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LINGUISTICA EDUCATIVA

Da pochi anni a questa a parte un nuovo termine si è fatto avanti cercando di


affermarsi come un’autonoma disciplina: la linguistica educativa (LE).
De Mauro fu uno dei primi che iniziò a parlare di linguistica educativa nel 2012;
anche se era già nata in zona Britannica durante gli anni ’70 (Educational
Linguitiscs). Nella linguistica educativa, oltre agli scienziati sono coinvolti tutti gli
individui: chi apprende una lingua oppure chi la insegna, chi produce strumenti per
rendere possibili tali processi…
Il Consiglio dei Ministri ha applicato, nel Gennaio 2016, la riforma delle classi di
concorso per la scuola secondaria di I e II grado; al suo interno ha istituito la classe
di concorso A23 ovvero l’insegnamento della lingua italiana a persone alloglotte
(di lingua diversa da quella prevalente nel resto di una nazione) . Tale insegnamento
ha la finalità di inserire docenti specializzati nell’insegnamento dell’italiano L2
nella scuola secondaria di I e II grado.
Quindi s’inizia a riconoscere la realtà dell’italiano come lingua non nativa di
molti alunni presenti nella scuola italiana e la correlata necessità di avere
docenti specializzati nella materia.  oggetto elettivo della LE
Nonostante tutto la LE non viene subito accettata come disciplina autonoma, quindi si
mirava a dare autonomia scientifica a questa prassi di ricerca. Altro problema era
capire l’oggetto di questa disciplina e, rispondere ad una domanda del tipo “Che
cos’è la linguistica educativa?” non è del tutto semplice poiché si rischia di
allargarsi su altri orizzonti. La ragione che spinge a fare questa domanda sta nel fatto
che la LE è oggi una componente di tante altre discipline linguistiche, come la
glottodidattica, la sociologia, la didattica delle lingue moderne, la metodologia
dell’insegnamento linguistico…
Durante questo periodo c’era nell’aria una necessità di cambiamento in alcuni
caratteri di alcune discipline. Vedovelli trova questo cambiamento nella
glottodidattica (disciplina che analizza e mette in pratica approcci teorici, metodi e
tecniche per l'insegnamento delle lingue) e i motivi erano 3 :
 IL DIBATTITO SULLA DIFFUSIONE DELLE LINGUE SEGNALATO DAL “ QUADRO
COMUNE EUROPEO PER LE LINGUE” DEL CONSIGLIO D’EUROPA
 I NUOVI ASSETTI ACCADEMICI DELLA DOCENZA
 SOCIETÀ ITALIANA NECESSITA FORMAZIONE LINGUISTICA

Quindi si può notare che già nel 2003 si aveva la consapevolezza di un cambiamento
a livello di ricerca scientifica sulla materia. L’oggetto della glottodidattica
sembrava evidente eppure, appariva chiaro sin d’allora che non era sufficiente
affermare che l’oggetto della glottodidattica è la didattica delle lingue per definire
l’identità di tale disciplina. Oggi il termine glottodidattica è usato spesso come
sinonimo della LE, ma proprio questa presenza segnala che, entro la comunità degli
studiosi, esistano ancora diversità di approcci che privilegiano l’una o l’altra
connotazione. Balboni afferma infatti che in Italia la LE ha varie denominazioni che
sono frutto di un corposo dibattito nella comunità scientifica e che sono molto
influenzate dalle scuole di pensiero; in definitiva è giusto dire che la
glottodidattica è una scienza teorico-pratica.
QUINDI COSA VOGLIONO DISTINGUERE LE DUE DENOMINAZIONI?
Innanzitutto è evidente l’uso sinonimico debole, nel senso che entrambe le dizioni si
riferiscono a un identico oggetto di studio, ma ciò che separa le due dizioni è la
caratterizzazione orientata verso la dimensione applicativa e verso le “tecniche”
dell’insegnamento linguistico che ha segnato alcuni degli approcci che si sono
riconosciuti nella glottodidattica. La necessità nasce principalmente da chi opera nella
didattica delle lingue di avere strumenti concreti per orientare e guidare gli
allievi. L’esigenza di individuare e creare tecniche didattiche rimane nel panorama
dei compiti della LE. Però legare l’identità complessiva della disciplina a tale “tratto”
metterebbe in luce il rischio della non autonomia della LE.
La materia della LE è costituita da tutto ciò che riguarda le discipline che si
occupano di ciò che accade quando un essere umano apprende o insegna una
lingua. Di volta in volta tali discipline si sono concentrate su tale materia e hanno
scelto di applicare una determinata prospettiva. Come abbiamo accennato prima, la
LE s’interfaccia con altre discipline che trattano più o meno lo stesso oggetto, oltre la
glottodidattica vi è anche la sociolinguistica o gli studi di politica linguistica.
Inoltre nell’analisi delle altre discipline concorrenti vi è la linguistica acquisizionale:
disciplina sviluppatasi in Italia in relazione all’analisi dei problemi dell’italiano L2
degli stranieri. E’ nata quindi da uno specifico problema sociale riguardante la
lingua italiana infatti si occupa dei processi linguistici che hanno al proprio centro
il locutore in quanto apprendente. Non vi è quindi alcun dubbio riguardo l’oggetto
della materia che è lo stesso della glottodidattica e della LE. Quindi se la LE vuole
porre al centro del proprio oggetto la relazione insegnamento-apprendimento rischia
di trovarsi in posizione subalterna rispetto alla linguistica acquisizionale.
Inoltre a favore della linguistica acquisizionale giocherebbe anche il fatto che essa è
nata e si è sviluppata in Italia in risposta a dei problemi di natura sociale. Allo
stesso tempo si ritiene che per questa disciplina non sia semplice fondare un modello
teorico di didattica linguistica che si rapporti alla prospettiva acquisizionale,
nonostante gli esperimenti didattici promossi dalla disciplina.
DE MAURO SPIEGA IL NESSO TRA LA LE E LA LINGUISTICA
APPLICATA
La linguistica applicata (glottodidattica) s’interessa di molti campi come computer
science, traduttologia e traduzione assistita e insegnamento di lingue. L’educazione
linguistica ha il suo focus nell’apprendimento e sviluppo delle capacità
semiotiche e linguistiche nell’uso delle lingue materne; ha al suo centro il riutilizzo
di strumenti e concetti propri delle scienze del linguaggio per offrire analisi dei
rapporti tra lo sviluppo delle capacità semiotiche e linguistiche all’interno e
all’esterno della scuola.
LA LE ALL’ESTERO E IN ITALIA
La LE nasce e si sviluppa entro la Applied Linguistics; in Italia invece il problema
della terminologia è visto in relazione alle scuole di ricerca, che portano a
sottolineare l’uno o l’altro aspetto (l’ancoraggio alla tradizione teoretica o vista
come una disciplina pratico-operativa). In Italia come testimonianza di opere relative
alla LE abbiamo Monica Berretta con il suo “Linguistica ed Educazione
Linguistica” dove si tratta di una ricognizione interpretativa che mette in mostra il
legame fra le questioni linguistico-educative e quelle teoretiche. Insieme a
Berretta, anche Gaetano Berruto tenta di dare una giusta definizione di LE: egli
esprime la consapevolezza dell’attenzione alla variazione sociale del linguaggio e
introduce il termine sociolinguistica educativa per sottolineare il legame fra la
dimensione teorica del linguaggio (quello della variazione sociale dei suoi usi) e
infine la sensibilità verso i problemi che si pongono nel contesto formativo, quindi
verso le competenze all’uso linguistico.

