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(artistico-letteraria, socio-
economica, storica, filosofica,
scientifica) e possiede già un
certo
bagaglio di conoscenze.
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Nello stendere un saggio
si dovrà dunque ricorrere
ad un registro linguistico
e stilistico più formale ….
…..ed elevato, da vero
“studioso” della materia che si
rivolge ad un pubblico di
“studiosi / appassionati”.
………..
Il saggio , che ci si avvia a
comporre, deve partire
comunque dai documenti che
vengono allegati (o di cui,
comunque, si ha conoscenza)
Dopo avere esposto i contenuti
dei documenti ci si avvierà alla
fase argomentativa vera e
propria.
Per comporre il saggio si deve
dunque:
- analizzare attentamente e
schedare i contenuti dei
documenti che vengono
proposti;
l'importanza di stendere
all'inizio una scaletta in cui
strutturare gli argomenti da
esporre…….
….che faccia da guida nel
seguire il filo del discorso
senza inutili dispersioni;
- l'importanza/opportunità di
suddividere in paragrafi le
argomentazioni, in modo da
rendere più
ordinata l'intera esposizione.
Coerenza e coesione
Importante all'interno di ogni paragrafo e del
testo in generale è rispettare i criteri di
coerenza e di coesione.
La coesione di un testo è
determinata da corretti usi
linguistici, e in particolare:
….
I contenuti
Teresa Serafini, autrice de
Come si fa un tema in classe
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organizzare il testo
l'ideazione
la disposizione
lo stile
la revisione
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Letture
Nel suo saggio Weber cerca di spiegare quale sia il nesso fra lo sviluppo del
capitalismo e l’etica protestante. Introduce come premessa il dato che rende maggiore
il risultato di partecipazione all’attività capitalistica dei protestanti rispetto ai cattolici.
Egli sostiene che la partecipazione a quelle funzioni economiche presuppone un
possesso di denaro e un’educazione costosa, ed è quindi legata al possesso di una
certa eredità o comunque ad uno stato di benessere economico. La partecipazione
maggiore dei protestanti alla proprietà capitalistica è legata anche alla scelta della
scuola: la maggior parte dei protestanti scelgono infatti istituti tecnici atti alla
preparazione per gli studi industriali, mentre i cattolici preferiscono perseguire studi
culturali come i licei classici.
Egli parla poi di Benjamin Franklin, citandone dei passi per spiegare quale sia l’etica
del capitalismo. Il concetto di fondo è che il denaro genera denaro: non bisogna quindi
accontentarsi di aver ‘’accumulato’’ somme ingenti, ma bisogna nuovamente investirle
per mettere a frutto le proprie potenzialità. Idea costitutiva dello spirito capitalistico è
l’idea di un dovere che l’individuo deve sentire nei confronti della sua attività
professionale. Viene anche evidenziato però il concetto di utilitarismo, infatti Franklin
afferma che l’onestà è utile, poiché procura credito, e lo stesso vale per la puntualità e
la diligenza che diventano in questo modo delle virtù, nonostante esse lo siano solo
nella misura in cui diventano concretamente utili e quindi sfruttabili. Da qui si evince
come il profitto, anziché essere semplice mezzo di sussistenza, diventi quasi lo scopo
della vita dell’uomo, che esiste proprio in funzione delle attività lucrative.
Viene quindi introdotto il concetto di Beruf, che contiene già un’etimologia religiosa in
quanto vuol dire “vocazione”: il Beruf, che ha doppio significato, anche di professione,
spiega quindi come l’unico modo di essere graditi a Dio sia l’adempiere ai propri
doveri, ossia alla sua professione, che diventa perciò appunto la sua vocazione. Il
Beruf è ciò a cui l’uomo si deve adattare in quanto esprime la volontà divina. Il lavoro
professionale diventa quindi un compito affidato proprio da Dio. Ed è qui che Weber
stringe il nesso fra protestantesimo e capitalismo: con la dottrina della predestinazione
in cui credevano i seguaci di Calvino si introduce il successo come segno
dell’appartenenza al gruppo di eletti scelti da Dio per la salvezza.
