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Geografiaufficiale - prof Paola Savi.

Geografia delle comunicazioni e del commercio internazionale   (Università degli Studi di


Verona)

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GEOGRAFIA delle comunicazioni e del commercio internazionale-PAOLA SAVI.


Esame scritto 6 domande a risposta aperta, 60 minuti.

1. LO SCENARIO DI RIFERIMENTO: LA GLOBALIZZAZIONE


ECONOMICA
Lo scenario di riferimento del nostro corso è quello del commercio internazionale in un
contesto più ampio che è quello della globalizzazione economica.
Chiariamo alcuni concetti:
i concetti di questa prima fase non sono tutti i concetti chiave della geografia economica,
servono per iniziare il ragionamento.
La globalizzazione economica, scenario di riferimento del commercio estero e dei
fenomeni e processi che saranno analizzati.
Oggi si parla spesso di globalizzazione, però non ci accontentiamo di fermarci ai luoghi
comuni, dovremo cercare di dare delle soluzioni, è un fenomeno troppo complesso da
lasciare incompleto e senza risposte.
All’interno di questo fenomeno multiforme- globalizzazione- andremo a parlare di una
sua dimensioneLA GLOBALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA, è questo quindi
lo scenario di riferimento del commercio estero.
Dovremo introdurre anche l’analisi di alcuni indicatori che misurano la globalizzazione e
del commercio estero in dettaglio.
Non ci accontentiamo di descrivere i fenomeni dal punto di vista quantitativo ma
dovremo anche dimostrare attraverso degli indicatori e dati statistici che questo fenomeno
della globalizzazione dell’economia esiste in un certo senso, e ciò ci da modo di vedere
come si muove.

Da qui passeremo alle cause che sono alla base della globalizzazione economica- si parla
di DIVISIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO come chiave di lettura.
Se parliamo di lavoro in realtà facciamo riferimento ad una suddivisione internazionale
della PRODUZIONE, delle fasi produttive su scala globale.
Sostanzialmente la suddivisione del lavoro, oggi nella fase attuale, i nostri prodotti non
vengono piu realizzati in pochi paesi, la produzione viene frammentata e scomposta e
ogni parte viene prodotta in un paese, ogni paese tende a specializzarsi in una
componente di un prodotto o in una lavorazione di un semilavorato poi tutte queste
parti si riuniscono in un paese e ne esce il prodotto finito.
Tutte queste parti del pc, si muovono nello spazio, danno origine a flussi commerciali, il
prodotto poi dove verrà venduto, magari in Europa, o in altri paesi quindi di nuovo
FLUSSO COMEMRCIALE.

Domanda prof- È in atto un processo di DEGLOBALIZZAZIONE?


La globalizzazione sta rallentando, alcuni dicono che essa è finita, sec la prof è
un’affermazione forte, da vedere in futuro.
Questo è un tema importante per il commercio internazionale, è un quadro che sta
mettendo in crisi quel processo di progressiva liberazione del commercio estero.

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Quest’anno dovremo comunque far riferimento ad un altro fenomenoPANDEMIA DI


COVID19, un evento imprevedibile che non è di natura, economica o politica, però di
fatto è un evento che ha avuto un fortissimo impatto sull’economia.

CONCETTI CHIAVE:
- SPAZIO
- TERRITORIO/ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE
- AMBIENTE
- SCALA GEOGRAFICA
- TEMPO

I primi sono: SPAZIO- TERRITORIO--> normalmente si confondono, solitamente li


usiamo come sinonimi.
In geografia sono due concetti diversi, sono complementari si integrano ma hanno
significati diversi.
Lo spazio è il concetto centrale della geografia, perché la geografia si occupa di
comprendere lo spazio e i fenomeni che osserva, es. fenomeni di ordine economico: flussi
commerciali, di questo si occupa la geografia economia rapporti tra fenomeni di
natura economica e spazio.
La geografia culturale analizza fenomeni di natura culturale;
La geografia delle popolazioni si occupa del fenomeno delle migrazioni.
Si sono costruiti nel corso del tempo degli argomenti che sono un po’ specifici nei diversi
settori della geografia.

1- Come DEFINIAMO QUINDI LO SPAZIO?


Nel tempo è cambiato il significato che noi diamo al concetto di spazio, perché fino a
poco tempo fa l’analisi dello spazio aveva un carattere sistematico, si andava a vedere la
localizzazione degli oggetti geografici, in particolare la loro collocazione rispetto alle
coordinate geografiche, latitudine longitudine e la loro distanza rispettiva.
Era la geografia che oggi viene chiamata nozionistica, andava a catalogare o numerare i
diversi oggetti della superficie terrestre, andava sostanzialmente a elencare questi oggetti e
individuare la loro posizione esatta sulla superficie terrestre.
Questa idea di spazio come sistema di coordinate di localizzazioni è nota come spazio
assoluto, per molto tempo è stato cosi.
Se prendiamo la cartina però vediamo che di assoluto nello spazio c’è molto poco, es. se
ci riferiamo alle proiezioni geografiche:
guardiamo le due mappe.

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Queste due mappe ci rappresentano lo spazio in 2 modi diversi, però l’oggetto è lo stesso
ovvero il globo terrestre.
In effetti una proiezione geografica è un metodo che ci permette di trasferire una
superficie sferica come quella della terra su un piano, che può essere la carta o il monitor
di un computer.
Questo trasferimento indica un processo di adattamento che è la PROIEZIONE, che
produce delle distorsioni, nelle aree e nelle distanze; sono diverse.
Nessuna delle due è corretta o sbagliata, sono solo proiezioni che fanno riferimento a due
cose diverse, ovvero o rinunciano a rappresentare le distanze o le aree.
Quindi di fatto lo spazio assoluto non esiste, e lo spazio appare ancora meno assoluto se
noi introduciamo altri elementi di complessità ovvero MODI ALTERNATIVI DI
considerare LA DISTANZA.

LA DISTANZA- ALTRO CONCETTO CHIAVE ma non all’interno dei 5.


Ma quali distanze?
Oggi si è imposto un altro concetto di distanza:
Distanza tempo- distanza costo ragioniamo in termini di quella che si chiama distanza
funzionale che a poco a che fare con la distanza fisica, e produciamo delle
rappresentazioni spaziali diverse da quelle delle carte geografiche perché cambiano con il
mutare della distanza funzionale.

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Es. in questa slide noi rappresentiamo le distanze che separano le città europee rispetto ad
un cuore, in due date diverse, 1993 e questo è un dato reale.
Distanze misurate in termini di tempi di percorrenza ferroviari, già nel 1993 abbiamo una
visione dell’Europa diversa, più attuale della distanza, quindi la distanza non è misurata in
termini kilometrici; è cambiata la distanza tempo, ovvero il tempo di percorrenza.

In queste due carte vediamo un’Europa che si restringe, in realtà secondo le


rappresentazioni internazionali non si restringe nulla, c’è una convergenza spazio
temporale e una riduzione della distanza temporale, quindi i luoghi si avvicinano.
Un fenomeno simile lo possiamo vedere se rappresentiamo la distanza non in termini di
tempi ma di costo, tipo almeno per i passeggeri dopo gli anni 90, ovvero dopo che il
trasporto aereo è stato liberalizzato, vuol dire che due città sono più vicine.

Più inseriamo elementi di ragionamento e meno questo spazio diventa assoluto.


La geografia non studia più gli oggetti, la loro posizione, è uno SPAZIO FATTO DI
RELAZIONI.

Non sono gli oggetti ma sono le relazioni tra gli oggetti.


È cambiato il significato: OGGI RAGIONIAMO IN TERMINI DI SPAZIO
RELAZIONALE, sono tanti i fenomeni a cui noi possiamo fare riferimento; se da queste
relazioni andiamo a vedere le relazioni di tipo economico teniamo una sottocategoria
dello spazio geografico che è lo spazio geoeconomico
Spazio geoeconomico? Si occupa le relazioni però prevalentemente quelle di carattere
economico.

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2- Da spazio A TERRITORIO:
quali relazioni in geografia?
- Relazioni orizzontali: sono chiamate anche interazioni spaziali, e collegano fra loro
i diversi oggetti geografici localizzati in punti diversi nello spazio geografico. Ad
esempio: flussi di denaro in realtà non si scambia materialmente del denaro; flussi di
conoscenze; flussi di persone; flussi che riguardano le migrazioni.
Quando noi ci limitiamo all’analisi delle relazioni orizzontali ci limitiamo ad una
dimensione astratta, tutti questi flussi li vediamo attraverso dei dati statistici, quindi
ci fermiamo alla dimensione dello spazio, quando noi analizziamo le rel.oriz
facciamo delle analisi di carattere SPAZIALE.
Concetto di spazio: astratto e lo descriviamo attraverso relazioni orizzontali e dati
statistici.
- Relazioni verticali: vengono definite anche ECOLOGICHE, perché riguardano il
rapporto tra i singoli oggetti geografici e le caratteristiche dei luoghi in cui questi si
localizzano. Cosa si intende per caratteristiche: presenza di risorse naturali, o
infrastrutture, o relazioni che diventano poi di carattere immateriale, cultura
imprenditoriale, e che ci spiegano perché un’impresa si è localizzata in quella
determinata area.
È l’insieme di relazioni oriz, e verticali che costruire il TERRITORIO.
È un concetto meno astratto rispetto al concetto di spazio.
Si parla spesso di organizzazione territoriale, sono le caratteristiche che relazioni
orizzontali e verticali assumono in un determinato territorio, è una sorta di fotografia di
un territorio in un determinato momento.

Prendiamo un porto, la maggior parte dei nostri porti, se noi guardiamo oggi sono delle
strutture artificiali, però perché un determinato porto è nato proprio in quella posizione?
Perché cerano delle condizioni naturali che permettevano l’approdo e l’avvio delle navi,
quindi c’era un’insenatura--> relazioni verticali con le caratteristiche del luogo.
La maggior parte dei nostri porti è nato cosi.
Però il porto può sviluppare le sue funzioni in realtà se lo inseriamo in un complesso di
relazioni di carattere orizzontale, ovvero colleghiamo il porto alla miniera, perché in quel
porto arrivano materie prime e da quel porto possono partire per un impianto industriale.

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Oppure in quello stesso porto si sono sviluppate delle attività di carattere industriale e
quindi da questo porto partono dei beni prodotti qui e vanno verso altri mercati, lo stesso
la miniera che non nasce se non c’è un giacimento minerario, quindi una condizione di
carattere verticale.
Un impianto industriale nasce dove ci sono le condizioni, es. territorio pianeggiante, poi
l’impianto attiva una serie di relazioni.
Certe caratteristiche con i luoghi possono cambiare nel tempo, molte città sono rimaste
nello stesso posto ma le risorse che hanno fatto nascere la città non ci sono più.
Nel percorso di analisi potremmo avere anche una sostituzione di risorse, risorse che
erano importanti in passato ma ora non lo sono più.
Oggi magari hanno preso più importanza altre risorse, come le infrastrutture.

3- Altro concetto chiave L’AMBIENTE:


nel linguaggio comune si parla di ambiente industriale o altri ambienti. In geografia si
parla di ambiente fisico; in geografia si dice che l’ambiente fa parte del territorio anche se
questo non deve trarci in inganno, se consideriamo l’ambiente come geosfera siamo
inseriti nell’ambiente, qui ragioniamo in termini più scolastici.
Il territorio ha tutta una serie di risorse, l’ambiente è una parte che riguarda l’ambiente
naturale e fisico.

4- Altro concetto la SCALA GEOGRAFICA:


in geografia parliamo di due tipi di scale: la prima è la scala cartografica-diversa da quella
geografica, è la seconda- quella cartografica è ciò che mi permette di operare una
riduzione dalla realtà alla carta, mi riduce l’oggetto geografico trasferito nella carta, quindi
rapporto tra una misura sulla carta e una misura nella realtà.
Quindi scala 1:200 000, 1 cm nella carta = 200 000 cm nella realtà.
Quando parlo di dimensione spaziale, io sta volta mi riferisco ad una CITTA’ come
spazio, allo stesso modo una scala ancora più piccola posso analizzare un fenomeno a
livello di quartiere- mi da tutta un’altra dimensione, oppure posso andare a scale più
grandi vado ad una scala che è globale, quindi devo vedere i flussi su scala globale, ad
esempio se analizzo il commercio internazionale.

Quindi piccolo e grande hanno 2 significati diversi a seconda che io ragioni in termini di
scala cartografica e scala geografico perché: Nella scala cartografica- grande scala è ciò che
ha un piccolo denominatore perché se io confronto una scala 1: 10 000 con una Scala
1:200 000, la scala 1:10 000 mi da un livello di dettaglio dei fenomeni che io analizzo
superiore rispetto alla scala 1:200 000.
Al contrario nella scala geografica ciò che piccolo è piccolo, ad es. scala di un distretto
industriale; se dico grande scala vado su una scala nazionale fino a quella globale. È
diversa anche la scelta delle scale perchè i nostri fenomeni sono analizzati utilizzando
livelli di osservazione diversi in altri termini la scelta della scala dipende dal tipo di
fenomeno e non implica perdita di informazioni con il passaggio da una scala all’altra;
semplicemente il fenomeno che io analizzo ha senso più ad una scala che ad un’altra.

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In geografia economica il ragionamento geografico è spesso transcalare perché usa varie


scale geografiche per l’analisi dello stesso fenomeno, perché alcuni fenomeni hanno
conseguenze diverse, impatti diversi che noi vediamo solo se facciamo questa operazione
di transcalarità.
Per spiegarlo es:
a partire dagli anni 90 del secolo scorso si è messo in atto un processo di delocalizzazione
produttiva, ovvero molte imprese sono andate a produrre all’estero o hanno spostato
all’estero parte della produzione.
Questo fenomeno della delocalizzazione produttiva posso analizzarlo su scala globale ma
posso metterlo in relazione con il commercio estero perché ha incrementato i flussi del
commercio estero.
Ma se voglio fare una analisi più dettagliata della delocalizzazione produttiva devo
considerare che ha prodotto sul territorio degli altri fenomeni, in particolare un fenomeno
di DEINDUSTRIALIZZAZIONE, diminuzione del numero di imprese e dei posti di
lavoro nelle aree di origine e che ha avuto una serie di conseguenze, cambiamento dei
valori immobiliari del suolo ecc.
Allora se io voglio vedere l’impatto della delocalizzazione in termini
dell’industrializzazione faccio un’operazione di transcalarità e vado su una scala più
piccola, anche quella della regione o scala della città.

- Noi utilizziamo quasi sempre la scala geografica, quella cartografica bisogna sapere solo c’è .-
5- TEMPO:
consideriamo anche che anche noi in geografia abbiamo sempre un occhio sulla
coordinata temporale, perché se guardiamo i nostri territori vediamo anche che
l’organizzazione di un determinato territorio è anche il prodotto della storia, di epoche e
modi di produzione.
Es. se dico che Verona ha una specializzazione turistica marcata e vado a vedere perché ce
l’ha- se le guardo bene le vedo come una sovrapposizione di diverse epoche storiche e
oggi sono andate a sedimentarsi sul nostro patrimonio culturale.
Noi procediamo per grandi periodi, non guardiamo i dettagli.
Anche la geografia ha questa doppia coordinata- quella spaziale e temporale.

Iniziamo a pensare alla:


GLOBALIZZAZIONE- se ne occupano un po’ tutte le discipline.
Noi partendo da definizioni di carattere generale arriveremo a definizioni di carattere
geografico.
Prima immagine se penso alla globalizzazione; annullamento spazio-tempo.
Questo effetto di riduzione della distanza è ancora più evidente se pensiamo a internet o
alle telecomunicazioni.
Gl diffusione di prodotti materiali e servizi globali.
Pensiamo a prodotti di uso comune che noi utilizziamo, è tutto dovuto alla grande
espansione delle multinazionali.

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Seconda lezione- 30 settembre:


cosa pensiamo quando facciamo riferimento alla globalizzazione?
Abbiamo visto un’idea di riduzione dello spazio-tempo, lo colleghiamo alla diffusione
globale di beni e servizi e questa a sua volta è legata alle espansioni delle multinazionali;
alcune multinazionali hanno iniziato a conquistare i mercati anche prima della
globalizzazione recente, tra queste non ci sono solo le multinazionali classiche ma anche
quelle italiane.

Vediamo le acquisizioni delle multinazionali recenti, dal 2010.


Parliamo in questa slide del settore dolciario.
Negli anni 40 è nato un grande gruppo che ha 30 mila dipendente e serve tantissimi paesi,
è un percorso importante.
Un ulteriore passaggio: abbiamo parlato fin ora di prodotti ma ci sono altre caratteristiche
fondamentali: capacità omologante di omogenizzare le culture, i gusti, i modi di acquisto
ed è un classico supermercato in questo caso della catena Walmart, colosso americano.
I non luoghi  sono spazi locali, di piccola dimensione, ma sono uguali in tutto il
mondo, spazi che non hanno una storia.
Es. di non luoghi: centri commerciali sorti negli ultimi decenni, oppure grandi stazioni-
aeroporti, che hanno perso le loro connotazioni specifiche.

Def di globalizzazione:
- Metafora del villaggio globale di McLuhan, che faceva riferimento alla comunicazione,
dei media; l’evoluzione dei media degli anni 60 trasformerà il mondo in un villaggio
globale che trasformerà il mondo in un villaggio, tutto sarà uguale e connesso.
- Levitt, negli anni 80 da una definizione prettamente economica, ovvero della
globalizzazione come una progressiva integrazione economica, che porta ad una sorta
di un mercato unico, unificazione del mercato globale.
Queste definizioni ci dicono che la globalizzazione non è un fatto cosi recente come
spesso lo definiamo noi, entrambe sono riduttive se le vediamo nell’ottica attuale.

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Se parliamo di McLuhan in realtà questo villaggio globale non si è realizzato, i prodotti e


luoghi non sono tutti uguali, le differenze esistono anche all’interno di paesi
economicamente avanzati.

Per la sec definizione: l’integrazione economica esiste, è una delle dimensioni delle
globalizzazioni.
A quali def possiamo far riferimento noi che siano un po’ meno riduttive e che ci
permettano di collocare il fenomeno della globalizzazione in un percorso storico:
definizione pensiamo alla globalizzazione come un Cambiamento di scala
nell’organizzazione di molti fenomeni, che fino agli anni 70 noi vedevamo organizzati in
scala di piccola dimensione, oggi pero essi hanno acquistato una dimensione di carattere
globale. Es- organizzazione della produzione, se fino agli anni 70 la produzione era
concentrata su scala locale, oggi succede che questa organizzazione ha assunto un’altra
dimensione spaziale. Le varie parti del ciclo produttivo si sono frammentate e si sono
distribuite su piu paesi dimensione globale.
Poi dematteis- geografo importante nel panorama europeo dice:
invece di pensare alla gobalizazione come annullamento della distanza pensiamola come:
Ampliamento, intensificazione e accelerazione delle relazioni tra soggetti localizzati in
differenti aree del pianeta, che coinvolge più dimensioni (economica, ambientale,
culturale) Esito di un percorso storico ….» (Dematteis et al., 2010)

Questo passaggio è importante perché ci consente di vedere la globalizzazione non come


un fenomeno contemporaneo, degli ultimi 20 30 anni, ma la possiamo vedere come esito
di un percorso storico, quindi come la fase attuale di un percorso che è già iniziato in
passato.
Questo processo di integrazione delle economie, non inizia oggi ma parte da lontano, da
quelle fasi storiche dove noi abbiamo visto un’apertura dei traffici commerciali che hanno
portato in Europa dei prodotti agricoli che sono diventati la base della nostra
alimentazione, dei simboli del cibo, della cultura gastronomica italiana.

Se parliamo di percorso storico il nostro punto di partenza è la rivoluzione industriale.


Dal pdv geografico ha cambiato tutti i fenomeni che riguardano le relazioni spaziali e
l’organizzazione stessa del territorio, Con la riv industriale è cambiato il processo di
urbanizzazione, che ha cambiato il volto di interi territori.
Molti storici dicono che in realtà se guardiamo alla storia recente, hanno operato diverse
globalizzazioni, se parliamo di essa dobbiamo vederla suddivisa in diverse fasi; non
dobbiamo pensare ad una cosa unica, ma varie fasi.

Una prima globalizzazione secondo loro è quella che va ai primi decenni dell’800 fino
alla fine dell’800, quindi periodo che accompagna la diffusione della riv industriale, dal suo
centro di origine quindi Inghilterra e anche una prima liberalizzazione commerciale,
Primo aumento consistente dei traffici, dovuto allo scambio di materie, ma anche al forte
sviluppo di trasporti, non solo la ferrovia ma anche il trasporto navale.
Con la diffusione del vapore si è sviluppato molto il trasporto navale,
quindi primo paese protagonista: IMPERO BRITANNICO.

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Una seconda globalizzazione è quella che attraversa tutto il 900 fino agli anni 80 del
secolo scorso.
È una globalizzazione che parte prima negli USA, quando inizia questo nuovo modo di
produzione, modello fordista, ford, e poi vede un forte impulso dopo la seconda gm, anni
50-70, quando questo modo di produzione si diffonde in tutto il mondo e quando noi
assistiamo ad una forte espansione delle imprese multinazionali.
Erano ancora poche multinazionali di pochi paesi, usa Francia Svizz gran b, non era un
fenomeno che coinvolgeva un grande numero di industrie e di paesi come succede oggi.
Quindi qual è il punto di passaggio?
Questa seconda globalizzazione si ferma agli inizi degli anni 80, cos’è che cambia per
arrivare alla globalizzazione attuale?
In realtà, È un complesso di fenomeni che prende forma negli anni 80 e va a
convergere progressiva liberalizzazione del commercio internazionale che viene portata
avanti attraverso un accordo GAT, e poi dall’organizzazione mondiale del commercio.
Tutto ciò porta ad una riduzione dei dazi, che ostacolavano il commercio internazionale,
poi intensificazione delle azioni delle grandi multinazionali che a partire da questo periodo
non si limitano più a trovarsi una filiale, ma partecipano e generano tutta questa divisione
del lavoro che è caratteristica di questa fase della multinazionalizzazione ma non ancora
cosi praticata nella fase precedente.

In piu in questa nuova divisione del lavoro oggi non entrano piu solo le multinazionali ma
anche medie-picc imprese che non sono multinazionali senza fare investimenti diretti
esteri, ma ad esempio semplicemente attraverso contratti di subfornitura, senza che vi sia
nessuna partecipazione in queste imprese, entrambe rimangono imprese separate.
Fenomeni di liberalizzazione che riguardano non il commercio internazionale ma ad
esempio i trasporti, sono cresciuti gli spostamenti di persone, è cresciuto il turismo
internazionale, perché sono diminuiti i costi, i prezzi dei biglietti e questo ha reso
accessibile il biglietto areo a molte più persone.
Ancora le innovazioni tecnologiche, internet, ci consentono di separare tecnicamente le
fasi di produzioni, quindi questa divisione del lavoro è possibile anche perchè ci sono
delle divisioni tecniche che lo permettono, quindi si riesce interagire in tempo reale.

Cause geopolitiche- con la caduta del muro di Berlino si è aperto per le imprese
occidentali, ma non solo, un grande spazio di produzione nell’est Europa.
1979 Cina- politica della porta aperta progressiva apertura verso gli investimenti diretti
esteri che ha portato poi ad uno sviluppo del cinese avanzato.
Se ragioniamo in questo senso vediamo che la globalizzazione non nasce per caso ed è
l’esito di UN PERCORSO STORICO.
Invece di parlare di globalizzazione per la fase precedente, 900, usiamo il termine di
INTERNAZIONALIZZAZIONE: all’epoca erano meno paesi coinvolti, è cambiata
l’intensità, il numero di soggetti in queste relazioni, e la nuova spinta che viene anche dal
progresso tecnologico.

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Un altro geografo- VELTZ, fa riferimento alla globalizzazione come: Aumento delle


interdipendenze territoriali in cui giocano un ruolo rilevante la scala globale e quella
locale»
Un altro aspetto della globalizzazione: è nato un nuovo termine- glocalizzazione, non ci
sono solo fenomeni globali, ma ci sono una serie di fenomeni che emergono a scala
locale. questo processo ha portato molti contesti ad una reazione del locale.

È tutto un gioco tra locale e globale; allo stesso modo quando si parla di competitività
territoriale, fare leva su risorse locali che non sono uguali dappertutto per entrare in
queste reti globali.
Es. i nostri distretti industriali sono cambiati nel corso del tempo, hanno subito anche un
impatto negativo per certi aspetti della globalizzazione, hanno cercato di fare leva sulle
loro capacità e sui loro prodotti per entrare nelle reti globali.
Starbucks- non è uguale in tutto il mondo:

È reinterpretato dall’architettura tipica del loro paese glocalizzazione: è anche una


contaminazione in senso positivo.

Ultima definizione:
Il fenomeno della globalizzazione può essere interpretato come un’esperienza sociale:
compressione spazio-temporale HARVEY-->tempo e spazio si riducono, i luoghi si
avvicinano.
Noi però abbiamo parlato del settore del trasporto ferroviario, ovvero l’alta velocità ci
consente di ridurre l’Europa, unita alle politiche dei trasporti, perchè se gli stati non
costruiscono le reti, l’alta velocità non ha senso.
Harvey però, fa riferimento alla globalizzazione come un’esperienza sociale lui dice
siamo sicuri che questa percezione di questa idea di compressione e riduzione delle
distanze sia la stessa per tutti nel mondo.
Ovvero un cittadino di una metropoli ha la stessa percezione che le distanze si riducano
rispetto ad un contadino degli spazi interni dell’india e dell’africa, ciò per dire che la
globalizzazione è anche un’esperienza sociale, e non tutti partecipano a questo processo.
Chiaramente se noi abbiamo la possibilità dia accedere internet, viaggiare treno aereo,
certamente abbiamo una sensazione di riduzione della distanza, ma non tutti possono
farlo.

