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Oggi diagnosticare il morbo di Alzheimer è un’impresa ardua, possibile solo per esclusione e alla
comparsa dei primi sintomi. Tuttavia, una recente ricerca della Washington University School of Medicine di
St. Louis, che ha sottoposto a controlli 128 pazienti provenienti da Regno Unito, Usa e Australia, si è posta
l’obiettivo di smascherare la malattia con 25 anni d’anticipo. Gli scienziati hanno così esaminato i rischi
genetici della storia familiare per individuare eventuali segni premonitori della malattia, soprattutto nei casi
di comparsa precoce (tra i 30 e i 50 anni, mentre la forma più comune insorge in genere dopo i 65). Ne è
emersa una sorta di “timeline” dei cambiamenti occorsi a livello cerebrale che portano alla perdita di
memoria e al declino cognitivo che caratterizza l’Alzheimer.
Nell’ambito di un progetto di ricerca conosciuto come Dominantly inherited alzheimer’s aetwork (Dian),
finanziato dal National institutes of health, i ricercatori della Washington University hanno così valutato una
serie di marker presintomatici in soggetti provenienti da famiglie geneticamente predisposte a sviluppare il
morbo: in particolare, le persone che hanno partecipato allo studio mostravano il 50 per cento di probabilità
in più di ereditare una delle tre mutazioni associate alla comparsa della malattia, spesso in età insolitamente
giovane. La più precoce di queste tre mutazioni – il calo dei livelli di proteina beta-amiloide nel liquido
spinale, causa principale della degenerazione cerebrale – può essere rilevata 25 anni prima dell’esordio del
morbo. “Una serie di cambiamenti nel cervello avviene decenni prima che i sintomi dell’Alzheimer vengano
notati dai pazienti o dai loro familiari – ha spiegato Randall Bateman, professore di Neurologia e autore
principale dello studio, pubblicato sulla rivista New England journal of medicine -. Nell’ottica di individuare
trattamenti preventivi, la timeline che abbiamo individuato sarà preziosa per la sperimentazione di nuovi ed
efficaci farmaci”.
Più nel dettaglio, Bateman ha spiegato che, secondo i risultati della ricerca, le placche sono visibili in
scansioni cerebrali già 15 anni prima che i problemi di memoria diventino evidenti. I ricercatori del progetto
Dian hanno l’obiettivo di studiare trattamenti che rimuovano o blocchino la formazione di quelle placche a
questo precoce stadio di progressione della malattia, monitorando i pazienti non solo per verificare se le
placche possano essere prevenute o ridotte, ma anche se con ciò coincide il miglioramento di altri marcatori
dell’Alzheimer misurati dallo studio. La timeline proposta dagli studiosi è piuttosto precisa: quindici anni
prima, la beta-amiloide può essere rilevata nel cervello; la proteina tau (la cui mutazione è pure associata
con la malattia) inizia ad accumularsi nel fluido spinale e il cervello comincia a restringersi. A circa dieci
anni dalla comparsa del morbo, iniziano lievi alterazioni della memoria e mutazioni nell’utilizzo cerebrale del
glucosio. Gli stessi test sono stati condotti su altri membri delle stesse famiglie, in cui però le mutazioni
ereditarie erano assenti: in questo caso non sono stati riscontrati cambiamenti nei marker.
“Questi interessanti risultati sono i primi a confermare ciò che abbiamo a lungo sospettato – ha commentato
Laurie Ryan, direttore dei programmi di trial clinici al National institute on aging -. E mentre i partecipanti al
Dian sono a rischio per la rara forma genetica della malattia, le conoscenze acquisite dallo studio ci
forniscono strumenti per comprendere anche la malattia ad esordio tardivo”. Il network Dian è nato proprio
per concentrare i dati disponibili sui pazienti con forme ereditarie, solitamente dispersi geograficamente.
Ciò che i ricercatori che ne fanno parte sperano è che entro la fine dell’anno possa essere lanciata la
sperimentazione clinica nei partecipanti al programma e hanno già messo a disposizione dei pazienti la
possibilità di iscriversi in un registro (all’indirizzo web www.dianxr.org/) ed eventualmente prendere parte allo
studio. Non c’è bisogno di essere degli esperti per comprendere la portata di questa scoperta, che non solo
permetterebbe alle persone di accedere alle cure con maggiore anticipo, ma anche di sperimentare nuovi
farmaci nei pazienti giusti e al momento giusto.
di Chiara Di Martino
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/18/alzheimer-scoperta-la-timeli... 18/07/2012