Si afferma così che l’attività economica è anche un fatto spirituale che trova la sua
origine nella religione calvinista. Ma La dottrina della predestinazione generava
nell’uomo il bisogno di conquistare la certezza della propria elezione: due erano le vie
consigliate, innanzi tutto non bisognava dubitare dell’essere eletti, in secondo luogo
veniva raccomandato il lavoro professionale, in quanto considerato il mezzo più
eminente per raggiungere la sicurezza di sé. Solo questo dissipava il dubbio e
conferiva la certezza dello stato di grazia. La riluttanza verso il lavoro diventa sintomo
della mancanza di grazia.
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Il primo testo in cui compare il problema del tempo è il “Timeo” di Platone in cui
quest’ultimo definisce il tempo come “immagine mobile dell’eternità” che
“procede secondo il numero” ed è gerarchicamente inferiore proprio all’eternità.
Nella dottrina platonica il tempo è infatti misura del movimento ma solo del
mondo materiale sottoposto alla Doxa in cui hanno senso i concetti di passato,
presente e futuro rispetto all’eternità e all’immutabilità dell’iperuranio: il mondo
delle idee. Immagine del tempo per Platone è il cielo che con i suoi astri fornisce
la misura dell’avvenire temporale che è composto dall’ “era” il “sarà” e l’ “è”.
Sant’ Agostino nelle “Confessiones”e nel “De civitate dei” esprime la relazione
del tempo con il pensiero e la sua interiorizzazione e riduzione a “distensio
animi”:estensione dell’anima. Per Agostino il passato ed il futuro,che pur fan
parte integrante della concezione comune del tempo, non esistono se non in
quanto presente che è fluire, passaggio e , pertanto , non misurabile. La
concezione del tempo cambia più in generale con il pensiero cristiano ed
abbandona la ciclicità pagana per assumere una direzione lineare progressiva. Il
tempo è la condizione della storia mondana che dalla caduta di Adamo procede
verso la redenzione e il ritorno a Dio per approdare all’eternità spirituale. Il
pensiero cristiano perciò precisò meglio, sulla linea del “Timeo“ platonico
l’origine ( creazione) e la fine e il compimento (giudizio universale) del tempo.
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Da questa analisi risulta che solo lo spazio è omogeneo, che le cose situate in
esso costituiscono una molteplicità indistinta, e che tutte le molteplicità distinte
sono ottenute grazie a un dispiegamento nello spazio. Risulta pure che nello
spazio non ci sono né durata né successione, nel senso in cui la coscienza
intende questi termini: ognuno dei cosiddetti stati successivi del mondo esterno
esiste da solo, e la loro molteplicità ha realtà solo per una coscienza in grado
prima di conservarli, e poi di giustapporli esteriorizzandoli gli uni rispetto agli
altri. Se essa li conserva, ciò avviene perché questi diversi stati del mondo
esterno danno luogo a dei fatti di coscienza che si compenetrano si organizzano
insensibilmente insieme e, per l’effetto di questa stessa solidarietà, legano il
passato al presente. E se li esteriorizza gli uni rispetto agli altri, è perché,
pensando poi alla loro distinzione radicale (poiché uno cessa di essere quando
l'altro appare), li pensa nella forma di una molteplicità distinta: il che significa
ritornare ad allinearli insieme nello spazio in cui ciascuno di essi esisteva
separatamente. Lo spazio di cui ci si serve per far ciò è proprio ciò che viene
definito tempo omogeneo. [...]
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Il nostro corpo non è altro che la parte della nostra rappresentazione che
rinasce invariabilmente, la parte sempre presente, o piuttosto quella che, in ogni
momento, è appena passata. Immagine esso stesso, questo corpo non può
immagazzinare le immagini, perché fa parte di esse; ecco perché pretendere di
localizzare le percezioni passate, o anche presenti, nel cervello, è del tutto
chimerico: le percezioni non si situano nel cervello; è il cervello che è in esse.
Ma, in ogni istante, quest’immagine tutta particolare, che persiste in mezzo alle
altre e che chiamo il mio corpo, costituisce, come dicevamo, un taglio
trasversale nel divenire universale. E quindi il luogo di passaggio dei movimenti
ricevuti e rinviati, il "trait d'union" tra le cose che agiscono su di me e le cose
sulle quali io agisco, la sede, in una parola, dei fenomeni sensorio-motori. Se
rappresento con un cono S-A-B la totalità dei ricordi accumulati nella mia
memoria, la base AB, situata nel passato, rimane immobile, mentre il vertice S,
che raffigura in ogni momento il mio presente, avanza senza posa, e, sempre
senza posa, tocca il piano mobile P della mia rappresentazione attuale
dell’universo. L’immagine del corpo si concentra in S; e, poiché fa parte del
piano P, tale immagine si limita a ricevere e a restituire le azioni che emanano da
tutte le immagini che compongono il piano.