Xconludere la parte generale di globalizzazione:

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LE DIVERSE DIMENSIONI DELLA GLOBALIZZAZIONE

ECONOMIA

FENOMENO
URBANO SCIENZA-

FLUSSI: AMBIENTE
MIGRAZIONI

GEO-POLITICA MODELLI
CULTURALI

Questa slide- globalizzazione dell’economia- è resa visibile da 3 dimensioni:


1. La crescita degli scambi internazionali di beni e servizi
2. L’aumento degli investimenti diretti esteri
3. L’aumento dei flussi finanziari
Accanto c’è anche una dimensione che rgiarda la scienza e la tecnologia, ovvero il fatto
che oggi molte innovazioni rimangono all’interno dell’impresa, però è anche vero che oggi
tutti i centri di ricerca sono collegati fra loro circuito della tecnologia che va ad
alimentare la conoscenza.
GLOBALIZZAZIONE AMBIENTALE: facciamo riferimento al global change.
Oggi non è possibile parlare di economia senza parlare di ambiente perché ci siamo resi
conto che i nostri modelli di sviluppo economico hanno un forte IMPATTO ambientale,
e li stiamo anche rivedendo, che ci derivano ancora dal secolo scorso, sono lineari ma oggi
vanno ripensati, e dall’altra parte quando ripensiamo all’ambiente, ambiente e economia si
tendeva a pensare a Sistema economico e sistema ambientale come due entità separate.
Oggi invece pensiamo al sistema economico come un sistema che fa parte del più ampio
sistema ambientale, fa parte del GEOSISTEMA- il sistema terra.
I nostri sistemi economici non sono fuori dall’ambiente ma sono dentro all’ambiente.

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Globalizzazione dei modelli culturali le letture più drastiche vedono nella


globalizzazione un fenomeno che spazza via lingue e culture, erode il patrimonio culturale
delle popolazioni, ma non è sempre così semplice questo processo.
Geopolitica quella delle grandi organizzazioni internazionali, dei grandi attori che
prendono le decisioni su scala globale, e sono decisioni che vengono imposte alle scale più
piccole.
Globalizzazione di flussi facciamo riferimento alle migrazioni, negli ultimi decenni si
sono intensificate.
Quando si parla di migrazioni hanno ancora un senso le BARRIERE POLITICHE,
quelle che si oppongono al libero fluire dei flussi delle persone, non siamo proprio liberi
di muoverci per il pianeta come possiamo.
X il turismo: Se noi guardiamo i flussi relativi agli arrivi turistici internazionali vediamo
una continua crescita a partire degli anni 50 del 900 ma una vera e propria impennata negli
ultimi decenni.
Cosa si intende con globalizzazione del fenomeno urbano?
In molti paesi in via di sviluppo si sta assistendo alla formazione delle MEGA CITTA’
quindi forte crescita del processo di urbanizzazione che porta ad una dimensione
maggiore delle metropoli.
È un fenomeno che riguarda paesi in via di sviluppo, es. città cinesi, non riguarda più il
mondo occidentale, dove le città non crescono quasi più.
Per noi il processo di urbanizzazione ha avuto il suo massimo sviluppo dalla rivoluzione
industriale, si è intensificato negli anni 50-70 del secolo scorso e poi si è assestato; quindi
una diffusione del fenomeno urbano ad altri paesi che non siano però quelli occidentali.
LA GLOBALIZZAZIONE HA TANTE DIMENSIONI.
Parliamo ora di globalizzazione dell’economia:

TRAIETTORIE TECNOLOGICHE
SCENARI ECONOMICI
SCENARI GEOPOLITICI

TECNOLOGIE IMPRESE ORGANIZZAZIONI


E POLITICHE MULTINAZIONALI SOVRANAZIONALI

TRASPORTI
DIVISIONE
ICT POLITICHE
INTERNAZIONALE
LIBERALIZZAZIONE
Partiamo dall’analisi della slide: DEL LAVORO
la globalizzazione come ultima fase è resa evidente dalla intensificazione del
commercio internazionale e dall’estensione di queste reti di scambio che coinvolgono
sempre più paesi, e paesi che erano in realtà al margine nella seconda fase come l’asia.

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Queste TRE DIMENSIONI DELLA GLOB DELL’ECONOMIA, diventano 3


indicatori attraverso i quali cerchiamo di dimostrare il fenomeno della globalizzazione
dell’economia.
In questo senso i nostri flussi di importazioni e esportazioni ci fanno vedere non soltanto
come si muove il commercio internazionale, ma indirettamente ci mostrano che esiste il
fenomeno della globalizzazione e come questo fenomeno cambia nel corso del tempo; lo
stesso, investimenti diretti esteri e flussi finanziari.
Però dobbiamo dare delle spiegazioni di questo processo
Di motivi ce ne possono essere tanti però noi andremo a concentrarci su quegli aspetti
che spiegano la globalizzazione dell’economia ma che sono più legati al commercio
internazionale, quindi che spiegano l’andamento del commercio estero, e sono questi 3:
1- Sviluppo dei trasporti e delle nuove tecnologie
2- Divisione internazionale del lavoro
3- Politiche di liberalizzazione commerciale
Di queste tre cause che spiegano lo sviluppo del commercio estero e che sono tre processi
che spiegano la globalizzazione dell’economia, il nostro manuale si sofferma sulla nuova
DIVISIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO- chiave di lettura che si collega
anche alle altre due dimensioni.

Perché è la chiave?
Effettivamente il fatto che la produzione sia frammentata ti mette poi in funzione questi
flussi commerciali, non viaggiano più solo i prodotti, o poche parti di prodotto.
Oggi sotto i flussi del commercio internazionale vediamo tutte le componenti e non solo
il prodotto.
La nuova divisione del lavoro ha un forte impatto sul commercio internazionale, certo
però che non possiamo considerarla separatamente rispetto a queste due dimensioni,
perchè possibile andare a localizzare parte della produzione all’estero e poi portarla nel
luogo di assemblaggio, è possibile se ci sono anche degli sviluppi nel settore dei trasporti
che ci permettano di trasportare velocemente questi prodotti o componenti ma
SOPRATTUTTO A BASSO COSTO, quindi dev’esserci riduzione del costo del
trasporto.

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Se muovere un prodotto comporta dazi elevati o altre barriere, questa divisione


internazionale del lavoro non si potrebbe realizzare.
Andando indietro, dobbiamo vedere altri processi che stanno dietro a questi 3 blocchi, o
dei soggetti tipo le imprese.
C’è tutto un discorso sull’innovazione tecnologica nel settore dei trasporti; il ruolo che
hanno le politiche nel settore dei trasporti.
Dietro alla divisione internazionale del lavoro ci sono: le imprese multinazionali, soggetto
che ha dato origine e che organizza queste reti di divisione internazionale del lavoro-
produzione.
Però la caratteristica di questa fase della globalizzazione, partecipano le multinazionali ma
anche TANTE IMPRESE CHE NONO MULTINAZIONALI.
Dietro le politiche di liberalizzazioni abbiamo il ruolo delle grandi organizzazioni
sovranazionali, ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO, wto.
Al di sopra di questi processi noi dobbiamo fare riferimento a dei cambiamenti che sono
di carattere generale ma che condizionano l’organizzazione del territorio, e condizionano
le relazioni spaziali; sono fenomeni più ampi sono le grandi traiettorie tecnologiche, gli
scenari economici più vasti e gli scenari geopolitici.
Traiettorie tecnologiche ci sono delle innovazioni tecnologiche che hanno cambiato
il corso della storia; hanno comportato una fase nel percorso storico e hanno messo in
atto una serie di cambiamenti che si sono trasferiti dal piano tecnologico, al piano politico,
alla organizzazione del territorio, e alla organizzazione spaziale.
Es. invenzione della macchina a vapore è stata una invenzione rivoluzionaria.
La prima riv industriale si è messa in moto dopo la scoperta della macchina a vapore,
questa prima innovazione i cui effetti li abbiamo visti per tutto 800 e per parte del 900, ha
determinato un cambiamento nel modo di produrre, è NATO IL MODO DI
PRODUZIONE INDUSTRIALE, ha cambiato l’organizzazione del territorio perchè ha
messo in moto il processo di urbanizzazione, poi l’elettricità che ha cambiato il corso della
storia e nel 900 il modo di produzione fordista ha intensificato certi processi, come il
processo dell’urbanizzazione che via via ha dato vita a nuovi sviluppi, e infine la
rivoluzione informatica.
Oggi si dice che siamo in una quarta rivoluzione industriale, partita nell’ultimo decennio,
internet che collega le macchine tra loro, gli uomini alle macchine apre nuove
prospettive nell’ambito della produzione e vita.
Quando parliamo di traiettorie tecnologiche parliamo di processi rivoluzionali che non
riguardano solo i trasporti e il commercio estero, riguardano la storia dell’umanità stessa.
Es. crisi eco 2007-8, è un fenomeno prodotto su scala globale e ha investito tutti i paesi,
ha cambiato la partecipazione delle imprese ai processi di divisione del lavoro, ha
cambiato le politiche di liberalizzazione.
Questa crisi ha avuto un effetto di contrarre gli scambi commerciali almeno per gli anni
successivi alla crisi.
Scenari geopolitici: hanno impatto su tutti i nostri processi.
Iniziamo ora a parlare del commercio internazionale

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Il commercio è un’attività sempre esistita, è da sempre presente già dalle sue forme
primitive, es. baratto.
Però è dalla rivoluzione industriale che si è aperta un’epoca di traffici commerciali
soprattutto sulle materie prime dirette alle grandi regioni industriali.
Questo grafico parte dalla metà del 800, vediamo una crescita significativa nel secondo
dopo guerra e soprattutto negli anni 80 e 90.
Vediamo cosa succede nel periodo successivo in che fase siamo:
Se noi ragioniamo in termini di decadi, prendiamo gli inizi del 2000 fino al 2010, e dal
2010 al 2019, ancora il commercio internazionale cresce, però in parte è vero il fatto che il
commercio internazionale continua a crescere però non cresce più con la stessa intensità
con cui cresceva in passato.
Questo per dire che anche se è eccessivo parlare di deglobalizzazione, certamente un
rallentamento c’è stato, tutti i fenomeni hanno una fase di forte espansione e poi si
assestano.
I nostri dati si fermano al 2019.

Andamento del commercio mondiale di beni


(2003-2019) miliardi di $

Tornando al nostro ragionamento sull’evoluzione del commercio internazionale: se


guardiamo di anno in anno è una crescita che però subisce delle battute d’arresto.

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Quando analizziamo il commercio internazionale su questa scala globale, diciamo


commercio ma in realtà facciamo riferimento alle esportazioni mondiali.
Per il periodo 2003-2019 sono dati in valore, espressi in miliardi di dollari.
I flussi commerciali li possiamo vedere in valori o volumi, ma li vediamo più in valore.
Sui valori condiziona il valore le quantità di beni scambiati ma anche i prezzi.
Altra cosa, le fonti dei nostri dati, chi ce li da’? Ce li da la WTO, l’organizzazione
mondiale del commercio che ha una sezione statistica che sono ufficiali.
Come vengono calcolati i dati? La Wto oggi ci da i dati sul commercio internazionale, ma i
singoli paesi li conferiscono alla Wto relativamente al loro paese.
I dati statistici sono sempre imprecisi, soprattutto se i dati sono viziati all’origine, siccome
sono i singoli paesi a darli alla Wto.
Nella slide per la prima volta la crescita del commercio internazionale nel 2008 subisce
una caduta, poi c’è una ripresa, una crescita e poi di nuovo una caduta- dovuta alla caduta
dei prezzi del petrolio, Di nuovo una ripresa e una piccola contrazione.

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Terza Lezione- 7 Ottobre 2020


Riferimento all’ultimo grafico della seconda lezione.
Composizione delle esportazioni di merci (1950, 2008, 2015) (valori percentuali)
Tipologia 1950 2008 2015
Prodotti agricoli 47 8,5 10
(Agricultural products)

Carburanti e prodotti minerari 15 22,5 18


(Fuels and mining products)

Prodotti manifatturieri 38 66,5 70


(Manufactures)

Un altro aspetto che è cambiato nel periodo più recente è anche La composizione dei
flussi di merci, perché guardando lo schema fino alla seconda gm, le esportazioni erano
formate dai prodotti agricoli, quasi 50% dei flussi di merci; questa quota è poi scesa nel
periodo delle globalizzazioni, oggi è la parte meno importante.
Ciò che è cresciuto è il commercio di prodotti manufatturieri nascono paesi di nuova
industrializzazione.
Quelli che noi vediamo nella cat. Prodotti manifatturieri, se fino agli anni 70 erano
prodotti finiti, oggi oltre ad essi abbiamo i semilavorati, componenti che vanno a
alimentare queste grandi catene di produzione frammentate su scala globale.
È questo che sta dietro al commercio di quelli che noi chiamiamo prodotti manufatturieri-
sono prodotti intermedi e le componenti che poi vengono scambiate.

Andamento del commercio mondiale di beni e servizi


(2003-2019) miliardi di $
25000

20000

15000

10000

5000

0
20032004200520062007200820092010201120122013201420152016201720182019

Serie1 Serie2

Facciamo ora riferimento ai servizi.

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Prendiamo nuovamente il grafico analizzato precedentemente e aggiungiamo i servizi, che


sono le barre in arancio, ovvero quelle più basse.
Anche se le qta sono molto diverse, il trand è simile, quasi uguale a quello della dinamica
delle merci, perché noi vediamo un aumento del commercio di servizi fino al 2008, la crisi
economica si ripercuote non solo sullo scambio di beni ma anche sullo scambio di servizi.
L’andamento dei servizi, riflette le dinamiche più generali dell’economia su scala globale.
Che cosa è diverso?
Sono diverse le dimensioni di questi scambi, perché per i servizi arriviamo a poco più di 6
mila miliardi di dollari, mentre per le merci 19 mila miliardi.
Che cosa si scambia nell’ambito dei servizi?
Servizi che riguardano: turismo, trasporti, comunicazioni, servizi finanziari, e il resto della
produzione immateriale.
I servizi sono meno mobili delle merci, spesso nella fornitura del servizio è richiesta la
vicinanza all’acquirente, molto più che nell’industria si spiega così questa differenza nei
valori, nel momento in cui le nostre economie sono diventate economie dei servizi,
terziarizzate.
Quote di mercato sulle esportazioni mondiali di merci per area geografica

Cerchiamo di capire ragionando in termini di esportazioni, quali sono le aree che


influiscono di più nell’ambito del commercio internazionale lo possiamo fare
analizzando le quote di mercato sulle esp mondiali di merci per macroaree geografiche.
2019- se noi sommiamo le prime 3 quote di mercato, ue asia orientale e ame sett-
arriviamo ad un valore che supera il 76%  vuol di re che il comm internazionale è
dominato da un numero ristretto di are- ovvero la TRIADE.
In questa triade, i singoli paesi hanno un peso diverso, le macroaree all’interno sono
differenti.
Che cosa osserviamo inoltre in questa slide?
Nel corso del tempo, 3 annate significative, nel passaggio a queste tre date noi vediamo
come cambiano le quote di mercato. Ovvero la quota di mercato dell’ue diminuisce
soprattutto in questo ultimo decennio; lo stesso per quanto riguarda gli USA, in maniera
meno evidente; la vera novità riguarda l’asia orientale, ma non ci sorprende se pensiamo
alla Cina.
Vediamo lo spostamento del BARICENTRO ECONOMICO, da quello che erano i due
poli da america e eu verso l’asia, che è partito con la globalizzazione e arriva fino ad oggi.
Ora vediamo i paesi più nel dettaglio:

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PAESI 2003 2019


Cina 5,8 13,3
Stati Uniti 9,6 8,8
Germania 9,9 7,9
Giappone 6,2 3,8
Paesi Bassi 3,9 3,8
Francia 2,6 3,0
Corea del Sud 5,2 2,9

Hong Kong 3,0 2,9


Italia 3,9 2,8
Regno Unito 2,4 2,5
L’asia orientale fa riferimento soprattutto la Cina, la sua quota è cresciuta molto.
È diminuita la Germania; e noi siamo comunque tra i primi 10 paesi esportatori, anche la
nostra quota di mercato si è ridotta in maniera evidente.

Per dare una lettura ancora più geografica dei nostri scambi globali guardiamo questa
figura:

Ci mostra la rete di quelli che sono le principali direttrici degli scambi globali.
Le frecce sono di dimensione proporzionale al volume degli scambi.
L’asia è rappresentata complessivamente, e l’asia centrale non partecipa ai grandi flussi
commerciali della globalizzazione.
All’interno delle ellissi sono rappresentati gli scambi interni delle macroaree.

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Anche se noi andiamo a vedere le direzioni, e l’intensità dei flussi si delinea sempre UNA
STRUTTURA TRIPOLARE- LA TRIADE, tra i poli della triade vediamo che gli scambi
sia in termini di impo e esco, sono molto più fitti rispetto al resto del mondo. C’è un’area
che fa eccezione: medio oriente verso l’asia: sono materie prime, carburanti e petrolio che
vanno in sostanza ad alimentare la grande crescita dei paesi asiatici, ovvero della CINA.
Altri flussi: i flussi inferiori ai 40 miliardi di dollari, non sono stati rilevati.

Questi cerchi rappresentano le quote di mercato dei singoli paesi, più l’area del cerchio è
grande e più la quota di mercato è grande.
Ci sono queste frecce con le quali Confindustria ha voluto rappresentare i rapporti fra i
paesi; quindi anche se siamo più avanti nel tempo, perché la slide è del 2012, questo non
cambia la configurazione degli scambi internazionali, c’è sempre una triade: eu occ, stati
uniti e asia.
All’interno dei poli di questa triade ci sono dei paesi che spiccano, che hanno un ruolo più
importante, hanno un maggior numero di partner commerciali, convogliano il maggior
numero di traffici- francia, spagna, stati uniti, canada e cina ecc.
Questo grafico ci da il colpo d’occhio rispetto alle tabelle.

Lasciamo l’ambito del commercio internazionale per prendere la strada della


globalizzazione dell’economia- nello specifico gli investimenti diretti esteri.
Componenti del commercio internazionale: flussi di importazione e esportazione.
Investimenti diretti esteri DEFINIZIONE:
in linea generale gli IDE sono una misura del processo di globalizzazione dell’economia,
sono espressione del crescente potere delle imprese multinazionali, e sono il fattore che
ha rivoluzionato la geografia economica mondiale negli ultimi decenni.
Def: sono flussi di investimenti effettuati da soggetti, investitori, in paesi diversi rispetto a
quelli in cui è insediato il centro della loro attività.
Investimenti finalizzati alla acquisizione di partecipazioni durevoli in un’impresa straniera,
o alla costituzione di una filiale all’estero.

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Smontiamo questa def:


si dice che L’IDE viene fatto in un paese straniero- ma ciò non è esaustivo se devo
spiegare.
Concretamente gli ide vanno a individuare tutte le operazioni che vengono chiamate di
fusione e acquisizione ESSI SONO INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI.
Def di investimenti Brown Fields:
concetto di partecipazione durevole implica che sia una relazione di lungo periodo tra
investitore e azienda, e dev’esserci un effettivo grado di coinvolgimento dell’investitore
per il management e la definizione delle strategie d’impresaQuesto criterio viene
soddisfatto quando si entra in possesso di almeno il 10 % delle azioni ordinarie della
società che viene acquisita o di una quota analoga del potere di voto.
L’investimento non dev’essere di carattere speculativo, e che ci sia un interesse verso le
strategie d’impresa.
Investimenti Green Fields:
consistono nella costituzione di una filiale all’estero, non si acquisisce un’impresa già
esistente ma si va a creare una propria filiale.

Perché vengono fatti questi IDE?


Un’impresa può fare un’ide, ovv acquisire partecip in 1 altra impresa o aprire filiale ex
novo, perché cerca un nuovo mercato di sbocco per i propri prodotti.
Se io cerco un mercato di sbocco che soluzioni ho?
- Esportazioni
- IDE
Nel secondo caso, c’è un’operazione di sostituzione delle esportazioni, in questo caso
l’operazione non va a incrementare il commercio internazionale o va ad incrementarlo
solo marginalmente, ad es. se mi porto le mat pr dal paese d’origine però per il
prodotto non si crea un flusso di esportazione; questo è un caso in cui la relazione da
IDE e comm internazionale non va ad incrementare le esp.
Questo è un tipico esempio degli IDE ORIZZONTALI.
Ci sono anche IDE VERTICALI: es:
prendiamo una multinazionale che vuole produrre all’estero per abbattere il costo di
produzione, ma che poi vende il suo prodotto nel mercato nazionale.
In questo caso l’ide va a incrementare il commercio internazionale, perché nella maggior
parte dei casi questa impresa si porta mat prime, o macchinari, ma soprattutto perché il
prodotto finito ritorna nel paese d’origine di impresa si incrementano flussi del comm
int torniamo al meccanismo della divisione internazionale del lavoro.

L’ide non è l’unico sistema per incrementare poi il meccanismo della divisione del lavoro
e il commercio internazionale.
È una modalità praticata dalle grandi imprese multinazionali.
Però questi processi di divisione del lavoro, lo può fare senza ide anche un’impresa di
medie dimensioni, ricorrendo ad esempio alla subfornitura internazionale-
delocalizzazione della produzione- anche questo incrementa il comm internazionale,
anche senza IDE.
Anche gli IDE si suddividono in flussi in uscita e flussi in entrata

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Partiamo da una data più vicina a noi


Andamento degli investimenti diretti esteri 1970-2019
(valori in miliardi di $)
2500

2000

1500

1000

500

0
1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2019

Questa curva:
vediamo una prima crescita consistente-1990- e impennata nel periodo successivo, poi
una caduta agli inizi del 2000, poi altra impennata, e più vicino a noi una nuova caduta.
A differenza del commercio int, l’IDE è prevedibile nella prima fase, oggi questo
andamento è molto meno prevedibile e frammentato rispetto al commerciale, cadute e
riprese più evidenti.
Andamento degli investimenti diretti esteri 2003-2019
(valori in miliardi di dollari)

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2500
Fonte: elaborazioni su dati UNCTAD
2000

1500

1000

500

0
2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019

Crisi eco: forte effetto sul comm int, e ancora di più sugli IDE.
Su questi andamenti incidono le dinamiche più ampie dell’economia, e anche le grandi
operazioni di fusione e acquisizione tra colossi.
Dobbiamo tenere conto di tutti questi elementi che condizionano lo sviluppo degli IDE.

Dove vanno gli IDE? Verso quali aree e quali paesi?


Paesi che ricevono o paesi che effettuano ide?
Investimenti diretti esteri in entrata per area 2008 e 2019
(milioni di dollari)
500000
450000
400000
350000
300000
250000
200000
150000
100000
50000
0
UE AMERICA ASIA EUROPA AMERICA MEDIO AFRICA ASIA ALTRI
SETT. ORIENT. NON UE CENTRO ORIENTE CENTR.
MERID.

2008 2019

Questo grafico sfata una convinzione che non corrisponde alla realtà, cioè che gli IDE
vadano verso i paesi in via di sviluppo.
Non è proprio cosi, in questo grafico la quota più consistente di IDE, va ancora
nell’unione europea.

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L’UE ha incrementato la sua cap di attrarre ide, sono diminuiti gli ide verso gli usa, e sono
aumentati verso l’asia orientale.
Gli altri paesi catalizzano una quota più marginale degli IDE.
Anche nell’ambito dei flussi in entrata degli IDE, si definisce la triade.

Cosa succede per gli IDE in uscita?


800000
700000
600000
500000
400000
300000
200000
100000
0
UE AMERICA ASIA EUROPA AMERICA MEDIO AFRICA ASIA CENTR. ALTRI
SETT. ORIENT. NON UE CENTRO ORIENTE
MERID.

2008 2019

Per gli IDE in uscita, la situazione dell’UE è invertita rispetto al grafico precedente, nel
passaggio dal 2008 al 2019 le imprese europee investono poco nei confronti dei paesi
stranieri, lo stesso per quanto riguarda gli usa; mentre la Cina non è più solo un paese che
attrae gli IDE, anche le imprese realizzano IDE, un po’ in tutti i settori.
Avendo visto anche i valori degli anni prima al 2019, questo è un po il trend.
Un altro aspetto del fatto che il baricentro dello sviluppo economico si stia spostando,
includendo altri poli.

Slide- situazione al 2008.


vediamo i paesi verso cui sono riferiti gli IDE.
Se guardiamo l’ingresso, UE e USA, hanno perso un po’ questa capacità attrattiva, ma se
guardiamo per singoli paesi, il paese che più attrae ide rimane gli usa, seguito dalla cina.

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Alla cina dovremmo poi aggiungere Hong Kong, che ha una legislazione diversa.

Primi dieci paesi per volume degli investimenti diretti esteri in entrata
2019 (milioni di dollari)
Slide- 2019  Troviamo sempre usa e cina.
USA
CINA
SINGAPORE
PAESI BASSI
IRLANDA
BRASILE
HONG KONG
RU
INDIA
CANADA

0 50000 100000 150000 200000 250000 300000

Investimenti in uscita: 2008

Sono di nuovo gli usa, e poi i principali paesi occidentali e il Giappone che
geograficamente è un paese dell’asia orientale ma come dinamiche di sviluppo non ha
niente a che fare ne con la cina ne con la corea del sud, perché il suo sviluppo economico
è partito prima e ha delle dinamiche economiche proprie.
La cina, pur essendo un paese che realizzava IDE in uscita, preferiva attrarre ide e non
farli, era un ruolo tipo: cina fabbrica del mondo; era il luogo in cui tutti i paesi occidentali
andavano a produrre.

Investimenti in uscita: 2019


Per il 2019 al primo posto vediamo il Giappone. La Cina sta scalando la classifica, si sta
portando fra i primi paesi, non è più un paese in cui gli altri vanno a produrre per
abbattere il costo del lavoro, ma è un paese che a sua volta ha sviluppato un ruolo attivo
nello scenario della globalizzazione.

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GIAPPONE
USA
PAESI BASSI
CINA
GERMANIA
CANADA
HONG KONG
FRANCIA
COREA S
SINGAPORE

0 50000 100000 150000 200000 250000

Tante delle imprese che esportano e che vanno sui mercati internazionali non sono le
classiche multinazionali o le imprese private occidentali, ma sono dei colossi controllati
dallo stato. Quindi in cina l’apertura agli IDE stranieri, al capitalismo, ha assunto delle
connotazioni particolari e specifiche di questo paese.

. TRASPORTO INTERMODALE E INTERPORTI.


CASO STUDIO: IL «QUADRANTE EUROPA»
Fino ad ora:
analizzato flussi commerciali e ide; abbiamo visto la globalizzazione dell’economia con i
suoi parametri principali flussi e ide; ora comprendiamo le cause di questo processo.
Trasporti e trasferimento degli input immateriali quindi comunicazioni:
- vedremo il rapporto tra trasporti e territorio, analizzando le diverse scale geografiche; il
nostro ragionamento è sempre TRANSCALARE, li vedremo sia a scala globale che a
scala locale
- ci soffermeremo sulla grande rivoluzione dei trasporti che ha cambiato non soltanto le
tecnologie ma anche il modo di organizzare i trasporti; è una rivoluzione che si mette
in atto nel secondo dopo guerra, e incide sulle dinamiche della globalizzazione.
- Aspetti più importanti che analizzeremo: le intermodalità e la logistica
- Analizzeremo un caso studio: -il quadrante Europa- di Verona; cerchiamo di vedere
nella realtà dei nostri territori questi fenomeni più generali.