LE CARATTERISTICHE DELLA LE
Per De Mauro la LE è un settore delle scienze del linguaggio che ha per oggetto la
lingua vista in relazione all’apprendimento linguistico e allo sviluppo delle
capacità semiotiche. Della lingua o delle lingue d’apprendere si pertinentizzano
quegli elementi linguistici che potenziano lo sviluppo del linguaggio, come
l’incremento del patrimonio linguistico già in possesso di chi apprende. Infine, la LE
definisce ed elabora approcci, metodi, tecniche, risorse tecnologiche utili per
facilitare lo sviluppo delle capacità semiotiche e dell’apprendimento linguistico.
Con questa definizione si capisce che è rilevante la presenza di una dimensione
semiotica, che consente alle LE di definire il proprio oggetto rispetto alla linguistica
teorica: la LE seleziona un sott’insieme della lingua, ovvero la lingua d’apprendere,
ed elabora una teoria che spieghi gli elementi linguistici selezionati in un quadro di
coerenza interna come giustificazione degli intrecci con altri elementi e rispetto ai
bisogni di apprendimento, della coerenza interna con gli elementi rimasti esclusi dalla
selezione, della compatibilità con il bagaglio pregresso di conoscenze, delle capacità
semiotiche e abilità verbali già possedute e dell’adeguatezza alle condizioni esterne
d’uso.
LA LE NON FA ANALISI, MA SI BASA SULLA LINGUA D’APPRENDERE
NELLA SUA DIMENSIONE SEMIOTICA.
L’apprendente-locutore è considerato come un oggetto semiotico impegnato in un
processo di elaborazione del senso attraverso il linguaggio e le lingue: un processo
spontaneo (come dice la linguistica acquisizionale) che nella storia della civiltà è
stato collocato entro uno specifico contesto formativo.
[Affermando che quindi la LE ha come oggetto la lingua d’apprendere si va
incontro ad una vera e propria sfida con la linguistica acquisizionale basata sui
modelli dove la ricostruzione e l’interpretazione di tali fasi si misurano con la
necessità di elaborare modelli, strumenti, tecniche e tecnologie capaci di rispondere ai
bisogni dell’apprendente-locutore.]
La LE, in quanto scienza, non vuole solo descrivere, analizzare o interpretare
fenomeni, ma vuole anche elaborare e proporre modelli che siano capaci di
gestire tali processi e di indirizzarli verso determinati obiettivi: obbiettivi di
crescita, di sviluppo delle competenze individuali e collettive.
Linguaggi e lingue, individuo e società, specificità linguistico-culturali e generali
processi semiotici  SONO L’OGGETTO DELLA LE
Parliamo di lingua determinata da due fattori:
- il primo è il fatto che la lingua è considerata nell’universo semiotico, quindi si tratta
di qualcosa che apprendiamo in maniera spontanea essendo continuamente coinvolti
nei modi di sviluppo delle capacità che sono basati sull’imitazione degli altri;
- il secondo fattore determinante è la società perché mette in atto dei percorsi
formativi che aiutano gli individui a raggiungere gli strumenti necessari per
sviluppare la capacità di gestione del senso e in modo che riescano a gestire i
complessi processi di semiosi
Nella prima parte della definizione data da De Mauro è chiaro l’inclusione della LE
entro le scienze del linguaggio e il suo concentrarsi sulla lingua; quindi parliamo di
una lingua considerata nell’universo semiotico e quindi da un qualcosa che
apprendiamo già in maniera spontanea. Così, siamo continuamente coinvolti nei modi
spontanei di sviluppo delle capacità, basati sull’imitazione degli altri e sulla creazione
individuale. Altro fattore determinante è la società poiché mette in atto sistemi e
percorsi formativi strutturati in modo che gli individui possano conquistare gli
strumenti per gestire i complessi processi di semiosi e perciò sviluppare la capacità di
gestione del senso.
Nella seconda parte vengono spiegati i vari modi in cui la “lingua” si manifesta.
Solitamente Lingua madre, lingua materna ed L1 vengono visti come sinonimi. Al
contrario Lingua seconda, Lingua straniera e L2 non vengono usati come
sinonimi perché abbiamo la lingua straniera che è appresa in un contesto diverso da
quello in cui è usata abitualmente (l’inglese appreso in un contesto scolastico in
Italia)¸la lingua seconda che è appresa nel contesto in cui viene abitualmente usata
(italiano appreso da stranieri in Italia), e la L2 che è più generale e contiene tutte le
caratteristiche di una lingua diversa dalla L1.
Infine, lingua straniera e lingua seconda sono iponimi di L2.

