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Geografia Delle Comunicazioni Appunti
Geografia Delle Comunicazioni Appunti
Da qui passeremo alle cause che sono alla base della globalizzazione economica- si parla
di DIVISIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO come chiave di lettura.
Se parliamo di lavoro in realtà facciamo riferimento ad una suddivisione internazionale
della PRODUZIONE, delle fasi produttive su scala globale.
Sostanzialmente la suddivisione del lavoro, oggi nella fase attuale, i nostri prodotti non
vengono piu realizzati in pochi paesi, la produzione viene frammentata e scomposta e
ogni parte viene prodotta in un paese, ogni paese tende a specializzarsi in una
componente di un prodotto o in una lavorazione di un semilavorato poi tutte queste
parti si riuniscono in un paese e ne esce il prodotto finito.
Tutte queste parti del pc, si muovono nello spazio, danno origine a flussi commerciali, il
prodotto poi dove verrà venduto, magari in Europa, o in altri paesi quindi di nuovo
FLUSSO COMEMRCIALE.
CONCETTI CHIAVE:
- SPAZIO
- TERRITORIO/ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE
- AMBIENTE
- SCALA GEOGRAFICA
- TEMPO
Queste due mappe ci rappresentano lo spazio in 2 modi diversi, però l’oggetto è lo stesso
ovvero il globo terrestre.
In effetti una proiezione geografica è un metodo che ci permette di trasferire una
superficie sferica come quella della terra su un piano, che può essere la carta o il monitor
di un computer.
Questo trasferimento indica un processo di adattamento che è la PROIEZIONE, che
produce delle distorsioni, nelle aree e nelle distanze; sono diverse.
Nessuna delle due è corretta o sbagliata, sono solo proiezioni che fanno riferimento a due
cose diverse, ovvero o rinunciano a rappresentare le distanze o le aree.
Quindi di fatto lo spazio assoluto non esiste, e lo spazio appare ancora meno assoluto se
noi introduciamo altri elementi di complessità ovvero MODI ALTERNATIVI DI
considerare LA DISTANZA.
Es. in questa slide noi rappresentiamo le distanze che separano le città europee rispetto ad
un cuore, in due date diverse, 1993 e questo è un dato reale.
Distanze misurate in termini di tempi di percorrenza ferroviari, già nel 1993 abbiamo una
visione dell’Europa diversa, più attuale della distanza, quindi la distanza non è misurata in
termini kilometrici; è cambiata la distanza tempo, ovvero il tempo di percorrenza.
2- Da spazio A TERRITORIO:
quali relazioni in geografia?
- Relazioni orizzontali: sono chiamate anche interazioni spaziali, e collegano fra loro
i diversi oggetti geografici localizzati in punti diversi nello spazio geografico. Ad
esempio: flussi di denaro in realtà non si scambia materialmente del denaro; flussi di
conoscenze; flussi di persone; flussi che riguardano le migrazioni.
Quando noi ci limitiamo all’analisi delle relazioni orizzontali ci limitiamo ad una
dimensione astratta, tutti questi flussi li vediamo attraverso dei dati statistici, quindi
ci fermiamo alla dimensione dello spazio, quando noi analizziamo le rel.oriz
facciamo delle analisi di carattere SPAZIALE.
Concetto di spazio: astratto e lo descriviamo attraverso relazioni orizzontali e dati
statistici.
- Relazioni verticali: vengono definite anche ECOLOGICHE, perché riguardano il
rapporto tra i singoli oggetti geografici e le caratteristiche dei luoghi in cui questi si
localizzano. Cosa si intende per caratteristiche: presenza di risorse naturali, o
infrastrutture, o relazioni che diventano poi di carattere immateriale, cultura
imprenditoriale, e che ci spiegano perché un’impresa si è localizzata in quella
determinata area.
È l’insieme di relazioni oriz, e verticali che costruire il TERRITORIO.
È un concetto meno astratto rispetto al concetto di spazio.
Si parla spesso di organizzazione territoriale, sono le caratteristiche che relazioni
orizzontali e verticali assumono in un determinato territorio, è una sorta di fotografia di
un territorio in un determinato momento.
Prendiamo un porto, la maggior parte dei nostri porti, se noi guardiamo oggi sono delle
strutture artificiali, però perché un determinato porto è nato proprio in quella posizione?
Perché cerano delle condizioni naturali che permettevano l’approdo e l’avvio delle navi,
quindi c’era un’insenatura--> relazioni verticali con le caratteristiche del luogo.
La maggior parte dei nostri porti è nato cosi.
Però il porto può sviluppare le sue funzioni in realtà se lo inseriamo in un complesso di
relazioni di carattere orizzontale, ovvero colleghiamo il porto alla miniera, perché in quel
porto arrivano materie prime e da quel porto possono partire per un impianto industriale.
Oppure in quello stesso porto si sono sviluppate delle attività di carattere industriale e
quindi da questo porto partono dei beni prodotti qui e vanno verso altri mercati, lo stesso
la miniera che non nasce se non c’è un giacimento minerario, quindi una condizione di
carattere verticale.
Un impianto industriale nasce dove ci sono le condizioni, es. territorio pianeggiante, poi
l’impianto attiva una serie di relazioni.
Certe caratteristiche con i luoghi possono cambiare nel tempo, molte città sono rimaste
nello stesso posto ma le risorse che hanno fatto nascere la città non ci sono più.
Nel percorso di analisi potremmo avere anche una sostituzione di risorse, risorse che
erano importanti in passato ma ora non lo sono più.
Oggi magari hanno preso più importanza altre risorse, come le infrastrutture.
Quindi piccolo e grande hanno 2 significati diversi a seconda che io ragioni in termini di
scala cartografica e scala geografico perché: Nella scala cartografica- grande scala è ciò che
ha un piccolo denominatore perché se io confronto una scala 1: 10 000 con una Scala
1:200 000, la scala 1:10 000 mi da un livello di dettaglio dei fenomeni che io analizzo
superiore rispetto alla scala 1:200 000.
Al contrario nella scala geografica ciò che piccolo è piccolo, ad es. scala di un distretto
industriale; se dico grande scala vado su una scala nazionale fino a quella globale. È
diversa anche la scelta delle scale perchè i nostri fenomeni sono analizzati utilizzando
livelli di osservazione diversi in altri termini la scelta della scala dipende dal tipo di
fenomeno e non implica perdita di informazioni con il passaggio da una scala all’altra;
semplicemente il fenomeno che io analizzo ha senso più ad una scala che ad un’altra.
- Noi utilizziamo quasi sempre la scala geografica, quella cartografica bisogna sapere solo c’è .-
5- TEMPO:
consideriamo anche che anche noi in geografia abbiamo sempre un occhio sulla
coordinata temporale, perché se guardiamo i nostri territori vediamo anche che
l’organizzazione di un determinato territorio è anche il prodotto della storia, di epoche e
modi di produzione.
Es. se dico che Verona ha una specializzazione turistica marcata e vado a vedere perché ce
l’ha- se le guardo bene le vedo come una sovrapposizione di diverse epoche storiche e
oggi sono andate a sedimentarsi sul nostro patrimonio culturale.
Noi procediamo per grandi periodi, non guardiamo i dettagli.
Anche la geografia ha questa doppia coordinata- quella spaziale e temporale.
Def di globalizzazione:
- Metafora del villaggio globale di McLuhan, che faceva riferimento alla comunicazione,
dei media; l’evoluzione dei media degli anni 60 trasformerà il mondo in un villaggio
globale che trasformerà il mondo in un villaggio, tutto sarà uguale e connesso.
- Levitt, negli anni 80 da una definizione prettamente economica, ovvero della
globalizzazione come una progressiva integrazione economica, che porta ad una sorta
di un mercato unico, unificazione del mercato globale.
Queste definizioni ci dicono che la globalizzazione non è un fatto cosi recente come
spesso lo definiamo noi, entrambe sono riduttive se le vediamo nell’ottica attuale.
Per la sec definizione: l’integrazione economica esiste, è una delle dimensioni delle
globalizzazioni.
A quali def possiamo far riferimento noi che siano un po’ meno riduttive e che ci
permettano di collocare il fenomeno della globalizzazione in un percorso storico:
definizione pensiamo alla globalizzazione come un Cambiamento di scala
nell’organizzazione di molti fenomeni, che fino agli anni 70 noi vedevamo organizzati in
scala di piccola dimensione, oggi pero essi hanno acquistato una dimensione di carattere
globale. Es- organizzazione della produzione, se fino agli anni 70 la produzione era
concentrata su scala locale, oggi succede che questa organizzazione ha assunto un’altra
dimensione spaziale. Le varie parti del ciclo produttivo si sono frammentate e si sono
distribuite su piu paesi dimensione globale.
Poi dematteis- geografo importante nel panorama europeo dice:
invece di pensare alla gobalizazione come annullamento della distanza pensiamola come:
Ampliamento, intensificazione e accelerazione delle relazioni tra soggetti localizzati in
differenti aree del pianeta, che coinvolge più dimensioni (economica, ambientale,
culturale) Esito di un percorso storico ….» (Dematteis et al., 2010)
Una prima globalizzazione secondo loro è quella che va ai primi decenni dell’800 fino
alla fine dell’800, quindi periodo che accompagna la diffusione della riv industriale, dal suo
centro di origine quindi Inghilterra e anche una prima liberalizzazione commerciale,
Primo aumento consistente dei traffici, dovuto allo scambio di materie, ma anche al forte
sviluppo di trasporti, non solo la ferrovia ma anche il trasporto navale.
Con la diffusione del vapore si è sviluppato molto il trasporto navale,
quindi primo paese protagonista: IMPERO BRITANNICO.
Una seconda globalizzazione è quella che attraversa tutto il 900 fino agli anni 80 del
secolo scorso.
È una globalizzazione che parte prima negli USA, quando inizia questo nuovo modo di
produzione, modello fordista, ford, e poi vede un forte impulso dopo la seconda gm, anni
50-70, quando questo modo di produzione si diffonde in tutto il mondo e quando noi
assistiamo ad una forte espansione delle imprese multinazionali.
Erano ancora poche multinazionali di pochi paesi, usa Francia Svizz gran b, non era un
fenomeno che coinvolgeva un grande numero di industrie e di paesi come succede oggi.
Quindi qual è il punto di passaggio?
Questa seconda globalizzazione si ferma agli inizi degli anni 80, cos’è che cambia per
arrivare alla globalizzazione attuale?
In realtà, È un complesso di fenomeni che prende forma negli anni 80 e va a
convergere progressiva liberalizzazione del commercio internazionale che viene portata
avanti attraverso un accordo GAT, e poi dall’organizzazione mondiale del commercio.
Tutto ciò porta ad una riduzione dei dazi, che ostacolavano il commercio internazionale,
poi intensificazione delle azioni delle grandi multinazionali che a partire da questo periodo
non si limitano più a trovarsi una filiale, ma partecipano e generano tutta questa divisione
del lavoro che è caratteristica di questa fase della multinazionalizzazione ma non ancora
cosi praticata nella fase precedente.
In piu in questa nuova divisione del lavoro oggi non entrano piu solo le multinazionali ma
anche medie-picc imprese che non sono multinazionali senza fare investimenti diretti
esteri, ma ad esempio semplicemente attraverso contratti di subfornitura, senza che vi sia
nessuna partecipazione in queste imprese, entrambe rimangono imprese separate.
Fenomeni di liberalizzazione che riguardano non il commercio internazionale ma ad
esempio i trasporti, sono cresciuti gli spostamenti di persone, è cresciuto il turismo
internazionale, perché sono diminuiti i costi, i prezzi dei biglietti e questo ha reso
accessibile il biglietto areo a molte più persone.
Ancora le innovazioni tecnologiche, internet, ci consentono di separare tecnicamente le
fasi di produzioni, quindi questa divisione del lavoro è possibile anche perchè ci sono
delle divisioni tecniche che lo permettono, quindi si riesce interagire in tempo reale.
Cause geopolitiche- con la caduta del muro di Berlino si è aperto per le imprese
occidentali, ma non solo, un grande spazio di produzione nell’est Europa.
1979 Cina- politica della porta aperta progressiva apertura verso gli investimenti diretti
esteri che ha portato poi ad uno sviluppo del cinese avanzato.
Se ragioniamo in questo senso vediamo che la globalizzazione non nasce per caso ed è
l’esito di UN PERCORSO STORICO.
Invece di parlare di globalizzazione per la fase precedente, 900, usiamo il termine di
INTERNAZIONALIZZAZIONE: all’epoca erano meno paesi coinvolti, è cambiata
l’intensità, il numero di soggetti in queste relazioni, e la nuova spinta che viene anche dal
progresso tecnologico.
È tutto un gioco tra locale e globale; allo stesso modo quando si parla di competitività
territoriale, fare leva su risorse locali che non sono uguali dappertutto per entrare in
queste reti globali.
Es. i nostri distretti industriali sono cambiati nel corso del tempo, hanno subito anche un
impatto negativo per certi aspetti della globalizzazione, hanno cercato di fare leva sulle
loro capacità e sui loro prodotti per entrare nelle reti globali.
Starbucks- non è uguale in tutto il mondo:
Ultima definizione:
Il fenomeno della globalizzazione può essere interpretato come un’esperienza sociale:
compressione spazio-temporale HARVEY-->tempo e spazio si riducono, i luoghi si
avvicinano.
Noi però abbiamo parlato del settore del trasporto ferroviario, ovvero l’alta velocità ci
consente di ridurre l’Europa, unita alle politiche dei trasporti, perchè se gli stati non
costruiscono le reti, l’alta velocità non ha senso.
Harvey però, fa riferimento alla globalizzazione come un’esperienza sociale lui dice
siamo sicuri che questa percezione di questa idea di compressione e riduzione delle
distanze sia la stessa per tutti nel mondo.
Ovvero un cittadino di una metropoli ha la stessa percezione che le distanze si riducano
rispetto ad un contadino degli spazi interni dell’india e dell’africa, ciò per dire che la
globalizzazione è anche un’esperienza sociale, e non tutti partecipano a questo processo.
Chiaramente se noi abbiamo la possibilità dia accedere internet, viaggiare treno aereo,
certamente abbiamo una sensazione di riduzione della distanza, ma non tutti possono
farlo.
ECONOMIA
FENOMENO
URBANO SCIENZA-
FLUSSI: AMBIENTE
MIGRAZIONI
GEO-POLITICA MODELLI
CULTURALI
TRAIETTORIE TECNOLOGICHE
SCENARI ECONOMICI
SCENARI GEOPOLITICI
TRASPORTI
DIVISIONE
ICT POLITICHE
INTERNAZIONALE
LIBERALIZZAZIONE
Partiamo dall’analisi della slide: DEL LAVORO
la globalizzazione come ultima fase è resa evidente dalla intensificazione del
commercio internazionale e dall’estensione di queste reti di scambio che coinvolgono
sempre più paesi, e paesi che erano in realtà al margine nella seconda fase come l’asia.
Perché è la chiave?
Effettivamente il fatto che la produzione sia frammentata ti mette poi in funzione questi
flussi commerciali, non viaggiano più solo i prodotti, o poche parti di prodotto.
Oggi sotto i flussi del commercio internazionale vediamo tutte le componenti e non solo
il prodotto.
La nuova divisione del lavoro ha un forte impatto sul commercio internazionale, certo
però che non possiamo considerarla separatamente rispetto a queste due dimensioni,
perchè possibile andare a localizzare parte della produzione all’estero e poi portarla nel
luogo di assemblaggio, è possibile se ci sono anche degli sviluppi nel settore dei trasporti
che ci permettano di trasportare velocemente questi prodotti o componenti ma
SOPRATTUTTO A BASSO COSTO, quindi dev’esserci riduzione del costo del
trasporto.
Il commercio è un’attività sempre esistita, è da sempre presente già dalle sue forme
primitive, es. baratto.
Però è dalla rivoluzione industriale che si è aperta un’epoca di traffici commerciali
soprattutto sulle materie prime dirette alle grandi regioni industriali.
Questo grafico parte dalla metà del 800, vediamo una crescita significativa nel secondo
dopo guerra e soprattutto negli anni 80 e 90.
Vediamo cosa succede nel periodo successivo in che fase siamo:
Se noi ragioniamo in termini di decadi, prendiamo gli inizi del 2000 fino al 2010, e dal
2010 al 2019, ancora il commercio internazionale cresce, però in parte è vero il fatto che il
commercio internazionale continua a crescere però non cresce più con la stessa intensità
con cui cresceva in passato.
Questo per dire che anche se è eccessivo parlare di deglobalizzazione, certamente un
rallentamento c’è stato, tutti i fenomeni hanno una fase di forte espansione e poi si
assestano.
I nostri dati si fermano al 2019.
Un altro aspetto che è cambiato nel periodo più recente è anche La composizione dei
flussi di merci, perché guardando lo schema fino alla seconda gm, le esportazioni erano
formate dai prodotti agricoli, quasi 50% dei flussi di merci; questa quota è poi scesa nel
periodo delle globalizzazioni, oggi è la parte meno importante.
Ciò che è cresciuto è il commercio di prodotti manufatturieri nascono paesi di nuova
industrializzazione.
Quelli che noi vediamo nella cat. Prodotti manifatturieri, se fino agli anni 70 erano
prodotti finiti, oggi oltre ad essi abbiamo i semilavorati, componenti che vanno a
alimentare queste grandi catene di produzione frammentate su scala globale.
È questo che sta dietro al commercio di quelli che noi chiamiamo prodotti manufatturieri-
sono prodotti intermedi e le componenti che poi vengono scambiate.
20000
15000
10000
5000
0
20032004200520062007200820092010201120122013201420152016201720182019
Serie1 Serie2
Per dare una lettura ancora più geografica dei nostri scambi globali guardiamo questa
figura:
Ci mostra la rete di quelli che sono le principali direttrici degli scambi globali.
Le frecce sono di dimensione proporzionale al volume degli scambi.
L’asia è rappresentata complessivamente, e l’asia centrale non partecipa ai grandi flussi
commerciali della globalizzazione.
All’interno delle ellissi sono rappresentati gli scambi interni delle macroaree.
Anche se noi andiamo a vedere le direzioni, e l’intensità dei flussi si delinea sempre UNA
STRUTTURA TRIPOLARE- LA TRIADE, tra i poli della triade vediamo che gli scambi
sia in termini di impo e esco, sono molto più fitti rispetto al resto del mondo. C’è un’area
che fa eccezione: medio oriente verso l’asia: sono materie prime, carburanti e petrolio che
vanno in sostanza ad alimentare la grande crescita dei paesi asiatici, ovvero della CINA.
Altri flussi: i flussi inferiori ai 40 miliardi di dollari, non sono stati rilevati.
Questi cerchi rappresentano le quote di mercato dei singoli paesi, più l’area del cerchio è
grande e più la quota di mercato è grande.
Ci sono queste frecce con le quali Confindustria ha voluto rappresentare i rapporti fra i
paesi; quindi anche se siamo più avanti nel tempo, perché la slide è del 2012, questo non
cambia la configurazione degli scambi internazionali, c’è sempre una triade: eu occ, stati
uniti e asia.
All’interno dei poli di questa triade ci sono dei paesi che spiccano, che hanno un ruolo più
importante, hanno un maggior numero di partner commerciali, convogliano il maggior
numero di traffici- francia, spagna, stati uniti, canada e cina ecc.
Questo grafico ci da il colpo d’occhio rispetto alle tabelle.
L’ide non è l’unico sistema per incrementare poi il meccanismo della divisione del lavoro
e il commercio internazionale.
È una modalità praticata dalle grandi imprese multinazionali.
Però questi processi di divisione del lavoro, lo può fare senza ide anche un’impresa di
medie dimensioni, ricorrendo ad esempio alla subfornitura internazionale-
delocalizzazione della produzione- anche questo incrementa il comm internazionale,
anche senza IDE.
Anche gli IDE si suddividono in flussi in uscita e flussi in entrata
2000
1500
1000
500
0
1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2019
Questa curva:
vediamo una prima crescita consistente-1990- e impennata nel periodo successivo, poi
una caduta agli inizi del 2000, poi altra impennata, e più vicino a noi una nuova caduta.
A differenza del commercio int, l’IDE è prevedibile nella prima fase, oggi questo
andamento è molto meno prevedibile e frammentato rispetto al commerciale, cadute e
riprese più evidenti.
Andamento degli investimenti diretti esteri 2003-2019
(valori in miliardi di dollari)
2500
Fonte: elaborazioni su dati UNCTAD
2000
1500
1000
500
0
2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019
Crisi eco: forte effetto sul comm int, e ancora di più sugli IDE.
Su questi andamenti incidono le dinamiche più ampie dell’economia, e anche le grandi
operazioni di fusione e acquisizione tra colossi.
Dobbiamo tenere conto di tutti questi elementi che condizionano lo sviluppo degli IDE.
2008 2019
Questo grafico sfata una convinzione che non corrisponde alla realtà, cioè che gli IDE
vadano verso i paesi in via di sviluppo.
Non è proprio cosi, in questo grafico la quota più consistente di IDE, va ancora
nell’unione europea.
L’UE ha incrementato la sua cap di attrarre ide, sono diminuiti gli ide verso gli usa, e sono
aumentati verso l’asia orientale.
Gli altri paesi catalizzano una quota più marginale degli IDE.
Anche nell’ambito dei flussi in entrata degli IDE, si definisce la triade.
2008 2019
Per gli IDE in uscita, la situazione dell’UE è invertita rispetto al grafico precedente, nel
passaggio dal 2008 al 2019 le imprese europee investono poco nei confronti dei paesi
stranieri, lo stesso per quanto riguarda gli usa; mentre la Cina non è più solo un paese che
attrae gli IDE, anche le imprese realizzano IDE, un po’ in tutti i settori.
Avendo visto anche i valori degli anni prima al 2019, questo è un po il trend.
Un altro aspetto del fatto che il baricentro dello sviluppo economico si stia spostando,
includendo altri poli.
Alla cina dovremmo poi aggiungere Hong Kong, che ha una legislazione diversa.
Primi dieci paesi per volume degli investimenti diretti esteri in entrata
2019 (milioni di dollari)
Slide- 2019 Troviamo sempre usa e cina.
USA
CINA
SINGAPORE
PAESI BASSI
IRLANDA
BRASILE
HONG KONG
RU
INDIA
CANADA
Sono di nuovo gli usa, e poi i principali paesi occidentali e il Giappone che
geograficamente è un paese dell’asia orientale ma come dinamiche di sviluppo non ha
niente a che fare ne con la cina ne con la corea del sud, perché il suo sviluppo economico
è partito prima e ha delle dinamiche economiche proprie.
La cina, pur essendo un paese che realizzava IDE in uscita, preferiva attrarre ide e non
farli, era un ruolo tipo: cina fabbrica del mondo; era il luogo in cui tutti i paesi occidentali
andavano a produrre.
GIAPPONE
USA
PAESI BASSI
CINA
GERMANIA
CANADA
HONG KONG
FRANCIA
COREA S
SINGAPORE
Tante delle imprese che esportano e che vanno sui mercati internazionali non sono le
classiche multinazionali o le imprese private occidentali, ma sono dei colossi controllati
dallo stato. Quindi in cina l’apertura agli IDE stranieri, al capitalismo, ha assunto delle
connotazioni particolari e specifiche di questo paese.
l’effetto delle innovazioni è evidente su scala globale perché tutti questi sviluppi hanno
determinato una intensificazione delle relazioni spaziali, diventata evidente nella nostra
epoca.
si sono susseguite una serie di innovazioni importanti che hanno portato ad un’ulteriore
intensificazione delle relazioni spaziali questo fenomeno lo vediamo nel commercio
internazionale; si intensificano le relazioni orizzontali, le vediamo bene in questo ambito e
hanno prodotto la convergenza spazio temporale- i luoghi si sono avvicinati, in realtà le
distanze restano tali, ma è cambiata la distanza funzionale, si è ridotta la distanza tra i
luoghi in termini di tempi di percorrenza e costi di trasporti.
Tutte queste innovazioni hanno intensificato relazioni e prodotto convergenza spazio
temporale- perché hanno determinato una riduzione dei tempi e costi di trasporto sulle
lunghe distanze.
Ma questa convergenza spazio temporale, riguarda tutti paesi? No, ci sono dei paesi che
ancora non hanno accesso a questi sviluppi tecnologici, non esiste neppure una rete di
trasporti cosi capillare e diffusa come esiste nei paesi economicamente avanzati.