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Principali innovazioni nei trasporti: non sono innovazioni puramente tecnologiche ci


interessano di più quelle organizzative, perché hanno cambiato il modo di trasportare le
merci su scala globale.
Dovremmo dare attenzione anche alle politiche dei trasporti perché tutte le innovazioni
non servono a nulla se poi non ci sono delle azioni da parte dei governi o delle singole
amministrazioni locali che predispongono ad esempio le reti, o che creano le condizioni
per tutto ciò.

I trasporti hanno importanza in se come settore economico, svolgono un ruolo chiave


all’interno delle economie nazionali.
Non dobbiamo pensare solo alle attività che presiedono alle circolazioni, ci sono una serie
di settori che intervengono in una logica di filiera.
Quando parliamo di trasporti, parliamo anche di industria, perché nella filiera ci sono
anche le attività di costruzione dei mezzi di trasporto e costruzione delle reti.
Ci sono poi tutte le attività di installazione degli impianti e di manutenzione delle reti di
trasporto, attività che hanno a che fare con la circolazione; tutte le attività che riguardano
la gestione delle infrastrutture di trasporto, intese non soltanto come vie di trasporto ma
anche come nodi in cui convergono queste infrastrutture; i nodi sono staz ferroviarie,
porti, interporti, aeroporti.
C’è tutta la logistica, che organizza i flussi.
Una filiera cosi complessa comporta che il settore dei trasporti generi tanti posti di lavoro,
diretti o indiretti, e comporta che questo settore attragga tanti investimenti, di natura sia
pubblica che privata.
L’importanza di questo settore la vediamo anche nel pil, hanno una quota dal 7 al 10% del
pil.
Per arrivare al territorio diciamo che i trasporti non sono solo un settore a se, ma sono il
tramite che consente il funzionamento di tutte le altre attività economiche; senza trasporti
non esisterebbe l’industria, ma nemmeno il turismo.
Lo sviluppo dei trasporti è legato alle innovazioni, perché ogni grande fase di crescita
economica è sempre stata accompagnata da un parallelo sviluppo dei mezzi di trasporti e
delle comunicazioni.
La rivoluzione industriale ha potuto diffondersi perché è stata accompagnata da uno
sviluppo parallelo della ferrovia e della navigazione- ha aumentato l’aumento delle
relazioni su scala globale.
Se guardiamo i primi decenni dopo la 2 gm, in Europa, la motorizzazione per il
trasferimento delle merci su grande scala hanno accompagnato il periodo di grande boom
economico, anni 60 fino a meta anni 70.
I trasporti hanno una capacità di modificare il territorio, e questa capacità è diventata
ancora più forte negli ultimi decenni, vediamo l’effetto di una ondata di innovazioni,
partita negli anni 60 ma che è arrivata a maturazione più tardi.
Dobbiamo parlare anche delle comunicazioni a distanza: sviluppo che hanno avuto le
telecomunicazioni con lo sviluppo dell’informatica e telematica: terza rivoluzione-
avvento di internet.

Da qui parliamo di quali trasformazioni ci occupiamo in particolare:

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l’effetto delle innovazioni è evidente su scala globale perché tutti questi sviluppi hanno
determinato una intensificazione delle relazioni spaziali, diventata evidente nella nostra
epoca.
si sono susseguite una serie di innovazioni importanti che hanno portato ad un’ulteriore
intensificazione delle relazioni spaziali questo fenomeno lo vediamo nel commercio
internazionale; si intensificano le relazioni orizzontali, le vediamo bene in questo ambito e
hanno prodotto la convergenza spazio temporale- i luoghi si sono avvicinati, in realtà le
distanze restano tali, ma è cambiata la distanza funzionale, si è ridotta la distanza tra i
luoghi in termini di tempi di percorrenza e costi di trasporti.
Tutte queste innovazioni hanno intensificato relazioni e prodotto convergenza spazio
temporale- perché hanno determinato una riduzione dei tempi e costi di trasporto sulle
lunghe distanze.
Ma questa convergenza spazio temporale, riguarda tutti paesi? No, ci sono dei paesi che
ancora non hanno accesso a questi sviluppi tecnologici, non esiste neppure una rete di
trasporti cosi capillare e diffusa come esiste nei paesi economicamente avanzati.
Non è solo la scala globale che dobbiamo guardare, dobbiamo scendere a piccole scale,
perché tutte queste innovazioni hanno condizionato anche le economie locali. C’è un
rapporto di circolarità tra sviluppo del territorio e sviluppo dei trasporti, perché noi ci
troviamo in una situa in cui si sviluppano i trasporti e questo determina uno sviluppo
dell’economiac’è un rapporto di causa effetto, e mano a mano che lo sviluppo
economico procede, questo rapporto diventa sempre meno causa effetto e sempre più
circolare, perchè nel momento in cui si mette in moto un processo di sviluppo economico
dopo una fase di modernizzazione delle infrastrutture, succede che questo territorio
esprime a sua volta una nuova domanda di trasporto, quindi stimola un’ulteriore crescita
del settore dei trasporti.
E se noi guardiamo andando a vedere le politiche e non solo le innovazioni, nel momento
in cui le politiche regionali hanno cercato di stimolare lo sviluppo economico di aree che
erano in ritardo, hanno pensato a infrastrutturare il territorio, con reti, nodi e sistemi di
trasporti moderni.
Lo sviluppo dei trasporti quindi è la precondizione.

Quarta Lezione:
dovremo parlare di telecomunicazioni di questo settore, perché parte del commercio oggi
non è più un commercio di beni che prevede la movimentazione di beni fisici, ma è e-
commerce commercio digitale, che non prevede lo spostamento fisico.
Rapporto tra trasporti e ambiente:
fino a questo momento abbiamo parlato di trasporti e territorio in maniera positiva; ad
ogni innovazione nel settore dei trasporti è coinciso una intensficiazione di relazioni su
scala globale e a llivello locale vediamo un aumento dello sviluppo, però non abbiamo
considerato degli aspetti negativi che riguardano in realtà l’ambiente perché il settore dei

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trasporti è uno dei settori a più forte impatto ambientale, emette tanto co2, è responsabile
insieme all’industria e ad altre attività produttive del cambiamento globale, global change.
La geografia dei trasporti ha una sua terminologia, parliamo di reti, nodi, assi e
corridoi/direttrici.
Cosa sono le reti?

Insieme di elementi lineari, che sono i collegamenti, e di nodi; ovvero i centri in cui questi
collegamenti si incrociano e che organizzano i flussi di traffico, che ovviamente già
guardando questa rappresentazione, i nodi coincidono con le città di una certa
dimensione.
Gli assi sono i collegamenti più importanti.
Differenza tra assi e direttrici/corridoi: se gli assi li def come collegamenti importanti, le
direttrici sono gli assi che hanno un’importanza ancora maggiore, perché realizzano i
collegamenti internazionali.
Nel caso specifico della ferrovia è segnata in rosso la linea ad alta velocità.
La rete ci rappresenta non solo l’organizzazione dei trasporti di un paese ma possiamo
scegliere anche a scale minori, ad esempio:

metro di Milano.
Terzo esempio: rete ferroviaria cinese dove noi troviamo le linee ad alta velocità, quelle in
blu, verde e rosso:

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Le linee dove la velocità supera i 300 km/h non sono moltissime; poi ci sono linee di
nuova costruzione con velocità che va dai 200 ai 299 km/h.
Ci sono linee tradizionali, in rosso, adeguate per l’altra velocità, e in grigio troviamo
collegamenti convenzionali, non fanno il servizio ad alta velocità.

Già guardando l’assetto-organizzazione di una reta ferroviaria, io vedo quelle che sono in
un paese le aree a più forte sviluppo economico, che sono quelle più infrastrutturate.
In un paese come la Cina, questi divari nello sviluppo economico, territoriale, sono molto
evidenti, perché dalla mappa si vede che l0infrastrutturazione ferroviaria dell’alta velocità
è concentrata nella parte orientale del territorio, e si spinge all’interno solo nella parte sud;
perché lo sviluppo della ferrovia ha accompagnato lo sviluppo economico della Cina.
Questo sviluppo non tocca tutto il paese, ma riguarda alcune parti.
Verso interno parte nord: collegamento ad alta velocità ma fino ad un certo punto.
In tutta la parte centrale-ovest: è poco infrastrutturata per quanto riguarda le linee veloci.
Già guardando l’assetto delle reti vedi i divari all’interno del paese.
Nei paesi più omogenei dal punto di vista economico, questo divario è meno visibile.

Ora parliamo dell’innovazione:

Le innovazioni nel settore di trasporti sono di due tipi:1 e 2.


Questa serie di innovazioni si è intensificata dopo la metà del secolo scorso, e riguarda
tutti i sistemi di trasporti, tutti i sistemi di trasporto, anche quelli più lenti hanno
comunque registrato un aumento della velocità che ha ridotto i tempi di percorrenza.
Si è rivoluzionato il trasporto ferroviario, aumentandone la velocità tanto che su alcune
tratte di medio raggio è diventato competitivo con l’aereo.

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Più difficile pensare all’aumento della velocità sul trasporto navale, che rimane la forma
più lenta, nonostante innovazioni sulle navi commerciali, che per carità sono più veloci
rispetto a quelle di una volta.
È aumentata la capacità di carico, abbiamo delle navi più grandi, diverse come
caratteristiche, tanta merce non si porta più in stiva, ma hanno un piazzale dove vengono
impilati i container.
L’aumento della capacità di carico ha comportato una diminuzione dei costi di trasporto
perché consente delle economie di scala.

Andiamo a vedere delle innovazioni organizzative, anche se molte di queste partono da


un carattere tecnico:
e ci occuperemo di: INTERMODALITA’ E LOGISTICA.
L’intermodalità ha avuto lo stesso effetto, ovvero di avere ricadute positive in termini di
tempi, percorrenza e costi di trasporto.
Intermodalità invenzione e diffusione di sistemi standardizzati per confezionare e
trasportare la merce, il più noto di questi sistemi è il container.
Tutti questi sistemi standardizzati di confezionamento chiamate: unità di trasporto
intermodale- uti.
Non abbiamo solo il container ma anche la cassa mobile, però è più leggera, meno rigida,
non può essere impilata come si fa con i container.
Un terzo di uti: è il semirimorchio- collegato direttamente al mezzo stradale o trasferito
sul carro ferroviario.
Perché è così importante l’invenzione del container o dell’UTI?
Perchè la containerizzazione ha prodotto delle conseguenze importanti:
CONTAINERIZZAZIONE - CONSEGUENZE
• Unitizzazione dei carichi: consente di organizzazione dei carichi in «pezzi uguali»,
ovvero riconducibili ad alcune dimensioni standard, che sono stabilite da organismi
di carattere internazionale.
• Velocizzazione delle operazioni di carico/scarico delle merci; perché
semplicemente si trasferisce il container, si eliminano le operazioni intermedie che
facevano perdere tempo; non devono essere standardizzati solo gli UTI, anche tutti
i mezzi di trasporto devono essere standardizzati.
• Intermodalità: non è una nuova tecnica di trasporto, ma è un nuovo approccio che
prevede l’utilizzo integrato dei singoli sistemi di trasporto per consentirne l’uso
ottimale, sfruttando le caratteristiche specifiche di ciascuno di essi. Con
l’intermodalità siamo passati da un utilizzo autonomo dei singoli sistemi di
trasporto, ad un utilizzo di tipo INTEGRATO.
PAROLE CHIAVE PER RICORDARE L’INTERMODALITA’
1. Standardizzazione, dei carichi e mezzi di trasporto
2. Integrazione, dei diversi sistemi o diverse tipologie di trasporto.
Intermodalità: è considerata il più grande fattore di integrazione della circolazione delle
merci nella storia; è stata paragonata alla catena di montaggio nell’industria.
Dove si sono diffusi prima i container, inventato negli USA negli anni 50?
Prima nel trasporto via mare, prima sulle grandi rotte transoceaniche, anni 60.

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A partire dalla metà degli anni 70 troviamo questi container anche nel mediterraneo;
l’intermodalità terra mare è quasi un cambio di modalità obbligatorio.
Quando nei porti è entrata l’intermodalità- quindi container- tutte le operazioni di mezzo
sono state eliminate; si trasferisce il container sulle grandi portacontainer; al massimo c’è
un periodo in cui questi container sostano nei piazzali del porto, ma non sono i giorni di
attesa che richieda il trasporto navale prima dell’invenzione del container.

TRASPORTO INTERMODALE – DEFINIZIONE data dalla commissione


europea.
• Trasporto che avviene mediante unità di carico standardizzata (container, casse
mobili, o il semirimorchio) che non viene aperta se non a destinazione finale o per
ispezioni doganali (no freight handling- non c’è manipolazione della merce).
• L’unità di carico deve essere trasferita da una modalità a un’altra almeno una volta
tra l’origine e la destinazione; se non ci fosse almeno cambio non potrebbe essere
un trasporto intermodale.
La commissione europea individua una tipologia di trasporto intermodale che è
importante nel caso del trasferimento delle merci all’interno dell’UE, perché è quella che
si usa di più nella sua forma: strada-ferrovia o gomma-rotaia.
• Trasporto combinato: la tratta principale, quella più lunga, deve avvenire
utilizzando una delle seguenti modalità: ferroviaria, fluviale, marittima.
Mentre la tratta iniziale o finale avviene su strada, la tratta principale deve utilizzare queste
modalità.

Il treno è quello che si usa di più all’interno del nostro continente. Merce già sistemata nel
container, poi compie la sua tratta iniziale su strada, dopo di che il mezzo arriva ad un
terminal, nodo, in cui il container viene trasferito sul carro ferroviario.
Compie la tratta principale via ferrovia, arriva ad un altro terminal dove il container viene
ricaricato su un altro mezzo, poi la merce arriva sul mercato.

Cosa sono i terminal?


Sono infrastrutture in cui viene realizzato il cambio di modalità, sono preposte al
trasferimento di queste UTI; sono i porti nel momento in cui la tratta principale avviene
via nave, o interporti ovvero porti interni.

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Altro trasporto combinato:

Il nostro trasporto combinato, gomma-rotaia, si distingue in:


- combinato non accompagnato, viaggia solo l’UTI, che viene trasferito sul carro
ferroviario, e poi trasferito e preso in carico da un mezzo diverso della tratta iniziale;
- combinato accompagnato, viene caricato sul carro ferroviario tutto, viaggia il mezzo il
carico e l’autista.
L’accoppiamento tra combinato accompagnato, accoppiamento tra autotreno e
autoarticolato, viene chiamato anche autostrada viaggiante.
Quando vengono utilizzate le autostrade viaggianti?
Viene utilizzato quando il mezzo deve attraversare dei tratti di strada difficili, oppure
quando deve attraversare dei tratti di territorio in cui sono previste delle restrizioni di
carattere normativo al traffico stradale.
Per non fermare il ciclo di trasporto, certi tratti di strada vengono fatti via ferrovia, visto
che per delle strade ci sono limiti di carattere normativo.

BENEFICI E COSTI DELL’INTERMODALITA’:


i benefici sono di carattere generale:
- Economie di scala, grazia alla maggiore efficienza del trasporto e alla riduzione dei
costi che deriva dal fatto che in un ciclo di trasporto dovresti usare in maniera ottimale
le diverse tipologie di trasporto, in relazione al peso e volume e alla distanza che devo
percorrere; perché ogni tipo di modalità di trasporto ha un diverso rapporto distanza-
peso che la rende più idonea ad effettuare un servizio rispetto ad un altro.
- Minori costi fissi, minori costi di investimento nei mezzi di trasporto perché si
utilizzano più unità di carico e pochi veicoli, e le unità di carico hanno costi inferiori
rispetto ai veicoli.
- Minor Transit time, il trasporto combinato non è soggetto a restrizioni in termini di
orari o festività come avviene per il trasporto stradale.
- Minore rischio di danneggiamento di contenuto, questo perché il container non
viene aperto e diminuisce il rischio di manipolazione, sempre che il trasporto
intermodale sia realizzato da operatori che sanno fare il loro lavoro.
Costi:
- Costi operazioni terminali, ad.es trasferimento dei container, o composizione dei
treni negli interporti.
- Costi organizzazione, è più complesso organizzare un ciclo di rapporto intermodale
che pagare un solo operatore via strada.

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- Aumento tempi viaggio, l’intermodalità di per se velocizza, però se noi consideriamo


che c’è il transito in questi terminal, per quanto veloce possa essere, senza tempi di
sosta, rispetto ad un trasporto unimodale che utilizza solo la strada, chiaro che i tempi
di viaggio si possono allungare.
Normalmente possiamo dire che il trasporto intermodale comincia a diventare
conveniente su distante medie/lunghe; almeno 100 km, diventa efficiente in 400-500
km.
Ci sono dei vantaggi che non sembrano economici, ma lo sono, c’è anche un vantaggio
di natura collettiva nell’utilizzare il trasporto intermodale vantaggio di conseguire
una maggiore SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE.
Trasporto intermodale, sopr se utilizzo la ferrovia che è meno impattante, +
sostenibile rispetto al trasporto stradale.
L’UE promuove l’intermodale, per un vantaggio ambientale e per conseguire il
riequilibrio modale, ovvero oggi in tutta Europa le merci viaggiano principalmente su
gomma-strada, l’obbietto dell’UE è di spostare il traffico merci sulla ferrovia;
toglierebbe dalle autostrade la congestione.

LOGISTICA: connessa all’intermodalità ma è qualcosa di più ampio


• Insieme delle attività che, nell’azienda, riguardano l’organizzazione, la gestione e il
controllo dei flussi di materiali e delle relative informazioni dalle origini presso i
fornitori fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti e al servizio post-vendita
(definizione AIL). Riguarda un po’ tutta la filiera e quindi riguarda i trasferimenti
materiale, ma anche le informazioni, i dati e considera tutte le attività che ruotano
attorno all’azienda.
• Just-in-time; è connesso ai nuovi modi di organizzare il ciclo produttivo stesso di
molte aziende, è una filosofia industriale che ha cambiato il vecchio metodo di
produrre prodotti finiti per il magazzino passando una logica secondo cui va
prodotto solo ciò che è già stato venduto o si prevede di vendere in tempi brevi.
Tutto ciò di cui si serve l’impresa nel processo produttivo, arrivano all’impresa
quando servono, non bisogna tenere scorte o altro; viene alleggerito il magazzino.
Gli input produttivi arrivano quando servono.

Parliamo di nodi:
il trasporto intermodale affinchè funzioni richiede una serie di strutture logistiche perche
organizzano i flussi, ed essi devono transitare ed essere organizzati.
Le strutture logistiche possono essere vecchie come i porti, i porti poi sono cambiati e si
sono adeguati alla nuova logica dei trasporti; ci sono anche delle strutture nate ex-novo
con l’intermodalità interporti, o porti interni.
Nel resto d’Europa per definire queste strutture intermodali, freight villages- città delle
merci.
L’interporto non esaurisce tutta la tipologia di strutture al servizio del trasporto
intermodale che noi troviamo sul nostro territorio, ci sono altre strutture che non offrono
però tutta la gamma di servizi che offre l’interporto.
GLI INTERPORTI, DEFINIZIONE E FUNZIONI:

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Un interporto è una infrastruttura dedicata allo SCAMBIO MODALE-cambio di


modalità; deve però (differenza tra interporto e altre strutture modali) esserci uno scalo
ferroviario che è in grado di assemblare treni completi.
È una struttura inserita in un contesto di grande viabilità, deve dare accesso ad altre reti di
trasporto stradale.

Slide: la legge non è in revisione ma in eterna revisione, perché si è provato a rivedere la


normativa degli interporti nel 2010, si è poi arenato nei meandri delle nuove legislazioni e
non è arrivato a nulla; nel 2018 c’è stata una proposta di legge e attualmente questa
proposta di legge si trova alla camera dei deputati.

Sarebbe riduttivo considerare gli interporti dei terminal intermodali, oggi queste strutture
che esistono dalla metà degli anni 80, si sono evolute e hanno raggiunto un livello di
complessità che non è paragonabile a com’erano prima che svolgevano solo funzione di
terminal.
Oggi l’interporto non promuove solo il trasporto, che è la sua funzione principale, svolge
anche la funzione che riguarda l’impresa del settore dei trasporti e della logistica.
Mano a mano che l’interporto si è organizzato, le imprese che forniscono al cliente questo
servizio di trasporto intermodale si sono rilocalizzate all’interno degli interporti; ciò vuol
dire che avere a disposizione tutta la stessa gamma di servizi che offre un interporto,
aumenta il grado di efficienza e competitività rispetto a delle imprese dello stesso settore
che stanno fuori da queste strutture interportuali.
Per le imprese del settore commerciale cosa vuol dire avere un interporto vicino?
Vuol dire avere dei servizi di trasporto specializzati vicino.
Serve soprattutto a chi esporta a chi colloca i propri prodotti sul mercato del nord
Europa, un vantaggio che aumenta l’efficienza delle imprese e per certi aspetti ne riduce i
costi.
Gli interporti dovrebbero avere un’altra funzione: ridurre-velocizzare la congestione dei
flussi che vanno verso le città.
Spesso l’interporto organizza il trasporto su ampio raggio, manca l’organizzazione della
logistica dell’ultimo miglio, che porta il prodotto finito direttamente ai clienti finali city
logistic.
Organizzare= oggi la consegna delle merci nelle città è disorganizzata e quindi questi
flussi di traffico vanno ad interferire con altre tipologie di traffico urbano che si

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incrociano in certe ore della giornata, dovrebbero organizzare in maniera tale da non farle
incrociare con altri tipi di traffico.
Alcuni interporti hanno anche la funzione di city logistic.
Questi interporti- città delle merci, oltre ai servizi dell’intermodalità offrono un’ampia
gamma di servizi di cui gli operatori e imprese si servono.

SERVIZI OFFERTI DA UN INTERPORTO:


- Servizi alle merci: terminal intermodale, dogana, servizio di magazzinaggio,
controllo qualità delle merci, etichettatura, imballaggio, confezionamento.
Ci sono imprese quindi che non vogliono solo il trasporto, ma vogliono anche tutto
ciò.
- Servizi ai mezzi: rifornimento di carburante, officine per la
manutenzione e riparazione dei veicoli e delle unità di carico, servizi di pulizia,
lavaggio, manovra e sosta temporanea, parcheggi, sorveglianza.
- Servizi alla persona: banche, uffici postali, centri congressi, hotel,
ristorazione, servizi informatici e telematici.
I servizi più importanti sono quelli alle merci, gli altri sono servizi di carattere
accessorio, di supporto DA RICORDARE, MERCI IMPO IL RST NO.

Se due strutture sono vicine, la


competitività è alta.
Anche qui osserviamo che c’è un
addensamento di queste strutture al nord del paese, dove c’è un tessuto produttivo più
denso.
Le strutture sono ravvicinate fra loro, devono giocare sulla diversificazione dei servizi
offerti.

Quinta Lezione:

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slide sopra: anche guardando solo il nord c’è qualcosa che balza agli occhi- Lombardia
non ha interporti, ed è la regione più dinamica dal punto di vista economico.
Non ci sono interporti- Mortara a parte- secondo la def. di legge ci sono delle piattaforme
intermodali; sono più piccole, meno concentrare rispetto agli interporti ma sono molto
più diffuse nel territorio, sono infrastrutture nate senza una pianificazione; sono nate su
esigenza delle imprese del territorio che avevano la necessità di esportare le proprie merci,
ma sono gestite da operatori privati; e la regione non è intervenuta per normare la
situazione.
Resto d’ita ha delle vere e proprie strutture interportuali.

Interporto di VR, principale interporto italiano, e uno dei principali europei.

Una caratteristica:
è quella di godere di una posizione geografica favorevole, che vede l’incrocio di due
lunghi corridoi europei:
- Quello scandinavo mediterraneo, da Elsinky alla Valletta si concentrano lungo
questo asse le principali vie di comunicazioni; è un corridoio nord-sud
- Corridoio est-ovest: corridoio mediterraneo che parte dal confine orientale dell’unione
europea, in Ungheria, e arriva fino alla spagna, passando da ita e fr.
Cosa vuol dire collocarsi ad incrocio di questi due corridoi?
Vuol dire captare una grande qtà di flussi commerciali;
questo ancor prima della creazione dell’interporto era una caratteristica della città di
Verona, come mai? A cosa deve il suo sviluppo? È una porta VERSO IL MONDO
TEDESCO, grazie alla posizione geografica e nel tempo a costruito una specializzazione
nei traffici, e poi essa viene decrinata nella realizzazione di infrastrutture intermodali.
TENT: transeuropean- trasport network
Sono quei grandi corridoi multi modali, scorrono più tipologie di trasporto su cui l’UE
punta per assicurare la coesione degli stati membri, in modo tale che nessuna regione
rimanga esclusa dallo spazio.

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Se non ci fosse la liberalizzazione commerciale, anche tutte le innovazioni nei settori dei
trasporti avrebbero poco senso.
Se noi liberalizziamo ma poi non sviluppiamo le reti di trasporto per far scorrere i flussi di
merci, la liberalizzazione rimane sulla carta.
Sono due aspetti che si completano.

Qui si aggiunge anche il corridoio baltico che in realtà non passa da VR, lo aggiungiamo
perché i nostri interporti hanno anche a loro volta dei collegamenti con i porti.

È vero che fisicamente questi interporti si localizzano non all’interno degli spazi urbani,
ma si localizzano vicino alle città, però contemporaneamente non dentro alle città, perché
hanno bisogno di grandi spazi all’interno dei quali collocano le loro infrastrutture.
Non devono interferire con il sistema della VIABILITA’ URBANA.
Contemporaneamente devono essere vicini alle città perché è in corrispondenza di esse
che si genera una domanda e che si genera un grande flusso di traffico.

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Questi interporti sono al servizio di questa industrializzazione diffusa, e dei distretti


industriali.
È una localizzazione generalizzata, vicino alle città ma non troppo- aree periferiche ad es.
quello di vr è a Sommacampagna.
Perché il nome quadrante Europa?
Perché il nome viene denominato dal fatto che l’area occupata dall’interporto è delimitata
dagli assi principali autostradali, stradali e ferroviari.
L’autostada del brennero delimita il lato occid del nostro interporto, l’A4 milano-venezia,
ferrovia roma-brennero, e la ferrovia milano-venezia; oltre poi alle strade stradali,
tangenziali.
In effetti l’interporto realizza di più il combinato ferro-gomma.
3 modalità integrata in questo sistema interportuale vicino all’interporto c’è anche
l’aereoporto di VERONA villafranca, usato poco.
Quindi abbiamo 3 modalità per l’interporto.

