua spagnola è estremamente ricca di dichos (“Parola o insieme di parole con il quale si esprime
oralmente un concetto preciso”)2, frases hechas (“Frase che, in senso figurato e in forma inalterabile,
è di uso comune […]” o “frase di uso comune che esprime una massima a mo’ di proverbio”)3 e di
refranes (“Detto acuto e sentenzioso di uso comune”)4. Spesso, i termini dicho e refrán figurano come
sinonimi, essendo entrambi elementi di fraseologia che racchiudono un insegnamento di tipo morale.
È necessario tuttavia attuare una distinzione, poiché i dichos, che provengono da una storia, un
racconto, un aneddoto riguardante un personaggio reale o inventato, rappresentano un riflesso della
società, uno strumento infallibile per mostrare un lato caratteristico di una società e della sua cultura
e, come tali, sono presenti in tutte le culture, ed è spesso possibile trovare analogie tra le culture che
presentano modi simili di esprimere lo stesso concetto fraseologico. Il refrán, invece, concentra la
sua ricchezza nel fatto di essere proprio di una lingua e di una cultura, non riesce a essere estrapolato
dalla sua cultura di origine senza subire una perdita del significato che lo contraddistingue e, in questo
modo, rimane tipico di una nazione e della sua lingua. È proprio il refrán che costituisce la grande
differenza tra la lingua spagnola e quella italiana, poiché la lingua spagnola si serve di tali espressioni
idiomatiche ogniqualvolta ci sia la possibilità di utilizzarla come vera e propria risposta a una
domanda, come interiezione, come una vera parte integrante del discorso, insomma.
La conoscenza di tali elementi della lingua spagnola diventa quindi imprescindibile per un discente
straniero che si avvicina a tale lingua: non bisogna pensare agli elementi di fraseologia come a dettagli
della lingua, come fossero entità quasi “secondarie” o accessorie, come può essere nel caso della
lingua italiana. Al contrario, la mancata conoscenza di queste parti fondamentali del discorso
inevitabilmente comporta un’interferenza a livello lessicale nonché culturale, che porta a
conseguenze che minano a lungo termine le competenze socioculturali e comunicative. Allo stesso
modo, tali elementi possono rappresentare una criticità non indifferente al momento della traduzione
tra spagnolo e italiano e, a volte, diventare delle vere e proprie barriere.
Come già accennato, il rapporto con la cultura è imprescindibile per la comprensione e l’eventuale
traduzione di un elemento fraseologico: si tratta infatti di elementi che non possono essere compresi
mediante la comprensione delle singole parole che li compongono, ognuno di essi possiede un
significato ben preciso e definito che non forzatamente rispecchia il significato che quelle parole
possiedono nella lingua “comune”, e le parole stesse all’interno di un detto, di un proverbio, di un

2 http://dle.rae.es/?id=DgXmXNM - RAE, Diccionario de la lengua española. Consultato il 12/07/2017. – Tutte le


traduzioni delle note sono state eseguite dall’autrice dell’articolo
3 http://dle.rae.es/?id=IPhICME - RAE, Diccionario de la lengua española. Consultato il 12/07/2017.
4 http://dle.rae.es/?id=VesRhX7 - RAE, Diccionario de la lengua española. Consultato il 12/07/2017.
modo di dire, possono acquisire una seconda accezione, anche del tutto differente rispetto
all’accezione che il termine possiede nell’uso comune della lingua. È evidente che tale caratteristica
possa riscontrarsi in egual misura in lingua italiana così come in lingua spagnola, ma è proprio questa
la ragione per cui la conoscenza della cultura di un paese, nonché della sua lingua, si colloca alla base
di una comprensione ottimale della sua fraseologia, e per un suo uso cosciente e fruttuoso ai fini della
corretta comunicazione.

La cultura quale culla della componente fraseologica


La componente culturale è inevitabilmente legata alla storia del paese e della lingua parlata entro i
suoi confini, degli usi e costumi della popolazione e delle sue tradizioni. È possibile notare come ogni
paese rifletta, grazie appunto al proprio bagaglio culturale, elementi chiave della società e della
tradizione nell’ambito del parlato e, in maniera particolare, nell’ambito della fraseologia. Tutti questi
elementi vanno a formare il corpo della paremia, categoria che racchiude non solo gli elementi
sopraccitati, ma anche tutti gli adagi, le locuzioni intese come “gruppo di parole che formano
un’espressione il cui significato non può sempre essere evinto dalle parole che lo compongono allo
stesso modo dei modismi”5 e gli assiomi tipici di una società e di una comunità linguistica più o meno
estesa, con il minimo comun denominatore della morale insita in essi, dell’insegnamento, o del
consiglio, provenienti dal passato e immutati nel tempo, delle piccole lezioni di vita immerse nel
quotidiano da secoli, quali vere e proprie “[…] sentenze brevi, cavate dalla sperienza e dalle
speculazioni dei nostri antichi saggi […]”6. È così che detti, modi di dire, proverbi, prendono
inevitabilmente la forma della società in cui essi furono forgiati secoli prima e in cui, ancora,
sussistono invariati, nonostante la lingua abbia subito svariate evoluzioni che hanno portato a una
progressiva scomparsa di determinati termini in tutta la lingua moderna, fuorché nella loro accezione
fraseologica. In altre parole, “Il modo di dire, come sintagma stereotipato, tende a sopravvivere per
inerzia memoriale anche quando i suoi elementi singoli siano usciti dall’uso corrente o quando il loro
nesso sintattico non sia vigente nel sistema funzionale della lingua […]”7. Tale accezione permette
infatti, oltre al presente, di riscoprire il passato di una lingua, i “resti di archeologia della lingua di
ogni popolo”8 poiché nelle unità fraseologiche sopravvivono parole desuete e strutture cadute in
disuso che ormai non trovano più posto nella lingua moderna e contemporanea. Il cadere in disuso o
il diventare più o meno desueto può essere riscontrato non solo nelle parole che vanno a comporre

5 A. Buitrago, Diccionario de dichos y frases hechas, Espasa, Barcelona, 2015, pag. 9. (“es un grupo de palabras que
forman una expresión cuyo significado no siempre se deduce de las palabras que la forman”).
6 M. de Cervantes, L’ingegnoso idalgo Don Chisciotte della Mancia, Andrea Ubicini, Milano, 1841, Volume secondo,

Capitolo LXVII, pag.599 [trad. it. Bartolommeo Gamba]. (“[…] sentencias breves, sacadas de la experiencia y
especulación de nuestros antiguos sabios […]”)
7 G. Nencioni, Tra grammatica e retorica, Einaudi, Torino, 1983, p.106.
8 M. García-Page Sánchez, Problemas en el empleo de la fraseología española por hablantes extranjeros – la violación

de restricciones. León, ASELE, Actas VI, 1995.


l’unità fraseologica, ma anche nelle azioni che queste presentano al loro interno; basti pensare che,
in spagnolo, si dice che qualcosa è “coser y cantar”9 quando si vuole sottolineare la sua estrema
semplicità. Seppure al giorno d’oggi una nutrita parte della popolazione non riterrebbe l’attività di
cucire così immediata, quest’azione è permasta nell’immaginario sociale e culturale spagnolo come
metafora di un’attività estremamente semplice, facile come bere un bicchier d’acqua. Nel presente,
invece, “possiamo constatare lo sviluppo semantico della fraseologia idiomatica, la nascita di parole
e di modi di dire nuovi motivati dalla fraseologia”.10

A tale proposito, è interessante effettuare una distinzione tra le caratteristiche culturali che permeano
la società spagnola, la sua lingua e, di conseguenza, le sue unità fraseologiche e quelle invece che
qualificano la lingua italiana. Si noterà che nelle unità fraseologiche di una determinata lingua è
possibile reperire caratteristiche culturali tipiche di una società che, nell’unità fraseologica
corrispondente nell’altra lingua, risultano del tutto appiattite, poiché non presenti nella cultura, o
presenti in misura molto minore, e viceversa. Altre caratteristiche invece, come prima accennato,
oltrepassano i confini geografici e culturali della lingua, poiché custodiscono il centro del loro
significato nell’immagine che si vuole veicolare, che è possibile adattare a svariati contesti, che ogni
lingua o comunità possiede al suo interno e che, quindi, può essere applicabile a qualsiasi unità
fraseologica.

