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Carlo Bresciani*
L
a Chiesa riconosce che ci possa essere una cura pastorale per le persone
omosessualii. Sul tema, la Congregazione per la dottrina della fede ha
emanato una lettera rivolta ai Vescoviii. In essa si afferma: «Questa
Congregazione incoraggia pertanto i Vescovi a promuovere, nella loro
diocesi, una pastorale verso le persone omosessuali in pieno accordo con
l’insegnamento della Chiesa» (n. 15). Dà poi un’indicazione preziosa: «Un
programma pastorale autentico aiuterà le persone omosessuali a tutti i livelli della
loro vita spirituale, mediante i sacramenti e in particolare la frequente e sincera
confessione sacramentale, mediante la preghiera, la testimonianza, il consiglio e
l’aiuto individuale. In tal modo, l’intera comunità cristiana può giungere a
riconoscere la sua vocazione ad assistere questi suoi fratelli e queste sue sorelle,
evitando loro sia la delusione sia l’isolamento»(ivi).
È evidente che una cura pastorale richiede la dedizione anche dei pastori e
per questo si afferma: «La particolare sollecitudine e la buona volontà dimostrata da
molti sacerdoti e religiosi nella cura pastorale per le persone omosessuali è
ammirevole, e questa Congregazione spera che essa non diminuirà. Tali ministri
zelanti devono nutrire la certezza che stanno seguendo fedelmente la volontà del
Signore, allorché incoraggiano la persona omosessuale a condurre una vita casta, e
ricordano la dignità incomparabile che Dio ha donato anche ad essa» (n. 13).
Si tratta di importanti linee di partenza per la elaborazione di indicazioni
pastorali più concrete. Nascono, però immediatamente alcune domande: ma quale
pastorale è realisticamente possibile alla luce delle molte incomprensioni che
minano il campo? Quali spazi realistici per la pastorale ci possono essere o si
devono creare andando oltre (non contro) il giudizio morale circa gli atti
omosessuali?
*
Psicologo e psicoterapeuta. Docente di teologia morale, Brescia. Direttore dell’Istituto Superiore per
Formatori.
Da notare che il campo è minato da molte incomprensioni che non sono solo
delle persone omosessuali, ma anche di singoli e di comunità che confondono la non
approvazione morale degli atti omosessuali con la condanna della persona tout
court. L’incomprensione apre facilmente la strada a diverse forme di emarginazione
e, talora, di vere e proprie mancanze nei confronti di loro diritti fondamentali.
Da credenti e membri della Chiesa è un dovere cercare di riflettere sui
possibili approcci pastorali alle persone omosessuali. Sappiamo essere un terreno di
forti contrasti. A molte richieste la Chiesa non può dare risposta positiva, ma non
possiamo abbandonare a se stessi cristiani che, trovandosi a vivere un orientamento
omosessuale, chiedono aiuto alla Chiesa. Una pastorale cristianamente ispirata non
pretende di trovare soluzioni immediate alle difficoltà in cui i fedeli e le comunità si
dibattono, ma di accompagnare gli uni e le altre a una progressiva e più profonda
adesione a Cristo e al modello di vita che lui ci ha insegnato per giungere a una
piena comunione con Dio.
Non si tratta, quindi, di nascondersi le difficoltà o pensare di risolverle
semplicemente negando l’esistenza dei problemi, quanto di mettersi in cammino,
avendo alcuni punti di riferimento irrinunciabili: quelli evangelici, senza farsi
illusioni, né aver fretta di arrivare a conclusioni superficiali e illusorie.
Punti irrinunciabili
La dignità intrinseca della persona non deriva dal possesso di questa o quella
qualità e non viene perduta per la mancanza di una o dell’altra di esse. In questa
luce, non è l’orientamento sessuale che dà la dignità della persona eterosessuale
o la non dignità della persona omosessuale. Cristianamente, la dignità della
persona trova il suo fondamento nell’essere figlio di Dio e ciò è di ogni essere
umano qualunque sia la condizione della sua vita. Significa che ogni essere
umano, in qualsiasi condizione egli si trovi, è chiamato a camminare verso
l’incontro con Dio ed è da lui amato.