Non è solo la scala globale che dobbiamo guardare, dobbiamo scendere a piccole scale,
perché tutte queste innovazioni hanno condizionato anche le economie locali. C’è un
rapporto di circolarità tra sviluppo del territorio e sviluppo dei trasporti, perché noi ci
troviamo in una situa in cui si sviluppano i trasporti e questo determina uno sviluppo
dell’economiac’è un rapporto di causa effetto, e mano a mano che lo sviluppo
economico procede, questo rapporto diventa sempre meno causa effetto e sempre più
circolare, perchè nel momento in cui si mette in moto un processo di sviluppo economico
dopo una fase di modernizzazione delle infrastrutture, succede che questo territorio
esprime a sua volta una nuova domanda di trasporto, quindi stimola un’ulteriore crescita
del settore dei trasporti.
E se noi guardiamo andando a vedere le politiche e non solo le innovazioni, nel momento
in cui le politiche regionali hanno cercato di stimolare lo sviluppo economico di aree che
erano in ritardo, hanno pensato a infrastrutturare il territorio, con reti, nodi e sistemi di
trasporti moderni.
Lo sviluppo dei trasporti quindi è la precondizione.
Quarta Lezione:
dovremo parlare di telecomunicazioni di questo settore, perché parte del commercio oggi
non è più un commercio di beni che prevede la movimentazione di beni fisici, ma è e-
commerce commercio digitale, che non prevede lo spostamento fisico.
Rapporto tra trasporti e ambiente:
fino a questo momento abbiamo parlato di trasporti e territorio in maniera positiva; ad
ogni innovazione nel settore dei trasporti è coinciso una intensficiazione di relazioni su
scala globale e a llivello locale vediamo un aumento dello sviluppo, però non abbiamo
considerato degli aspetti negativi che riguardano in realtà l’ambiente perché il settore dei
trasporti è uno dei settori a più forte impatto ambientale, emette tanto co2, è responsabile
insieme all’industria e ad altre attività produttive del cambiamento globale, global change.
La geografia dei trasporti ha una sua terminologia, parliamo di reti, nodi, assi e
corridoi/direttrici.
Cosa sono le reti?
Insieme di elementi lineari, che sono i collegamenti, e di nodi; ovvero i centri in cui questi
collegamenti si incrociano e che organizzano i flussi di traffico, che ovviamente già
guardando questa rappresentazione, i nodi coincidono con le città di una certa
dimensione.
Gli assi sono i collegamenti più importanti.
Differenza tra assi e direttrici/corridoi: se gli assi li def come collegamenti importanti, le
direttrici sono gli assi che hanno un’importanza ancora maggiore, perché realizzano i
collegamenti internazionali.
Nel caso specifico della ferrovia è segnata in rosso la linea ad alta velocità.
La rete ci rappresenta non solo l’organizzazione dei trasporti di un paese ma possiamo
scegliere anche a scale minori, ad esempio:
metro di Milano.
Terzo esempio: rete ferroviaria cinese dove noi troviamo le linee ad alta velocità, quelle in
blu, verde e rosso:
Le linee dove la velocità supera i 300 km/h non sono moltissime; poi ci sono linee di
nuova costruzione con velocità che va dai 200 ai 299 km/h.
Ci sono linee tradizionali, in rosso, adeguate per l’altra velocità, e in grigio troviamo
collegamenti convenzionali, non fanno il servizio ad alta velocità.
Già guardando l’assetto-organizzazione di una reta ferroviaria, io vedo quelle che sono in
un paese le aree a più forte sviluppo economico, che sono quelle più infrastrutturate.
In un paese come la Cina, questi divari nello sviluppo economico, territoriale, sono molto
evidenti, perché dalla mappa si vede che l0infrastrutturazione ferroviaria dell’alta velocità
è concentrata nella parte orientale del territorio, e si spinge all’interno solo nella parte sud;
perché lo sviluppo della ferrovia ha accompagnato lo sviluppo economico della Cina.
Questo sviluppo non tocca tutto il paese, ma riguarda alcune parti.
Verso interno parte nord: collegamento ad alta velocità ma fino ad un certo punto.
In tutta la parte centrale-ovest: è poco infrastrutturata per quanto riguarda le linee veloci.
Già guardando l’assetto delle reti vedi i divari all’interno del paese.
Nei paesi più omogenei dal punto di vista economico, questo divario è meno visibile.
Più difficile pensare all’aumento della velocità sul trasporto navale, che rimane la forma
più lenta, nonostante innovazioni sulle navi commerciali, che per carità sono più veloci
rispetto a quelle di una volta.
È aumentata la capacità di carico, abbiamo delle navi più grandi, diverse come
caratteristiche, tanta merce non si porta più in stiva, ma hanno un piazzale dove vengono
impilati i container.
L’aumento della capacità di carico ha comportato una diminuzione dei costi di trasporto
perché consente delle economie di scala.
A partire dalla metà degli anni 70 troviamo questi container anche nel mediterraneo;
l’intermodalità terra mare è quasi un cambio di modalità obbligatorio.
Quando nei porti è entrata l’intermodalità- quindi container- tutte le operazioni di mezzo
sono state eliminate; si trasferisce il container sulle grandi portacontainer; al massimo c’è
un periodo in cui questi container sostano nei piazzali del porto, ma non sono i giorni di
attesa che richieda il trasporto navale prima dell’invenzione del container.
Il treno è quello che si usa di più all’interno del nostro continente. Merce già sistemata nel
container, poi compie la sua tratta iniziale su strada, dopo di che il mezzo arriva ad un
terminal, nodo, in cui il container viene trasferito sul carro ferroviario.
Compie la tratta principale via ferrovia, arriva ad un altro terminal dove il container viene
ricaricato su un altro mezzo, poi la merce arriva sul mercato.
Parliamo di nodi:
il trasporto intermodale affinchè funzioni richiede una serie di strutture logistiche perche
organizzano i flussi, ed essi devono transitare ed essere organizzati.
Le strutture logistiche possono essere vecchie come i porti, i porti poi sono cambiati e si
sono adeguati alla nuova logica dei trasporti; ci sono anche delle strutture nate ex-novo
con l’intermodalità interporti, o porti interni.
Nel resto d’Europa per definire queste strutture intermodali, freight villages- città delle
merci.
L’interporto non esaurisce tutta la tipologia di strutture al servizio del trasporto
intermodale che noi troviamo sul nostro territorio, ci sono altre strutture che non offrono
però tutta la gamma di servizi che offre l’interporto.
GLI INTERPORTI, DEFINIZIONE E FUNZIONI:
Sarebbe riduttivo considerare gli interporti dei terminal intermodali, oggi queste strutture
che esistono dalla metà degli anni 80, si sono evolute e hanno raggiunto un livello di
complessità che non è paragonabile a com’erano prima che svolgevano solo funzione di
terminal.
Oggi l’interporto non promuove solo il trasporto, che è la sua funzione principale, svolge
anche la funzione che riguarda l’impresa del settore dei trasporti e della logistica.
Mano a mano che l’interporto si è organizzato, le imprese che forniscono al cliente questo
servizio di trasporto intermodale si sono rilocalizzate all’interno degli interporti; ciò vuol
dire che avere a disposizione tutta la stessa gamma di servizi che offre un interporto,
aumenta il grado di efficienza e competitività rispetto a delle imprese dello stesso settore
che stanno fuori da queste strutture interportuali.
Per le imprese del settore commerciale cosa vuol dire avere un interporto vicino?
Vuol dire avere dei servizi di trasporto specializzati vicino.
Serve soprattutto a chi esporta a chi colloca i propri prodotti sul mercato del nord
Europa, un vantaggio che aumenta l’efficienza delle imprese e per certi aspetti ne riduce i
costi.
Gli interporti dovrebbero avere un’altra funzione: ridurre-velocizzare la congestione dei
flussi che vanno verso le città.
Spesso l’interporto organizza il trasporto su ampio raggio, manca l’organizzazione della
logistica dell’ultimo miglio, che porta il prodotto finito direttamente ai clienti finali city
logistic.
Organizzare= oggi la consegna delle merci nelle città è disorganizzata e quindi questi
flussi di traffico vanno ad interferire con altre tipologie di traffico urbano che si
incrociano in certe ore della giornata, dovrebbero organizzare in maniera tale da non farle
incrociare con altri tipi di traffico.
Alcuni interporti hanno anche la funzione di city logistic.
Questi interporti- città delle merci, oltre ai servizi dell’intermodalità offrono un’ampia
gamma di servizi di cui gli operatori e imprese si servono.
Quinta Lezione:
slide sopra: anche guardando solo il nord c’è qualcosa che balza agli occhi- Lombardia
non ha interporti, ed è la regione più dinamica dal punto di vista economico.
Non ci sono interporti- Mortara a parte- secondo la def. di legge ci sono delle piattaforme
intermodali; sono più piccole, meno concentrare rispetto agli interporti ma sono molto
più diffuse nel territorio, sono infrastrutture nate senza una pianificazione; sono nate su
esigenza delle imprese del territorio che avevano la necessità di esportare le proprie merci,
ma sono gestite da operatori privati; e la regione non è intervenuta per normare la
situazione.
Resto d’ita ha delle vere e proprie strutture interportuali.
Una caratteristica:
è quella di godere di una posizione geografica favorevole, che vede l’incrocio di due
lunghi corridoi europei:
- Quello scandinavo mediterraneo, da Elsinky alla Valletta si concentrano lungo
questo asse le principali vie di comunicazioni; è un corridoio nord-sud
- Corridoio est-ovest: corridoio mediterraneo che parte dal confine orientale dell’unione
europea, in Ungheria, e arriva fino alla spagna, passando da ita e fr.
Cosa vuol dire collocarsi ad incrocio di questi due corridoi?
Vuol dire captare una grande qtà di flussi commerciali;
questo ancor prima della creazione dell’interporto era una caratteristica della città di
Verona, come mai? A cosa deve il suo sviluppo? È una porta VERSO IL MONDO
TEDESCO, grazie alla posizione geografica e nel tempo a costruito una specializzazione
nei traffici, e poi essa viene decrinata nella realizzazione di infrastrutture intermodali.
TENT: transeuropean- trasport network
Sono quei grandi corridoi multi modali, scorrono più tipologie di trasporto su cui l’UE
punta per assicurare la coesione degli stati membri, in modo tale che nessuna regione
rimanga esclusa dallo spazio.
Se non ci fosse la liberalizzazione commerciale, anche tutte le innovazioni nei settori dei
trasporti avrebbero poco senso.
Se noi liberalizziamo ma poi non sviluppiamo le reti di trasporto per far scorrere i flussi di
merci, la liberalizzazione rimane sulla carta.
Sono due aspetti che si completano.
Qui si aggiunge anche il corridoio baltico che in realtà non passa da VR, lo aggiungiamo
perché i nostri interporti hanno anche a loro volta dei collegamenti con i porti.
È vero che fisicamente questi interporti si localizzano non all’interno degli spazi urbani,
ma si localizzano vicino alle città, però contemporaneamente non dentro alle città, perché
hanno bisogno di grandi spazi all’interno dei quali collocano le loro infrastrutture.
Non devono interferire con il sistema della VIABILITA’ URBANA.
Contemporaneamente devono essere vicini alle città perché è in corrispondenza di esse
che si genera una domanda e che si genera un grande flusso di traffico.
2milioni 1/2 di metri quadrati, ma poi in futuro si estenderà a 4milioni di metri quadri.
- (vr uscita distrutta dalla 2gm, quindi si voleva ricostruirla, ma pensare anche in
prospettiva futura a quello che poteva essere lo sviluppo della città nel contesto della
nascente economia post guerra è qui che nasce il consorzio ZAI).
Consorzio ZAI costituito da:
- Camera di commercio
- Comune
- Provincia di Verona
La sua prima realizzazione è stata quella di creare una zona agricolo-industriale in cui
potessero insediarsi imprese che lavoravano prodotti dell’ortofrutta; prodotti scambiati a
Verona.
Inizialmente viene creata una zona ma dopo i primi anni il consorzio si rende conto che
lo sviluppo di vr non poteva basarsi solo su un settore, l’area viene aperta anche ad
industrie di altri settori produttivi, ed è qui che nasce questa diversificazione, questa base
non mono-produttiva, economia diversificata.
Oggi questa zona non è più un’area industriale; una seconda zona industriale è stata
creata ZAI 2, e la terza realizzazione è il quadrante europa ovvero l’interporto.
Si parla degli anni 60 x il quadrante Europa, in realtà negli anni 60 in quest’area viene
localizzata l’agenzia delle dogane, e non poteva esserci perché l’intermodalità terrestre
nascerà negli anni 70-80; si vuole riservare un’area per gli scambi, un’area che non è
ancora interporto.
Domanda esame: quando nasce l’interporto? Anni 70-80 prima negli anni 60 nascono i
primi segni ma non c’era ancora l’infrastruttura.
Nel corso del tempo è diventata una struttura complessa, oggi parliamo di CITTA’
DELLE MERCI.
All’interno dell’interporto sono insediate circa 110 imprese, di cui circa 90 sono imprese
della logistica e trasporto.
Queste imprese danno lavoro a circa 1800 addetti e tutti i posti di lavoro indirette
arriviamo a 10k unità a favore dell’economia locale.
Oggi che prodotti sono trattati? Prodotti refrigerati alimentari, tipologia delle
autovetture e componentistica, tutte le tipologie di merce che rappresentano il nostro
sistema produttivo, marmi, legno, liquori, prodotti farmaceutici e cosmetici, motocicli ecc.
Se c’è l’industrializzazione a cosa serve una struttura di questo tipo? E perché si
dovrebbe espandere?
In realtà, la produzione viene realizzata all’estero poi i prodotti tornano qui.
Es. io impresa veronese voglio entrare nel mercato cinese, e attraverso filiale vado a
produrre li e tutta la movimentazione rimane li perché i miei prodotti vanno al mercato
cinese; diverso è la delocalizzazione produttiva: non vuol dire solo andare a produrre
all’estero, non sarebbe un fenomeno che cambia la geografia della produzione, del prod
vuol dire che vado all’estero però poi faccio rientrare i prodotti in Italia e da li, li vendo.
Ci sono alcuni settori in cui la loro prod è ancora localizzata qui.
Che cosa troviamo all’interno di questo interporto?
Alcuni sono generici, altri specifici per ogni interporto.
Il settore più importante è questo, ovvero lo scambio intermodale, ed è questo il cuore di
questa attività terminal intermodale e accordo ferroviario.
Nell’interporto troviamo altri centri logistici come i magazzini generali, dogana, mercato
agroalimentare.
- Magazzini generali: si chiamavano così perché erano di proprietà pubblica ora si
chiamano SCHENKER-HANGARTNER, inizialmente non erano qui erano
all’imbocco della zona agricola industriale.
Questi magazzini generali si sono rilocalizzati all’interno dell’interporto ancora prima di
diventare privati.
Cosa si fa all’interno di essi? Offrono assistenza per le pratiche e licenze doganali e fiscali;
offrono un servizio di magazzinaggio con celle frigorifere per le aziende che hanno
bisogno; offrono operazioni di prima lavorazione delle merci- attività di imballaggio,
controllo qualità perché? Non sempre un operatore si rivolge direttamente al q.europa
ma queste strutture vengono usate anche per questa gamma di servizi accessori.
Poi c’è tutto il centro della DOGANA, anche se le merci all’interno dell’eu non fanno
dogana.
C’è il centro delle spedizioni: 11 blocchi di capannoni, 1 banchina per il traffico su strada,
1 banchina per il traffico che va su strada e ferrovia. Anche questi fanno un po’ di
magazzinaggio, mettono insieme più carichi.
I centri logistici, poi:
è la sede di
WOLSVAGEN ITALIA e distribuisce autovetture e ricambi di tutto il gruppo
WOLSVAGEN.
Infine tra i centri logistici c’è anche l’area del mercato agroalimentare:
È la più grande piattaforma logistica italiana per quanto riguarda la raccolta, distribuzione,
la commercializzazione all’ingrosso dei prodotti freschi: ortofrutta, pesce e fiori.
Chi si serve di questa piattaforma?
Ampio bacino di utenza che riguarda tutto il nord Italia. Anche questa era un’area,
quando è nata negli anni 50, che era posta all’interno della ZAI storica; nel corso degli
anni 90 è stata rilocalizzata.
CENTRO DIREZIONALE:
è molto importante perché è il cuore del quadrante, dove si svolgono funzioni di
amministrazione, di pianificazione. È il centro in cui ha sede il consorzio ZAI, che ha
compiti di gestione, di pianificazione dello sviluppo dell’interporto, ricava i suoi introiti
dalla vendita e affitto dei terreni, non dalla fornitura diretta di servizi.
Le attività amministrative vere e proprie sono svolte dal QUADRANTE SERVIZI.
All’interno del centro direzionale troviamo i servizi alla persona: sportelli bancari, ufficio
postale, spazi per poter dormire, rete telematica, attività di ristorazione e all’interno del
centro direzionale viene svolta anche l’attività di formazione perché il consorzio ZAI,
organizza anche un master fatto in collaborazione con l’università.
All’interno del q.europa c’è anche un’area verde: derivata dal riempimento di una cava,
area al servizio della cittadinanza.
Riguardo a questo tema dell’area verde, abbiamo detto che il trasporto intermodale è un
trasporto che è più sostenibile rispetto al trasporto stradale, questo vale per un discorso di
carattere generale, fatto a scala EuropaLo sviluppo di questo tipo di intermodalità fa
parte di quella strategia che l’UE mette in atto x contrastare il cambiamento climatico, ciò
non toglie che nel luogo in cui sono localizzate queste strutture sono poco sostenibili,
danno vita a questo circuito di flussi enormi.
Se leggiamo a scala locale è una struttura impattante in termini di emissioni.
Vicino ad ogni nave porta container ci sono dei numeri, e poi TEU, twenty foot
equivalent unit- unità equivalente a 20 piedi; perché quelli standard fissati nel 1965
prevedevano il container di 20 piedi e quello di 40 piedi.
Un container di 20 piedi corrisponde ad 1 teu.
TEU, misura standard di volume nel trasporto container, è l’unita con cui noi
determiniamo la capienza della nave, e anche il numero di container in un porto in un
certo numero di tempo.
Il senso della containerizzazione è avere poche misure di riferimento: 20 piedi o 40.
Trasporto su rinfusa: sono merci trasportate senza questi imballaggi, possono essere merci
liquide o tutti i prodotti chimici; oppure anche merci solide o al legno.
La containerizzazione non ha eliminato il trasporto su rinfusa, esiste ancora ma la maggior
parte dei traffici oggi si svolge con i container.
Lezione
Come leggiamo oggi il trasporto marittimo?
Oggi viene visto come un anello di una catena di trasporto globale, e che non dipende
solo dalla efficienza della tratta navale ma della efficienza dell’intero sistema; anche
dall’efficienza dei porti- anche tutto il sistema di infrastrutture che poi collega il porto alla
sua terra ferma.
Non si deve guardare solo la tratta navale ma ci vuole un’efficienza complessiva del
sistema.
Il fattore determinante oggi è:
- Riduzione dei tempi
- Riduzione dei costi
Attorno a questi fattori, ruotano le strategie delle compagnie di navigazione, che sono
oggi i veri attori del settore del trasporto marittimo- sono le compagnie di navigazione che
organizzano questi cicli di trasporto- da una scelta di un porto o un altro, dipendono poi
gli insuccessi e i successi.
Le compagnie di navigazione sono un attore strategico e hanno anche un forte potere;
sono anche le strategie di navigazione che danno origine a diversi modi di organizzare il
trasporto marittimo e le funzioni dei porti.
Com’è organizzato il trasporto marittimo- ma sempre containerizzato?
1- Trasporto marittimo tradizionale: prevede che la nave porta container, arrivi ad
un porto e qui le UTI sono trasferite su mezzi terrestri, o fluviali, come
l’autotreno/treno, e attraverso le vie di comunicazioni che connettono il porto
vengono distribuite all’entroterra di riferimento del porto che può essere più o
meno grande.
2- Transhipping- trasbordo: Modalità più recente, che risponde proprio alla ricerca
di minori costi operativi da parte delle compagnie, che le obbliga a far viaggiare le
proprie navi sempre a pieno carico e a effettuare un minor numero possibile di
scali transhipping è una pratica che si basa sul modello di organizzazione dei
flussi chiamato HUB & SPOKE, che in realtà non è nuovo, perché è un modello
già stato applicato nel settore del trasporto aereo dalla fine degli anni 70.
Hub & Spoke questo modello prevede il trasbordo dei container da queste navi
madri che solitamente è una grande porta container, a navi più piccole chiamate
feeder, in pochi porti che svolgono la funzione di HUB. Spesso questo container
non tocca nemmeno terra; oppure sosta su dei grandi piazzali e poi viene ricaricato
ma sempre in tempi brevi.
Cosa vuol dire H&S? pensiamo alla ruota, hub è la parte centrale- il perno attorno al quale
ruota il tutto- e spoke sono i raggi.
Il porto fa da snodo- hub.
Queste navi feeder partono poi verso dei porti, definiti tradizionali, da cui poi la merce
prende la sua destinazione finale, ed arriva al suo entroterra.
Cosa si fa con questa strategia H&S?
Il sistema hub&spoke consente di servire un numero più elevato di porti, anche verso
aree geografiche che non avrebbero un volume di traffico tale da giustificare lo scalo di
navi madri.
Questi porti tradizionali spesso sono porti che non hanno grandi dimensioni, e non
hanno dei fondali adatti ad accogliere queste grandi navi.
La condizione per cui un porto possa essere considerato di transhipment è che più del 50
% dei container movimentati siano movimentati attraverso questo modello di
transhipping.
Sono più i porti del sud Europa che si sono specializzati in questa pratica rispetto a quelli
del nord, perché?
Nord: hanno collegamenti terrestri più efficiente e quindi in questi porti la pratica del
transhipping c’è ma va dal 10% al 30%, non è preponderante.
In questi ultimi anni le strategie di queste compagnie si sono intensificate grazie anche alla
forte domanda di trasporto navale che è cresciuta con la globalizzazione e con l’ingresso
di nuovi paesi nel mercato mondiale, soprattutto paesi del sud-est asiatico. Si è scatenata
anche una forte competizione sui COSTI che porta avanti da un lato le strategie viste,
dall’altra parte strategie di integrazione verticale, che permettono il controllo di TUTTA
LA CATENA LOGISTICA.
Le compagnie di navigazione si stanno spostando anche verso il settore di trasporto
terrestre, che è molto connesso.
Come vengono fatte strategie di integrazione verticale?
Attraverso fusioni e acquisizioni con operatori che lavorano nei servizi a terra. Operatori
che poi lavorano sulla distribuzione delle merci.
Se le imprese di navigazione si integrano verticalmente diventano anche concorrenti delle
imprese che si occupano di trasporto terrestre.
Es. porto calabrese.
Flussi del traffico container vediamo che c’è comunque una TRIADE. Buona parte del
commercio scorre europa, nord america, asia.
Ci sono queste 2 date significative, i flussi tra asia e europa e asia-nord america, sono
aumentati enormemente.
PRIMI 10 PORTI CONTAINER NEL MONDO:2004-2019
7 lezione:
vediamo il caso di un porto che è il più importante a livello Europeo per volumi di
traffico prima di tutto c’è la Cina, ma ciò non toglie che il porto che si trova
nell’Olanda meridionale, PORTO DI ROTTERDAM, è una delle aree portuali più
importanti.
Questo canale permise l’accesso diretto dal mare del nord al porto di Rotterdam anche
per navi di grandi dimensioni, e quest’opera a sviluppato la zona sud della città.
Anni 20-40 nuove banchine portuali, e spazi dove trovano posto anche attività
industriali.
2GM porto distrutto e ricostruito dopo.
Anni 40-60 attività portuale si rende conto che gli spazi non bastavano più, non
bastavano ad accogliere altre strutture connesse con l’attività del porto che si stava
specializzando con attività petrolifere, quindi servono spazi non soltanto per le banchine,
ma anche per accogliere le cisterne dei combustibili.
Questo periodo le nuove opere sono concentrate ancora nella parte interna.
Anni 60 ampliamento, grande sviluppo dei porti occidentali e di tutta l’industria,
massimo sviluppo del modo di espansione FORDISTA; nascono le grandi regioni
portuali in cui il porto è per la città il maggiore datore di lavoro, si parla anche di
industrializzazione costiera, perché poi si concentreranno attività legate all’industria
pesante: chimica, petrolchimica, siderurgia.
Sviluppa ancora più traffici internazionali, collegato Germania soprattutto con il grande
bacino industriale della Rur.
Nuovi sviluppi con la containerizzazione si convertono le vecchie aree portuali
interne come terminal per i container, e poi si amplia ulteriormente il porto, sia per i
container, sia per le attività legate al petrolio.
Anni 70 viene costruito il blocco verde.
2008-2030 nuovo blocco per i container; il più automatizzato di tutto il porto, e siamo
al di fuori della foce del fiume, siamo già nel mar del nord, sono delle costruzioni
artificiali, non sono sulla terra ferma.