CRONOLOGIA DEI PROGETTI LINGUISTICI EUROPEI


Anni ’60 -’70:
-grandi progetti per la diffusione delle lingue minoritarie
-grandi progetti per l’inserimento dei migranti dall’Europa meridionale
(soprattutto) bambini e donne
- negli anni ’60 nella TV italiana vengono mandati in onda dei programmi finalizzati
all’alfabetizzazione di coloro i quali non sapevano leggere e scrivere nonostante
avessero superato l’età scolare; grazie a ciò aumenta il tasso di alfabetizzazione;
inoltre la TV propone un modello di lingua standard

PROGETTI GLOTTODIDATTICI
 Livello Soglia  insieme di indicatori comuni a tutte le lingue europee
 Rinnovamento dei metodi e degli approcci: approccio comunicativo
 L’Europa riprende la centralità nella elaborazione glottodidattica
Alla metà degli anni ’80 si esaurisce la spinta propulsiva dei grandi progetti europei e
da questo momento i nuovi movimenti migratori dal sud del mondo sono
profondamente diversi da quelli dei decenni precedenti. Micro-interventi*
All’inizio degli anni ’90 riprende la spinta propulsiva del Consiglio d’Europa verso
una grande progettualità. Tre sono i momenti più determinanti:
 1992  ci furono gli Atti del Simposio intergovernativo tenuto in Svizzera nel
Novembre del 1991. Si parla di Transparency and Coherence in Language
Learning in Europe: objectives, evaluation, certification
 1995  la Commissione Europea si incontra a Bruxelles trattando argomenti
relativi all’insegnamento e all’apprendimento. I punti fondamentali del
dibattito furono:
1. Incoraggiare l’acquisizione di nuove conoscenze
2. Avvicinare la scuola all’impresa
3. Lottare contro l’esclusione
4. Promuovere la conoscenza di tre lingue straniere UE
5. Porre su un piano di parità gli investimenti materiali e gli investimenti nella
formazione
Tutti questi obbiettivi per ampliare le occasioni lavorative in Europa,
facilitare l’inserimento in ambienti di lavoro e di vita diversi e contribuire
alla lotta contro la disoccupazione e l’emarginazione
 1997 (2001)  nacque il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le
lingue; ’97 nasce online mentre 2001 si verbalizza formato cartaceo; nel 2002
viene tradotto in italiano
-apprendimento
-insegnamento
-valutazione
Durante questo periodo si posero obiettivi come:
-promuovere e facilitare la cooperazione fra istituzione educative in differenti
nazioni
-provvedere una solida base per il reciproco riconoscimento delle
qualificazioni linguistiche
-assistere apprendenti, insegnanti, autori di corsi, enti che si occupano di esami
e amministratori a coordinare i propri sforzi.

CEFR (Common European Framework of Reference for


Languages)

Il Quadro Comune Europeo di Riferimento per la Conoscenza delle lingue è


un sistema descrittivo impiegato per valutare le abilità conseguite da chi studi
una lingua straniera europea, nonché allo scopo di indicare il livello di un
insegnamento linguistico negli ambiti più disparati. Esso è parte principale del
progetto Language Learning for European Citizenship tra il 1989 e il 1996.
Il suo scopo principale è quello di fornire un metodo per accertare e
trasmettere le conoscenze che si applichi a tutte le lingue d’Europa. Nel 2001,
una risoluzione del Consiglio d’Europa ha raccomandato di utilizzare il QCER
per costruire sistemi di validazione dell’abilità linguistica.
Il CEFR promuove un approccio “orientato all’azione” per l’apprendimento
linguistico. I descrittori di competenza sono infatti formulati in termini di
“saper fare”.
I suoi obiettivi non sono prescrittivi, ma intendono:
•fornire un quadro di riferimento, un meta-linguaggio
•promuovere e facilitare la cooperazione tra le istituzioni educative dei
differenti paesi
•fornire una solida base per il reciproco riconoscimento dei titoli linguistici
•assistere gli apprendenti, gli insegnanti, coloro che si occupano di politiche
linguistiche ecc. nel coordinare i loro sforzi
•aiutare quanti coinvolti nell’apprendimento, nell’insegnamento e nella
valutazione linguistica nella descrizione dei livelli di competenza
attraverso il riferimento a degli standard, anche al fine di facilitare il
confronto tra i differenti sistemi d’esame e di certificazione
I livelli comuni di competenza sono 6:
A1
A2
B1
B2
C1
C2
E in più i tre livelli intermedi :
A2+
B1+
B2+
Questi livelli vengono utilizzati in tutta Europa come parametri per fornire agli
insegnanti di lingua un modello di riferimento per la preparazione di materiali
didattici e per la valutazione delle conoscenze linguistiche.
Un’altra area ancora aperta nella ricerca è la quantità di parole necessarie per