Iniziando con la lingua spagnola, è inevitabile notare come tale lingua sia pervasa da unità
fraseologiche che rimandano alla sfera religiosa; se consideriamo la lingua un chiaro fattore di
identificazione della forma mentis e della visione del mondo circostante della popolazione da cui è
parlata, è evidente che il riferimento a fattori riguardanti la sfera del divino, Dio stesso, l’aldilà e tutti
i rituali del culto (la messa, le esequie ecc.) sia decisamente frequente. Per quanto riguarda l’italiano,
invece, è possibile affermare che, nonostante esistano vari elementi fraseologici e idiomatici con
chiari riferimenti alla religione, alla Chiesa e a tutti gli elementi sopraccitati, “[…] Il processo di

9“Cucire e cantare”.
10S. Bralić, Sulla motivazione e sulla grammatica dei modi di dire in italiano, Filozofski fakultet Sveučilišta u Splitu,
Spalato, 2011 pag. 171
laicizzazione della scuola11 e della società italiana hanno fatto sì che questi scomparissero dalla lingua
quotidiana, entrando in disuso”.12
Diventa così possibile effettuare la seguente distinzione, che si pone come esempio pratico di quanto
precedentemente illustrato, a riprova del fatto che un grande numero di elementi fraseologici e
idiomatici più che frequenti nella lingua spagnola, e con rimandi più o meno profani alla sfera
religiosa, sono altrettanto frequenti e utilizzati in Italia senza però mantenere l’accezione che li
caratterizza, si deve infatti sempre tenere a mente che: “La familiarità degli spagnoli con la religione
lascia attoniti molti stranieri. Per iniziare, il secondo comandamento ‘non userai il nome di Dio
invano’ sembra del tutto inutile allo spagnolo cattolico, che quasi mai lo usa in altre forme. […] Ma
la fiducia si spinge ancora oltre e gli spagnoli utilizzano la nomenclatura religiosa per le situazioni
più profane”13

“Ser la Biblia en verso” “Essere (pesante come) un mattone”


La prima espressione spagnola si usa per riferirsi a un “discorso, una relazione, una spiegazione, un
testo, ecc. di grande estensione, noioso, farraginoso e di difficile comprensione”14. Il corrispondente
italiano di tale unità fraseologica mantiene in ogni sua parte l’accezione di pesantezza, di difficoltà
di sopportazione di una persona, di un oggetto, o di una situazione che si protrae nel tempo, tuttavia
viene fatta leva sulla fisicità dell’oggetto che compone la metafora. Nella cultura spagnola, invece, ci
si riferisce soprattutto a una pesantezza meno “fisica” poiché il detto proviene del lavoro portato a
termine da José María Cardulla (1839-1911) che decise di riscrivere in versi la Bibbia.

“En un santiamén” In un batter d’occhio


Nel secondo caso, l’espressione spagnola è utilizzata per indicare lo svolgersi di un fatto in maniera
istantanea, estremamente veloce. Il termine proviene dall’unione delle ultime parole che venivano

11 Laicizzazione intesa come sottrazione dell’istituzione scolastica al controllo della gerarchia ecclesiastica. “[...] nei primi
secoli del secondo millennio, nascono molte scuole di iniziativa privata, dapprima autorizzate dalla Chiesa e
successivamente, nel periodo dei Comuni, sempre più laiche e non bisognose di alcuna autorizzazione”. “Questo fiorire
di scuole si rafforza nel periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento, arricchendosi nelle sue basi culturali e nelle sue
forme di specializzazione: un processo che per molti aspetti si può definire di laicizzazione della scuola e che si sviluppa
soprattutto nei paesi dove forte è l’influenza della Riforma protestante e quindi minore il legame con la cultura della
Chiesa di Roma [...] Diversa è la situazione [...] soprattutto in Italia, dove l’indirizzo delle scuole si mantiene
fondamentalmente umanistico e, soprattutto, più forte si mantiene il ruolo esercitato dalla Chiesa e dai suoi ordini religiosi.
Si dovrà attendere il XIX secolo per avere in Italia un primo complessivo disegno del sistema scolastico e l’inserimento
di insegnamenti ‘realistici’ al suo interno”.
 http://www.treccani.it/enciclopedia/scuola_(Enciclopedia-dei-ragazzi)/ M.
Palma, Enciclopedia Treccani dei ragazzi, 2006. Consultato il 15/07/2017
12 D. Soler-Espiauba, 2001, Impacto del fenómeno religioso en el español coloquial, pag. 3, (“[…] el proceso de

laicización12 de la escuela y de la sociedad italianas hicieron que desaparecieran de la lengua de todos los días, quedando
en desuso”).
13 F. Díaz Plaja, Los españoles y los siete pecados capitales, Editor digital Hechadelluvia ePub base r1.0, 1966, pp. 109-

111. (“la familiaridad de los españoles con la religión deja estupefactos a muchos extranjeros. Para empezar, el segundo
mandamiento ‘no emplearas en nombre de Dios en vano’ parece totalmente inútil al católico español, que casi nunca lo
emplea de otra forma. […] Pero la confianza llega a más y los españoles usan la nomenclatura de la religión para las
más profanas de las situaciones”).
14 A. Buitrago, Diccionario de dichos y frases hechas, Espasa, Barcelona, 2015, pag. 380.
pronunciate al momento del segno della croce, alla fine di una preghiera o direttamente dal sacerdote
che, in latino, recitava “In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti, Amén. Come si può notare, è
proprio la parte finale dell’orazione recitata dal sacerdote che va a comporre l’unità fraseologica
spagnola. Ancora una volta, in italiano il significato si concentra su un altro aspetto dell’azione svolta
“in un batter d’occhio”: la rapidità del movimento involontario del corpo umano. Lo spirito dell’unità
fraseologica resta il medesimo tuttavia, ancora una volta, si perde quel riferimento al mondo delle
funzioni religiose, in questo caso, che è evidente anche nelle varianti esistenti nella cultura spagnola
(“en menos que se reza un credo”, “en un decir Jesús”, “decir a todo amén”).

“Írsele a alguien el santo al cielo” “Perdere il filo del discorso”


In questo terzo caso, l’unità fraseologica in entrambe le lingue fa diretto riferimento al distrarsi, al
perdere l’attenzione e a dimenticarsi di quanto si era detto, si stava dicendo o facendo, o “al tema di
cui si stava parlando”15. Tuttavia, è possibile identificare la connotazione religiosa del detto spagnolo,
che si pensa sia stata pronunciata per la prima volta da un sacerdote che, durante una funzione, stava
parlando di un santo e, perdendosi in altri discorsi, scordò cosa stava dicendo in precedenza. Il santo,
appunto, andò in cielo. L’espressione equivalente italiana, invece, nulla ha a che vedere con la sfera
religiosa e dei santi. Nasce piuttosto da un episodio famoso della mitologia greca, quello di Arianna
e Teseo: il filo cui si fa riferimento nel detto italiano è proprio quello che Arianna consegnò a Teseo,
di cui era innamorata, affinché potesse ritrovare facilmente la via d’uscita del labirinto in cui si era
inoltrato con l’intenzione di uccidere il Minotauro.

“Desnudar a un santo para vestir a otro” “Tirare una coperta troppo corta”
Anche in questo frangente, la lingua spagnola fa riferimento a un santo per esprimere il concetto di
non avere sufficienti mezzi, sufficienti possibilità per attuare più cose alla volta, tutte importanti, per
cui si rende inevitabile una scelta. Nell’immagine veicolata dalla lingua italiana, si evidenzia il fatto
che, se una coperta è troppo corta, non è possibile coprire tutto il corpo, qualcosa resta fuori. Ci si
concentra metaforicamente ancora una volta sull’azione, sulla fisicità che comporta la metafora
dell’azione presente nel modo di dire. Lo spagnolo, invece, rimanda alla tradizione secondo la quale,
al momento della processione, il sacerdote o altre persone vestissero il santo con gli abiti di altri santi
che, in quell’occasione, non sarebbero stati esposti durante la processione, così come nel caso della
variante prevista per tale detto: “Quedarse para vestir santos”16.
“Si sale con barbas, San Antón y, si no, la Purísima Concepción” “Chi vivrà, vedrà”
Nella presente unità fraseologica è possibile individuare un esempio pratico delle parole di Fernando
Díaz Plaja precedentemente citate con riferimento alla profanità con la quale a volte gli spagnoli si

15 A. Buitrago, Diccionario de dichos y frases hechas, Espasa, Barcelona, 2015, pag. 372.
16 A. Buitrago, Diccionario de dichos y frases hechas, Espasa, Barcelona, 2015, pag. 209.
servono della religione per esprimere concetti e situazioni del quotidiano. Nella fattispecie, si rimanda
tale espressione a un pittore spagnolo, Orbaneja. Egli stava abbozzando l’inizio di un quadro che
avrebbe dipinto quando ricevette la visita di una persona che gli chiese cosa stesse dipingendo. La
risposta dell’artista che, evidentemente, non aveva molta fiducia nel proprio operato e nelle proprie
capacità, rispose proprio tramite questa frase ironica che, se avesse avuto la barba sarebbe stato San
Antón e, se non l’avesse portata sarebbe stata invece la Purissima Concezione. Da quel momento,
l’espressione entrò a far parte della componente proverbiale del linguaggio popolare, per indicare il
momento in cui si svolge un’attività senza grandi pretese di successo o quando si è consapevoli delle
proprie scarse capacità, per cui ci si affida al caso e si vedrà. Si vedrà proprio come nell’espressione
italiana, che nulla presenta di profano o di irriverente, come nel caso dello spagnolo. L’unità
fraseologica italiana è decisamente più esplicita, evidenziando proprio il fatto di affidarsi alla sorte,
di aspettare un’evoluzione dei fatti e di comportarsi poi di conseguenza.