2milioni 1/2 di metri quadrati, ma poi in futuro si estenderà a 4milioni di metri quadri.
- (vr uscita distrutta dalla 2gm, quindi si voleva ricostruirla, ma pensare anche in
prospettiva futura a quello che poteva essere lo sviluppo della città nel contesto della
nascente economia post guerra è qui che nasce il consorzio ZAI).
Consorzio ZAI costituito da:
- Camera di commercio
- Comune
- Provincia di Verona
La sua prima realizzazione è stata quella di creare una zona agricolo-industriale in cui
potessero insediarsi imprese che lavoravano prodotti dell’ortofrutta; prodotti scambiati a
Verona.
Inizialmente viene creata una zona ma dopo i primi anni il consorzio si rende conto che
lo sviluppo di vr non poteva basarsi solo su un settore, l’area viene aperta anche ad
industrie di altri settori produttivi, ed è qui che nasce questa diversificazione, questa base
non mono-produttiva, economia diversificata.
Oggi questa zona non è più un’area industriale; una seconda zona industriale è stata
creata ZAI 2, e la terza realizzazione è il quadrante europa ovvero l’interporto.

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Si parla degli anni 60 x il quadrante Europa, in realtà negli anni 60 in quest’area viene
localizzata l’agenzia delle dogane, e non poteva esserci perché l’intermodalità terrestre
nascerà negli anni 70-80; si vuole riservare un’area per gli scambi, un’area che non è
ancora interporto.

Domanda esame: quando nasce l’interporto? Anni 70-80 prima negli anni 60 nascono i
primi segni ma non c’era ancora l’infrastruttura.

Nel corso del tempo è diventata una struttura complessa, oggi parliamo di CITTA’
DELLE MERCI.
All’interno dell’interporto sono insediate circa 110 imprese, di cui circa 90 sono imprese
della logistica e trasporto.
Queste imprese danno lavoro a circa 1800 addetti e tutti i posti di lavoro indirette
arriviamo a 10k unità a favore dell’economia locale.
Oggi che prodotti sono trattati? Prodotti refrigerati alimentari, tipologia delle
autovetture e componentistica, tutte le tipologie di merce che rappresentano il nostro
sistema produttivo, marmi, legno, liquori, prodotti farmaceutici e cosmetici, motocicli ecc.
Se c’è l’industrializzazione a cosa serve una struttura di questo tipo? E perché si
dovrebbe espandere?
In realtà, la produzione viene realizzata all’estero poi i prodotti tornano qui.

Es. io impresa veronese voglio entrare nel mercato cinese, e attraverso filiale vado a
produrre li e tutta la movimentazione rimane li perché i miei prodotti vanno al mercato
cinese; diverso è la delocalizzazione produttiva: non vuol dire solo andare a produrre
all’estero, non sarebbe un fenomeno che cambia la geografia della produzione, del prod
vuol dire che vado all’estero però poi faccio rientrare i prodotti in Italia e da li, li vendo.
Ci sono alcuni settori in cui la loro prod è ancora localizzata qui.
Che cosa troviamo all’interno di questo interporto?
Alcuni sono generici, altri specifici per ogni interporto.
Il settore più importante è questo, ovvero lo scambio intermodale, ed è questo il cuore di
questa attività terminal intermodale e accordo ferroviario.

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Questo interporto ha una propria stazione.


Noi parliamo di terminal: ma in realtà sono 3 terminal diversi, gestite da 3 società e si
sono sviluppati nel tempo e hanno aumentato la capacità dell’interporto.
Solo di traffico ferroviario intermodale l’interporto fa viaggiare 14k treni l’anno tutte le
attività devono essere completamente coordinate.
Se le merci arrivano via strada vengono invece composti i treni intermodali, che la
maggior parte vanno verso il nord-Europa, Germania soprattutto; una parte va anche
oltre verso Rotterdam.

Nell’interporto troviamo altri centri logistici come i magazzini generali, dogana, mercato
agroalimentare.
- Magazzini generali: si chiamavano così perché erano di proprietà pubblica ora si
chiamano SCHENKER-HANGARTNER, inizialmente non erano qui erano
all’imbocco della zona agricola industriale.
Questi magazzini generali si sono rilocalizzati all’interno dell’interporto ancora prima di
diventare privati.
Cosa si fa all’interno di essi? Offrono assistenza per le pratiche e licenze doganali e fiscali;
offrono un servizio di magazzinaggio con celle frigorifere per le aziende che hanno
bisogno; offrono operazioni di prima lavorazione delle merci- attività di imballaggio,
controllo qualità perché? Non sempre un operatore si rivolge direttamente al q.europa
ma queste strutture vengono usate anche per questa gamma di servizi accessori.
Poi c’è tutto il centro della DOGANA, anche se le merci all’interno dell’eu non fanno
dogana.
C’è il centro delle spedizioni: 11 blocchi di capannoni, 1 banchina per il traffico su strada,
1 banchina per il traffico che va su strada e ferrovia. Anche questi fanno un po’ di
magazzinaggio, mettono insieme più carichi.
I centri logistici, poi:

è la sede di
WOLSVAGEN ITALIA e distribuisce autovetture e ricambi di tutto il gruppo
WOLSVAGEN.

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Infine tra i centri logistici c’è anche l’area del mercato agroalimentare:

È la più grande piattaforma logistica italiana per quanto riguarda la raccolta, distribuzione,
la commercializzazione all’ingrosso dei prodotti freschi: ortofrutta, pesce e fiori.
Chi si serve di questa piattaforma?
Ampio bacino di utenza che riguarda tutto il nord Italia. Anche questa era un’area,
quando è nata negli anni 50, che era posta all’interno della ZAI storica; nel corso degli
anni 90 è stata rilocalizzata.

Ultimi elementi: parcheggio e aree trasportatori.

CENTRO DIREZIONALE:
è molto importante perché è il cuore del quadrante, dove si svolgono funzioni di
amministrazione, di pianificazione. È il centro in cui ha sede il consorzio ZAI, che ha
compiti di gestione, di pianificazione dello sviluppo dell’interporto, ricava i suoi introiti
dalla vendita e affitto dei terreni, non dalla fornitura diretta di servizi.
Le attività amministrative vere e proprie sono svolte dal QUADRANTE SERVIZI.
All’interno del centro direzionale troviamo i servizi alla persona: sportelli bancari, ufficio
postale, spazi per poter dormire, rete telematica, attività di ristorazione e all’interno del
centro direzionale viene svolta anche l’attività di formazione perché il consorzio ZAI,
organizza anche un master fatto in collaborazione con l’università.

All’interno del q.europa c’è anche un’area verde: derivata dal riempimento di una cava,
area al servizio della cittadinanza.
Riguardo a questo tema dell’area verde, abbiamo detto che il trasporto intermodale è un
trasporto che è più sostenibile rispetto al trasporto stradale, questo vale per un discorso di
carattere generale, fatto a scala EuropaLo sviluppo di questo tipo di intermodalità fa
parte di quella strategia che l’UE mette in atto x contrastare il cambiamento climatico, ciò
non toglie che nel luogo in cui sono localizzate queste strutture sono poco sostenibili,
danno vita a questo circuito di flussi enormi.
Se leggiamo a scala locale è una struttura impattante in termini di emissioni.

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PRIMI 20 INTERPORTI EUROPEI:

Se noi guardiamo ai flussi di traffico che intercetta e organizza questa infrastruttura è la


più importante in Italia, ma se guardiamo una serie di elementi, tra cui anche la posizione
geografica e l’efficienza dei servizi offerti dall’interporto, la velocità l’associazione degli
interporti tedeschi ha stilato questa classifica, che viene rivista di anno in anno.

Ora parliamo di: TRASPORTO MARITTIMO


È un altro segmento fortemente trasformato dall’intermodalità.
Parliamo di trasformazioni del trasporto marittimo portate in cambio dall’intermodalità.
La trasformazione è sia di carattere organizzativo, gli spazi; sia di carattere funzionale, e
sono cambiate anche le relazioni tra porto e città.
Anche nel trasporto marittimo dobbiamo considerare una serie di innovazioni
tecnologiche che hanno investito il settore e che riguardano:
- l’aumento delle dimensioni delle navi con la containerizzazione sono nate navi porta
container.
Partiamo dal 1956, perché il container è stato inventato. Anche se il periodo di vera
e propria introduzione è stato lungo, perché anche se era evidente la convenienza
economica.
- aumento della velocità è sempre un fatto relativo perché nonostante ci siano navi
più veloci oggi, il trasporto via mare è comunque la modalità più lenta.

Ciò che ne ha permesso il vero sfruttamento commerciale dei container è stata la


definizione di standard, delle dimensioni standard, cosi i container si uniformavano e
sarebbero rimaste dimensioni definitive.
Paradossalmente, il container è stato utilizzato in servizi secondari, ma non in servizi su
lunga distanza, nel momento della definizione di standard, è entrato nelle traversate
intercontinentali, e poi sul mediterraneo.

Come si misura la movimentazione delle merci nei porti?

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Vicino ad ogni nave porta container ci sono dei numeri, e poi TEU, twenty foot
equivalent unit- unità equivalente a 20 piedi; perché quelli standard fissati nel 1965
prevedevano il container di 20 piedi e quello di 40 piedi.
Un container di 20 piedi corrisponde ad 1 teu.
TEU, misura standard di volume nel trasporto container, è l’unita con cui noi
determiniamo la capienza della nave, e anche il numero di container in un porto in un
certo numero di tempo.
 Il senso della containerizzazione è avere poche misure di riferimento: 20 piedi o 40.

Il TEU è l’unità x misurare la capienza della nave e il movimento dei porti.


Si parla oggi di gigantismo navale, soprattutto le navi porta container, prima capacità da
500 a 800 TEU; oggi supera le 18kTEU, e per questa generazione di navi, nate dalla fine
degli anni 80, troviamo la definizione di navi container post panamax, perché queste navi
non riuscivano a transitare attraverso il canale di Panama, fino a chè esso non è stato
allargato.

Trasporto su rinfusa: sono merci trasportate senza questi imballaggi, possono essere merci
liquide o tutti i prodotti chimici; oppure anche merci solide o al legno.
La containerizzazione non ha eliminato il trasporto su rinfusa, esiste ancora ma la maggior
parte dei traffici oggi si svolge con i container.

L’intermodalità oltre a riorganizzare il trasporto marittimo ma anche le strutture


interportuali e l’effetto finale si va sempre a ripercuotere sul commercio estero, e fanno
parte del processo di globalizzazione.
Anche nel trasporto marittimo, non solo esiste il combinato che nel suo tragitto più lungo
deve utilizzare treno o nave perché devono essere sempre mezzi che tolgono il traffico
dalla strada; un combinato gomma-nave è ancora più caratteristico rispetto al combinato
strada-ferrovia.
Esiste anche in questo trasporto:
- Combinato accompagnato: trasporto RO-RO (roll on-roll off) è un trasporto in cui
l’intero veicolo sale sulla nave, e sale attraverso delle rampe, è un movimento di
carattere orizzontale, non richiede mezzi di sollevamento ed è un vantaggio;
svantaggio: le uti non possono essere impilate e quindi c’è meno spazio.
Utilizzato x distanze brevi e medie.
- Combinato non accompagnato: LO-LO (lift on- lift off) l’unità di carico viene
prelevata e caricata sulla nave e il veicolo non segue il carico.
Sono le navi portacontainer insomma, sono mezzi di sollevamento verticale.

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Sesta lezione: ripassino lezione precedente


gigantismo navale: caratteristica della nostra epoca, che interessa le navi porta container,
che oggi gestiscono la maggior parte dei traffici.
Anche nel caso del trasporto marittimo esiste un combinato, vuol dire che la tratta più
lunga viene realizzata via nave, e anche nel combinato c’è un combinato accompagnato, e
c’è un combinato non accompagnato.

Lezione
Come leggiamo oggi il trasporto marittimo?
Oggi viene visto come un anello di una catena di trasporto globale, e che non dipende
solo dalla efficienza della tratta navale ma della efficienza dell’intero sistema; anche
dall’efficienza dei porti- anche tutto il sistema di infrastrutture che poi collega il porto alla
sua terra ferma.
Non si deve guardare solo la tratta navale ma ci vuole un’efficienza complessiva del
sistema.
Il fattore determinante oggi è:
- Riduzione dei tempi
- Riduzione dei costi
Attorno a questi fattori, ruotano le strategie delle compagnie di navigazione, che sono
oggi i veri attori del settore del trasporto marittimo- sono le compagnie di navigazione che
organizzano questi cicli di trasporto- da una scelta di un porto o un altro, dipendono poi
gli insuccessi e i successi.
Le compagnie di navigazione sono un attore strategico e hanno anche un forte potere;
sono anche le strategie di navigazione che danno origine a diversi modi di organizzare il
trasporto marittimo e le funzioni dei porti.
Com’è organizzato il trasporto marittimo- ma sempre containerizzato?
1- Trasporto marittimo tradizionale: prevede che la nave porta container, arrivi ad
un porto e qui le UTI sono trasferite su mezzi terrestri, o fluviali, come
l’autotreno/treno, e attraverso le vie di comunicazioni che connettono il porto
vengono distribuite all’entroterra di riferimento del porto che può essere più o
meno grande.
2- Transhipping- trasbordo: Modalità più recente, che risponde proprio alla ricerca
di minori costi operativi da parte delle compagnie, che le obbliga a far viaggiare le
proprie navi sempre a pieno carico e a effettuare un minor numero possibile di
scali transhipping è una pratica che si basa sul modello di organizzazione dei
flussi chiamato HUB & SPOKE, che in realtà non è nuovo, perché è un modello
già stato applicato nel settore del trasporto aereo dalla fine degli anni 70.
Hub & Spoke questo modello prevede il trasbordo dei container da queste navi
madri che solitamente è una grande porta container, a navi più piccole chiamate
feeder, in pochi porti che svolgono la funzione di HUB. Spesso questo container
non tocca nemmeno terra; oppure sosta su dei grandi piazzali e poi viene ricaricato
ma sempre in tempi brevi.
Cosa vuol dire H&S? pensiamo alla ruota, hub è la parte centrale- il perno attorno al quale
ruota il tutto- e spoke sono i raggi.
Il porto fa da snodo- hub.

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Queste navi feeder partono poi verso dei porti, definiti tradizionali, da cui poi la merce
prende la sua destinazione finale, ed arriva al suo entroterra.
Cosa si fa con questa strategia H&S?
Il sistema hub&spoke consente di servire un numero più elevato di porti, anche verso
aree geografiche che non avrebbero un volume di traffico tale da giustificare lo scalo di
navi madri.
Questi porti tradizionali spesso sono porti che non hanno grandi dimensioni, e non
hanno dei fondali adatti ad accogliere queste grandi navi.

Transhipping perchè stiamo parlando di trasporto navale, possiamo anche chiamarlo


hub&spoke perché è il modello più generale a cui questo transhipping fa riferimento che
riguarda la logistica dei flussi in tutti i trasporti e non solo in quello delle merci.

La condizione per cui un porto possa essere considerato di transhipment è che più del 50
% dei container movimentati siano movimentati attraverso questo modello di
transhipping.
Sono più i porti del sud Europa che si sono specializzati in questa pratica rispetto a quelli
del nord, perché?
Nord: hanno collegamenti terrestri più efficiente e quindi in questi porti la pratica del
transhipping c’è ma va dal 10% al 30%, non è preponderante.

INDUSTRIA DELLA NAVIGAZIONE:


Gli attori del trasporto marittimo sono le compagnie di navigazione.
L’industria della navigazione ha un assetto particolare, è molto concentrata pochi
operatori, alcuni sono dei colossi che controllano il trasporto marittimo.
Nel settore del trasporto marittimo operano meno di 70 compagnie, e le prime 10
controllano la capacità in TEU delle navi porta container.
Assieme alla capacità, le 10 grandi, controllano anche i flussi; queste compagnie operano
sul mercato attraverso 3 grandi alleanze:
- 2M-
- Ocean Alliance
- The Alliance
E le più importanti compagnie sono:
1- MOELLER MAERSK- DANIMARCA, danese è quella che ha un dominio
incontrastato, e non si scalza da questa posizione. È la compagnia più importante e
opera nei porti più importanti al mondo.
2- MSC- SVIZZERA- noi lo conosciamo come operatore della crocieristica ma ha
anche un grande segmento di navigazione di trasporto commerciale delle merci; è
un operatore nato a Napoli ma ora fa base in Svizzera.
3- COSCO- CINA, fino a qualche anno fa era molto più indietro.
4- CMA-CGM, FRANCIA
5- HAPAG-LLYOD- GERMANIA, sede ad Amburgo

In questi ultimi anni le strategie di queste compagnie si sono intensificate grazie anche alla
forte domanda di trasporto navale che è cresciuta con la globalizzazione e con l’ingresso

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di nuovi paesi nel mercato mondiale, soprattutto paesi del sud-est asiatico. Si è scatenata
anche una forte competizione sui COSTI che porta avanti da un lato le strategie viste,
dall’altra parte strategie di integrazione verticale, che permettono il controllo di TUTTA
LA CATENA LOGISTICA.
Le compagnie di navigazione si stanno spostando anche verso il settore di trasporto
terrestre, che è molto connesso.
Come vengono fatte strategie di integrazione verticale?
Attraverso fusioni e acquisizioni con operatori che lavorano nei servizi a terra. Operatori
che poi lavorano sulla distribuzione delle merci.
Se le imprese di navigazione si integrano verticalmente diventano anche concorrenti delle
imprese che si occupano di trasporto terrestre.
Es. porto calabrese.

Caratteristiche delle infrastrutture, ovvero questo trasporto intermodale ha


cambiato la struttura e la funzione dei porti:
- Spazi e strutture adeguate alla movimentazione e stoccaggio dei container, sono entrate
le gru e spostano i container o sulle banchine o su altri mezzi.
- Emergere di ampi spazi dismessi, che nella loro localizzazione originaria non
riuscivano a trovare perché i porti più antichi sono all’interno di città, e nella maggior
parte dei casi non avevano spazi per creare queste grandi piattaforme.
- Dissociazione tra porto e città, molti porti si sono spostati all’esterno della città.
- Forte competitività tra porti, le vecchie aree portuali sono diventare aree dismesse e
poi si sono localizzate diverse aree dell’industria pesante/di base- chimica e
cantieristica, nello stesso periodo molte di queste attività sono entrate in crisi, seconda
metà anni 70 e quindi questo ha accentuato ancora di più il fenomeno della
dismissione di aree, ed esse si sono modificate in altre cose, riqualificandole.
La containerizzazione, perché ha ridotto la necessità di manodopera manuale,
associata alla deindustrializzazione hanno portato ad una dissociazione fra porto-
città, prima erano molto connessi, in simbiosi.
- Porti di transhipping, gateway e misti, il punto estremo di separazione tra porto e città
lo vediamo come il transhipment, esso crea poca ricchezza per quella che è la città.
Non c’è più nemmeno un vero rapporto con l’entroterra.
La containerizzazione ha ridotto la possibilità per i porti di specializzarsi nel
trattamento di alcune tipologie di merci, per preservare quote di mercato. I porti
con la containerizzazione diventano sostituibili, quelli vicini tra loro, e quindi
diventano competitivi.
Fattori di SUCCESSO DEL TRANSHIPPING: la localizzazione, essa deve
consentire di essere raggiunta con una minima deviazione da quelle che sono le
rotte principali. Importante la posizione geografica.
Lunghezza della banchina e ampiezza dei fondali perché devono permettere
l’attracco delle granfi navi.
Efficienza e velocità di queste operazioni di trasbordo- il tutto si risolve nell’ambito
del porto.
I porti gateway fanno un tipo di trasporto TRADIZIONALE, sempre con
container ma lo distribuiscono verso il loro entro terra.

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Misti: sono tradizionali ma praticano anche il transhipping


- Ampliamento hinterland di riferimento dei grandi porti, hinterland= entroterra, è l’area
di riferimento del porto. È l’area fino alla quale il porto attrae utenti.
L’efficienza di un porto gateway dipende dalle vie di comunicazione terrestre.
- Privatizzazione delle gestioni e disimpegno del settore pubblico, negli ultimi anni=
disimpegno del settore pubblico, privatizzazione delle gestioni e ha creato concorrenza
nei porti.

Sempre parlando di transhipping e gateway: vediamo com’è organizzata la portualità in


europa.
In Europa la grossa distinzione è tra un Northern Range e un Sudden Range.
Il primo si identifica con questo nome tutto l’arco portuale marittimo che parte dalla foce
della Senna e arriva fino al porto di Amburgo è un fronte portuale su cui si trovano i
più grandi porti del nord Europa, che non sono moltissimi rispetto a quelli nel
mediterraneo ma li si concentra un flusso di merci maggiore.
Nel Sudden range intendiamo i porti che si affacciano sul mediterraneo, porti italiani e
francesi, porti spagnoli, e porti grechi.
Il flusso di merci che transita in questi porti è inferiore a quello del nord europa.
E i porti del nord europa offrono una migliore EFFICIENZA LOGISTICA, efficienza
che è connessa con l’intermodalità, perché nel trasporto intermodale servono dei corridoi
logistici per facilitare poi il transito degli UTI, ed è proprio su questi corridoi logistici che
si gioca il vantaggio competitivo del Northern Range rispetto al Sudden.
Quando il container giunge in porto deve essere inviato verso la sua destinazione
definitiva nel più breve tempo possibile.
Spesso i porti del sudden non hanno spazio fisico, e vincolano la possibilità di creare
questi grandi corridoi.
BLU BANANA, area che parte da Londra attraversa i paesi bassi, germania, francia e
scendo fino al nord italia.
È un’area ce è il cuore dello sviluppo economico, area forte.

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Gioia Tauro- calabria, opera solo con Transhipping.


Oltre a Cagliari, gli altri non sono porti di transhipping ma sono porti gateway.
Questi valori nel globo sono flussi molto bassi, i nostri sono porti che rispetto ad altri
hanno volumi molto piccoli.

ATTIVITA’ E SOGGETTI CHE OPERANO NEI PORTI ITALIANI: fino al 1994 la


gestione dei porti era di tipo pubblico, e l’autorità portuale gestiva le funzioni e le attività
del porto. Nel 1994 con la legge 84, vengono istituite 24 autorità portuali:

Queste 24 hanno: Funzioni di controllo, indirizzo e di amministrazione


- Autorità di Sistema Portuale
- Capitanerie di porto – Guardia costiera
- Agenzie delle dogane
- Sanità marittima e veterinari
- Polizia di frontiera
- Presidi Guardia di Finanza, Carabinieri, Vigili del Fuoco ….

Attività core è subordinata alla funzione che svolge il porto.


- Imprese che svolgono operazioni di carico/scarico dei container, stivaggio …
- Operatori dell’autotrasporto, della logistica, spedizionieri
- Imprese ferroviarie
- Operatori servizi tecnico-nautici
- Imprese che effettuano servizi di interesse generale- pulizia e raccolta dei rifiuti
La situazione è stata ulteriormente modificata nel 2016, con un decreto legislativo numero
169, che ha introdotto le autorità di sistema portuale, a cui fanno riferimento più porti,
dalle 24 siamo passati a 15.
È stata una razionalizzazione per non sprecare denaro, se i porti sono cosi vicini.
E alle autorità di sistema portuale hanno più funzioni di controllo e indirizzo rispetto ai
24 di prima. Hanno anche funzioni più importanti di pianificazione territoriale nell’ambito
portuale.
Che cosa fa un piano regolatore portuale? Vengono individuate le caratteristiche e la
funzione delle diverse aree portuali, viene fatta una sorta di organizzazione degli spazi e
delle funzioni portuali.
Nei porti ci sono anche altri soggetti che si occupano di amministrazione: capitanerie di
porto, salvaguardia in mare.

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VOLUMI DI TRAFFICO GLOBALE:

Flussi del traffico container vediamo che c’è comunque una TRIADE. Buona parte del
commercio scorre europa, nord america, asia.
Ci sono queste 2 date significative, i flussi tra asia e europa e asia-nord america, sono
aumentati enormemente.
PRIMI 10 PORTI CONTAINER NEL MONDO:2004-2019

1° Hong Kong 1° Shangai


2° Singapore 2° Singapore
3° Shangai 3° Shenzen
4° Shenzen 4° Ningbo
5° Busan 5° Guangzhou
6° Kaohsiung 6° Busan
7° Rotterdam 7° Hong Kong
8° Los Angeles 8° Qingdao
9° Amburgo 9° Tianjin
10° Dubai 10° Dubai

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7 lezione:
vediamo il caso di un porto che è il più importante a livello Europeo per volumi di
traffico prima di tutto c’è la Cina, ma ciò non toglie che il porto che si trova
nell’Olanda meridionale, PORTO DI ROTTERDAM, è una delle aree portuali più
importanti.

Estensione di 40km, e queste sono le cose aggiunte negli anni.


Sono importanti anche i traffici tra il porto e l’entroterra che arriva fino al nord-Italia.
Questo è un proto GATEWAY, distribuisce le merci che arrivano via mare e che a sua
volta raccoglie le merci che partono via mare dall’entroterra.
È un porto antico, 1440, si è sviluppato per successive addizioni; che hanno portato allo
sviluppo attuale.
Se guardiamo queste scansioni temporali, esse corrispondono a cambiamenti economici e
tecnologici, non riguarda solo la crescita delle strutture fisiche.
Le prime attività legate al porto si diffondono in prossimità del centro di Rotterdam
porto antico, che rimane cosi per circa 4 secoli.
Perché si sviluppano le attività portuali in quella città?
1- Posizione geografica, si trovava sulla direttrice di traffico tra Inghilterra e mondo
tedesco, e grazie a questa posizione è diventato un centro di scambi commerciali.
Il primo impulso alla crescita avviene con la rivoluzione industriale, 1800-1900, grazie
all’Inghilterra.
Sia in questo periodo che dopo avvengono una serie di canalizzazione e contenimento
delle acque, difesa delle strutture della città un po’ come Venezia, perché subisce questo
fenomeno legato ai detriti portati dai fiumi, e alla sabbia del mare.

