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STORIA MODERNA

Introduzione all’Età Moderna


“Moderno”, dal latino nuovo, recente, indica un’età vicina e nuova rispetto ad un’epoca precedente: la
modernità si caratterizza per la sua discontinuità con il passato.
La storia è infatti un flusso di avvenimenti umani (che lo storico deve interpretare), caratterizzata da una
dialettica tra permanenza e discontinuità. Nell’età moderna è la discontinuità l’aspetto più importante.

La modernità vede una serie di fenomeni che sottolineano il cambiento, la svolta nei confronti del passato e
si parte da un “terminus a quo” (date periodizzanti, a partire dalle quali si nota un mutamento, una
discontinuità nei confronti del passato), un punto di partenza per lo sviluppo di un cambiamento geo-politico,
etico, religioso, ...
Esempi di date periodizzanti:
- 1453 Caduta di Costantinopoli per mano delle armate di Maometto II, quando l’Impero ottomano iniziò a
formarsi e a prendere potere (cambiò la configurazione di tutto il mediterraneo e non solo)
- 1942 Scoperta dell’America, da qui prende avvio una straordinaria dilatazione di alcuni stati europei al di
fuori dell’Europa -> mondializzazione
- 1517 Frattura dell’Europa cattolica dovuta alla proclamazione delle 95 tesi di Lutero. Anche a livello di
confessioni l’Europa assume una configurazione del tutto nuova.
Queste trasformazioni portano poi al mutamento anche della scienza, della tecnica, della politica, dell’arte e
della cultura (armi da fuoco, costruzione delle flotte).

La demografia
(Capitolo 2 del libro)

PREMESSA: La demografia del XXI secolo


Uno dei problemi prioritari della società attuale riguarda proprio la demografia: è in atto una crisi
demografica, la popolazione sta invecchiando tragicamente (si parla di inverno demografico). Il tasso di
fecondità europeo è al di sotto del tasso per poter stabilizzare la situazione da ben 30 anni (in Italia il tasso è
circa la metà di quello che dovrebbe essere).
Quella democratica è una vera e propria crisi perché ha un impatto estremante ampio: i costi della società
aumentano (pensioni, assistenza sanitaria, ospizi per sostenere una popolazione sempre più vecchia) e allo
stesso tempo la società lavorativa/produttiva diminuisce e su di essa gravano tutti questi costi.
I “Neo-maltusiani” (corrente di pensiero) sostengono che mentre la popolazione cresce in maniera
geometrica (raddoppia, triplica, ...), le risorse crescono in maniera molto inferiore. La sovrappopolazione
creerebbe quindi una divaricazione terribile tra risorse e la popolazione che le necessita per il proprio
mantenimento. Questa teoria, che invita al controllo della popolazione, è stata smentita negli ultimi 115 anni,
in cui la popolazione è effettivamente cresciuta di 5 volte ma allo stesso tempo la ricchezza è aumentata da
20 a 40 volte, ciò significa che in generale, anche i paesi più poveri hanno migliorato la loro condizione e
che non sempre la sovrappopolazione produce povertà e crisi.

Le popolazioni del passato


La demografia (studio della popolazione dal tardo medioevo fino al periodo della “transizione demografica”)
è fondamentale per comprendere la discontinuità della storia moderna.
Le fonti, le attestazioni a cui si fa riferimento quando si parla di popolazione del passato sono:
- Censimenti dei fuochi (al principio dell’età moderna): censimenti dei focolai, le unità abitative. Il fuoco è
l’insieme delle persone che abitano sotto lo stesso tetto e che costituiscono un’unità lavorativa (es.
Censimento dei fuochi nel Regno di Napoli nel ‘500, vennero registrai circa 500 mila fuochi in questo che
era il più popoloso regno d’Italia)
- Censimenti della popolazione, diventano periodici e più analitici
- Registri parrocchiali nell’Europa cattolica, specialmente dopo il Concilio di Trento. Il parroco era
obbligato a registrare l’elenco dei battesimi, dei matrimoni, delle sepolture, delle persone che potevano
ricevere confessione e comunione all’interno della sua parrocchia.
- Atti dello stato civile / anagrafe (tra il secondo ‘700 e l’età napoleonica): nasce lo stato civile e l’anagrafe
sotto il controllo dello stato e dei suoi funzionari.

Oggi si sfruttano diversi indici demografici:


- Natalità (numero nati vivi per anno su una popolazione esistente)
- Mortalità (numero morti per anno su una popolazione esistente)
- Nuzialità (numero matrimoni celebrati per anno su una popolazione esistente)
- Fecondità (nero nati vivi per donne in età riproduttiva)
- Speranza di vita (durata media della vita/età media alla quale si muore)
- Tasso di urbanizzazione (numero di abitanti in città su una popolazione complessiva, che è anche indice di
crescita e di sviluppo per la popolazione dell’età moderna)

Il motore dello sviluppo demografico è la famiglia, è qualcosa di esteso ed elastico. In demografia si parla
di household/aggregato domestico: tutto coloro i quali vivono sotto lo stesso tetto nonostante non ci sia un
legame di parentela. Questo perché la famiglia è un luogo di lavoro, di scuola, un oggetto complesso.

In generale, nonostante gli altissimi tassi di mortalità infantile e adolescenziale, tra il 1500 ed il 1800 ebbe
luogo un incremento della popolazione europea. Solo tra il 1600 e il 1650 (periodo di pestilenze, di conflitti e
guerra come quella dei 30 anni) si nota una leggera diminuzione (anche nella penisola italica che era una
società estremamente sviluppata), una stagnazione che viene subito recuperata a partire dal 700 grazie ad una
forte spinta vitale tipica del periodo.

L’età moderna fu caratterizzata (dopo lo shock della peste nera 1347-1348) da una forte tendenza alla
crescita:
1.Dal secondo 400 (ondate cicliche della peste nera si presentano in maniera più debole e con intervalli più
lunghi) la popolazione riprende a crescere
2.Il 500 è un secolo di grandissima crescita in tutta Europa, la popolazione aumenta moltissimo fino ai primi
decenni del 600
3. Prima metà del 600 (ultime ondate di peste nera) è una fase di relativa stagnazione, di rallentamento nella
crescita demografica (vedi tabella 2, Europa mediterranea) ma in realtà alla fine del secolo i livelli sono già
stabilizzati (i paesi riprendono i livelli di inizio secolo).
4. Nonostante i conflitti bellici e le altre ondate epidemiologiche (vaiolo) la popolazione continua a crescere

L’età moderna è anche l’epoca dell’avvento delle grandi città, fino al 1500 l’Italia era la potenza maggiore in
quale sto ambito, aveva infatti molte grandi città come Milano, Venezia e Napoli mentre Francia ed
Inghilterra, ad esempio, avevano solo una grande città (Parigi per la prima e Londra per la seconda) ma tra il
600 e 700 avviene un boom nell’urbanizzazione delle grandi città, come ad esempio Londra, che era solo un
piccolo centro e si trasforma in una megalopoli.

Per controllare e studiare la popolazione esiste un sistema demografico, questo perché la popolazione cresce
o diminuisce in base ad una serie/correlazione di fattori:

1. Disponibilità di risorse alimentari, la popolazione li produce ma li consuma allo stesso tempo


2. Disponibilità di posti di lavoro nelle unità produttive, che al tempo erano prevalentemente le famiglie
(concetto ampio, quasi di azienda che per l’appunto si occupa anche della produzione)
3. Condizioni climatico-ambientali (agiscono sulla dislocazione della popolazione)
4. Epidemie (incide maggiormente nei paesi meno sviluppati), batteri, virus, che nell’ambiente dell’epoca
sono endemici, sempre presenti (si manifestano in ondate di varia intensità)

Esistono poi crisi demografiche (periodiche nell’età moderna), che si innescano a causa di vari fattori:
1. Mutamenti climatici (es. semplicemente un’estate troppo piovosa che causa cattivi raccolti)
5. I raccolti scarsi causano carestie a causa dell’aumento del prezzo del grano, per esempio, e della più alta
richiesta a fronte della scarsa offerta. Aumenta la fetta di popolazione che non può permettersi generi
primari e che quindi si ammala più facilmente e lavora di meno.
6. Aumento della popolazione, l’offerta non soddisfa le richieste
7. Epidemie, anche negli animali (la morte di animali ha conseguenze anche per gli uomini)
8. Aumento della mortalità

Per far fronte alle crisi, la popolazione si auto-regolamenta attraverso la diminuzione dei matrimoni e delle
nascite, si ritarda l’età del matrimonio e di conseguenza della fecondità.
Il celibato definitivo (chi non si sposa mai) in momenti di crisi può arrivare anche al 20% della popolazione.

Es. Carestia di Irlanda nel 1845


Popolazione irlandese che vive in una situazione semi-coloniale rispetto alla corona inglese, fu toccata da
una epidemia che causò una grande crisi.
La popolazione fu costretta a spostarsi, per esempio verso l’America.

Il clima come fattore fondamentale nella demografia


Oggi il clima è un argomento estremamente politicizzato, ma lo studio del clima nel passato
(paleoclimatologia) è fondamentale per comprendere il presente.
Lo studio del clima non ha una lunga tradizione, comincia in Francia, questo perché prima mancavano
strumenti scientifici affidabili (da due o tre secoli si può, per esempio attraverso il carotaggio).

Conoscenze attuali riguardo al clima:


Il clima è sempre mutato e nella storia del nostro pianeta si sono alternate ere glaciali ed ere interglaciali.
Ora ci troviamo in un’era interglaciale ma ci sono state ere in cui il clima era più caldo (in media due o tre
gradi): dove c’è il Sahara un tempo c’era una vegetazione florida ed abbondante; il nome Groenlandia deriva
da verde, c’era vegetazione, c’era più caldo; nella Scozia medievale coltivavano la vite (oggi pianta
prettamente mediterranea).
L’odierna fase di riscaldamento sarebbe iniziata 400 anni fa, già tra il 700 e il 735 la temperatura crebbe di
circa due gradi.
Altre teorie fanno pensare ad un più pericoloso raffreddamento della temperatura terrestre in questo periodo
(il riscaldamento globale non può essere considerato un dogma).
Alcuni scienziati contestano di conseguenza la responsabilità umana nell’aumento dei gas serra, siccome
questa fase di riscaldamento ebbe inizio in un periodo in cui l’industrializzazione non era ancora un
problema. I cambiamenti sono governati da fattori naturali, come le correnti oceaniche, il vulcanesimo (le
esplosioni vulcaniche rilasciano una grande quantità di gas nocivi), ...

Le epidemie
L’avvento degli antibiotici (anni 40) segna una completa rivoluzione nella qualità della vita, pone un limite a
pandemie, malattie, ...

L’era di cui si parla è precedente, un’era caratterizzata da epidemie e pandemie, tra cui: Peste; Vaiolo;
Sifilide; Colera; Tifo; Dissenteria; Pellagra; Malaria; Tubercolosi; Influenze e malattie gastroenteriche; ...

La peste (nacque in Crimea, arrivò poi in Europa e da qui si diffuse) è stato il fenomeno più pesante in età
medievale/moderna.
La peste nera 1347-50-51, non ha possibilità di paragone: un terzo della popolazione è scomparsa (in 2 o 3
giorni dopo aver contratto la malattia) durante questi anni (una pandemia la cui mortalità poteva raggiungere
il 30% e la letalità del 60%).
Es. Londra 1665, peste seguita dall’incendio (in cui brucia anche il teatro di Shakespeare).

Già dal 400 erano stati predisposti lazzaretti (come quello di Porta Venezia a Milano, con al centro la chiesa
di San Carlo), ministri sanitari, uffici di sanità, cordoni sanitari .. per rimediare alle epidemie che
sembravano incontenibili.
Questo perché già al tempo avevano compreso che isolare gli infetti poteva giovare alla popolazione ancora
sana (quarantena, blocchi delle strade principali anche per l’osservazione della malattia), la quale spesso
fuggiva verso zone meno popolate.
La peste si attribuiva all’infestazione dell’aria e quindi si proteggeva l’apparto respiratore, si accendevano
fuochi purificatori come altri provvedimenti.
Vennero date poi anche una serie di spiegazioni religiose, come l’idea che la peste fosse un’opera diabolica.
Es. “Del governo della peste” di Muratori: il medico della peste che indossa una maschera e dei guanti,
coperto di olii che deve compiere delle operazioni. Queste figure restano fino al 700, quando la peste perde
la sua alta virulenza.

Fino al 1700 i fuochi (peste di Marsiglia), i riti collettivi di espiazione restano i metodi migliori per
combattere queste epidemie.

Alle fine del 700 in Italia (vedi la cronologia) le epidemie restano ristrette, le cittadine marittime spesso
venivano infettate a causa dei traffici marittimi ma venivano velocemente attivate le misure contenitive.

La peste scompare nel 1816 circa, nonostante la società non avesse ancora scoperto una cura. Questo perché
tutto muta: gli stessi ratti scompaiono e prendono piede i topi di fogna, veicolo meno efficace; anche i
parassiti cambiano, i sistemi di pulizia sanitaria cominciano a funzionare.

Modello di trasmissione della peste bubbonica/polmonare: parte dal bacillo (scoperto dallo scienziato russo
Yersin ad Hong Kong nell’800 durante un’epidemia di peste), che prolifera nel sangue delle pulci che si
trovano sui roditori, i quali vivono a contatto con l’uomo che viene perciò infettato. In questo modo diventa
endemica ed è più virulenta d’estate.
In realtà anche lo studio delle pestilenze non ha una soluzione univoca: pestilenze causate da spore di antrace
che contamina oppure pestilenze come febbri (ebola).

La scoperta e la conquista del nuovo mondo causò uno scambio di malattie infettive (“scambio
colombiano”), la sifilide venne importata dall’America, in Italia arriva con l’esercito francese di Carlo VIII
nel 1495, era la malattia di soldati e prostitute.

Il vaiolo venne invece esportato in America, una malattia con un tasso di letalità altissimo.
In Europa esplode quando la peste comincia a scomparire, il vaiolo colpisce le fasce di età giovani, sfigurava
le persone.
Si cerca un vaccino, inizialmente partendo dal vaiolo umano ma questo causa molte morti; solo
successivamente (negli anni 90) partendo dal vaiolo delle vacche (da qui vaccino) si riuscì ad immunizzare
anche gli umani, anche se la diffusione del vaccino fu molto lenta e difficile.

Il colera è una malattia dell’800 (Leopardi parla del colera di Napoli), il medico John Snow a Londra,
durante un’epidemia che prende solo un quartiere popolare della città, comprende che il colera si trova nelle
acque infette dalle fogne e perciò si comincia ad arginare il problema.

Febbre spagnola, ultima grande pandemia che colpì l’Europa (1918-1920) fece una strage spaventosa in un
periodo estremamente diverso da quello presente.

GLI STATI TRA EGEMONIE ED EQUILIBRIO


Fine XV secolo - 1648

L’avvento di forme statuali è una di quelle date periodizzanti su cui possiamo basare la periodizzazione
dell’età moderna.
L’Europa si costituisce come lo spazio degli stati indipendenti, tutti accomunati dalla regione cristiana e
dalla tradizione del diritto romano (rivisitato).
A livello geo-politico l’Europa (parte di Asia e parte di Africa settentrionale) si configura come una vasta
serie di stati (tra cui gli ampi possedimenti del sacro romano impero).
Lo stato europeo è una creazione originale, che in altre civiltà non si trova, la sua peculiarità è la tradizione
giuridica/cultura politica e teologica, che ispira ed orienta l’esercizio dei poteri pubblici in ogni stato.
Alla base degli stati europei c’è una distinzione tra la sfera politica (potere civile) e la sfera
religioso/spirituale (sacerdotium).
Nella cultura cristiana viene elaborato anche il concetto di persona e di libertà personale che in altre civiltà
non viene concepito: ogni individuo ha una sfera di diritti naturali (ius naturale) che il potere pubblico non
può toccare.
Il principe ha un potere limitato quando si parla di diritto alla vita, alla proprietà, al matrimonio, ... dei suoi
sudditi. Il principe non ha quindi un potere illimitato e se lo esercita compie un abuso e può essere accusato
di tirannia.
È avvenuta così una desacralizzazione del potere: sussiste il diritto divino, ovvero il fatto che il principe sia
quasi scelto da Dio ma questo non significa più che il sovrano possa identificarsi con Dio stesso.
Questo sul piano teorico, nella realtà poi le due sfere spesso non collaborano tra loro.

Realtà tra il XV e il XVI secolo: Europa vede il proliferare di stati territoriali, tutti accumunati da quattro
caratteristiche.
- sovrano, identificato con il principe e la sua casa regnante ma anche un organo che esercita questo potere
supremo (es. nelle antiche repubbliche di Genova e Venezia il potere è detenuto da un organo collegiale,
le cui decisioni sono poi espresse da una figura rappresentativa come quella del doge)
- Il potere non ha mai un monopolio, c’è una stratificazione di poteri: ceti e corpi (aristocrazie, università, le
corporazioni), soggetti collettivi che contribuiscono alla tutela dell’udienza, all’esercizio del diritto.
Questi devono rispettare, come il sovrano, le leggi che vigono sul territorio (come gli statuti o le leggi più
antiche)
- Territorio, spesso non ben definito ma certamente più coeso rispetto alla frammentazione feudale
medievale.
Nel 500 avviene poi la frattura dell’unità cristiana cattolica e nascono quegli stati “confessionali”, dove il
potere politico si identifica sempre più con una confessione e quindi le sfere politica e religiosa appaiono più
compresse.

Il Sacro Romano Impero (primo Reich) e gli Asburgo


L’impero ha ancora un forte vigore e sviluppa per tutta l’età moderna una serie di politiche che verranno
imitate dagli altri stati.
L’aspetto simbolico (iconografia araldica) del Sacro romano impero “di nazione germanica” (formato da
Carlo Magno nell’800) ci dice che questo è l’erede dell’Impero romano, che il potere dell’imperatore è al
pari di quello del pontefice. L’impero rappresenta la fusione della tradizione romana e il cristianesimo, cosa
che rende questo organismo un organismo di lunghissima durata.
La casa degli Asburgo d’Austria riesce a regnare fino alla fine dell’età moderna.
Territorialmente l’impero si configura come un organismo multinazionale, multi-territoriale: i confini
occidentali comprendevano l’area dei Paesi Bassi (antico ducato di Borgogna), alcune città del nord della
Francia e parte dell’Italia settentrionale (Venezia è fuori dall’impero) fino ai confini dello stato pontificio; il
confine orientale escludeva la Polonia e l’Ungheria.
All’interno dell’impero ci sono centinaia di stati ma la dignità del potere imperiale è incontestabile.