Un altro frequente riferimento che è possibile individuare nella lingua spagnola, e che proviene
direttamente dalla sua cultura, è quello alla tauromachia. Il mondo dei tori e delle corride è già di per
sé ricco di detti e proverbi, ciononostante tali proverbi sono entrati a far parte del linguaggio
quotidiano e sono stati elevati a metafora per descrivere varie situazioni della vita, anche al di fuori,
appunto, della plaza de toros e dell’universo che le orbita attorno. In questo caso è possibile fare
riferimenti anche alla lingua italiana, poiché anch’essa possiede detti e modi di dire contenenti un
rimando alla tauromachia. Tuttavia, è evidente che in italiano abbiano acquisito significato grazie alla
loro sfera metaforica ma che, nel concreto, non rimandino a nessuna situazione tipica della cultura
e/o degli usi e costumi del paese.

“A toro pasado” “Col senno di poi”


Il riferimento alla tauromachia, nel presente caso, riguarda proprio le tecniche tipiche di questa
pratica. Ci si riferisce precisamente all’azione di conficcare le banderillas nel momento in cui la testa
del toro è già passata davanti al banderillero e non sussiste, pertanto, il pericolo di ricevere
un’incornata17. È chiaro quindi l’uso che si fa di questa espressione fraseologica, ci si riferisce a
un’azione che è già stata compiuta o a un avvenimento che è già accaduto del quale, quindi, si conosce
già il risultato. Ancora una volta, l’espressione italiana pare decisamente più esplicita rispetto alla sua
corrispondente spagnola: non bisogna tuttavia lasciarsi ingannare dal fatto che l’espressione italiana
potrebbe risultare maggiormente esplicita proprio perché il detto spagnolo non ha alcun riferimento
per una nazione che non ha tradizioni di tauromachia. È inoltre importante indicare che, se nel
presente caso la lingua spagnola trae profitto dalla propria cultura e dalla propria tradizione, il

17 A. Buitrago, Diccionario de dichos y frases hechas, Espasa, Barcelona, 2015, pag. 28.
corrispondente italiano ha origini nella letteratura, in particolare nell’opera manzoniana “I promessi
sposi”: “E quante volte, tornandoci sopra, e rimettendosi col pensiero in quella circostanza, gli
venivano in mente, quasi per dispetto, parole che tutte sarebbero state meglio di quell’insulso si
figuri! Ma, come dice un antico proverbio, del senno di poi ne son piene le fosse”.18
La lingua italiana che si è evoluta dopo Alessandro Manzoni, infatti, “è ricca di espressioni dei
Promessi sposi, alcune già attestate in precedenza, altre diffuse dopo Manzoni. Guardando all’uso dei
giorni nostri, è possibile distinguerle in diversi livelli e tipi. Partendo, per così dire, dal basso, si
individua una serie di locuzioni che fanno parte del patrimonio comune, anche senza che il parlante,
soprattutto se di livello culturale non elevato, sia sempre consapevole della loro ricorrenza nel
romanzo manzoniano”19. Questo detto è infatti solo uno dei tanti che, a partire dall’opera del celebre
autore, sono entrati a far parte della cultura sociolinguistica italiana.
Entrambe le unità fraseologiche presentano, volendo, un’ampliazione, anche se spesso si lascia la
frase incompiuta, poiché già chiaro riferimento alla situazione: “A toro pasado, valientes todos” o
“Del senno di poi sono piene le fosse”. L’ampliazione che entrambe presentano pone l’accento
sull’inutilità assoluta di parlare, esprimere giudizi o agire una volta terminata l’azione cui si fa
riferimento.

“Estar entre los cuernos del toro” “Essere tra due fuochi”
Il presente detto spagnolo ripropone la metafora risalente alla tauromachia presentando una situazione
in cui entrambe le parti, siano esse persone in conflitto tra cui dover scegliere, con l’inevitabile rischio
di inimicarsene una, o decisioni da prendere, sono pericolose, comportano un rischio. Il trovarsi tra
le corna del toro rimanda direttamente alla condizione del torero nello svolgimento della sua attività.
La versione italiana, invece, si serve della metafora costituita dal pericolo a cui si rimanda per
antonomasia il fuoco, deducendo così che la persona interessata si trova tra due pericoli, di eguale
gravità, tra cui deve scegliere.

“Ver los toros desde la barrera” “Stare a vedere”


Nel caso corrente, l’espressione idiomatica spagnola è impiegata nel frangente in cui è possibile
“presenziare a un evento o discutere di esso senza correre il pericolo a cui sono esposti coloro che a
esso partecipano”20 o anche “osservare un determinato fatto con la tranquillità di chi ne è estraneo o
di chi se ne può disinteressare”21. L’unità fraseologica italiana, invece, non si serve di metafore alcune

18 A. Manzoni, I promessi sposi, Mondadori, Milano, 1985. Capitolo XXIV, pag 442.
19 http://www.treccani.it/enciclopedia/manzonismi_(Enciclopedia-dell%27Italiano)/ - AA. VV. Enciclopedia
dell’italiano Treccani. Consultato il 13/07/2017.
20 http://dle.rae.es/?id=a6ZyZYZ|a6aLYnG - RAE, Diccionario de la lengua española (“presenciar algo o tratar de ello

sin correr el peligro a que se exponen quienes en ello intervienen”). Consultato il 13/07/2017.
21 M. Moliner, Diccionario de uso del español, 3°edición, Gredos, Madrid, 2007 (“observar cierto acontecimiento con la

tranquilidad del que es extraño a él o puede desentenderse de él”).


ma esplicita direttamente l’azione precisa di chi guarda “desde la barrera”, un’azione che indica
l’essere solo e soltanto uno spettatore passivo che osserva la situazione e attende un esito, senza
tuttavia prendervi mai parte attiva.

“Estar hecho un toro” “Essere forte come un toro”


Il presente detto rappresenta, a differenza dei tre sopraccitati, un caso in cui la lingua italiana e quella
spagnola si servono della stessa metafora per veicolare un messaggio. In entrambe le culture infatti,
al di là della tradizione spagnola, si associa l’immagine del toro all’idea di forza, di fisicità possente
che contraddistingue la persona oggetto del paragone.

“Coger el toro por los cuernos” “Prendere il toro per le corna”


Anche in questo secondo esempio di comunanza di significato e di immagine sussiste la presenza del
toro, con l’idea che si affronta una situazione di petto, senza esitazioni e con determinazione, proprio
come quando il toro viene preso per le corna e costretto a girare o piegare la testa.

Per quanto riguarda le connotazioni tipiche della lingua italiana, invece, è possibile notare come alla
pari della tauromachia e dell’evidente presenza della religione nella lingua spagnola, la lingua italiana
possiede elementi tipici e determinanti nella cultura e nella società talmente radicati che hanno dato
vita a modi di dire che da essi prendono forma. Primo su tutti, è importante citare il bagaglio culturale
e l’eredità lasciati dalla lingua latina. Se è vero che tanto la lingua italiana quanto quella spagnola
siano neolatine o romanze, e quindi “[…] svolte da un comune fondamentale strato latino, nelle
regioni più profondamente latinizzate dell’impero romano […]”22 è altresì vero che l’italiano presenta
molte più parole, espressioni, frasi fatte ed elementi fraseologici che sono rimasti invariati negli anni
e che sono da secoli parte integrante delle nostre espressioni quotidiane, talvolta anche all’insaputa
del parlante, che le impiega senza sapere la loro reale provenienza o anche in maniera errata,
riconducendole alle volte a lingue straniere moderne (basti pensare alla scrittura, frequentemente
incontrata “out out”, per indicare “aut aut”, nel momento in cui si vuole “porre a qualcuno
un’alternativa […] obbligandolo a scegliere”23). La lingua italiana, insomma, presenta varie unità
idiomatiche invariate dal latino che le altre lingue, come lo spagnolo, hanno perso nel tempo o che,
semplicemente, hanno “tradotto”, abbandonando l’originario latino.