Il porto di Rotterdam non è solo un porto, ha aree estese per altri servizi; ci sono spazi
destinati ad attività economiche non sono legate al trasporto dei container, c’è anche il
trasporto alla rinfusa Tutto ciò che riguarda lo scambio del petrolio, ma anche del gas
ridotto allo stato liquido, prodotti chimici.
Ci sono poi le rinfuse solide che occupano spazi minori rispetto a quelle liquide, carbone
allo stato solido, cereali, legna.
Ci sono anche attività di distribuzione e altre attività di carattere terziario.
È un porto misto, non tratta solo container, ma anche altre tipologie di trasporto
marittimo; quindi richiede anche altre attività che poi creano ricchezza.
Alle spalle del porto c’è un RETROPORTO, che non è l’entroterra, ma sono tutte le
attività economiche che si collocano alle spalle del porto, che riguardano il ciclo della
logistica.
C’è l’entroterra con tutte le sue vie di comunicazione: autostradali, ferroviarie, e fluviali, è
ben collegato ad esso.
Prima impressione del filmato del porto:
2- Grado di automazione che è stato raggiunto in questo porto, è molto avanzato per
quanto riguarda la gestione del trasporto intermodale grazie ai sistemi digitali.
Governano l’attività del porto attraverso i computer, posti in una cabina di regia.
Quest’ultimo terminal in fase di evoluzione è quello più avanzato.
Queste compagnie agivano tra accordi bilaterali, ovvero si spartivano le rotte, Per cui le
due compagnie di bandiera si spartivano le offerte. Tutto ciò rendeva il trasporto molto
rigido.
Con la deregulation si è aperto l’ingresso a compagnie private, alcune c’erano già ma
erano pochissime e avevano un segmento di mercato piccolo.
Dopo la deregulation le compagnie di bandiera han fatto opposizione, non volevano
avere la concorrenza, quindi in Europa l’apertura è stata molto graduale; queste
compagnie di bandiera hanno avuto destini diversi fra loro.
In quel periodo i diversi governi acquisivano una quota delle compagnie, per aiutare
queste compagnie situazione eccezionale, normalmente si posizionano da sole sul
mercato.
Negli Usa la situazione era diversa, non esisteva una compagnia di bandiera ma esisteva
un mercato molto protetto in cui operavano poche compagnie e in più un’agenzia federale
controllava l’ingresso di nuove compagnie private sul mercato, controllava le nuove rotte,
e le tariffe di fatto c’era un organismo federale che controllava il mercato.
Il mercato degli stati uniti si è aperto per la forte pressione degli operatori privati che
volevano entrare nel mercato, e dicevano che questo mercato protetto non era efficiente
perché manteneva alte le tariffe.
Dopo l’apertura negli Usa sono nate anche tante piccole compagnie che non sono riuscite
a stare sul mercato, c’è stata una razionalizzazione guidata dal mercato che ha portato
alcune compagnie piccole a sparire e altre sono state assorbite dalle più grandi, quindi il
numero delle compagnie si sono ridotte.
Ci sono altri fenomeni che si mettono in moto grazie alla deregulation, uno di questi:
nascita delle compagnie LOW COST- modello di business.
La nascita di queste compagnie low cost è un aspetto della deregulation, non è la
conseguenza, che è invece nascita di compagnie private che hanno un modello di business
tradizionale.
Le compagnie Low-cost riescono a contenere i costi, e non solo perchè hanno servizi a
bordo a pagamento, ma dipende da una serie di strategie che fanno si che le compagnie
riescono ad abbassare i costi operativi e questo si riflette nel prezzo del biglietto, ovvero:
• Eliminazione servizi catering a bordo
• Standardizzazione velivoli esse hanno 1 solo tipo di aeromobile, questo
consente di ridurre i costi di magazzinaggio per quanto riguarda i pezzi di ricambio;
riduce le spese per la formazione degli equipaggi, piloti che serve solo quella
abilitazione; anche la manutenzione, perché i tecnici sono in grado senza doversi
istruire sempre. Le compagnie fanno degli ordini consistenti presso i fornitori, e
riescono ad ottenere sconti consistenti.
• Massimizzazione del carico attraverso aumento densità posti sempre nel
rispetto delle normative della sicurezza.
• Collegamenti point-to-point operati su scali secondari senza scalo in
aeroporti intermedi, e se ci sono operano su scali secondari.
• Biglietteria on line
• Riduzione dei «tempi morti» in aeroporto viene ridotto il tempo tra
atterraggio e decollo.
Ciò non toglie che le compagnie low cost sono sul mercato da diverso tempo e quindi
alcuni aspetti del modello di business delle low cost si sono evoluti.
Alcuni aspetti del modello di business delle low cost e anche quello delle compagnie
tradizionali si sono avvicinati per quanto riguarda viaggi brevi non offrono niente, e
quello che offrono è a pagamento; o la smaterializzazione della biglietteria.
La compagnia low cost, è essenziale e offre servizio di trasporto ed esse si sono evolute e
sono entrate in competizione anche con I TOUR OPERATOR, es. possibilità di
effettuare la prenotazione dell’albergo, macchina ecc.
Trasporto, turismo, nuove tecnologie vanno a cambiare il posizionamento di tanti
operatori intermedi.
Queste compagnie hanno fatto la fortuna con gli scali minori, molti scali minori fanno a
gara per assicurarsi il traffico di esse, perché fanno affari.
SISTEMI AEROPORTUALI:
l’abbattimento dei prezzi che si è attuato grazie alla deregulation, si è attuato grazie anche
ad una riorganizzazione del traffico aereo, e degli aeroporti secondo il modello HUB &
SPOKE.
Quali sono i due modelli organizzativi principali per il trasporto aereo?
- Point to point collega direttamente aeroporto con aeroporto; nella situazione; se ho
8 aeroporti da collegare, prevede un numero grande di rotte, 28 questo sistema è
ipotetico non potrebbe succedere, nella realtà si svilupperebbero solo quelle più
remunerative ma per altre dove non c’è un minimo di domanda, non verrebbe mai
aperto un collegamento.
Point to point era il Sistema pre-deregulation, ovvero gli aerei programmavano dei
voli che collegavano direttamente due aeroporti, nessuno scalo fingeva da snodo
aeroportuale e di conseguenza, molti voli viaggiavano quasi vuoti e con
conseguenze negative. Alcune rotte non venivano neppure aperte, perché non
erano economicamente sostenibili.
- HUB prevede che i flussi di traffico vengano concentrati da aeroporti minori su un
aeroporto principale che fa da nodo di connessione, da cui partono una serie di
collegamenti per altri aeroporti. È simile a quello visto x il trasporto merci. Questo
funziona se tutto è organizzato per fasce di coincidenza per cui tutti i flussi
convergono nello stesso momento. Es. reggiocalabria e catania verso monaco prime due
vanno a roma e partono verso destinazione finale. Tutto ciò esisteva anche prima della
deregulation, ma non era organizzato, magari aspettavo ore x il collegamento.
8 LEZIONE:
Ripassa la deregulation.
Ultimo elemento da considerare riguardo la deregulation:
- Alleanze fra compagnie aeree cosa succede nell’ambito dell’HUB &SPOKE? Le
compagnie principali che operano su questi scali hub, estendono una loro influenza
anche sulle compagnie minori che trasportano i passeggeri lungo le tratte minori;
estendono la loro influenza attraverso un sistema di alleanze in modo tale che la
compagnia principale si assicura il controllo di tutto il sistema. Poi queste alleanze
diventano vere e proprie operazioni di acquisizione di queste compagnie minori.
Questo sistema, lo abbiamo già visto nell’ambito del trasporto marittimo; anche
questa strategia di integrazione verticale la praticano anche le compagnie marittime
che stanno estendono la loro influenza anche sulle compagnie che esercitano il
trasporto terrestre; qui succede la stessa cosa.
Impatto indiretto: attività che si collocano a valle della filiera della gestione aeroportuale
e dell’aviazione in generale; è il caso di tante attività, tipo- le compagnie petrolifere per la
quota riconducibile al carburante; attività non solo all’interno dell’aeroporto ma che
comunque contribuiscono al suo funzionamento.
Impatto indotto: impatto generato dal reddito prodotto dagli occupati del settore avio-
aeroportuale sugli altri settori economici; facciamo riferimento al meccanismo che gli
economisti chiamano dei cicli di spesa, come avviene? Una persona che lavora all’interno
dell’aeroporto spenderà una parte del suo reddito per l’acquisto di altri beni e servizi che
non riguardano il settore aeroportuale, ma riguardano altri settori dell’economia
muovono l’economia.
Impatto catalitico: ampio ventaglio di benefici economici connessi alla presenza su un
territorio di scali aeroportuali efficienti (commercio, investimenti, turismo e produttività).
Non è lo stesso meccanismo dei cicli di spesa; questo impatto è più interessante vedere a
scala locale; questi settori su cui la presenza di un aeroporto impatta sono 3:
1- Sviluppo commercio estero la presenza di adeguate connessioni aeree
rappresenta un beneficio per i volumi di esportazione d beni e servizi, anche se
complessivamente a livello globale, la % di merci che viaggia in aereo è molto bassa.
2- Localizzazione delle imprese la presenza di un aeroporto fa da attrattore per la
localizzazione di imprese; soprattutto per la localizzazione di sedi centrali di
multinazionali, perché i dirigenti delle multinazionali utilizzano molto il servizio
aereo e quindi è un vantaggio.
3- Sviluppo del turismo è l’effetto più immediato, si divide tra 2 posizioni diverse:
-1 è la presenza di una struttura aeroportuale a generare lo sviluppo del turismo?
-2 o è il contrario?
Nel momento in cui il turismo ha raggiunto un determinato livello di sviluppo si genera
anche una domanda di trasporto di questo tipo.
È difficile vedere chi ha ragione, ormai le nostre economie locali sono talmente complesse
e sviluppate che è difficile vedere cos’è causa e cos’è effetto.
In certe situazioni di perificità geografica riusciamo a vedere un nesso di causa-effetto
chiaro, in altre situazioni è più difficile.
È più completo dire: la presenza di un’infrastruttura aeroportuale è uno dei fattori che
integrano l’offerta turistica di un determinato luogo.
TUTTI QUESTI EFFETTI: sono più importanti nel caso di scali di grande dimensione e
forte connettività.
Qui, sempre considerando gli aeroporti europei, l’Airport Council ha cercato di stimare
qual è il peso dell’occupazione, in termini di reddito, occupazione e Pil complessivamente
del settore e poi di stimare queste 3 grandezze per ciascuna tipologia di impatto.
Complessivamente al settore aeroportuale sono riconducibili in Europa- più di 12.000.000
posti di lavoro, un reddito di 356 miliardi di euro, e in termini di Pil 674,5 miliardi di euro.
Se guardiamo le diverse tipologie di impatto, è soprattutto l’impatto catalitico che produce
gli effetti maggiori.
Quali sono i principali Aeroporti per traffici passeggeri?
2006 2019
Bergamo è stabile da qualche anno al terzo posto, ha avuto un forte sviluppo grazie al
traffico Low cost.
I nostri volumi sono piccoli perché noi abbiamo tanti aeroporti in un territorio piccolo.
Milano Linate, da sempre ai primi, poi scende- perché è una situazione legata al fatto che
per alcuni mesi è rimasto chiuso per ristrutturazione nel 2019, normalmente è il quarto.
Multimodale utilizzo più modalità di trasporto; intermodale deve avere come ulteriore
requisito l’unificazione del carico, non si deve scaricare o caricare ma ciò che si muove è 1
unità di trasporto intermodale che può essere container o altro.
Il trasporto aereo può essere multimodale, o organizzarlo come trasporto intermodale.
Se parliamo di intermodalità nel trasporto aereo è: gomma-aereo; per la nave invece:
gomma-nave o treno-nave.
Intermodalità è sempre il sistema che garantisce MINORI COSTI E MAGGIORE
EFFICIENZA.
Questo grafico ci mostra evoluzione del traffico cargo dal 1998 al 2018.
Anni segnati: cadute o rialzi importanti.
Come misuro il flusso- Per il traffico cargo, si può calcolare in maniera tradizionale in
termini di tonnellate; è diffusa a livello internazione questa unità di misura per le merci,
RTK- revenu ton km tonnellate paganti per la distanza percorsa in km.
Paesi est- anche però america, come mai aeroporto Alaska importante?
C’è il deposito logistico della Apple, e arrivano i prodotti assemblati in Asia.
Prima di arrivare ad un aeroporto europeo, 11 posizioni.
Alcuni aeroporti cargo fanno gli HUB.
9 LEZIONE: 27.10.2020
Politiche che ci interessano, che sono le politiche che ha messo in campo l’Ue.
Tutti i paesi hanno una politica dei trasporti, perché? Perché i trasporti sono un settore
fondamentale nell’ambito dell’economia nazionale e dello sviluppo economico dei
territori si diventa più competitivi e permette al paese di aprirsi e attivare relazioni
orizzontali e gli scambi commerciali.
Però è importante un buon sistema di trasporti anche all’interno del paese x garantire uno
sviluppo equilibrato delle attività economiche delle imprese; non a caso le politiche dei
trasporti si intrecciano con le politiche di sviluppo regionale di ciascun paeseperché
quando vogliamo favorire lo sviluppo di 1 regione che è in ritardo alle altre regioni,
passiamo anche attraverso l’infrastrutturazione del territorio.
Le politiche dei trasporti sono transcalari partono da un livello superiore, livello statale,
via via scendono, nel nostro caso le regioni e arriviamo fino al livello locale, comuni o aree
metropolitane mettono in atto i loro piani del traffico con cui cercano di regolare questi
flussi.
Sopra gli organismi statali sta l’Ue che delinea gli obbiettivi generali delle politiche a cui i
singoli paesi si adeguano e predispone la costruzione di grandi infrastrutture, e
finanziamenti che si aggiungono a quelli di carattere locale.
Altri obbiettivi:
x i singoli stati-regioni, anche l’Ue attraverso la politica dei trasporti vuole arrivare a
garantire uno sviluppo equilibrato delle attività economiche.
Lo sviluppo di una rete di trasporti è una condizione per lo sviluppo equilibrato delle attività
economiche.
Nonostante ciò è successo che per 30 anni dopo il trattato di Roma, l’Ue ha dato poca
attenzione a una politica comune dei trasporti, questa intenzione è rimasta sulla carta, e i
singoli stati han pianificato per se; con squilibri forti e derivati da questa operazione-
ognuno x conto proprio ciò ha impedito il processo di integrazione delle reti e il
favorimento del mercato eco.
In questa prima fase gli interessi politici sulla coesione economica hanno prevalso su quelli
della coesione territoriale- si è posta attenzione sull’abbattimento dei dazi doganali, o sulla
circolazione delle merci; senza valutare che il mercato unico passa per il territorio, tutti i
livelli sono integrati, se non c’è alla base una infrastruttura efficiente non ha senso togliere
i dazi.
es. prima dell’adeguamento degli standard, ogni paese aveva le reti con certe
caratteristiche diverse da paese a paese.
Ad esempio lo scartamento: diff tra i due binari calcolata dall’interno; questa lunghezza era
diversa da paese a paese, c’erano paesi che avevano uno scartamento più piccolo o
grande.
Quindi se il treno arriva da un paese all’altro, noi possiamo aver abbattuto tutte le barriere
doganali, ma il treno si ferma e bisogna ricaricare tutto su un altro treno e che può
viaggiare su quella rete con uno scartamento diverso.
Oppure differenza di tensione elettrica tra pese e paese: standard importante che limitava
la fluidità dei trasporti.
Ingresso di questi paesi dell’est Europa porrà atri problemi di adeguamento, coesione e
differenza tra modelli infrastrutturali diversi.
Maastricht: acquistano priorità tutte le politiche che riguardano il territorio, come le politiche
di sviluppo regionale; rientra anche la politica dei trasporti, una delle priorità dell’Ue.
1992: la politica dei trasporti trova una sua configurazione in un documento: libro bianco
della politica comune dei trasporti, e contiene gli obbiettivi generali che la politica europea
si pone e le realizzazioni con cui si vanno a realizzare gli obbiettivi.
Appare x la prima volta nel 1989 quando l’istituto di ricerca, con sede e a Montpellier, ha
commissionato uno studio sul futuro delle città europee, e da questo studio è emerso che
si era costituito un grande corridoio urbano, formato da città e assi di trasporto, corridoio di
forma curva con forma di banana blu- come il colore dell’Ue.
Corridoio che parte da Londra e arriva fino a Milano, tirando dentro le aree di
industrializzazione europea.
Di fatto in questa prima fase vengono mancati gli obbiettivi, che erano quelli della
coesione; di corridoi se ne stavano formando parecchi, quindi andava rivista la questione.
Ultima revisione libro bianco 2011.
LIBERALIZZAZIONE SOSTENIBILITA’
AMBIENTALE
Questi pilastri sono nati già in passato- ancora vanno poi a tradursi in obbiettivi che si
vogliono raggiungere e vanno declinati alle politiche di livello inferiore.
(La liberalizzazione nata con il trattato di Maastricht, anche la sostenibilità ambientale e ten-t)
Liberalizzazione:
tutti i settori dei trasporti in questi anni, soprattutto dagli anni 90, sono stati interessati da
processi di liberalizzazione; ad es. nel trasporto ferroviario la liberalizzazione ha permesso
di praticare servizi nazionali anche a operatori stranieri, e ha permesso ad aziende private
a entrare nel mercato.
La liberalizzazione riguarda non solo l’ingresso degli operatori privati ma anche altri
obblighi a cui si devono adeguare le principali compagnie ferroviarie all’interno dei paesi
europei.
Es. Direttiva comunitaria 1991- separazione tra gestione delle reti ferroviarie e gestioni del
servizio offerto ai pass e merci, x andare a limitare il monopolio delle imprese statali e x
offrire un servizio migliore al cliente- concretamente questa direttiva in Italia applicata nel
2001- in ita questa direttiva ha portato alla costituzione di due società: RFI, rete ferroviaria
italiana che gestisce reti e stazioni, TRENITALIA- servizio ai passeggeri- il flusso.
Non era cosi prima della liberalizzazione- questo ha imposto al gruppo ferrovie dello stato,
che è comunque un’impresa pubblica, una maggiore efficienza operativa scorporandosi
attraverso queste due entità controllate e questo avrebbe dovuto offrire un servizio più
preciso al cliente.
Sostenibilità Ambiente:
questo è un tema che diventa prioritario nelle politiche dei trasporti, ma anche nelle altre
politiche.
Sostenibilità passa due obbiettivi:
- Decarbonizzazione dei trasporti, che riguarda i singoli settori di trasporto
- Intermodalità, favorire la modalità non inquinante.
Decarbonizzazione: nei singoli settori di trasporto, strada, aereo e marittimo, limitare
l’utilizzo di carburanti tradizionali.
Nel trasporto urbano l’obbiettivo è quello, entro 2030, di dimezzare l’uso di autoveicoli
alimentati con carburante tradizionale- ricorrere a fonti alternative.
Trasporto urbano tranvie che usano la modalità elettrica LIMITARE LE EMISSIONI e
allo stesso tempo sviluppare forme di trasporto alternativo, che non prevedono l’uso di 4
trasporto su gomma: bici, monopattini, mezzi che non emettono co2.
L’obbiettivo finale dell’Ue: eliminare del tutto l’utilizzo di autoveicoli alimentati con
carburanti tradizionali entro 2050- obbiettivo ambizioso, e nella realizzazione di esso
intervengono anche gli attori locali.
- Nel trasporto aereo si tratta di utilizzare, non di eliminare i carburanti tradizionali,
sempre entro 2050 il 40% di carburanti a basso tenore di carbonio, sfruttando anche le
innovazioni tecnologiche che riguardano gli aeromobili.
(oggi costruisco aeromobili meno pesanti, quindi consumano meno)
- Nel trasporto marittimo il problema: sono le emissioni di co2, prodotte dagli eoli
combustibili che si utilizzano nei motori marini, ma anche qui ci sono delle miscele
meno impattanti, - 40% 2050 stesso obbiettivo.
Per quanto riguarda il resto l’altro grande obbiettivo è quello di puntare
sull’INTERMODALITA’ almeno sulle percorrenze superiori a 300 km/h (da strada a
ferrovia; entro il 2030 almeno il 30% del trasporto merci su strada su altre modalità, ovvero
ferrovia o vie navigabili).
L’intermodalità presuppone che si sviluppino anche i nodi di collegamento terrestre, quindi
posso realizzare tutta l’intermodalità, bisogna pensare in termini sistemici.
All’interno dell’ultimo libro bianco, 2001, l’unione europea ha revisionato la politica delle reti
ten-t; ha individuato in questo complesso di infrastrutture delle infrastrutture prioritarie 9
corridoi chiamati COR, che sono da realizzare in via prioritaria entro il 2030, perché sono
quelli che garantiscono coesione e collegamenti fra paesi dell’unione.
Visto che i finanziamenti sono limitati, si decide di selezionare 9 assi principali, corridoi, sui
quali realizzare questi corridoi multimodali.
Di questi corridoi sono già realizzate delle parti- dei tratti più o meno lunghi, ma non sono
ancora stati completati.
In questo schema, l’Italia ha una posizione centrale, che dipende un po’ dalla sua
posizione geografica.
È un ponte tra nord-sud europea; e con i paesi a sud del bacino del mediterraneo.
che chiamiamo CABOTTAGGIO- è un tipo di navigazione che si svolge tra i porti di uno
stesso stato, o nel caso di aggregazioni come l’Ue dove non ci sono confini politici o
economici, all’interno dell’Ue. Quindi navigazione tra porti nazionali, o comunitari.
Prevede una navigazione vicino alla costa, non va in alto mare; è un servizio di trasporto
marittimo delle merci, che ha linee di cabotaggio che collegano porti del nord-sud Italia fra
loro, o che collegano i porti italiani con quelli dei paesi che si affacciano sul mar
mediterraneo.
Le autostrade del mare sarebbero un’altra possibilità per spostare le merci dalla strada;
abbiamo molti km di costa, sarebbe un’opportunità da sfruttare; è una pratica che al
momento viene perseguita poco.
E-COMMERCE ORGANIZZAZIONE
PRODUZIONE
TRASPORTI E
LOGISTICA
ECONOMIA E FINANZA
AMBIENTE
SALUTE
ICT
CULTURA/ RICERCA
ISTRUZIONE
Arriviamo anche a parlare di globalizzazione, non sarebbe stata possibile senza ict- le ict
poi hanno cambiato anche il modo stesso di organizzare la produzione anche all’interno
della fabbrica, e lo cambiano ancora anche con l’ultima evoluzione che ci riporterà alla
quarta rivoluzione industriale.
Le ict Hanno cambiato il mondo della logistica.
Hanno cambiato il mondo dell’economia e della finanza, consentendo in forma immateriale
i capitali.
Tutta la finanziarizzazione dell’economia è stata resa possibile dalla deregulation, ma
anche dalla ict- consentono a tutte le borse di essere in collegamento reale fra loro.
Nell’ambito dell’ambiente:
grazie a queste ict possiamo raccogliere un numero elevato di dati, abbiamo la possibilità
di elaborarli in tempi brevi, possiamo intervenire sulle modalità più impattanti, e allo stesso
modo le nuove tecnologie riducono l’impatto delle nostre attività umane sull’ambiente.
Oggi abbiamo una produzione, se utilizziamo queste tecnologie, meno impattante dal
punto di vista ambientale, sia in termini di emissioni, sia in termini di produzione e di scarti.
X i trasporti: decarbonizzazione si realizza anche grazie a queste nuove tecnologie che ci
consentono di limitare i carburanti tradizionali.
In ambito CULTURALE.
Le nuove tecnologie ci fanno mettere in rete una serie di contenuti che riguardano la
cultura; pensiamo alle nostre biblioteche culturali.
Oggi senza muoverci, se ci serve qualcosa, anche se è dall’altra parte del mondo
possiamo procurarci ciò che ci interessa.
Ambito dell’ISTRUZIONE:
lezioni a distanza.
Se noi compriamo qualcosa di già digitale, nel momento stesso possiamo già avere il
prodotto- in questo caso annullamento della distanza funzionale.
Ma funziona tutto così?
NO.
Questa convergenza è possibile, ma solo se i paesi e le persone hanno accesso a queste
nuove tecnologie dell’informazione, se non c’è esso è inutile parlarne.
Tanti paesi hanno un accesso limitato a queste nuove tecnologie e quindi è nato un nuovo
termine: DIGITAL DIVIDE- divario digitale si riferisce alle disuguaglianze nella possibilità
di accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione da parte di individui,
famiglie, imprese situate in varie aree geografiche del pianeta.