Da un esempio di testo tratto dal lbro di R Bellier “L’attimo che fugge” – ed.
SEUIL
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La Felicità
(esempio di testo)
D'altronde, recita un detto popolare, "nella vita c'è più da piangere che da
ridere".
E una religione piena di saggezza come il buddhismo, ci ricorda che nessun
uomo, neppure il più ricco e potente, può scampare ad esperienze per certi
aspetti sconvolgenti come la vecchiaia, la malattia e la morte. Che quello che
oggi ci dà piacere, domani ci inchioderà al dolore.
Eppure, esiste ormai, nella nostra società, un radicato obbligo sociale alla
felicità. I media e le agenzie educative ci vogliono felici, ci prescrivono la felicità,
ce la ordinano. E la felicità, inseguita ovunque, sempre più ci sfugge, come un
amore troppo desiderato.
Allora sorge il dubbio che questa lotta senza quartiere per il raggiungimento
della felicità perfetta sia diventata assurda, che il prezzo da pagare di tanto
tribolare e angustiarsi sia proprio l'assenza di felicità. E questo, nonostante la
vita, in più occasioni, ci insegni che si raggiunge soltanto ciò che si chiede con
indifferenza.
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La bontà
Si tratta del "Mors tua, vita mea" dei latini, della darwiniana
lotta per la sopravvivenza. Di qui alla legge della giungla, si
sa, il passo è breve.
In Italia si è persino creato un brutto neologismo,
"buonismo", per screditare coloro che manifestano una
qualche forma di solidarietà verso i più deboli e viceversa per
giustificare ogni sorta di nefandezze perpetrate dai più forti.
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La solitudine
L'intolleranza
Noi italiani siamo un po' fatti così. Il nostro carattere nazionale, ammesso che
sia così facile identificarlo, e sempre con la cautela cui ci devono indurre le
generalizzazioni, si è forgiato in secoli di dominazioni straniere, di sfiducia e
nello stesso tempo di qualunquistica acquiescenza verso il potente di turno, di
insufficiente senso di appartenenza alla comunità nazionale.
Non passa giorno senza che i media segnalino scandali e storture. Le librerie
pullulano di saggi di denuncia del malcostume e della corruzione, che
caratterizzano la vita nazionale quasi in ogni ambito. Si descrive ormai l'Italia,
con credibili argomentazioni, come un Paese ingessato in caste arroccate nella
difesa dei propri privilegi e sorde alle istanze dettate dall'interesse generale, col
sistema economico e sociale nazionale ormai al collasso.
Un'ipotetica, ma credibile classifica della legalità, stilata nel 2007 da
Transparency International, collocava l'Italia al 41° posto, non soltanto dietro le
grandi democrazie occidentali, ma anche dietro Ungheria, Cile e Slovenia.
Va poi sviluppato anche da noi, come nelle nazioni più evolute, quello spirito di
servizio che sempre deve accompagnare l'operato di dipendenti e funzionari
della pubblica amministrazione. Chi esercita una funzione pubblica, a qualsiasi
livello, deve recuperare l'orgoglio e il prestigio del proprio lavoro e usare il
potere grande o piccolo, che gli è conferito, per risolvere con giustizia e
imparzialità i problemi del cittadino, non per vessare, ricattare o estorcere
denaro. E' l'etica del cosiddetto Civil Servant, il "servitore dello stato", che va
promossa e premiata.
Riferimenti bibliografici
Abravanel, R., Meritocrazia. Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e
rendere il nostro paese più ricco e più giusto, Milano, Garzanti, 2008
Colombo, G., Il vizio della memoria, Milano, Feltrinelli, 1998
Colombo, G., Sulle regole, Milano, Feltrinelli, 2008
Floris, G., Mal di merito. L'epidemia di raccomandazioni che paralizza l'Italia,
Milano, Rizzoli, 2007
Rizzo, S., Stella, G.A., La casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili,
Milano, Rizzoli, 2007
Rizzo, S., Stella, G.A., La deriva. Perché l'Italia rischia il naufragio, Milano,
Rizzoli, 2008
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