“Dulcis in fundo” “Para colmo de males”

22 http://www.treccani.it/vocabolario/neolatino/ - AA. VV. Vocabolario Treccani della lingua italiana online. Consultato
il 13/07/2017.
23http://www.treccani.it/vocabolario/aut-aut/ - AA. VV. Vocabolario Treccani della lingua italiana online. Consultato il

14/07/2017.
Una delle espressioni fraseologiche tipiche italiane è proprio questa, che si utilizza per indicare “il
colmo”, come suggerisce il corrispondente spagnolo, un ulteriore elemento negativo che si aggiunge
a una serie di eventi già capitati in precedenza. Il suo significato letterale rimanda all’omonimo
proverbio latino volgare che spesso veniva citato per indicare che il dolce (viene) in fondo e che,
quindi, le cose migliori arrivano sempre alla fine. Tuttavia, nonostante il suo impiego per riferirsi a
qualcosa di bello, nella maggior parte dei casi il presente detto è impiegato antifrasticamente, in
maniera ironica, per indicare appunto il colmo della sventura, proprio come esplicitato dal detto
spagnolo che, come è evidente, nulla ha mantenuto dell’accezione latina da cui tuttavia deriva.

“Veni, vidi, vici” “Llegué, vi y vencí”


La famosa espressione latina ben conosciuta in lingua italiana presenta invece, in spagnolo, la più
letterale delle traduzioni: il significato non è in alcun modo intaccato ma la lingua non è più latina, a
testimonianza della misura maggiore in cui la lingua e la cultura italiane siano state permeate
indelebilmente dal latino, che tuttora viene impiegato in accezioni come la presente nonostante non
sia una lingua diffusamente studiata né, tantomeno, parlata. L’espressione è una vera e propria
citazione: si tratta delle parole “[…] con le quali, secondo Plutarco (Caes. 50, 6) e altri scrittori, Giulio
Cesare avrebbe annunciato la fulminea vittoria riportata su Farnace il 2 agosto del 47 a.C. presso Zela
nel Ponto.”24
Come già indicato, la citazione viene impiegata in spagnolo senza differenza alcuna in quanto a
significato, ma la sua traduzione riporta chiaramente in evidenza il fatto che la lingua e la cultura
spagnola non abbiano mantenuto quell’attaccamento all’origine latina in egual misura rispetto a
quanto fatto dalla lingua italiana.

“De gustibus…” “Sobre gustos no hay nada escrito”


La presente paremia, che in italiano viene espressa sempre per mezzo del latino, in spagnolo prende
una forma leggermente diversa a una prima occhiata che, tuttavia, per mezzo di un’analisi appena più
approfondita, è possibile ricondurre al latino, con la sola differenza che lo spagnolo non mantiene la
lingua originaria. La paremia si origina dalla frase latina “De gustibus et coloribus non est
disputandum”, e significa che i gusti personali non possono essere sindacati. Mentre la lingua italiana
si serve esclusivamente del latino per esprimere tale concetto, la lingua spagnola ha creato numerose
varianti, tra cui quella qui citata e altre, che procedono direttamente dal detto latino ma che, come in
tutti gli altri casi, sono state tradotte: la versione breve “sobre gustos, los colores” e quella utilizzata
maggiormente in un contesto orale, “para gustos, los colores”. È interessante notare che la lingua

24http://www.treccani.it/vocabolario/veni-vidi-vici/ - AA. VV. Vocabolario Treccani della lingua italiana online.


Consultato il 14/07/2017.
spagnola, pur non servendosi della lingua latina, utilizza i corrispondenti in un formato di frase chiusa,
seppur in certi casi sia abbreviata, mentre invece la lingua italiana spesso non si serve del detto che
in maniera ellittica, impiegando cioè abitudinariamente solo le prime due parole.

“Lupus in fabula” “Hablando del rey de Roma (por la puerta asoma)”


Nella presente paremia, si parla di una persona assente che viene menzionata in una conversazione e,
proprio in quel momento, si presenta nel luogo. L’espressione italiana è un chiaro riferimento alle
favole esopiane, in cui la frequenza del lupo era elevata. Tuttavia, non si deve interpretare tale detto
con la traduzione più letterale “il lupo nella favola”, che è anche la più frequente, poiché la reale
origine di tale detto si trova nelle opere degli autori Terenzio, Plauto e Cicerone, per indicare il fatto
che “il sopraggiungere di una persona tronca il discorso che si stava facendo, con allusione alla
credenza che quando qualcuno è veduto per primo dal lupo, perda la favella.”25 L’espressione
spagnola, invece, non nasce con il termine “Rey” come si dice al giorno d’oggi, bensì con il termine
“ruin”, che stava a indicare il Papa in quanto, all’epoca, Roma non possedeva re. In ogni caso, non
c’è da escludere che tanto il termine “ruin” quanto “Re” facessero riferimento al Papa visto che, “fino
all’anno 1903, anno della morte di Papa Leone XIII, i papi erano considerati i Re di Roma”26. Sempre
nella versione spagnola, come è stato possibile notare anche per la paremia precedente, è sovente
utilizzata una versione abbreviata ed ellittica, che esclude la perifrasi qui tra parentesi, posteriormente
aggiunta con il solo scopo di creare una rima tra le parti dell’unità fraseologica.

“Ad personam” “Allá van leyes do quieren reyes”


La paremia sopraccitata in italiano rappresenta una semplice locuzione latina permasta nel tempo a
indicare cariche e privilegi di cui gode solo una persona singola, che non sono trasmissibili ad altre e
che sono, quindi, “a titolo personale”, “solo per una persona”. Tuttavia, tale unità fraseologica è nella
maggior parte dei casi associata alla legge, per esprimere il concetto che le cariche importanti di cui
gode una determinata persona vengono utilizzate a suo favore, sovente in maniera impropria, per il
suo proprio tornaconto personale. Nell’accezione spagnola, invece, che non vede alcuna origine latina
o mantenimento della lingua, l’origine si trova “nell’imposizione del rito romano nella Spagna
cristiana medievale in sostituzione di quello mozarabico, per decisione del Re Alfonso VI a Toledo,
che cedette all’influenza di sua moglie, di origine francese, Doña Costanza, e alle pressioni dei
monaci cluniacensi.”27

25 http://www.treccani.it/vocabolario/lupus-in-fabula/ - AA. VV. Vocabolario Treccani della lingua italiana online.


Consultato il 15/07/2017.
26 A. Buitrago, Diccionario de dichos y frases hechas, Espasa, Barcelona, 2015, pag. 329.
27 J. Cantera, J. Sevilla, Seniloquium (siglo XIV) Los 494 refranes del Seniloquium, Guillermo Blázquez Madrid, 2002.
Infine, un altro elemento più che caratteristico della cultura sociolinguistica italiana, che ha dato
origine a numerosi elementi fraseologici tipici della lingua, ma che non ritroviamo in altre lingue e,
nel presente caso, in spagnolo, è la prossemica, nonché la capacità di comunicare tramite gestualità.
In particolare, ci si riferisce, per quanto riguarda la maggior parte della popolazione italiana,
all’interazione spontanea e a quella varietà di movimenti del corpo che la accompagnano che, nella
maggior parte dei casi, non sono compresi da un interlocutore straniero. A maggior ragione, è ben
difficile per un apprendente straniero individuare l’origine di determinate unità fraseologiche che
prendono vita proprio dal gesto che spesso accompagna il parlante italiano quando pronuncia un
modo di dire o che, al contrario, sono delle vere e proprie “trascrizioni” dell’idea o del movimento
che si compie in una determinata situazione.

“Averne fin sopra i capelli” “Estar hasta las narices”


Spesso e volentieri, la presente paremia italiana è accompagnata dal gesto del parlante, che porta la
mano sopra la testa a indicare di aver raggiunto il limite, di averne abbastanza. È solo grazie al gesto,
appunto, che è possibile intuire il significato di tale espressione che, altrimenti, non avrebbe un senso
immediato. L’espressione spagnola, che fa chiara allusione al naso, deriva proprio dall’azione di
“sbuffare”, tipica di chi è arrabbiato28. Tuttavia, tale azione non può accompagnare il parlare di una
persona, come nel caso dell’esempio italiano, poiché viene inevitabilmente svolta in un momento
distinto.

“Rimboccarsi le maniche” “Aguantar carros y carretas”


Il gesto, decisamente intuibile, di cui l’unità fraseologica corrente non è altro che una “trascrizione”,
sta a indicare la volontà di darsi da fare, di mettersi di impegno, di buona lena per portare a termine
un lavoro o anche solo per svolgerlo, o per tentare uscire da una situazione complicata. Se in italiano
la paremia proviene direttamente dalla gestualità che, effettivamente, si compie al momento di
svolgere un determinato lavoro, soprattutto manuale, l’origine del detto spagnolo è da immaginarsi
nella metafora dell’uomo visto come “animale da soma, costretto a trainare carri e carrette,
metaforicamente colmi di disgrazie”29.