L’impero è organizzato con una serie di istituzioni:


- Imperatore (Kaiser da “Cesare”, erede della tradizione romana), il cui simbolo era l’aquila, l’autorità più
importante del mondo cristiano-latino ma non è un dittatore con poteri assoluti
- Tribunale camerale, istituito da Massimiliano I d’Asburgo alla fine del 400 (1495) per garantire un
governo coeso
- Dieta (Reichstag), un grande parlamento, un corpo collegiale che si riunisce in varie città dove siedono dei
corpi, ovvero i 3 collegi. Il più importante è quello dei principi elettori (fino all’inizio del 600 sono 7),
hanno il compito di elegge l’imperatore (ha dignità elettiva e non ereditaria, bisogna avere la maggioranza
di voti); ci sono poi i principi territoriali (sovrani dei piccoli stati dell’impero, tutti vassalli
dell’imperatore); città libere che hanno un seggio dentro la dieta e quindi possono votare.
I membri più importanti all’interno della dieta votano per testa mentre i membri con meno potere votano per
collegi (prelati, conti dell’impero, ...).
L’impero è quindi caratterizzato da COLLEGIALITÀ (l’imperatore prende iniziative proprio solo in casi di
grande necessità, come la guerra).

Massimiliano I d’Asburgo (1493-1519) riorganizza l’impero: lo suddivide in 10 circoli (kreise) per


coordinarlo in maniera migliore.

Es. Dieta del 1521, convocata dall’imperatore, per trattare il problema luterano vide 402 membri coinvolti.

Il SRI è una confederazione viva e vitale al centro dell’Europa e che ha una sfera di influenza molto vasta.
È estremamente longevo ed esteso, caratterizzato da un’identità multipla (nazioni diverse) e stratificata
(gerarchia di ceti), dove vige una collegialità politica che permette un’ampia cultura rappresentativa.
Agisce su tre piani:
- ordinamento universale (rappresentare e difendere la fede cristiana cattolica ed il diritto romano)
- Intermedio degli stati sovrani
- Vita quotidiana e l’amministrazione locale
Gli Asburgo furono abili nelle loro strategie matrimoniali, acquisirono territori e potere grazie ai matrimoni
(vedi albero genealogico).
- matrimonio di Massimiliano I con Maria di Borgogna (erede del ducato che comprendeva anche le ricche
città fiamminghe olandesi)
- Filippo II il Bello si unisce a Giovanna la Pazza (figlia di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona,
erede della corona spagnola), alleanza tra Asburgo d’Austria e l’area iberica
- Ferdinando I sposa Anna Jagellone (ultima erede che permette l’annessione del regno di Boemia e di
Ungheria)
- Carlo V con Isabella del Portogallo, il suo mirabile e temibile regno è il prodotto della sapiente strategia
matrimoniale degli Asburgo

Gli stati fino al 1555 (prima età moderna)


Il regno di Francia è una delle prime potenze europee, sarà una degli arbitri e dei distruttori degli equilibri
europei. Il re di Francia aveva infatti brama imperiale, fu spesso competitore dell’imperatore del SRI.

A livello territoriale il regno di Francia comprendeva territori più estesi dell’odierno stato francese, a nord si
estendeva fino al possedimento inglese di Calais, a est l’Alsazia, la Lorenza, pochi luoghi restano esclusi,
come ad esempio il ducato di Savoia.

Tra il 4 e il 500 si insedia la famiglia dei Valois e tra questa famiglia si ricorda il principe Francesco I di
Valois, spesso competitore appunto dell’imperatore d’Asburgo Carlo I. Francesco si allea anche con “il
turco”, principale nemico della cristianità, questo ad indicare la spregiudicatezza della sua “real politique”.

Le isole britanniche sono ancora marginali in questo periodo. I tre regni di Scozia (sotto la dinastia degli
Stuart con Giacomo IV, V, VI), Inghilterra, che solo nel 1535 riesce ad incorporare anche il Galles e Irlanda
(in uno stato di soggezione alla corona inglese) sono giuridicamente ancora indipendenti.
Alla fine del lungo conflitto della “Guerra delle due rose”, che segna la vittoria di una delle due fazioni,
quella dei Tudor (che regna per tutto il Cinquecento) con Enrico VIII. A Enrico VIII preme molto l’alleanza
con l’impero, anche per via matrimoniale, proprio perché l’Inghilterra non è una potenza e ha bisogno di
sostegno. La Francia resta sempre un nemico per le vicine isole britanniche.

Nell’attuale centro dell’Europa, al tempo fuori dall’impero, c’è un grandissimo stato (il più vasto sul piano
territoriale), ovvero il complesso di stati sotto la casa degli Jagelloni, i gran duchi di Lituania (Bielorussia,
Ucraina), che si unì al vicino Regno di Polonia. Il regno di Polonia (molto antico) aveva carica elettiva e così
la nobiltà lituana riesce a prendere il potere.
Nel 1466 il sovrano polacco-lituano ottiene un successo nei confronti dei cavalieri teutonici (avevano
assoggettato la zona e l’avevano cattolicizzata), questi prestano vassallaggio alla corona e quindi anche
questa zona viene inglobata.
Regno di Boemia è un territorio importantissimo, contiene la Slesia, regione ricchissima di risorse, il terreno
in questa zona è coltivabile ed il Re di Boemia è il primo tra gli elettori del re. Questo regno viene occupato
dagli Jagelloni per un periodo ma successivamente torna a far parte dell’impero.

Regno di Ungheria (fondato attorno all’anno 1000), sotto al potere degli Jagelloni fino al 1526.

Questo vastò complesso era sotto una dinastia cattolica accerchiata a oriente dagli ortodossi (con il principe
di Moscovia, il capo degli ortodossi) e a sud pressata dagli ottomani e quindi dagli islamici, che dalla Crimea
mettono in atto una serie di incursioni e successivamente verrà a confinare con una serie di stati protestanti
dopo la frattura religiosa dell’Europa occidentale.

La dinastia degli Jagelloni ha però delle debolezze, che la porteranno alla dissoluzione nel 1526, data della
sconfitta di Luigi II che cerca di fermare le schiere del Sultano Solimano I che tuttavia hanno la meglio e
dilagano in Ungheria. La morte del sovrano Jagellone porta anche alla fine della dinastia, che in parte verrà
sostituita dagli Asburgo.

All’estremo oriente dell’area cristiana c’è il Principato di Moscovia, che tra il 300 e il 600 vede
un’espansione clamorosa verso oriente (le steppe asiatiche) e verso occidente (verso il Mar Nero). Mosca,
dopo la caduta dell’Impero romano d’oriente, assume un compito di protezione della religione ortodossa nei
confronti della potenza islamica.
I sovrani della Moscovia cominciano ad impiegare l’immagine dell’aquila, l’immagine imperiale per
eccellenza, ad indicare proprio il loro obbiettivo di espansione sia ad Oriente che ad occidente. Grazie ad un
matrimonio tra l’ultima erede di Bisanzio (o Costantinopoli) Sofia Paleologa, nipote dell’ultimo imperatore
bizantino (che muore durante l’ultima battaglia contro i turchi) e Ivan III, Principe di Moscovia. Questa
unione è voluta anche dal Papa per poter limitare il dilagante potere dei mussulmani.
Questa unione porterà poi, qualche generazione più avanti, Ivan IV a prendere il titolo di Zar (1547).

All’estremo occidente sta avvenendo un’unificazione della penisola iberica sul piano territoriale. Qui erano
presenti vari regno indipendenti, come il Portogallo, Castilla, Aragona, Leon, Catalogna, che per secoli si
trovano a contrastare il potente dominio musulmano di Spagna.
L’unione, nel 1469, tra Isabella di Castiglia (erede del più potente stato a livello militare) e Ferdinando
d’Aragona (che era legato anche alla Catalogna) permette di unire le forze e terminare il periodo della
Reconquista (1492, anno della scoperta di Colombo che non sarebbe stat possibile senza questo periodo di
pace), il processo di espulsione della potenza islamica dalla Spagna, che si conclude con la sconfitta del
Regno di Granada.

Gli stati italiani sono il baricentro degli equilibri europei. Una delle fasi più terrificanti è quella del Sacco di
Roma (1527), quando le truppe imperiali vollero punire la guida politica del Papa Clemente VII, che aveva
parteggiato più per i francesi che per l’imperatore.
—> unità 7

Impero ottomano si configurò come il nuovo gigante geo-politico.


Il sultano, una volta conquistata Costantinopoli, si presentò come erede dell’Impero romano. Fuori
dall’Europa cristiana, l’impero ottomano sarà il più simile ed il più vicino agli stati europei.
—> unità 6

Dinamiche del primo 500:


- 1500-1559 Ascesa di Carlo d’Asburgo con le guerre d’Italia (Francia contro l’impero), voleva riunificare
sotto il suo dominio molti territori europei ma non riuscì nel suo intento.
- 1510-1530 espansione degli ottomani
- 1517-1521 protestantesimo e la frattura confessionale
- 1555 pacificazione di Augusta (fine della crisi religiosa: l’imperatore riconosce gli stati luterani all’interno
dell’impero che si configura come biconfessionale)
- 1559 pace di Cateau-Cambresis (firmata tra Francia e Spagna e mette fine alle guerre d’Italia)
Tra gli anni 30 e 50 si raggiunge quindi un nuovo equilibrio nei territori della Germania e dell’Italia.
Gli stati il secondo ‘500
La seconda metà del 500 si caratterizza per una divisione in aree fredde (stabilizzate) e aree calde (instabili).
L’area italiana ed il Sacro romani impero vivono decenni di pace o comunque conflitti a bassa intensità.
I Paesi Bassi, la Francia, le isole britanniche ed in generale l’area del Mediterraneo vivono una fase di grande
instabilità per ragioni diverse.

La Spagna è la più grande potenza dell’epoca (comprende anche città italiane come Milano e Napoli; i Paesi
Bassi e la Franca contea). La Spagna è impegnata su due teatri: quello settentrionale con la crisi dei Paesi
Bassi e quello mediterraneo dove si combatte per il dominio del mediterraneo occidentale (gli ottomani e gli
alleati barbareschi si erano già assicurati il dominio della parte orientale).
I domini italiani della Spagna fungono da retrovie per le truppe spagnolo o sono addirittura in prima linea
(Napoli e Palermo come porti).
Filippo II d’Asburgo (figlio del fiammingo Carlo V che inaugura la linea degli Asburgo di Spagna, mentre
continua la linea degli Asburgo d’Austria a Vienna) è il re nel secondo ‘500, il suo regno è estremamente
lungo.
Con questo sovrano avviene un cambio rispetto al padre poliglotto e fiammingo, lui era cresciuto ed era stato
educato in Spagna e quindi qui ben visto, nelle Fiandre era però visto come uno straniero e a volte anche
come un tiranno.
Tutta la sua vita si svolse all’insegna del dovere e del lavoro, egli si interessava di tutti gli affari (non
delegava a funzionari). Questo lavoro era estremamente complesso, il re si occupava del controllo di tutte le
istituzioni della monarchia spagnola (Consiglio di Castilla, Consiglio d’Aragona, Consiglio delle
Fiandre, ...).
Il governo di Filippo II fu quindi caratterizzato da una grande complessità, dovette occuparsi di una serie di
problemi tra cui il conflitto con gli Ottomani nel mediterraneo; la ribellione nel 1566 dei Paesi Bassi; le
guerre civili-religiose in Francia tra il 1562 e il 1598; l’annessione (con al fine della casa di Avìs) del
Portogallo nel 1580; il conflitto con l’Inghilterra, ormai protestante, nel 1588 (Elisabetta aveva interesse ad
andare d’accordo con la Spagna, non voleva essere intromessa nelle guerre europee); i problemi di governo
dello scenario extraeuropeo.

Uno dei più spinosi problemi fu la Crisi dei Paesi Bassi, questa venne protratta fino alla metà del ‘600.
Le 17 province dei Paesi Bassi permettevano alle città di eleggere deputati da mandare negli stati generali
delle province, erano quindi presenti strutture collegiali, gelose delle proprie autonomie.
Da una parte c’era la questione religiosa: si diffonde il protestantesimo, dapprima il luteranesimo che però
non attecchisce, e poi in maniera molto più efficace il proselitismo calvinista a cui si unì una gran parte della
nobiltà fiamminga (sotto il governo di Filippo II che si dichiarava come difensore del cristianesimo dalle
eresie).
La frattura maggiore avviene quando le 7 Province Unite (da cui deriverà la nascita dell’Olanda attuale), con
l’Unione di Utrecht nel 1579, dichiarano la secessione dal sovrano considerato un tiranno e non più degno di
obbedienza; mentre le province del sud restano principalmente cattoliche.
D’altra parte, c’è poi la questione politica: negli stati generali e provinciali siedono da sempre i vescovi
(come esponenti della comunità). Filippo II in questo periodo si fa concedere dal papa la possibilità di
eleggere 18 nuovi vescovi ma questo provvedimento suscita da parte dei fiamminghi calvinisti malcontento.
I calvinisti non accettavano “l’idolatria” cattolica e agivano con la violenza, allo stesso modo facevano poi i
cattolici per rispondere alle eresie.
A partire dal 1567 viene inviato nei Paesi Bassi il Duca d’Alba, il quale attua, per volere del re, una politica
repressiva nei confronti delle eresie che scatena però una ribellione definitiva che diventa poi una vera e
propria guerra portando questo territorio in una situazione di crisi che durerà per 80 anni (solo alla fine della
Guerra dei Trent’anni la Spagna riconoscerà il governo legittimo delle sette province unite).

Anche la Francia precipita in una crisi profonda nella seconda metà del ‘500.
Esistono infatti due fazioni all’interno del regno: una prettamente cattolica mentre l’altra che abbraccia il
protestantesimo calvinista (gli ugonotti). Una lotta religiosa che si intreccia a problemi di tipo politico e
territoriale.
La morte di Enrico II di Valois lascia la regina Caterina de’ Medici in una posizione di debolezza poiché
muore anche dopo solo un anno anche l’erede maschio Francesco II, lasciando il potere al giovanissimo
Carlo IX sotto la reggenza della regina.
In questa fragile situazione politica si instaura una vera e propria guerra civile e religiosa, della quale si
ricordano eventi importanti come quello della “Notte di San Bartolomeo” con lo sterminio dei capi ugonotti
a Parigi. Questo conflitto diventa però internazionale: la Spagna non vuole che in Francia prendano il potere
i protestanti e allo stesso tempo i principi protestanti tedesco, l’Inghilterra anglicana ed i ribelli olandesi
sostengono gli ugonotti.
Il conflitto si concluse nel 1598 con l’Editto di Nantes.

In questo periodo le questioni politiche e religiose si intrecciano molto spesso in maniera inestricabile,
questo perché da una parte era in gioco la possibilità della salvezza per i cristiani cattolici che avevano il
compito di lottare contro le eresie ma d’altra parte la questione religiosa era spesso strumentalizzata per
scopi politici.
Es. Gli ugonotti non solo rivendicano la libertà di culto e di coscienza, ma anche quella proselitismo (ovvero
di diffusione del proprio culto) e quindi sottendono anche l’intenzione di creare un dominio che non sia solo
religioso ma anche politico.
—> unità 5

Gli stati e la Guerra dei 30 anni


La prima metà del ‘600 si caratterizza come un periodo di grande instabilità.
La pace di Augusta (1555) aveva stabilizzato la questione religiosa all’interno dell’impero, che era diventato
quindi biconfessionale, ma nella prima metà del ‘600 quest’area cade in un nuovo conflitto dagli Asburgo
cattolici che puntano ad ottenere un’egemonia a livello politico e religioso.
La Guerra dei Trent’anni (1618-1648) durò così a lungo per varie ragioni:
- ciascuno dei contendenti non aveva a disposizioni armi e denari sufficienti per piegare gli altri nessuna
azione militare fu tale da costringere gli altri ad una resa totale
- Complessità dei motivi e delle cause della guerra stessa
Alla fine, fu l’esaurimento dei contendenti che portò alla Pace di Westfalia (1648), con la quale si raggiunse
un nuovo concetto di equilibrio.

I motivi della Guerra dei Trent’anni:


1. Religiosi —> le confessioni temono lo sterminio religioso, questo panico porta alla politica d’armamento
9. Politici —> la perdita di libertà religiosa causa anche la perdita di indipendenza politica

Gli Asburgo attuano strategie diverse a seconda dei regnati:


- Ferdinando I (1556-15564) e Massimiliano II (1564-1576) permettono nei territori dell’impero una
relativa libertà di culto e proselitismo —> espansione della causa riformata (specialmente i calvinisti che
sono i più aggressivi e determinati)
- Rodolfo II (1576-1612) si rende conto che la situazione sta un po’ sfuggendo di mano e decide quindi di
difendere maggiormente i diritti della chiesa cattolica
- Mattia (1612-1619) deve combattere l’Unione Evangelica, un’unione creata nel 1608 dagli evangelici
minacciati, il cui capo era l’elettore palatino Federico V (uno degli elettori dell’imperatore, ma già altri
elettori erano passati dalla parte dei protestanti e quindi la figura dell’imperatore cattolico era in pericolo).
Il Duca di Baviera forma l’anno seguente la Lega Cattolica per combattere quella Evangelica. Sotto
l’impero di Mattia viene eletto Re di Boemia (1617) l’Arciduca d’Austria Ferdinando II, che poi diventerà
imperatore; i protestanti temono questo re che vieta per esempio la costruzione di templi calvinisti. Fino a
quando nel 1618 una parte della nobiltà boema lo disconosce come re e chiama Federico II del palatinato
sul trono. Gli Asburgo non possono accettare questa azione perché se anche il voto della Boemia fosse in
mano ai protestanti 4 voti su 7 nell’elezione dell’imperatore non sarebbe più a favore dei cattolici
Asburgo. In realtà anche i protestanti si rendono conto che la loro situazione è a rischio e quindi
Ferdinando II d’Asburgo viene eletto imperatore anche con i voti dei protestanti.
L’impero va però destabilizzandosi e questa situazione preoccupa tutta l’Europa.
La vicenda che da inizio alla Guerra dei Trent’anni è la “Defenestrazione di Praga” che avvenne nel castello
di Praga occupato dai ribelli Boemi che buttano giù dalla finestra gli ambasciatori imperiali.

Comincia un conflitto diviso in quattro fasi:


1. Boemo-palatina, la Boemia ed il Palatinato Renano (protestantesimo in versione calvinista)
10. Danese
11. Svedese negli anni ‘30
12. Francese o franco-svedese, che è l’ultima potenza che interviene contro l’impero e la potenza spagnola
Nessuna delle fasi è risolutiva, bisogna aspettare trent’anni appunto perché il conflitto si finalizzi.