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Questo canale permise l’accesso diretto dal mare del nord al porto di Rotterdam anche
per navi di grandi dimensioni, e quest’opera a sviluppato la zona sud della città.
Anni 20-40 nuove banchine portuali, e spazi dove trovano posto anche attività
industriali.
2GM porto distrutto e ricostruito dopo.
Anni 40-60 attività portuale si rende conto che gli spazi non bastavano più, non
bastavano ad accogliere altre strutture connesse con l’attività del porto che si stava
specializzando con attività petrolifere, quindi servono spazi non soltanto per le banchine,
ma anche per accogliere le cisterne dei combustibili.
Questo periodo le nuove opere sono concentrate ancora nella parte interna.
Anni 60 ampliamento, grande sviluppo dei porti occidentali e di tutta l’industria,
massimo sviluppo del modo di espansione FORDISTA; nascono le grandi regioni
portuali in cui il porto è per la città il maggiore datore di lavoro, si parla anche di
industrializzazione costiera, perché poi si concentreranno attività legate all’industria
pesante: chimica, petrolchimica, siderurgia.
Sviluppa ancora più traffici internazionali, collegato Germania soprattutto con il grande
bacino industriale della Rur.
Nuovi sviluppi con la containerizzazione si convertono le vecchie aree portuali
interne come terminal per i container, e poi si amplia ulteriormente il porto, sia per i
container, sia per le attività legate al petrolio.
Anni 70 viene costruito il blocco verde.
2008-2030 nuovo blocco per i container; il più automatizzato di tutto il porto, e siamo
al di fuori della foce del fiume, siamo già nel mar del nord, sono delle costruzioni
artificiali, non sono sulla terra ferma.

Il porto di Rotterdam non è solo un porto, ha aree estese per altri servizi; ci sono spazi
destinati ad attività economiche non sono legate al trasporto dei container, c’è anche il
trasporto alla rinfusa Tutto ciò che riguarda lo scambio del petrolio, ma anche del gas
ridotto allo stato liquido, prodotti chimici.
Ci sono poi le rinfuse solide che occupano spazi minori rispetto a quelle liquide, carbone
allo stato solido, cereali, legna.
Ci sono anche attività di distribuzione e altre attività di carattere terziario.
È un porto misto, non tratta solo container, ma anche altre tipologie di trasporto
marittimo; quindi richiede anche altre attività che poi creano ricchezza.
Alle spalle del porto c’è un RETROPORTO, che non è l’entroterra, ma sono tutte le
attività economiche che si collocano alle spalle del porto, che riguardano il ciclo della
logistica.
C’è l’entroterra con tutte le sue vie di comunicazione: autostradali, ferroviarie, e fluviali, è
ben collegato ad esso.
Prima impressione del filmato del porto:
2- Grado di automazione che è stato raggiunto in questo porto, è molto avanzato per
quanto riguarda la gestione del trasporto intermodale grazie ai sistemi digitali.
Governano l’attività del porto attraverso i computer, posti in una cabina di regia.
Quest’ultimo terminal in fase di evoluzione è quello più avanzato.

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3- Ha anche un’ampiezza dei fondali maggiore, e questo è un altro elemento che


insieme alla posizione geografica è fondamentale per la scelta di questo porto
rispetto ad altri, anche perché è efficiente.
Il porto ha sviluppato una piattaforma digitale: PORT BASE mette in contatto navi e
treni e operatori della logistica di tutto il mondo; vengono assegnati un container a un
determinato treno/vagone, quando il container è ancora con la nave.
Tutto questo ciclo deve essere svolto nel più breve tempo possibile.
Sempre grazie ai sistemi digitali sono state smaterializzate anche molte operazioni
doganali si riescono a fare le operazioni doganali quando la nave a volte deve ancora
attraccare il porto.
Altro punto di forza:
4- Rete dei collegamenti intermodali, è un porto gateway e quindi i container non
fanno transhipping ma viene trasferita sui carri ferroviari, sugli autoarticolati o sulle
piatte e poi prende la direzione delle destinazioni finali.
5- Rete di oleodotti che va verso il cuore dell’Europa.
CARATTERISTICHE:
 80 km di banchine
 8 terminal container
 7 terminal Ro-ro
 20 terminal per rinfuse liquide
 Retroterra che arriva fino alla Pianura Padana

ULTIMA TIPOLOGIA DI TRASPORTO:


TRASPORTO AEREO.
È un trasporto recente, rispetto agli altri, per fini commerciali perché risale al secondo
dopo guerra, prima erano impiegati per scopi militari. Successivamente con l’aumento
della capacità degli aerei, li hanno potuti utilizzare anche per scopi civili.
Il t.a ha vissuto una fase di enorme sviluppo, ciò non toglie che per il trasporto delle
merci, anche se si sono abbassati i prezzi, rimane la modalità più costosa e meno
utilizzata.
Per i passeggeri invece i costi si sono abbassati.
Tutto questo discorso vale in senso generale, perché ci sono situazioni specifiche dove è
meglio trasferire anche le merci via aereo ad esempio: dove ci sono dei paesi che hanno
dei grandi spazi naturali, o dei grandi spazi che sono poco densamente abitati
diventa anche economico andare ad organizzare questi trasporti.
È più economico quindi per questi casi trasferire paesi e merci via aereo (Australia, sud
America, Usa, ci sono molte aree verdi).
Completamente diverso è il caso dell’Europa, abbiamo una diffusione di popolazione e
città che rende insostenibile il trasporto terrestre.

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Da quando inizia a crescere il trasporto terrestre?


Dagli anni 60, però il periodo in cui subisce un aumento sono gli anni che coincidono con
la globalizzazione (anni 80,90) in questo periodo partono le politiche di Deregulation-
LIBERALIZZAZIONE DEL SETTORE DEL TRASPORTO AEREO, che fino a quel
momento è stato un settore protetto aumenta la mobilità delle persone, perché si
abbassano le tariffe.
Quando parliamo di Deregulation ci riferiamo ad un insieme di fenomeni: nei diversi
paesi, come Usa, sono state abbattute le barriere alla concorrenza e sono stati eliminati i
controlli alle tariffe aeree- tutto ciò ha prodotto l’ingresso di nuovi operatori nel mercato,
nuove compagnie aeree quindi più voli; gli utenti quindi pagano meno e hanno molti più
voli e rotte.
C’è un nesso stretto tra politiche di liberalizzazione e crescita del turismo.

Quando entra il campo la Deregulation?


Negli Usa prima, parte da essi con il Deregulation Act 1978- si estende all’Ue con un
certo ritardo, verso la fine degli anni 80.
Nell’Ue prima della deregulation alcuni paesi avevano già fatto dei passi avanti all’interno
del loro territorio e quindi qualche compagnia privata già operava.
In Europa prende piede dopo, e si realizza attraverso 3 pacchetti di norme: 1988, 1990,
1993  con le quali l’Ue ha liberalizzato il mercato del trasporto aereo nello spazio
comunitario, permettendo ad operatori di un paese di operare in un altro paese
comunitario.
Successivamente cosa completa questo percorso? Da un ulteriore pacchetto del 1997,
quello che introduce la libertà di CABOTAGGIO, ovvero è un traffico che riguarda gli
scali interni ad un paese.
Questa liberalizzazione si è estesa anche a stati non dell’Ue che però hanno un forte
scambio con i paesi comunitari.
Altro passaggio: ACCORDO DI SCHENGEN, 1985 è l’accordo che permette la libera
circolazione delle merci e delle persone all’interno dello spazio comunitario.
Grazie a questo accordo le frontiere aeroportuali vengono assimilate alle frontiere interne,
terresti a partire dal 1993.
Ciascun paese aderisce in periodi diversi, è un processo a ostacoli perché non tutti
aderiscono contemporaneamente, (Italia 1990).
Le frontiere aeroportuali in realtà non sono aperte, perché dopo gli attentati dell’11
settembre, sono state attuate norme stringenti, e quindi nel momento in cui noi
utilizziamo gli aeroporti dobbiamo comunque mostrare i documenti, cosa che invece non
succede ALLE FRONTIERE VIA TERRA, perché il mezzo aereo è più esposto a questi
rischi.

Che regime era in vigore prima della Deregulation?


Dobbiamo fare di nuovo una distinzione fra Europa e Usa, partiamo dall’Europa: prima
della deregulation operavano le compagnie di bandiera, compagnie pubbliche di ogni
paese europeo, che monopolizzava il trasporto aereo all’interno dello spazio nazionale, es.
Alitalia.
Cosa succedeva nei traffici tra paesi comunitari?

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Queste compagnie agivano tra accordi bilaterali, ovvero si spartivano le rotte, Per cui le
due compagnie di bandiera si spartivano le offerte. Tutto ciò rendeva il trasporto molto
rigido.
Con la deregulation si è aperto l’ingresso a compagnie private, alcune c’erano già ma
erano pochissime e avevano un segmento di mercato piccolo.
Dopo la deregulation le compagnie di bandiera han fatto opposizione, non volevano
avere la concorrenza, quindi in Europa l’apertura è stata molto graduale; queste
compagnie di bandiera hanno avuto destini diversi fra loro.
In quel periodo i diversi governi acquisivano una quota delle compagnie, per aiutare
queste compagnie situazione eccezionale, normalmente si posizionano da sole sul
mercato.
Negli Usa la situazione era diversa, non esisteva una compagnia di bandiera ma esisteva
un mercato molto protetto in cui operavano poche compagnie e in più un’agenzia federale
controllava l’ingresso di nuove compagnie private sul mercato, controllava le nuove rotte,
e le tariffe di fatto c’era un organismo federale che controllava il mercato.
Il mercato degli stati uniti si è aperto per la forte pressione degli operatori privati che
volevano entrare nel mercato, e dicevano che questo mercato protetto non era efficiente
perché manteneva alte le tariffe.
Dopo l’apertura negli Usa sono nate anche tante piccole compagnie che non sono riuscite
a stare sul mercato, c’è stata una razionalizzazione guidata dal mercato che ha portato
alcune compagnie piccole a sparire e altre sono state assorbite dalle più grandi, quindi il
numero delle compagnie si sono ridotte.

Ci sono altri fenomeni che si mettono in moto grazie alla deregulation, uno di questi:
nascita delle compagnie LOW COST- modello di business.
La nascita di queste compagnie low cost è un aspetto della deregulation, non è la
conseguenza, che è invece nascita di compagnie private che hanno un modello di business
tradizionale.
Le compagnie Low-cost riescono a contenere i costi, e non solo perchè hanno servizi a
bordo a pagamento, ma dipende da una serie di strategie che fanno si che le compagnie
riescono ad abbassare i costi operativi e questo si riflette nel prezzo del biglietto, ovvero:
• Eliminazione servizi catering a bordo
• Standardizzazione velivoli esse hanno 1 solo tipo di aeromobile, questo
consente di ridurre i costi di magazzinaggio per quanto riguarda i pezzi di ricambio;
riduce le spese per la formazione degli equipaggi, piloti che serve solo quella
abilitazione; anche la manutenzione, perché i tecnici sono in grado senza doversi
istruire sempre. Le compagnie fanno degli ordini consistenti presso i fornitori, e
riescono ad ottenere sconti consistenti.
• Massimizzazione del carico attraverso aumento densità posti sempre nel
rispetto delle normative della sicurezza.
• Collegamenti point-to-point operati su scali secondari senza scalo in
aeroporti intermedi, e se ci sono operano su scali secondari.
• Biglietteria on line
• Riduzione dei «tempi morti» in aeroporto viene ridotto il tempo tra
atterraggio e decollo.

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Ciò non toglie che le compagnie low cost sono sul mercato da diverso tempo e quindi
alcuni aspetti del modello di business delle low cost si sono evoluti.
Alcuni aspetti del modello di business delle low cost e anche quello delle compagnie
tradizionali si sono avvicinati per quanto riguarda viaggi brevi non offrono niente, e
quello che offrono è a pagamento; o la smaterializzazione della biglietteria.
La compagnia low cost, è essenziale e offre servizio di trasporto ed esse si sono evolute e
sono entrate in competizione anche con I TOUR OPERATOR, es. possibilità di
effettuare la prenotazione dell’albergo, macchina ecc.
Trasporto, turismo, nuove tecnologie vanno a cambiare il posizionamento di tanti
operatori intermedi.
Queste compagnie hanno fatto la fortuna con gli scali minori, molti scali minori fanno a
gara per assicurarsi il traffico di esse, perché fanno affari.

SISTEMI AEROPORTUALI:
l’abbattimento dei prezzi che si è attuato grazie alla deregulation, si è attuato grazie anche
ad una riorganizzazione del traffico aereo, e degli aeroporti secondo il modello HUB &
SPOKE.
Quali sono i due modelli organizzativi principali per il trasporto aereo?
- Point to point collega direttamente aeroporto con aeroporto; nella situazione; se ho
8 aeroporti da collegare, prevede un numero grande di rotte, 28 questo sistema è
ipotetico non potrebbe succedere, nella realtà si svilupperebbero solo quelle più
remunerative ma per altre dove non c’è un minimo di domanda, non verrebbe mai
aperto un collegamento.
Point to point era il Sistema pre-deregulation, ovvero gli aerei programmavano dei
voli che collegavano direttamente due aeroporti, nessuno scalo fingeva da snodo
aeroportuale e di conseguenza, molti voli viaggiavano quasi vuoti e con
conseguenze negative. Alcune rotte non venivano neppure aperte, perché non
erano economicamente sostenibili.
- HUB prevede che i flussi di traffico vengano concentrati da aeroporti minori su un
aeroporto principale che fa da nodo di connessione, da cui partono una serie di
collegamenti per altri aeroporti. È simile a quello visto x il trasporto merci. Questo
funziona se tutto è organizzato per fasce di coincidenza per cui tutti i flussi
convergono nello stesso momento. Es. reggiocalabria e catania verso monaco prime due
vanno a roma e partono verso destinazione finale. Tutto ciò esisteva anche prima della
deregulation, ma non era organizzato, magari aspettavo ore x il collegamento.

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8 LEZIONE:
Ripassa la deregulation.
Ultimo elemento da considerare riguardo la deregulation:
- Alleanze fra compagnie aeree cosa succede nell’ambito dell’HUB &SPOKE? Le
compagnie principali che operano su questi scali hub, estendono una loro influenza
anche sulle compagnie minori che trasportano i passeggeri lungo le tratte minori;
estendono la loro influenza attraverso un sistema di alleanze in modo tale che la
compagnia principale si assicura il controllo di tutto il sistema. Poi queste alleanze
diventano vere e proprie operazioni di acquisizione di queste compagnie minori.
Questo sistema, lo abbiamo già visto nell’ambito del trasporto marittimo; anche
questa strategia di integrazione verticale la praticano anche le compagnie marittime
che stanno estendono la loro influenza anche sulle compagnie che esercitano il
trasporto terrestre; qui succede la stessa cosa.

AEREOPORTI HUB- CHE REQUISITI DEVE AVERE PER DIVENTARE UNO


HUB? Nella maggior parte dei casi erano già i principali scali del paese.
1- Deve essere accessibile- questi aeroporti sono sempre al centro di grandi bacini di
attrazione.
2- La localizzazione presso grandi aree metropolitane, di solito sono localizzati in
prossimità della capitale, perché un’area metropolitana assicura un flusso in aggiunta
rispetto a quello che transita per il HUB.
3- Elevata capacità di traffico ed efficienza dei sistemi di decollo e atterraggio, devono
essere efficienti ed organizzati perché il sistema hub funziona secondo queste onde;
in alcune fasce orarie si concentrano i voli e bisogna gestire queste one o picchi.
4- Aerostazioni devono essere concepite per agevolare il trasferimento dei passeggeri
da un aereo all’altro- per questo molti aeroporti quando sono diventati hub hanno
subito lavori di ristrutturazione.

1 altro aspetto dal pdv economico: IMPATTO ECONOMICO CHE PRODUCONO


LE INFRASTRUTTURE AEROPORTUALI.
Impatto valutato in termini di occupazione, reddito e valore aggiunto prodotto da questo
sistema. E’ importante in termini di Pil, perché la rete aeroportuale a livello europeo pesa
più del 4%. Avere una rete di aeroporti efficienti diventa 1 elemento importante per la
crescita e competitività, essi hanno un impatto economico che vediamo sulle scale
geografiche. Di solito questo impatto si misura su base nazionale, o internazionale ma
possiamo fare visualizzazioni anche a scala locale, perché le singole infrastrutture si
comportano come una grande impresacontribuiscono alla ricchezza locale, e ad altri
settori dell’economia.
Come viene valutato l’impatto economico di questo settore?
Normalmente utilizziamo 3 indicatori, ma nel caso degli aeroporti utilizziamo anche
l’impatto catalitico. Le prime 3 le utilizziamo per analizzare l’impatto economico dei
diversi settori economici.

Impatto diretto: occupazione, reddito e valore aggiunto generati dalle attività


direttamente connesse alla gestione aeroportuale.

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Impatto diretto sull’occupazione- possiamo scendere di scala, e vedere quanto impatta


questa struttura. L’impatto sull’occupazione è quello più semplice, gli altri hanno modelli
matematici complessi.

Impatto indiretto: attività che si collocano a valle della filiera della gestione aeroportuale
e dell’aviazione in generale; è il caso di tante attività, tipo- le compagnie petrolifere per la
quota riconducibile al carburante; attività non solo all’interno dell’aeroporto ma che
comunque contribuiscono al suo funzionamento.
Impatto indotto: impatto generato dal reddito prodotto dagli occupati del settore avio-
aeroportuale sugli altri settori economici; facciamo riferimento al meccanismo che gli
economisti chiamano dei cicli di spesa, come avviene? Una persona che lavora all’interno
dell’aeroporto spenderà una parte del suo reddito per l’acquisto di altri beni e servizi che
non riguardano il settore aeroportuale, ma riguardano altri settori dell’economia
muovono l’economia.
Impatto catalitico: ampio ventaglio di benefici economici connessi alla presenza su un
territorio di scali aeroportuali efficienti (commercio, investimenti, turismo e produttività).
Non è lo stesso meccanismo dei cicli di spesa; questo impatto è più interessante vedere a
scala locale; questi settori su cui la presenza di un aeroporto impatta sono 3:
1- Sviluppo commercio estero la presenza di adeguate connessioni aeree
rappresenta un beneficio per i volumi di esportazione d beni e servizi, anche se
complessivamente a livello globale, la % di merci che viaggia in aereo è molto bassa.
2- Localizzazione delle imprese la presenza di un aeroporto fa da attrattore per la
localizzazione di imprese; soprattutto per la localizzazione di sedi centrali di
multinazionali, perché i dirigenti delle multinazionali utilizzano molto il servizio
aereo e quindi è un vantaggio.
3- Sviluppo del turismo è l’effetto più immediato, si divide tra 2 posizioni diverse:
-1 è la presenza di una struttura aeroportuale a generare lo sviluppo del turismo?
-2 o è il contrario?
Nel momento in cui il turismo ha raggiunto un determinato livello di sviluppo si genera
anche una domanda di trasporto di questo tipo.

Chi ha ragione tra le due posizioni?

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È difficile vedere chi ha ragione, ormai le nostre economie locali sono talmente complesse
e sviluppate che è difficile vedere cos’è causa e cos’è effetto.
In certe situazioni di perificità geografica riusciamo a vedere un nesso di causa-effetto
chiaro, in altre situazioni è più difficile.
È più completo dire: la presenza di un’infrastruttura aeroportuale è uno dei fattori che
integrano l’offerta turistica di un determinato luogo.
TUTTI QUESTI EFFETTI: sono più importanti nel caso di scali di grande dimensione e
forte connettività.

Ancora: IMPATTO ECO DEGLI AEROPORTI

Qui, sempre considerando gli aeroporti europei, l’Airport Council ha cercato di stimare
qual è il peso dell’occupazione, in termini di reddito, occupazione e Pil complessivamente
del settore e poi di stimare queste 3 grandezze per ciascuna tipologia di impatto.
Complessivamente al settore aeroportuale sono riconducibili in Europa- più di 12.000.000
posti di lavoro, un reddito di 356 miliardi di euro, e in termini di Pil 674,5 miliardi di euro.
Se guardiamo le diverse tipologie di impatto, è soprattutto l’impatto catalitico che produce
gli effetti maggiori.
Quali sono i principali Aeroporti per traffici passeggeri?
2006 2019

1. Atlanta 84,8 1. Atlanta 110,5

2. Chicago 77,0 2. Pechino 100,0

3. London- H 67,5 3. Los Angeles 88,1

4. Tokyo 65,8 4. Tokyo 87,1

5. Los Angeles 61,0 5. Dubai 86,4

6. Dallas 60,2 6. Chicago 84,4

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7. Parigi-De 56,8 7. London- Heath. 80,8


Gaulle

8. Francoforte 52,8 8. Shangai 76,1

9. Pechino 48,6 9. Parigi-De Gaulle 76,1

10. Denver 47,3 10. Dallas 75,1

Aeroporto più grande del mondo? Da sempre Atlanta.


Emerge il fenomeno Cina come per qualunque settore- sia Shangai che Pechino.
Dubai hub, intercetta grandi flussi di passeggeri in direzione: est e ovest.
E gli aeroporti italiani?
2019
1. Roma Fiumicino 43.528
2. Milano Malpensa 28.828
3. Bergamo 13.853
4. Venezia 11.550
5. Napoli 10.851
6. Catania 10.219
7. Bologna 9.397
8. Palermo 7.013
9. Milano Linate 6.539*
10. Roma Ciampino 5.852

Bergamo è stabile da qualche anno al terzo posto, ha avuto un forte sviluppo grazie al
traffico Low cost.
I nostri volumi sono piccoli perché noi abbiamo tanti aeroporti in un territorio piccolo.

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Milano Linate, da sempre ai primi, poi scende- perché è una situazione legata al fatto che
per alcuni mesi è rimasto chiuso per ristrutturazione nel 2019, normalmente è il quarto.

Fino ad ora abbiamo parlato di traffico aereo dei passeggeri, e le merci?


Trasporto per le merci è quello che viene definito il CARGO AEREO-trasporto per via
aerea di qualsiasi cosa che non siano passeggeri e bagagli. Rispetto ad altri mezzi di
trasporto, il cargo aereo rappresenta la più recente novità, le merci sono ancora poco
trasportate via aerea.
I primi casi di ricorso di trasporto aereo per le merci risalgono alla 1 gm, ma fino alla 2gm,
ovvero fino a che non hanno sviluppato i requisiti non erano utilizzabili.
Successivamente 1 primo sviluppo si registra nel secondo dopoguerra, negli anni 50
rappresentava una quota di mercato piccolissima, sia per ragioni tecniche, ovvero non
c’era spazio, sia perché ancora non c’erano tutte quelle tipologie di merce che viaggiano
oggi.
Ulteriore sviluppo, anni 70, con gli aerei a fusoliera larga: sfruttano tutta la pancia
dell’aereo, sono essi che permetteranno l’utilizzo del container aereo.
Aumentano le nuove categorie merceologiche prima inesistenti come la microtecnologia.
Poi trasporto passeggeri, che aumenta molto con la globalizzazione, anni 80-90, e in quel
momento incidevano anche le regole della deregulation, sia per i passeggeri che per le
merci.
Quali sono gli elementi che si aggiungono alla deregulation?
Per primo com’era organizzata la produzione, su base spaziale, nell’era della
globalizzazione, ovvero che la produzione in quell’era, era frammentata; la globalizzazione
dei mercati ha spinto le aziende a localizzare impianti industriali in tutti i continenti per
entrare in nuovi mercati.
Il settore dei trasporti diventa strategico, soprattutto per alcune tipologie di prodotti.
Connessa a questa organizzazione della produzione c’è l’altro metodo: quello del just in
time quasi eliminazione die magazzini, il fatto che componenti e semilavorati arrivino
alla produzione nel momento in cui servono, è chiaro che devono essere assicurate
tempistiche veloci.
Altro elemento: TIME TO MARKETtendenziale abbreviarsi del ciclo di vita di alcuni
prodotti, che per questo usano l’aereo perché devono arrivare velocemente sul mercato,
non sono solo i settori classici ma anche nel settore della moda.
Ultimo elemento: E-COMMERCE aumenta sicuro il trasporto perché grazie a internet
possiamo effettuare vendite al dettaglio online e raggiungere clienti di tutto il pianeta.

Il trasporto aereo è integrato nell’intermodalità o è un segmento che sta a se ?


L’uno e l’altro, per certi aspetti esso è un po’ un segmento, non partecipa a grandi cicli
intermodali, però può ed è integrato a grandi cicli intermodali; quando si organizza il
trasporto chi lo organizza lo fa come se fosse un trasporto multimodale: utilizziamo più
mezzi di trasporto senza però unificare il carico.

Multimodale e Intermodale, differenza?

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Multimodale utilizzo più modalità di trasporto; intermodale deve avere come ulteriore
requisito l’unificazione del carico, non si deve scaricare o caricare ma ciò che si muove è 1
unità di trasporto intermodale che può essere container o altro.
Il trasporto aereo può essere multimodale, o organizzarlo come trasporto intermodale.
Se parliamo di intermodalità nel trasporto aereo è: gomma-aereo; per la nave invece:
gomma-nave o treno-nave.
Intermodalità è sempre il sistema che garantisce MINORI COSTI E MAGGIORE
EFFICIENZA.

Principali tipologie di merci che tratta il trasporto aereo :


- Beni deperibili (ortofrutta, pesce fresco, fiori)
- Beni di alto valore (pietre preziose, gioielli …)
- Beni ad alto rapporto valore/peso (capi di alta moda, lenti …)
- Beni tecnologicamente avanzati (micro-elettronica)
- Farmaci
- Pezzi di ricambio, es. per macchinari industriali
- Animali vivi
- Posta e colli espresso (con consegna a tempo definito)
- Merci con un ciclo di vita economica corto (giornali, materiale radioattivo…)

SERVIZI DI TRASPORTO AEREO DELLE MERCI: TIPOLOGIE DI OPERATORI


COMBINATION CARRIER: compagnie aeree che trasportano merci nella stiva degli
aerei passeggeri o con aerei combinati, ovvero una parte del ponte dove ci sono anche i
passeggeri viene riservata anche al trasporto delle merci.
ALL CARGO CARRIER: compagnie aeree che operano solo nel settore merci, con voli
sia scheduled, programmati a orari fissi quelli che definiamo voli di linea, sia charter, voli su
richiesta per cui viene noleggiato il vettore aereo.
INTEGRATOR: chiamati anche courier, offrono un servizio «porta a porta»; settore più
dinamico, hanno una loro flotta costituita non solo di aerei ma anche di mezzi stradali,
raccolgono le merci in partenza, fanno il servizio di trasporto aereo, e si occupano anche
della distribuzione delle merci presso il destinatario.

