COMPITO DI EPICA – COMPRENSIONE DEL TESTO – 17.12.
2020 – 2E
Il racconto di Polidoro
Esiste lontana una terra di vaste
pianure protetta da Marte: la Tracia; (…) antica sede ai Troiani ospitale e fraterna finchè resistè la fortuna. Vi approdo, e su la spiaggia di seno profondo una città comincio a fondare col fato contrario e chiamo Eneadi, così dal mio nome, gli abitatori. I riti sacri compivo a Venere madre, chiedevo un segno lieto agli Dei per l’opera mia e offrivo un toro bianco sui lidi all’alto re dei Celesti. Si trovava un rialzo lì accanto e in cima ad esso virgulti e una pianta di mirto, rigida, fitta di rami; mi accosto, strappo dal suolo un cespuglio a coprire di fronde le are, e vedo un orrendo prodigio, mirabile a raccontarsi. Dal primo arbusto che schianto da terra con le radici scorrono gocce di sangue e macchiano il suolo di nero: una fredda paura mi scuote, mi stringe le membra e il sangue mio si rapprende più freddo del gelo. Provo ancora a strappare un ramo flessibile da un altro arboscello; volevo tentare, scoprire più in fondo la causa occulta del sangue, e viscido sangue spruzzava anche da quello. (…) Ma quando con sforzo maggiore contro la terra dura puntai le ginocchia a strappare la pianta (devo parlare o tacere?) odo un triste lamento venire di sotto la balza, un gemere cupo; ed esce, quasi a rispondere, una voce nell’aria: “Enea, perché mi laceri? Così tu contamini, violando un morto, le tue mani pietose? Estraneo a te non mi diede Troia alla luce, né questo sangue zampilla proprio da un albero. Fuggi da una terra crudele, da un lido avaro! Polidoro io sono; una ferrea selva di dardi qui mi trafisse e tutto il mio corpo ha coperto, ed alta in rami pungenti è cresciuta”. Parole e sangue allora mi fecer tremare: stupisco, le chiome si rizzano, un brivido mi toglie la voce. Priamo infelice, ormai disperando dell’armi Troiane e vedendo le mura cinte d’assedio aveva affidato in segreto questo suo Polidoro al re della Tracia con grande cumulo d’oro. Ma quando mutò la fortuna e la forza dei Teucri s’infranse, quello seguì la vittoria dei Greci e ruppe ogni legge divina: uccide il ragazzo e si appropria dell’oro. A cosa non spingi i cuori mortali, o esecrabile fame dell’oro? Appena il terrore fu calmo e scomparve, narro il prodigio divino ai capi scelti del popolo, a mio padre per primo, e chiedo il loro pensiero: è uguale in ciascuno: partire dal paese nefando, dall’ospizio violato, e riprendere il mare. Preparo intanto esequie solenni a Polidoro: a tumulo innalziamo la terra ed are ai Mani adorne di fosche bende e di neri cipressi. Vengono intorno meste le donne col crine scomposto secondo l’usanza; coppe offriamo spumanti di tepido latte, versiamo sangue di vittime sacre, adagiamo l’anima quieta dentro la tomba e lei a gran voce chiamando saluto per sempre. DOMANDE:
1. Distinguere le tre parti in cui si può suddividere il testo, indicandone i versi
corrispondenti e riassumendone brevemente il contenuto. 2. Descrivere l’evento prodigioso che si manifesta sotto gli occhi di Enea mentre l’eroe tenta di strappare i rami da un cespuglio e quale significato si nasconde dietro tale prodigio. 3. Descrivere le reazioni di Enea di fronte all’evento prodigioso. 4. Individuare, dopo aver analizzato i tempi verbali usati nel brano, il punto in cui si verifica un cambiamento repentino e spiegare che cosa ciò comporta sul ritmo della narrazione. 5. Esporre in quali azioni Enea manifesta la propria pietas. 