1° fase: Boemo-Palatina 1618-1624


Dopo la ribellione dei calvinisti boemi, l’imperatore prende le armi contro questi ed ottiene l’appoggio
spagnolo (hanno anche ripreso la guerra contro gli olandesi e non possono permettersi che l’impero cada
sotto i principi tedeschi). Con questa fase si crea un blocco asburgico potentissimo, che costituisce come al
tempo di Carlo V una minaccia di egemonia per tutta l’Europa (anche per gli stati cattolici come la Francia).
Questa fase vede il trionfo degli Asburgo (che sfruttano il passaggio spagnolo della Valtellina) e la sconfitta
di Federico V che viene privato della dignità elettorale che viene invece concessa a Massimiliano di Baviera
(fedele alleato cattolico dell’imperatore).

2° fase: Danese (1625-1629)


La Danimarca ha degli interessi, anche di tipo confessionale (sono protestanti luterani), che la legano alle
Province Unite d’Olanda, ma soprattutto per un motivo economico (la flotta olandese pagava pedaggi alla
Danimarca). Gli olandesi stessi finanziano Cristiano IV di Danimarca affinché questo intervenga contro la
potenza asburgica.
Anche questa fase vede la sconfitta dei protestanti e Ferdinando II emana l’Editto di Restituzione (1629)
grazie al quale tutti quelli che avevano occupato possidenti della chiesa dopo la Pace di Augusta devono
restituirli, questo colpisce sia protestanti che cattolici e non verrà veramente rispettato.
Con la Pace di Lubecca dello stesso anno Cristiano IV di Danimarca è costretto a ritirarsi.

3° fase: Svedese (1630-1634)


La Svezia era un’altra potenza luterana che interviene finanziata da francesi ed olandesi.
L’intervento di Gustavo II Adolfo di Svezia muta la situazione, egli mira ad un controllo del baltico e vuole
riequilibrare l’interno dell’impero a favore della causa protestante.
Questa è la fase più atroce della Guerra dei Trent’anni che devasta la Germania.
La pace di Praga (1635) segna la riconciliazione degli elettori protestanti di Sassonia e Platinato con
l’Imperatore.
Gustavo Adolfo muore in battaglia lasciando un vuoto polito ma il suo esercito segna un momento di
cambiamento, è un moderno esercito “interarmi” che supera la lentezza dell’esercito spagnolo.

4° fase: Francese (1635-1648)


Il governo francese comandato dal Cardinale Richelieu, ministro di Luigi XIII, riesce a stroncare
l’opposizione degli ugonotti francesi e successivamente prende le difese dei protestanti ed interviene con la
grande alleanza antiasburgica. Questo perché Richelieu vuole conquistare le Fiandre cattoliche, poiché li
considera quasi come confini naturali della Francia.
La monarchia spagnola va esaurendo le proprie finanze e mezzi e cominciano ad esserci anche delle
secessioni interne (Portogallo e Catalogna) che creano nuovi fronti interni che “distraggono” gli Asburgo di
Spagna dalla questione tedesca.
Nel frattempo, muore Ferdinando II e gli è successo il figlio Ferdinando III che avvia trattative di pace con
Francia e Paesi Bassi. Quindi la guerra si esaurisce non per una vittoria schiacciante ma più che altro per un
esaurimento delle risorse delle forze belligeranti.

Finalmente si arriva alle Paci di Westfalia (1648), per cui nasce un’Europa multipolare, fatta di molti stati
connessi tra loro ma con i propri diritti e sovrani (così nasce il concetto di Europa moderna, fatta appunto di
una pluralità politica, religiosa e culturale).
Il SRI è ancora uno spazio ancora molto frammentato e debole e le sue 350 unità territoriali possono essere
governata in modo semi-indipendente, purché la loro politica non vada contro quella dell’impero stesso.
Ed i diritti che erano stati riconosciuti ai luterani vengono conferiti anche ad i calvinisti.
La repubblica delle Province Unite, così come la Confederazione Elvetica vengono riconosciute come
indipendenti.
Le Paci di Westfalia riguardano decine di stati tra cui: Brandeburgo-Prussia, il cui principe è uno dei 7
elettori imperiali protestante, questo ottiene territori come la Pomerania orientale ed alcuni stati della
Renania, territorio strategico di passaggio; la Svezia estende il suo dominio sull’area baltica; la Francia vede
riconosciuti una serie di Ducati di Metz, Toul e Verdun in Lorena e una parte dell’Alsazia.

L’imperatore vede quindi ridimensionati i suoi territori ma non è ancora il momento del declino della
potenza imperiale asburgica, nonostante questi siano indeboliti dall’ennesima avanzata turca che raggiungerà
Vienna.

Le Paci di Westfalia ridimensionano il concetto di equilibrio europeo, che verrà riconosciuto da questo
momento in poi.
Tramonta invece la concezione confessionale della politica che aveva segnato la storia della politica
cattolica.

LE SCOPERTE GEOGRAFICHE E LA DILATAZIONE DELL’ECONOMIA


Secoli XV - XVIII

“Economia mondo”, un concetto che esiste già alla fine del ‘500.

Il nuovo mondo, gli europei, le altre civiltà


Il nuovo mondo viene “scoperto” dagli europei alla fine del 1400, nonostante non fossero gli unici ad avere
le conoscenze e le possibilità per farlo; altre civiltà, come Islam e Cina, avrebbero potuto farlo.

La Cina possedeva un territorio comparabile a quello europeo, era sotto la dinastia Ming che aveva dato una
certa coesione a questi vasti possedimenti; possedeva poi conoscenze cartografiche e nautiche; aveva già
esplorato l’Oceano Indiano; ma nonostante ciò i cinesi si ritirano, questo perché sul piano culturale e mentale
il popolo o cinesi si sentiva già auto-sufficiente e si configura come un popolo chiuso nei confronti
dell’estero (la Grande Muraglia è l’emblema di questa chiusa anche a livello territoriale e di confini).

L’Islam ottomano tra 1400 e 1500 vive una fase di grandissima espansione, ma proprio perché questo si è
insediato in una posizione strategica tra i tre continenti, punto di arrivo anche delle merci e dei beni (spezie
orientali, oro, avorio e schiavi africani, ...) non ha bisogno di cercare nuovi territori.

Gli Europei sono invece spinti ad uscire dai propri confini: da una parte a causa della compressione dei
possedimenti europei a causa delle conquiste dell’impero ottomano (blocco arabo-ottomano blocca tutte le
vie di mediazione con l’Oriente e costringe i mercanti europei a pagare pedaggi molto cari); dall’altra per la
crescita demografica sviluppatasi dopo la crisi causata dalla Peste Nera; c’è poi il proselitismo della fede
cristiana.
Gli stati europei ebbero un ruolo fondamentale in questo grande successo europeo, fornirono infatti alle
colonie supporto politico-militare ma anche economico per poter finanziare le ricerche e le spedizioni,
ascende infatti in Europa lo stato fiscale-militare.
Il mercantilismo fu una delle politiche più diffuse tra il ‘600 ed il ‘700, era volta ad accaparrarsi più risorse
possibile per la Madre Patria (pietre e metalli per esempio) affinché venissero lavorati e poi rivenduti come
manufatti, protetti da una politica doganale nazionale.

Il Portogallo e la Castilla su nuove rotte (sec. XV - XVI)


Il Portogallo fu il primo a spingere per la ricerca di nuove rotte.
Nel 1498 arrivarono infatti nelle acque africane e poi in Indonesia saltando il blocco arabo-turco e
approvvigionandosi direttamente con spezie, che venivano prodotte proprio in questi luoghi.
La commistione tra brama di proventi e il proselitismo cristiano avviene per la prima volta con Vasco da
Gama che doppia il Capo di Buona Speranza e arriva in India, chiedendo se esistono le spezie ed i cristiani in
quei luoghi.
Dall’inizio del 400 la dinastia portoghese degli Aviz si interessa dell’esplorazione delle coste africane
(ancora prima dell’interesse generale europeo in questa direzione). L’Africa contiene una quantità di beni
grandissima e il Portogallo comincia quindi ad esplorare nell’arco di tutto il secolo le coste partendo da
Ceuta (Africa occidentale), passando per l’Isola di Madeira (dove vengono coltivate le canne da zucchero), le
Azzorre, le Isole di Capo Verde fino ad arrivare al Capo di buona Speranza. Qualche anno dopo Vasco da
Gama doppia questo capo spingendosi verso l’Oriente e nel 1509 viene sbaragliata la flotta del sultano
mamelucco, aprendosi definitivamente la via delle spezie.

Pedro Alvarez Cabral nel 1500, uscendo dalla rotta arriva a toccare Cabo de San Roque in Brasile ma
l’America resta, per quel periodo, ancora marginale negli interessi portoghesi.
L’impero coloniale portoghese è focalizzato su Africa ed India da cui arrivano schiavi, oro, sale, spezie,
materie agricole, ...

La corona portoghese preleva il 30% dei prodotti mentre il 70% spetta ai finanziatori delle spedizioni; tutti i
prodotti finiscono ad Anversa (centro dei traffici intercontinentali), il più grande mercato internazionale,
dove vengono scambiati con merci provenienti da tutto il resto del mondo.

Castilla è governata da Isabella di Castilla e Ferdinando d’Aragona, che mettendo fine alle guerre contro la
potenza islamica possono fornire finanziamenti a Colombo che partirà per il famigerato viaggio alla scoperta
delle Inde.
Isabella si configurò come protettrice degli indios, fino al momento della morte, il suo compito era quello di
evangelizzare questi popoli ma senza alcun atto di violenza e costrizione. Questa voleva che gli abitanti delle
Indie fossero tutelati nella persona e nei beni.

Cristoforo Colombo (1451-1506) parte in cerca di oro e risorse per la monarchia e per favorire la “crociata2
contro l’Islam.
Compì quattro viaggi; durante il primo, nel 1492, fece tappa alle Isole Azzorre, approdò nelle Antille
(Caraibi), navigò per le isole di Santo Domingo e Cuba e poi tornò. Successivamente Colombo allarga la
conoscenza dell’area caraibica ma in generale di tutta l’America centrale ed in parte anche meridionale.

Egli era comunque convinto di essere arrivato nelle Indie, il primo che si rese conto dell’errore fu Amerigo
Vespucci, dal quale il continente prende appunto il nome.

Le spedizioni di Colombo sono seguite dalla monarchia e allo stesso tempo dalla chiesa, Papa Alessandro VI
afferma l’importanza dei buoni costumi e dell’evangelizzazione (tramite due bolle ai sovrani spagnoli).

Il Trattato di Tordesillas, il primo trattato di spartizione del globo (1494) divide i territori tra spagnoli e
portoghesi grazie al meridiano che passa per le isole di Capo Verde, ad est è presente l’area di influenza del
Portogallo, ad ovest di questa linea potrà espandersi la Spagna.
A partire da questa spartizione si svilupperanno i primi due grandi imperi coloniali della storia moderna.

L’impatto che questi viaggi ebbero sulle popolazioni indigene (amerindi) fu rivoluzionario. L’arrivo degli
europei interrompe l’isolamento americano. Questo isolamento aveva segnato differenze biologico
importanti, sia per gli umani, che per gli animali. Allo stesso tempo il livello di cultura delle popolazioni del
nuovo continente era molto più arretrato.
L’impatto peggiore fu però quello microbico: gli americani, privi degli anticorpi degli europei, subirono una
serie di malattie che si verificano letali per questi.
Nonostante queste problematiche, l’avvento degli europei a lungo andare fu vantaggioso per gli americani;
questi uscirono veramente da quel loro isolamento (vennero importate nuove tipologie di piante, tecniche
come quella della lavorazione del ferro, tecnologie come l’aratro e la ruota, la loro agricoltura era arretrata e
distruttiva).
L’accusa di genocidio (questione della “Leyenda negra”) che gli iberici avrebbero compiuto ai danni degli
amerindi non è storicamente corretta: il picco della mortalità si deve allo shock microbico che fece strage
delle popolazioni indigene. Solo con il passare del tempo quello delle malattie divenne un problema meno
centrale.
Anche la “leggenda rosa”, che rappresentava il nuovo mondo come un eden, un paradiso terrestre è in realtà
incorretta.

Hernàn Cortès venne inviato per una spedizione all’interno del continente, nel cosiddetto Yucatàn (odierno
Messico), qui gli spagnoli avrebbero voluto stabilirsi.
Nello Yucatàn sbarcano circa 600 uomini e si trovano a contatto con una natura totalmente diversa e
selvaggia e con l’impero Azteco, bisogna quindi chiedersi se fu effettivamente possibile lo sterminio da parte
di questi conquistadores di una popolazione di milioni di persone.

La realtà dell’America precolombiana e l’organizzazione della conquista

- Lo Yucatàn era in mano al popolo Azteco (o Mexica), caratterizzato da un’organizzazione economica,


sociale e religiosa noti.
Gli Aztechi dominano su una serie di popoli alleati o vassalli (anche schiavizzati), la stessa civiltà Maya era
stata assorbita e distrutta da quella azteca.
Nel secondo ‘400 era diventato prassi il sacrificio umano in onore di pantheon di divinità terribili, non solo i
prigionieri di guerra ma anche la stessa popolazione veniva immacolata sugli altari di queste divinità.
Il loro dominio era quindi caratterizzato da tirannia e atrocità si praticava anche il cannibalismo ad esempio).
D’altra parte, la loro architettura fu molto florida (La città di Tenochtitlán ne è un esempio).

Il successo dei conquistadores fu dovuto anche dall’appoggio delle popolazioni sottomesse dagli Aztechi,
che aiutarono (per esempio nella sopravvivenza, per conoscere meglio il “nemico”) quindi gli europei per
liberarsi dall’oppressore autoctono.

- Tra Perù, Bolivia e Chile erano presenti gli Inca; qui vennero inviati Pizarro e Diego de Almagro
accompagnati da soli 200 uomini. Anche qui gli spagnoli sfruttarono gli aiuti ed il supporto locali e
stabilirono un nuovo dominio con le collaborazioni di molti popoli liberati.
La dinastia Quechua domina sugli Inca e anche qui la situazione è decisamente arretrata. I conquistadores
arrivano quando è in corso una lotta interna per la successione al trono e, sfruttando questa situazione fragile,
riescono a stabilirsi e in una trentina di anni ad appacificare questa vasta area.

Il tema delle violenze degli europei, che ci furono soprattutto nel primo periodo, non è da sottovalutare.
Gli stessi spagnoli denunciarono queste violenze, prendendo le parti degli Indios e condannando atrocità
come lo sfruttamento e la schiavitù.
Vari interventi della chiesa, attraverso bolle e lettere, erano volti all’abolizione della schiavitù (che era quindi
presente) e favorivano anche le unioni, i matrimoni misti (dando vita al “meticciato”).
Allo stesso modo fece la monarchia con le leggi di Burgos e Valladolid (1512-1513), volute da Ferdinando il
cattolico, in cui veniva ribadito come gli Indios fosse persone libere e che di conseguenza non potessero
subire la schiavitù e lo sfruttamento, che le terre in loro possesso non potessero essere sottratte.

Nei decenni del ‘500 i domini vennero organizzati dalle corone spagnola e portoghese.
Lo Stato era quindi presente all’interno delle proprie colonie e gli stessi Indios vi facevano riferimento.
La presenza dello stato era anche a livello commerciale, aveva infatti una sorta di monopolio: la Spagna
prelevava circa un quinto delle merci che arrivavano a Siviglia e a Cadice (Casa de la Contrataciòn) e allo
stesso modo faceva il Portogallo a Lisbona (Casa de India) trattenendo il 30% delle importazioni.
Le dinamiche economiche
L’argento segue una storia un po’ differente perché la scoperta dell’America segno una vera e propria
rivoluzione in questo ambito. In Europa i metalli preziosi, l’argento in particolare, scarseggiavano, mancava
quindi la liquidità per gli scambi (questi metalli erano usati come moneta di scambio).
Gli spagnoli trovarono da subito nel nuovo continente grandi riserve d’argento soprattutto tra Messico e
Bolivia e grazie alle nuove tecniche di estrazione riuscirono a portare in Europa una grandissima quantità di
argento.

Dall’ovest arriva l’argento americano, che non si ferma però in Europa ma arriva in Estremo Oriente, dove
viene impiegato per saldare i debiti delle merci, come spezie, te, tessuti, porcellane, ...

Tra il 1600 ed il 1700 circa l’85% dell’argento e il 70% dell’oro (viene quasi tutto dal Brasile portoghese)
mondiali sono estratti in America.

Dall’America non arrivano però solo i metalli preziosi, qui trovano infatti un ambiente molto favorevole
moltissime coltivazioni come la canna da zucchero, il caffè (originario dell’Etiopia), l’indaco, il cotone ma
anche piante per la produzione di legname e piante alimentari diverse.
Avviene poi una rivoluzione anche a livello dell’alimentazione, si diffondono una serie di alimenti
propriamente americani come mais, patata, pomodoro, cacao, girasole, peperoncino, tabacco, arachide,
barbabietola e nuove varietà di zucca e fagiolo. L’afflusso di queste coltivazioni in Europa fu una delle
componenti della crescita demografica dei secoli successivi.
Il mais è sicuramente la pianta più importante, crea una vera e propria rivoluzione nell’alimentazione
europea.

Dall’Oriente arrivano invece te, riso, gelso (per produrre autonomamente la seta), canna da zucchero e una
vastissima gamma di spezie.

I costumi alimentari cambiarono in seguito all’introduzioni di questi nuovi alimenti: il consuma di caffè e
cioccolata divenne una vera e propria moda. Il caffè era più a buon mercato, la cioccolata (da bere), il
cosiddetto “cibo degli Dei”, era invece un consumo di lusso, era molto costosa e perciò riservata all’élite.

L’altra colonizzazione: Olanda, Francia e Inghilterra


La Repubblica delle Province Unite, indipendente dalla Spagna, divenne una potenza mercantile e marittima.