Ogni battezzato è parte della Chiesa e, in quanto tale, ha diritto alla sua cura
pastorale, espressione della sua maternità che vuole e deve generare in Cristo
figli degni dell’amore del Padre. Certamente la persona omosessuale, per il solo
suo orientamento sessuale, in virtù del suo battesimo non può essere esclusa da
tale cura e, meno che meno, deve essere ritenuta non più parte della Chiesa
stessa. Ciò significa che anche la persona che si trova a vivere un orientamento
omosessuale è chiamata a vivere la sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa con il
sostegno dei comuni mezzi di vita spirituale cristiana e attraverso una
conformazione della sua vita al Vangelo.
Il peccatore è parte della Chiesa, sia pure come «membro morto», chiamato a
conversioneiii. Quindi, anche il peccatore ha diritto alla cura pastorale della
Chiesa che mette a sua disposizione tutti i mezzi a lei affidati da Cristo, non
ultimi quelli sacramentali, per la sua conversione.
Se la dottrina della Chiesa afferma essere oggettivamente negativi dal punto di
vista morale gli atti omosessuali, ciò non significa affermare che si è sempre di
fronte a responsabilità morale soggettiva e, quindi, a un peccato. «La loro
colpevolezza sarà giudicata con prudenza… [lo stesso giudizio della Scrittura]
non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia,
ne siano personalmente responsabili»iv. Anche quando si fosse di fronte a
comportamenti peccaminosi, non significa per ciò stesso che debbano essere
negati il perdono sacramentale (alle solite condizioni) e la possibilità di una cura
pastorale per coloro che vivono attivamente la loro omosessualità. Mai può
essere data l’indicazione ai pastori e ai fedeli di abbandonare a se stessi questi
fratelli in Cristo, allontanandoli così dalla comunità cristiana e dai mezzi
necessari per la conversione.
La ferita dell’omosessualità
Come servirsi, nella pratica, di questi principi teorici sarà il tema del
prossimo articolo. Ma il riferimento teorico non può essere saltato perché è la
riflessione antropologica e teologica che fonda gli interventi pastorali e li preserva
dall’essere dei semplici palliativi.
i
Affrontare in modo completo le questioni poste da questo tipo di pastorale va evidentemente oltre
gli ambiti di un semplice articolo. Qui si vuole solo richiamare l’attenzione su di essa, indicarne
l’urgenza facendo emergere alcuni spazi di vicinanza cristiana e di intervento.
ii
Congregazione per la dottrina della fede, La cura pastorale delle persone omosessuali, 1-10-1986.
iii
Cf C. Bresciani, La Chiesa comprende nel suo seno i peccatori, in Quaderni Teologici del
Seminario di Brescia, I: L’appartenenza alla Chiesa, Morcelliana, Brescia 1991, pp. 129-145.
iv
Congregazione per la dottrina della fede, Persona Humana (31-12-1975), n. 8.
v
A. Manenti, I casi tragici: quando vivere il valore sembra impossibile, in «Tredimensioni» 1(2005),
pp. 27-37 : www.isfo.it/files/File/Studi%203D/Manenti05.pdf
vi
L’uomo è in se stesso diviso, afferma Gaudium et Spes n. 10.
vii
La mancanza della generazione è vissuta più profondamente dalla donna che non dall’uomo.
viii
Congregazione per la dottrina della fede, La cura pastorale delle persone omosessuali, n. 15.
ix
La dimensione comunitaria è intrinseca alla fede cristiana: siamo chiamati a fare Chiesa e non a
vivere da isolati e individualisticamente il nostro rapporto con Dio.