raggiungere le abilità previste per ogni livello. Anche se non c’è ancora accordo
sui livelli inferiori, gli studiosi stanno convergendo sulla necessità di apprendere
8000-9000 “famiglie di parole” per raggiungere un livello avanzato nella lettura, e
5000-7000 famiglie di parole per raggiungere un livello avanzato nella lingua orale.
I concetti chiave che possiamo raccogliere per descrivere le funzionalità del CEFR
sono:
Identità plurilingue
Approccio pragmalinguistico: apprendente come soggetto sociale
La dimensione della testualità
Competenza linguistico-comunicativa
Livelli di competenza
IDENTITA’ PLURILINGUE
Plurilinguismo  s’intende la varietà di lingue che un individuo è in grado di
utilizzare. Inoltre la varietà linguistica è indicata come la “lingua madre” o “prima
lingua”, “seconda lingua”.
Multilinguismo  la presenza di un’area geografica, indipendentemente dalle sue
dimensioni, di più varietà linguistiche.
Neoplurilinguismo  quando gruppi di immigrati che provengono da un paese in
cui si parla una lingua minoritaria arrivano in Italia e parlano quella lingua,
contribuendo quindi all’arricchimento del panorama linguistico italiano e alla
diffusione delle lingue minoritarie.
Neomigrazione  flussi migratori “diversi” poiché i nuovi migranti presentano
livelli di istruzione più elevati rispetto a quelli degli anni ‘80
Paesi Bassi  quando un immigrato si reca nei Paesi Bassi deve lavorare per
mantenere i costi della civilizzazione e dunque gli vengono offerti dei corsi gratuiti
per imparare il neerlandese e quindi ambientarsi e riuscire ad ottenere un lavoro. Al
momento della percezione del primo stipendio l’immigrato deve restituire il costo dei
corsi che gli erano stati offerti
Il consiglio …
Istruzione prescolare è facoltativo, dai …
La politica del plurilinguismo va in contrasto con il monolinguismo presente in Italia.
APPRENDENTE COME SOGGETTO SOCIALE
Vi è un approccio orientato all’azione: gli utenti e gli apprendenti di una lingua sono
membri di una società che hanno compiti da portare a termine (non esclusivamente
tramite la lingua) in un particolare insieme di circostanze, in ambienti specifici e
all’interno di un determinato campo di azione.
LA DIMENSIONE DELLA TESTUALITA’
Un agente sociale (apprendente) sviluppa sia competenze linguistico-comunicative,
che competenze generali e ricorre a queste competenze in diversi tipi di attività
linguistiche (ad esempio nel trattare testi di specifici domini attiva delle strategie
adeguate al fine di eseguire i compiti che deve portare a termine)
COMPETENZA LINGUISTICO-COMUNICATIVA
Questa competenza la si definisce in rapporto alle sollecitazioni comunicative
provenienti dall’ambiente sociale entro il quale l’apprendente dovrà dimostrare di
saperle utilizzare: contesti di quotidianità, di studio, di lavoro… Dallo scambio
comunicativo quotidiano o all’interno di una classe di lingua o all’interazione sul
posto di lavoro
Questa competenza è rappresentabile come un continuum evolutivo, verticale ed
orizzontale, di elaborazione di sistemi provvisori di varietà interlinguistiche. Per
verticale s’intende l’idea di progressione quantitativa di strutture e tratti lungo il
percorso di apprendimento. Invece per orizzontale s’intende l’idea di ampliamento
qualitativo del percorso di apprendimento, in termini di gestione di domini (ampi
settori della vita sociale), contesti (eventi e fattori in cui si collocano gli atti
comunicativi), attività linguistiche (messa in atto della competenza)
LE CARATTERISTICHE DEL CEFR
 in un certo senso è globale inteso come onnicomprensivo, ovvero capace di
affrontare tutto l’universo dei problemi relativi alla diffusione delle lingue
 è trasparente ovvero chiaramente formulato e facilmente comprensibile dagli
utenti
 è coerente ovvero libero da contraddizioni interne
Promuovere la diffusione del plurilinguismo porterebbe alla difesa delle lingue
meno diffuse e meno insegnate comprese quelle delle minoranze linguistiche di
antico insediamento e in più avremmo cittadini che sapranno usare 2 lingue
straniere oltre alla lingua materna.
Come migliorare l’insegnamento delle lingue?
avere una buona formazione dei docenti
portare ad un innalzamento della qualità nella formazione in L2
raggiungere uno standard nella individuazione e valutazione delle
competenze
In più bisognerebbe creare un ambiente favorevole alle lingue che potrebbe al:
aumento delle opportunità formative in L2 per le giovani generazioni
creare dei sistemi per il ritorno in formazione delle persone adulte
promuovere forme di apprendimento delle lingue lungo l’arco di tutta la vita