In generale la colonizzazione di queste potenze vede la prevalenza dell’iniziativa privata (al contrario dei due
stati pionieri, Spagna e Portogallo, dove l’ingerenza dello stato era molto forte).
Questi privati in America creano principalmente colonie di popolamento o empori di società commerciali
(unione di capitali privati che ottengono delle licenze dalla corona e hanno quindi campo libero in ambito
commerciale); gli stessi corsari hanno ottenuto “il permesso di corsa” dal governo e sono liberi quindi di
compiere azioni commerciali (compreso lo sfruttamento di schiavi) a patto di non danneggiare l’economia
dello stato stesso (i pirati non hanno invece licenza, non fanno gli interessi della corona).
Partivano vere e proprie compagnie che avevano moltissimi poteri nelle colonie; queste compagnie
raggiungevano principalmente l’India (“East India Company”), che inizialmente era monopolio portoghese e
successivamente divenne tappa fondamentale per gli olandesi.
Tra 600 e 700 cominciò una competizione tra Inglesi e i Francesi, finché tutta l’India passò sotto il controllo
britannico.
Ma sullo scenario planetario il vero competitore di spagnoli e portoghesi fu l’Olanda. I loro cantieri navali
diventano poli di eccellenza (lo stesso zar Pietro il Grande arrivò in Olanda per imparare l’arte della
carpenteria in questi cantieri).
Nel 1600 la flotta (vascelli a vela) olandese raggiunge il primato, con la formazione di compagnie che
acquistano quote nelle Borse; è così che la Borsa di Amsterdam diventa la più quotata di quegli anni,
sorpassando Anversa, che decadette.
Le navi olandesi trasportano qualsiasi materia, offrono e vendono anche le loro navi a tutta Europa, questo
perché gli Olandesi puntavano alla libertà nei mari.
Tra il XVII ed il XVIII secolo si parla di una fase matura di colonialismo (in cui comunque Spagna e
Portogallo mantengo un certo potere ma sempre più sono insidiati da queste nuove potenze emergenti), si
diffonde una nuova prassi di disciplina economica, quella del mercantilismo.
Il mercantilismo ha l’obbiettivo di creare ricchezza attraverso lo sviluppo del commercio e delle manifatture.
Deve crescere l’importazione delle materie prime, facendo crescere di conseguenza l’esportazione di
manufatti locali. Vengono adottate sempre più dottrine protezionistiche per tutelare la produzione dei propri
manufatti, scoraggiando l’acquisto di quelli provenienti da altre nazioni (un esempio di protezionismo fu
quello del “Colbertismo” in Francia).

Diventa sempre più fondamentale acquisire possedimenti coloniali, da una parte per le materie prime, d’altra
parte come nuovi luoghi per trasferire la sempre crescente popolazione.

Il mercantilismo è una forma di imperialismo politico ed economico, perché gli stati devono sviluppare
politiche di dominio e di contrasto rispetto ai concorrenti per potersi accaparrare sempre nuovi domini e
approvvigionamenti.
Cresce quindi la conflittualità tra stati europei a causa della questione coloniale (gli equilibri europei si
basano su questioni extra-europei).

Si sviluppano quindi verso la metà del ‘600 una serie di rotte per il commercio come la famosa rotta del
“commercio triangolare atlantico” che collegava America, da cui venivano prelevate le materie prime,
Europa, dove queste venivano lavorate e poi rivendute e Africa dove si acquisiva manodopera (spesso
schiavile).

La tratta negriera in età moderna fu un fenomeno globale che non riguardò solo l’Europa.
Ben prima dell’età moderna in Africa era diffusa la schiavitù, per i prigionieri di guerra, che venivano
venduti a mercanti arabi, ad altri africani o agli occidentali.
Gli Europei si inseriscono in questo traffico e lo portano a livelli inediti (tra il 1492 ed il 1888 vengono
deportati 12 milioni di africani nella tratta americana).

LA RIVOLUZIONE MILITARE
Guerre ed eserciti

La rivoluzione militare: armi ed eserciti


“Rivoluzione militare”: l'età moderna si apre e si sviluppa attraverso una vera e propria rivoluzione militare,
ciò significa che la guerra è mutata e con questa anche la società, la politica, l’economia, fino a segnare una
superiorità europea e poi in generale occidentale sugli altri stati.

I tre elementi fondamentali di questa rivoluzione furono:


1. La diffusione delle armi da fuoco sui campi di battaglia e l’artiglieria sulle navi
13. Difese bastionate
14. Aumento degli eserciti

Da una parte negli eserciti erano sfruttate le fanterie di picchieri, disposti in quadrati, che maneggiavano
queste aste di legno (lunghe dai 3 ai 6 metri), le picche. I picchieri divennero un elemento centrale di tutte le
fanterie, che dovevano essere però be organizzate e coordinate (gli ufficiali diventano coordinatori).
L’altro protagonista degli eserciti in età moderna è l’archibugiere, che utilizza l’archibugio. Quest’arma da
fuoco necessita un proiettile, una carica di lancio che faccia partire la sfera di piombo (polvere da sparo o
polvere grossa) e qualcosa che accenda la carica stessa (leve meccaniche legate ad una miccia con polvere
fine che provoca l’accensione della carica di lancio).
La fanteria cinque/seicentesca è formata da unità miste di picchieri ed archibugieri.
Tra il 1560 e il 1660 avvengono innovazioni importanti: si passa dai quadrati svizzeri ai “tercios” spagnoli
(eserciti misti di picchieri e archibugieri); suddivisione dei reggimenti in unità più piccole; riforme che
portano ad una trasformazione nella figura del soldato, che diventa disciplinato e compie le sue mansioni in
modo attento e professionale; passaggio dall’archibugio al moschetto con forcella (moschettieri).

La corsa agli armamenti ha varie conseguenze:


- aumento della logistica per i rifornimenti, è fondamentale quindi lo sviluppo della burocrazia e
dell’organizzazione dello stato (per reclutare e finanziare gli eserciti)
- Aumento dei costi e la conseguente trasformazione delle strutture fiscali dello stato
L’evoluzione dello stato va quindi di pari passo con l’evoluzione della guerra, c’è una stretta relazione tra la
formazione dello stato e l’attività bellica, tra il civile e il miliare.
L’Italia fu un polo importante in questa trasformazione.

Le armature mantengono una loro presenza, la cavalleria feudale va scomparendo e si fa strada una cavalleria
più leggera, spesso utilizzate anche come mezzi di rappresentanza (non solo come protezioni in battaglia).

Le artiglierie (i cannoni) sono una componente essenziale della potenza militare.


La conseguenza dell’avvento delle armi da fuoco sul piano architettonico ed urbanistico fu la costruzione di
vere e proprie cortine di mura più basse ma molto più rispetto a prima.
Queste difese bastionate (formate da due strati di muro con in mezzo un terrapieno, terra e materiali volti a
resistere al tiro delle artiglierie) avevano una forma a stella per controllare il territorio e difende meglio la
città.
La guerra cinquecentesca è in generale una guerra d’assedio ed è quindi chiaro come le nuove mitra
diventino una parte fondamentale della guerra stessa.
Nella cittadella risiede la guarnigione (militari perdentesi anche in tempo di pace).

La rivoluzione militare: navi e flotte


La marina fu il settore che contò il numero maggiore di innovazioni nella tecnologia, nella strategia, nella
tattica e nell’organizzazione.
Lo stato britannico esemplificò questa trasformazione, ovvero la rivoluzione delle organizzazioni statali in
funzione della guerra, con il concetto di “fiscal-naval state”.

L’evoluzione della marina in particolar modo nell’ambito mediterraneo seguì tre fasi distinte:
1. Epoca della galea (sec. XV-XVII)
15. Flotte miste di galee e velieri (sec. XVII)
16. Velieri (sec. XVII e prima metà XIX)

La galea è stata la nave militare per eccellenza per molti secoli, protagonista dei numerosi conflitti nel
Mediterraneo (intorno al 1500), presentava solo 2/3 pezzi di artiglieria a poppa o a prua, i combattimenti
avvengono a distanza ravvicinata tramite armi bianche.
Questa nave va a remi e vele (propulsione mista), è particolarmente adatta alla navigazione nel mediterraneo
soprattutto in primavera ed estate durante le bonacce poiché si muove anche in assenza di vento.
I rematori (da 150 a 250 uomini per galea) sono quindi una parte fondamentale di questa macchina. Esistono
due tecniche di voga: a terzarolo (ogni rematore ha un remo) o a scaloccio (un grande remo utilizzato da 5 o
6 rematori contemporaneamente).

La nave più grande in assoluto è la galeazza (erano poche, Venezia ne aveva circa 3 operative), una nave
molto massiccia ma anche lenta che portava a bordo più di 500 membri dell’equipaggio.

Le ciurme sono miste:


- Una parte di liberi rematori (braccianti del mare, hanno uno stipendio), il numero di questi variava a
seconda degli Stati
- Forzati (galeotti) per condanna penale (che poteva avere durate molto diverse), i condannati venivano
spesso venduti per lavorare sulle galee
- Schiavi
Le condizioni di vita è bordo erano terrificanti, per esempio i galeotti erano spesso costretti ad indebitarsi per
ricevere beni di prima necessita e dovevano così restare sulla galea più a lungo rispetto alla pena per poter
estinguere questi debiti.

Una delle più grandi battaglie navali della storia fu la Battaglia di Lepanto, 1571 (alla fine dello scontrò con
l’impero Ottomano), ma in generale in questo periodo tutti gli stati europei si attrezzarono con una flotta, per
poter anche aiutare l’impero in caso di necessità (lo fecero il Regno di Napoli, Genova, la Sicilia, la Toscana
e così anche i papi da Pio IV a Pio V).

Anche gli Asburgo di Spagna fecero riferimento all’Italia, per ricevere sostegno a livello marittimo: Genova
vendeva infatti navi all’Impero ma con queste anche interi equipaggi pronti a prestare servizio.

La galeotta è una tipologia di nave più piccola, molto veloce e facile da nascondere, adatta per accostare a
navi più grandi, derubarle e scappare velocemente.

Con l’avvento dei velieri (grandi navi a vela) cambia anche la disposizione tattica delle flotte, creando una
vera e propria linea di battaglia creando un fuoco lineare estremamente potente.

Dopo la battaglia di Lepanto (cessato l’estremo bisogno dell’impero di un alleato contro la potenza orientale)
comincia il declino delle marine italiane ponentine (di oriente, tranne Venezia che segue una storia
differente).

Tra il 1700 ed il 1820 l’Italia non è più la protagonista dello scenario marittimo ma acquista vascelli ed
equipaggi dalla nuova potenza, la Gran Bretagna.

La rivoluzione militare: finanze e società


L’aspetto finanziario è fondamentale nelle guerre, il denaro fa la guerra, alla fine vince chi ha più risorse.
Spesso gli stati si trovavano a dover prendere particolari decisioni finanziarie (es. rifare censimenti) proprio
nei momenti in cui si verificavano grandi spese militari.
I bilanci degli stati erano quasi interamente dedicati a spese militari e logistiche, questo perché il credito è il
“carburante” dell’apparato bellico. Il credito era fornito da finanzieri (imprese private specializzate nella
fornitura di crediti volti al mantenimento dell’esercito).

L’altro pilastro necessario per mobilitare risorse in guerra è il legame tra il sovrano ed i ceti nobiliari del
territorio.
Il sovrano ha costante bisogno dell’appoggio di famiglie importanti, si crea quindi una rete di legami
clientelari, di obblighi reciproci. Il sovrano ha una relazione personale con queste figure, egli svolge una
funzione di patrono (legami di patronato).
Il rapporto tra patrono e cliente prevede: la protezione da parte del sovrano (in cause giudiziarie per esempio)
e la concessione di onori e cariche, in cambio richiede obbedienza e disponibilità nel mobilitare uomini e
servizi per la guerra.

La guerra è legata quindi al consenso tra principe e élite nobiliari, il sovrano doveva quindi prestare costante
attenzione al malcontento di queste famiglie influenti che hanno una potenza capillare sul territorio.

Il consenso politico deve avvenire anche attraverso il coinvolgimento in corpi militari (es. distribuire posti
importanti negli eserciti alla piccola nobiltà con stipendi e privilegi), anche la guerra funge quindi a sua volta
da motore per la creazione di reti di fedeltà clientelare.

Il legame che c’è tra il capitano di una compagnia e i sottoposti è spesso un legame anche nella vita comune
e non solo in guerra, il capitano può essere un nobile locale che nel momento di una guerra raggruppa i suoi
sudditi e mette al servizio di un principe o direttamente del sovrano una piccola potenza militare.
ESEMPIO ITALIANO:
- Venezia: la Dominante (nobiltà marittima) lega a sé le nobiltà della terraferma veneta ma anche i miliziani
contadini che entrano a far parte delle Cernide
- Milano: Antonio de Leyva (luogotenente imperiale in Italia) ottiene dalla nobiltà milanese la fedeltà a
Carlo V (imperatore di Spagna) concedendo però la possibilità di continuare ad amministrare Milano
secondo il diritto visconteo-sforzesco.
- Carlo V e famiglie principesche italiane (durante il conflitto con la Francia), riesce ad ottenere un legame
stabile grazie anche ad una serie di promesse con i Doria genovesi, i Gonzaga di Mantova, i Savoia, i
Medici
In generale si creano quindi gerarchie clientelari tra Sovrano e nobiltà, queste a loro volta legate alle unità
territoriali sotto il loro controllo.

Andrea Doria, ammiraglio genovese, esempio di alleanza politico-militare con Carlo V. Passa da un legame
con la Francia ad un’alleanza con Carlo V per sconfiggere i barbareschi.

Il militare trasforma la società anche a livello della logistica delle città: nasce l’esigenza della creazione di
luoghi per le guarnigioni permanenti, vengono confiscate case disabitate inizialmente, nascono poi vere e
proprie caserme tra il ‘600 ed il ‘700.
Vengono creati anche uffici che si occupino della burocrazia militare.
L’esercito è una realtà cosmopolita e familistica, anche all’interno dell’esercito si instaurano legami
clientelari anche attraverso l’endogamia, cosa che consolida quindi l’unione all’interno del ceto militare
stesso.

La guerra ebbe chiaramente anche un impatto negativo sulla realtà degli stati moderni, danni diretti come
morti, uccisioni, distruzioni di abitati, mutilazioni; ma anche indiretti, la distruzione di infrastrutture, beni
alimentari provoca carestie, aumento della delinquenza ed un conseguente peggioramento delle condizioni
sanitarie della popolazione (diffusione di malattie).
Tra gli effetti positivi rientrano invece il forte sviluppo dell’attività economica (legato alle necessità
belliche), con l’aumento di posti di lavoro e lo sviluppo dell’edilizia e di innovazioni tecnologiche e la
necessità di beni e servizi consumati dai militari (ristorazione, sartoria, prostituzione, …).

LA RIVOLUZIONE PROTESTANTE
La riforma protestante: La riforma cattolica
Lutero è il frutto di una crisi della coscienza religiosa europea, avvenuta tra il ‘500 ed il ‘700.
Questa crisi trova diverse soluzioni, quella della riforma protestante è una di queste.
Il luteranesimo si diffonde a partire dall’epicentro sassone (come un’esplosione) verso Germania e
Scandinavia, in Polonia e nei Paesi Bassi si diffonde ma con un’intensità minore.
Il Calvinismo parte invece da Ginevra, si propaga in Francia, nei Paesi Bassi e in parte anche in Italia.
Rientra poi lo scisma anglicano avvenuto in Gran Bretagna, uno scisma innanzitutto politico e solamente per
gradi successivi ideologico e religioso.
L’Europa viene quindi a configurarsi come un territorio multiconfessionale: Luteranesimo, Anabattismo,
Zwinglianesimo, calvinismo, Anglicanesimo sono alcune tra le confessioni riformate più rilevanti.

La crisi in Europa riguardò le istituzioni, il clero e le sue autorità e della fede (nell’azione salvifica della
chiesa e di Cristo).
Prima di tutto, tra ‘400 e ‘500, avviene un mutamento nella percezione della chiesa, della chiesa appaiono le
gerarchie e i poteri ed il clero viene a distinguersi per le pratiche utilitaristiche e sempre più il “beneficium”
(proventi economici a cambio di un “officium”) viene conferito a figure di potere politico e sociale e non in
funzione di un servizio offerto alla popolazione.
Le istituzioni ecclesiastiche sembrano quindi divorate dai vizi e i fedeli cominciano ad interrogarsi su come
potranno in questo modo ottenere la salvezza.
La fede si slega dalla ragione e si va verso il fideismo, un abbandono cieco alla divinità senza ragione (è la
contro faccia del razionalismo puro).

Gli effetti di questa crisi furono diversi: da una parte si svilupparono sentimenti di solitudine, di angoscia
negli uomini disperati per la loro salvezza, questi sentimenti trovano rifugio nel culto dei santi, nella pietà
popolare (soprattutto della Vergine); d’altra parte si sviluppa un’esaltazione naturalistica paganistica,
secondo cui l’uomo non necessitava più di salvezza.

La crisi è globale e anche all’interno del cattolicesimo si sviluppa una riforma cattolica, indipendente da
quella luterana.
Nascono compagnie che si dedicano all’apostolato attivo (es. Compagnia del Divino Amore), per sostenere i
nuovi poveri; ma anche nel mondo ecclesiastico ci sono una serie di denunce dei vizi del clero; nacquero
nuovi ordini religiosi, dediti ad opere (es. Cappuccini e Barnabiti) ma certamente il Concilio di Trento fu
l’apice di questa riforma cattolica.

La Riforma protestante: Lutero


Lutero fu monaco agostiniano (1483-1546) che si svestì della propria carica e si sposò.
La riflessione di Lutero riguarda un tema importante: la corruzione che vide anche durante il suo viaggio a
Roma negli anni 10 del ‘500 nel comportamento di vescovi e cardinali e si interroga sulla possibilità di
salvezza.
Quello di Lutero è un pessimismo antropologico: l’uomo è schiavo del peccato, è incapace di operare il bene,
non è dotato di libero arbitrio; viene esaltata la fede pura, un abbandono completo a Dio.
Lutero trova una via per la salvezza: la riduzione soggettivistica e sentimentale della fede in Cristo, la
Chiesa, che è falsa, non esiste più, resta solo l’Io e le Sacre Scritture, le buone opere e la penitenza non
servono per salvarsi.
“Crisi e illuminazione di Lutero”, un testo in cui racconta la sua crisi di coscienza (nella sua stanza pieno
d’angoscia), si sente peccatore e continua rileggere un passo di san Paolo sulla “Giustizia di Dio” che parla
di un Dio giusto che punisce i peccatori. Vede la religione come una serie di leggi che condannano il
peccatore che si sente schiacciato.
Ad un certo punto arrivò l’illuminazione “Il giusto vive attraverso la fede”, ciò significa che Dio giustifica
per la fede. Lutero comincia ad intendere la Giustizia di Dio ma come una giustificazione (un perdono) del
peccatore da parte di Dio attraverso la fede. Solo leggendo le Scritture in modo personale la fede vera si può
sviluppare e solo così il fedele può raggiungere questa consapevolezza.

La Rivoluzione protestante: stampa e indulgenza


Le immagini furono uno strumento formidabile per la propaganda luterana.
La stampa segnò una discontinuità rispetto alle modalità di scrittura precedente a quella moderna supportata
dagli studi di Gutenberg.
La predicazione luterana si appoggiò ad una serie iconografica di grande efficacia, le opere di Lutero erano
illustrate da immagini che erano immediatamente percepite dagli analfabeti.
In queste tavole venivano illustrati personaggi importanti del tempo (Papa Leone x che finisce all’inferno,
rappresentato come un asino, Papa come Giuda Iscariota), critiche alla falsa chiesa rappresentata come un
inferno, …
Erano tutte illustrazioni che rappresentavano la chiesa di Roma come grottesca, violenta, diabolica.