“Fino al collo” “Hasta las trancas”


Anche in questo caso, come accade per la paremia “averne fin sopra i capelli”, il modo di dire è spesso
accompagnato dal gesto di portarsi la mano a livello del collo come a indicare un livello limite, oltre
il quale non si riesce a sopportare. Si parla infatti di avere così tanti problemi che, se essi avessero
una consistenza tangibile, raggiungerebbero il collo. La lingua spagnola, invece, nulla ha a che fare

28 A. Buitrago, Diccionario de dichos y frases hechas, Espasa, Barcelona, 2015, pag. 306.
29 A. Buitrago, Diccionario de dichos y frases hechas, Espasa, Barcelona, 2015, pag. 36.
con la prossemica che può accompagnare il modo di dire; si fa invece riferimento ai “catenacci con
cui si chiudono le porte”30 quale livello limite. È uno dei casi di cui si è parlato in precedenza, in cui
non è assolutamente possibile risalire al significato del detto partendo dal significato dei singoli
termini che lo compongono.

“Storcere il naso” “Hacer mala cara”


Nella presente unità fraseologica, la derivazione proviene appunto dal gesto che si compie come
segno per indicare l’insofferenza per un determinato fatto o circostanza, per esprimere
disapprovazione e/o disgusto. È qui presente una delle poche somiglianze in quanto a paremia
comportante la presenza di gesti tra le due lingue: la lingua spagnola non si riferisce al fatto di storcere
il naso, appunto, bensì all’immagine di corrucciare il volto, di esprimere attraverso tutto il volto, non
solo il naso, lo stesso sentimento di disapprovazione e/o disgusto.

“Togliersi un peso dallo stomaco” “Quitarse un peso de encima”


Attraverso questa locuzione si parla di “liberarsi di una gravosa questione di coscienza o da una
fastidiosa situazione” o di “dire apertamente e anche brutalmente quello che si pensa.”31 Non ci
sarebbe nessuna differenza con quanto proposto dalla lingua spagnola per questa azione, tuttavia,
anche in questo caso, il parlante italiano associa più o meno frequentemente il detto a un gesto, quello
di portarsi la mano allo stomaco esattamente come nel caso di un senso fisico di pesantezza allo
stomaco, che viene eliminato una volta compiuta l’azione.

È chiaro che le due lingue, oltre a presentare numerose differenze in quanto a paremia, presentano
anche alcune somiglianze. Possono esistere corrispondenze perfette (“avere le spalle larghe”/”tener
las espaldas anchas”, uno su tutti) ma esistono anche casi di adattamento dello stesso modo di dire
alla propria nazione, soprattutto per quanto riguarda i riferimenti geografici o toponomastici, un
addomesticamento che è possibile riscontrare in detti quali “quien se fue de Sevilla perdió su silla”,
il cui corrispondente in italiano è il famoso “chi va a Roma perde la poltrona”, o ancora “no se ganó
Zamora en una hora”, che proviene dall’antico avvenimento nel quale la città di Zamora subì “un
lungo assedio, durato sette mesi, da parte di Sancho el Bravo nel 1702, che voleva strapparla al
possesso di sua sorella, doña Urraca”32 il cui significato è possibile reperire in italiano nel detto
“Roma non fu costruita in un giorno”.

30 A. Buitrago, Diccionario de dichos y frases hechas, Espasa, Barcelona, 2015, pag. 355.
31 https://dizionario.internazionale.it/parola/togliersi-un-peso-dallo-stomaco - Il nuovo De Mauro, dizionario
Internazionale online. Consultato il 15/07/2017.
32 http://cvc.cervantes.es/lengua/refranero/ficha.aspx?Par=59227&Lng=0 - AA. VV. Centro Virtual Cervantes, refranero

multilingüe. Consultato il 16/07/2017.


In conclusione, grazie agli esempi pratici è possibile asserire che i detti, i modi di dire e, in generale,
tutti gli elementi fraseologici di una determinata lingua molto attingono a quella che è la storia della
nazione, la cultura e le tradizioni del popolo che la abita e ciò si riflette perfettamente al momento
dell’uso di tali paremie, un uso che può essere considerato scontato per i nativi e assolutamente logico,
ma che può portare non poche criticità al parlante o all’apprendente straniero che non gestisce con
sicurezza tali componenti del discorso. Conoscere l’origine di alcuni di essi può essere propedeutico
al loro apprendimento definitivo e al loro uso corretto, per non incappare in errori e, soprattutto, per
eliminare ogni barriera linguistica e comunicativa che essi possono rappresentare se non
perfettamente dominati.

L’elemento di genere nella componente fraseologica


Una menzione particolare merita la questione di genere all’interno della sfera fraseologica nelle due
lingue. È risaputo che sia la lingua italiana sia quella spagnola siano lingue principalmente
androcentriche e, nonostante la lingua spagnola lo sia in maniera molto minore rispetto a quella
italiana, è possibile notare in entrambe una certa impronta sessista nel repertorio lessicografico, inteso
come sistema educativo, gruppi editoriali, mezzi di comunicazione, grammatica o dizionari33.
L’androcentrismo che caratterizza le due lingue e, in particolar modo, la lingua italiana, è evidente
sin dalla primissima distinzione creata tra uomo e donna: il primo, figura di carattere generico nonché
inclusivo, detiene la prerogativa dell’immagine dell’”uomo” inteso come animale razionale; la
seconda, invece, in numerose accezioni si vede sovente associata alla sfera della sessualità, della
fertilità e/o della maternità. Basti pensare al tema della concordanza, inteso in grammatica come
“insieme di norme che regolano la connessione tra le parti variabili del discorso (articolo, nome,
aggettivo, pronome, verbo) quando sono sintatticamente collegate tra di loro”34 che adduce all’uso
del genere maschile come neutro e prevalente su quello femminile, all’uso dell’aggettivo maschile
quando si cita un gruppo di persone in cui si trovano rappresentanti di ambo i sessi e, secondo la
stessa procedura, l’uso dell’accordo maschile al plurale quando ci si riferisce a un gruppo eterogeneo,
che comprende sia uomini che donne. La lingua italiana è piena di riferimenti quotidiani ed esempi
pratici di quanto detto; la lingua spagnola, dal canto suo, prevedrebbe per esempio che in presenza di
un gruppo composto da un numero di uomini superiore a quello delle donne si utilizzi, come ben
sappiamo, l’accordo al maschile ma che, se il numero delle donne oltrepassa quello degli uomini, sia
doveroso utilizzare l’accordo al femminile. Tuttavia, sono numerosi i frangenti in cui si riscontra un
sentimento simile all’imbarazzo da parte del soggetto di sesso maschile e non nel momento in cui
deve riferirsi a un gruppo di persone in cui sono presenti uomini accordando il sintagma al femminile,

33 D. Cameron, Feminist and Linguistic Theory, Palgrave Macmillan, London and Basingstoke, 1985.
34 http://www.treccani.it/enciclopedia/concordanza_(La-grammatica-italiana)/ - AA. VV. Enciclopedia della lingua
italiana Treccani. Consultato il 18/07/2017.
sentimento che si accentua ulteriormente se nel gruppo di persone citate è da includersi anche il
soggetto parlante. In Spagna come in Italia sono state proposte varie guide per un linguaggio più
corretto e soprattutto più rispettoso delle questioni di genere. Tuttavia, è interessante notare come
sovente le soluzioni proposte siano state prese senza la consultazione di linguisti o di esperti del
mestiere. Inoltre, dette guide sono state oggetto di numerose critiche poiché si pensa che
l’incompatibilità delle soluzioni proposte non sia tanto riguardante il genere quanto di carattere
grammaticale. Il professor Ignacio Bosque, sul quotidiano El País, riporta l’esempio seguente:

Qualche settimana fa chiesi alle mie alunne di sintassi dell’Università Complutense se avrebbero accettato la frase
“Nessuno era contenta”. Nessuna di loro rispose affermativamente. […] una opzione è pensare che la RAE
dovrebbe proporla come corretta, promuovere il suo uso e contribuire in tal modo alla visibilità della donna nel
linguaggio. Un’altra opzione che alcuni, io compreso, consideriamo preferibile, consisterebbe nel comprendere
che l’irregolarità di questa frase non risiede nella società, bensì nella sintassi. Effettivamente, non sembra naturale,
‘chi era contenta?’ poiché consideriamo un complemento partitivo tacito (chi di loro? – riferito a donne), mentre
rifiutiamo “Nessuno era contenta” perché questo complemento viene rifiutato allo stesso modo in quel caso (ossia,
non diciamo Nessuna di loro – se ci riferiamo a un gruppo misto).35