Questo Digital divide è sempre calcolato in rapporto a quelle che è la scala globale, ci
mettono in evidenza le differenze fra paesi ricchi e poveri.
Però questo discorso si riproduce anche ad altre scale geografiche; se vediamo chi ha
accesso a queste tecnologie anche qui troveremmo dei Digital divide- sono comunque
delle barriere che impediscono a cittadini che sono localizzati in quelle parti di paese che
hanno poca copertura, impediscono l’accesso ad es. a servizi della pubblica
amministrazione, impediscono alle imprese di essere competitive.
Ci sono aree con una scarsa copertura di internet, hanno meno possibilità.
Una delle aree con un più forte Digital divide: aree alpine dell’Italia, sindaci si sono ritrovati
più volte per sottolineare come ampie aree del paese, dove ci sono piccoli comuni; mentre
gli altri sono proiettati sempre in avanti, alle reti di quinta generazione; mentre nelle aree
montane non prende nemmeno la tv, non c’è segnale e hanno reti di 3 generazione e
l’Italia è comunque un paese economicamente avanzato, ma ha all’interno delle aree
grigie.
e-commerce più diffuso nelle medie imprese e meno diffuso in quelle piccole.
Ci sono delle barriere di carattere generazionale, nella popolazione anziana è meno
diffusa questa tecnologia, non tutti alcuni sono andati oltre, ma altri non sa nemmeno
come si fa ad acquistare in internet.
10 LEZIONE 29.10
A due date diverse vediamo quale era e qual è il trasso di penetrazione di internet, a livello
globale, la barra chiara, e per macro area.
Al 2010 la popolazione globale era di 6,8 miliardi, gli utenti internet 1,9 miliardo il 28%
della popolazione globale usava internet.
Per macroaree la situazione è differenziata- guardare grafici.
Australia- paese economicamente avanzato.
2019: il valore globale è aumentato, 58.8% della popolazione è utente internet, sono
cambiati anche i dati che riguardano la popolazione.
Questo permise alle aziende di eliminare il commercio attraverso la carta; risparmiano sui
costi di stampa dei moduli cartacei in quelle che sono le trattazioni da fare.
Le informazioni viaggiavano tramite le linee telefoniche, linea chiusa e privata.
Però lo svantaggio: chi voleva entrare in questa rete doveva dotarsi di questi sistemi di
connessione dedicati, ma erano costosi, quindi andavano bene per grandi imprese che
riuscivano ad ammortizzarlo, non era conveniente per imprese di piccola dimensione che
avevano un volume limitato di transazioni.
Era un sistema rigido, dal punto di vista della comunicazione, una volta stabilità la
transazione si accettavano i termini e pochissima, quasi niente, negoziazione.
Tutto ciò superato nella prima metà degli anni 90, nel momento in cui è stato inventato
INTERNET, e ciò che ha accelerato la diffusione di internet è stata l’invenzione e la
diffusione dei primi browser che hanno reso possibile l’acceso a internet ad ampi stati di
popolazione.
Ufficialmente il commercio elettronico viene fatto partire nel 1995- anno in cui
compare il primo annuncio pubblicitario online di un bene.
Amazon nasce nel 1994- e inizia ad operare nel 95.
È una prima fase in cui, chi entra per primo nel mercato ovvero queste imprese
marketplace acquisiscono e mantengono una posizione dominante.
Prima l’area di mercato era totalmente vuota, quindi chi entra si accaparra più clienti.
Fino al 2000- il commercio elettronico cresce però la gamma di prodotti venduta era
abbastanza semplice, poi dal 2000 al 2005 viene inclusa anche la vendita di servizzi di
trasporto, finanziari cresce il commercio elettronico, abbastanza simile ad oggi.
Dal 2004 abbiamo una serie di innovazioni che ci fanno cambiare ulteriormente internet e
anche il commercio elettronico, che lo porta fino alla situazione attuale.
Quali sono le innovazioni?
1- Riguardano l’evoluzione di internet, il termine compare nel 2004, poi passiamo al
web2.0; prima l’utente poteva consultare siti e portali e fare tutte le transazioni
commerciali con il web2.0 può interagire con la rete, può generare lui stesso
contenuti ciò forma i social network, dove l’utente non è più passivo come prima
ma diventa attivo perchè genera contenuti, da valutazioni o giudizi su prodotti che ha
utilizzato.
2-Nascita e diffusione dei dispositivi mobili, tablet e smartphone.
3- La domanda degli utenti si sta orientando sempre più verso una gamma di servizi on
demand e personalizzati.
DEFINIZIONE DI E-COMMERCE:
prima definizione:
«Vendita o acquisto di beni e servizi, effettuati da un’impresa, un individuo,
un’amministrazione o qualsiasi altra entità pubblica o privata, attraverso l’impiego di una
rete internet» (OCSE, UNCTAD)
Seconda definizione:
«Svolgimento di attività commerciali e di transazioni per via elettronica comprendenti
attività diverse quali la commercializzazione di beni e servizi per via elettronica, la
distribuzione online di contenuti digitali, l’effettuazione per via elettronica di operazioni
finanziarie in borsa, gli appalti pubblici per via elettronica e altre procedure di tipo
transattivo della Pubblica Amministrazione» (Commissione Europea, 1997).
Possiamo individuare varie tipologie di commercio elettronico a seconda del criterio che
prendiamo in riferimento
Siamo già a più di 20 anni che è nato il commercio elettronico, sono cambiate le imprese,
e nel corso del tempo è cambiato lo stesso Amazon che non è più solo marketplace, offre
una serie di servizi.
Amazon Si sta espandendo anche nell’ambito della distribuzione organizzata tradizionale,
nei negozi fisici.
Per noi Amazon è un intermediario, mette a contatto il venditore con il cliente ma non
acquista la proprietà della merce, organizza però la LOGISTICA.
Amazon- è un canale che consente a chiunque di vendere all’utente finale, percepisce una
percentuale di commissione per ogni vendita, però è sempre il venditore che si assume
comunque la responsabilità della vendita e gestisce i prezzi.
Amazon retail: acquista la merce dal venditore e la rivende sul suo sito; in questo caso il
venditore non ha più rapporti con il cliente finale, Amazon fa i prezzi, si assume i rischi
dell’invenduto, e si rapporta direttamente al cliente.
Amazon offre una serie di servizi, come il PRIME, per far arrivare la merce in tempi brevi.
(Amazon sta testando la consegna dei prodotti con i droni). Altri servizzi: amzon video- che
va in concorrenza con netflix; prime musica- concorrenza come spotify.
ALEXA: fa riferimento all’intelligenza artificiale.
11 LEZIONE- 4.11.2020
Riprendiamo dall’ultima slide:
questi market-place che non sono più solo puri, come Amazon; comunque queste imprese
cominciano anche ad adottare delle strategie di diversificazione, Amazon ha sviluppato una
serie di servizi per i suoi clienti, e si sta espandendo anche in un settore che fino a questo
momento non era coerente rispetto al proprio business- sta entrando anche nell’ambito dei
negozi fisici, nell’ambito della GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA.
Il primo passaggio è stato l’acquisizione del WHOLE FOODS MARKET nel 2017, che è una
catena di supermercati che vendono prodotti biologici, naturali, è una catena americana, e
Amazon ha acquistato questa catena di negozi, e ha iniziato a conoscere la vendita fisica.
Il secondo passaggio: creare direttamente un sistema di negozi fisici di piccoli supermercati,
sono gli AMAZON GO- il primo è stato inaugurato a Seattle dove Amazon ha il suo quartiere
generale, poi localizzati altri 20 circa, e si parla di entrare con questa formula, non ancora
successo in Europa, anche nel mercato europeo è un supermercato che permette di fare la
spesa in maniera automatizzata, non ci sono casse, code, cassieri; il cliente scarica un
applicazione- Amazon go- deve aprire un conto Amazon, e quando entra nel negozio
scannerizza con un codice Qr il suo profilo e dopo di che procede alla sua spesa, prende i
prodotti dagli scaffali e poi esce; perché all’interno del negozio ci sono telecamere che ti
seguono passo per passo e ci sono anche sensori che rilevano ciò che prelevi dallo scaffale, o
anche depone il prodotto.
C’è questa intelligenza artificiale, che osserva il consumatore.
(acquisti veloci in pause pranzo- pochi prodotti all’interno).
Certo è che entrando in un segmento che non è del proprio business va in competizione con
quelli che sono i colossi della grande distribuzione organizzata, che già cercano di svilupparsi
e innovarsi per rimanere in competizione sul mercato.
Ritornando alla funzione originale di Amazon- cosa ha comportato sul territorio questo modello
di logistica che Amazon ha implementato?
Ha portato alla localizzazione di grandi strutture che si posizionano in prossimità di quelli che
sono dei mercati di diffusione, e in prossimità degli assi autostradali. Vicino alle città ma non
alle città, quindi vicino all’accesso delle reti.
La logistica di Amazon prevede la presenza, a livello globale, di 175 centri di distribuzione,
dove vengono elaborati gli ordini dei clienti, e poi la merce viene spedita a dei centri più piccoli
che sono i centri di smistamento che sono più capillari.
Uno dei centri di smistamento si trova nella zona industriale id Verona- struttura non
grandissima, occupa 8500 mq, e fa parte di un progetto di riqualificazione dell’area perchè
stato costruito su un edificio di un calzaturificio.
È stato importante perché ha significato: Non utilizzare nuovo suolo, cosa che spesso si fa ed
è eccessivo, porta a tanti problemi ambientali.
Cosa serve questa struttura? Questa struttura è un centro di smistamento, non ha un grande
bacino di utenza ma va a servire i clienti localizzati, nella provincia di Verona, ma anche nelle
provincie limitrofe.
Quanti posti di lavorano creano queste strutture? 30 posti lavoro interni, ma poi c’è tutto
l’indotto 150 posti da parte delle imprese di autotrasporto che fanno poi il servizio per Amazon.
Ci mostra l’andamento degli utenti internet che hanno comprato-ordinato beni e servizi per uso
privato, Nell’ambito B TO C, nei precedenti 12 mesi di rilevazione, distinti per fasce d’età.
Il riferimento è ancora l’Europa a 28, anche UK.
Se guardiamo il dato totale dal 2009-2019 vediamo una continua crescita del commercio
elettronico tra gli utenti internet- c’è una progressiva confidenza.
2019- supera il 70%.
Il comportamento è diverso per fasce d’età, quella che sembra utilizzare di più questo tipo di
acquisto è la fascia intermedia, che va dai 25 ai 50 anni.
Il rispettivo rapporto tra la fascia intermedia e quella più giovane; quella più giovane parte ad
un 50% però ad un certo punto le due curve si incontrano, si equivalgono fino poi, la curva più
giovane supera l’altra- arrivando sempre più vicina all’80%.
La classe d’età più avanzata, pur crescendo, cresce in maniera meno netta e più graduale- c’è
un digital divide generazionale.
Abbiamo anche un digital divide geografico per quanto riguarda gli utenti che acquistano
online: 2018-
Un digital divide lo vediamo tra quelli che sono i paesi del nord Europa e centro, con il sud e
Europa orientale.
Il regno unito è sempre stato insieme agli Usa il paese più penetrabile dal pdv di queste
tecnologie, rimangono ai margini alcuni paesi dell’Europa meridionale: Grecia, Portogallo-
l’Italia nel 2018 aveva il 47%, non ha ancora preso piede decisamente, ci sono ancora ampi
margini di sviluppo.
Cosa si acquista prevalentemente?
Tipologia più diffusa: abbigliamento; poi servizi che riguardano i trasporti e servizi turistici; poi
beni per la casa, giocattoli; poi biglietti per eventi di vario genere e via via i prodotti
dell’editoria, fino ai prodotti meno venduti: materiali per e-learning e farmaci.
25
20
15 UE 28
ITALIA
10
0
TOTALE MEDIE PICCOLE
Quante sono le imprese che adottano anche la modalità online, i valori non sono poi così
elevati; a livelli di Europa 20%, a livello Italia attorno al 14%. Valori medi.
Se guardiamo a livello medio-piccolo, la differenza: anche qui la vendita online vediamo un
digital divide, sono più le medie imprese che adottano questa tipologia a livello europeo, c’è
poi sempre una differenza di % rispetto al contesto italiano.
Fino ad ora abbiamo parlato di commercio elettronico in generale, nel commercio elettronico
cade dentro il comm all’interno dei confini nazionali e quello internazionale.
acquistare sul sito di dominio del proprio paese o del paese in cui faceva riferimento il sistema
di pagamento, ovvero paese in cui è emessa la carta con cui pago.
Era una discriminazione per i consumatori, questa pratica con un regolamento dell’Ue è stata
eliminata dal 2018 fermo restando per i beni protetti da copyright, tipo i libri, film, musica, tutti i
prodotti che fanno riferimento ad un concetto di proprietà intellettuale.
Anche nell’ambito del commercio elettronico l’Ue cerca di limitare queste barriere per i
consumatori, la liberalizzazione quindi non funziona solo nell’ambito strettamente economico
ma anche in questo mercato.
Abbiamo già analizzato la prima parte a sx, ora parliamo delle imprese multinazionali.
Divisione internazionale del lavoro- funziona se ci sono reti efficienti e se il costo del lavoro si
abbassa, e se ci sono queste innovazioni tecnologiche.
Chi sono gli attori principali della divisione internazionale del lavoro? La multinazionale è
l’attore principale, ma non il solo.
Definizione:
- La multinazionale è un’impresa di grandi dimensioni e poi soprattutto è un’impresa che si
espande rispetto a quello che è la sua sede principale; ha reti produttive sparse in tutto il
mondo.
Non esiste un’unica definizione o una definizione giuridica di impresa multinazionale,
c’è all’interno della letteratura scientifica e all’interno delle grandi organizzazioni
internazionali c’è un accordo nel definire la multinazionale soprattutto sulla base di
queste 3 caratteristiche:
1- È un’impresa che coordina e controlla le varie fasi di grandi catene di produzione che
sono disperse in più paesi.
2- È un’impresa che ha capacità di trarre vantaggio dalle differenze geografiche nella
distribuzione di fattori di produzione e nelle politiche nazionali; non la multinazionale
nella sua complessità, ma le diverse filiali vanno a definire le loro strategie localizzative,
a decidere dove localizzarsi, sulla base di quelli che sono i vantaggi che sono strategici
per il tipo di funzione che queste unità svolgono- possono essere fattori come: il costo
del lavoro.
3- La flessibilità, ovvero la multinazionale hanno la capacità di mutare e cambiare forniture
e operazioni tra le varie località geografiche; quindi una localizzazione che non è più
Che effetti ha l’impresa di questo tipo quando si localizza su un paese in via di sviluppo?
L’effetto immediato: creazione di posti di lavoro, che altrettanto si perdono nel momento in cui
la multinazionale cambia strategie organizzative.
Se guardiamo questi dati dell’Unctad che fa delle rilevazioni sulle multinazionali nel mondo, c’è
un abisso.
2016- 320 k multinazionali nel mondo; però la nostra Mediobanca rileva altri dati:
Tra 390 e 320 mila c’è un abisso; e c’è un abisso anche nei dati dell’Unctad tra 2009 e 2016.
Sembra che il fenomeno della multinalizzazione proceda a passo di gigante.
In realtà la ragione di queste grandi differenze sta un po’ nell’Unctad che è un po’
l’organizzazione ufficiale e da parte della Mediobanca che fa una rilevazione annuale; l’Unctad
considera multinazionali tutte le imprese che hanno almeno una filiale all’estero o che
controllano almeno il 10% del capitale di un’impresa, quindi questo è un criterio estremamente
elastico ed è per questo che abbiamo quel numero gigante.
In queste320k cade dentro la grande multinazionale, ovvero quella che ha una serie di filiali
per tutto il mondo, che realizza operazioni di fusione e acquisizione su grande scala; ma
cadono dentro anche le aziende che definiamo multinazionali tascabili, quelle che hanno una
sola filiale all’estero, oppure prendono dentro le attività che aprono anche solo un ufficio
all’estero e vanno ad essere censite come multinazionali.
Ci spiega perché nell’arco di cosi pochi anni cambiano i numeri.
I colossi sono sempre quelli, quelle che crescono sono le unità più piccole che grazie alle
nuove tecnologie possono aprire una filiale all’estero.
Mediobanca adotta dei criteri molto più restrittivi perché include solo le imprese con un
fatturato superiore ai 3 miliardi di euro, e questi altri criteri:
Fatturato estero minimo 10%; Presenza di attività produttive in almeno 1 paese estero; Settori:
non il terziario complessivo ma il manifatturiero, settore dell’energia, TLC- telecomunicazioni,
utilities- imprese che distribuiscono energia, software &web.
Ecco perché il numero viene cosi a diminuire, quindi a seconda del parametro abbiamo numeri
diversi.
Più grandi multinazionali ma quale criterio utilizziamo?
Questa figura ci ricorda, l’immagine della TRIADE, quindi con poche eccezioni vediamo
delinearsi 3 poli, con le prime 500 aziende per fatturato.
Il 3 non è asia, ma la parte orientale dell’asia- sud est asiatico, Cina e Giappone.
Negli usa per es: non tutti gli stati si localizzano le più grandi multinazionali, ma ci sono delle
localizzazioni tipo la costa orientale, dove c’è NY; parte nord usa, poi il Texas e a Bentonville,
Cansas c’è il più grande colosso Wallmart. Se ci spostiamo sulla costa atlantica, California,
trova una concentrazione di grandi imprese perché c’è la Silicon Valley- Apple.
Nello stato di Washington con capitale Seattle, c’è AMAZON.
In Italia, ci sono soprattutto banche, e assicurazioni generali, mentre a Roma ci sono le
imprese come poste italiane e Enel.
12 LEZIONE- 6.11
Le strategie delle imprese multinazionali nel corso del tempo sono cambiate, in relazione
all’evolvere dello scenario economico e all’evolvere delle tecnologie e di conseguenza, se
sono cambiate le strategie economiche sono cambiati i modelli di organizzazione spaziale
delle multinazionali.
Dire multinazionale vuol dire tirare in campo, lo spazio e la geografia, perché sono imprese
che hanno ramificazioni in tutto il mondo.
Non è sempre stato cosi in origine le multinazionali
- periodo fordista-- Periodo dalla seconda gm alla crisi petrolifera: crescita della
grande impresa presso i paesi occidentali, e molte di queste imprese diventano
multinazionali. In questa fase negli anni 60, sono cresciute molto le multinazionali; in
questa fase l’internazionalizzazione, cioè l’andare all’estero, è stata dominata da
multinazionali che effettuavano investimenti guidati dal mercato- cioè attraverso quella
formula che conosciamo dell’IDE di tipo orizzontale, le multinazionali si localizzavano con
filiali o controllavano imprese già esistente in paesi che potevano costituire dei mercati x i
loro prodotti-era un modo per entrare nei mercati di paesi stranieri OPPURE li
localizzavano in luoghi che venivano definiti TESTE DI PONTE- dei paesi da cui si poteva
fornire più agevolmente una pluralità di altri mercati.
IDE ORIZZONTALI: l’impresa va all’estero con una propria filiale per entrare nei mercati di quel
paese e sono sostitutivi dell’esportazione.
L’internalizzazione si può realizzare anche attraverso le esportazioni, che è la strategia più diretta
per entrare in un mercato straniero; l’alternativa è che io mi localizzi in quel mercato attraverso
una mia filiale, in questo caso L’IDE orizzontale diventa sostitutivo delle esportazioni perché sono
già in quel paese.
Che configurazioni assumono queste multinazionali guidate dalla logistica del mercato che
effettuano ide orizzontali?
Le filiali sono una sorta di replica della casa madre e anche i beni prodotti da queste filiali di
solito sono identici; in questa prima fase c’è una sorta di standardizzazione del prodotto.
Es tipico: caso della coca cola- riproduce una serie di filiali che sono repliche, e nella prima
fase il prodotto coca cola era uguale in tutto il mondo, come il prodotto nutella.
Verso la fine degli anni 60, fino ad oggi, cominciano a farsi strada degli investimenti di tipo
verticale- guidati da fattori di costo, come il costo del lavoro, e questo spinge alcune
multinazionali, soprattutto americane, a decentrare alcune produzioni ormai standardizzate, o
in regioni meno sviluppate all’interno di paesi economicamente avanzati o più spesso in paesi
stranieri a basso salario, e qui entra in gioco i paesi del sud-est asiatico ma non la Cina in
questa fase, perchè la Cina fino a fine anni 70 era chiusa ad investimenti stranieri.
Paesi chiamati le 4 tigri asiatiche: corea del sud, Hong Kong, Thai one e Singapore.
Dove vanno i flussi orizzontali? I flussi orizzontali guidati dal mercato in questa fase vanno
verso paesi economicamente avanzati, ed è cosi anche oggi.
Gli investimenti di tipo verticale, guidati da una logica di riduzione di costi del lavoro già in
questa prima fase vanno verso paesi che definiamo del sud del mondo, in realtà questi
investimenti andavano verso i paesi asiatici.
Quando diciamo questo non siamo ancora arrivati alla configurazione che a oggi i cicli
produttivi sono frammentati più che separati, e i paesi si specializzano non più nella
produzione di un unico prodotto, ma nella produzione di una parte di questo prodotto.
Nelle imprese Multimpianto non siamo ancora ad una configurazione di questo tipo, quindi la
filiale che è localizzata in corea del sud ad esempio, non produce una parte del processo
produttivo ma realizza una fase che riguarda la produzione.
Non è la frammentazione dell’impresa globale in questo periodo.
Oltre alla Multinazionalizzazione delle imprese industriali vediamo anche un’espansione
internazionale di imprese del terziario, ovvero imprese di servizi; quindi anni 60-70 vanno
all’estero, creano filiali, anche banche, assicurazioni, società di trasporto, imprese commerciali
come Wallmart, o imprese turistiche provengono tutte da paesi industrializzati.
La maggior parte dei processi di multinazionalizzazzione avviene tra paesi sviluppati.
Quindi la crisi del fordismo, 1973- data prima crisi petrolifera, in realtà la crisi fordista arriva a
maturazione nella prima metà degli anni 70.
Questa crisi interrompe questo ciclo di forte crescita dell’industria che proseguiva dalla prima
rivoluzione industriale.
La crisi del fordismo impone una riorganizzazione e quindi coinvolge anche le strategie di
internazionalizzazione e le strategie spaziale-> arriviamo poi all’impresa multinazionale come
si configura nella nostra epoca, ovvero nella fase di globalizzazione dell’economia.
• Crescita illimitata e uso illimitato di risorse non rinnovabili questi processi produttivi
sono molto impattanti sull’ambiente, c’era un’idea di crescita illimitata, pil cresceva e ciò
voleva dire crescita economica quasi senza fine.
Questo modo di produzione faceva un uso illimitato di risorse non rinnovabili, carbone e
petrolio, che erano la principale fonte energetica, costituivano anche la materia prima del
ciclo produttivo.
Ed è qui che nascono molti dei problemi ambientali che sono venuti a maturazione oggi.
Impatto a livello del territorio: creavano ricchezza questi grandi impianti produttivi, creavano
posti di lavoro e benessere. A livello ambientale tutto il contrario.
Questo grande ciclo di produzione si va ad interrompere nei primi anni 70, formalmente il
passaggio è segnato dalla prima crisi petrolifera, in realtà ci sono una serie di fattori che
portano all’aumento dei costi di produzione, e questo è il primo elemento problematico che si
lega alla crisi energetica ma non solo.
La crisi energetica comporta un aumento dei costi delle materie prime e dei costi di trasporto,
impatta quindi sulla produzione industriale perchè cicli produttivi partivano da questa risorsa.
Oltre all’aumento dei costi, un altro elemento:
- aumento del costo del lavoro.
Il lavoro fordista è un lavoro fortemente standardizzato e sindacalmente protetto e questo
aveva portato ad una continua crescita dei salari e quindi anche del costo del lavoro.
Altri elementi che mandano in crisi questo modo di produzione:
- saturazione del mercato per quanto riguarda i beni prodotti da queste fabbriche; il mercato
non era più in grado di assorbire questi volumi produttivi.
- Cambia anche la domanda perchè cambiano anche i gusti dei consumatori che non si
accontentavano più di una gamma ristretta di modelli; il consumatore vuole beni più
personalizzati e di qualità.
- Per effetto dei primi processi di decentramento delle multinazionali i paesi con costi di
produzione più bassi cominciano anche ad esercitare una Concorrenza nei confronti dei
paesi economicamente avanzati, perché vanno a produrre gli stessi beni ma con costi più
bassi.
- Mentre la grande impresa va in crisi, vediamo crescere ed Emergere dei sistemi produttivi
localizzati in piccole aree geografiche specializzati di piccole medie imprese, che si
dividono il lavoro e sono I DISTRETTI INDUSTRIALI.