Avviene quindi una rottura definitiva dei protestanti che non riconoscono più il Papa come successore di
Pietro, non riconoscono più la Sacra Tradizione (amministrazione da parte dei papi, che interpretano le Sacre
Scritture).
Il luteranesimo si baserà quindi esclusivamente sulla Scrittura sola.

I protestanti negano poi il valore delle opere buone e l’importanza dell’indulgenza.


L’indulgenza è la remissione della pena temporale per i peccati che avviene nel Purgatorio, per espiare
peccati già perdonati da Cristo. Per acquisire questo beneficio deve pentirsi, confessarsi, fare la comunione e
recitare una serie di preghiere e solo dopo questo percorso spirituale può compiere opere caritatevoli.
Al tempo esistevano persone che abusavano di questa preghiera per i vivi e per i morti, ingannando fedeli e
vendendo indulgenze (Simonia).
Lutero nega tutto ciò, lo considera come un’attività del tutto malefica.

La Rivoluzione protestante: Anabattisti, Zwingli e Calvino


Le altre importanti denominazioni del protestantesimo europeo furono:
- Anabattisti: “nuovi battezzati” perché praticano il battesimo per gli adulti, che hanno ricevuto
un’illuminazione interiore grazie all’impatto con la scrittura personale, sono quindi una Società dei
perfetti che ha un carattere elitario. Gli Anabattisti si diffondono nella Svizzera tedesca e in parte della
Germania, l’epicentro fu a Munster, in Westfalia e l’esponente maggiore fu Giovanni di Leida. Questa
Società dei perfetti compiva rivendicazioni spesso violente e Lutero stesso si convinse delle necessità di
sterminarli.
- Zwingliani: nati dalle prediche dell’ex sacerdote umanista Uldrych Zwingli, questo arriva ad una teologia
razionalista in cui i sacramenti sono puro simbolismo, egli fa proseliti nella Svizzera tedesca e nel suo
scritto principale “Fidei ratio”, nega il dogma della transustanziazione, si scaglia sul culto delle immagini
profane.
Lutero, così come i Cattolici li avversano e perciò si arriva ad una lotta armata, in cui Zwingli stesso muore.
- Calvinisti: il calvinismo predica la Sola Fide ed enfatizza la decisione imperscrutabile di Dio di donare la
salvezza o la dannazione, a prescindere dalle buone azioni dell’uomo.
La doppia predestinazione indica la decisione di Dio riguardo la seconda morte, la decisione di concedere la
salvezza o la dannazione eterna.
La società calvinista vede la presenza di alcune figure importanti: rientrano nelle istituzioni ecclesiastiche il
concistoro (assemblea), predicatori o ministri che conoscono bene la Bibbia, dotti incaricati di insegnare. Il
rigorismo morale è estremo perché l’eletto, chi ha ottenuto la benedizione di Dio non può permettersi di
peccare.
A Ginevra si creò l’epicentro del Calvinismo, dove avviene l’episodio del Rogo di Michele Serveto, un
medico spagnolo antitrinitario (nega che Dio sia uno e trino) da parte dei Calvinisti.
John Knox, scozzese calvinista, rientra in patria per predicare sotto il regno di Mary Stuart, rimasta cattolica
mentre parte della nobiltà scozzese aderisce alla riforma presbiteriana e la regnante è quindi costretta a
cedere il trono al figlio James V, di appena 5 anni. Mary Stuart verrà fatta decapitare in Inghilterra nel 1587
da Elisabetta I, rimasta fedele al protestantesimo.
Anche in Francia avviene un terremoto simile a causa degli Ugonotti, protestanti calvinisti francesi che
crearono una contro-cultura tra i papisti, questo perché i motivi religiosi diventavano spesso poi anche
culturali e politici.

La Rivoluzione protestante: l’anglicanesimo


Enrico VIII volle lo scisma Anglicano per poter riconoscere la Chiesa d’Inghilterra.
Lo Scisma, ovvero il distacco dalla Chiesa di Roma, venne fatto dichiarare nel 1534 con l’Atto di
Supremazia. Il clero ed i membri del parlamento dovettero giurare fedeltà al Re, ora anche Capo della Chiesa
anglicana.
Nei primi anni la Chiesa inglese non aderisce in toto alle idee protestanti ma proseguì in maniera pragmatica,
la Chiesa inglese resta gerarchica, con i suoi arcivescovi (di York e Canterbury), gran parte dei monasteri
vengono soppressi e le ricchezze sfruttate per creare una nuova rete di fedeli al sovrano.
“Fidei defensor”, così era chiamato il sovrano inglese, un titolo attribuito dal Papa ad Enrico VIII quando
questo scrisse un libello che riconfermava la dottrina dei 7 sacramenti (contrario di quello che avevano fatto i
protestanti), un titolo papista che venne, ciò nonostante, mantenuto dai sovrani inglesi.
Thomas More accompagnò il sovrano in questa scrittura, così come nella difficile questione del matrimonio,
che venne nominato Cancelliere inglese ma che da cattolico persistette nel negare questo annullamento del
matrimonio e che venne condannato a morte con l’accusa di tradimento.
Lo Scisma non sembrò definitivo alla morte di Enrico VIII e del figlio Edoardo VI, salì infatti al trono Mary
Tudor (figlia del primo matrimonio con Caterina d’Aragona), il cui regno fu improntato al ristabilimento di
uno Stato cattolico. Con la morte di Maria la sanguinaria, i membri del parlamento vollero l’elezione di
Elisabetta I (nata dall’unione con Anna Bolena), con la quale avvenne un distacco dell’Anglicanesimo.
In Inghilterra l’Anglicanesimo sembrò il progetto preciso di un’élite politica che aveva obbiettivi di
convenienza.
Le vicende religiose legate al regno di Elisabetta I furono stragi di cattolici rimasti fedeli a Roma, così come
la nuova proposta del giuramento anglicano; chi non giura è dichiarato traditore (lesa maestà).
Elisabetta procede per gradi perché non vuole entrare in conflitto con le potenze cattoliche, sfrutta però
strumenti di convinzione come multe a chi non presenzia alle funzioni anglicane, torture per interrogare
sospetti dissidenti, confische, decapitazioni, …
Filippo II, sovrano spagnolo, agirà solo dopo la decapitazione di Mary Stuart sotto la pressione dei Papi che
voleva invece intervenire in questa situazione.
La fede diventa comunque sempre più protestante, si diffonde una fedeltà sia politica che religiosa al sovrano
inglese.

La Rivoluzione protestante: il Concilio di Trento


Il Concilio di Trento (1545-1563) segna il compimento della riforma cattolica.
Viene aperto da Paolo III Farnese e dura 18 anni con varie interruzioni.
Il concilio tridentino emanò una serie di decreti:
- Ribadì la tradizionale versione cattolica della Rivelazione tramandata nelle Scritture ma anche nella
tradizione apostolica, ovvero nella trasmissione diretta di questa attraverso generazioni
- La fede è fondamentale ma allo stesso tempo lo sono le opere buone, serve una collaborazione attiva da
parte dell’uomo possibile grazie al libero arbitrio
- Dottrina dei 7 sacramenti, grazie ai quali Cristo si rende presente
- Il Clero viene rinnovato, i Vescovi hanno l’obbligo di residenza, devono curare la propria diocesi, deve
essere istruito perché il buon clero crea un buon popolo; vengono creati seminari per la formazione del
clero ed ai parroci vengono date sempre più incombenze.

I sette sacramenti scandiscono quindi la vita di un cattolico, dal battesimo, alla confessione (un colloquio
intimo tra l’anima del fedele e Dio, qui viene inventato il confessionale), la transustanziazione
nell’Eucarestia.
Il rinnovamento della fede cattolica avviene anche attraverso altri canali: “Professio Fidei Tridentinae”, dove
si ripetono queste nuove regole fondamentali; il controllo della stampa da parte della Chiesa, che stabilisce
un Indice dei libri proibiti, divieto della traduzione della Bibbia in volgare.

Questi aspetti di controllo e repressione portano ad un’autentica Controriforma, l’edificazione di queste


strutture repressive.
Il principale baluardo fu l’Inquisizione Romana, la Congregazione del Sant’Uffizio, cardinali al vertice di
una struttura inquisitoriale che si stendeva fino alle piccole diocesi.
Questo tribunale si occupa del reato d’eresia, ovvero il peccato spirituale e civile. Lo scopo era quello di
riportare le persone alla verità.
Il Sant’Uffizio era l’autorità a cui tutti facevano riferimento, prevedeva procedure rigorose e pene rigide, nel
caso di ostinazione degli imputati, gli eretici venivano abbandonati alle magistrature civili che erogavano
pene di morte.
L’inquisitore (giudice) fu una figura importante, che doveva istruirsi e si trovava a valutare casi di pratiche
magiche, lottando contro le superstizioni.

La svolta tridentina ebbe un risultato positivo, gettò le basi per una profonda cattolicizzazione di territori
europei, si sviluppò anche una nuova educazione cristiana.

CONFLITTI EUROMEDITERRANEI
Cristiani ed Islamici

Conflitti euromediterranei: Cristiani e Islamici (secoli XV-XVIII)


Maometto II diventa Sultano nel 1451, in questo momento l’Impero Ottomano non occupa nemmeno tutta la
penisola anatolica, una parte era sotto l’emirato karakanide.
L’impero ottomano era comunque una potenza importante tra i tre mari (Mar di Marmara, mar Nero e
Mediterraneo) a fronte di ciò che rimaneva dell’impero bizantino, che restava una presenza scomodo
soprattutto a livello geografico e commerciale.
La Caduta di Costantinopoli nel 1453 fu un evento periodizzante perché le potenze occidentali si rendono
conto che il potere islamico si sta espandendo e va quindi minacciando la cristianità.
Maometto II riuscì a circondare la Città, entrando anche nel Corno d’oro, e a sottometterla e l’ultimo
Basileus cade in battaglia.
Maometto trova un accordo con la chiesa ortodossa per avviare un periodo di pacificazione e rifonda
Costantinopoli con il nome di Istanbul.
Riprendono rapporti fruttuosi con le potenze latine, per esempio con le città di Venezia e Genova che
ripresero il commercio in quei luoghi.

Maometto II riesce a conquistare un vastissimo territorio in davvero poco tempo, qualcuno resiste, come ad
esempio il Regno d’Ungheria che crea una resistenza.
Vlad III di Valacchia fu un esempio di questa resistenza, attuò il terrorismo bellico, sfrutta la pratica
dell’impalamento.
Morto Vlad le razzie turche dilagano, arrivano anche in Italia (Venezia deve pagare un tributo enorme per
ritrovare la pace), attraverso l’Albania entrano anche nel Regno di Napoli.

L’Europa trema poiché i turchi dilagano ed hanno un esercito molto organizzato fondato sui giannizzeri, un
vero e proprio ceto di fanti d’élite.

Nel 1480 i Cavalieri di Rodi (monaci guerrieri di prim’ordine, prima a Gerusalemme) non pagano i tributi,
questi resistono anche all’assedio da parte del sultano.

Alla morte di Maometto c’è un rallentamento fino al regno di Selim I che conquista l’Egitto (prima sotto i
mamelucchi), diventando custode dei luoghi sacri.

L’apogeo dell’Impero arriva con Solimano I, il Legislatore, le sue campagne furono strepitose ed
inarrestabili.
La caduta di Belgrado (1521) permette la conquista dei Balcani, il Sultano controlla politicamente tutta
questa zona immensa.

Contemporaneamente tutta l’Africa settentrionale cade in mando ai corsari barbareschi, che spesso agivano
per conto del sultano.

Conflitti euromediterranei: percezione, realtà e schiavitù


La percezione del nuovo gigante geopolitico, Il Turco, era quella di un’alterità antagonista e minacciosa per
gli europei.
Gli occidentali dell’epoca si interrogano per capire come si è arrivati a questa situazione: l’impero turco
sembra un monolite, è forte di un’obbedienza incondizionata da parte di tutti i suoi sudditi.

La vittoria cristiana a Lepanto nel 1571 ebbe un impatto psicologico importantissimo, in quasi tutte le città
europee suonarono le campane: il nemico turco non sembrava più invincibile.
Dopo Lepanto il mediterraneo occidentale resta una zona contesa, soggetto ad una guerra debole, una guerra
fatta di incursioni corsare.
L’ultimo grande assedio di Vienna nel 1683 fallisce e da quel momento c’è un’inversione di tendenza: le
potenze europee iniziano a contrattaccare e a porre fine all’egemonia ottomana.

Per secoli il turco fu visto come motivo di terrore, fonte di invincibilità contrapposto all’Europa, ormai vista
come spazio assediato.
I Turchi erano il più esotico dei popoli vicini ma anche i più simili tra i popoli lontani, questi sono nemici
irriducibili, a livello politico, religioso e sociale.
Questo valeva anche per gli islamici, gli infedeli convertiti ottenevano la cittadinanza, la sottomissione
prevedeva il pagamento di tributi, la resistenza prevedeva la distruzione.

Avvenne quindi chiaramente uno scontro di civiltà ma questo non impedì scambi, contaminazioni e contatti
profondi.
I rinnegati/convertiti, che furono decine di migliaia, così come gli schiavi presero parte a questo fenomeno di
intermediazione tra popoli.
I rinnegati, ovvero gli ex cristiani convertiti all’Islam, non si convertivano a causa del proselitismo che non
era praticato dagli islamici e quindi inizialmente venivano messi alla prova per testare la loro fedeltà.
Esistono moltissimi esempi di rinnegati, come il corsaro calabrese Ucciallì (Giovanni Dionigi).

La schiavitù fu sia da parte degli islamici così come da parte dei cristiani. La buona parte erano prigionieri di
guerra costretti al remo o ai lavori forzati.
I prigionieri cristiani erano lavoratori da sfruttare, investimenti per richiedere riscatti, le donne riguardavano
una parte importante di questo mercato.
In questo periodo nacquero ordini, comunità religiose che raccolgono notizie sui prigionieri, che si occupano
di liberare i prigionieri o della sepoltura degli stessi.
Dalla schiavitù si poteva anche uscire grazie al riscatto, allo scambio, grazie ad uno scontro militare, alla
fuga o all’abiura della propria fede.

L’ITALIA E I SUOI STATI


La civiltà italiana
L’Italia e i suoi stati: civiltà e geopolitica
È giusto parlare di storia italiana anche in riferimento a tutti gli avvenimenti precedenti all’Unificazione del
1861, quando Vittorio Emanuele fu nominato Re d’Italia.
Prima di questa data esisteva già un’identità italiana, l’Italia era una civiltà policentrica con tratti comuni:
- Il quadro ambientale peculiare: l’Italia è chiusa dalle Alpi e dal Mediterraneo
- Lo spazio etnico-culturale: si parlava di Italia ed italiano già nel ‘400
- Sistema politico-diplomatico incentrato sul concetto di equilibrio tra Stati, già ben definiti, dominati da
una città importante come Milano, Genova, Venezia, Firenze, Roma, Napoli e Palermo
- Civiltà urbana: le città erano sviluppate a livello economico ma anche a livello letterario, artistico,
scientifico e musicale
- Chiesa cattolica romana: elemento di identità forte nel territorio italiano
Le persone si sentivano parte delle proprie province, regioni, parrocchie ma a livello più ampio anche
italiani. L’identità italiana esisteva quindi ma era policentrica.

Per periodizzare la nascita e lo sviluppo degli stati italiani si fa riferimento a due date importanti, il 1559,
data del trattato di Cateau-Cambresis che sancì il predominio della potenza asburgica diretta o indiretta e il
1796, l’anno dell’invasione della Francia rivoluzionaria rappresentata dall’esercito di napoleone che segnò
una svolta nella storia italiana.
Per diversi secoli alcuni stati italiani erano sotto il dominio diretto degli Asburgo di Spagna, come Milano,
Napoli, il Regno di Sicilia, il Regno di Sardegna e lo Stato dei presidi (nell’attuale Toscana), un piccolo stato
creato dagli spagnoli con lo scopo di controllare rotte marittime e per contrastare i barbareschi.
Questi domini erano fondamentali per la Spagna per lo scontro con i ottomani (gli Stati del sud) e per il
rifornimento degli Stati nord-europei attraverso Milano ed il Monferrato, allo stesso tempo gli italiani
godevano della protezione della maggiore potenza del tempo.
Il crollo della potenza spagnolo (crisi dinastica del ‘700) cambia lo scenario e lo spazio italiano entra in una
fase di instabilità: si estinguono alcune dinastie storiche (i Farnese a Parma e i Medici a Firenze), entrano
nuove dinastie europee nel territorio italiano (i Borbone francesi a Napoli ed in Sicilia e gli Asburgo
d’Austria a Milano e Firenze).
Con la Pace di Aquisgrana, nel 1748, prende forma un nuovo equilibrio multipolare che ha nelle dinastie
Savoia, Asburgo e Borbone i suoi pilastri, mantenendo però l’importanza di Venezia, Genova e dello Stato
della Chiesa.

L’Italia e i suoi stati: dinamiche economiche


Il paradigma del “Dominio straniero” dell’Italia moderna e le crisi economiche ad esso legate è ormai
superato, in realtà la periodizzazione si può riassumere in questo modo:
- Il Cinquecento italiano fu luminoso
- Il Seicento fu un secolo tra crisi, recupero e riconversione di alcuni settori (il Seicento lombardo fu un
esempio di rinnovo)
- Il Settecento, sempre presentato come il secolo dei lumi, del progresso civile ed economico, fu in realtà un
secolo con ombre crescenti
- Il primo Ottocento va inquadrato tra il tracollo e la successiva ripresa
L’Italia tra il basso medioevo e la fine del ‘500 rappresenta l’economia-guida dell’Europa.
La penisola gode di un patrimonio naturale importante (boschi e legname), l’agricoltura subisce la
cerealicolizzazione e l’integrazione di piante da frutto, ulivi e vite, nonostante la produttività fosse medio-
bassa rispetto ad altri Stati.
Anche l’allevamento era fondamentale, scarso quello di cavalli e buoi ma più sviluppato quello ovino.
Vengono prodotti anche sempre nuovi prodotti come il gelso per la seta, la patata americana, il riso, il mais
ed il tabacco.
Le tre macroregioni agrarie furono:
- Il grande sud (Sicilia e Napoli) che produce grani anche per l’esportazione, seta, olio, vini, ovini
- Area centrale fondata sulle colture miste a grano, vite e ulivo
- Area settentrionale con la produzione di cereali, latte, seta, …
Da parte dei governi ci fu un forte controllo sul commercio dei prodotti agricoli, con lo scopo di evitare
rivolte e per poter creare un sistema di autosufficienza, attraverso le Magistrature annonarie. Queste
richiedono ai proprietari terrieri di denunciare i propri raccolti e di trasportali in città, dove si creano
magazzini con scorte. Per esportare e quindi produrre un reddito proprio i proprietari dovevano richiedere
delle licenze alla magistratura. Si cercò quindi di conciliare interessi opposti: quelli dei proprietari terrieri e
dei consumatori urbani. Si procedeva spesso con la politica del “calmiere dei prezzi”, i prezzi dei pani
venivano “calmierati” ovvero fissati dall’autorità politica cittadina.
Le politiche annonarie e assistenziali sono un misto di misure economiche inserite in una visione sociale
(attenzione al povero e alla sussistenza) ma i proprietari spesso ottenevano meno di quanto atteso, nonostante
ciò questa politica funzionò, portò maggiori stabilità sociali che in altri Stati.
Durante il ‘600/’700 l’agricoltura cambia: il mais porta con sé una vera rivoluzione alimentare e agricola e
diventa il primo cereale coltivato in Italia settentrionale (superando frumento e riso).