Per quanto si possa pensare che tale premessa non abbia nulla a che fare con le abitudini socioculturali
di un paese, che inevitabilmente includono la sfera della paremia, è opportuno ricordare che “il
linguaggio non riflette il genere, ma è uno degli strumenti utilizzati nella creazione del genere”36. Il
genere si pone quindi come elemento fondamentale nella costruzione di una lingua e delle tradizioni
e abitudini che, durante tutta la storia, si rifletteranno nella comunicazione espressa dai parlanti di
tale lingua e ha quindi molto a che fare riguardo all’espressività di un gruppo di parlanti e, di
conseguenza, rispetto alle abitudini linguistiche di un popolo in una determinata lingua. Il celebre
linguista svizzero Ferdinand de Saussure asseriva che il genere non è altro che un fenomeno
esclusivamente formale e privo di contenuto. Tuttavia la consuetudine e gli esempi quotidiani che si
presentano in numerosissimi frangenti ci rivelano che il genere costituisce molto più di una semplice
categoria sintattica atta a definire le regole per un corretto accordo tra gli elementi interni ed esterni
a un sintagma. In sostanza, è possibile affermare che “Il genere non è soltanto una categoria
grammaticale che regola fatti puramente meccanici di concordanza, ma è al contrario una categoria
semantica che manifesta entro la lingua un profondo simbolismo”.37
Essendo un elemento che costituisce parte integrante della lingua, è dunque impensabile che la
questione di genere non incida anche sulla paremia di una determinata lingua; è possibile individuare

35 “Hace unas semanas pregunté a mis alumnas de sintaxis de la Universidad Complutense si aceptaban la
oración “Nadie estaba contenta”. Ninguna contestó afirmativamente. […] una opción es pensar que la RAE debería
darla por buena, fomentar su uso y contribuir con ello a la visibilidad de la mujer en el lenguaje. Otra opción, que
algunos consideramos preferible, sería entender que la irregularidad de esta frase no está en la sociedad, sino en la
sintaxis. Nos parece natural, en efecto, ¿Quién estaba contenta? porque interpretamos un complemento partitivo
tácito (¿Quién de ellas?), mientras que rechazamos “Nadie estaba contenta” porque este complemento se rechaza
igualmente en ese caso (es decir, no decimos “Nadie de ellas)”.
36 G. Saldanha, 2003, Investigating gender-related linguistic features in translation, in J. Santaemilia, “Género, lenguaje

y traducción”, Universitat de València/Dirección General de la Mujer, Valencia, 2003.


37 P. Violi, L’infinito singolare. Considerazioni sulle differenze sessuali nel linguaggio, Essedue, Verona, 1986, pag. 41.
svariati casi di presenza di questioni di genere, sessiste in misura maggiore o minore, all’interno dei
detti, dei modi di dire, di quella che spesso viene chiamata “saggezza popolare” ma che
inevitabilmente, e spesso inconsciamente, veicola e tramanda idee sessiste negli anni, all’insaputa del
parlante che formula determinate unità fraseologiche poiché, come precedentemente indicato, sono
elementi che si sono sedimentati nella cultura sociolinguistica di una nazione. Come tali, essi vengono
impiegati per consuetudine, senza attuare nessuna modifica poiché come dice il nome stesso, trattasi
di “frasi fatte”. È anzi opportuno precisare che, proprio per la natura fissa, invariabile di tali elementi
della lingua, ogni tentativo o sforzo effettuato con l’obiettivo di cambiare la lingua risulta essere
un’attività considerata quasi unanimemente superflua nel migliore dei casi se non, addirittura,
ridicolizzata, così come la persona, che sia essa uomo o donna, che si propone e che propone di
effettuare tale cambiamento: è inutile negare che questa sarà sovente additata come estemporanea,
capricciosa, una persona che si dedica a futilità quando “i problemi da risolvere sono ben altri”… la
convinzione più che mai diffusa che l’adattamento della lingua al genere e al rispetto di esso sia un
capriccio, appunto, un elemento marginale che risulta di irrisoria importanza se paragonato alle altre
mille questioni fondamentali per una nazione e per il suo popolo, deriva proprio dalle abitudini
sedimentate nella popolazione stessa che, continuando a servirsi di una struttura linguistica e
grammaticale che riflette il maschile come termine generico, non si rende conto delle problematiche
di genere che vengono veicolate nonché tramandate tramite le parole e, non in misura minore, tramite
la paremia. È inoltre opportuno sottolineare come spesso sia la componente femminile stessa a
rifiutare una femminilizzazione, per ragioni di cacofonia, per ragioni di “stranezza” del suono di
queste parole, che non è data che dalla mancanza di abitudine a sentire e a pronunciare termini che
vengono considerati diversi, artificiali, rispetto a quella che è la consuetudine a cui si è adusati, o a
causa del fatto che “le forme femminili non sono corrette perché è il maschile ad avere funzione
neutra e inclusiva”.38 Come risultato, nella maggior parte dei casi non si assiste a nessuna modifica
e, nel caso in cui qualcosa venga cambiato, accade solo formalmente, nei testi giuridici e ufficiali,
basti pensare al termine “presidentessa”, “ministra”, che raramente valicano il confine della lingua
formale per entrare nell’uso quotidiano, che è quello che poi rende possibile l’ingresso ufficiale del
neologismo o del termine coniato nella lingua parlata.
È risaputo che la lingua sia un sistema vivo, che non sarebbe opportuno rinchiudere all’interno di
rigide norme, tuttavia sarebbe necessario interrogarsi sull’accezione e sulla maniera in cui vengono
percepite determinate espressioni che risultano, a parità di termini utilizzati, quanto mai inopportune
se utilizzate al femminile. Tali espressioni condividono con le unità fraseologiche quali detti e
proverbi la caratteristica di non poter essere intuite se si prendono in considerazione i singoli elementi

R. Carloni, Note sulla questione del genere nella lingua italiana. Voyages, Journal of Contemporary Humanism, 2017,
38

Vol. 6, pag. 14.


che ne compongono l’insieme, poiché tali elementi singoli nulla possiedono di offensivo o di
sconsiderato. Tuttavia, vanno a creare espressioni che vedono una grande differenza se utilizzati per
il genere maschile o se impiegati invece per il genere femminile. Come si vedrà più
approfonditamente in seguito, al genere femminile è inevitabilmente attribuita una componente che
rimanda alla sfera sessuale in frasi e locuzioni che se accordati al maschile, pur rimanendo del tutto
invariati, perdono automaticamente detto riferimento e anzi, acquisiscono significati quanto mai
positivi (buon uomo/buona donna; uomo disponibile/donna disponibile; uomo di strada/donna di
strada39; uomo pubblico/donna pubblica ecc.). È possibile individuare dette differenze, come già
accennato, in termini, modi di dire, frasi fatte e unità fraseologiche di qualsiasi tipo, di cui si riportano
di seguito esempi pratici in entrambe le lingue.
Esistono, come precedentemente accennato, proverbi e modi di dire caratterizzati da uno scarso, se
non nullo, rispetto delle questioni di genere, in altre parole è possibile definirli, senza troppi giri di
parole, sessisti. Fortunatamente, una buona parte di tali unità fraseologiche non trova più posto nella
sociolinguistica contemporanea poiché lentamente abbandonati fino quasi a cadere in disuso, ma sono
tuttora reperibili a una ricerca neanche troppo accurata, quale testimonianza di quella saggezza
popolare che in innumerevoli casi troviamo ancora oggi più attuale che mai. Tali elementi si pongono
a testimonianza di una logica binaria relativa al passato (ma ancora presente in alcuni casi) che associa
i valori negativi alla figura femminile, contrapponendoli a quelli positivi, quali esclusivo appannaggio
del genere maschile. Si noti che l’unica “accezione” femminile risparmiata da tale categorizzazione
è quella relativa alla fertilità, alla maternità. È pressoché impossibile trovare elementi fraseologici
che esprimano valutazioni negative nei confronti di una donna-madre, poiché è questa l’unica
accezione in cui in passato era considerata la donna. Di conseguenza, anche l’unica esente da
sentimenti negativi. Altrimenti, esistono detti e proverbi di qualsivoglia genere e tipo che veicolano
valori negativi nei confronti di ognuna delle figure che può rivestire una donna: moglie, cognata,
figlia e donna in quanto tale. Tutti valori che anche un uomo riveste dal canto suo, ma che sono esenti
da quella contestualizzazione negativa riservata alla donna e non solo; sono, al contrario,
l’espressione di positività, di rettitudine e correttezza. È così possibile evincere che “i proverbi e i
detti popolari sono […] fonte e veicolo di stereotipi e rappresentazioni”.40 Esistono, inoltre, altre unità
fraseologiche contenenti rimandi non esattamente rispettosi della questione di genere e, a differenza
della categoria sopraccitata, sono elementi del discorso che vengono utilizzati correntemente, talvolta,
forse, anche senza piena coscienza da parte del parlante del significato che essi veicolano. Infine, è
possibile notare come nelle unità fraseologiche più frequentemente utilizzate al giorno d’oggi o, in