Non succede cosi dappertutto ma nel nostro paese questa economia distrettuale supporta
l’economia nazionale quando le imprese entrano in crisi.
Questi distretti sono importanti, perché sono fortemente orientati all’esportazione e ancora
oggi sostengono l’export di prodotti italiani.
- La grande impresa in un primo momento entra in crisi, successivamente nel giro di pochi
anni anch’essa si Riorganizza secondo modalità di produzione flessibile, e non secondo il
modello fordista, va incontro alle esigenze della domanda, e anche l’impresa
multinazionale diventa un’impresa globale, è una sorta di rete.
Le filiali acquistano una notevole autonomia e a loro volta acquistano una rete di subfornitori.
E le logiche di internazionalizzazione non sono più guidate esclusivamente dall’IDE.
- Terziarizzazione delle economie: le economie dei paesi avanzati diventano sempre meno
industriali e sempre più terziarie.
Sono economie di servizi, e questo lo vediamo nel Pil dove la componente terziaria è
preponderante.
Questo non vuol dire che non ci sia industria, o che l’industria non è importante nelle nostre
economie, perche molti dei servizi che si attivano nell’ambito delle economie terziarie non
dimentichiamo che sono servizi all’impresa.
Oggi la produzione industriale è diventata più complessa e poi sono necessarie una serie di
funzioni di servizio che permettono la produzione industriale.
Nell’ambito di questa trasformazione dell’impresa dobbiamo aggiungerci l’AUTOMAZIONE;
l’impresa esce dalla crisi anche per questo motivo, fa ricorso alle tecnologie legate
all’informatica e telematica.
Di questo vediamo che già negli anni 80 molte fabbriche si automatizzano, e vediamo le
conseguenze: essendo più automatizzate offrono meno posti di lavoro.
Questo ci spiega perché le nostre economie sono terziarizzate, non ha più bisogno di tanta
quantità di forza lavoro, e se ne hanno bisogno vanno a produrre dove la forza lavoro costa
meno.
- Il punto importante, e che cambia la divisione del lavoro tra multinazionali e filiale negli anni
70, è che in queste logiche spesso un paese non si specializza nella produzione di un
intero processo produttivo, come negli anni 70, tipo tutto quello che è un bene, ma si va a
Delocalizzazione produttiva non vuol dire solo andare a produrre all’estero, vuol dire che io
vado a produrre all’estero ma il mio prodotto lo vendo poi sui miei mercati.
Il prodotto deve tornare al paese di origine.
1- Catene guidate dal produttore sono quelle catene produttive in cui i beni prodotti
sono di alto apporto tecnologico e quindi sono beni in cui si realizza una continua
innovazione sia di prodotto che processo; queste catene del valore sono in realtà
dominate da poche grandi imprese multinazionali che hanno un ruolo centrale nel
controllare questo sistema di produzione- sono reti abbastanza concentrate,
relativamente contenute. Es. settore dell’automobile.
2- Catene guidate dal consumatore riguardano tutti quei settori che sono ormai maturi e
sono ad alta intensità di lavoro dequalificato, tipico esempio: tessile abbigliamento,
industrie come quelle dei giocattoli o articoli per la casa.
In questi mercati la tecnologia ormai è standardizzata, ciò che conta è il design, la
reputazione del marchio come nel settore della moda.
Sono reti molto estese, reti di delocalizzazione molto estese nello spazio, cercano basso
costo del lavoro; sono catene che arrivano anche a imprese senza stabilimento, che sono
o multinazionali che operano nel settore commerciale, non producono nulla ma hanno
filiali in tutto il mondo, come Wallmart o i grandi marchi del settore dell’abbigliamento o
delle calzature come nike- non producono nulla ma demandano la produzione a delle reti
estese.
Caso di produzione frammentata:
Ha un sacco di subfornitori, o va a produrre nei paesi del sud-est asiatico, però la concezione
del prodotto rimane nella silicon Valley.
Tutte queste componenti girano x il pianeta e vengono assemblati in Cina, da qui poi il
prodotto finito va in Alaska dove c’è il centro di distribuzione per gli usa e va sul mercato
americano; peri mercati europei seguono altri percorsi.
I fornitori della Apple sono molti e sono localizzati in paesi economicamente avanzati e alcuni
no: Non necessariamente in paesi a basso costo del lavoro.
Un’automobile con fascia di prezzo alta: viene realizzato prevalentemente all’interno di paesi
avanzati.
1600000
1400000
1200000
1000000
800000
600000
400000
200000
0
1960 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2018
HONG KONG:
400000
350000
300000
250000
200000
150000
100000
50000
0
1960 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2018
Questi esiti non sono mai scontati, non è detto che nel momento in cui una multinazionale
localizzi alcune fasi di produzione si attivino poi dei processi di sviluppo.
Questo succede se si verificano processi di upgrading- cioè se le imprese locali riescono ad
entrare in queste catene del valore, migliorando la propria posizione e molte imprese
specializzate in attività che inizialmente erano dequalificate, diventando fornitrici di imprese più
competitive hanno migliorato le proprie capacità tecniche e commerciali riuscendo ad avviare
attività più specializzate e a più elevato valore aggiunto.
Quindi lo sviluppo di molte economie asiatiche, deriva in parte da questi meccanismi- riuscire
ad elevare la propria posizione all’interno delle catene del valore-
Questi esiti non sono scontati e in altri contesti non si sono realizzati, ma si sono fatti sfruttare
dalle multinazionali che vanno alla ricerca di fattori competitivi per quanto riguarda il costo del
lavoro.
Vediamo questo aspetto anche nella composizione delle esportazioni per quanto riguarda
questi paesi.
Dal 1980 ad oggi: I prodotti dell’abbigliamento sul totale delle esportazioni
PAESE 1980 1990 2000 2016
Vediamo che la percentuale dei prodotti dell’abbigliamento sul totale delle esportazioni
progressivamente va diminuendo. Oggi è molto bassa la %, perché questi paesi si sono ormai
specializzati nella produzione di componenti per i prodotti dell’elettronica.
Ma poi pensiamo alla CDS-a partire da quelle che erano imprese locali, grazie a finanziamenti
anche del governo, hanno creato delle multinazionali che ormai competono sullo scenario
globale al pari delle multinazionali dei paesi di vecchia industrializzazione.
Non è vero che la globalizzazione è una omogeneizzazione, e i paesi meno avanzati sono
rimasti fuori, dipende da come a livello locale sono stati elaborati questi stimoli arrivati dal
cambiamento dello scenario globale.
All’interno noi troviamo un’ampia gamma di tipologie, come i porti franchi, zona di
trasformazione delle esportazioni- a seconda del paese hanno denominazioni particolari e
anche delle specificità.
Però se vogliamo trovare degli elementi comuni a queste zone economiche speciali- ZES, gli
elementi sono:
- Parti del territorio nazionale formalmente delimitate e caratterizzate da un regime
normativo diverso rispetto al resto del paese in tema di investimenti-offerti degli incentivi
alla localizzazione delle imprese, tassazione più elastica rispetto al resto del paese, e
lavoro- per esempio che derogano leggi sull’orario di lavoro che vigono nel resto del paese
o che ancora impongono forti limiti all’attività sindacale, per rendere la mano d’opera più
flessibile.
- Queste aree hanno una Struttura di governance dedicata hanno una forte autonomia
amministrativa rispetto al governo centrale; perché possono assicurare alle imprese un
contesto favorevole all’interno del quale operare.
- Aree che hanno delle Dotazioni infrastrutturali di buon livello a supporto delle attività delle
imprese e dei soggetti economici che operano al loro interno. Parliamo di infrastrutture
tradizionali ma anche delle telecomunicazioni, degli immobili che vengono messi a
disposizioni delle imprese a valore non di mercato, più basso ovviamente.
Ci sono ad esempio parchi all’interno dei quali le imprese si possono localizzare.
Normalmente delle economie esterne che non trovano nel resto del paese.
Queste aree sono anche state oggetto di forti critiche: ad es. è stato detto che queste aree
non sempre si sono tradotte in uno sviluppo generalizzato per il paese all’interno del quale
sono state create, ma hanno avuto l’effetto di aumentare i divari di sviluppo, quindi opposto,
perché sono andati a concentrare risorse e infrastrutture esclusivamente in alcune regioni a
discapito delle altre. Quindi in paesi molto grandi, caratterizzati da forti divari di sviluppo
economico, concentrare infrastrutture o investimenti in alcune aree ha prodotto una forte
crescita di queste aree però ha lasciato al margine altre aree che non sono state investite
dagli stessi processi di sviluppo; anche se complessivamente poi queste aree hanno dato un
contributo alla crescita dell’economia del paese.
X quanto riguarda le Condizioni lavorative: in queste aree spesso, i lavoratori avevano salari
ancora più bassi, lunghi turni di lavoro, assenza di protezione sociale e sindacale.
In alcune zone lavorano donne, che son pagate ancora meno.
X la loro dimensione: sono zone molto grandi, dall’1.3 km/q al 1.5; però ci sono casi cinesi che
arrivano anche a 200-300 km/q le ZES sono localizzate lungo le coste x avere poi accesso
ai percorsi dell’esportazione, oppure sono posti vicino alle frontiere.
Non sono una peculiarità del sud est asiatico, e non sono di per se nuovissime queste ZES si
sono diffuse a partire dagli anni 70, oggi se ne contano almeno 3500; non sono uno
sperimento recente o inventato negli anni 70.
La prima ZES creata in Irlanda, 1959.
Con caratteristiche diverse le troviamo un po’ in tutti i paesi.
Le troviamo in: Messico, Russia, Cina, Paesi Est Europa, America latina e Africa…
Quelle che hanno avuto più successo sono state quelle della Cina e del sud-est asiatico.
CINA:
paese gigantesco, è un’economia grande non paragonabile agli altri paesi del sud-est asiatico.
È arrivata agli investimenti stranieri per dinamiche diverse, proprie e in tempi più recenti.
Il tutto è partito con la morte di MAO nel 1976, poi anni di riassestamento e Riforme
economiche di Deng Xiaoping, nuovo presidente (1978):
- «Politica delle Quattro Modernizzazioni» ovvero politica di riorganizzazione interna, si
volevano modernizzare e aprire al mercato settori come quello dell’agricoltura, industria,
scienza.
Agricoltura e industria: non esisteva di fatto la proprietà privata, tutto dello stato.
Non possiamo parlare di un vero e proprio sistema di mercato come quello dei vecchi paesi
capitalisti; la CINA si è aperta ma con questa formula particolare che ha portato ad una sorta
di socialismo di mercato- è diventato un modello di sviluppo economico del tutto originale che
non trova riscontro in altri paesi.
Le imprese stesse che operano su scenario globale, in molti casi sono ancora imprese
controllate dallo stato, non sono paragonabili alle nostre multinazionali anche se poi effettuano
le stesse cose.
Accanto ad essa:
- «Politica della porta aperta» apertura agli investimenti stranieri e al commercio estero
che parte sempre in quegli stessi anni 1979, e fa riferimento alle ZES.
Si voleva integrare la Cina nel mercato globale.
- istituzione delle «Zone Economiche Speciali»
Queste politiche hanno portato ad un miglioramento e a una ripresa dei rapporti con
l’estero, soprattutto USA.
L’apertura era anche subordinata d’un altro obbiettivo: quello di assorbire capitali ma anche
conoscenze tecniche e scientifiche d’avanguardia dal resto del mondo, per colmare il divario
che si era creato tra un’economia chiusa per decenni e paesi economicamente avanzati.
A questi scopo sono state costruite le ZES.
La Cina ha inizialmente considerato le ZES come un esperimento, sono state istituite a livello
sperimentale quasi come delle isole di capitalismo, all’interno di un sistema economico e
politico che era ancora fortemente comunista.
Rappresentavano una forte spinta al cambiamento per quanto riguardava il funzionamento
economico del paese stesso.
Per questa ragione inizialmente vengono istituite solo 4 ZES nel 1980.
Le ZES hanno un po’ le stesse caratteristiche che abbiamo visto per le zone del sud-est
asiatico come la possibilità di assicurare le imprese delle esenzioni fiscali, riduzione dei dazi
ecc… hanno un’autonomia ancora più forte rispetto a quella che normalmente caratterizza le
ZES; è un’autonomia che è un elemento di novità in un paese che era fortemente centralista.
ZES di shanzen è grande come la provincia di prato, che è quella più piccola in Italia.
Oltre a queste caratteristiche, le politiche interventiste del governo cinese ci sono altri fattori
che spiegano il successo della Cina:
- Forte differenziale salariale rispetto ai paesi avanzati; quando sono iniziate le
delocalizzazioni verso la Cina, è enorme questo differenziale salariale. Un operaio in Cina
costava pochissimo.
- basso costo delle materie prime, normative elastiche in tema di protezione ambientale;
oltre al costo del lavoro che ha spinto le imprese occidentali che avevano produzioni ad
alto impatto ambientale a localizzarsi in paesi in via di sviluppo.
- ampia manodopera con buon livello di scolarizzazione; manodopera a basso costo. La
Cina ha fatto delle politiche di scolarizzazione molto sostenute.
- Potenziale mercato di grande estensione, per quanto riguarda i prodotti occidentali; con il
procedere delle industrializzazioni e dello sviluppo economico, anche qui le condizioni di
benessere aumentano e si è formata una classe media che acquista e assorbe i prodotti
dell’impresa occidentale.
- In una fase degli anni 90, gli investimenti in Cina erano fortemente popolari, e questo ha
suscitato delle strategie di imitazione: gli imprenditori vedevano imprenditori della loro area
andare a produrre/investire in Cina e vedevano ce aveva successo allora li imitavano; la
Cina era la nuova frontiera degli investimenti stranieri.
Ci sono comunque stati anche tanti fallimenti.
Come si traduce tutto questo in termini di indicatori? PIL 1960-2018
16000000
14000000
12000000
10000000
8000000
6000000
4000000
2000000
0
1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2018
Negli anni dopo l’apertura il PIL cresce poco fino agli anni 90, e poi crescita significativa.
Principale economia mondiale insieme agli USA.
La trasformazione di questo paese la vediamo poi oltre al PIL, ma anche nella composizione
percentuale del PIL.
INDUSTRIA SERVIZI AGRICOLTURA
60
50
40
30
20
10
0
1970 1980 1990 2000 2010 2013
Come i 3 settori principali dell’economia, partecipano alla composizione del pil e come
cambiano la composizione.
L’agricoltura ci da chiarezze sul cambiamento; perché quando c’è un processo di
industrializzazione il settore primario inizia a diminuire.
9000
8000
7000
6000
5000
4000
3000
2000
1000
0
1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2018
Si impenna nello stesso periodo, però siamo sotto i 10k dollari annui- è basso paragonato al
reddito medio dei paesi economicamente avanzati, che è nell’ordine dei 35k, 40k dollari Pro-
capite.
Qual è il limite di questo indicatore?
È matematicamente un valore medio; quindi si avvicina a comprendere la distribuzione della
ricchezza, ma funziona quando non ci sono grandi differenze, quando c’è una distribuzione
abbastanza omogenea- ma quando ci sono delle regioni con un bassissimo livello di sviluppo
e altre con un forte livello: IL VALORE MEDIO VA AD APPAITTIRE TUTTO.
E la Cina è un paese con un forte divario, quindi nelle regioni dove ci sono le ZES non ci sarà
10k dollari di reddito medio li, sarà molto più alto, ma d’altra parte ci sono regioni con un
reddito molto più basso.
Bisogna vedere altri indicatori che ci dicono un livello di benessere.
È questa la ragione per cui vediamo un forte divario di sviluppo in Cina; la parte interna di
questo paese non ha lo stesso livello di sviluppo che ha avuto la zona costiera o la capitale.
Ultimo aspetto:
relativo alle strategie commerciali e politiche;
PROGETTO DELLA BELT AND ROAD INITIATIVE- nuova via della seta.
Questo progetto annunciato nel 2013 dall’attuale presidente e questo progetto vorrebbe
integrare l’asia e Europa, sia una serie di collegamenti via terra e via mare.
Lo scopo: migliorare gli scambi commerciali fra Cina e Europa, Connettere queste due realtà
che in mezzo hanno uno spazio enorme, e anche di realizzare una nuova forma di
collaborazione fra Cina e Europa.
È il più grande progetto di investimento mai realizzato.
Prevede 2 itinerari:
- 1 rotta via terra-; ha strade, ferrovie, gasdotti, oleodotti, in cui ci sono parchi industriali e
interporti; e attraverso l’asia centrale la cina si collegherebbe al nord europa fino a poi alla
spagna; altri rami invece vanno verso il medio oriente e la turchia.
- 2 rotta marittima- parte dai porti del mar cinese meridionale, circumnaviga la parte
meridionale dell’asia, passa per india e Pakistan poi 1 ramo di questa rotta va verso l’Iran,
un altro va verso l’Africa e attraverso il canale di Suez arriva alla turchia, grecia e ai nostri
porti.
- Ci sarebbe una terza via, quella artica: purtroppo se si dovesse realizzare, si realizzerà nel
momento in cui il cambiamento climatica farà passare le navi (scioglimento di ghiacci).
Parte di queste infrastrutture sono già realizzate, si stanno via via realizzando dei pezzi di
queste rotte, soprattutto all’interno e i porti.
La Cina sta cercando di colmare quel divario infrastrutturale che li caratterizza e impedisce il
libero fluire delle merci.
PORTO DI KHORGOS:
è un interporto, creato dal nulla a cavallo tra Cina e Kazakistan; nel 2010 non c’era nulla; oggi
c’è un complesso di infrastrutture enorme.
È un’area strategica, da qui si dipartono i vari rami terrestri.
Allo stesso modo sono aumentati i progetti verso l’Africa, dove la Cina va ad aumentare molti
progetti infrastrutturali, tutto questo comporta che il baricentro della produzione sia spostato
verso l’Asia-nuova geografia della produzione.
1 CINA, 2 USA, 3 GIAPPONE.
Caso Italia dal 1860 al 2012- siamo prevalentemente una economia di servizi.
14 LEZIONE: 12.11
I DISTRETTI INDUSTRIALI: formazione economico territoriale che è tipica della nostra
economia e dei nostri territori.
I distretti sono un fenomeno che non si forma ma emerge negli anni 70;
definizione:
è un sistema di produzione locale, composto prevalentemente ma non esclusivamente di
imprese di piccola-media dimensione, specializzate in un settore o filiera produttiva; tra loro
giuridicamente indipendenti ma in interazioni attraverso forme di divisione del lavoro.
Il distretto industriale è un caso particolare; è considerato il modello organizzativo più tipico del
post-fordismo e anche della nostra economia.
È un modello che ci si chiede se sia riproducibile al di fuori del contesto italiano; i distretti
sostengono le esportazioni, hanno creato posti di lavoro.
BECATTINI- toscano che per primo ha introdotto la definizione; osservando la sua realtà in
Toscana arriva ad una definizione:
• «il distretto è un’Entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in
un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una
comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali»
• Comunità di persone intende una comunità che incorpora un sistema di valori
omogeneo, non valori di carattere morale, ma valori che riguardano l’economia e la
società. Questa omogeneità è accentuata dal fatto che il territorio condivide un’unica
storia produttiva, cioè queste imprese sono da tempo localizzate nello stesso territorio,
e quindi si sono create esperienze di collaborazione
• Popolazione di imprese industriali sono piccole medie imprese specializzate che si
suddividono il lavoro.
Lui e altri, si sono resi conto che questa formazione non era specifica della toscana ma si
trovavano anche in altre regioni italiane come il Veneto, Emilia Romagna, Marche.
Economie di agglomerazione*
Ma come nascono questi distretti? Ci sono delle condizioni che facilitano la localizzazione, la
nascita del distretto e poi come evolvono.
I primi distrettualistici fotografano una situazione che risale agli anni 70-80, però diverse cose
sono cambiate nel frattempo, sono subentrati altri processi tra cui non ultimo una crisi
economica che ha avuto un impatto su tutti i tipi di impresa e anche su quelli distrettuali.
La maggior parte di questi modelli(slide) si ferma negli anni 90, fotografa la situazione in cui
già è entrata la globalizzazione e quel fenomeno della delocalizzazione produttiva che non
riguarda solo la grande impresa, ma è una strategia che un po’ tutte le imprese perseguono.
Dopo il 2000 è entrato questo fenomeno dirompente, ha rappresentato un ulteriore fase di
discontinuità da cui i distretti industriali non sono usciti morti però sono cambiati- crisi.
- 2 stadio: AREA SISTEMA INTEGRATA, anni 70, in alcuni distretti prosegue anni 80 e
inizi anni 90: è la fase in cui gli economisti si accorgono del fenomeno del distretto
industriale.
È la fase in cui l’economia fordista entra in crisi, quindi entra in crisi la grande impresa, e si
comincia a capire che nella nostra economia c’è altro, perché ci sono questi sistemi di
piccole imprese che stanno crescendo molto.
È questa l’area di forte sviluppo dei distretti industriali; nascono prima ma questa è la fase
in cui crescono tantissimo in termini quantitativi.
Nei distretti cresce numero imprese, l’occupazione, la produzione e le esportazioni i
distretti cominciano a configurarsi come le strutture che sostengono le esportazioni; e si
complessifica lo schema di divisione del lavoro.
Nascono tante imprese collaterali, imprese che si collocano a monte del processo
produttivo- es. imprese che producono macchinari; in questa fase il distretto è un distretto
che diventa una filiera e non più un distretto legato ad un settore produttivo perché la
specializzazione in un prodotto fa nascere una serie di imprese che lavorano attorno a quel
prodotto.
Nascono poi tutta una serie di imprese a valle, imprese che si occupano della
commercializzazione dei prodotti finiti, che servono servizi all’impresa, imprese che si
occupano dei trasporti e logistica.
E questa viene chiamata A.S.INTEGRATA, perché quel meccanismo che vedeva nella
fase precedente poche imprese committenti e tanti terzisti si va a complessificare, ovvero
ci sono situazioni di pluricommittenza- un subfornitore lavora per più imprese.
Spesso si attiva una struttura che è su più livello- l’impresa committente attiva una serie di
subfornitori, e i subfornitori a loro volta possono attivare delle imprese più piccole per
servizio a domicilio.
In questa fase negli anni 70, c’era anche una flessibilità che riguardava il lavoro, e c’erano
alcune fasi produttive quelle più semplici, manuali, che venivano svolte a domicilio presso
le famiglie.
Questa fase di forte sviluppo che ha conferito molta ricchezza ai territori distrettuali;
l’economia distrettuale ha avuto come conseguenza: aumento di reddito delle famiglie,
altre conseguenze: trasformazione di spazi rurali in spazi di industrializzazione.
Grazie a questi distretti si è trasformata nell’arco di pochi decenni l’economia regionale.
Questo sviluppo ha avuto anche delle conseguenze dal punto di vista ambientale.
L’industrializzazione diffusa che esce dagli spazi urbani, ha avuto tutta una serie di
conseguenze in termini di consumo di suolo e impatto ambientale, disordine urbanistico,
congestione legata al traffico.
I distretti hanno portato avanti anche l’economia nazionale.
Questo periodo di forte crescita però ad un certo punto si interrompe, quando i distretti entrano
in uno stadio di maturità, ovvero un periodo che si colloca tra la metà degli anni 80 e arriva
fino alla globalizzazione; un periodo in cui cambiano gli scenari e i distretti ormai affermati
devono difendere il loro successo economico dalle pressioni competitive esterne che arrivano
da paesi di nuova industrializzazione che vanno a produrre molti beni per i quali i distretti sono
specializzati- i distretti hanno un po’ perso le caratteristiche innovative che li avevano
contraddistinti in una prima fase.
Oggi non possiamo più definire i distretti industriali come auto-contenuti in un territorio, queste
reti di divisione del lavoro sono diventate lunghe.
Nei distretti sono rimaste le parti della catena a più alto valore aggiunto come le attività che
riguardano progettazione, attività di servizio, è rimasta tutta la logistica.
apertura verso l’esterno- in forme di alleanze, joint venture con altre imprese extra
distrettuali.
3- Strategie di DIVERSIFICAZIONE PRODUTTIVA, o cercare di collocarsi in mercati di
nicchia dove i concorrenti non sono arrivati. Oppure puntare sull’innovazione, cercare di
elevare la qualità del prodotto- vera strategia offensiva nei confronti delle produzioni a
basso costo.
Alcuni distretti si sono limitati alla prima strategia, sono quelli più deboli, distretti che hanno
puntato solo sulla delocalizzazione si sono fortemente ridimensionati e quasi spariti.