Per quanto riguarda il settore secondario il tessile dominava: lana, seta e cotone venivano prodotte da questo
settore manifatturiero estremante sviluppato. Anche in questo ambito avvengono trasformazioni: nel primo
‘600 avviene un declino delle manifatture urbane che viene superato delocalizzando le produzioni in centri
minori.
Le città italiane sono rinomate per produzioni di pregio destinate all’esportazione, tra cui armi e armature,
sete e velluti, strumenti musicali, mobili, vetri e specchi, tipografie e produzione industriale nei cantieri
navali (es. Arsenale di Venezia).
Queste produzioni avvenivano spesso nelle arti, ovvero nelle corporazioni diffuse in tutta Italia.

In ciascuna economia bisogna soddisfare i bisogni primari (mangiare, vestire e abitare), il divario tra i prezzi
dei generi in questi ambiti e i redditi/salari dei lavoratori (si parla di denaro ma spesso le ricompense per il
lavoro erano anche in natura e non venivano registrate) si allarga sempre più a partire dal ‘400. La
popolazione aumenta, allo stesso modo fanno i prezzi (per esempio del vino e del legname) e questo causa un
peggioramento delle condizioni di vita (condizione in realtà molto peggiore nel periodo sei/settecentesco).

Tra il 1760 e il 1820 avvenne una crisi più grave causata da una serie di fattori tra cui: la pressione
demografica, danni diretti ed indiretti della guerra, esproprio del patrimonio degli enti ecclesiastici,
congiuntura agricola e il conseguente peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni italiane.
In generale quindi in questo periodo i redditi familiari bastavano solo per coprire i fabbisogni primari e non
restava denaro per acquisti di altra natura.

All’Unità d’Italia in termini di reddito gli italiani si trovano ad un livello peggiore rispetto ai secoli XIV-
XVI: la speranza di vita è aumentata, la mortalità infantile diminuita ma le condizioni di analfabetismo,
l’alimentazione ed il potere d’acquisto sono peggiorati.
L’EUROPA TRA IL 1650 E IL 1795
Europa 1650-1795: squilibrio 1660/1700
La storia europea di questi secoli si può dividere in tre fasi:
- La Francia emerge come un protagonista della politica di quest’epoca, esce da una crisi interna
istituzionale per assumere un ruolo di grande potenza nell’Età di Luigi XIV.
- Dopodiché si entra in una fase diversa, in cui si ritrova un equilibrio tra potenze europee nel primo ‘700
- Avviene poi una crisi dell’equilibrio europeo nel secondo ‘700, quando alcune potenze preponderano,
mettendo in crisi gli elementi più deboli del sistema

Nel 1643 muore Luigi XII e la Francia si trova in un momento drammatico: ultima fase della Guerra dei
Trent’anni, il sovrano Luigi XIV è solo un bambino, il cardinale Giulio Mazarino (successore di Richelieu)
regge la politica insieme alla regina Anna d’Austria.
I ceti togati (membri del parlamento) e le grandi casate aristocratiche si oppongono al governo di Mazarino,
questo soprattutto perché la tassazione era molto alta e colpiva anche privilegi di queste persone con lo scopo
di far rimette la Francia dopo la guerra.
Questa politica causò una serie di rivolte: Le “Fronde” furono ribellioni del parlamento di Parigi che fece
insorgere la popolazione seguite da ribellioni di casate principesche che rivendicano una serie di prerogative
nel consiglio regio. Mazarino riesce a dividere i suoi nemici e a coordinare azioni militari contro questi porta
alla sconfitta di queste ribellioni.
Allo stesso tempo continua la lotta contro la Spagna grazie all’alleanza con l’Inghilterra di Cromwell che
portò alla vittoria contro gli spagnoli.
Mazarino fu anche uomo di cultura, mecenate e non solo grande governatore e abile politico, ma anche
personaggio molto odiato.

Luigi XIV viene consacrato nel 1654 a Reims, segnando la fine di questa epoca di crisi e alla morte del
cardinale comincia un periodo di regno personale (la Reggia di Versailles è il simbolo di questo governo
personale).
Nel 1659 viene firmata la Pace dei Pirenei con la Spagna, la Francia ottiene molti territori a Sud e porta al
matrimonio del re con la figlia di Filippo IV.

Il secondo ‘600 si caratterizza come un’epoca di conflittualità in Europa dopo un ventennio di equilibrio
grazie alle paci di Vestfalia.
Luigi XIV puntava alla supremazia francese, a livello militare, diplomatico, commerciale e culturale.
Luigi voleva isolare gli avversari, voleva tagliare le loro linee di comunicazione, inserendosi nei loro
mercati. Sviluppò anche una politica mediatica fondata sulla propaganda dello stile aristocratico francese che
verrà ampiamente imitato dall’Europa colta, convincendo l’Europa della supremazia francese attraverso
l’immagine del “Re Sole”, attorno al quale ruotavano tutti gli altri stati/pianeti.

Fu anche una fase di guerre, volute dalla Francia ma anche da altre potenze come Olanda, Inghilterra e
l’Impero asburgico.
I principali conflitti del periodo furono:
- La Guerra di Devoluzione contro i paesi bassi spagnoli con la conseguente pace di Aquisgrana
- Occupazione della Lorena
- Guerra d’Olanda (contro le province unite) che si conclude con la Pace di Nimega
- Occupazione di Strasburgo e Casale e l’invasione del Palatinato renano e con l’idea di riconquistare
territori dentro i confini naturali francesi
- La guerra della Lega d’Austria (grande alleanza tra spagnoli, olandesi, austriaci)
- Guerra di successione spagnola che si conclude con i trattati di Utrecht e Rastadt
Luigi puntò poi anche all’unità religiosa, entrando in conflitto anche con lo Stato della chiesa di Roma.
Europa 1650-1795: equilibrio settecentesco
Le Guerre di Successione caratterizzano la prima parte del 1700 e vanno viste come uno strumento per
mantenere un equilibrio multipolare in Europa, ovvero la coesistenza di Unità statali scongiurando la
possibilità di una nuova egemonia (com’era successo con la Francia di Luigi XIV).
Le successioni furono:
- La Successione spagnola, la più complessa  Paci di Utrecht e Rastadt
- La Successione polacca  Pace di Vienna
- La Successione austriaca  Pace di Aquisgrana
La successione spagnola fu causata dal fatto che estintasi la dinastia d’Asburgo di Spagna si innescò una
competizione perché il trono spagnolo era uno dei più importanti del mondo (l’impero coloniale era
immenso). Il conflitto su lungo e sanguinoso che riguardò i territori dei Paesi Bassi spagnoli, l’Italia e la
Spagna.
Il conflitto terminò grazie allo spiegamento di mezzi militari mai visti e per il lavoro delle diplomazie, il
declino di Luigi XIV fece si che la Francia dovesse rinunciare agli obbiettivi più ambiziosi ma il candidato
francese fu riconosciuto come re di Spagna, dando inizio alla Dinastia Borbonica in Francia.
I Trattati di pace inaugurarono un sistema europeo rifondato sull’equilibrio, con l’obbiettivo di contenere la
Francia nel suo territorio, controllata dai Pesi Bassi, dal Regno di Sardegna sotto i Savoia e dagli austriaci a
Milano e a Napoli. L’Inghilterra che punta ad un dominio dei mari e non tanto terrestre, si assicura delle basi
navali a Minorca e Gibilterra ed un’alleanza con il Portogallo.

L’Europa può essere descritta anche attraverso la divisione tra “aree forti” e “aree deboli”.
Le Aree stabili sono le unità coese a livello politico, sociale, economico, linguistico e culturale, come la
Spagna, il Portogallo, la Francia, i Regni scandinavi, la Russia (uno dei regni emergenti del periodo).
Le Aree instabili riguardano la Penisola italica con al fine della dominazione spagnola, l’area della Polonia e
l’area balcanica, dove imperavano gli Ottomani che retrocedono a causa degli Asburgo e ulteriormente
indebolita dall’emergente potenza russa.
A cavallo tra queste due aree stanno i domini della Casa d’Austria che soffre di una debolezza istituzionale
nonostante i domini acquisiti.
La prima metà del ‘700 è definita “Età dell’oro” dell’equilibrio multipolare europeo.

La terza fase è quella del deterioramento di questo equilibrio istituzionale, dinastico e bellico.
Con gli anni ’40 si arriva ad un punto di svolta, segnata da rivalità sia all’interno che all’esterno del
continente.
Lo scenario infatti si allarga, arriva a toccare i territori extraeuropei, quindi l’America, l’Africa e l’India e
allo stesso tempo la Francia rivoluzionaria punta ad una nuova espansione all’interno del continente.
Il sistema va in crisi perché solo alcune potenze hanno un peso preponderante, Francia e Gran Bretagna sono
i poli a livello estero, mentre all’intero è importante il conflitto tra Austria, Prussia e Russia.
Avviene un’aggressiva spartizione di alcune zone europee, come nel caso del regno di Polonia che viene
indebolito e diviso.
Allo stesso tempo in questo periodo avviene un indebolimento degli Ottomani e delle colonie spagnole.
La Guerra dei 7 anni (1756-1763) fu un conflitto europeo che creò però mutamenti significativi nelle zone
coloniali: la Prussia Brandeburgo era isolata rispetto all’alleanza tra Austria, Francia e Russia ma l’abilità di
Federico II di Prussia permise il ritiro dei Russi e quindi la “salvezza” della Prussia stessa.
Ma fu soprattutto a livello coloniale che questa guerra influì: la Gran Bretagna decise di allearsi con la
Prussia solo per contrastare la Francia, il suo principale rivale coloniale.
Questa fu quindi una vera e propria guerra mondiale: alla fine questo conflitto si concluse con un successo
netto dell’Inghilterra, che riuscì a far arretrare Spagna e Francia nei loro imperi coloniali.

Tra gli anni ’70 e gli anni ’80 avviene la definitiva dissoluzione dell’equilibrio europeo, le zone di crisi
restavano i Balcani, la Polonia e la Baviera; ci furono una serie di conflitti, anche in Stati considerati stabili
(come in Gran Bretagna con la Ribellione irlandese o il regno di Ungheria ribellatosi all’Impero).
La più grande crisi fu poi quella che sfociò nella Rivoluzione francese.

Il mutamento più importante di questa fase fu quello della tripartizione della Polonia (tra il 1772-1793-1795),
il regno cattolico venne fatto sparire e inglobato in parte dalla Russia (che già esercitava la sua tutela con il
pretesto di proteggere la minoranza ortodossa), dalla Prussia che occupò Danzica e i suoi dintorni e infine
dall’Austria.

LOTTE POLITICHE IN INGHILTERRA e NASCITA DEGLI U.S.A.


Secoli XVII-XVIII

Lotte politiche in Inghilterra e nascita degli USA: XVII sec.

Il ‘600 inglese è segnato dalla dinastia Stuart (di origine scozzese) e da crisi istituzionali da cui nasce il
Costituzionalismo moderno. Questo è un regime misto in cui si tenta l’equilibrio tra il re, l’assemblea
rappresentativa (parlamento) e la legge/il diritto.

Il sistema giuridico e istituzionale inglesi nel ‘600 Stuart furono segnati dalla Guerra civile e dalla nascita
della Repubblica del Commonwealth e il successivo ritorno della monarchia.

Al tempo esistevano tre corone con tre regni distinti: Scozia, Irlanda e Inghilterra.
Il sistema politico era un governo misto, il Re convocava il Parlamento e alla base di questo sistema c’era il
Common Law, la legge inglese per eccellenza. Il sovrano doveva periodicamente sentire la rappresentanza
del regno, il parlamento suddiviso in Camera dei comuni, elettiva (secondo antichi criteri geografici e in base
al censo), e la Camera dei Lord, di nomina regia. Il Parlamento aveva sede a Westminster ma era convocato
dal Re, solitamente quando aveva bisogno di levare imposte straordinarie.
Lo Stato era subordinato al diritto, alla Common Law (insieme di norme consuetudinarie a cui si fa
riferimento). Questo è un diritto originale inglese, è una legge tramandata attraverso la giurisprudenza, che al
tempo aveva un ruolo centrale.
Le corti di giustizia avevano infatti una grande importanza, esisteva un ceto di giuristi-giudici molto
influenti; le corti centrali erano 4, un esempio ne è King’s bench.
I giudici erano figure importanti, avevano anche poteri di polizia (i justices of peace che erano giudici e
ufficiali di polizia), c’erano poi i lord e gli sceriffi.

In epoca Tudor e Stuart avvengono delle novità, viene introdotta la Camera stellata, l’Alta Commissione per
le cause ecclesiastiche e la Corte dell’Ammiragliato, corti contestate perché utilizzavano il diritto romano
nelle sentenze.
Nel ‘600 si sviluppano poi nuove teorie politiche, come il Giusnaturalismo (esistenza di un diritto naturale
alla nascita e quindi che viene prima del diritto regio) legato al contrattualismo (il potere regio esiste per una
sorta di contratto tra il re e i suoi sudditi); Hobbes considerava invece che il potere regio assoluto fosse
necessario per controllare un mondo pericoloso (sostiene il regime autoritario di Cromwell); Lock con il
proto-liberalismo (il sovrano è un delegato del popolo, che deve esercitare solo alcuni poteri per garantire e
tutelare i diritti e gli interessi privati).

Morta Elisabetta I sale al trono James Stuart (re di Scozia, figlio di Mary), un sovrano protestante che
incontra varie incomprensioni con il Parlamento. Il re ha un suo consiglio privato, una rete di favoriti e tenta
di governare senza il parlamento.
L’anglicanesimo si sviluppa sempre più, Giacomo fa scrivere la sua versione della Bibbia ma, nonostante
ciò, fa sposare il figlio Carlo con una principessa cattolica francese.
Quando sale al trono Carlo I, il parlamento si oppone soprattutto per la figura della moglie cattolica.
Carlo I tenta di governare senza convocare il parlamento, ma le scelte religiose e di imposizione di nuove
tasse lo costringono a chiamare il parlamento, anche grazie alla Petition of Rights (1628) in cui i sudditi lo
obbligarono a prendere in considerazione il parlamento, cosa che non farà più per 11 anni.

Carlo nel 1640 deve convocare il parlamento a causa delle lotte a nord contro gli scozzesi, lotte che avevano
lasciato le casse del regno vuote.
La questione politica (la volontà del parlamento di avere un ruolo più influente nella politica regia) si
intreccia con quella religiosa (i puritani e i presbiteriani non volevano l’unificazione religiosa) e così avviene
una rottura definitiva. Il re fa arrestare alcuni parlamentari, l’Irlanda cattolica si rivolta nel 1641, il Re si
trasferisce a York dopo le rivolte popolari e nel 1642 comincia una vera e propria guerra civile. Il parlamento
riesce a creare un esercito (in capo a Cromwell) e nel 1649 avrà la meglio sul re.
Nel 1649 Carlo viene consegnate alle forze parlamentari e viene condannato per tirannia e alto tradimento e
quindi poi decapitato.
Dopo la morte del re la monarchia cade e viene proclamato il Commonwealth, un regime repubblicano diviso
a livello politico: i “livellatori” predicavano uguaglianza, fine della proprietà privata; gli “zappatori”
volevano togliere terre agli aristocratici per ridarle ai poveri. Cromwell, sostenuto dalle forze più moderate,
instaura un regime autoritario e si fa proclamare Lord protettore del Commonwealth nel 1653.
Portò avanti un brutale regime coloniale nell’Irlanda cattolica ma all’estero questo governo portò all’alleanza
con la Francia e al successo coloniale in Africa a scapito della Spagna.
Alla morte di Cromwell, dopo un periodo di transizione, si torna alla monarchia Stuart.

Lotte politiche in Inghilterra e nascita degli USA: 1660-1714


La seconda fase del ‘600 inglese è caratterizzata dalla restaurazione degli Stuart e dalla Gloriosa
Rivoluzione.

Carlo II Stuart tornò in Inghilterra grazie ad un accordo tra monarchia e parlamento. Il suo regno fu lungo e
la sua politica estera fu condizionata da Luigi XIV (Guerra contro l’Olanda). Sul piano interno si punta ad
uniformare la chiesa anglicana, il Test Act (1673) stabilisce che chi assume una funzione pubblica deve fare
un giuramento anglicano (escludendo quindi i cattolici).
Contro gli arresti arbitrari venne emanato l’Habeas Corpus (1679), prevedeva che i capi d’accusa avessero
una consistenza (per opporsi agli arresti incondizionati di Carlo I).

Con la morte di Carlo II sarebbe dovuto salire al trono Giacomo II, sospetto di assolutismo e sposato con una
principessa italiana cattolica e quindi contrastato dal parlamento. Nonostante ciò, sale al trono ma regna per
pochi anni: il parlamento si organizza e fa incoronare Guglielmo III d’Orange (re d’Irlanda), marito di Maria
Stuart, eletti in nome del contrattualismo, scelti e chiamati dal parlamento e non più solamente per
discendenza regia.
I due sovrani sono chiamati a firmare il Bill of Rights, un elenco di punti che stabilisce una serie di
prerogative, di procedure legali che il sovrano deve seguire. Viene esclusa una successione cattolica
(confermata poi con la Legge di Successione), viene emanato il Toleration Act, valido solo però per i
protestanti non conformisti.
In questo periodo nasce anche la Banca d’Inghilterra, la Borsa inglese e Lloyds, strumenti per fare denaro,
utili quindi a finanziare le campagne belliche (grazie agli investitori che si fidavano del governo).

Nel 1701 viene emanata la Legge di Successione, che elimina la possibilità di eredi cattolici perché dopo la
casata Stuart salirà al potere la dinastia Hannover.
Morti Guglielmo e Maria salì al trono Anna Stuart, ultima erede della dinastia; con lei nasce il termine Gran
Bretagna con l’unione di Inghilterra e Scozia.

I partigiani della causa Stuart di Giacomo II (presenti soprattutto in Irlanda), i Giacobiti, tenteranno di
tornare invano al trono e che prosegue fino ad oggi con correnti indipendentiste.