Il rapporto tra il traffico cargo e le strutture aeroportuali:


Questo rapporto impone degli adeguamenti per gli scali, perché sono richiesti spazi
attrezzati e specifici, come una serie di piste dedicate a questi aerei, tranne per quanto
riguarda il trasporto merci puro perché servono anche ad essi delle piste apposta.
Ci sono poi una serie di aeree di stazionamento per i container, magazzini per il deposito
della merce; dovrebbero esserci anche delle strade interne che si collegano con i raccordi
autostradali per non interferire con il trasporto passeggeri.
La maggior parte degli aeroporti sono misti, ma alcuni solo dediti al traffico cargo.

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Questo grafico ci mostra evoluzione del traffico cargo dal 1998 al 2018.
Anni segnati: cadute o rialzi importanti.
Come misuro il flusso- Per il traffico cargo, si può calcolare in maniera tradizionale in
termini di tonnellate; è diffusa a livello internazione questa unità di misura per le merci,
RTK- revenu ton km tonnellate paganti per la distanza percorsa in km.

Principali rotte mondiali del cargo aereo:


le barre più scure- indicano i valori reali relative al traffico del 2018; l’altra barra sono
stime per il futuro.

I primi 3: 3 poli dove si sviluppa di più il trasporto cargo.


Nel nord America e Canada, per la loro grande estensione è più conveniente utilizzare il
mezzo aereo, rispetto all’Europa.
Guardare le prospettive di crescita.
Principali aeroporti per il traffico cargo:

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Paesi est- anche però america, come mai aeroporto Alaska importante?
C’è il deposito logistico della Apple, e arrivano i prodotti assemblati in Asia.
Prima di arrivare ad un aeroporto europeo, 11 posizioni.
Alcuni aeroporti cargo fanno gli HUB.

Andamento traffico cargo in Italia?


Andamento altalenante.

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Principali aeroporti cargo in Italia:


2019
1. Milano Malpensa 544.978
2. Roma Fiumicino 186.492
3. Bergamo 118.964
4. Venezia 63.914
5. Bologna 48.810
6. Roma Ciampino 18.408
7. Pisa 12.945
8. Napoli 10.540

Per lezione successiva:


5. LA POLITICA DEI TRASPORTI DELLA UE: IL PERCORSO

Ruolo della politica dei


1957-Trattato di Roma trasporti rispetto agli obiettivi
fondamentali della CEE
Politiche nazionali

Colmare il divario infrastrutturale


1986- Atto unico europeo tra paesi fondatori e nuovi
entranti

-Settore dei trasporti tra le


1992- Trattato di Maastricht priorità politiche ed economiche
-Ruolo Commissione Europea
-Primo Libro Bianco 1992
-Programma TEN
2011- Libro Bianco Ridefinizione degli obiettivi
della politica dei trasporti

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9 LEZIONE: 27.10.2020
Politiche che ci interessano, che sono le politiche che ha messo in campo l’Ue.
Tutti i paesi hanno una politica dei trasporti, perché? Perché i trasporti sono un settore
fondamentale nell’ambito dell’economia nazionale e dello sviluppo economico dei
territori si diventa più competitivi e permette al paese di aprirsi e attivare relazioni
orizzontali e gli scambi commerciali.
Però è importante un buon sistema di trasporti anche all’interno del paese x garantire uno
sviluppo equilibrato delle attività economiche delle imprese; non a caso le politiche dei
trasporti si intrecciano con le politiche di sviluppo regionale di ciascun paeseperché
quando vogliamo favorire lo sviluppo di 1 regione che è in ritardo alle altre regioni,
passiamo anche attraverso l’infrastrutturazione del territorio.

Le politiche dei trasporti sono transcalari partono da un livello superiore, livello statale,
via via scendono, nel nostro caso le regioni e arriviamo fino al livello locale, comuni o aree
metropolitane mettono in atto i loro piani del traffico con cui cercano di regolare questi
flussi.
Sopra gli organismi statali sta l’Ue che delinea gli obbiettivi generali delle politiche a cui i
singoli paesi si adeguano e predispone la costruzione di grandi infrastrutture, e
finanziamenti che si aggiungono a quelli di carattere locale.

Quando iniziamo a parlare di trasporti nell’ambito comunitario?


Dal trattato di Roma, 1957- comunità economica europea.
Quasi tutti i trattati entrano in vigore l’anno successivo.
Nel trattato di Roma si fa riferimento alla politica dei trasporti come uno strumento per
arrivare ad un mercato comune dei trasporti che a sua volta è il presupposto del mercato
unico europeo, quindi mercato economico.
Si riconosce da subito che la politica dei trasporti è funzionale rispetto agli obietti dell’Ue.
Il mercato eco passa anche attraverso una predisposizione di una rete di trasporti.

Altri obbiettivi:
x i singoli stati-regioni, anche l’Ue attraverso la politica dei trasporti vuole arrivare a
garantire uno sviluppo equilibrato delle attività economiche.
Lo sviluppo di una rete di trasporti è una condizione per lo sviluppo equilibrato delle attività
economiche.
Nonostante ciò è successo che per 30 anni dopo il trattato di Roma, l’Ue ha dato poca
attenzione a una politica comune dei trasporti, questa intenzione è rimasta sulla carta, e i
singoli stati han pianificato per se; con squilibri forti e derivati da questa operazione-
ognuno x conto proprio ciò ha impedito il processo di integrazione delle reti e il
favorimento del mercato eco.

In questa prima fase gli interessi politici sulla coesione economica hanno prevalso su quelli
della coesione territoriale- si è posta attenzione sull’abbattimento dei dazi doganali, o sulla
circolazione delle merci; senza valutare che il mercato unico passa per il territorio, tutti i
livelli sono integrati, se non c’è alla base una infrastruttura efficiente non ha senso togliere
i dazi.

Caratteristiche operative delle reti:

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es. prima dell’adeguamento degli standard, ogni paese aveva le reti con certe
caratteristiche diverse da paese a paese.
Ad esempio lo scartamento: diff tra i due binari calcolata dall’interno; questa lunghezza era
diversa da paese a paese, c’erano paesi che avevano uno scartamento più piccolo o
grande.
Quindi se il treno arriva da un paese all’altro, noi possiamo aver abbattuto tutte le barriere
doganali, ma il treno si ferma e bisogna ricaricare tutto su un altro treno e che può
viaggiare su quella rete con uno scartamento diverso.

Oppure differenza di tensione elettrica tra pese e paese: standard importante che limitava
la fluidità dei trasporti.

Cosa succede andando avanti?

2Atto unico europeo 1986: si crea una nuova esigenza:


ALLARGAMENTO:
Noi di solito ci riferiamo a quello che ha portato all’ingresso dell’Ue i paesi baltici e quelli
dell’Ue centro orientale; in realtà dalla fondazione ad oggi ci sono stati più allargamenti.
La cartina parte dal 1952- con il trattato di Parigi con il quale viene cost la Cieca: comunità
europea del carbone e acciaio- area limitata x lo scambio di quei due prodotti.
Viene riportata nella slide perché è considerata l’embrione della comunità e poi dell’Ue.
Poi abbiamo 1 primo allargamento con l’ingresso del regno unito e Danimarca, ma
l’allargamento più problematico è quello che si estende ad alcuni paesi del sud Europa:
Grecia, spagna e portogallo- perché questi paesi hanno delle differenze rilevanti x quanto
riguarda le loro infrastrutture e il livello di sviluppo economico- quindi negli anni 80 si pone
un nuovo problema: esigenza di ridurre questo divario infrastrutturale fra i paesi fondatori e
quelli entrati dopo.
Via, via ci sono le varie tappe- guardare cartina
Oggi allargamento: c’è anche l’uscita del regno unito, che si sta completando.

Ingresso di questi paesi dell’est Europa porrà atri problemi di adeguamento, coesione e
differenza tra modelli infrastrutturali diversi.

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Il riconoscimento di questa esigenza prende forma nell’atto unico europeo, è il documento


che sostituisce il trattato di Roma e istituisce il mercato comune europeo: mercato dove
persone e merci possono circolare liberamente.
Qui troviamo riferimento al carattere spaziale della coesione: la realizzazione del mercato
passa attraverso l’organizzazione delle infrastrutture.
Il passaggio fondamentale: queste esigenze prendono forma nel trattato di Maastricht,
quello che sostituisce i precedenti e istituisce l’UNIONE EUROPEA vera e propria.

Maastricht: acquistano priorità tutte le politiche che riguardano il territorio, come le politiche
di sviluppo regionale; rientra anche la politica dei trasporti, una delle priorità dell’Ue.

- Altro elemento di cambiamento: nuovo ruolo che assume la commissione europea in


tutte le politiche di sviluppo regionale. Per aumentare la coesione interna. E nello
specifico nelle politiche dei trasporti: prima la commissione si limitava al ruolo di
coordinatore, finanziate di singoli programmi nazionali, ora è il promotore delle politiche
di sviluppo territoriale e dei trasporti-RUOLO DI PRIMO PIANO.

1992: la politica dei trasporti trova una sua configurazione in un documento: libro bianco
della politica comune dei trasporti, e contiene gli obbiettivi generali che la politica europea
si pone e le realizzazioni con cui si vanno a realizzare gli obbiettivi.

In questo periodo nasce un programma importante: PROGRAMMA TEN- riguarda le reti


transeuropee, complesso di reti integrate che dovrebbe avvicinare le regioni periferiche al
cuore dell’Ue, e attraverso le quali dovrebbero scorrere tutti i flussi, anche quelli che
riguardano l’intermodalità.
Nel libro bianco poi si comincia a far riferimento al problema ambientalefatto che i
trasporti costituiscono un forte fattore di inquinamento legato al fatto che in quel momento,
inizi anni 90, i trasporti crescevano in maniera squilibrata, con il predominio di trasporto su
strada, sia persone e merci.
Inizi anni 90- 85% delle merci viaggiava su strada, solo 9% su ferrovia- quindi attenzione
all’ambiente vuol dire anche riequilibrare i modi di trasporto e dare priorità ai mezzi che
inquinano meno, come la ferrovia.
Da qui il passaggio è breve alla intermodalità, trasferire quasi tutto su ferrovia, in
particolare x l’Europa, quella tipologia di ferro-gomma.
Cosa succede nel passaggio tra 1993 e 2000?
Vengono rivisti gli obbiettivi del libro bianco, a seconda dei cambiamenti dell’economia.
Anche se si voleva aumentare la coesione, la maggior parte degli interventi si sono
concentrati su quello che era l’asse più forte- LA BANANA BLU.

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Appare x la prima volta nel 1989 quando l’istituto di ricerca, con sede e a Montpellier, ha
commissionato uno studio sul futuro delle città europee, e da questo studio è emerso che
si era costituito un grande corridoio urbano, formato da città e assi di trasporto, corridoio di
forma curva con forma di banana blu- come il colore dell’Ue.
Corridoio che parte da Londra e arriva fino a Milano, tirando dentro le aree di
industrializzazione europea.
Di fatto in questa prima fase vengono mancati gli obbiettivi, che erano quelli della
coesione; di corridoi se ne stavano formando parecchi, quindi andava rivista la questione.
Ultima revisione libro bianco 2011.

LIBERALIZZAZIONE SOSTENIBILITA’
AMBIENTALE

PILASTRI DELLA POLITICA


COMUNITARIA

STANDARD TECNOLOGICI INFRASTRUTTURAZIONE/


COMUNI RETE EUROPEA TEN-T

Questi pilastri sono nati già in passato- ancora vanno poi a tradursi in obbiettivi che si
vogliono raggiungere e vanno declinati alle politiche di livello inferiore.
(La liberalizzazione nata con il trattato di Maastricht, anche la sostenibilità ambientale e ten-t)

Liberalizzazione:
tutti i settori dei trasporti in questi anni, soprattutto dagli anni 90, sono stati interessati da
processi di liberalizzazione; ad es. nel trasporto ferroviario la liberalizzazione ha permesso
di praticare servizi nazionali anche a operatori stranieri, e ha permesso ad aziende private
a entrare nel mercato.
La liberalizzazione riguarda non solo l’ingresso degli operatori privati ma anche altri
obblighi a cui si devono adeguare le principali compagnie ferroviarie all’interno dei paesi
europei.
Es. Direttiva comunitaria 1991- separazione tra gestione delle reti ferroviarie e gestioni del
servizio offerto ai pass e merci, x andare a limitare il monopolio delle imprese statali e x
offrire un servizio migliore al cliente- concretamente questa direttiva in Italia applicata nel
2001- in ita questa direttiva ha portato alla costituzione di due società: RFI, rete ferroviaria
italiana che gestisce reti e stazioni, TRENITALIA- servizio ai passeggeri- il flusso.
Non era cosi prima della liberalizzazione- questo ha imposto al gruppo ferrovie dello stato,
che è comunque un’impresa pubblica, una maggiore efficienza operativa scorporandosi
attraverso queste due entità controllate e questo avrebbe dovuto offrire un servizio più
preciso al cliente.

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Sostenibilità Ambiente:
questo è un tema che diventa prioritario nelle politiche dei trasporti, ma anche nelle altre
politiche.
Sostenibilità passa due obbiettivi:
- Decarbonizzazione dei trasporti, che riguarda i singoli settori di trasporto
- Intermodalità, favorire la modalità non inquinante.
Decarbonizzazione: nei singoli settori di trasporto, strada, aereo e marittimo, limitare
l’utilizzo di carburanti tradizionali.
Nel trasporto urbano l’obbiettivo è quello, entro 2030, di dimezzare l’uso di autoveicoli
alimentati con carburante tradizionale- ricorrere a fonti alternative.
Trasporto urbano tranvie che usano la modalità elettrica LIMITARE LE EMISSIONI e
allo stesso tempo sviluppare forme di trasporto alternativo, che non prevedono l’uso di 4
trasporto su gomma: bici, monopattini, mezzi che non emettono co2.
L’obbiettivo finale dell’Ue: eliminare del tutto l’utilizzo di autoveicoli alimentati con
carburanti tradizionali entro 2050- obbiettivo ambizioso, e nella realizzazione di esso
intervengono anche gli attori locali.
- Nel trasporto aereo si tratta di utilizzare, non di eliminare i carburanti tradizionali,
sempre entro 2050 il 40% di carburanti a basso tenore di carbonio, sfruttando anche le
innovazioni tecnologiche che riguardano gli aeromobili.
(oggi costruisco aeromobili meno pesanti, quindi consumano meno)
- Nel trasporto marittimo il problema: sono le emissioni di co2, prodotte dagli eoli
combustibili che si utilizzano nei motori marini, ma anche qui ci sono delle miscele
meno impattanti, - 40% 2050 stesso obbiettivo.
Per quanto riguarda il resto l’altro grande obbiettivo è quello di puntare
sull’INTERMODALITA’ almeno sulle percorrenze superiori a 300 km/h (da strada a
ferrovia; entro il 2030 almeno il 30% del trasporto merci su strada su altre modalità, ovvero
ferrovia o vie navigabili).
L’intermodalità presuppone che si sviluppino anche i nodi di collegamento terrestre, quindi
posso realizzare tutta l’intermodalità, bisogna pensare in termini sistemici.

Standard tecnologici comuni:


qui è stato fatto fin dagli anni 80 un grande sforzo di adeguamento x superare le differenze
che erano caratteristiche del periodo, in cui ogni paese costruiva da solo- problemi spesso
trascurati ma che rendevano i confini tra paesi rigidi e non fluidi.

Infrastrutturazione/ rete europea TEN-T:


Realizzare entro il 2030- attraverso il finanziamento del trans-european transport network,
realizzare una rete di trasporto intermodale; quindi all’interno della programmazione
europea c’è questo grande progetto, iniziato con mastrich, che riguarda la realizzazione di
una rete di collegamenti che avvicinano i diversi punti di un territorio che possono essere
anche lontani fra loro.
È un progetto già rivisto, vuole trasformare strade, ferrovie, e vie navigabili, e le
infrastrutture, IN UNA RETE INTEGRATA CHE COPRA IL TERRITORIO DELL’UNIONE
EUROPEA.
Questo è il presupposto per un BUON FUNZIONAMENTO DEL MERCATO INTERNO, e
per garantire la competitività dei paesi dell’Ue verso l’esterno.
Rivediamo una mappa già vista quando parlavamo degli interporti:

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All’interno dell’ultimo libro bianco, 2001, l’unione europea ha revisionato la politica delle reti
ten-t; ha individuato in questo complesso di infrastrutture delle infrastrutture prioritarie 9
corridoi chiamati COR, che sono da realizzare in via prioritaria entro il 2030, perché sono
quelli che garantiscono coesione e collegamenti fra paesi dell’unione.
Visto che i finanziamenti sono limitati, si decide di selezionare 9 assi principali, corridoi, sui
quali realizzare questi corridoi multimodali.
Di questi corridoi sono già realizzate delle parti- dei tratti più o meno lunghi, ma non sono
ancora stati completati.
In questo schema, l’Italia ha una posizione centrale, che dipende un po’ dalla sua
posizione geografica.
È un ponte tra nord-sud europea; e con i paesi a sud del bacino del mediterraneo.

Di questi, 3 corridoi passano per il veneto.


Scandivavo- m; medit corrid; baltico-adri.
C’è anche un’altra soluzione per far viaggiare le merci- è quella delle AUTOSTRADE DEL
MARE- sono un’altra cosa rispetto alle autostrade viaggianti, hanno a che fare con quello

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che chiamiamo CABOTTAGGIO- è un tipo di navigazione che si svolge tra i porti di uno
stesso stato, o nel caso di aggregazioni come l’Ue dove non ci sono confini politici o
economici, all’interno dell’Ue. Quindi navigazione tra porti nazionali, o comunitari.
Prevede una navigazione vicino alla costa, non va in alto mare; è un servizio di trasporto
marittimo delle merci, che ha linee di cabotaggio che collegano porti del nord-sud Italia fra
loro, o che collegano i porti italiani con quelli dei paesi che si affacciano sul mar
mediterraneo.
Le autostrade del mare sarebbero un’altra possibilità per spostare le merci dalla strada;
abbiamo molti km di costa, sarebbe un’opportunità da sfruttare; è una pratica che al
momento viene perseguita poco.

ICT E COMMERCIO ELETTRONICO:


Le « Information & Communication Technologies » (ICT) e i loro effetti geografici.
Le ict sono quelle che ci permettono di realizzare concretamente l’intermodalità e la
logistica.
Le comunicazioni a distanza:
noi parliamo di quelle che sono nate con la grande rivoluzione dell’informatica; ma le
comunicazioni a distanza sono sempre esistite; in senso moderno ne parliamo nell’800 con
l’invenzione del telegrafo e del telefono- poi altre innovazioni, le telecomunicazioni.
Con rivoluzione informativa nasce- la telematica.
p.90 del nostro testo- caratteristiche di questo processo.

Con telecomunicazioni ci riferiamo alle tecnologie e relative reti che permettono il


trasferimento dell’informazione che oggi è diventata un fattore della produzione strategico.
Informazione è più importante dei fattori tradizionali della produzione, capitale e lavoro.
Oggi, nella società stessa dell’information technology- l’informazione, trasmissione
diffusione dell’informazione ha un ruolo strategico in tutti gli ambiti; oggi però io posso
trasferire l’informazione sotto mille forme- foto, video, immagini- in tempi veloci, c’è un
annullamento della distanza.
Queste nuove tecnologie hanno avuto un impatto rivoluzionario su tutti gli ambiti, noi ci
riferiamo agli ambiti geoeconomici.

E-COMMERCE ORGANIZZAZIONE
PRODUZIONE
TRASPORTI E
LOGISTICA
ECONOMIA E FINANZA
AMBIENTE

SALUTE

ICT

CULTURA/ RICERCA
ISTRUZIONE

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Parleremo della rivoluzione di internet e e-commerce: nuovo modo di scambiare beni e


servizi, pero l’ict hanno un impatto rivoluzionario su tutti gli ambiti dell’economia.
Le ict sono quelle che permettono di mantenere il collegamento in tempo reale o quasi
reale, tra quelle che sono le diverse unità produttive che magari sono sparse su tutto il
pianeta.

Arriviamo anche a parlare di globalizzazione, non sarebbe stata possibile senza ict- le ict
poi hanno cambiato anche il modo stesso di organizzare la produzione anche all’interno
della fabbrica, e lo cambiano ancora anche con l’ultima evoluzione che ci riporterà alla
quarta rivoluzione industriale.
Le ict Hanno cambiato il mondo della logistica.
Hanno cambiato il mondo dell’economia e della finanza, consentendo in forma immateriale
i capitali.
Tutta la finanziarizzazione dell’economia è stata resa possibile dalla deregulation, ma
anche dalla ict- consentono a tutte le borse di essere in collegamento reale fra loro.
Nell’ambito dell’ambiente:
grazie a queste ict possiamo raccogliere un numero elevato di dati, abbiamo la possibilità
di elaborarli in tempi brevi, possiamo intervenire sulle modalità più impattanti, e allo stesso
modo le nuove tecnologie riducono l’impatto delle nostre attività umane sull’ambiente.
Oggi abbiamo una produzione, se utilizziamo queste tecnologie, meno impattante dal
punto di vista ambientale, sia in termini di emissioni, sia in termini di produzione e di scarti.
X i trasporti: decarbonizzazione si realizza anche grazie a queste nuove tecnologie che ci
consentono di limitare i carburanti tradizionali.

In ambito CULTURALE.
Le nuove tecnologie ci fanno mettere in rete una serie di contenuti che riguardano la
cultura; pensiamo alle nostre biblioteche culturali.
Oggi senza muoverci, se ci serve qualcosa, anche se è dall’altra parte del mondo
possiamo procurarci ciò che ci interessa.
Ambito dell’ISTRUZIONE:
lezioni a distanza.

Nell’ambito della SALUTE:


offrire servizi sanitari anche in aree dove non arrivano i servizi fisici, possibilità di
trasmettere cartelle sanitarie; interventi chirurgici a distanza.

Nel settore TURISMO:


settore rivoluzionato, tipo oggi non andiamo più ad acquistare i biglietti in agenzia,
intermediario, ma facciamo da soli.

Ma allora le ICT-telecomunicazioni, cosa producono a scala geografica?


Vanno ad intensificare la convergenza spazio-temporale, oppure no?
Si, queste ict producono una riduzione della distanza funzionale ancora più evidente
rispetto alle innovazioni, tecniche e organizzative nel settore dei trasporti.
In certi casi, non per i trasporti, possiamo parlare non di riduzione ma di annullamento
della distanza funzionale: nell’e-commerce, la transazione avviene in tempo reale, però poi
il bene ci viene consegnato attraverso i trasporti e nonostante il tempo si accorci c’è
sempre una distanza-tempo che ci separa dal momento dell’acquisto e quando ci arriva.

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Se noi compriamo qualcosa di già digitale, nel momento stesso possiamo già avere il
prodotto- in questo caso annullamento della distanza funzionale.
Ma funziona tutto così?
NO.
Questa convergenza è possibile, ma solo se i paesi e le persone hanno accesso a queste
nuove tecnologie dell’informazione, se non c’è esso è inutile parlarne.
Tanti paesi hanno un accesso limitato a queste nuove tecnologie e quindi è nato un nuovo
termine: DIGITAL DIVIDE- divario digitale si riferisce alle disuguaglianze nella possibilità
di accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione da parte di individui,
famiglie, imprese situate in varie aree geografiche del pianeta.

Questo Digital divide è sempre calcolato in rapporto a quelle che è la scala globale, ci
mettono in evidenza le differenze fra paesi ricchi e poveri.
Però questo discorso si riproduce anche ad altre scale geografiche; se vediamo chi ha
accesso a queste tecnologie anche qui troveremmo dei Digital divide- sono comunque
delle barriere che impediscono a cittadini che sono localizzati in quelle parti di paese che
hanno poca copertura, impediscono l’accesso ad es. a servizi della pubblica
amministrazione, impediscono alle imprese di essere competitive.
Ci sono aree con una scarsa copertura di internet, hanno meno possibilità.
Una delle aree con un più forte Digital divide: aree alpine dell’Italia, sindaci si sono ritrovati
più volte per sottolineare come ampie aree del paese, dove ci sono piccoli comuni; mentre
gli altri sono proiettati sempre in avanti, alle reti di quinta generazione; mentre nelle aree
montane non prende nemmeno la tv, non c’è segnale e hanno reti di 3 generazione e
l’Italia è comunque un paese economicamente avanzato, ma ha all’interno delle aree
grigie.

e-commerce più diffuso nelle medie imprese e meno diffuso in quelle piccole.
Ci sono delle barriere di carattere generazionale, nella popolazione anziana è meno
diffusa questa tecnologia, non tutti alcuni sono andati oltre, ma altri non sa nemmeno
come si fa ad acquistare in internet.

Il Digital divide è anche un indice, che è costituito da altri indicatori.


Come si misura- con che indicatori?
- Indice di Teledensità: dato dal rapporto tra numero di abbonamenti telefonici- sia
telefonia fissa che mobile- e gli abitanti; per certi aspetti questo indicatore ha perso di
significato, all’inizio era importante perché dava l’impressione di come cresceva il
paese, oggi questa fase è stata quasi saltata, se non per la telefonia mobile.
Nei paesi economicamente avanzi: la telefonia fissa inizialmente aumenta ma poi si
ferma e anzi inizia a diminuire, perchè con il cellulare si fa tutto e anzi di più di quello
che faceva il telefono fisso.
Questo indicatore quindi anderebbe rivisto per la telefonia fissa.
- Utilizzo di pc: numero di pc ogni 100 abitanti; è una stima calcolata tenendo conto
delle vendite dei pc e rapportata alla durata di vita media dei prodotti.
- Diffusione di Internet: numero di utenti internet ogni 100 abitanti. È il dato più
importante per quanto riguarda le nostre considerazioni.

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10 LEZIONE 29.10

A due date diverse vediamo quale era e qual è il trasso di penetrazione di internet, a livello
globale, la barra chiara, e per macro area.
Al 2010 la popolazione globale era di 6,8 miliardi, gli utenti internet 1,9 miliardo il 28%
della popolazione globale usava internet.
Per macroaree la situazione è differenziata- guardare grafici.
Australia- paese economicamente avanzato.
2019: il valore globale è aumentato, 58.8% della popolazione è utente internet, sono
cambiati anche i dati che riguardano la popolazione.