I distretti più evoluti hanno fatto ricorso alla delocalizzazione però hanno puntato anche sulle
altre strategie, soprattutto sull’innovazione.
Ci sono poi altri cambiamenti che non riguardano le strategie, sono cambiati anche dal punto
di vista SOCIALE, non sono più quei territori con una popolazione omogenea come ce li
descriveva il Becattini, troviamo tanti lavoratori stranieri, abbiamo una base sociale diversa.
Si sono messi in moto anche processi di carattere sociale che hanno trovato espressione in
questo periodo e continuano oggi, come il problema di cambio generazionale- imprese che
sono arrivate alla 2-3 generazione, gli eredi non vogliono più continuare l’attività dei genitori o
nonni, quindi si interrompe il processo.
Molte di queste piccole imprese, erano e sono di carattere familiare.
Ad un certo punto però in molte imprese il meccanismo di trasmissione si interrompe e la
soluzione è: o la chiusura, o la vendita a soggetti esterni alla famiglia CAMBIA IL
CONTESTO SOCIALE.
Tutte queste trasformazioni, che sono quelle che ci portano alla globalizzazione, sono state
iniziate nella prima decade degli anni 2000, però con di mezzo la crisi 2008 che ha avuto un
forte impatto.
I distretti bene o male ne sono usciti.
Rispetto ai distretti pre-crisi, noi osserviamo oggi una trasformazione sia quantitativa che
qualitativa.
Quantitativa della base produttiva, bene o male tutti i distretti hanno registrato un forte
ridimensionamento in termini numerici, sono sparite tante imprese artigiane ed è diminuito il
numero di occupati.
È cambiata poi anche la composizione settoriale, ovvero sono aumentate le imprese
specializzate nella fornitura di macchinari- è una componente dei nostri distretti, Si è rafforzata
la componente, i macchinari sono molto importanti perche essi non servono più solo per le
imprese che lavorano nei distretti, ma sono macchinari che vengono esportati nei mercati
internazionali.
Rispetto a quello che vedevamo decenni fa, anche le piccole imprese oggi sono aperte verso
questo tipo di innovazioni.
Oggi sono molto cresciute le relazioni esterne al distretto e si sono indebolite le relazioni locali,
per queste strategie che i distretti hanno messo in atto.
Ultimo fenomeno- riguarda imprese distrettuali e non distrettuali, soprattutto del settore meda,
fenomeno del RESHORING: fenomeno per cui alcune imprese riportano in patria produzioni
o parte di esse, precedentemente delocalizzate.
Succede nel settore moda che produzioni delocalizzate, soprattutto in Asia, ritornano in patria
perché quei vantaggi relativi al costo del lavoro si sono ridotti, non sono più come nella prima
fase di globalizzazione, perché si punta sulla qualità e non sempre in paesi a basso costo del
lavoro si punta alla qualità.
Fenomeno colto recentemente anche dai media, è una strategia che si affianca alle altre.
Lo dimostra il fatto che una stessa impresa può fare delocalizzazione e Reshoring.
Es. Calzedonia: continua a delocalizzare, come in Etiopia per i prodotti che hanno fasce di
prezzo più basso, Tezenis, contemporaneamente ha riportato in Italia la produzione del
marchio Falconeri, che un tipo di produzione di fascia alta.
Una strategia non esclude l’altra.
Effetto ripresa, poi contrazioni però bene o male le esportazioni dei distretti industriali si sono
comunque riprese.
Le imprese distrettuali si sono dimostrate alla fine più dinamiche di altre imprese.
Chi si è salvato dalla crisi economica?
Si sono salvate imprese che si collocavano sui mercati internazionali; perché la domanda era
molto debole per anni.
Specializzazioni:
- Moda: abbigliamento, calzature, borse
- Casa: mobili, oggettistica, arredamento
- Meccanica leggera, o strumentale- ci sono distretti specializzati nelle apparecchiature che
oggi si usano nell’ambito della sanità.
Oggi si tende ad attribuire la definizione di distretto anche ad ambiti che non sono propri
dell’industria: qua di materiale non si produce nulla.
a- Turismo- distretti turistici
b- Cultura- distretti culturali; es. quelli che mettono assieme aree dei musei
Dovremmo fare qualche modifica al modello del distretto industriale; possiamo pensare alla
distrettualità in modo diverso ad esempio alla progettualità.
Quindi d turistici in cui le imprese della filiera turistica fanno progetti comuni, lavorano per certi
versi insieme- le possiamo forzatamente considerare un distretto.
Ci sono altre configurazioni nel mondo che possono richiamare il distretto industriale,
PORTER ha definito il concetto di CLUSTER.
Porter ha elaborato il concetto di catena del valore.
Alcuni usano il termine cluster e distretto come se fossero sinonimi.
Nella def di Porter ci sono elementi che diversificano i distretti dai cluster; e lo stesso Porter è
ambiguo perché nel momento in cui fa degli esempi mette insieme i nostri distretti industriali e
altre configurazioni che con i nostri distretti non c’entrano.
Cluster:
• “Concentrazione geografica di imprese, fornitori di beni e servizi specializzati e
istituzioni, fortemente interconnessi, che competono ma anche collaborano tra
loro in un particolare settore” ci sono molte caratteristiche del distretto industriale:
conc geog, vicinanza di imprese, competizione e collaborazione.
Anche nei distretti le imprese che fanno la stessa cosa sono in competizione e chi lavora nella
filiera collabora.
L’elemento della individuazione spaziale- non è molto chiara l’analisi di Porter, perché se
guardiamo gli esempi ci porta come es. il cluster del vino della California che è un’area che
non ha un confine spaziale ben definito, prende dentro tutto lo stato della California.
Porter suggerisce che la presenza del cluster non dipende dalla vicinanza spaziale delle
imprese ma dipende dall’estensione delle reti di relazione che si vengono a creare tra imprese
e istituzione—qua si rileva differenza fra distretti e cluster.
Le istituzioni per noi ci sono e non ci sono nei distretti industriali, però nei cluster sono
presenti; da noi non sempre le imprese hanno legami con le università- quindi Cluster
categoria più ampia.
Es. Wallstreet lo cita come cluster, ma per noi non è un distretto.
• Categoria più ampia rispetto al distretto industriale
• Confini meno definiti, prende forma a più scale geografiche
• Presenza fondamentale di istituzioni
Con circa 20 anni di ritardo, rispetto a quando sono emersi i distretti, vengono emanate delle
leggi con cui vengono dati dei criteri di individuazione dei distretti e vengono attribuite alle
regioni il ruolo di finanziatori per i progetti dei distretti.
- Legge 317 criteri di individuazione molto rigidi
- Legge 140
Queste due normative sono state superate dalla riforma costituzionale che ha creato anche
delle autonomie locali.
Il tema della ricerca scientifica… con questa riforma è diventata materia concorrente fra stato
e regioni.
Oggi abbiamo un doppio percorso, dei distretti industriali continua ad occuparsene lo stato con
la legge 180, con la quale da una def di distretto che assomiglia a quella di Becattini; poi
questo tema è tornato per quanto riguarda i finanziamenti.
Diventando concorrente anche le regioni oggi hanno piena autonomia legislativa per quanto
riguarda la definizione dei distretti industriali e il loro finanziamento; da una parte lo stato con
la sua legge e dall’altra parte una varietà di normative.
Il veneto dalla riforma costituzionale ad oggi ha gia fatto 3 leggi sui distretti industriali:
- N 8, 2003
- N 5, 2006
- N 13, 2014- attualmente in vigore
E attraverso questa legge il veneto ha dato dei criteri di individuazione dei distretti industriali e
ha stabilito dei progetti di intervento finanziabili, che si devono collocare nell’ambito di queste
linee, in questi ambiti:
• Ricerca e innovazione
• Internazionalizzazione
• Infrastrutture, non solo le infrastrutture di trasporto ma anche quelle digitali.
• Sviluppo sostenibile e salvaguardia ambientale
• Difesa dell’occupazione e sviluppo di nuova occupazione, es. sostegno a imprese che
vogliono fare reshoring.
• Sviluppo di imprenditoria innovativa e di nuova o rinnovata imprenditorialità, es. start up.
• Partecipazione a progetti promossi dall’Unione Europea, anche in materia di cluster
Ogni ulteriore iniziativa finalizzata al rafforzamento competitivo delle imprese
15 LEZIONE: 18.11
Parleremo del nostro caso studio, per replicare il modello di ciclo di sviluppo del distretto.
SPORT SISTEM DI MONTEBELLUNA.
Premessa: com’è organizzata la produzione di calzature nell’ambito del veneto e quanti
distretti ci sono?
È organizzata in 3 poli di produzione, due dei quali sono stati riconosciuti come distretti
industriali dalla legge regionale n13 del 2014;
- primo distretto: specializzato nello sport sistem;
- secondo distretto: quello della riviera del Brenta, a cavallo tra le provincie di Venezia e
Padova- specializzato nella produzione di calzature di qualità, scarpe da donna
prevalentemente, per fascia di mercato medio alta- trattano marchi del lusso.
- terzo distretto: quello Veronese, ha avuto una storia un po’ diversa rispetto agli altri
distretti, perchè con la delocalizzazione produttiva, si è notevolmente ridotto; storicamente
è considerato un distretto ma il numero di imprese che operano è molto contenuto- non è
arrivato a soddisfare quei parametri abbastanza rigidi che ha posto la regione del veneto
per i distretti quindi la produzione calzaturiera nel veronese si è molto ridimensionata-
oggi con la normativa non è stato riconosciuto.
Montebelluna e quello del Brenta, tutti e due producono lo stesso prodotto, ovvero sono nello
stesso settore calzaturiero ma in realtà è un prodotto diverso.
Dagli anni 50 leggiamo questa evoluzione facendo riferimento al nostro modellino, vediamo se
aderisce o meno al modello di carattere generale.
Nelle prime fasi però non parliamo ancora di distretto.
Per tutto l’800 parliamo di una fase di incubazione del distretto, in cui si forma questo
substrato di imprese e laboratori artigiane.
Come si formano questi distretti?
Questo è uno dei casi in cui il distretto prende forma da un preesistente tessuto artigianale; si
sviluppa prima questo tessuto di imprese artigiane, poi ad un certo punto si fa un salto di
scala- la produzione comincia ad essere organizzata in maniera industriale e da qui si passa
all’organizzazione di tipo distrettuale.
È una fase che dura diverso tempo a seconda dei distretti, in questo caso la fase di
incubazione dura un po’ per tutto l’800.
Partiamo dagli inizi 800 in cui abbiamo pochissimi laboratori, o botteghe di calzolai che
realizzavano un prodotto particolarmente robusto, resistente e rozzo, che era una scarpa da
lavoro- utilizzata dai montanari della zona limitrofa, circa 10; metà 800 abbiamo 55 laboratori,
e a inizio 900 i laboratori sono già a 200.
Per tutto l’800 la produzione mantiene un’organizzazione di tipo artigianale, e quindi non è in
grado di modificare ne la base economica dell’area che rimane rurale e neppure l’assetto del
territorio molti di questi calzolai erano contadini che svolgevano un doppio lavoro.
Se guardiamo il territorio di Montebelluna oggi non troviamo traccia di questa fase artigianale
perché quei laboratori di fatto sono poi stati assorbiti dallo sviluppo degli anni 60 in poi-
quando si sono sviluppate delle vere e proprie fabbriche.
Es. Alto vicentino: fabbrica Alta, 1862 che ha strutture che non sembrano dell’800- noi non
troviamo strutture di questo tipo se andiamo a vedere il territorio di Montebelluna, nel vicentino
c’è abbondanza di strutture di questo tipo.
Input che dall’esterno condizionano l’evoluzione del distretto; (avrebbero poco senso in altri
contesti- il modello del ciclo di vita ci da una struttura di carattere generale, poi una struttura la
si riempie con fenomeni e fatti delle nostre aree):
SECONDA FASE: Fatti determinanti di questo periodo
1- forniture ai comandi militari locali La pgm è stata anche per certi aspetti
un’occasione perduta; perché le imprese che avevano delle strutture di produzione ben
messe diventano fornitrici dell’esercito ma non a livello nazionale, vanno a servire i
comandi militari locali è un’occasione che sfruttano parzialmente, e grazie a queste
forniture locali realizzano una prima accumulazione di capitale e poi permetterà a
queste imprese di configurarsi definitivamente in senso industriale.
2- diffusione alpinismo e aumento domanda scarpe da roccia;
3- prima diffusione sport sciistico diventato disciplina olimpionica; si cominciano a
diffondere anche in Italia.
4- domanda statica; non traina il distretto, però nasce una prima domanda per prodotti di
questo tipo, le scarpe da roccia e per gli scarponi da sci per questa disciplina ancora a
livelli di elite.
Trasformazioni che prendono forma all’interno del distretto come elaborazione di questi input:
1- nascita aziende storiche del distretto
2- transizione al sistema di fabbrica
3- specializzazione SCARPE DA MONTAGNA
4- PRIMA DIVERSIFICAZIONE PRODUTTIVA: scarpone da sci monouso
5- Aumento gamma prodotti; vengono prodotte anche altre calzature sportive come scarpe
da pattinaggio, golf, calcio.
6- Impatto contenuto sulla base economica locale e sul territorio- vuol dire che la base
economica dell’area è ancora molto legata all’agricoltura e per quanto riguarda
l’industria, gli occupati lavorano prevalentemente nell’industria tessile che poi
comunque andrà via via sparendo- si verifica il fenomeno di sostituzione.
7- Banca locale- 1890 nasce questa banca, tra i soggetti locali che contribuiscono allo
sviluppo dei distretti ci sono anche le banche locali.
Nel 1890 nasce la banca di Montebelluna che poi ha avuto tutta una serie di
trasformazioni quindi ha cambiato nome più volte, e poi confluita in grandi gruppi
bancari poi ha perso questa sua caratteristica; ma nel momento in cui è nata era un
organismo a supporto dell’imprenditoria locale.
Dall’esterno anche in questo caso abbiamo una serie di eventi che fanno da input:
- Aumento domanda di attrezzature sciistiche, anche se non siamo ancora alla diffusione di
uno sport di massa
- Effetto trainante di importanti eventi sportivi, come la conquista del K2, o le olimpiadi di
Cortina anni 50, dove gli atleti indossano calzature prodotte nel distretto di Montebelluna.
Altri produttori che non avevano le risorse cos’hanno fatto? Si sono orientati verso altri tipi di
calzature sportive, che utilizzavano sempre plastica, ma che non richiedevano grossi
investimenti o tecnologie particolari- gamma scarpe sportive.
Altre imprese ancora si lanciano nella produzione di doposci, la plastica ha introdotto i
doposci, prima della plastica veniva realizzato con cuoio mentre dopo si diffondono i doposci
sintetici abbiamo l’impresa che fa da precursore “tecnica”, l’anno dopo della plastica
introduce il primo doposci sintetico il Moonboot-in omaggio alla conquista della luna da parte
dell’uomo.
Dopo TECNICA, molte imprese che non avevano risorse per sostenere gli investimenti che
comportava la produzione di scarponi da sci in plastica, si lanciano nella produzione di
doposci, comportava un’imprenditorialità di tipo imitativo- si forma una sorta di doppio circuito
che contrappone le imprese più innovative con quelle che sono le imprese di basso livello.
Sul finire degli anni 70, la domanda di dopo sci raggiunge la sua massima espansione; e nella
produzione di doposci era impiegata la metà delle famiglie che viveva nel distretto di
Montebelluna.
Dal pdv dell’organizzazione distrettuale siamo in una fase più complessa, è una fase che
definiamo:
- Modello organizzativo del “decentramento a cascata” organizzazione del lavoro
impegnata, non più su un rapporto committente-subfornitore, ma una organizzazione del
lavoro su più livelli l’impresa committente decentrava all’esterno alcune fasi del processo
produttivi e questi subfornitori a loro volta decentravano parte della produzione a
microimprese o a laboratori artigiani o a domicilio.
Lo sviluppo delle produzioni in plastica a sua volta determina lo:
- Sviluppo settori contigui e evoluzione verso il distretto plurispecializzato; nascono tutte le
imprese che lavorano queste materie plastiche, nascono imprese che realizzano ad
esempio gli stampi per gli scarponi, imprese che realizzano le fasi di stampaggio.
A differenza del periodo precedente che si richiedevano poche competenze ai subfornitori, ora
queste fasi sono altamente tecnologiche, sono richieste competenze tecniche che non c’erano
nella fase precedente.
Questi nuovi prodotti determinano una ulteriore complessità nell’organizzazione del distretto,
settori che lavorano per il distretto ma anche per l’esterno, per produttori che non sono solo
quelli distrettuali.
Si sviluppa il settore dei servizi, come il marketing o settori dei trasporti e logistica.
È questa la fase di MASSIMO SVILUPPO DEL DISTRETTO.
Aumenta il numero di imprese, gli occupati, la produzione e:
- Forte vocazione export Montebelluna si configura come uno dei principali produttori
mondiali per questo tipo di prodotto, e copre buona parte dell’export mondiale per gli
scarponi da sci.
Nel tutto il distretto rimane ancora autocontenuto, si amplia nel territorio però siamo ancora in
un vero e proprio distretto in cui questa divisione del lavoro rimane autocontenuta all’interno
dell’area non ci sono ancora quei fenomeni di delocalizzazione produttiva che allungano le
reti di produzione.
Questo periodo di crescita che riguarda il distretto ad un certo punto si interrompe- inizi anni
80- mentre altri distretti ancora crescevano fortemente, negli anni 80 questo distretto entra
nella fase di maturità.
Quindi:
- Fenomeni di saturazione del mercato
- Aumento costo delle materie prime e del lavoro
- Scarso innevamento, dagli anni 80 si susseguono inverni miti, scarso innevamento in
montagna, la neve non è più così scontata e questo cambia non solo l’assetto degli sport
invernali, ma cambia l’organizzazione turistica di tante aree della media montagna.
- Aumento competizione internazionaledovuta al fatto che altri produttori vanno a produrre
nei paesi a basso costo del lavoro, paesi asiatici che diventano poi dei competitor per
quanto riguarda i prodotti di Montebelluna.
La caratteristica di questo distretto è che mentre altri adottano una o qualcuna di queste
strategie, soprattutto la delocalizzazione produttiva, il nostro distretto le mette ina tto un po’
tutte- sono strategie di tipo difensive ma anche quelle di tipo offensivo come il continuo ricorso
all’innovazione.
- prime due crisi: 1980-82 e 1987
- delocalizzazione produttiva all’esterno si decentrano soprattutto quelle lavorazioni
industriali che sono a minore valore aggiunto: suolette, lacci… sono comunque ad alta
intensità del lavoro, quindi il costo del lavoro incide parecchio.
Chi decentra non sono solo grandi imprese con marchio, ma decentrano anche parecchie
medie-piccole imprese; si delocalizzano anche alcuni subfornitori che seguono la strada dei
committenti. Dove delocalizzano le imprese di Montebelluna? Un po’ dappertutto, Cina e sud-
est asiatico; Romania; Marocco, Tunisia e qualcuno si spinge anche in sud America.
produttiva e nasce con questo brevetto della scarpa che respira- enorme successo e lancerà
una serie di fenomeni di carattere imitativo.
- diversificazione produttiva in settori contigui uno dei settori che oggi contribuisce al
fatturato del distretto è quello dell’abbigliamento sportivo.
- entrata multinazionali, processi di concentrazione aziendale; molte piccole imprese
vengono assorbite da imprese più grandi.
Imprese stesse di Montebelluna creano alleanze.
Entrano quindi le multinazionali ma non solo con processi di fusione e acquisizione, ma molte
multinazionali di calzature vanno a localizzare a Mb dei centri di sviluppo, nonostante la
delocalizzazione produttiva si riconosceva che nel distretto rimaneva un nucleo di competenze
e conoscenze di cui anche altre imprese potevano avvantaggiarsi.
Via via scendiamo anche qui; c’è anche una dinamica negativa per quanto riguarda il numero
degli addetti.
300 309
300
286 281 280
270
250 256
200
150
100
50
0
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013
Passiamo dalle 309 imprese del 2007 alle 256 del 2013.
ADDETTI:
5200
5137
5052
5000
4908
4861
4800
4763
4678
4600
4476
4400
4200
4000
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013
Balzi e riduzioni.
Di produzione ne è rimasta nel distretto, non solo progettazione, vengono definite l’alto di
gamma fascia di mercato medio alto, con prezzo importante e di conseguenza si richiede la
lavorazione in Italia.
Anche qui fenomeni di reshoring, sempre legate allo sviluppo di alta gamma.
Diadora- fa parte di Geox, ha riportato una scarpa che richiede un lavoro di qualità.
Il distretto e LA NORMATIVA:
questo distretto è stato riconosciuto da tutte e 3 le normative che ha promulgato il Veneto, in
tema di distretti.
La legge 13- mette dei parametri di quantità abbastanza rigidi ma questo distretto li soddisfa.
Per i progetti:
UNINT segue i progetti, è un consorzio per le integrazioni fra imprese; cerca di favorire la
collaborazione delle imprese su progetti comuni, di cui fanno parte delle confindustrie.
Montebelluna oggi si è orientato con i suoi progetti verso la ricerca di innovazione di prodotti e
processi produttivi, in particolare riguardanti la quarta rivoluzione industriale.
Altri progetti:
Oppure ricerca e innovazione per quanto riguarda la sostenibilità ambientale.
Internazionalizzazione- quindi andare all’esterno;
formazione del capitale umano perché le competenze per le tecnologie di ultima generazione
ce ne sono ancora poche.
Foto del museo dello scarpone e calzatura sportiva che si trova a Montebelluna.
16 LEZIONE, 19.11
LA LIBERALIZZAZIONE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE E IL RUOLO
DELLA WTO
Parliamo di POLITICHE DI LIBERALIZZAZIONE, che completano ciò che diciamo riguardo
alla formazione di reti di divisione del lavoro, che non sarebbero possibili senza traporti e ne
senza le politiche di liberalizzazione.
C’è anche il sospetto che in alcune situazioni di queste barriere non tariffarie si giochi un po’
per fare del protezionismo.
Oggi sono diventate quasi più importanti quelle non tariffarie, rispetto alle tariffarie; la maggior
parte dell’azione della WTO oggi è focalizzata sul contenimento di barriere non tariffarie,
mentre invece nel secondo dopo guerra riguardavano soprattutto le barriere tariffarie.
Parliamo degli anni che precedono la conclusione della seconda guerra mondiale.
Ci da modo di parlare di una serie di organizzazioni che nascono in questo periodo e sono
considerate insieme alla WTO, le organizzazioni mondiali che governano la globalizzazione-
regolano il sistema economico globale.
Queste 3 organizzazioni sono chiamate gli organismi di BRETTON WOODS:
- Fondo monetario internazionale
- Banca mondiale
- International trade Organization—ha avuto un percorso travagliato ed è l’antenata della
WTO.
Perché organismi di Bretton Woods? Perché sono stati ideati proprio nell’ambito della
conferenza di Breeton Woods 1944 dagli Usa in questa località americana in cui si doveva
discutere di quello che sarebbe stato l’ordine economico mondiale al termine della seconda
guerra mondiale.
È una conferenza a cui parteciparono i delegati di 45 paesi, tra quelle che allora erano le
potenze del pianeta; tra questi 45 non rientravano la Germania e i suoi alleati perché il conflitto
era ancora in corso.
Quando il sistema della Breeton woods prenderà piede, includerà tutti i principali paesi più
importanti, e quindi anche quelli che sono usciti sconfitti dalla 2gm.
Cosa volevano ottenere gli Usa con questa conferenza? Volevano evitare, a fine della 2gm, di
ricadere nella situazione di protezionismo commerciale che aveva caratterizzato il periodo tra i
due conflitti mondiali; in particolare il periodo successivo alla crisi del 1929.
Cos’era successo?
Dopo la crisi le politiche commerciali che sono state messe in atto dai diversi paesi,
prevedevano la combinazione di protezionismo-aumento dei dazi per proteggere la propria
industria e per convogliare la domanda interna e contemporaneamente delle politiche di
svalutazione monetaria per sostenere le proprie esportazioni.
Chiaramente se tutti adottavano politiche simili, non c’era efficacia e il risultato: CROLLO DEL
COMMERCIO INTERNAZIONALE, nell’arco di pochi anni. Si voleva evitare di tornare in
questa situazione.
Gli Usa con questa conferenza di Breeton Woods volevano porre le basi per un nuovo ordine
mondiale che favorisse non solo la ricostruzione ma anche la crescita di tutti i paesi dopo la
Nell’ambito degli organismi del fondo, le decisioni vengono prese con maggioranze qualificate,
quindi maggioranze che richiedono l’approvazione dei 2/3 o 3/4 dei paesi membri, chiaro è
che i paesi che hanno più potere di voto, nel momento che si mettono insieme, vanno a
condizionare le decisioni es. USA, GIAPPONE, GERMANIA, FRANCIA, REGNO UNITO.