Lotte politiche in Inghilterra e nascita degli USA: ante 1763


Il 1763 è un anno periodizzante, è la data del Congresso di Parigi a conclusione della Guerra dei 7 anni.
Gli insediamenti inglesi in America furono tardivi, i primi furono con Elisabetta in Virginia, colonia che ben
presto si spopolò.
Le prime colonie furono quindi Virginia; New England (fondata dai padri pellegrini, puritani che
immigrarono) con Boston (dove si sviluppa il più grande cantiere navale); Maryland, l’unica colonia di
fondazione cattolica.
Gli inglesi erano attratti (come tutti gli europei) dalla disponibilità di terre, in Virginia si sviluppano
immense colture di tabacco, e quindi le opportunità economiche.
Ma soprattutto la libertà politica, sorgono istituzioni rappresentative autogovernate. Le controindicazioni
erano altrettante: la vita era difficile, il lavoro pesante e la servitù era molto diffusa in questi posti.

Il New England aveva una matrice protestante calvinista, la popolazione era coesa e strutturata, sono
famiglie che migrano volontariamente. Questi parlano di sé come la “Nuova Gerusalemme”, c’era quindi una
grande coesione religiosa.
Il Massachusetts appartiene a questo territorio.

Il Maryland fu concesso a sir. George Calvert, era quindi una colonia privata doveva vigeva l’Atto di
tolleranza (rispetto religioso).

I rapporti con la madrepatria sono specialmente di tipo economico, controllati dai Navigations Act: i prodotti
delle colonie americane potevano arrivare solo in porti della madrepatria e questa era l’unica a produrre
prodotti finiti usando le materie prime coloniali.
A metà degli anni ’60 nascono le colonie del centro (Mid-Atlantic): New York, New Jersey, Delaware e
Pennsylvania, fondata dal quacchero inglese William Penn. Penn fu una personalità importante, puntò ad un
rapporto amichevole con gli autoctoni, permise lo sviluppo dell’allevamento e della pesca, incoraggiando la
tolleranza e la libertà.
I caratteri generali sono la libera proprietà e confessionalità.

Presero poi forma le colonie del Sud: Carolina (North e South), popolata per esempio dagli ugonotti francesi;
Georgia, concessa a privati dalla corona e ospitava principalmente criminali e miserabili.
In questi luoghi si sviluppano monocolture (tabacco, indaco, zucchero) dove veniva sfruttato il lavoro
schiavile (importati dall’Africa).
L’immigrazione più forte dall’Europa avverrà più tardi, a metà del ‘700, in questo periodo le colonie non
erano estremamente popolate.

La politica economica era ciò che legava maggiormente la madrepatria ed i coloni, il commercio di materie
prime era fondamentale (anche di legno e navi) e veniva scambiato con prodotti finiti provenienti dalla
madrepatria.
Nasce una sfera pubblica nelle città, anche se queste erano molto piccole, che si interessa delle vicende
dell’impero britannico, creando quindi un legame con l’Inghilterra.
Allo stesso tempo nasce uno spirito indipendentista americano che puntava all’autonomia politica. I rapporti
con la madrepatria si incrinano con la Guerra dei 7 anni, negli USA iniziata due anni prima e che si concluse
con un bilancio negativo per i coloni inglesi d’America.
Nelle colonie manca un governo centralizzato, l’impero ha ancora una forma debole nonostante i coloni si
sentano sudditi del re. La vita politica della colonia è però decisa dalle assemblee di uomini liberi e quindi
lontana dal parlamento inglese che legiferava solo in ambito commerciale.

Lotte politiche in Inghilterra e nascita degli USA: post 1763


Il 1763 fu un anno cruciale poiché il Trattato di Parigi permise all’Inghilterra di occupare i territori coloniali
francesi e spagnoli (dal Canda alla Florida). Le 13 colonie inglesi rimasero tali ma videro rafforzarsi i presidi
militari britannici.

I rapporti tra colonie e madrepatria mutano: la Proclamation Act proibì ai coloni di spingersi a Ovest dei
monti Appalachi, cosa che avrebbero voluto fare i coloni; ma in quelle zone abitavano indiani che avevano
supportato gli inglesi in guerra o che comunque si aspettavano protezione da questi.
Il parlamento inglese chiese che i coloni contribuissero alle spese militari per la protezione delle colonie, i
coloni erano però in crisi economica e diffidavano di quella presenza militare.
La prima tassa imposta fu il “Sugar Act”, dazio sugli zuccheri caraibici, e successivamente il divieto di
produrre una valuta coloniale, creando grande dissenso.
Intanto l’immigrazione aumentava fortemente e questo portava alla volontà di spostarsi verso Ovest,
attraverso invasione delle terre indiane.
Secondo il Governo britannico le colonie sono quindi figlie della madrepatria e perciò tutelate e subordinate
alla stessa.
Una parte dell’opinione pubblica americana sottolinea invece l’importanza dell’autogoverno tipico delle
colonie e delle assemblee coloniali che dovevano avere un potere pari a quello del parlamento inglese, dove
invece i coloni non avevano rappresentanti.
Il Parlamento inglese continua a imporre sempre nuove tasse (“Stamp Act” e “Quartering Act”) e la
controversia sulla rappresenta in Parlamento dei rappresentati dei coloni diventa sempre più centrale, è
conosciuto il principio “No taxation without representation”.
Cominciano proteste pubbliche ma a Londra nessuno si aspetta una rivoluzione.
Gli anni tra ’60 e ’70 sono caratterizzati da irrigidimenti e riconciliazioni ma si consolida un’opinione
pubblica antibritannica, anche se questa restava una minoranza.
La Guerra d’Indipendenza ebbe i tratti di una guerra civile, perché gran parte degli americani rimase in un
atteggiamento di lealismo nei confronti di Londra e quindi si opposero ai patrioti americani.
Le altre comunità, neri in schiavitù e amerindi, furono vittime di atrocità da entrambe le parti.
Il “Massacro di Boston” fu un incidente che vide dei soldati inglese, accerchiati da una folla armata che
minacciano il linciaggio, che aprirono il fuoco contro gli americani; quest’avvenimento venne sfruttato come
motivo di propaganda patriottica.
La situazione peggiora anche a causa della posizione intransigente del monarca Giorgio III, che dopo il
“Boston Tea Party”, dichiara tutto il New England in stato di ribellione e lo dichiara sotto la legge marziale
revocando le libertà giuridiche. Questi provvedimenti portarono al Primo congresso continentale a Filadelfia
da parte dei coloni.
Dal secondo congresso continentale nasce l’Esercito Continentale, il cui comando viene affidato a Georg
Washington.
Il 1776 è un punto di svolta per la Dichiarazione d’Indipendenza (il maggiore contributo fu quello del padre
fondatore Jefferson, poi terzo presidente degli USA) del 4 Luglio ma già a gennaio era stato pubblicato il
“Common Sense”, un libello incendiario in cui si critica la monarchia britannica e giustifica la secessione da
una madrepatria tirannica.
Francia e Spagna intervengono e assicurano la vittoria della causa americana.
Le 13 colonie si unificano con la Costituzione del 1789, sono una Repubblica Federale, il Parlamento si
fonda sul bicameralismo e il Presidente è eletto indirettamente dagli elettori presidenziali.
Il potere legislativo era affidato al Parlamento, con la Camera dei Rappresentanti (eletti in base ad un
principio demografico) e il senato (due senatori per ogni stato a prescindere dalla densità popolativa). Il
potere esecutivo era incarnato dalla figura del Presidente, che elegge ministri, è il capo delle forze armata e
nomina anche i membri dei tribunali federali, mentre quello giudiziario dalla Corte suprema.
Il Vicepresidente presiede il Senato e in caso di parità può votare e allo stesso tempo Senato e Magistratura
possono partecipare al potere esecutivo. È chiaro quindi come non esistesse una vera e propria separazione
dei poteri.
Il primo presidente fu Georg Washington, che mantenne due mandati consecutivi.

La carta costituzionale venne criticata spesso negli anni successivi perché si era dato troppo peso alla Corte
suprema, vennero quindi redatti i primi 10 emendamenti (Bill of Rights americani) nel 1791.

Sul piano demografico il problema degli schiavi neri persisteva, la soluzione fu di dare ogni 5 non liberi un
peso elettorale pari a 3 cittadini liberi.
La questione della schiavitù restò un tema importante per molto tempo ma anche spesso nascosto, la
schiavitù mantenuta fino al 1808 e lo stato percepiva anche una tassa sull’importazione di schiavi.

LA RIVOLUZIONE FRANCESE e L’ETÀ NAPOLEONICA


La Rivoluzione francese e l’età napoleonica: i prodomi
La Rivoluzione francese non è scoppiata all’improvviso ma è frutto di uno sviluppo storico.

Il Regno di Francia nel XVIII sec. Non è uno stato in decadenza, prossimo alla dissoluzione ma anzi è uno
tra i più potenti e popolosi d’Europa. L’economia ha alcuni punti di forza notevoli, ha ancora un impero
coloniale e la sua flotta ha quasi raggiunto quella britannica.
Ma questo regno non è uno spazio unitario, c’è una differenziazione tra “paesi di stato” (stati provinciali che
mantenevano una certa autonomia, diffusi nelle aree periferiche, i paesi entrati recentemente come i Pesi
Bassi, la franca contea e la Bretagna) e “paesi di elezione” (qui governavano Intendenti regi, direttamente
collegati al re).
La Francia si divideva anche per aree fiscali: in alcune zone la tassa sul sale era molto maggiore rispetto a
zone dove, per esempio, il sale era prodotto direttamente.

I prodromi della Rivoluzione francese possono essere divisi in due categorie:


1) Crisi finanziaria e istituzionale
2) Crisi della cultura tradizionale e ascesa del razionalismo illuminista laico
1. Crisi finanziaria e istituzionale
La storia francese è segnata dalla competizione tra le potenze europee non solo a livello interno ma anche sul
piano coloniale. Questa competizione porta all’aumento delle spese militari e amministrative per lo stato,
aumenta quindi la pressione fiscale sulla popolazione e soprattutto diventa necessario allargare la base
imponibile (ovvero il numero di persone da tassare). Ma questa necessità porta ad uno squilibrio: i ceti
dominanti tendono a preservare i loro privilegi e quindi poi si chiede sostegno a ceti sociali inferiori, cosa
che sfocia in una condizione di instabilità e conflittualità.
Diventata chiaro che fosse necessario cambiare l’assetto istituzionale dello Stato, attuare una riforma
costituzionale complessiva.
Tra i diversi tentativi si ricorda quello di Turgot (intellettuale fisiocratico dell’epoca), per il quale lo stato
avrebbe dovuto lasciare il mercantilismo a favore della produzione di reddito tassando per lo più le proprietà
terriere; o quello di Necker che cerca di ridurre spese superflue e per la prima volta viene pubblicato il
rendiconto delle spese dello stato.
I Parlamenti (alte corti di giustizia) si oppongono a questi provvedimenti, questo ceto di toga difende i propri
privilegi e boicotta le riforme avanzate dai ministri regi.

L’ultimo bilancio (1788) prima della Rivoluzione mostra la gravità dell’insolubile crisi finanziaria francese,
metà del reddito doveva essere investito nel pagamento di debiti ai creditori con i quali lo stato si era
indebitato (e gli interessi erano molto alti visto che la monarchia era un cattivo pagatore).
Le entrate mostrano la stessa criticità, la maggior parte derivano da tasse indirette e dogane, ovvero introiti
che colpivano la parte meno abbiente della popolazione mentre le imposte dirette sono molto minori.

2. Il mutamento culturale sei-settecentesco


La cultura muta, c’è un allontanamento dall’ordine cristiano tradizionale. Cresce l’importanza del pensiero
razionalista collegata ad una nuova ideologia della Natura e dell’Uomo (Rousseau nega per esempio il
peccato originale).
La natura è un mondo accessibile all’uomo attraverso i sensi e l’investigazione scientifica, e che contiene le
uniche verità conoscibili dalla ragione umana. La filosofia si separa quindi dalla metafisica, cista in questo
periodo spesso come qualcosa di negativo.
L’”Encyclopedie” è un dizionario delle scienze, delle arti e dei mestieri che ha l’ambizione di tenere insieme
tutti i rami della conoscenza, negando il principio di trascendenza (Dio Creatore e legislatore che viene
espulso dalla vita delle persone) ed esaltando al contrario la potenza della razionalità umana.

Voltaire fu uno dei principali filosofi francesi (anche se come Rousseau muore prima dello scoppio della
rivoluzione), il suo pensiero era orientato alla critica radicale del cattolicesimo come religione istituzionale
ma anche della cultura tradizionale.
Voltaire criticò il cattolicesimo come “cumulo di frodi e imposture”, sostenendo invece il Deismo (divinità
naturalistica e razionalista).

Rousseau a sua volta riscontra un successo straordinario, nel suo pensiero è centrale il concetto uguaglianza
(regime in cui le singole volontà si fondono, attraverso un contratto sociale, in una volontà generale espressa
dallo stato egualitario), la natura è un’idea astratta ed utopica, l’uomo nasce buono ed innocente (in contrasto
con l’antropologia cristiana che presuppone il peccato originale) e il filosofo taccia di corruzione la società,
che corrompe il bambino e occorre quindi una nuova educazione e una nuova pedagogia.

L’ideologia della Rivoluzione francese trova in queste concezioni le sue radici: la concezione razionalistica,
naturalistica e antropocentrica della storia porta all’imposizione dei diritti di natura, ragione e nazione e la
volontà generale acquisisce una nuova forma, quella della sovranità nazionale (dove la nazione è espressione
delle singole volontà). Lo Stato legislativo è lo stato rivoluzionario poiché da questo momento la legislazione
rappresenta la volontà generale ed è quindi giusta per definizione.
Legato a questo stato rivoluzionario si sviluppa anche un nuovo modello educativo e il culto dello stato come
nuova religione civile.

La Rivoluzione francese: la monarchia costituzionale


Durante la Rivoluzione si riconoscono diversi regimi istituzionali e costituzionali:
- 1789-1792 Monarchia costituzionale
- 1792-1794 Prima Repubblica con Girondini e Giacobini
- 1795-1799 prima Repubblica con il Direttorio (che produce e mette in atto una nuova Costituzione)
- 1799-1804 il Consolato, ancora formalmente repubblicano (con il colpo di stato di Brumaio da parte di
napoleone)
- 1804-1815 l’Impero Napoleonico
La prima fase è quella della monarchia costituzionale fino alla caduta della stessa.
La frattura irreversibile avviene nel 1789 come conseguenza della convocazione degli Stati Generali (Clero,
Nobiltà e Terzo stato) da parte di Luigi XVI, convocati in via consultiva ma in questo periodo circola un
librello di Sieyès “Che cos’è il terzo stato?” in cui spiega che il Terzo stato è la nazione intera, anche se in
quel momento contava molto poco a livello istituzionale e queste teorie scatenano la rivoluzione: il Terzo
Stato si autoproclama assemblea nazionale nel 1789.
Pochi giorni dopo i deputati dell’assemblea del Terzo stato giurano di non sciogliersi finché non sia pronta
una nuova costituzione (Giuramento della Pallacorda) e si definisce Assemblea costituente.
Nel 1789 avvengono una serie di avvenimenti importanti tra cui la nascita di questa assemblea; la rivolta
municipale di Parigi; la presa della Bastiglia; nelle campagne avvengono tumulti e sommosse; in generale si
diffonde un fervore rivoluzionario.
L’Assemblea abolisce ogni diritto feudale e decide di scrivere la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino”, che derivava da un bisogno di autolegittimazione, i membri si presentavano infatti come i
portatori di questi nuovi principi naturalistici e razionalisti (libertà, proprietà, sicurezza, resistenza
all’oppressione).

Il cittadino di questo nuovo stato costituzionale ha anche dei doveri militari, nasce il tricolore francese
(Bianco dei Borbone e rosso e blu della città di Parigi) indossato dai soldati rivoluzionati e che diventa il
simbolo della rivoluzione stessa.

Tra i protagonisti di questo momento c’è Mirabeau, un grande oratore in queste assemblee, egli tenta di
stabilizzare questa situazione, facendo da tramite tra l’assemblea e la corona.
Un altro personaggio importante fu il vescovo Talleyrand (appartiene sia al primo che al secondo stato, è
quindi emblema dell’antico regime) che propone di usare i beni ecclesiastici per sollevare la Francia dalla
crisi finanziaria.

L’Assemblea nazionale prende una serie di decisioni per dare vita a questo nuovo Stato: la divisione in 83
Dipartimenti (distretti, cantoni e comuni) della Francia, creando uno spazio uniforme; approvazione della
Costituzione civile del clero che diventa elettivo e i membri del clero devono giurare fedeltà allo stato fino a
quando il Papa condannerà questa costituzione; Legge che scioglie tutte le corporazioni (arti a tutela dei
lavoratori), negando anche il diritto di sciopero.

La pressione popolare comincia a spaventare il Re, il quale rifiuta anche di firmare la Costituzione civile del
clero e rende i rapporti tra corona e Assemblea sempre più difficili. Questa frattura si amplifica quando il Re
tenga la fuga, creando la spaccatura definitiva con i repubblicani.
Nel 1791 viene finalmente approvata la Costituzione, l’Assemblea si scioglie (il suo incarico era quello di
creare la costituzione), i cittadini attivi sono chiamati a votare per poi eleggere l’Assemblea Nazionale,
ovvero l’organo legislativo francese. Nell’Assemblea entrano 260 Foglianti (filomonarchici, il cui capo fu il
Marchese di Lafayette), 136 Giacobini e 349 indipendenti di centro.
Il potere esecutivo è ancora incarnato dal re (elegge i ministri e ha diritto di veto sulle leggi proposte) mentre
quello giudiziario è detenuta dall’Alta Corte e dal Consiglio di cassazione.

Il primo decreto dell’Assemblea riguarda il clero: gli ecclesiastici devono giurare fedeltà allo Stato, in caso
contrario sarebbero stati arrestati e condannati.
La situazione si aggrava, dalla Francia emigrano aristocratici, ecclesiastici, cittadini monarchici, contadini e
operai.

Nel 1792 la situazione precipita fino alla guerra, la Francia dichiara guerra all’Impero ma parte degli ufficiali
si rifiuta di seguire questa causa e così in agosto la Monarchia cade e viene proclamata la “Comune
insurrezionale”.

La Rivoluzione francese: La prima Repubblica, Girondini e Giacobini


L’assalto alle Tuileries, la residenza del re, da parte dei “sanculotti” (cittadini rivoluzionari parigini,
riconoscibili per il berretto fregio) segna la fine della monarchia e l’inizio della Repubblica.

Uno degli uomini del momento è il repubblicano Brissot, leader dei Girondini (venivano dal dipartimento
occidentale della Gironda).