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Spiegazione dell’ultimo grafico e quello successivo:


Se prendiamo la popolazione di utenti internet aa livello globale e la popolazione totale calcoliamo
la percentuale 58.8%.
Stessa operazione per ogni macro area, vedo ad esempio in nord America vado a vedere quanti
sono gli utenti internet sul totale della popolazione del nord America, 89.4%; rifaccio la stessa
operazione per tutte le macro aree- è la percentuale di utenti internet che vivono in nord America
sul totale della popolazione del nord America.
Nel grafico successivo per calcolare per esempio il 49.8% della popolazione asiatica, prendiamo
gli utenti internet che vivono in asia, più della metà della popolazione, e al denominatore non
mettiamo la popolazione totale, ma LA POPOLAZIONE DI UTENTI, 4.5 MILIARDI, che troviamo
nel grafico precedente.
È cambiato il denominatore della percentuale.
Le posizioni delle singole macro aree- tutte crescono, in paesi come il nord America dove
già nel 2010 il tasso di penetrazione di internet era elevato, arriviamo ad un effetto di
saturazione.
Questi dati non ci dicono nulla del Digital divide interno nei diversi paesi.

Questa slide: Utenti internet dove sono distribuiti?


Quasi un 50% di utenti internet si trova in Asia, anche se essa ha un 54% di tasso di
penetrazione.
Nord America e Europa pur avendo un valore alto qua pesano poco, 7 e 11.9%.

COMMERCIO ELETTRONICO: il precursore del commercio elettronico: il sistema EDI-


Electronic data Interchange.

Un precursore del commercio elettronico c’è stato ed è l’EDI.


È un sistema che risale agli anni 70 del 1900, è stato creato inizialmente dalle aziende di
trasporti e poi è diventato molto importante per le industrie dove circolavano grandi
quantitativi di scorte, come le industrie automobilistiche, o le industrie alimentari.
Questo sistema permetteva di trasferire informazioni e documenti commerciali, come ordini
di acquisto, in un formato elettronico standard, attraverso canali dedicato, si creava una
sorta di rete telematica privata, perché interconnetteva solo queste imprese, ed era molto
sicura essendo privata.

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Questo permise alle aziende di eliminare il commercio attraverso la carta; risparmiano sui
costi di stampa dei moduli cartacei in quelle che sono le trattazioni da fare.
Le informazioni viaggiavano tramite le linee telefoniche, linea chiusa e privata.
Però lo svantaggio: chi voleva entrare in questa rete doveva dotarsi di questi sistemi di
connessione dedicati, ma erano costosi, quindi andavano bene per grandi imprese che
riuscivano ad ammortizzarlo, non era conveniente per imprese di piccola dimensione che
avevano un volume limitato di transazioni.
Era un sistema rigido, dal punto di vista della comunicazione, una volta stabilità la
transazione si accettavano i termini e pochissima, quasi niente, negoziazione.
Tutto ciò superato nella prima metà degli anni 90, nel momento in cui è stato inventato
INTERNET, e ciò che ha accelerato la diffusione di internet è stata l’invenzione e la
diffusione dei primi browser che hanno reso possibile l’acceso a internet ad ampi stati di
popolazione.
Ufficialmente il commercio elettronico viene fatto partire nel 1995- anno in cui
compare il primo annuncio pubblicitario online di un bene.
Amazon nasce nel 1994- e inizia ad operare nel 95.
È una prima fase in cui, chi entra per primo nel mercato ovvero queste imprese
marketplace acquisiscono e mantengono una posizione dominante.
Prima l’area di mercato era totalmente vuota, quindi chi entra si accaparra più clienti.

Fino al 2000- il commercio elettronico cresce però la gamma di prodotti venduta era
abbastanza semplice, poi dal 2000 al 2005 viene inclusa anche la vendita di servizzi di
trasporto, finanziari cresce il commercio elettronico, abbastanza simile ad oggi.
Dal 2004 abbiamo una serie di innovazioni che ci fanno cambiare ulteriormente internet e
anche il commercio elettronico, che lo porta fino alla situazione attuale.
Quali sono le innovazioni?
1- Riguardano l’evoluzione di internet, il termine compare nel 2004, poi passiamo al
web2.0; prima l’utente poteva consultare siti e portali e fare tutte le transazioni
commerciali con il web2.0 può interagire con la rete, può generare lui stesso
contenuti ciò forma i social network, dove l’utente non è più passivo come prima
ma diventa attivo perchè genera contenuti, da valutazioni o giudizi su prodotti che ha
utilizzato.
2-Nascita e diffusione dei dispositivi mobili, tablet e smartphone.
3- La domanda degli utenti si sta orientando sempre più verso una gamma di servizi on
demand e personalizzati.

DEFINIZIONE DI E-COMMERCE:
prima definizione:
«Vendita o acquisto di beni e servizi, effettuati da un’impresa, un individuo,
un’amministrazione o qualsiasi altra entità pubblica o privata, attraverso l’impiego di una
rete internet» (OCSE, UNCTAD)

Seconda definizione:
«Svolgimento di attività commerciali e di transazioni per via elettronica comprendenti
attività diverse quali la commercializzazione di beni e servizi per via elettronica, la
distribuzione online di contenuti digitali, l’effettuazione per via elettronica di operazioni
finanziarie in borsa, gli appalti pubblici per via elettronica e altre procedure di tipo
transattivo della Pubblica Amministrazione» (Commissione Europea, 1997).

Possiamo individuare varie tipologie di commercio elettronico a seconda del criterio che
prendiamo in riferimento

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- E-commerce indiretto (beni materiali)


E-COMMERCE
- E-commerce diretto (beni digitali e
immateriali)
e-commerce indiretto: situazione in cui la transazione avviene in forma elettronica,
internet; mentre la consegna del bene avviene attraverso canali tradizionali.
e-commerce diretto: situazione in cui sia la transazione sia la consegna del bene e del
servizio avvengono in via telematica. (ebook, film, o beni immateriali-servizi turistici,
albergo). La distanza funzionale si annulla.
TIPOLOGIE DI E-COMMERCE-ATTORI, soggetti coinvolti negli scambi e il tipo di
relazione che si mette in atto anche tra questi soggetti.
a- B2B, BUSINESS TO BUSINESSgli attori coinvolti sono esclusivamente le
imprese che mettono in atto delle relazioni commerciali fra loro; prima forma di e-
commerce, nato con l’EDI, e poi si è sviluppato con l’evoluzione di internet,
coinvolge un numero limitato di soggetti, però è questa la tipologia che genera il
volume d’affari più grande, 87 % del commercio elettronico.
Le imprese che interagiscono: produttore-grossista; grossista-dettagliante; imprese
che si trovano in punti diversi delle grandi catene del valore. Ci sono i cosiddetti
marketplace- sono gli intermediari a cui possiamo fare riferimento per effettuare le
transazioni tra chi vende e chi acquista.
Il vantaggio di B2B è immediato, raggiunge un numero di acquirenti e fornitori molto
più ampio rispetto ai modi antichi e tradizionali, e possono entrare in altri mercati
stranieri.
Anche le piccole imprese possono entrare nelle catene del valore, mentre prima era
impossibile che entrasse. Con questo B2B, posso essere più efficiente, mi organizzo
meglio con la merce.

b- B2C, BUSINESS TO CONSUMER noi consumatori interveniamo.


Attori: imprese-consumatori; è la più nota ma non la più importante, l’espansione ha
coinciso con la diffusione di internet presso le famiglie e i consumatori finali.
Oggi acquisto un prodotto anche dall’altra parte del mondo, sono acquisti senza
limiti di tempo h24.
Vantaggi:
Imprese: accesso a un mercato globale di consumatori
Consumatori: accesso a un’ampia offerta di prodotti

c- C2C, CONSUMER TO CONSUMER gli attori sono i consumatori, hanno sia la


funzione di venditori che acquirenti. Si è sviluppata dopo il B2C, grazia alla nascita
dei siti di aste online, come Ebay.
Sono nati altri siti che fanno da intermediari, mettono in contatto il consumatore
venditore e il consumatore cliente, DEPOP.

d- B2G, BUSINESS TO GOVERNMENT Gli attori: pubbliche amministrazioni,


imprese ma possono essere anche i cittadini, perché la pubblica amministrazione
oggi da alcuni servizi ai cittadini a pagamento.
Le strutture della pubblica amministrazione e gli operatori del mercato che fanno da
fornitori per la p.amm.
Ultima tipologia aggiuntiva:

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CONSUMER TO BUSINESS- C2B.


Attori = al B2C; ma la direzione va in senso opposto.
I consumatori creano valore per l’azienda.
Come avviene concretamente?
- I consumatori offrono- sponsorizzano prodotti/servizi alle aziende in cambio di un
compenso;
- I consumatori stabiliscono quanto sono disposti a pagare per un prodotto o servizio;
- I consumatori creano valore attraverso recensioni-social, proposte di modifica dei
prodotti.
Sui social raccogliamo anche molti dati, può modificare e adeguare i suoi prodotti e servizi.

L’E-COMMERCE E LE IMPRESE. Almeno una parte delle imprese tradizionali si è


adeguata a questo commercio.

- MARKETPLACE: aziende commerciali online che svolgono il ruolo di intermediatori e


operano sia nei beni che nei servizi; fanno da intermediari fra chi vende e compra, b2b
e b2c.
Un marketplace pure dovrebbe fare da intermediario senza assumersi la proprietà
della merce che dovrebbe rimanere al venditore. Anche quelli che erano puri oggi
fanno da retailer.
Ci sono dei marketplace che organizzano tutta la logistica, Amazon; altri che fanno
da intermediari e basta.
orizzontali trattano quasi tutte le tipologie di prodotti (Amazon); verticali sono
specializzati per un determinato settore (Zalando, Booking).
Marketplace fanno da intermediari prevalentemente nel B2C; però ce ne sono altri
specializzati che operano nel B2B, ma noi consumatori non li conosciamo.

- SITI DI VENDITE PRIVATE (FLASH SALE): aziende commerciali online che


propongono una selezione dell’offerta di produttori/brand noti e organizzano campagne
di vendita brevi a prezzi scontati. Sono marketplace che operano nell’ambito B2C.
(Vepee)

- RETAILER TRADIZIONALI (CLICK-AND-MORTAR): imprese, già esistenti, che


hanno adottato, per non rimanere indietro, la strategia della vendita online accanto a
quelle di vendita tradizionale (Walmart, Tesco). Lo fanno molti supermercati.

- TRADIZIONALI INDUSTRIE MANIFATTURIERE: vendono direttamente al


consumatore finale senza passare dal retailer solo acquisti/vendite online o se operano
dell’ambito della B2B gestione della supply chain attraverso la rete.

Siamo già a più di 20 anni che è nato il commercio elettronico, sono cambiate le imprese,
e nel corso del tempo è cambiato lo stesso Amazon che non è più solo marketplace, offre
una serie di servizi.
Amazon Si sta espandendo anche nell’ambito della distribuzione organizzata tradizionale,
nei negozi fisici.
Per noi Amazon è un intermediario, mette a contatto il venditore con il cliente ma non
acquista la proprietà della merce, organizza però la LOGISTICA.
Amazon- è un canale che consente a chiunque di vendere all’utente finale, percepisce una
percentuale di commissione per ogni vendita, però è sempre il venditore che si assume
comunque la responsabilità della vendita e gestisce i prezzi.

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Amazon retail: acquista la merce dal venditore e la rivende sul suo sito; in questo caso il
venditore non ha più rapporti con il cliente finale, Amazon fa i prezzi, si assume i rischi
dell’invenduto, e si rapporta direttamente al cliente.
Amazon offre una serie di servizi, come il PRIME, per far arrivare la merce in tempi brevi.
(Amazon sta testando la consegna dei prodotti con i droni). Altri servizzi: amzon video- che
va in concorrenza con netflix; prime musica- concorrenza come spotify.
ALEXA: fa riferimento all’intelligenza artificiale.

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11 LEZIONE- 4.11.2020
Riprendiamo dall’ultima slide:
questi market-place che non sono più solo puri, come Amazon; comunque queste imprese
cominciano anche ad adottare delle strategie di diversificazione, Amazon ha sviluppato una
serie di servizi per i suoi clienti, e si sta espandendo anche in un settore che fino a questo
momento non era coerente rispetto al proprio business- sta entrando anche nell’ambito dei
negozi fisici, nell’ambito della GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA.

Il primo passaggio è stato l’acquisizione del WHOLE FOODS MARKET nel 2017, che è una
catena di supermercati che vendono prodotti biologici, naturali, è una catena americana, e
Amazon ha acquistato questa catena di negozi, e ha iniziato a conoscere la vendita fisica.
Il secondo passaggio: creare direttamente un sistema di negozi fisici di piccoli supermercati,
sono gli AMAZON GO- il primo è stato inaugurato a Seattle dove Amazon ha il suo quartiere
generale, poi localizzati altri 20 circa, e si parla di entrare con questa formula, non ancora
successo in Europa, anche nel mercato europeo è un supermercato che permette di fare la
spesa in maniera automatizzata, non ci sono casse, code, cassieri; il cliente scarica un
applicazione- Amazon go- deve aprire un conto Amazon, e quando entra nel negozio
scannerizza con un codice Qr il suo profilo e dopo di che procede alla sua spesa, prende i
prodotti dagli scaffali e poi esce; perché all’interno del negozio ci sono telecamere che ti
seguono passo per passo e ci sono anche sensori che rilevano ciò che prelevi dallo scaffale, o
anche depone il prodotto.
C’è questa intelligenza artificiale, che osserva il consumatore.
(acquisti veloci in pause pranzo- pochi prodotti all’interno).

Perché Amazon entra nella distribuzione fisica?


Offre al cliente un servizio senza periodi di attesa, sperimenta una soluzione di questo tipo
perché potrebbe incrementare le vendite.
Non tanto negli Amazon go, ma nella versione vera e propria supermercato, perché nel 2020 è
stato aperto un primo Amazon go Grocery- vero e proprio supermercato, con ampia gamma di
prodotti.
Oltre a capire se il cliente è attratto, si vuole capire anche quali sono i prodotti che il
consumatore preferisce.

Certo è che entrando in un segmento che non è del proprio business va in competizione con
quelli che sono i colossi della grande distribuzione organizzata, che già cercano di svilupparsi
e innovarsi per rimanere in competizione sul mercato.

Ritornando alla funzione originale di Amazon- cosa ha comportato sul territorio questo modello
di logistica che Amazon ha implementato?
Ha portato alla localizzazione di grandi strutture che si posizionano in prossimità di quelli che
sono dei mercati di diffusione, e in prossimità degli assi autostradali. Vicino alle città ma non
alle città, quindi vicino all’accesso delle reti.
La logistica di Amazon prevede la presenza, a livello globale, di 175 centri di distribuzione,
dove vengono elaborati gli ordini dei clienti, e poi la merce viene spedita a dei centri più piccoli
che sono i centri di smistamento che sono più capillari.

Uno dei centri di smistamento si trova nella zona industriale id Verona- struttura non
grandissima, occupa 8500 mq, e fa parte di un progetto di riqualificazione dell’area perchè
stato costruito su un edificio di un calzaturificio.
È stato importante perché ha significato: Non utilizzare nuovo suolo, cosa che spesso si fa ed
è eccessivo, porta a tanti problemi ambientali.

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Cosa serve questa struttura? Questa struttura è un centro di smistamento, non ha un grande
bacino di utenza ma va a servire i clienti localizzati, nella provincia di Verona, ma anche nelle
provincie limitrofe.
Quanti posti di lavorano creano queste strutture? 30 posti lavoro interni, ma poi c’è tutto
l’indotto 150 posti da parte delle imprese di autotrasporto che fanno poi il servizio per Amazon.

Un’altra struttura simile:


centro logistico di Zalando- marketplace verticale specializzato in alcune tipologie di prodotto.
È una struttura più grande come dimensione 130 mila mq, la localizzazione è in un contesto
extraurbano, parte sud della provincia di Verona, e da qui c’è l’accesso diretto al casello
autostradale posizione geografica strategica e ottimale.
È un hub logistic, serve un bacino molto più ampio, serve non solo i clienti italiani ma anche
altri mercati del sud Europa, come il mercato francese.
Quando i posti di lavoro saranno creati a regime? Nei prossimi anni circa 1000 posti di lavoro.
Non dobbiamo solo pensare a quanti ma anche a quali, ovvero la qualità alcuni mesi dopo
l’avvio di questo centro 2019, sono uscite le prime polemiche perché in realtà i posti di
lavorano avevano contratti a termine che a volte venivano rinnovati e a volte no, questo
determina una continua instabilità, incertezza.
Primi giornali che denunciavano la cosa: se ne è scoperta un’altra- queste persone non sono
dipendenti di Zalando ma sono dipendenti di un operatore della logistica a cui Zalando ha
demandato l’operatività del suo sito e del personale- e questo operatore della logistica,
azienda tedesca, attivava le agenzie per assumere personale.
Non è di per se Zalando che gestisce e assume, entrano in gioco tutti questi intermediari.

Spesso cosa fanno questi centri logistici?


Nel momento in cui concentriamo le attività in un sito più grande, un altro sito viene chiuso e ai
lavoratori viene lasciata l’alternativa- spostarsi o stare a casa.

Volume d’affari complessivo: dato dell’UNCTAD, 2018


Il volume d’affari dell’e-commerce a livello globale era di circa 25 mila miliardi di dollari, a
questo valore però contribuisce prevalentemente il commercio elettronico B TO B, che si
svolge all’interno del mondo delle imprese.
Per quanto riguarda i mercati, se guardiamo commercio elettronico nella sua complessità, la
quota principale è quella degli USA, seguiti dal Giappone, Cina, Sud Corea, Germania…
Se noi scorporiamo il valore complessivo nell’e-commerce B TO B, e nell’e-commerce B TO
C; gli usa sono presenti in entrambi per primi, se guardiamo la Cina è poco presente nel b to b
ma molto presente nel b to c.

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In ambito europeo facciamo riferimento all’EUROSTAT- istituto di statistica dell’unione


europea.

Ci mostra l’andamento degli utenti internet che hanno comprato-ordinato beni e servizi per uso
privato, Nell’ambito B TO C, nei precedenti 12 mesi di rilevazione, distinti per fasce d’età.
Il riferimento è ancora l’Europa a 28, anche UK.
Se guardiamo il dato totale dal 2009-2019 vediamo una continua crescita del commercio
elettronico tra gli utenti internet- c’è una progressiva confidenza.
2019- supera il 70%.
Il comportamento è diverso per fasce d’età, quella che sembra utilizzare di più questo tipo di
acquisto è la fascia intermedia, che va dai 25 ai 50 anni.
Il rispettivo rapporto tra la fascia intermedia e quella più giovane; quella più giovane parte ad
un 50% però ad un certo punto le due curve si incontrano, si equivalgono fino poi, la curva più
giovane supera l’altra- arrivando sempre più vicina all’80%.
La classe d’età più avanzata, pur crescendo, cresce in maniera meno netta e più graduale- c’è
un digital divide generazionale.

Abbiamo anche un digital divide geografico per quanto riguarda gli utenti che acquistano
online: 2018-

Un digital divide lo vediamo tra quelli che sono i paesi del nord Europa e centro, con il sud e
Europa orientale.
Il regno unito è sempre stato insieme agli Usa il paese più penetrabile dal pdv di queste
tecnologie, rimangono ai margini alcuni paesi dell’Europa meridionale: Grecia, Portogallo-

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l’Italia nel 2018 aveva il 47%, non ha ancora preso piede decisamente, ci sono ancora ampi
margini di sviluppo.
Cosa si acquista prevalentemente?
Tipologia più diffusa: abbigliamento; poi servizi che riguardano i trasporti e servizi turistici; poi
beni per la casa, giocattoli; poi biglietti per eventi di vario genere e via via i prodotti
dell’editoria, fino ai prodotti meno venduti: materiali per e-learning e farmaci.

Per quanto riguarda le imprese: b to b- in %


30

25

20

15 UE 28
ITALIA
10

0
TOTALE MEDIE PICCOLE

Quante sono le imprese che adottano anche la modalità online, i valori non sono poi così
elevati; a livelli di Europa 20%, a livello Italia attorno al 14%. Valori medi.
Se guardiamo a livello medio-piccolo, la differenza: anche qui la vendita online vediamo un
digital divide, sono più le medie imprese che adottano questa tipologia a livello europeo, c’è
poi sempre una differenza di % rispetto al contesto italiano.

Export digitale italiano dei beni di consumo

Settori merceologici- 2016

Fino ad ora abbiamo parlato di commercio elettronico in generale, nel commercio elettronico
cade dentro il comm all’interno dei confini nazionali e quello internazionale.

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Ora cerchiamo di capire la % di imprese limitatamente ai settori merceologici, qual è la % di


imprese che esportano attraverso il canale online.
Per i beni di consumo, la fetta è ancora piccola, 4% 1015- 6% 2016.
Però le imprese che appartengono a beni di consumo e esportano all’estero preferiscono
ancora fidarsi dei canali tradizionali quindi l’importatore o distributore tradizionale, rivenditori
fisici ecc.
Quindi questa tipologia ha ancora degli ampi margini di sviluppo.

Il commercio elettronico, e in particolare alcuni operatori di esso, hanno ridisegnato il mondo


della logistica, hanno complessificato il mondo della logistica ma hanno anche introdotto una
nuova terminologia e nuovi segmenti in questo ciclo- in particolare per la logistica dell’ultimo
miglio: trasferimento del bene dall’hub logistic al consumatore finale o destinazione finale- dal
centro di smistamento al consumatore finale.
Il bene può essere consegnato direttamente a casa, o in punto di ritiro come un negozio fisico,
oppure può essere consegnato nei locker, x quanto riguarda Amazon- armadietti all’interno di
supermercati, o centri di rifornimento di carburante, dove possiamo ritirare prodotti di piccola
dimensione.

- L’interporto, dovrebbe anche organizzare la logistica urbana, per evitare traffico.


C’è un altro problema che ci fa riflettere anche sul modo di acquistare online- perchè il punto
di forza di questi venditori è la velocità, il prodotto deve arrivare in un minor tempo possibile tra
l’ordinazione e l’arrivo del prodotto fisico.
Ma per fare arrivare un prodotto nel più breve possibile a quali mezzi di trasporto faccio
riferimento? Al mezzo stradale per distanze brevi-medie o l’areo per distanze lunghe; e queste
sono le due modalità più inquinanti, però anche Amazon si serve prevalentemente di queste
modalità, per garantire velocità- allora come si concilia questo con le politiche riguardanti
l’ambiente?
C’è una contraddizione, mentre le politiche comunitarie hanno come obbiettivo di ricorrere alla
ferrovia, questi operatori del commercio elettronico non ricorrono alla ferrovia perché è un
mezzo lento- dovrebbe riflettere il consumatore finale per non inquinare.

Altro punto impo: rapporto tra commercio elettronico e negozi fisici.


Un’altra accusa che si fa al commercio elettronico è quella di accelerare la riduzione dei
negozi fisici, è un fenomeno che è in atto da diversi anni.
Si dice che il commercio elettronico uccide i piccoli negozi e il negozio fisico in generale.
In parte è vero, però nella crisi e nella chiusura, non incide solo il commercio elettronico, di
molti negozi fisici ha inciso anche la crisi economica e nei centri storici incidono altri fattori,
come gli affitti ecc…
Comunque alcuni negozi piccoli hanno anche il sito online.

Pensiamo al b to b, le piccole imprese grazie a certi marketplace hanno tantissime


opportunità, perché hanno la vetrina e l’intermediazione di questi siti marketplace.
Nel momento in cui io mi affido ad amazon lascio anche tutta la parte logistica, per la
consegna del prodotto.
Quindi ci sono si dei limiti ma anche tante opportunità nel commercio elettronico.

Anche nella diffusione di questo modo di acquisto sono importanti le politiche di


liberalizzazione.
È stato importante eliminare per molte tipologie di prodotti il GEOBLOCKING- prima del 2018
es. io consumatore che vedo su un sito francese un prodotto ad un prezzo inferiore che mi
offre il sito italiano, cerco di acquistare e vengo rimandato al sito italiano, non posso
acquistare, questo si chiamava geoblocking e consentiva al consumatore europeo di

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acquistare sul sito di dominio del proprio paese o del paese in cui faceva riferimento il sistema
di pagamento, ovvero paese in cui è emessa la carta con cui pago.
Era una discriminazione per i consumatori, questa pratica con un regolamento dell’Ue è stata
eliminata dal 2018 fermo restando per i beni protetti da copyright, tipo i libri, film, musica, tutti i
prodotti che fanno riferimento ad un concetto di proprietà intellettuale.
Anche nell’ambito del commercio elettronico l’Ue cerca di limitare queste barriere per i
consumatori, la liberalizzazione quindi non funziona solo nell’ambito strettamente economico
ma anche in questo mercato.

MULTINAZIONALI E LA NUOVA DIVISIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO.

Abbiamo già analizzato la prima parte a sx, ora parliamo delle imprese multinazionali.
Divisione internazionale del lavoro- funziona se ci sono reti efficienti e se il costo del lavoro si
abbassa, e se ci sono queste innovazioni tecnologiche.

Chi sono gli attori principali della divisione internazionale del lavoro? La multinazionale è
l’attore principale, ma non il solo.
Definizione:
- La multinazionale è un’impresa di grandi dimensioni e poi soprattutto è un’impresa che si
espande rispetto a quello che è la sua sede principale; ha reti produttive sparse in tutto il
mondo.
Non esiste un’unica definizione o una definizione giuridica di impresa multinazionale,
c’è all’interno della letteratura scientifica e all’interno delle grandi organizzazioni
internazionali c’è un accordo nel definire la multinazionale soprattutto sulla base di
queste 3 caratteristiche:

1- È un’impresa che coordina e controlla le varie fasi di grandi catene di produzione che
sono disperse in più paesi.
2- È un’impresa che ha capacità di trarre vantaggio dalle differenze geografiche nella
distribuzione di fattori di produzione e nelle politiche nazionali; non la multinazionale
nella sua complessità, ma le diverse filiali vanno a definire le loro strategie localizzative,
a decidere dove localizzarsi, sulla base di quelli che sono i vantaggi che sono strategici
per il tipo di funzione che queste unità svolgono- possono essere fattori come: il costo
del lavoro.
3- La flessibilità, ovvero la multinazionale hanno la capacità di mutare e cambiare forniture
e operazioni tra le varie località geografiche; quindi una localizzazione che non è più

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conveniente viene chiuso e l’impresa o la parte dell’unità produttiva di questa


multinazionale si localizza altrove, questo apre tutta una serie di problemi per i paesi
che si trovano ad affrontare problemi di disoccupazione- questo ci riporta a riflettere
sull’impatto delle multinazionali ma non più sulle grandi relazioni orizzontali sul
commercio estero, ma l’impatto di esse su scala locale.

Che effetti ha l’impresa di questo tipo quando si localizza su un paese in via di sviluppo?
L’effetto immediato: creazione di posti di lavoro, che altrettanto si perdono nel momento in cui
la multinazionale cambia strategie organizzative.