6. Nel brano è espresso dal poeta, per bocca di Enea, il tema dell’avidità che ha causato la morte di un giovane innocente: rintracciare i versi in cui compare tale tema ed esporre il giudizio del poeta e riflessioni personali al riguardo 1. Prima parte: Esiste lontana una terra di vaste pianure protetta da Marte: la Tracia; (…) antica sede ai Troiani ospitale e fraterna finchè resistè la fortuna. Vi approdo, e su la spiaggia di seno profondo una città comincio a fondare col fato contrario e chiamo Eneadi, così dal mio nome, gli abitatori. I riti sacri compivo a Venere madre, chiedevo un segno lieto agli Dei per l’opera mia e offrivo un toro bianco sui lidi all’alto re dei Celesti. Seconda parte: Si trovava un rialzo lì accanto e in cima ad esso virgulti e una pianta di mirto, rigida, fitta di rami; mi accosto, strappo dal suolo un cespuglio a coprire di fronde le are, e vedo un orrendo prodigio, mirabile a raccontarsi. Dal primo arbusto che schianto da terra con le radici scorrono gocce di sangue e macchiano il suolo di nero: una fredda paura mi scuote, mi stringe le membra e il sangue mio si rapprende più freddo del gelo. Provo ancora a strappare un ramo flessibile da un altro arboscello; volevo tentare, scoprire più in fondo la causa occulta del sangue, e viscido sangue spruzzava anche da quello. (…) Ma quando con sforzo maggiore contro la terra dura puntai le ginocchia a strappare la pianta (devo parlare o tacere?) odo un triste lamento venire di sotto la balza, un gemere cupo; ed esce, quasi a rispondere, una voce nell’aria: “Enea, perché mi laceri? Così tu contamini, violando un morto, le tue mani pietose? Estraneo a te non mi diede Troia alla luce, né questo sangue zampilla proprio da un albero. Fuggi da una terra crudele, da un lido avaro! Polidoro io sono; una ferrea selva di dardi qui mi trafisse e tutto il mio corpo ha coperto, ed alta in rami pungenti è cresciuta”. Terza parte Priamo infelice, ormai disperando dell’armi Troiane e vedendo le mura cinte d’assedio aveva affidato in segreto questo suo Polidoro al re della Tracia con grande cumulo d’oro. Ma quando mutò la fortuna e la forza dei Teucri s’infranse, quello seguì la vittoria dei Greci e ruppe ogni legge divina: uccide il ragazzo e si appropria dell’oro. A cosa non spingi i cuori mortali, o esecrabile fame dell’oro? Appena il terrore fu calmo e scomparve, narro il prodigio divino ai capi scelti del popolo, a mio padre per primo, e chiedo il loro pensiero: è uguale in ciascuno: partire dal paese nefando, dall’ospizio violato, e riprendere il mare. Preparo intanto esequie solenni a Polidoro: a tumulo innalziamo la terra ed are ai Mani adorne di fosche bende e di neri cipressi. Vengono intorno meste le donne col crine scomposto secondo l’usanza; coppe offriamo spumanti di tepido latte, versiamo sangue di vittime sacre, adagiamo l’anima quieta dentro la tomba e lei a gran voce chiamando saluto per sempre.
2. Enea ad un certo punto vede e in cima c’erano
tantissimi arbusti , appena iniziò a tagliare il primo ramo che iniziò a gocciolare di sangue. Enea molto impaurito cercò di tagliare un altro ramo ma anche da lì iniziò a gocciolare sangue. Il significato del cespuglio che gemme sangue è quello dell'indugita uccisione di Polidoro 3. Enea dopo che tenta di tagliare i rami sente una voce che era Polidoro, una ferrea selva di dardi. Enea appena sente queste voci lascia una degna sepoltura a Polidoro perché era colui che era stato ucciso ingiustamente. 4. Il verso del cambiamento è: dura puntai le ginocchia a strappare la pianta (devo parlare o tacere?) odo un triste lamento venire di sotto la balza, un gemere cupo. In questo punto il tempo cambia da passato remoto a presente semplice. Il narratore vuole fare capire al lettore l’azione che viene svolta non è più passata ma è presente. 5. Enea dimostra la pietas nel dare una degna sepoltura a Polidoro. 6. Il poeta esprime con questo prodigio, l’orribile uccisione di Polidoro che viene ucciso dal re dei traci per impossessarsi dell'oro. Per avidità infrange quei valori cari ad enea come l'ospitalità e tutti i valori della pietas.