In questo periodo si diffonde un clima di terrore: l’Assemblea proclama l’arresto e la condanna a morte della
famiglia reale, nomina un Consiglio provvisorio e l’assunzione di misure di rigore eccezionali, tra cui
l’istituzione del Tribunale istituzionale, l’espulsione dei preti refrattari e la requisizione di beni e grani.
Nel frattempo, i militanti politici portano avanti il Massacro di settembre, un assalto alle carceri dove molti
carcerati vengono massacrati.

Lo stesso mese viene proclamata la Repubblica e nasce la Convenzione nazionale (20% girondini, 35% della
Montagna, sinistra moderata e 45% della Pianura), una nuova assemblea elettiva, che ha il compito di
scrivere una nuova Costituzione. Questo organo diventa però una sorta di parlamento che legifera in ambiti
diversi.

Il 1793 si apre con l’esecuzione del Re, l’Europa entra in una fase di guerra generale, si crea anche una lega
antifrancese (uno die membri era la Gran Bretagna) a causa dell’aggressività, anche internazionale, dei
rivoluzionari.
Nello stesso anno in Francia viene proclamata la leva di massa perché i volontari scarseggiano, questo
scatena una guerra civile (iniziata anche per altri motivi, tra cui la scristianizzazione dello stato, viene
introdotto per esempio il matrimonio civile e il divorzio).
Proseguono le misure di eccezione del Governo rivoluzionario: vengono emanati una serie di decreti
d’urgenza che riguardano il calmieramento dei generi (fissazione di prezzi stabiliti dal governo), l’istituzione
del Tribunale rivoluzionario e del Comitato di Sicurezza generale (una super polizia) e il Comitato di Salute
Pubblica, comitati con poteri eccezionali che governano autonomamente. Questi comitati sono collegati alle
municipalità locali dove nascono dei comitati municipali di sorveglianza, gestiti dai militanti rivoluzionari.

Nel giugno del 1793 avviene un colpo di stato da parte dei Giacobini montagnardi contro i Girondini, che
restano però forti in molti dipartimenti (e la Francia è quindi anche dilaniata da questa lotta interna). I
deputati della Montagna, i Giacobini e i Sanculotti (forze militanti) riescono a coordinarsi e viene pubblicata
la Costituzione dell’Anno I della Repubblica che non verrà mai applicata perché la situazione d’emergenza
porta il governo a votare l’istituzione del Terrore, ovvero un governo provvisorio estremamente rigido.

Le istituzioni nell’epoca del Terrore furono: la Convenzione nazionale (con anche sezioni di militanti che
diffusero un vero e proprio terrore rivoluzionario), il Tribunale rivoluzionario (che elimina i nemici del
governo, la ghigliottina è il sistema di esecuzione principale) e i Comitati che nominano ministri e
commissari.

Robespierre, Saint Just furono due dei membri più importanti del Comitato di salute pubblica durante il
Terrore.

La violenza di questo periodo diventa eccidio di massa, alcune zone della Francia sono particolarmente
colpite (a ovest, a nord verso la Gran Bretagna).

Uno degli eventi più tragici è quello della “Tragedia di Vandea”, nell’ovest della Francia. In Vandea il
decreto sulla leva di massa scatena una guerra di opposizione tra francesi, da una parte c’è un’armata
cattolica creata in Vandea e dall’altra ci sono i repubblicani.
Questa guerra finisce in dicembre, i vandeani vengono sconfitti e a questo punto inizia un genocidio della
popolazione: viene decisa, da parte del Comitato di salute pubblica, la distruzione e la cancellazione della
Vandea.
Quando cade il Governo giacobino il governo si rende conto dell’enormità dell’eccidio, solo una persona
viene condannata a morte e viene quindi usata come capro espiatorio per tutti gli altri responsabili.

La Rivoluzione francese: il Direttorio, il Consolato e l’Impero napoleonico

Il Direttorio si avvia con la caduta del Comitato di Salute pubblica grazie al colpo di stato che nasce
dall’interno del comitato stesso grazie, ad esempio, a Carnot, che mette in atto il Colpo di Stato del 9
Termidoro (luglio 1794) e decide la successiva condanna di Robespierre.
Ma le condizioni finanziarie erano ancora critiche e la violenza ancora diffusa (ora si perseguitavano i
giacobini).
Nel 1795 si arriva alla stesura della Costituzione del III Anno della repubblica. Furono create due camere:
l’Assemblea dei 500 e l’Assemblea degli anziani, che esercitavano il potere esecutivo; il Direttorio, formato
da 5 direttori deteneva invece il legislativo.
La repubblica direttoriale vive fasi di forte instabilità, ci sono due gruppi, uno filomonarchico e uno filo
giacobino che si scontrano e il governo cerca di mantenere l’equilibrio tra i due.
All’esterno la Francia ottiene risultati importanti e la Rivoluzione si espande, nascono infatti le Repubbliche
sorelle (Olanda, Repubbliche italiane, Repubblica elvetica in Svizzera), stati satellite che proteggevano le
frontiere francesi. Queste repubbliche ereditano una fragilità istituzionale, le guerre continuano.

Una seconda coalizione antifrancese (sempre fondata da Gran Bretagna e Impero) attacca queste repubbliche
che cadono molto velocemente.

In questo periodo viene introdotta la coscrizione militare obbligatoria, non più come provvedimento
straordinario preso in guerra (com’era successo nei primi anni di Rivoluzione).

Bonaparte, generale che si fece riconoscere sia in Italia che a Tolone e in Egitto. Rientra in Francia nel 1799
e approfitta della situazione di instabilità del Direttorio per attuare il Colpo di Stato del 18 brumaio.
Nel 1799 viene creato il Consolato, l’ultima fase repubblicana (Napoleone stesso annuncia la fine della
Rivoluzione francese), e varata la Costituzione dell’Anno VIII.
Nel 1802 Napoleone aumenta il suo potere facendosi proclamare console a vita.

Bonaparte si presenta come pacificatore della Francia e dell’Europa, colui che ha concluso la Rivoluzione e
si erge a governante che riporta stabilità e pace religiosa (nel 1801 firma un Concordato con la Chiesa di
Roma).

In Italia, sulle ceneri della Repubblica cisalpina (una delle Repubbliche sorelle) nasce la Repubblica italiana,
sotto il controllo di Napoleone.

Avviene anche una nuova rottura con la Gran Bretagna, Londra non può permettere che la Francia si
impadronisca di tutto il continente e Parigi a sua volta non vuole fermare l’espansione.
Nel 1804 Napoleone si fa proclamare Imperatore dei francesi e fa redimere una nuova Costituzione.

La preponderanza francese in Europa dipende da una serie di fattori:


- Culturale: il francese è la lingua della cultura internazionale, la Francia è rinomata anche per la filosofia e
la propaganda di arte e cultura
- Demografico: la Francia possiede molti giovani in età militare, dispone quindi di grandi forze disponibili
per la guerra
- Militare: uno dei pilastri del regime, caratterizzato da una serie di innovazioni che vengono poi attuate da
tutti i nemici dell’Impero (mentre in mare era ancora inferiore rispetto alla G.B.)
- Politico-istituzionali: Napoleone si presenta come un salvatore, un dittatore di Salute pubblica e riesce ad
ottenere un equilibrio politico in Europa tra il 1805 e il 1807.
Il 1811 è il punto massimo di espansione dell’Impero, quando napoleone conquista circa un terzo dell’Italia,
arrivando fino a Roma e crea una serie di stati satellite a est e ad esempio in Spagna.

In realtà questo equilibrio dura ben poco, il Blocco Continentale voluto da Bonaparte per impedire alle merci
britanniche di raggiungere i porti francesi causa una depressione economica perché l’imperatore non riesce a
rifornire l’Europa adeguatamente.

I fattori di unità dell’Impero furono vari: dogane; strade; posta; le armate; il sistema di pubblica istruzione e
di centralizzazione artistica (creazione del Louvre, la Pinacoteca di Brera, …); codici e legislazioni diffuse in
tutti i territori assoggettati.
In questo sistema c’erano però anche molte criticità: imperialismo esagerato portato avanti grazie alla guerra;
la religione usata come strumento per assoggettare i popoli al suo dominio, arriva anche a Roma, provocando
una frattura con la Chiesa poiché viene negato il potere temporale del Papa, creando dissenso da parte dei
cattolici; la logorante occupazione della Spagna che si difende con la “guerilla”; le lotte contro i nazionalismi
risorgenti in Prussia e Germania e poi la disastrosa campagna di Russia.
Alla fine, il regime napoleonico arriva ad un tracollo militare e politico, nel 1814 Napoleone abdica e viene
relegato sull’Elba (da cui fugge durante l’impresa dei Cento giorni, tentativo che fallisce nella disfatta di
Waterloo). A Parigi tornano i Borbone e si apre a Vienna il Congresso delle potenze vincitrici, l’Europa era
ancora una volta da rifare e viene quindi instaurato uno “nuovo ordine”.

NAZIONALISMO E PATRIMONIO ARTISTICO

Nazionalismo rivoluzionario e patrimonio artistico-culturale: l’origine dei beni culturali


Tra i principi della Rivoluzione francese ci sono:
- Concezione razionalistica, immanentistica, naturalistica della storia e della politica
- Nazione (da qui discente la sovranità), volontà nazionale (la massima espressione della Nazione) e legge,
che incarna la volontà nazionale
- “Stato legislativo”, sorgente di ogni diritto
- Divisione dei poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario
- Nuova concezione dell’uomo: umanità rigenerata, gli uomini sono cittadini di un mondo nuovo, libero da
superstizioni ed ingiustizie del passato
- Nuovo modello educativo e culto dello stato repubblicano come religione civile
Queste ideologie escono dalla Francia nell’epoca del Direttorio, quando vengono create le Repubbliche
sorelle.

In questo periodo avviene la più grande trasmigrazione (dispersione e distruzione) di opere d’arte e beni
culturali mai avvenuta nella storia.
A quell’epoca non esistevano musei di provincia ed il Louvre era ai suoi arbori. Ma in questi anni si sviluppa
la coscienza e la sensibilità per i beni culturali, nascono i musei moderni e anche la disciplina della storia
dell’arte.
Le opere d’arte erano:
- Merce preziosa, erano anche un mezzo di pagamento
- Elementi simbolico-culturali, in quest’epoca i beni culturali assumono un valore più profondo, estetico,
educativo e pedagogico, utile alla formazione di una nuova umanità

La politica rivoluzionaria francese introduce una spoliazione sistematica delle nazioni vinte: spesso il
patrimonio artistico (beni ecclesiastici, collezioni private) di questi luoghi viene asportato, modificato (es.
luoghi sacri che perdono la loro funzione) o rubato.
Primo fra tutti fu il patrimonio francese ma naturalmente si crea anche un mercato antiquario che coinvolge
tutta l’Europa (Italia diventa estremamente interessante da questo punto di vista).
La Francia sviluppa due concezioni apparentemente in contraddizione di patrimonio artistico-culturale:
1. Idea nazionalistica: la Convenzione (assemblea politica) dichiara che il Louvre appartiene al popolo,
alla Nazione (la corona e il clero l’avevano sottratto al popolo); nasce questo museo pubblico, per il
popolo francese a cui vengono restituiti i suoi beni.
2. Idea universalistica: la Francia deve diventare il centro di questa umanità riformata, la Francia,
essendo la patria della libertà, è l’unica degna di detenere i patrimoni anche di altre nazioni.
Il Louvre doveva essere un catalogo di quando di meglio l’umanità abbia prodotto e questo principio
giustifica quindi tutte le razzie d’arte fatte dai francesi.
Il primo luogo di queste confische sono i Paesi Bassi, dove i francesi trovano moltissimi capolavori di pittura
fiamminga e olandese (Rubens, Rembrandt, …).
Bonaparte poi, dopo la Campagna d’Italia, prevede una serie di clausole nei trattati di pace che prevedevano
la cessione di moltissime opere d’arte e beni preziosi. Napoleone inizia una sistematica spoliazione
dell’Italia, organizzata e predefinita, partendo dallo Stato pontificio. Con l’Armistizio di Bologna (una tregua
dopo la sconfitta dello Stato pontificio), si firma la cessione di moltissime opere italiane, sottratte da tutte le
città italiane.
Napoleone sfrutta l’arte a livello politico, identifica Parigi come la Roma imperiale, trionfante e ricca di
opere d’arte provenienti da tutta Europa e l’arrivo dei capolavori italiani è acclamato da un vero e proprio
corteo.

Non tutti i francesi dell’epoca erano d’accordo con le azioni di Napoleone, Quatremère de Quincy critica lo
spostamento dei beni italiani in Francia, sostiene che il popolo romano è il legittimo erede della Roma antica
e professa quindi il criterio storico di conservazione del patrimonio culturale ed artistico nei luoghi d’origine.
Ma la linea ufficiale del Direttorio è opposta: nessuno meglio della Francia può occuparsi di queste opere,
inoltre la Francia ha diritto a questi beni come indennità di guerra.

Uno dei personaggi più importanti in ambito dei beni culturali fu Dominique Vivant Denon, consulente di
Napoleone e direttore del Louvre (che mantiene la sua carica anche dopo la sconfitta di Napoleone) il cui
scopo era quello di trasformare il Louvre in un museo universale, Parigi come patria dell’arte di tutto il
mondo. Il Lovre, il “Museo francese” che nel 1803 diventa “Museo Napoleone”, è un museo pubblico che
ospita un’esposizione permanete e anche una serie di esposizioni periodiche. Dentro al museo nascono anche
laboratori di restauri, cataloghi scientifici e si sviluppa un’attività di propaganda del museo e delle opere
stesse. Il Louvre diventa quindi il simbolo della Nazione francese.
Denon aveva anche che non bisognava spogliare completamente le città sottomesse, capì l’importanza che
avevano anche i musei provinciali, ma voleva un esempio di ogni scuola artistica e periodo storico, invita a
prendere solo le opere di maestri rari per rendere il Louvre un museo universale.

Nazionalismo rivoluzionario e patrimonio artistico-culturale: Italia “Paese dell’arte”


Esempi di dipinti confiscati in Italia per effetto del Trattato di pace di Tolentino (firmato dallo Stato
pontificio e da Napoleone) e spediti in Francia sono “La Trasfigurazione” di Raffaello, “La deposizione di
Cristo” del Caravaggio, c’erano poi molte statue come il “Laocoonte”, “L’Apollo del Belvedere”, le statue
del Nilo e del Tevere.
Il bottino fu trasportato per mare prima verso Livorno e poi a Marsiglia, non tutto arrivò a Parigi, una buona
parte andarono disperse, alimentando un mercato privato lucroso.

In Francia, i francesi capiscono che il popolo italiano soffre per la sottrazione di tutte queste opere,
l’occupazione francese comincia ad essere sofferta anche a livello intellettuale ed ideologico.
Monge, un matematico e anche commissario del Direttorio in Italia, aveva il compito di prelevare opere nelle
biblioteche italiane e questo sostiene che sia giusto e doveroso da parte sua attuare queste requisizioni per la
Francia.

Milano vuole creare una nuova Parigi a Brera, che era già un polo culturale (esisteva già l’Accademia di
belle arti), e Napoleone investe molto per creare un piccolo Louvre a Brera.
Napoleone crea innanzitutto la Repubblica Italiana nel 1802 con capitale Milano e successivamente fonda la
pinacoteca di Brera, affida la responsabilità di queste mansioni culturali a due grandi artisti Andrea Appiani e
Giuseppe Bossi, che avevano il compito di rastrellare opere rappresentative delle diverse scuole pittoriche
per la città di Brera.

Lo scultore neoclassico Antonio Canova, che lavorava per il Papa a Roma, viene invitato a Parigi da
Napoleone diverse volte.
Nel 1810, quando l’imperialismo culturale napoleonico era al suo culmine, Canova si reca dall’Imperatore e
sostiene l’importanza di mantenere il patrimonio italiano sul suo territorio originario, sfruttando il principio
storico e territoriale del patrimonio storico-artistico italiano.

Come forma di protesta Canova, nel 1812, scolpisce la “Venere italica” dopo che i francesi avevano portato a
Parigi la “Venere medicea”, lasciando un vuoto; allo stesso modo a Modena, nei luoghi dove erano state
portate via tele vengono sistemati tessuti neri, in segno di lutto, di perdita e di protesta.

Dopo la caduta di Napoleone, Canova continua la sua missione in nome di tutti gli stati italiani che chiedono
la restituzione delle opere confiscate durante il dominio di Napoleone, ma Denon, rimasto direttore del
Louvre anche con il ritorno di Luigi XVI si oppone.
Canova parte per conto del governo pontificio e usa un argomento legale (i francesi hanno violato il Trattato
che prevedeva l’acquisizione di solo cento opere) e un argomento storico artistico.
Il negoziato fu molto complesso ma Canova trova persone che lo appoggino in questa sua missione, come
Wellington (Gran Bretagna) e Metternich (Austria). Alla fine, riesce a riportare 506 oggetti in Italia ma il
papa stesso dice di donare alcune opere al re cattolico francese, per non incrinare ulteriormente i rapporti con
la Francia.

Molte opere rimangono però in Francia, aprendo un dibattito tuttora acceso.

La biblioteca vaticana subì esportazioni molto imponenti, nel 1810 partono 100 vetture di casse cariche di
opere, codici, beni preziosi. La restituzione di questo patrimonio fu altrettanto complessa e durò fino al 1819.

Uno dei problemi legati a questo ambito riguardò il mercato d’arte: al tempo quello francese subì una grande
svalutazione a causa dell’eccessiva quantità di opere d’arte sul territorio, che continuavano ad aumentare a
fronte di una domanda che invece rimaneva invariata.

Altri problemi si riscontrarono con la restituzione dei beni confiscati allo Stato pontificio: le opere dovevano
essere ricollocate nei loro contesti originali ma molti luoghi erano stati modificati o del tutto eliminati. Dove,
quindi, questa impostazione storica non poteva essere rispettata, si decise di sceglierne una ideologico-
pedagogica: si crearono musei moderni (con l’esempio del Louvre) che contenevano opere delocalizzate e
decontestualizzate.
Nasce quindi anche in Italia il “museo moderno” che contiene un patrimonio nazionale (ne esistevano già in
Europa ma erano pochi e frequentati solo da un’élite, non esisteva ancora l’idea di museo statale aperto a
tutti).
Nell’Ottocento la nascita di nuovi musei esplode in tutta Europa: nascono l’“Hermitage” di San Pietroburgo,
la “Alte Pinakothek” di Monaco, il “Museo del Prado” a Madrid, il “British Museum” e la “National
Gallery” a Londra, i “Musei Vaticani” a Roma, …

(Una seconda ondata di razzie artistiche avverrà sotto la dittatura nazista, quando Hitler, supportato dal
ministro Goebbels, procede all’esportazione di dipinti, sculture, arazzi, tappeti, mobili, violini, manoscritti
preziosi, …)

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