È anche per questo che si dice che il fondo non è un organismo democratico perché non vige
il criterio del voto di maggioranza, ma è il criterio del voto ponderato.
I prestiti del fondo sono condizionati a rispetto di determinate prescrizioni che arrivano dal
fondo stesso, che sono chiamati piani di aggiustamento strutturale, un paese per avere i
finanziamenti del fondo deve genericamente risanare la sua economia e spesso il risanamento
dell’economia passa attraverso misure di contenimento della spesa pubblica che va poi a
colpire i soliti settori: sanità, istruzione e quindi poi va a colpire i servizi di cui usufruisce la
popolazione. Anche per questo il fondo è stato molto criticato perché nel tempo, molti paesi
che hanno fatto ricorso al fondo hanno aumentato il proprio debito e in più hanno dovuto
mettere in atto le politiche di contenimento della spesa pubblica che sono andate poi a
svantaggio della popolazione.
Ai prestiti del fondo sono ricorsi un po’ tutti i paesi, non solo quelli in via di sviluppo o paesi del
sud del mondo, anche molti paesi europei: come paesi dell’ex blocco sovietico quando sono
passati all’economia di mercato; oppure Grecia, Spagna, Portogallo dopo l’ultima crisi
economica.
Dalla metà degli anni 90 i suoi obbiettivi si sono riorientati sulla riduzione della povertà e la
lotta alla corruzione nei paesi in via di sviluppo.
La funzione principale della banca mondiale è quella di combattere la povertà attraverso
finanziamenti di progetti e la lotta alla corruzione nel sud del mondo.
Non parliamo più di mega progetti ma sono soprattutto progetti di sviluppo locale o di piccola
scala vanno a sostenere direttamente territori o le comunità locale; es: progetti per facilitare
l’accesso all’acqua potabile o alle risorse dove non è possibile, progetti sull’educazione.
Rispetto al fondo, questo organismo è già più democratico, infatti abbiamo una quota di diritti
di voto che è uguale per tutti i paesi, poi però ulteriori diritti di voto vengono attribuiti sempre in
relazioni ai contributi che i paesi versano alla banca mondiale, quindi anche in questo caso i
contributi sono sempre rapportati all’importanza economica dei paesi.
Il GATT nel corso del tempo si è evoluto attraverso 8 negoziati, chiamati ROUNDS, uno dei
quali si è aperto nel 1986- URUGUAY ROUND è importante perché è quello che poi ha
portato alla WTO; quindi nell’ambito degli altri negoziati sono state ridotte le tariffe doganali, e’
aumentato il numero di partecipanti al GATT, da 23 nel 1947 arriviamo a oltre 100 alle soglie
dell’Uruguay round, che doveva durare pochi anni ma in realtà è terminato nel 1994 con
l’istituzione della Wto- che entra in funzione il primo gennaio 1995.
Si è sentita l’esigenza di tornare a quello che era l’obbiettivo iniziale, di creare una vera e
propria organizzazione e non solo un accordo, e che avesse anche competenze ulteriori
rispetto al GATT, in un quadro del comm int che era profondamente mutato rispetto agli anni
successivi alla 2gm; la situazione al 1947 non era più quella della metà degli anni 80.
Poss domanda: differenza GATT E WTO?
La WTO, è una organizzazione, istituzione che ha una propria sede a Ginevra, un budget 130
milione di euro, uno staff, e ha molte più funzioni rispetto al GATT:
ad es- la Wto si occupa del commercio dei servizi, cosa che non faceva il Gatt, e si occupa
anche della proprietà dei diritti di proprietà intellettuale.
La Wto ha al proprio interno una sorta di tribunale per risolvere le controversie fra i paesi, che
sorgono in merito a diverse interpretazioni o violazioni di quelli che sono gli accordi che i paesi
vanno a sottoscrivere.
La Wto è molto più grande per quanto riguarda i paesi aderenti rispetto al Gatt—al 2016 i
paesi membri erano 164, accanto a questi ci sono paesi osservatori e sono quelli che hanno
fatto richiesta di aderire alla Wto ma al momento sono in attesa che venga deciso dagli altri
paesi il loro ingresso (partecipano alle riunioni generali ma senza diritto di voto); ci sono poi
dei paesi che sono completamente al di fuori dello schema WTO, al momento non hanno fatto
domanda di ingresso, per varie ragioni.
Quello che noi chiamiamo LIBERO COMMERCIO, in realtà più del 97% del commercio
mondiale si svolge sotto il controllo della WTO, rispettando quelli che sono una serie di accordi
che vengono presi dai diversi paesi.
Succede che in sede di decisione non si arriva a discutere della decisione stessa ma si
arriva già con una decisione, un progetto che è già stato quasi deciso da parte di alcuni
paesi membri che si trovano prima della decisione finale.
- Principio di NON DESCRIMINAZIONE: ovvero i paesi non possono discriminare tra i loro
partner commerciali e tra prodotti simili di diversa provenienza, nazionali e stranieri.
Questo principio ha una specificazione in quella che viene chiamata la clausola DELLA
NAZIONE PIU’ FAVORITA- ciascun paese ha l’obbligo di estendere a tutti gli altri membri
della Wto le migliori condizioni che concede ad uno di essi ciò vuol dire che se un paese
nell’ambito di un accordo bilaterale, concede una riduzione tariffaria ad un altro paese, in
ragione di questa clausola questa riduzione tariffaria diventa automaticamente
multilaterale, viene estesa a tutti gli altri paesi.
Problema dei prodotti simili: i prodotti che sono considerati simili, nel momento in cui
entrano nel territorio nazionale, una volta che hanno pagato il dazio sono considerati dei
prodotti nazionali senza alcuna differenziazione. (caso super alcolici)
b. General agreement on trade in services- GATS: si occupa del commercio dei servizi
- Vantaggi per i consumatori in termini di prezzi dei prodotti e standard di vita- i prezzi che
noi paghiamo per beni e servizi sono condizionati dalle politiche commerciali, quindi se si
abbassano le barriere si riducono anche i costi di produzione, e di conseguenza tutto si
riflette sui beni e servizi.
Contro:
- Limiti del processo decisionale (meccanismo del consensus) - il fatto che non soltanto
questi negoziati diventino molto lunghi, ma anche il fatto che in realtà si può manifestare
opposizione ad una determinata decisione solo se i paesi sono presenti alla riunione
stessa e questo non è scontato per quei paesi che non hanno una rappresentanza
diplomatica a Ginevra.
- Scarso peso dei Paesi poveri nei processi decisionali: è vero fino ad un certo punto perché
ci sono state delle situazioni in cui i paesi poveri sono riusciti a fare massa critica e hanno
bloccato delle decisioni che non erano vantaggiose per loro.
- Rapporti con la società civile- a volte ci si chiede che peso hanno i cittadini nei confronti
delle decisioni che vengono prese all’interno di queste organizzazioni. Non è solo problema
della Wto ma di un po’ tutte le organizzazioni.
- Problemi relativi alla qualità dei prodotti: l’azione di riduzione delle barriere non tariffarie
che porta in campo la Wto potrebbe portare problemi relativi alla qualità di prodotti.
L’azione della Wto può andare a svantaggio dei paesi che hanno prodotti di quantità
elevata e li vogliono mantenere in queste posizioni.
Il regionalismo è dettato anche da motivazioni di carattere politico, per cui è opportuno che vi
siano queste eccezioni ai principi della WTO, ci sono molte motivazioni di ordine politico che
portano alla costituzione degli accordi regionali stessi e uno di questi lo abbiamo richiamato
parlando della WTO- ovvero paesi che cercano l’integrazione su piano commerciale per
aumentare il livello di sicurezza sul piano politico e militare è stato cosi anche quando è nata
la Comunità Economica Europea.
Cercare di limitare dal punto di vista commerciale e dal pdv degli interessi economici, quelli
che negli anni 50 erano stati dei paesi nemici, paesi che si erano scontrati in due guerre
mondiali, e questo è stato un obiettivo che è anche riuscito.
Ancora grazie al fatto che sono abituati a collaborare, alcuni paesi riescono poi a fare massa
critica nell’ambito delle relazioni economiche internazionali- riescono ad acquisire una
capacità di pressione che li porta poi a non accettare certe decisioni che sono prese in senso
multilaterale e questo avviene ad esempio per i paesi poveri.
Il regionalismo viene ad essere anche una risposta alla lunghezza dei negoziati che vengono
conclusi in sede di Wto, questi accordi regionali racchiudono un numero molto più limitato di
paesi quindi è più facile arrivare ad un accordo e metterlo in atto.
Di accordi regionali ce ne sono tantissimi, esistevano anche prima della WTO, però il loro
numero è continuato ad aumentare in maniera molto netta ed esponenziale, fino a che
arriviamo ad una situazione di stallo negli ultimi anni, sono più di 300 ed è difficile crearne
ancora.
Essendo cosi tanti come li classifichiamo?
Si classificano secondo due criteri:
1- In base al grado di integrazione economica tra i paesi che costituiscono l’accordo
andiamo da una bassa integrazione che caratterizza LE AREE DI LIBERO SCAMBIO,
livello di integrazione più basso, fino al massimo dell’integrazione che è quello delle unioni
economiche. Le aree di libero scambio eliminano le barriere doganali al loro interno (tipica
area di libero scambio IL NAFTA-maquiladoras)
una prima fase una unione doganale, ha eliminato le barriere doganali interne e da
un'unica tariffa esterna comune nei confronti dei paesi esterni)
Altro criterio che può essere portato in campo: CRITERIO DEL LIVELLO DI SVILUPPO DEI
PAESI ADERENTI ALL’ACCORDO- questi accordi regionali si possono classificare anche in
base al livello di sviluppo dei paesi che ne fanno parte e alle caratteristiche del loro sistema
economico e produttivo; in questo caso distinguiamo:
REGIONALISMO ORIZZONTALE: accordi nord nord, accordi sud sud cioè accordi
che raggruppano paesi che sono allo stesso livello di sviluppo economico, es. paesi del
nord del mondo, o paesi del sud del mondo. Anni 60-70 del 1900.
In questa prima fase si guardava soprattutto alla riduzione o abolizione delle politiche tariffarie.
In una seconda fase, dagli anni 90 ad oggi, al regionalismo orizzontale si è affiancato anche
un:
REGIONALISMO VERTICALE: accordi che riuniscono paesi che si trovano a diverso
livello di sviluppo economico- accordi nord-sud.
I vantaggi che vengono concessi all’interno degli accordi regionali riguardano anche le
barriere non tariffarie e riguardano anche non più solo gli scambi di beni ma anche
scambi di servizi.
17 LEZIONE: 24.11
Arriviamo a delineare alcuni di quelli che sono gli scenari dell’ultima fase della globalizzazione-
questa.
Nelle prime lezioni abbiamo lasciato in sospeso una domanda: Siamo in presenza di una
deglobalizzazione dell’economia? O di un rallentamento della globalizzazione?
In effetti se guardiamo alla situazione del commercio internazionale, abbiamo visto che negli
ultimi anni sono emerse delle tendenze che vanno in direzione opposta rispetto a quel
processo di multilateralismo che si è aperto con il secondo dopo guerra, e che vanno un po’ in
controtendenza anche al rispetto al processo stesso di globalizzazione, di cui la
liberalizzazione commerciale è una delle caratteristiche principali.
Sono emersi dei segnali di neo-protezionismo, che sono riconducibili alla politica commerciale
degli USA durante la presidenza TRUMP.
Nei primi due anni del suo mandato, l’ex presidente, con il suo slogan “AMERICA FIRST” ha
messo in discussione un po’ tutti gli accordi commerciali che già erano esistenti e che si
stavano delineando in quel periodo, e ha messo in discussione anche il sistema stesso della
Wto e quello che è anche il meccanismo di risoluzione delle dispute.
Da marzo 2018, si è registrato una sorta di escalation in questo atteggiamento perché siamo
passati ad una serie di dazi, effettivi e minacciati, che gli USA hanno posto sulle importazioni,
della Cina in primo luogo, e anche da paesi europei si parte dal 2018 e si arriva ai primi
mesi del 2020 fino a che non si è registrata una tregua.
In questa idea di imporre dei dazi c’è anche il tentativo di strappare delle concessioni agli altri
paesi, soprattutto alla Cina, in modo tale da aumentare le esportazioni degli USA.
Perché uno dei problemi principali degli stati uniti è IL DEFICIT DELLA BILANCIA
COMMERCIALE STATUNITENSE, quindi importano più di quello che esportano.
Non solo nei confronti della Cina ma anche nei confronti di altri paesi esportatori come la
Germania.
Infine c’è un ultimo obbiettivo quello di cercare di contrastare la Cina, fermare la Cina e la
sua ascesa come superpotenza economica e mondiale, soprattutto sul piano dell’innovazione-
l’amministrazione americana si è allarmata per il piano di sviluppo strategico chiamato MADE
IN CHINA 2025, che il governo di Pechino ha lanciato tre anni fa per entrare in una serie di
settori strategici dell’alta tecnologia, quindi un piano che vuole lanciare la Cina anche
nell’ambito di questi settori strategici, e poi un altro piano: ARTIFICIAL INTELLIGENCE 2030,
con cui la Cina vuole entrare in questa grande innovazione dell’intelligenza artificiale.
Oltre a questi due, ci sono anche gli investimenti in infrastrutture nella nuova via della seta,
c’è un insieme di progetti da parte della Cina che risalgono a questi ultimi anni e si proiettano
negli anni a venire, che preoccupano il governo americano e non solo, un po’ tutti-perché la
Cina vuole imporsi come nuova superpotenza economica e politica.
La possibilità di andare a intervenire in questa via della seta costituisce un’attrazione per i
paesi europei perché vedono la Cina come un mercato per l’espansione dei propri prodotti.
Sono state fatte poi altre azioni, come quella di inserire aziende cinesi come il caso di
HUAWEI in una sorta di lista nera, chiamata ENTITY LIST e che impedisce alle imprese
americane di collaborare con quelle inserite nell’elenco, sempre nell’idea di tutelare la
sicurezza nazionale in realtà dietro le azioni di questo marchio cinese c’è il problema delle
tecnologie di quinta generazione, di cui HUAWEI è leader di queste tecnologie.
Trump poi se l’è presa di nuovo con la WTO e contro la WTO di fatto ha impedito il rinnovo dei
giudici del tribunale dove vengono discusse e risolte le controversie in tema di commercio
internazionale, in particolare il tribunale di secondo grado, ha impedito la rielezione dei due
giudici che sono usciti da questo tribunale, quindi il numero degli arbitri si è ridotto da 7 a 5,
quindi non sufficiente per risolvere tutte queste cause e ha costretto la WTO d’accordo con
L’ue e altri paesi a trovare un accordo provvisorio che prevedesse un insieme di arbitri
alternativi a questo organismo e che potesse continuare a far funzionare il tribunale della
WTO.
La WTO è accusata dagli USA di essere morbida nei confronti della Cina, in particolare di non
tutelare gli USA e i PAESI OCCIDENTALI da quelli che sono comportamenti opportunistici
nell’ambito della tutela dei diritti di proprietà intellettuale.
Al di la dei metodi, ci sono dei problemi reali che riguardano il comportamento della Cina
anche dopo che è entrata nella WTO.
Tutte queste sanzioni hanno prodotto una sorta di guerra commerciale, hanno prodotto una
serie di contromisure anche la Cina ha messo dei dazi AD VALOREM, per un valore
stabilito in sede di WTO, per contrastare l’azione degli stati uniti.
La guerra commerciale con l’unione europea ha delle motivazioni diverse: è la conseguenza di
una disputa commerciale annosa, perchè risale al 2004- tra gli USA e l’unione europea e
riguarda l’industria aerospaziale che è monopolizzata da due grandi produttori:
1- BOEING- americana
2- AIRBUSS -consorzio europeo di cui fanno parte REGNO UNITO, FRANCIA,
GERMANIA E SPAGNA- noi Ita non ne facciamo parte perché non abbiamo impianti
dell’Airbus in Italia però ne produciamo comunque delle componenti.
È una questione partita nel 2004, quando gli USA hanno accusato l’UE di aiutare il consorzio
AIRBUS attraverso gli aiuti DI STATO, di finanziare il proprio operatore contravvenendo agli
accordi fissati in sede WTO che vietano di ricorrere agli aiuti di stato.
Cos’è successo?
L’unione europea a sua volta si è poi rivolta al tribunale della WTO dicendo che anche gli USA
finanziano la BOEING, non solo con sussidi ma anche con finanziamenti alla ricerca
scientifica.
Quindi è una tutta una questione di ricorsi che è terminata in questi ultimi anni- terminata con
un primo verdetto nel 2019 a favore degli stati uniti, quindi la WTO ha autorizzato gli stati uniti
a imporre dei dazi ai prodotti europei per 7,5 miliardi- ha autorizzato 7,5 miliardi di sanzioni
sottoforma di dazi.
Gli stati uniti hanno messo in atto questi dazi che andavano a colpire non solo il settore che è
oggetto di contesa, quello dell’aerospazio, ma anche su altri settori: prodotti dell’alimentare,
prodotti del lusso- quelle che sono le esportazioni di molti paesi nei confronti degli stati uniti.
A partire dal 10 novembre, l’unione europea ha attuato 4 miliardi di dazi dopo l’autorizzazione
della WTO che colpivano prodotti americani dell’agroindustria e prodotti industriali.
Questo sistema quindi danneggia tutti quanti, e poi la maggior parte del commercio
internazionale avviene tra imprese che scambiano beni intermedi/componenti e in cui questi
prodotti stessi passano più volte le frontiere, quindi non è una soluzione conveniente.
è una ragione che ci fa pensare ad una possibile contrazione del fenomeno della
globalizzazione, politiche commerciali di questo tipo scoraggiano la libera circolazione dei
prodotti e componenti.
Ad aprire ulteriori scenari è intervenuta la pandemia da covid-19, che oltre ai costi umani, ha
avuto un impatto economico importante, tutte le misure di contenimento della diffusione de
virus che sono state messe in atto da tutti i paesi hanno prodotto una contrazione dell’attività
economica a livello globale, di cui noi vediamo gli effetti sul commercio internazionale, quindi
sulle relazioni orizzontali ma poi queste conseguenze hanno un effetto MULTISCALARE- si
riproducono a più scale anche quelle locali, e vanno a colpire l’economia di specifici territori.
Es. la crisi del commercio.
Le stime della WTO, riguardo il commercio internazionale, su quello che sarà l’impatto della
crisi da coronavirus cambiamo continuamente, l’ultimo report della WTO che risale ai primi di
ottobre stima per il 2020 una caduta degli scambi globali del 9,2%.
È un’ipotesi meno pessimistica rispetto ad una stima fatta ad aprile del 12,9% una stima
fatta perchè nei mesi estivi le misure del lockdown sono state meno impattanti e quindi di
pensava ad un miglioramento della situazione; in realtà le stime fatte ad ottobre non tengono
conto delle nuove chiusure, ovvero la seconda ondata del virus in cui siamo ancora in mezzo.
Tutte le stime che si possono fare, cambiano continuamente perché è lo scenario che cambia,
e nel momento in cui vengono messe le misure più restrittive i flussi rallentano.
Al di la delle stime, i dati reali fino a giugno 2020 che riguardano GLI SCAMBI NEL LORO
COMPLESSO mettono in evidenza una caduta verticale degli scambi, per tutti e tre i poli
della triade ma soprattutto per unione europea e nord America, un po’ meno per l’Asia.
Dopo un continuo periodo di crescita degli anni precedenti, adesso siamo in presenza di una
caduta verticale.
Se andiamo a vedere i SINGOLI SETTORI, sono stati colpiti in maniera diversa uno dei
settori più colpiti, nella prima fase, è stato il settore dell’automobilistica -70% per quanto
riguarda gli scambi, e questo rallentamento è dovuto sia al fatto che si sono interrotte molte
supply chain con le misure restrittive, queste catene dell’auto distribuite tra più paesi, ma
anche perché è diminuita la domanda da parte dei consumatori.
Colpito poi anche il settore dei servizi, turismo, chiaramente le limitazioni ai viaggi e uso dei
trasporti hanno avuto una ripercussione su questo settore e su tutto ciò che è correlato come il
trasporto aereo.
Crollo del traffico aereo in Europa, concentrato nei mesi centrali della prima fase della
pandemia- impatto molto forte.
Oggi le compagnie aree sono un po’ tutte in crisi, è dovuto intervenire lo stato nel salvataggio,
situazione estremamente drammatica.
Hanno registrato un aumento il settore dell’alimentare, il settore dei dispositivi tecnologici
dovuto al fatto che molte aziende lavorano a distanza, il settore dei prodotti farmaceutici
perché i paesi cercavano di assicurarsi i prodotti essenziali dai fornitori stranieri, e i dispositivi
di protezione personale (mascherine- aumento degli scambi 92%).
Questa situazione crea un clima di sfiducia nei mercati che va a riflettere sugli investimenti, c’è
una FASE DI RALLENTAMENTO, dovuta a un evento che è stato del tutto imprevisto di cui
non sappiamo ancora valutare la portata e la durata.
L’annuncio di un vaccino fa salire la borsa, è tutta una reazione in base alle aspettative.
Altro elemento che la pandemia da covid-19 ha messo in evidenza: un altro timore che si è
prodotto in questi ultimi mesi: il fatto che forse le economie sono troppo interdipendenti oggi e
proprio questa frammentazione geografica della produzione, e quindi il fatto che abbiamo
delegato intere produzioni ad altri paesi ci possa rendere dipendenti nei momenti di
emergenza.
Es. con le mascherine, bassa tecnologia e prodotte a basso costo, vengono importati dalla
Cina e questo ha creato grossi problemi di approvvigionamento nella fase iniziale di
emergenza.
Es. farmaci, prodotti qua, ma il principio attivo per il 60-70 % viene prodotto all’estero e quindi
indubbiamente la pandemia ha messo in luce alcuni aspetti problematici delle nostre reti di
produzione.
In una delle prime lezioni abbiamo detto che il commercio internazionale e un po’ tutti i
processi dipendono da quelle che sono le traiettorie tecnologiche, da innovazioni radicali che
intervengono nello scenario tecnologico quindi dovremmo andare a delineare qualche
scenario in relazione a quello che sta emergendo in questi anni e che potrebbe risolversi in un
rallentamento del processo di globalizzazione.
Questa definizione riassume i termini del fenomeno, non c’è nulla di pianificato in questa
strategia anche se ci sono degli incentivi che possono stimolarla; possiamo riportare in patria
tutta la produzione, precedentemente delocalizzata di attività svolte all’estero, o parte di
questa produzione.
Attività che precedentemente potevano essere delocalizzate attraverso la forma dell’IDE,
andare a costituire una filiale all’estero con cui realizzare queste lavorazioni, oppure attraverso
contratti di subfornitura.
Allo stesso modo quando la produzione si riporta in patria può seguire queste due modalità,
ovvero può essere l’impresa che fa rientrare la produzione al proprio interno- produzione
INTERNALIZZATA, oppure affidata ad un subfornitore però del contesto locale o nazionale,
affinchè vi sia reshoring bisogna che ci sia stata delocalizzazione.
IL RESHORING non va confuso con le operazioni di DISINVESTIMENTO che le imprese
fanno all’estero.
Di questo fenomeno se ne sono accorti prima gli stati uniti, con questi Casi: Apple, Ford,
General Electric, Caterpillar, Walmart(ha fatto reshoring perché si forniva di molti fornitori
stranieri, anche cinesi, e quindi si è impegnata a utilizzare una quota di fornitori americani per
favorire le imprese nazionali) ….
3- Effetto “made in”, qualità, immagine è richiamato soprattutto dalle imprese italiane del
sistema moda che hanno riportato in patria le produzioni. È relativo alla qualità dei prodotti;
6- Le innovazioni legate all’Industria 4.0 nesso tra reshoring e industria 4.0 che potrebbe
rafforzarsi con la diffusione delle tecnologie che portano aumento della produttiva e
risparmio nel costo del lavoro perché sono tecnologie che spingono verso una forte
automazione.
prodotto all’interno poche cose. Questo prodotto non ha avuto successo perhcè non andava a
cogliere la fascia di clienti di benetton. Produzioni ritornate in Romania.
Calzedonia: fa contemporaneamente delocalizzazione produttiva, e contemporaneamente per
Falconeri, suo marchio, fa reshoring.
Aveva un impianto in Etiopia che ora ha chiuso per causa guerra.
IL CAMBIAMENTO TECNOLOGICO :
Oggi si dice che siamo nel pieno di una nuova rivoluzione industriale, o industria 4.0 cosa
intendiamo?