Il CEFR:
 fornisce un riferimento comune per tutti i paesi europei nell’ambito delle lingue
per l’elaborazione di curricoli, sillabi, esami, libri di testo…
 descrive in modo globale ciò che gli apprendenti di una lingua devono
imparare a fare per comunicare in quella lingua e che tipo di conoscenze ed
abilità devono sviluppare.
 definisce i livelli di competenza che consentono di misurare l’evolversi della
competenza di un apprendete in qualsiasi stadio del suo sviluppo, seguendo l’ottica
de life-long learning.
 promuove anche un approccio “orientato all’azione” per l’apprendimento
linguistico. I descrittori di competenza sono infatti formulati in termini di “saper
fare”.
DIECI TESI GISCEL (Gruppi di Intervento e Studio nel Campo dell'Educazione
Linguistica)

E’ un testo preparato dai soci GISCEL nell’inverno e primavera del 1975 e


definitivamente approvato in una riunione tenutasi alla Casa della Cultura di Roma
il 26 Aprile del 1975. Con questo testo il gruppo GISCEL (costituitosi nel 1973)
intende definire i presupposti linguistici basilari e le linee d’intervento
dell’educazione linguistica, proponendole all’attenzione degli studiosi e degli
insegnanti italiani e di tutte le forze che, in Italia, lavorano per una scuola
democratica.
I TESI  la centralità del linguaggio verbale
Il linguaggio verbale è di fondamentale importanza nella vita sociale e
individuale perché, grazie alla padronanza sia ricettiva che produttiva di parole,
possiamo intendere gli altri e farci intendere; ordinare e sottoporre ad analisi
l’esperienza; intervenire a trasformare l’esperienza stessa.
Il linguaggio verbale lo si colloca al meglio sottolineando che negli esseri umani
esso è una forma assunta dalla capacità di comunicare che si è denominata come
capacità simbolica fondamentale o capacità semiologica.
II TESI  il suo radicamento nella vita biologica, emozionale, intellettuale e
sociale
Dati i molti legami con la vita individuale e sociale, è ovvio affermare che lo
sviluppo delle capacità linguistiche ha le sue radici in tutta l’evoluzione dell’essere
umano e quindi anche nelle possibilità di crescita psicomotoria e di socializzazione,
nell’equilibrio dei rapporti effettivi… inoltre lo sviluppo delle capacità linguistiche
dipende anche da una buona alimentazione contenente frutta, latte, zucchero e
bistecche! Infatti un bambino appena nato che si vede proiettato in una società ed è
poco o mal nutrito inevitabilmente parla, legge e scrive male.
III TESI  Pluralità e complessità delle capacità linguistiche
Come è stato già detto nella tesi 1, il linguaggio verbale presenta molteplici
capacità. Alcune si vedono e si percepiscono bene: capacità di produrre le parole
frasi appropriate, la capacità di conversare, di leggere ad alta voce … Altre, al
contrario , si vedono e percepiscono di meno e sono: la capacità di dare un senso
alle parole, di verbalizzare e analizzare interiormente le varie situazioni, la capacità
di ampliare il proprio patrimonio linguistico.
IV TESI I diritti linguistici nella Costituzione
La pedagogia linguistica deve badare al rapporto tra lo sviluppo delle capacità
linguistiche e lo sviluppo fisico, affettivo e sociale dell’individuo.
La pedagogia linguistica efficace è democratica se accoglie e realizza i principi
linguistici esposti in testi come l’art.3 della Costituzione Italiana che riconosce
l’eguaglianza di tuti i cittadini <<senza distinzioni di lingua>> e rimuove gli ostacoli
che si sovrappongono come traguardo dell’azione della Repubblica. I giuristi
spiegano che “Repubblica” significa l’intero complesso degli organi centrali e
periferici, legislativi, esecutivi ed amministrativi dello Stato. Qui rientra la Scuola
che è chiamata ad individuare e perseguire i compiti di una educazione linguistica
efficacemente democratica. Tali compiti hanno come traguardo il rispetto e la tutela
di tutte le varietà linguistiche.
La complessità dei legami biologici, psicologici, culturali e sociali del linguaggio
verbale e i suoi legami con la variabilità spaziale e temporale inducono a capire che
non sia soltanto la scuola a proporsi problemi e scelte dell’educazione linguistica.
Come ad esempio in Italia dove vi è una grande concentrazione di analfabetismo vi
sono vari centri e istituti che garantismo un’attivazione paritaria delle capacità
linguistiche di tutti. Uno sforzo coordinato di tutte le istituzioni è la condizione per
la piena attivazione delle capacità verbali; è dalla scuola che può venire una spinta
di rinnovamento anche per le altre istituzioni culturali di massa.
V TESI Caratteri della pedagogia linguistica tradizionale
E’ stato osservato che le vecchie pratiche pedagogiche riguardanti l’educazione
linguistica sono rimaste parecchio indietro rispetto alle proposte dei programmi
ministeriali.
La pedagogia linguistica tradizionale punta i suoi sforzi in diverse direzioni:
-il rapido apprendimento dei grafismi, dell’ortografia e della produzione scritta da
parte dei più dotati;
-apprendimento a memoria di paradigmi verbali, classificazione logica di parti della
frase;
-capacità di verbalizzare oralmente e per iscritto apprezzamenti di testi letterari molto
tradizionali, spesso privi di ogni fondamento metodico e di coerenza e quindi volti a
reprimere le deviazioni ortografiche e quelle di sintassi.
VI TESI Inefficacia della pedagogia tradizionale
Ciò che viene criticato della pedagogia tradizionale è soprattutto l’inefficacia. Dal
1859 esiste in Italia una legge sull’istruzione obbligatoria che ha cominciato a
trovare realizzazione effettiva a livello delle primissime classi elementari e quindi un
grande gruppo di persone è passato da qui. In sostanza la pedagogia tradizionale non
ha saputo insegnare loro l’ortografia poiché oggi in Italia 1 cittadino su 3 è
semianalfabeta. Inoltre l’ossessione per gli “sbagli” di ortografia comincia dal primo
trimestre della prima elementare e si prolunga per tutto il percorso scolastico. Quindi
è giusto dire che l’oscurità e i periodi complicati sono il risultato della pedagogia
tradizionale.
Infine la pedagogia tradizionale non realizza bene nemmeno gli scopi su cui punta e
dice di puntare. In questo senso, essa è inefficace.
VII TESI Limiti della pedagogia linguistica tradizionale
Gli scopi dell’educazione linguistica non possono restare più quelli tradizionali. La
pedagogia linguistica tradizionale pecca non soltanto per inefficacia, ma per la
parzialità dei suoi scopi:
 P.L.T pretende di operare settorialmente, nell’ora detta “d’italiano”. Essa
ignora la portata generale dei processi di maturazione linguistica (tesi 1) e
quindi la necessità di coinvolgere non una, ma tutte le materie e tutti gli
insegnanti. La P.L.T bada soltanto alle capacità produttive e scritte e quindi
scarsamente motivate da necessità reali e quindi le capacità linguistiche
ricettive sono ignorate. Vi sono insegnanti che non si rendono conto di ciò e
condannano le sperimentazioni con cui l’allievo controlla sue ricezioni parziali
e sue ipotesi provvisorie sulla funzione e il valore di un elemento linguistico
appena appreso.
 La P.L.T. non cura le capacità di produzione orale e questo lo si può notare
nel momento “dell’interrogazione” quando l’attenzione di chi parla e di chi ha
domandato e ascolta è concentrata sui contenuti della risposta e delle volte
anche sulle astuzie reciproche per mascherare quel che non si sa. Quindi la
capacità di organizzare un discorso non fa parte delle capacità della P.L.T.
 Nella produzione scritta la P.L.T tende a sviluppare la capacità di
discorrere a lungo su un argomento e quindi poco utile, ma soprattutto
trascura altre capacità più utili:
-prendere buoni appunti;
-schematizzare;
-sintetizzare
 la P.L.T. si è largamente fondata sulla fiducia nell’utilità di insegnare analisi
grammaticali e logiche, paradigmi… la riflessione scolastica tradizionale sui
fatti linguistici si riduce a questi 3 punti elaborati da studiosi che si sono
occupati del problema dell’educazione linguistica affermando che vi è un
accordo con l’insegnamento grammaticale tradizionale:

1. Parzialità dell’insegnamento grammaticale tradizionale: se vi ci deve


essere una riflessione sui fatti linguistici allora ci deve essere anche la
presa in considerazione dei fenomeni del mutamento linguistico e
delle relazioni tra tale mutamento e le vicende storico-sociali, del
collegamento tra l’organizzazione del vocabolario e l’organizzazione
psicologica degli esseri umani. Quindi la riflessione dei fatti linguistici
da parte della grammatica tradizionale esclude dunque tutta la
complessa materia di studio e riflessione delle varie scienze del
linguaggio.
2. Inutilità dell’insegnamento grammaticale tradizionale rispetto ai fini
primari e fondamentali dell’educazione linguistica: se la grammatica
tradizionale è vista come un perfetto strumento per l’educazione allora
dovrebbe guardare a tutte le capacità del linguaggio e non solo alle
singole regole grammaticali; pensare che lo studio riflesso di una
regola grammaticale ne agevoli il rispetto effettivo è come pensare che
chi studia l’anatomia delle gambe corre più svelto o chi sa meglio
l’ottica vede più lontano…
3. Nocività dell’insegnamento grammaticale tradizionale: la grammatica
tradizionale è fondata su teorie di funzionamento molto antiquate e
soprattutto corrotte ed equivocate. Infatti come non abbiamo un
grande e civile dizionario storico della lingua (come l’Oxford inglese o il
Grimm tedesco) così non abbiamo un grande e serio repertorio dei
fenomeni linguistici e grammaticale dell’italiano.

 la P.L.T trascura anche la realtà linguistica di partenza degli allievi. La stessa


legge del 1955 sull’adozione e redazione dei libri per le elementari, porta alla
produzione di testi unici su tutto il territorio nazionale. Senza saperlo forse la P.L.T
ignora ciò e trasforma come svantaggio la diversità dialettale, culturale e sociale.
 la P.L.T. ignora anche il rapporto tra le capacità verbali e quelle simboliche
ed espressive. In sostanza la P.L.T. ignora tutta la ricchezza e primaria importanza
dei modi simbolici e non verbali e nel fare ciò danneggia lo sviluppo del linguaggio
verbale
PEDAGOGIA LINGISTICA TRADIZIONALE  parzialità sociale e politica,
rispondenza ai fini politici e sociali complessivi della scuola di classe. E’ però
funzionale in un altro senso è rivolta ad integrare il processo di educazione
linguistica degli allievi delle classi sociali più colte i quali ricevono quanto serve allo
sviluppo delle loro capacità linguistiche. Essa svela la sua inefficacia soltanto nel
momento in cui si confronta con l’esigenza degli allievi provenienti dalle classi
popolari, operaie, contadine. Molti insegnanti, attenendosi alle pratiche della
tradizionale pedagogia linguistica, si sono trovati costretti a farsi esecutori del
progetto politico del consolidamento della divisione in classi in Italia.
VIII TESI  Principi dell’educazione linguistica democratica
Qui vengono coordinati i tratti di una educazione linguistica secondo un’esigenza di
interna coerenza e i dieci principi su cui basare l’educazione linguistica nella
scuola nuova:
1. Lo sviluppo delle capacità verbali va promosso in stretto rapporto con una
corretta socializzazione, con lo sviluppo psicomotorio e con la maturazione di
tutte le capacità espressive e simboliche;
2. Lo sviluppo delle capacità linguistiche non devono essere fini a se stessi, ma
devono essere strumenti per la ricca partecipazione alla vita sociale ed
intellettuale:
-l’addestramento delle capacità verbali deve essere motivato entro le attività di
studio, ricerca, discussione, partecipazione, produzione individuale e di gruppo
3. La sollecitazione delle capacità linguistiche deve partire dall’individuazione
del retroterra linguistico-culturale personale, familiare, ambientale
dell’allievo, non per inchiodarlo a questo retroterra, ma per arricchire il
patrimonio linguistico
4. La scoperta di diversità tra gli allievi è il punto di partenza delle più
approfondite esperienze della varietà spaziale, temporale e geografica che
caratterizza il patrimonio linguistico dei componenti di una stessa società.
5. Occorre sviluppare non solo le capacità produttive, ma anche quelle ricettive
verificando il grado di comprensione dei testi scritti e dei vocabolari.
6. Nelle capacità produttive e ricettive va sviluppato anche l’aspetto orale e
scritto, stimolando in tal modo le diverse esigenze di formulazione.
7. Per queste capacità occorre sviluppare la capacità di passaggio dalle
formulazioni più accentuatamente locale, colloquiale a quelle più generalmente
usate.
8. Seguendo la regola precedente, s’incontra la necessità di addestrare l’uso di
modi istituzionalizzati della lingua comune (linguaggio giuridico, linguaggi
letterari …)
9. Sviluppare le capacità di autodefinirsi e autodichiararsi. Questo lo si può
analizzare fin dalle prime classi elementari arricchendo le parti di vocabolario
che parlano dei fatti linguistici innescando così nelle scuole post-elementari lo
studio della realtà linguistica circostante e del divenire storico delle lingue.
10.Sviluppare il senso della funzionalità di ogni forma linguistica nota e
ignota. La P.L.T era imitativa e prescrittiva, al contrario la nuova educazione
linguistica spiega i motivi per il quale una determinata cosa è un errore o
viceversa.
IX TESI  Per un nuovo curriculum per gli insegnanti
La nuova educazione linguistica richiede attenzioni e conoscenze sia negli alunni e
sia negli insegnanti. Quest’ultimi in particolare nelle vecchie prospettive si basavano
semplicemente nel controllare soltanto il grado di limitazione e la capacità di
ripetizione delle regole cristallizzate. Quindi al contrario seguire i principi
dell’educazione linguistica democratica comporta un salto di qualità e quantità in
fatto di conoscenza sul linguaggio e sull’educazione. Per creare un curriculum
valido per gli insegnanti bisognerà integrare nella loro complessiva formazione
competenze sul linguaggio, lingue e competenze sui processi educativi e le
tecniche didattiche.
L’obbiettivo è quello di dare agli insegnanti una consapevolezza critica e creativa
delle esigenze che la vita scolastica pone e degli strumenti con cui ad esse rispondere.
X TESI  Conclusione
Il salto di qualità e quantità per gli insegnanti è impensabile senza l’organizzazione
di adeguati centri locali e regionali di formazione linguistica e educativa che
correggano gli errori commessi nelle esperienze formative. Ci troviamo dunque
dinanzi a un problema amministrativo e civile e politico.
Da qualunque parte si consideri l’insieme di questioni e soluzioni che sono state
delineate ci imbattiamo comunque nella necessità di connettere il discorso di una
diversa impostazione dei bilanci dello stato e delle scuole ad un diverso orientamento
della vita sociale tutta.
Le analisi proposte quindi hanno senso solo se maturate in rapporto a forze sociali
interessate a gestire la scuola secondo obbiettivi democratici e quindi stabilire
rapporti più intimi e sicuri tra gruppi dirigenti e massa.
IL TESTO NELLA DIDATTICA DELLE LINGUE
In questo contesto si guarda agli obbiettivi che l’insegnante si propone durante il suo
percorso didattico.
E’ giusto parlare delle abilità che un allievo deve acquisire durante il percorso
didattico:
 Seguire una struttura di progressione per raggiungere vare abilità
 Sviluppare abilità di comprensione dell’ascolto
 Sviluppare abilità di comprensione della lettura
 Sviluppare abilità di produzione orale
 Sviluppare abilità di produzione scritta
 Sviluppare il ruolo delle abilità integrate
 Sviluppare il ruolo della riflessione metalinguistica
L’organizzazione del corso di studi è basato su due principi fondamentali:
CURRICOLO manifesto glottodidattico e contiene indicazione su approcci e
metodi d’insegnamento, bisogni degli studenti, come organizzare una lezione ed è
un’operazione globale per organizzare corsi e materiali. Il primo curricolo d’italiano
per stranieri è stato fatto a Siena;