39 R. Carloni, Note sulla questione del genere nella lingua italiana. Voyages, Journal of Contemporary Humanism, 2017,
Vol. 6, pag. 12.
40 J. Santaemilia, “Género, lenguaje y traducción”, Universitat de València/Dirección General de la Mujer, Valencia,

2003, pag. XIII.


ogni caso, non cadute parzialmente o totalmente in disuso, ci sia una prevalenza del genere maschile
anche quando ci si riferisce al genere (o a una persona di genere) femminile e anche quando l’uso di
un accordo al femminile non crea nessun problema di sintassi e/o di rispetto delle norme e delle
convenzioni grammaticali e della lingua.
Di seguito di riportano alcuni esempi di quanto sopra detto, a testimonianza del fatto che tanto la
lingua italiana quanto quella spagnola, nonostante i passi avanti fatti in materia di questione di genere,
presentino modi di dire, seppur desueti, che poco lasciano all’immaginazione in quanto a
considerazione del genere femminile e alla visibilità datagli:

La mujer y la sartén en la cocina están bien.


Se la donna è da poco, mettile le mani alla lana e al fuoco.
Nel presente caso, non si propone un equivalente tra le due lingue, bensì un esempio che rimanda alla
stessa immagine che veniva in maniera abbastanza automatica associata alla donna, il famoso
parallelismo donna-casa, che relega la donna alla sfera domestica e casalinga, esattamente come era
in passato: la donna, il cui unico compito e scopo nella vita era dedicarsi alla casa e alla famiglia, era
automaticamente esclusa da qualsivoglia attività non strettamente inerente alla sfera domestica,
fattore che ha generato l’esclusione della stessa dalle arti, dalla politica e da tutte quelle attività
considerate esclusivo appannaggio del genere maschile. Nonostante al giorno d’oggi la situazione sia
fortunatamente differente, bisogna notare che tale credenza non è stata del tutto sradicata, esistono
ancora casi limite, all’interno di una nazione, di una società o, in maniera più capillare, in alcuni
nuclei famigliari, in cui si crede che la donna non debba allontanarsi da quelle che sono le sue
mansioni “classiche”.

Al hombre casado, su mujer le hace bueno o malo


La donna è come l’onda, se non ti sostiene ti affonda
I due proverbi succitati sono un esempio di un’altra “prerogativa” della donna: essere un supporto
dell’uomo, un aiuto incondizionato volto al successo di quest’ultimo che porta la figura femminile a
un annullamento volto alla concentrazione di tutte le energie sulla sfera maschile e sul supporto al
suo successo. È possibile individuare elementi che permangono tuttora nella società contemporanea,
quale il detto “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”, proveniente dal latino (“dotata
animi mulier virum regit”), che perde quella componente becera presente nei proverbi summenzionati
ma che, al giorno d’oggi, è ancora attuale e, in taluni casi, viene usata quasi fosse un complimento da
rivolgere alla donna.

Cojera de perro y lágrimas de mujer, no son de creer


Donna che piange, cavallo che suda, son più falsi di Giuda.
Nel presente esempio, ultimo per quanto riguarda le unità fraseologiche “del passato”, si mettono in
discussione quelli che sono i sentimenti della donna ed è possibile individuare al suo interno un
famoso stereotipo, quello della donna che piange, come indice di fragilità, da sempre attribuito al
genere femminile, non a caso definito altresì “sesso debole”. È inoltre interessante notare il
parallelismo donna-animale presente in egual misura nelle due unità fraseologiche italiana e spagnola,
quasi a indicare la vicinanza tra tali categorie. D’altronde, come prima analizzato, il riferimento
all’uomo in quanto essere razionale che, proprio per tale caratteristica si distingue dal resto del mondo
animale, è associato alla parola “uomo”, così come in materia di diritti si è spesso letto e sentito dire,
e ancora permane, “i diritti dell’uomo” per indicare i “diritti che spettano alla persona in quanto essere
umano, non dipendenti dalla concessione di uno stato”, prima della sopraggiunta della dicitura “diritti
umani”41 che , comunque, non hanno eliminato detta nomenclatura.

Passando a tempi più contemporanei, si propongono di seguito due spunti per la riflessione sulla
componente che inevitabilmente presenta il mancato rispetto della questione di genere in entrambe le
lingue:

Volere la botte piena e la moglie ubriaca


Trattasi di frase proverbiale riportata da Federico de Roberto nel nono capitolo de “I Viceré”:

Veramente gli applausi non furono generali a questo passo, e anzi qualche colpo di tosse partito da un angolo
fece voltare molte teste. «Voi mi direte,» proseguiva però l'oratore, «che questo programma è troppo vasto ed
eclettico; perché, secondo un proverbio, è impossibile avere ad un tempo la botte piena e la moglie ubriaca
(Ilarità). La botte piena, senza poterne spillare l'inebbriante liquore, rappresenterebbe una ricchezza inutile, e
tanto varrebbe che contenesse acqua o un altro fluido qualunque; ma quanto ad avere anche la moglie ubriaca,
sarebbe in verità troppa grazia: me ne appello a tutti i mariti. (Scoppio d'ilarità clamorosa, battimani vivi e
replicati.).42

Detta espressione viene utilizzata quando si vuole riferirsi a chi vorrebbe trarre profitto da due
situazioni all’opposto e, pertanto, incompatibili o altresì “cercare l’utilità senza spesa, [...] voler
conseguire due vantaggi tra loro contrastanti”43. Il significato letterale di tale espressione riporta al
doppio profitto tratto dall’uomo da una situazione che prevede la moglie ubriaca e, quindi, meno
incline al disturbo del marito riguardo alle sue azioni e ai suoi spostamenti e, al contempo, più incline
ad attività di compiacimento dello stesso, nonché al fattore positivo dell’avere ancora tutte le riserve
di vino senza che esse siano intaccate. È inevitabile la presenza della componente sessista e, se prima
si citava il Prof. Bosque che illustrava la scarsa correttezza sintattica al riportare al femminile ciò che
la consuetudine e le regole grammaticali vogliono al maschile, in questo specifico frangente non è in

41 http://www.treccani.it/enciclopedia/diritti-dell-uomo/ - AA. VV. Enciclopedia della lingua italiana Treccani.


Consultato il 19/07/2017.
42 F. de Roberto, I Viceré, Mondadori, Milano, 2011.
43 http://www.treccani.it/vocabolario/botte/ - AA. VV. Vocabolario Treccani della lingua italiana online. Consultato il

19/07/2017.
nessun modo plausibile l’uso del detto in maniera “opposta”; il marito ubriaco non è in nessun
frangente sinonimo di quiete, di eliminazione di disturbi come lo è per la moglie e non è in alcun
modo garanzia di atteggiamenti di compiacimento di qualsivoglia natura, come invece lo si propone
per il caso del genere femminile.

Bailar con la más fea


Utilizzato per indicare “il compito più ingrato, la missione che nessuno vuole. Dover svolgere la parte
peggiore”44, letteralmente “ballare con la più brutta” che, se calata in un contesto pratico si impiega
per fare riferimento alla disgrazia di dover in ogni frangente sopportare il lato più sgradevole della
situazione, proprio come succedeva quando, andando a ballare, tutte le ragazze più belle erano già
impegnate e restavano solo quelle brutte. È ovviamente un discorso che non può essere fatto nel senso
opposto, poiché tipicamente, si riteneva che fosse l’uomo a dover invitare a ballare la donna, così
come illustrato da Alberto Buitrago nel suo “Diccionario de dichos y frases hechas”:

[…] la frase proviene dai ricordi dei balli di paese o dalle festicciole private: il ragazzo carino e il ragazzo meno
carino vanno alla festa del paese limitrofo in cerca di conquiste. Arrivano alla piazza. La ragazza carina e la ragazza
meno carina aspettano. O ballano entrambe o non balla nessuna, ovviamente. Il ragazzo carino inizia a ballare con
la ragazza carina e, già si sa, all’altro tocca, per così dire, il ‘lavoro sporco’: ballare con la più brutta.45