Ci riferiamo ad una serie di tecnologie e nuove modalità di organizzazione di produzione di
beni e servizi che fanno leva sulla integrazione delle tecnologie digitali e di internet con la
manifattura tradizionale; le opportunità che derivano da questo nuovo paradigma sono ritenute
talmente importanti da essere paragonate a quelle generate dall’adozione di macchine
alimentate dal vapore (prima riv), o dall’introduzione dell’energia elettrica che ha portato alla
produzione di massa e catena di montaggio (seconda riv); la terza riv dalle tecnologie della
elettronica, dai pc e da internet che hanno portato ad una automazione della produzione
quindi ogni rivoluzione parte da delle innovazioni radicali, quindi delle tecnologie che hanno
cambiato i modi di produzione e hanno innescato dei processi di sviluppo economico.
La quarta, quella in cui siamo dentro, sarebbe la fase più recente della rivoluzione informatica
e rivoluzione più recente di internet, indotta da un’ultima ondata di innovazioni tecnologiche:
come sensori, e intelligenza artificiale.
Espressione 4.0 è comparsa per la prima volta nel 2011 ad una fiera in Germania.
L’anno successivo un gruppo di ingegneri tedeschi ha presentato al governo federale una
sorta di indicazioni per la digitalizzazione per il sistema manufatturiero si chiedeva al
governo federale di sostenere questo progetto con delle politiche, ed è stato fatto.
Poi nel giro di qualche anno è diventato un tema diffuso, e anche il governo italiano ha
realizzato dei piani per il sostegno.
Nel contesto americano si parla anche di smart factory- fabbrica intelligente, sono delle
diverse dizioni dello stesso fenomeno.
Anche industria 4.0 passa attraverso una serie di tecnologie che sono chiamate le tecnologie
abilitanti.
La barilla ha provato a produrre della pasta in 3D, e arriviamo fino a stampanti gigantesche
che hanno un enorme estrusore- la punta da cui escono i materiali x l’edilizia che riescono
addirittura a realizzare degli edifici- ma al momento sono ancora dei prototipi.
18 LEZIONE- ED ULTIMA:
I nostri territori sono prevalentemente di piccola impresa e quindi quale sarà l’esito di queste
tecnologie su queste imprese?
Per quanto riguarda l’esito di tecnologie impegnative e costose, al momento non sono attesi
grandi cambiamenti, certamente ci sono delle piccole imprese che sono altamente
tecnologiche e che riescono a sfruttare a pieno i vantaggi della 4 rivoluzione industriale; però
ci riferiamo soprattutto a quel tessuto di imprese tradizionali che hanno meno risorse a
disposizione, in particolare le imprese artigiane.
Succede sempre in queste fasi di transizione che ci siano delle ipotesi estreme e
pessimistiche, e succede anche in questo caso.
Ci sono degli autori che ipotizzano che questa ondata di innovazioni tecnologiche, in
particolare l’automazione nella produzione industriale, porterà a una nuova fase di
deindustrializzazione, che si aggiunge a fasi già vissute nel mondo occidentale come: la
transizione dal fordismo al post fordismo, la delocalizzazione produttiva, e infine la crisi
economica. (c’era chi ipotizzava la fine della città nelle fasi precedenti)
Quando parliamo di deindustrializzazione intendiamo che ci sia una caduta dei posti di lavoro
dell’industria.
Questa tesi portata all’estremo da alcuni autori, andrebbe a configurare una “morte” della
manifattura.
Anche il discorso della riduzione dei posti di lavoro portato dalle nuove tecnologie,
sicuramente è importante cambiano le caratteristiche del lavoro, molti posti vengono distrutti
ma ne vengono comunque creati di nuovi.
Alcuni autori sostengono che queste nuove tecnologie diano un impulso al RESHORING,
precedentemente delocalizzate, e questo sempre spinto all’estremo potrebbe portare ad una
contrazione delle GRANDI CATENE DEL VALORE.
E ritorniamo alla domanda, è in atto un processo di deglobalizzazione?
Una contrazione delle catene del valore la possiamo già osservare per diverse ragioni, anche
perché le imprese trovano difficile controllare queste grandi catene del valore però al momento
non ci sono segnali di una vera e propria inversione di tendenza; sono sempre tendenze che
si affiancano a quelle già esistenti.
(certamente tecnologie che portano un risparmio al costo del lavoro potrebbero incentivare
questo fenomeno).
Altra domanda che ci si chiede: è se queste nuove produzioni siano più sostenibili rispetto alla
produzione tradizionale?
Tecnicamente si perché nella stampa 3D non c’è spreco di materiale, ci sono pochissimi scarti
di lavorazione perché utilizziamo solo la materia prima che ci serve.
Molte delle plastiche che si utilizzano nella stampa in 3D sono riciclabili, non all’infinito ma per
un certo numero di passaggi.
Se noi abbiamo delle tecnologie che riescono a controllare in maniera efficiente tutto il ciclo
produttivo, questo comporta poi anche un’efficienza dal punto di vista energetico; in questa
nuova organizzazione della produzione, caratteristica della 4 riv ind, rientra a pieno titolo il
discorso di una gestione intelligente di tutta quella che è l’energia che entra nel ciclo
produttivo.
Ultima domanda:
visto che è possibile produrre su piccola scala, con queste tecnologie, e visto che queste
produzioni sembrano essere più sostenibili, possiamo ipotizzare anche un ritorno dell’industria
nelle città nel prossimo futuro, e in qualche modo ricreare il legame spezzato nel passaggio
dal fordismo al post fordismo?
Oggi le industrie concentrate negli spazi extra urbani, questo potrebbe anche aprire un altro
aspetto: la possibilità di diversificare la base economica delle città che oggi è troppo legata ad
alcuni tipi di attività di servizio, pensiamo al turismo/commercio/servizi finanziari.
Si può ipotizzare anche un percorso di questo tipo, che già in alcune città si vede perché molte
di queste produzioni non hanno bisogno di grandi spazi, e non sono fortemente impattanti
(visto che prima le industrie si erano spostate per un impatto ambientale notevole)
La metafora del cowboy e della navicella spaziale che riprende delle considerazioni di un
economista dell’ambiente, che ancora nel 1966 prima che nascesse la questione ambientale
aveva fatto in un suo articolo: che è quello del titolo.
Attraverso una metafora rappresenta la questione del limite delle risorse naturali e dall’altra
parte il problema delle tensioni a cui viene sottoposto l’ambiente per effetto dell’azione umana.
Cosa dice BOULDING?
Dice che c’è un cowboy che cavalca da solo nella prateria e di fatto ignora la questione
dell’ambiente perche con il cavallo abbandona rifiuti però le quantità che consuma e i rifiuti
che abbandona di fatto non avrà influenza su ciò che consumerà domani perché gli si apre
davanti un orizzonte sconfinato.
L’immagine del cowboy rappresenta le condizioni di un’economia LINEARE: economia aperta
dove noi preleviamo risorse senza alcun limite, processiamo queste risorse attraverso cicli
produttivi, consumiamo i prodotti e poi sia il prodotto e tutto ciò che residua da questi cicli di
produzione viene abbandonato nell’ambiente in quanto scarto questo perché sia le risorse
che lo spazio si ritengono illimitati e che a riequilibrare tutto il processo ci penserà poi il
sistema terra.
Questo non è certamente la realtà, perché la realtà del nostro pianeta è rappresentata meglio
dalla metafora della terra vista come navicella spaziale e dell’umanità come suo equipaggio;
perché in una nave spaziale ogni viaggiatore ha a disposizione una qta limitata di risorse e
può produrre anche solo una qta limitata di rifiuti perché la navicella ha una capacità limitata di
accogliere rifiuti.
E la navicella spaziale ci richiama un sistema CIRCOLARE E CHIUSO, ed è un po’ quello che
rappresenta il nostro pianeta nulla si crea e nulla si distrugge.
Questa è un po’ la nostra condizione, perché abbiamo a disposizione una qta di risorse
limitata, trasformiamo le materie prime attraverso i processi produttivi ma tutto ciò che noi non
riusciamo a riciclare, cioè a fare rientrare nel ciclo produttivo viene poi rilasciato nell’ambiente
sottoforma di rifiuto, e la terra ha delle capacità limitate di assorbire tutti i nostri rifiuti.
Dietro a queste due metafore ci sono in sostanza teorie economiche, ci sono modelli di
sviluppo e di produzione, ci sono stili di vita e modelli di consumo, e ci sono anche delle scelte
politiche di carattere ambientale e di carattere energico e di politica economica.
Ci sono quindi due modi diversi di concepire il rapporto tra l’uomo e l’ambiente, quindi due
approcci di carattere diverso.
Dietro l’economia della navicella spaziale c’è un modello a cui non siamo ancora arrivati ma ci
dovremmo arrivare nei decenni successivi.
I temi dell’economia e dell’uomo oggi sono sempre più brevi ed impongono trasformazioni
sempre più impattanti.
La terra ha i suoi tempi che sono decisamente più lunghi rispetto ai tempi dell’uomo.
È da questa contraddizione che deriva il problema ambientale, che secondo alcuni studiosi è il
problema di sopravvivenza più grave che l’umanità ha incontrato nel suo percorso storico.
Un aspetto preoccupante di questa questione ambientale e che deriva dal fatto che l’economia
si è sempre più globalizzata è che la maggior parte dei cambiamenti ambientali oggi non sono
più locali ma sono appunto globali.
Quindi le conseguenze delle trasformazioni che noi vediamo in alcuni luoghi non rimangono
limitate ad alcuni luoghi ma interessano ormai a tutto il mondo ed è il cambiamento GLOBAL
CHANGE.
C’è una discontinuità spaziale nel funzionamento del sistema terra stesso, la terra funziona
come sistema terra stesso, gli effetti che noi produciamo in un punto di questo sistema vanno
poi a ricadere in tutte le scale geografiche, anche distanti. Nel momento in cui noi
moltiplichiamo questi punti di inquinamento arriviamo alla situazione attuale.
C’è anche una discontinuità di carattere temporale, per cui le conseguenze di quelle che sono
le trasformazioni che noi apportiamo all’ambiente possono anche diventare evidenti non in
quel momento ma nel medio-lungo periodo.
Siamo partiti da questa metafora per arrivare a questa idea DI SFASAMENTO TEMPORALE-
di contraddizione in quello che è l’uomo e l’ambiente, nell’approccio dell’uomo verso
l’ambiente ed è questo che poi ci porta a tutti i problemi oggi.
Le fonti di inquinamento sono oggi tantissime, gli effetti in termini di inquinamento e prelievo di
risorse legati al modello economico oggi sono tanti, e se aggiungono altre in relazione
all’evoluzione tecnologica.
Es. smartphone- ciclo breve- sono una nuova fonte di inquinamento che spesso va a colpire
non solo chi produce questi beni, ma anche paesi al di fuori, vengono smaltiti in paesi poveri
nelle discariche dove i bambini lavorano anche a mani nude per decomporli e rivendere le
parti preziose.
Soffermiamoci su quello che è il tema che viene affrontato anche in sede di istituzioni
internazionali, ovvero il problema del cambiamento climatico determinato DALL’EFFETTO
SERRA E GLOBAL WARMING
Effetto serra: Funzionamento dell’atmosfera simula quello che è il funzionamento della serra
che ha il compito di trattenere il calore.
Gli studiosi utilizzano regolarmente il termine effetto serra per spiegare come funziona
l’atmosfera terrestre, che è lo strato di gas che circonda la nostra terra, è costituita da azoto
78% e da ossigeno 21% per il resto l’atmosfera è costituita dall1% di vapore acqueo e altri
gas, che sono i gas serra come l’anidride carbonica e metano.
(sono questi gas che fanno da schermo all’atmosfera)
Dal 1880, data dalla quale abbiamo misurazione più o meno attendibili, fino ad oggi con
piccole variazioni questi 4 grafici ci dicono la stessa cosa.
Ci dicono che se noi guardiamo, soprattutto nella seconda parte del nostro secolo, queste
anomalie della temperatura diventano un costante, a partire dagli anni 80 osserviamo un
continuo aumento della temperatura terrestre.
Cambiano un po’ le stime fra un istituto e un altro.
Sono aumenti che cci possono sembrare piccoli e insignificanti ma in realtà sono aumenti che
producono effetti particolarmente pesanti.
L’effetto più importante è lo scioglimento dei ghiacci polari e conseguente innalzamento del
livello del mare, che è già in atto.
Se questo dovesse estendersi e interessare quei grandi stati di ghiaccio in Groenlandia, il
risultato sarebbe un sensibile innalzamento del livello dei mari che andrebbe a colpire le basse
aree costiere del mondo dove si concentra la maggior parte della popolazione, con costi
ambientali e economici notevoli.
Assistiamo già al susseguirsi di ondate di calore e di forti alluvioni situazioni estreme che
prima non erano presenti.
L’aumento della temperatura avrebbe delle conseguenze un po’ per tutti gli eco sistemi,
diverse specie sia animali che vegetali, potrebbero essere messe a rischio.
Aumento delle migrazioni internazionali (profughi ambientali), popolazioni costrette ad
abbandonare le proprie terre, non per ordine economico in primo stato, ma per la mancanza di
risorse.
La maggior parte degli studiosi concorda che questo surriscaldamento che noi vediamo è da
attribuire all’azione umana- alle concentrazioni di Co2.
Co2 è quello che preoccupa di più, è responsabile per un 81%, Che viene da tutte le nostre
emissioni, dal fatto che ancora usiamo prevalentemente carbone e petrolio per produrre
energia.
0.025 0.015
Petrolio
0.049
0.097 0.317
Carbone
Gas 0.216
naturale
0.281
Biocombustibili e
biomasse
Energia nucleare
Petrolio e carbone in primis, poi ci sono singoli paesi che sono virtuosi e non rispecchiano
questa composizione.
Co2 deriva da tutte le nostre emissioni, quelle che riguardano l’industria, i trasporti, ma è
anche l’effetto del cambiamento dell’uso del suolo pensiamo alla deforestazione (la
scomparsa delle grandi foreste della zona equatoriale, contribuisce all’incremento del co2,
perché le foreste hanno la funzione di rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera) quindi
l’effetto serra è collegato anche ad altri fenomeni.
Oltre alla co2 sono stati fatte delle azioni per eliminare questi clorofluorocarburi, altri gas, dagli
impianti di refrigerazione.
Principale inquinatore
Cina.
È il risultato del processo di sviluppo che la Cina ha seguito negli ultimi decenni e che l’hanno
portata ad essere cosi importante. (modelli di sviluppo impattanti sull’ambiente).
La Cina ha superato gli stati uniti.
l’UE è “piccolo”, quota inferiore al 10%, ha messo in atto una serie di azioni e politiche
ambientali di contrasto al cambiamento climatico e all’inquinamento.
La questione ambientale si comincia a manifestare negli anni 70, sia in sede di istituzioni
scientifiche e politiche, sia nell’opinione pubblica.
Non è che precedentemente non ci fosse un’attenzione verso questi problemi, perché già negli
anni 60 a livello di elite, la questione ambientale era già emersa nell’ambito di istituzioni
scientifiche, perché degli scienziati avevano iniziato a divulgare i risultati di alcuni studi.
Alcuni economisti, come Building, creano un filone dell’economia che si chiama ECONOMIA
AMBIENTALE, e iniziano a riflettere sull’impatto delle attività economiche sull’ambiente; però
la maggior parte delle azioni parte negli anni 70 quando il tema dell’ambiente fa il suo ingresso
nell’agenda di grandi attori internazionali: LE NAZIONI UNITE, AMMINISTRAZIONE
FEDERALE DEGLI USA- perfino il GATT nel 1971 crea una commissione che avrebbe dovuto
studiare gli effetti del traffico di merci sull’ambiente.
Di questa commissione poi non è stato fatto nulla perché la crisi economica legata alla prima
crisi petrolifera del 1973 ha distolto l’attenzione.
Azioni di protezione ambientale c’era già prima degli anni 70, però era l’approccio che era
diverso, perché l’approccio dei parchi naturali e delle aree protette era quello di azioni di
protezione di singole porzioni della superficie terrestre; preservare singole aree dall’effetto
dello sviluppo industriale da quella che era l’azione dell’uomo.
Ora non è più questo l’obbiettivo, si vuole preservare tutto il pianeta e non solo un pezzo.
Anche l’ecologia nasce, nell’800, come disciplina che studia i rapporti tra le specie animali e
l’ambiente, non nasce come una disciplina che si occupa dell’ambiente come un po’ oggi.
Il movimento ecologista nasce negli anni 70.
Poi abbiamo due crisi petrolifere: 1973 e 1979 che hanno un po’ interrotto l’elaborazione di
questi processi e l’iniziativa ambientale dell’ONU è ripresa nel 1983 una volta rientrati i
problemi creati dalle crisi.
L’iniziativa si è concretizzata nella formazione: WCED si crea nel 1983 ma nel 1987:
• Capitale naturale: insieme di beni e servizi offerti dalla natura; è composto da 4 elementi
fondamentali:
• risorse rinnovabili- aria, acqua e tutto ciò che abbiamo sul pianeta; si rinnovano o
naturalmente o attraverso l’uomo; sono rinnovabili se la nostra azione non compromette la
loro capacità di rinnovarsi.
• risorse non rinnovabili- tutte quelle che sono le risorse fossili, che vengono considerate
esaurite quando vengono meno le condizioni per la loro rigenerazione.
• biodiversità terrestre- varietà di specie animali e vegetali, ed è ciò che assicura la vita
stessa.
• «servizi» resi dagli ecosistemi- facciamo riferimento a quelli che sono dei processi naturali
con cui gli ecosistemi arrivano a fornirci questi servizi, es. la fotosintesi clorofilliana che
consente il mantenimento della vita.
Dal rapporto Bruntland in avanti il concetto di sviluppo sostenibile entra nelle politiche
ambientali su scala globale, quindi politiche ambientali che vengono portate avanti a livello
delle grandi organizzazioni internazionali ma anche a più piccole scale.
Nelle azioni da questo momento in poi il concetto di sviluppo sostenibile diventa il riferimento,
anche il riferimento a cui si orienta il cambiamento die nostri modelli di produzione e sviluppo.
- 1992- Conferenza di Rio, chiamata anche vertice della terra perché si doveva fare il punto
dopo 20 anni dalla conferenza dell’Onu di Stoccolma e proprio una delle funzioni più
importanti della conferenza di Rio è stata quella di condividere dei principi guida delle
politiche ambientali che sono poi serviti da punto di riferimento per rielaborare tutti gli
accordi e le politiche successive.
Sono usciti i 27 punti della dichiarazione dei principi di rio che costituiranno una sorta di
manuale a cui si ispireranno gli accordi successivi e le azioni dei governi alle diverse scale, e
a loro volta fanno sempre riferimento al concetto di sviluppo sostenibile.
Principi più famosi:
1- Chi inquina paga- ovvero il principio che sancisce la responsabilità del risarcimento da
parte di chi inquina, all’epoca non era scontata, ha impiegato del tempo per essere
introdotta negli ordinamenti dei diversi paesi.
2- Principio di precauzione- a fronte di una minaccia grave, l’assenza di conferme dal
mondo della scienza non deve essere un ostacolo all’azione; si può intervenire con
delle politiche per bloccare questa minaccia anche se non ci sono conferme da parte
della scienza.
3- Principio di responsabilità- sancisce che tutti in quanto abitanti della terra siamo
responsabili nei confronti del pianeta, che è la nostra casa comune; in realtà questo
principio sancisce una responsabilità diversa a seconda della situazione dei diversi
paesi e anche dei comportamenti nel passato. Ad es. nei paesi industrializzati, in termini
di produzione dell’effetto serra hanno sicuramente una responsabilità maggiore rispetto
a quella dei paesi poveri che hanno contribuito meno a creare l’effetto serra.
Altro prodotto importante del vertice della terra è stata la CONVENZIONE SUL
CAMBIAMENTO CLIMATO, già nel 1992 si avverte questo problema.
- 1995- cambia la situazione, a partire dal 1995 l’Onu ha indetto tutta una serie di conferenze
a cadenza annuale o biennale proprio sul tema del cambiamento climatico.
Vengono chiamate CONFERENCES OF PARTIES-COP, sono focalizzate sul problema del
cambiamento climatico e sui provvedimenti da intraprendere per contenere questo problema.
Vediamo le più importanti che hanno cambiato il percorso che ci porta ad oggi.
- 1997- COP 3 DI KYOTO- una delle più importanti, perché da questa conferenza è uscito il
famoso protocollo di KYOTO che la prima volta cerca di mettere un limite ben preciso a
quella che è l’emissione di gas serra, quindi impone degli obblighi ben precisi e quantifica
gli obblighi a cui devono sottostare i paesi che hanno firmato questo protocollo.
È la prima volta perché fino a quel momento erano state fatte delle dichiarazioni di principio,
quindi pur con tutti i suoi limiti questo protocollo è importante per il contenimento del problema
del cambiamento climatico.
COP 3 PROTOCOLLO DI KYOTO:
• Trattato internazionale in tema di cambiamento climatico sottoscritto nel 1997 ed
entrato in vigore nel 2005 lasso temporale perché il protocollo conteneva una
clausola, ovvero richiedeva che il protocollo entrasse in vigore nel momento in cui
veniva ratificato da almeno 55 paesi firmatari, e che i paesi che l’avessero ratificato
producessero almeno il 55% delle emissioni inquinanti al 1990. Questa condizione è
risultata soddisfatta nel 2004 quando il protocollo è stato ratificato dalla Russia e quindi
dal 2005 entra in vigore.
• Obiettivo: obbligo di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, entro il 2012, del
5,2% rispetto al 1990- è stata fissata una riduzione complessiva che è stata poi ripartita
in maniera diversa fra i paesi. (ita 6,2 %)
• Problemi e limiti di questo protocollo: il vantaggio è stato che per la prima volta si sono
quantificato questi obblighi e di aver impegnato i paesi; il problema è che il protocollo
non stabilisce obblighi di riduzione delle emissioni per i PVS- paesi in via di sviluppo,
perché non volevano bloccare la loro economia questo fa si che complessivamente
l’obbiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra non venga raggiunto e di fatto la
produzione di anidride carbonica è continuata anche se singoli paesi hanno raggiunto il
loro obbiettivo- complessivamente non essendo vincolati certi paesi l’aumento di gas
serra è proseguito.
• Altro problema: rifiuti alla ratifica da parte di paesi altamente inquinanti- come stati uniti,
proprio per l’opposizione dei repubblicani che riteneva che il protocollo avrebbe
danneggiato gli interessi del paese.
- 2015: COP 21 DI PARIGI- da questa conferenza uscirà L’ACCORDO SUL CLIMA che è
l’accordo che attualmente è in vigore a scala internazionale.
Andando ad un livello ancora più specifico, passiamo al livello delle nostre economie.
Questi accordi internazionali sono molti importanti perché poi il paese che firma deve
introdurre nuove norme nei propri ordinamenti.
C’è anche un livello più operativo che è quello dei sistemi produttivi, ed è qua che arrivano altri
concetti e modelli di produzione sostenibile che si ispirano a quest’idea di sostenibilità nata
negli anni 80.
Nascono quindi:
GREEN ECONOMY E CIRCULAR ECONOMY.
Green- non ha una definizione comune ma:
«Un modello economico finalizzato a migliorare il benessere umano e l’equità sociale,
riducendo allo stesso tempo i rischi ambientali e la scarsità di risorse»
(United Nations Environment Programme, 2011)
«Una economia che genera crescita, crea lavoro e sradica la povertà investendo e
salvaguardando le risorse del capitale naturale da cui dipende la sopravvivenza del nostro
pianeta» (Commissione Europea, 2011)
La commissione europea vede nella green economy uno strumento per uscire dalla crisi ma
anche uno strumento per rigenerare l’economia, creare nuovi posti di lavoro e per
reindustrializzare.
Il timore della deindustrializzazione è sentito molto in Europa e quindi vuole reindustrializzare
introducendo anche dei nuovi modi di produrre- utilizzo di risorse rinnovabili, risparmio
energetico nelle fasi dei processi produttivi e poi punta sul rendere circolari i nostri sistemi
economici in generale e i nostri sistemi produttivi.
Questa idea di circolarità si può applicare sia al sistema economico nella sua complessità, sia
all’industria in senso stretto, sia al funzionamento di un singolo impianto industriale.
Altra fase prima di arriva alla produzione è la progettazione, si parla di eco progettazione,
dobbiamo progettarlo in maniera da ridurre al minimo gli scarti di lavorazione, dobbiamo far si
che il prodotto possa essere riparato e recuperato in nuovi cicli produttivi- eliminare sostanze
chimiche all’interno dei prodotti.