SILLABO liste di contenuti (lessico, morfologia e sintassi); quelli moderni hanno


atti comunicativi e testi; nel sillabo puro non c’è indicazione metodologica; parte
dell’attività culturale che si riferisce alla specificazione e graduazione dei contenuti di
insegnamento

IL TESTO può avere un ruolo di input e output:


-in un percorso di insegnamento e apprendimento
-nel processo di misurazione e valutazione della competenza linguistico-
comunicativa
Seguendo quello che dice il QCER
Il testo per la linguistica testuale è un messaggio unitario e completo caratterizzato
da vari criteri di testualità come coerenza e coesione.
Il testo per il QCER è il perno centrale dell’evento comunicativo. Il testo è
qualsiasi occorrenza comunicativa, sia scritta che parlata, correlata a uno specifico
dominio d’uso della lingua che nel corso di un di un compito comunicativo diventa
occasione per mettere in pratica un atto linguistico.
Due delle molte azioni seguite da un agente sociale, non avvengono solo perché egli
sviluppa competenze linguistico-comunicative, ma anche perché ha a disposizione e
sviluppa competenze generali. Ricorre a queste competenze in diversi tipi di attività
linguistiche per trattare testi in relazione a specifici domini, attivando quelle strategie
che gli sembrano più adeguate per eseguire i compiti che deve portare a termine.

Il testo può donare vari input:


-può essere uno strumento di interazione e comunicazione;
-modello di lingua;
-rappresentativo di usi comunicativi e di tipi di testo;
-fonte di problemi e attivatore di apprendimento;

La differenza tra testo autentico e non autentico consiste nel collegamento fra il
ruolo della testualità e il quadro dei livelli di competenza.
Testo autentico  materiali per stranieri; non a scopo didattico per i madrelingua
ma sì per gli stranieri
Testo non autentico  materiali per madrelingua, non a scopo didattico per gli
stranieri ma sì per i madrelingua

CRITERI PER LA SELEZIONE DI UN TESTO PROPOSTI


DAL QCER

 Complessità linguistica
 Tipo di testo
 Strutture del discorso
 Aspetti fisici
 Lunghezza del testo
 Rilevanza per gli apprendenti
Si parla di complessità linguistica quando in un testo vi è:
Una sintassi completa
Frasi lunghe con molte subordinate
Costituenti non continui
Negazione multipla
Ambiguità degli scopi
Deittici (insieme eterogeneo di forme linguistiche – avverbi, pronomi, verbi –
per interpretare le quali occorre necessariamente fare riferimento ad alcune
componenti della situazione in cui sono prodotti) e anafore (Figura retorica
che consiste nella ripetizione, in principio di verso o di proposizione, della
parola o espressione con cui ha inizio il verso o la proposizione principale)
senza chiari referenti e antecedenti
La leggibilità in un testo indica la probabilità che le caratteristiche lessicali e
morfosintattiche di un testo ne influenzino la comprensibilità.
 Tanto più un testo è leggibile e tanto più si attua con facilità
la cooperazione testo-fruitore.
Per misurare la leggibilità ci sono molte formule. Per l’italiano ricordiamo le formule
di:
FLESCH F=206-(0,6 x S) – P
S= numero di sillabe su un campione di 100 parole
P= numero medio di parole per frase, contenute in un campione di 100 parole

GULPEASE G=89-(Lp:10)+(3xFr)
Lp= totale lettere campione x100: totale parole campione
Fr= totale frasi campione X100: totale parole campione
Lunghezza parole = indice di difficoltà semantica
Lunghezza frasi = indice di difficoltà sintattica

LA SCELTA DEL LESSICO


La scelta del lessico è regolamentate dall’utilizzo del Vocabolario di base della
lingua italiana (De Mauro 1980,1997,2003). Quest’ultimo costituisce l’insieme delle
parole (circa 7000) con le quali un italiano è in grado di realizzare il 98% dei suoi
discorsi.
TIPOLOGIE TESUALI:
 Descrittivi
 Narrativi
 Regolativi
 Espositivi
 Argomentativi
*Lavinio 2000  tipi testuali e processi cognitivi
GENERI TESTUALI:
 Articoli
 Regolamenti
 Volantini
 Interviste
 Monologhi
 Dialoghi
 Racconti
 …
STRUTTURA DEL DISCORSO
Un testo deve presentare:
 Coerenza
 Coesione
 Pianificazione e organizzazione
 Informazione esplicita vs. implicita
 Globalità
 Autonomia e completezza comunicativa
 Pertinenza con il contesto

ASPETTI MATERIALI DEL TESTO


 Rumori, disturbi e interferenze nel testo orale
 Presentazione grafica non adeguata nel testo scritto
*Questi elementi complicano la comprensione*