Oltre al fatto di non poter essere impiegato nei confronti della donna così come nei confronti
dell’uomo, è interessante notare come, così come esistono due ragazze, una bella e una meno bella,
anche nel caso degli uomini uno dei due è bello mentre l’altro è meno bello. Il paragone viene sempre
ed esclusivamente fatto nei confronti dell’uomo meno bello a cui tocca il lavoro sporco, il compito
ingrato: “sorbirsi” la ragazza meno bella ed essere costretto a ballare con lei. È interessante proprio
perché nulla si sa dell’opinione o del sentimento positivo o negativo di detta ragazza nei confronti
del ragazzo più brutto, del “más feo” anzi, si potrebbe addirittura pensare che la ragazza non abbia
nessun diritto di lamentarsi della sua cattiva sorte, per così dire, ma debba al contrario ritenersi
fortunata poiché è stata comunque scelta.
Donna al volante pericolo costante
Mujer al volante peligro constante
Un ultimo esempio di unità fraseologica quanto mai sessista può essere reperita ancora oggi per
quanto riguarda il mondo dei motori. È interessante notare la perfetta corrispondenza dei due proverbi
nella lingua italiana e in quella spagnola. D’altronde, da sempre è risaputo che le auto, la guida e tutto

44 A. Buitrago, Diccionario de dichos y frases hechas, Espasa, Barcelona, 2015, pag. 67. “La tarea más ingrata, la misión
que nadie quiere. Tocarle a alguien la peor parte”.
45 A. Buitrago, Diccionario de dichos y frases hechas, Espasa, Barcelona, 2015, pag. 67. “[…] la frase trae recuerdos de

bailes de pueblo y de guateques: chico guapo y chico menos guapo van a las fiestas del pueblo de al lado en busca de
ligues. Llegan a la plaza. Chica guapa y chica menos guapa esperan. O bailan las dos o no baila ninguna, claro. Chico
guapo se pone a bailar con chica guapa e, ya se sabe, al otro le corresponde el, por llamarlo de alguna forma, ‘trabajo
sucio’: bailar con la más fea”.
ciò che attorno a questo mondo ruota, siano appannaggio del genere maschile… tuttavia, senza
inoltrarsi in casi limite e portare a esempio nazioni e culture che vietano la guida alle donne, permane
inalterata la convinzione che le donne non siano capaci di guidare correttamente, men che meno di
parcheggiare o di compiere tutte quelle manovre di cui, si sa, l’esperto è l’uomo... Si veda come
questa convinzione e, di conseguenza, il relativo proverbio, siano più che mai attuali, nonostante varie
statistiche abbiano dimostrato negli anni che la percentuale maggiore di incidenti è causata da uomini
e varie società assicurative propongano alle donne premi inferiori nei loro contratti grazie proprio a
dette statistiche. Si tratta di un’ennesima convinzione assolutamente attuale, che non è stata persa nel
tempo come nel caso degli esempi precedenti e che, anzi, mantiene un alto consenso nel mondo
maschile contemporaneo.

Infine, dopo aver analizzato la questione di genere in unità fraseologiche ormai desuete e poi in unità
fraseologiche ancora di grande attualità, si propone uno spunto per la riflessione sull’uso di unità
fraseologiche attuali con una accezione anche per il genere femminile:

Chi è causa del suo mal pianga sé stesso.


Si porta a esempio il presente detto, più che mai utilizzato e attuale, e più che mai rispondente ai
canoni che prevedono che il genere di riferimento, da utilizzarsi ogniqualvolta non si conosca il
genere della persona cui ci si riferisce o nel caso in cui sussista la presenza mista di uomini e donne,
sia il genere maschile. Non solo, l’esempio sopra riportato sovente viene impiegato anche quando si
vede la perfetta consapevolezza del riferirsi a una donna poiché, come già indicato, trattasi di “frase
fatta”, che non prevede quindi la possibilità di modifica. Si crede in questa sede che in un frangente
come il presente sia assolutamente possibile, nel caso in cui si faccia esplicito riferimento a una
donna, esprimere il detto con “chi è causa del suo mal pianga sé stessa”, poiché se la protagonista
della situazione è una donna, è chiaro che quel “chi” solo e soltanto a lei fa riferimento. Si ritiene a
questo proposito di grande interesse e valore il lavoro di riflessione che ha portato alla traduzione in
chiave di genere proprio del presente detto, contenuto in “Tanto va el cántaro a la fuente que… che
ci lascia lo zampino!” che riporta tale esempio, a spiegazione dell’espressione spagnola: “¡Jódete y
baila! – CHI È CAUSA DEL SUO MAL PIANGA SÉ STESSA. Si utilizza quando si decide di fare
qualcosa contro il parere altrui e dopo ci si lamenta del fatto. Quando ha deciso di prendere
quell’appartamento in centro l’avevamo avvertita che l’affitto sarebbe stato molto caro e ora fa fatica
ad arrivare a fine mese; chi è causa del suo mal pianga sé stessa”.46
Nell’opera summenzionata, e nella fattispecie nell’estratto qui proposto, si presta infatti grande
attenzione alla questione di genere, rivisitando certi detti, frasi fatte, proverbi e modi di dire in chiave

46 Tanto va el cántaro a la fuente que… ci lascia lo zampino! Frases hechas, modismos, dichos, refranes tradotti in lingua
italiana (a cura di Filippo Giuseppe di Bennardo). Ed. in stampa, Pag. 75. [trad. it. S. Bracchi, E. Gasparotto, S. Guatta]
di genere e si dimostra che la nostra abitudine a generalizzare e accordare tutto secondo il genere
maschile non è altro che una consuetudine perpetrata senza fermarsi a riflettere sulla visualizzazione
del genere femminile, una consuetudine che non è data che dalla nostra tradizione, dalla
sociolinguistica e da tutte le evoluzioni della lingua i cui principali responsabili, tuttavia, non sono
altro che i parlanti, una consuetudine che può essere soverchiata senza nulla modificare del senso e
dello spirito che le parole che diciamo e le frasi fatte che esse compongono vanno a veicolare,
soprattutto laddove non esistano vincoli grammaticali e di sintassi.

Conclusioni
Gli esempi potrebbero essere infiniti, così come le discussioni sull’importanza delle questioni di
genere all’interno di una lingua che già in partenza prevede che sia il genere maschile a fungere da
riferimento. Tuttavia, gli elementi analizzati permettono di trarre alcune conclusioni: la lingua italiana
e la lingua spagnola presentano un livello di impiego delle unità fraseologiche intese come modi di
dire, proverbi, frasi fatte e detti molto diverso; se l’apprendimento della lingua italiana da parte di un
apprendente straniero può prescindere, almeno nei primi passi, dalla conoscenza di tali locuzioni,
riservandole per un apprendimento successivo, l’apprendente straniero che si trova a imparare la
lingua spagnola deve imprescindibilmente combinare lo studio della parte più “classica” della lingua
con quello delle unità fraseologiche, alle quali si dovrà confrontare sin da subito, poiché esse
consistono in un vero e proprio fondamento della lingua, ancor più se parlata, essendo usate per
descrivere ogni tipo di situazione, come interiezioni e come vere e proprie sostitute di frasi intere, di
concetti e di interi significanti.
Nell’ottica di apprendere quante più unità fraseologiche, nel caso di una loro traduzione e, in ogni
caso, quali parti integranti della lingua spagnola, è quanto mai importante poter determinare la loro
provenienza, in base alle caratteristiche che più contraddistinguono un paese e le abitudini, le
tradizioni e le pratiche sociolinguistiche che definiscono il popolo che lo abita, poiché è proprio il
popolo di ieri e di oggi che con la sua storia ha creato, plasmato, veicolato e tramandato i messaggi
contenuti nelle unità fraseologiche, veri e propri spaccati della vita che permettono di riassumere un
concetto intero in un numero esiguo di parole, spesso anche in maniera molto migliore di quanto
possa essere fatto da una perifrasi appositamente costruita.
Si può inoltre affermare che le unità fraseologiche molto contengono e veicolano anche di tutto quanto
concerne i pensieri, i sentimenti e la visibilità che riguardano il genere e tutte le problematiche a lui
correlate. Spesso e volentieri, tradizione e rispetto in misura minore o maggiore della visibilità del
genere femminile coincidono, così come l’impostazione che ha ricevuto una società e tutte le
caratteristiche sociolinguistiche in essa insite che le hanno dato forma, sin dai primi sviluppi.
Molti passi avanti sono stati fatti per quanto riguarda il genere e la sua presenza all’interno dei costumi
sociolinguistici e, nella fattispecie, fraseologici. Tuttavia, si ritiene che possano essere presi in
considerazione i presenti spunti per una riflessione di portata maggiore al riguardo affinché, evitando
insulsi paragoni tra il genere maschile e quello femminile, si possa arrivare alla compresenza di essi
nell’immaginario collettivo, alla equa visibilità di due componenti inestimabili di una società e di una
nazione senza la cui coesistenza si perderebbe un patrimonio, linguistico e non, di inestimabile valore.
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