LUNGHEZZA DEL TESTO


Un testo lungo può portare a delle conseguenze:
 Più di 20 parole per frase impegnano eccessivamente la memoria a breve
termine e l’attività di elaborazione cognitiva.
 Rischio di affaticamento e distrazione
 Un testo lungo e non troppo denso, ridondante, può facilitare l’elaborazione

RILEVANZA PER L’APPRENDENTE


Un’apprendente prima intraprendere un corso di studi deve:
Avere una certa motivazione
Avere un rapporto con il contesto
Avere un lessico familiare (anche di area-tecnico specialistica) favorisce
l’elaborazione
Confidenza con il contenuto

CRITERI PER LA SELEZIONE DI TESI ADEGUATI ED EFFICACI


 Devono rispondere ai bisogni linguistici degli apprendenti
 Devono avere una corrispondenza ai livelli linguistici e alla cultura
 Devono avere una ricchezza dal punto di vista degli spunti didattici per il
docente
 Devono essere interessanti e coinvolgenti
 Devono essere comprensibili, graduati in modo da fornire un input
 Devono avere vari generi e tipi, finalizzati a scopi diversi, adeguati a
promuovere tutte le abilità, sfruttabili per attività didattiche che mettano in
gioco più atti linguistici

Quando un testo viene sottoposto a valutazione, colui che valuta deve seguire
determinati criteri:
 decidere obiettivi della misurazione e valutazione
 scegliere la prova più adeguata
 scegliere il testo più adatto
 scegliere il lessico in base all’obbiettivo e al livello
 creare il test, definire le chiavi e i criteri
 decidere i tempi di somministrazione del test e somministrarlo
 correggere le prove e interpretare i risultati
 prendere le decisioni conseguenti
 analizzare lo strumento usato
Il professore Vedovelli ha proposto una griglia di analisi dei materiali didattici per
facilitare la selezione dei materiali più adeguati in una data situazione
d’insegnamento, in autoapprendimento, con specifici gruppi di apprendenti…
Talvolta le premesse dei materiali didattici contengono indicazione che non vengono
poi rispettate all’interno del manuale…
Il compito del docente è anche quello di analizzare i materiali che sceglie di usare e
per questo motivo la struttura “a griglia” consente di comparare diversi materiali e
strumenti.
Quindi l’enfasi è spostata sull’insegnante come ricercatore; Vedovelli afferma che il
ricercatore è “in grado di giustificare le proprie scelte, di formalizzarle, di esplicitarle
riportandole a parametri formali, a batterie concettuali che siano capaci di orientare la
concreta azione didattica e renderla interpretabile nelle sue dinamiche”.

ATTIVITA’ IN AULA
 Bisogna favorire la socializzazione del percorso e la creazione di un’identità di
gruppo;
 Bisogna incrementare le competenze dei corsisti attraverso la comunicazione
in lingua tra i componenti del gruppo e il docente;
 Bisogna permettere al docente di affrontare alcuni passaggi relativi alle
competenze chiave di ogni modulo

LA PROGETTAZIONE E LA REALIZZAZIONE DI PERCORSI DIDATTICI


IN ITALIANO L2 IMPLICA INNANZITUTTO UNA RIFLESSIONE
 Sulla centralità dell’apprendente
 Sul ruolo del docente
 sul contesto di socialità rappresentato dalla classe

La competenza linguistico-comunicativa si definisce in rapporto alle sollecitazioni


comunicative provenienti dall’ambiente sociale entro il quale l’apprendete dovrà
dimostrare di saperle utilizzare: contesti di quotidianità, di studio, di lavoro …
SLIDES ANALFABETISMO
Il 17 novembre del 1965, l’Unesco istituisce la Giornata Internazionale
dell’Alfabetizzazione (8 settembre di ogni anno): nei processi di diffusione della
literacye delle politiche di lifelonglearningmolte popolazioni rischiano di restare il
settore neglected.
Lifelong learning è un processo individuale intenzionale che mira all’acquisizione di
ruoli e competenze e che comporta un cambiamento relativamente stabile nel tempo.
Nell’Assemblea delle Nazioni Unite del 2017 sono stati stabiliti degli obiettivi da
perseguire entro il 2030, ovvero:
- costruire solide basi di literacy
- produrre strumenti di misurazione dei livelli della functional literacy
- intervenire a supporto di giovani e adulti che hanno scarse abilità di literacy di base
- sviluppare ambienti literate
In vista della scadenza del 2030 si denuncia lo scarso impegno impiegato fino ad oggi
per perseguire tali obiettivi.
Vi sono alcune popolazioni escluse dai processi di alfabetizzazione:
- regioni meridionali dell’Asia, Africa sub-sahariana, Asia Est e Sud-est, Nord Africa,
Asia Occidentale, America Latina e nei Caraibi
Esistono molti progetti ideati per quelle popolazioni che non sono alfabetizzate, come
ad esempio We love reading (Giordania), una comunità virtuale che offre corsi on
line per l’apprendimento della lettura ad alta voce per genitori; AdulTICoProgram
(Colombia) per l’insegnamento di competenze digitali agli anziani; Aagahi Literacy
Programme (Pakistan) per le donne adulte e le ragazze che non sono a scuola
oppure FunDza (Sud Africa), un programma per lettori e scrittori che promuove la
cultura del piacere di leggere e scrivere.
L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
(OCSE) è un'organizzazione internazionale di studi economici per i paesi
membri che sono paesi sviluppati che hanno in comune un'economia di
mercato.
36 paesi membri e ha sede a Parigi, nello Château de la Muette.
Lowskilled è la popolazione che non raggiunge il livello 2 della scala di
literacy(livello inferiore a 1 e livello 1); individui che dimostrano capacità molto
limitate nel risolvere prove semplici (lettura di testi brevi, individuazione di
informazioni specificamente indicate, ovvero sono in grado di operare macht, tra
informazione richiesta e contenuto della domanda, ma non riescono a fare semplici
associazioni o inferenze).
La percentuale Ocse dei lowskilled è 12,7%.
NEET  indica persone non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella
formazione è una condizione legata a quella di low skilled; si tratta di una delle
conseguenze dammatiche dell’abbandono scolastico prima del conseguimento del
diploma

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