Come traduciamo queste tre caratteristiche in indicatori?


82.000 IMPRESE MULTINAZIONALI
807.000 FILIALI STRANIERE
2009 77 MILIONI DI OCCUPATI

320.000 IMPRESE MULTINAZIONALI


2016 1.116.000 FILIALI STRANIERE
130 MILIONI DI OCCUPATI

Se guardiamo questi dati dell’Unctad che fa delle rilevazioni sulle multinazionali nel mondo, c’è
un abisso.
2016- 320 k multinazionali nel mondo; però la nostra Mediobanca rileva altri dati:

390 IMPRESE MULTINAZIONALI (320 industriali)


33,5 MILIONI DI OCCUPATI

Tra 390 e 320 mila c’è un abisso; e c’è un abisso anche nei dati dell’Unctad tra 2009 e 2016.
Sembra che il fenomeno della multinalizzazione proceda a passo di gigante.
In realtà la ragione di queste grandi differenze sta un po’ nell’Unctad che è un po’
l’organizzazione ufficiale e da parte della Mediobanca che fa una rilevazione annuale; l’Unctad
considera multinazionali tutte le imprese che hanno almeno una filiale all’estero o che
controllano almeno il 10% del capitale di un’impresa, quindi questo è un criterio estremamente
elastico ed è per questo che abbiamo quel numero gigante.

In queste320k cade dentro la grande multinazionale, ovvero quella che ha una serie di filiali
per tutto il mondo, che realizza operazioni di fusione e acquisizione su grande scala; ma
cadono dentro anche le aziende che definiamo multinazionali tascabili, quelle che hanno una
sola filiale all’estero, oppure prendono dentro le attività che aprono anche solo un ufficio
all’estero e vanno ad essere censite come multinazionali.
Ci spiega perché nell’arco di cosi pochi anni cambiano i numeri.
I colossi sono sempre quelli, quelle che crescono sono le unità più piccole che grazie alle
nuove tecnologie possono aprire una filiale all’estero.

Mediobanca adotta dei criteri molto più restrittivi perché include solo le imprese con un
fatturato superiore ai 3 miliardi di euro, e questi altri criteri:

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Fatturato estero minimo 10%; Presenza di attività produttive in almeno 1 paese estero; Settori:
non il terziario complessivo ma il manifatturiero, settore dell’energia, TLC- telecomunicazioni,
utilities- imprese che distribuiscono energia, software &web.
Ecco perché il numero viene cosi a diminuire, quindi a seconda del parametro abbiamo numeri
diversi.
Più grandi multinazionali ma quale criterio utilizziamo?

Qua criterio: fatturato.


Abbiamo molti colossi dell’energia.
Un’altra classifica data dal global fortune- rivista: con qualche variazione troviamo sempre gli
stessi attori.
Dove sono localizzate le grandi multinazionali?

Questa figura ci ricorda, l’immagine della TRIADE, quindi con poche eccezioni vediamo
delinearsi 3 poli, con le prime 500 aziende per fatturato.
Il 3 non è asia, ma la parte orientale dell’asia- sud est asiatico, Cina e Giappone.
Negli usa per es: non tutti gli stati si localizzano le più grandi multinazionali, ma ci sono delle
localizzazioni tipo la costa orientale, dove c’è NY; parte nord usa, poi il Texas e a Bentonville,
Cansas c’è il più grande colosso Wallmart. Se ci spostiamo sulla costa atlantica, California,
trova una concentrazione di grandi imprese perché c’è la Silicon Valley- Apple.
Nello stato di Washington con capitale Seattle, c’è AMAZON.
In Italia, ci sono soprattutto banche, e assicurazioni generali, mentre a Roma ci sono le
imprese come poste italiane e Enel.

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12 LEZIONE- 6.11
Le strategie delle imprese multinazionali nel corso del tempo sono cambiate, in relazione
all’evolvere dello scenario economico e all’evolvere delle tecnologie e di conseguenza, se
sono cambiate le strategie economiche sono cambiati i modelli di organizzazione spaziale
delle multinazionali.
Dire multinazionale vuol dire tirare in campo, lo spazio e la geografia, perché sono imprese
che hanno ramificazioni in tutto il mondo.
Non è sempre stato cosi in origine le multinazionali

- multinazionali di prima generazione ovvero fine 800 erano pochissime, e le prime


andavano nei paesi stranieri per assicurarsi il controllo di risorse naturali e materie prime-
erano legate dalla logica degli approvvigionamenti; le imprese che facevano queste
operazioni, nel sud del mondo ovvero paesi coloniali, erano imprese europee.

- periodo fordista-- Periodo dalla seconda gm alla crisi petrolifera: crescita della
grande impresa presso i paesi occidentali, e molte di queste imprese diventano
multinazionali. In questa fase negli anni 60, sono cresciute molto le multinazionali; in
questa fase l’internazionalizzazione, cioè l’andare all’estero, è stata dominata da
multinazionali che effettuavano investimenti guidati dal mercato- cioè attraverso quella
formula che conosciamo dell’IDE di tipo orizzontale, le multinazionali si localizzavano con
filiali o controllavano imprese già esistente in paesi che potevano costituire dei mercati x i
loro prodotti-era un modo per entrare nei mercati di paesi stranieri OPPURE li
localizzavano in luoghi che venivano definiti TESTE DI PONTE- dei paesi da cui si poteva
fornire più agevolmente una pluralità di altri mercati.

IDE ORIZZONTALI: l’impresa va all’estero con una propria filiale per entrare nei mercati di quel
paese e sono sostitutivi dell’esportazione.
L’internalizzazione si può realizzare anche attraverso le esportazioni, che è la strategia più diretta
per entrare in un mercato straniero; l’alternativa è che io mi localizzi in quel mercato attraverso
una mia filiale, in questo caso L’IDE orizzontale diventa sostitutivo delle esportazioni perché sono
già in quel paese.

Che configurazioni assumono queste multinazionali guidate dalla logistica del mercato che
effettuano ide orizzontali?
Le filiali sono una sorta di replica della casa madre e anche i beni prodotti da queste filiali di
solito sono identici; in questa prima fase c’è una sorta di standardizzazione del prodotto.
Es tipico: caso della coca cola- riproduce una serie di filiali che sono repliche, e nella prima
fase il prodotto coca cola era uguale in tutto il mondo, come il prodotto nutella.

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Verso la fine degli anni 60, fino ad oggi, cominciano a farsi strada degli investimenti di tipo
verticale- guidati da fattori di costo, come il costo del lavoro, e questo spinge alcune
multinazionali, soprattutto americane, a decentrare alcune produzioni ormai standardizzate, o
in regioni meno sviluppate all’interno di paesi economicamente avanzati o più spesso in paesi
stranieri a basso salario, e qui entra in gioco i paesi del sud-est asiatico ma non la Cina in
questa fase, perchè la Cina fino a fine anni 70 era chiusa ad investimenti stranieri.
Paesi chiamati le 4 tigri asiatiche: corea del sud, Hong Kong, Thai one e Singapore.

Si fa strada un investimento dove alcune multinazionali, in quel momento, cominciano a


realizzare questa strategia di spostare in paesi a basso costo del lavoro alcune produzioni
standardizzate che però sono ad alta intensità di lavoro; in questo tipo di strategia il settore
classico è quello del tessile-abbigliamento dove le produzioni sono diventate ormai
standardizzate e si cerca di abbassare i costi di produzione, poi partirà la tecnologia per
l’assemblaggio.

Dove vanno i flussi orizzontali? I flussi orizzontali guidati dal mercato in questa fase vanno
verso paesi economicamente avanzati, ed è cosi anche oggi.
Gli investimenti di tipo verticale, guidati da una logica di riduzione di costi del lavoro già in
questa prima fase vanno verso paesi che definiamo del sud del mondo, in realtà questi
investimenti andavano verso i paesi asiatici.

Con investimenti di questo tipo cambia anche l’organizzazione spaziale di queste


multinazionali, non abbiamo più solo la filiale che replica la casa madre ma abbiamo anche
delle imprese che possiamo definire MULTIFUNZIONALI E MULTIMPIANTO- imprese
multinazionale dove avviene già la divisione del lavoro tra quelle che sono le funzioni della
casa madre e quelle che sono le funzioni delle filiali.
Si separano quindi le funzioni, nella casa madre rimangono le funzioni di livello avanzato-
controllo dell’impresa e ricerca e sviluppo, nel paese straniero si localizzano le funzioni
produttive vere e proprie che richiedono un apporto di lavoro umano.

Quando diciamo questo non siamo ancora arrivati alla configurazione che a oggi i cicli
produttivi sono frammentati più che separati, e i paesi si specializzano non più nella
produzione di un unico prodotto, ma nella produzione di una parte di questo prodotto.
Nelle imprese Multimpianto non siamo ancora ad una configurazione di questo tipo, quindi la
filiale che è localizzata in corea del sud ad esempio, non produce una parte del processo
produttivo ma realizza una fase che riguarda la produzione.
Non è la frammentazione dell’impresa globale in questo periodo.
Oltre alla Multinazionalizzazione delle imprese industriali vediamo anche un’espansione
internazionale di imprese del terziario, ovvero imprese di servizi; quindi anni 60-70 vanno
all’estero, creano filiali, anche banche, assicurazioni, società di trasporto, imprese commerciali
come Wallmart, o imprese turistiche provengono tutte da paesi industrializzati.
La maggior parte dei processi di multinazionalizzazzione avviene tra paesi sviluppati.

- TRANSIONE POST FORDISTA: fa riferimento ai trattini di prima.


Siamo già andati oltre il periodo fordista, siamo già andati verso la fine degli anni 70, ma
questo è un periodo lungo, il periodo fordista si interrompe con la crisi petrolifera.
Poi c’è il periodo post fordista in cui la grande impresa entra in crisi per la prima volta e si
riorganizza, ed è questo periodo che poi ci porta alla globalizzazione.

Quindi la crisi del fordismo, 1973- data prima crisi petrolifera, in realtà la crisi fordista arriva a
maturazione nella prima metà degli anni 70.
Questa crisi interrompe questo ciclo di forte crescita dell’industria che proseguiva dalla prima
rivoluzione industriale.

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La crisi del fordismo impone una riorganizzazione e quindi coinvolge anche le strategie di
internazionalizzazione e le strategie spaziale-> arriviamo poi all’impresa multinazionale come
si configura nella nostra epoca, ovvero nella fase di globalizzazione dell’economia.

Vediamo in dettaglio i passaggi dal periodo fordista a quello post-fordista:


il termine fordismo si riferisce ad un modo di produzione industriale che è stato progettato per
la produzione di beni standardizzati per un consumo di massa CARATTERISTICA
ESSENZIALE DEL FORDISMO- tanta produzione, pochi modelli.
Il modo di produzione fordista si chiama cosi perchè stato introdotto per la prima volta negli
stabilimenti della Ford, produzione in massa delle automobili, negli USA già negli anni 10 del
‘900, NON E’ STATO INVENTANDO NEL SECONDO DOPO GUERRA.
Altre caratteristiche:
• Modo in cui viene organizzato il lavoro stesso: Organizzazione scientifica del lavoro
incentrata sulla catena di montaggio. Vuol dire che Ford nei suoi stabilimenti si affida alle
tesi di un ingegnere Tailor, da qui il nome di processi Tailoristici, lui aveva studiato
l’organizzazione del lavoro e aveva teorizzato un modo di lavoro incentrato sulla
segmentazione del processo produttivo all’interno della fabbrica e sulla suddivisione della
mansioni, quindi ogni operaio si occupava in maniera ripetitiva una parte di questo ciclo
produttivo, poi il tutto veniva ricomposto attraverso la catena di montaggio e formava il
prodotto finito.
Aumenta la produttività perché basta un numero ristretto di operai per produrre un’auto, e
questo modo cambia la concezione del lavoro stesso; una delle prima conseguenze del
modello fordista è che questo modo ha contribuito alla dequalificazione del lavoro:

• Lavoro dequalificato, gerarchie rigide, sindacalizzazione l’operaio svolge solo una


mansione in maniera ripetitiva. Rafforza le gerarchie presenti all’interno delle fabbriche, tra
lavoratori e dirigenti.
Era anche un lavoro fortemente sindacalizzato, era un lavoro tutelato.
Il pieno sviluppo del fordismo lo vediamo nel secondo dopo guerra fino a metà anni 70-
PERIODO AUREO DEL FORDISMO, perché si diffonde questo modo di produzione in tutto il
resto del mondo.
Questo modo però non cancella l’artigianato, altro modo di produzione, che in questo periodo
è molto meno importante, non da luogo a grandi cambiamenti nello spazio-territorio.
L’impatto di questo modo di produzione lo vediamo anche sul territorio:

• Il modo di produzione fordista contribuisce al: Gigantismo industriale e


multinazionalizzazione, crescono enormemente le imprese di grandi dimensioni,
MOMENTO DI MASSIMO SVILUPPO DELLA GRANDE IMPRESA.
Grazie a questa crescita si sviluppa il processo di multinazionalizzazzione, nascono le vere
imprese multinazionali.
La fiat nasce già prima del periodo di sviluppo della grande impresa, introduce il modo di
produzione fordista ancora prima della fase aurea del fordismo, anni 20-30.
Gigantismo industriale significa che sul territorio si formano:

• Grandi regioni urbano-industriali crescono le città, in particolar modo le città


industriali, perché la standardizzazione del prodotto richiedeva di produrne grandi quantità
e quindi venivano aperti questi grandi stabilimenti dove lavoravano migliaia di operai.
La concentrazione produttiva: si mettono in moto una serie di processi conseguenti, ovvero
concentrazione forza lavoro- quindi di famiglie, di servizi sia pubblici che privati- e cosi
crescono le città industriali. Questa crescita urbana la vediamo molto nelle regioni nord-
occidentali dell’Italia. Oggi non ci sono più queste grandi fabbriche fordiste, ma all’epoca si
parlava di triangolo, perché questo modello faceva capo sulle città di Torino, Milano, Genova-
erano le città più dinamiche e sviluppate del paese.

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• Crescita illimitata e uso illimitato di risorse non rinnovabili questi processi produttivi
sono molto impattanti sull’ambiente, c’era un’idea di crescita illimitata, pil cresceva e ciò
voleva dire crescita economica quasi senza fine.
Questo modo di produzione faceva un uso illimitato di risorse non rinnovabili, carbone e
petrolio, che erano la principale fonte energetica, costituivano anche la materia prima del
ciclo produttivo.
Ed è qui che nascono molti dei problemi ambientali che sono venuti a maturazione oggi.

Impatto a livello del territorio: creavano ricchezza questi grandi impianti produttivi, creavano
posti di lavoro e benessere. A livello ambientale tutto il contrario.
Questo grande ciclo di produzione si va ad interrompere nei primi anni 70, formalmente il
passaggio è segnato dalla prima crisi petrolifera, in realtà ci sono una serie di fattori che
portano all’aumento dei costi di produzione, e questo è il primo elemento problematico che si
lega alla crisi energetica ma non solo.
La crisi energetica comporta un aumento dei costi delle materie prime e dei costi di trasporto,
impatta quindi sulla produzione industriale perchè cicli produttivi partivano da questa risorsa.
Oltre all’aumento dei costi, un altro elemento:
- aumento del costo del lavoro.
Il lavoro fordista è un lavoro fortemente standardizzato e sindacalmente protetto e questo
aveva portato ad una continua crescita dei salari e quindi anche del costo del lavoro.
Altri elementi che mandano in crisi questo modo di produzione:

- saturazione del mercato per quanto riguarda i beni prodotti da queste fabbriche; il mercato
non era più in grado di assorbire questi volumi produttivi.

- Cambia anche la domanda perchè cambiano anche i gusti dei consumatori che non si
accontentavano più di una gamma ristretta di modelli; il consumatore vuole beni più
personalizzati e di qualità.

- Innovazioni nel campo dell’elettronica e informatica che hanno cambiato il modo di


organizzare la produzione industriale e anche la distribuzione dei prodotti. La terza
rivoluzione parte già in questo periodo.

- Per effetto dei primi processi di decentramento delle multinazionali i paesi con costi di
produzione più bassi cominciano anche ad esercitare una Concorrenza nei confronti dei
paesi economicamente avanzati, perché vanno a produrre gli stessi beni ma con costi più
bassi.

DA QUI ARRIVIAMO AL SISTEMA POST FORDISTA- O PRODUZIONE FLESSIBILE, che


poi ci transita verso la globalizzazione.
Conseguenze di questo passaggio nei paesi economicamente avanzati: STIAMO ANCORA
PARLANDO DEL PASSAGGIO DA FORD A POST FORD.

- Per la prima volta parliamo di DEINDUSTRIALIZZAZIONE, molte imprese chiudono o


riducono i posti di lavoro; l’industria non è più la principale base economica della città e
questo innesca una serie di processi che chiamiamo declino urbano. Le città perdono
popolazione. È il primo processo di deindustrializzazione, il secondo lo abbiamo dopo la
crisi 2008.
Alcune industrie entrano in crisi ed escono dal mercato altre invece spostato la produzione
dove il costo del lavoro è più basso.
Industrie e città si legano a partire dalla rivoluzione industriale, industria fornisce grandi numeri
di posti di lavoro e richiama flussi migratori dalle campagne alle città, o da regioni meno
sviluppate alle città.

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- Mentre la grande impresa va in crisi, vediamo crescere ed Emergere dei sistemi produttivi
localizzati in piccole aree geografiche specializzati di piccole medie imprese, che si
dividono il lavoro e sono I DISTRETTI INDUSTRIALI.
Non succede cosi dappertutto ma nel nostro paese questa economia distrettuale supporta
l’economia nazionale quando le imprese entrano in crisi.
Questi distretti sono importanti, perché sono fortemente orientati all’esportazione e ancora
oggi sostengono l’export di prodotti italiani.

- La grande impresa in un primo momento entra in crisi, successivamente nel giro di pochi
anni anch’essa si Riorganizza secondo modalità di produzione flessibile, e non secondo il
modello fordista, va incontro alle esigenze della domanda, e anche l’impresa
multinazionale diventa un’impresa globale, è una sorta di rete.
Le filiali acquistano una notevole autonomia e a loro volta acquistano una rete di subfornitori.
E le logiche di internazionalizzazione non sono più guidate esclusivamente dall’IDE.

- Terziarizzazione delle economie: le economie dei paesi avanzati diventano sempre meno
industriali e sempre più terziarie.
Sono economie di servizi, e questo lo vediamo nel Pil dove la componente terziaria è
preponderante.
Questo non vuol dire che non ci sia industria, o che l’industria non è importante nelle nostre
economie, perche molti dei servizi che si attivano nell’ambito delle economie terziarie non
dimentichiamo che sono servizi all’impresa.
Oggi la produzione industriale è diventata più complessa e poi sono necessarie una serie di
funzioni di servizio che permettono la produzione industriale.
Nell’ambito di questa trasformazione dell’impresa dobbiamo aggiungerci l’AUTOMAZIONE;
l’impresa esce dalla crisi anche per questo motivo, fa ricorso alle tecnologie legate
all’informatica e telematica.
Di questo vediamo che già negli anni 80 molte fabbriche si automatizzano, e vediamo le
conseguenze: essendo più automatizzate offrono meno posti di lavoro.
Questo ci spiega perché le nostre economie sono terziarizzate, non ha più bisogno di tanta
quantità di forza lavoro, e se ne hanno bisogno vanno a produrre dove la forza lavoro costa
meno.

ARRIVIAMO AD ANALIZZARE L’IMPRESA MULTINAZIONALE oggi:


ha una struttura organizzativa flessibile, rispetto alla multinazionale degli anni 60, ha molte
filiali che sono più o meno autonome e non replicano la casa madre, sono impegnate nella
gamma di produzione che è ampia e diversificata.
Coesistono nella strategia delle multinazionali produzioni specializzate e standardizzate; la
produzione standardizzata non è sparita quindi e richiede l’apporto di forza lavoro e questo fa
si che vi siano delle logiche localizzative diversificate che non riguardano la multinazionali nel
suo complesso ma riguardano le singole unità produttive- vuol dire che una unità seppure
produttiva ma che lavora in un settore dell’alta tecnologia, laddove si localizza ha bisogno di
manodopera preparata, specializzata, non andrà alla ricerca di fattori di costo ma andrà alla
ricerca di forza lavoro specializzata che non si trova ovunque.
All’interno della stessa multi ci possono essere più unità produttive che hanno bisogno di forza
lavoro a basso costo xk hanno una produzione standardizzata e quindi andranno alla ricerca
di altri fattori di localizzazione.

- Il punto importante, e che cambia la divisione del lavoro tra multinazionali e filiale negli anni
70, è che in queste logiche spesso un paese non si specializza nella produzione di un
intero processo produttivo, come negli anni 70, tipo tutto quello che è un bene, ma si va a

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specializzare nella produzione di un semilavorato/componente; questo processo quindi si


frammenta ulteriormente fino a creare delle grandi catene del valore che vediamo oggi.
- Cambiano anche le modalità di internazionalizzazione, rimane la formula dell’IDE, lo
vediamo oggi che assistiamo delle grandi operazioni di fusione e acquisizione anche tra
questi colossi delle multinazionali.
Accanto a questa modalità di internazionalizzazione se ne sono diffuse altre, come la
creazione di JOINT VENTURES e ALLEANZE STRATEGICHE fra le imprese questo non
implica IDE; le multinazionali si possono mettere insieme x fare alleanze x ridurre rischi o
realizzare dei progetti di entrata in nuovi mercati, e anche forme di collaborazione fra imprese
che poi non le vincolano.
- Subfornitura internazionale ricorrono non solo oggi le multinazionali globali ma ricorrono
anche imprese di media-piccola dimensione, è una strategia di internazionalizzazione che
permette anche a imprese che non hanno la capacità e convenienza di realizzare un IDE,
di andare all’estero.
La subfornitura internazionale fa riferimento alla separazione delle fasi produttive, quindi io
impresa che ho la mia sede in un paese economicamente avanzato, voglio far produrre una
componente da un fornitore specializzato che si trova nel sud-est asiatico, non ho bisogno di
andare a creare una filiale, creo un contratto di subfornitura con un'altra impresa che è
autonoma. È un processo di decentramento su raggio geografico più ampio.
Prima: Un’impresa spesso di dimensioni piu grandi spesso affidava una parte del suo ciclo
produttivo, localizzata pero nel suo ambito quindi locale.
Ora: con la subfornitura succede che io invece di affidare una produzione ad un’impresa
locale, la affido ad un’impresa straniera perché mi permettere di abbattere i costi, o altre
convenienze.

Delocalizzazione produttiva non vuol dire solo andare a produrre all’estero, vuol dire che io
vado a produrre all’estero ma il mio prodotto lo vendo poi sui miei mercati.
Il prodotto deve tornare al paese di origine.

CONDIZIONI ESTERNE CHE HANNO PERMESSO LO SVILUPPO DELL’IMPRESA


GLOBALE:
- Diffusione di modalità di produzione flessibile, post fordista, che consentono di scomporre il
ciclo produttivo in unità separate.
- I miglioramenti tecnologici, innovazioni di carattere tecnologico e organizzativo e tutte le
innovazioni legate alle comunicazioni immateriali che hanno migliorato l’organizzazione dei
trasporti e facilitano il coordinamento della produzione fra unità produttive disperse
- La liberalizzazione commerciale; si abbassano le barriere tariffarie che limitano le
esportazioni e importazioni- abbattuti anche i dazi.

TIPOLOGIE DI GLOBAL COMMODITY CHAINS:


sono costituite non solo dai produttori industriali ma anche da tutto ciò che sta attorno, come i
servizi che tendono ad internazionalizzarsi sempre più, dai trasporti, dalla logistica; da tutte le
attività che sono collaterali e permettono il funzionamento dell’industria frammentata.
La letteratura fa riferimento a due tipi di GCC:

1- Catene guidate dal produttore sono quelle catene produttive in cui i beni prodotti
sono di alto apporto tecnologico e quindi sono beni in cui si realizza una continua
innovazione sia di prodotto che processo; queste catene del valore sono in realtà
dominate da poche grandi imprese multinazionali che hanno un ruolo centrale nel
controllare questo sistema di produzione- sono reti abbastanza concentrate,
relativamente contenute. Es. settore dell’automobile.

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2- Catene guidate dal consumatore riguardano tutti quei settori che sono ormai maturi e
sono ad alta intensità di lavoro dequalificato, tipico esempio: tessile abbigliamento,
industrie come quelle dei giocattoli o articoli per la casa.
In questi mercati la tecnologia ormai è standardizzata, ciò che conta è il design, la
reputazione del marchio come nel settore della moda.
Sono reti molto estese, reti di delocalizzazione molto estese nello spazio, cercano basso
costo del lavoro; sono catene che arrivano anche a imprese senza stabilimento, che sono
o multinazionali che operano nel settore commerciale, non producono nulla ma hanno
filiali in tutto il mondo, come Wallmart o i grandi marchi del settore dell’abbigliamento o
delle calzature come nike- non producono nulla ma demandano la produzione a delle reti
estese.
Caso di produzione frammentata:

Ha un sacco di subfornitori, o va a produrre nei paesi del sud-est asiatico, però la concezione
del prodotto rimane nella silicon Valley.
Tutte queste componenti girano x il pianeta e vengono assemblati in Cina, da qui poi il
prodotto finito va in Alaska dove c’è il centro di distribuzione per gli usa e va sul mercato
americano; peri mercati europei seguono altri percorsi.

I fornitori della Apple sono molti e sono localizzati in paesi economicamente avanzati e alcuni
no: Non necessariamente in paesi a basso costo del lavoro.

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altro prodotto: aereo Boeing supply chain

Anche l’aereo è un prodotto frammentato, le varie parti vengono affidate a imprese


specializzate, o alle filiali di Boeing, sono fornitori specializzati qua non si va a ricercato il
basso costo del lavoro.

Un’automobile con fascia di prezzo alta: viene realizzato prevalentemente all’interno di paesi
avanzati.

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LEZIONE 13- 11.11.2020


Analizziamo i nuovi spazi produttivi che emergono da quei processi di divisione del lavoro e di
multinazionalizzazione.
Questa nuova divisione del lavoro- ha portato alla nascita di nuovi spazi produttivi- si situano
in spazi vuoti-vecchi; in particolare ci riferiremo alle economie asiatiche, e il processo di
industrializzazione della Cina, anche per il ruolo che riveste nel sistema globale, ovvero anche
di carattere politico, e come funzionano le zone economiche speciali- perché
l’industrializzazione di questi paesi è avvenuta attraverso delle zone economiche speciali.
LE NUOVE ECONOMIE DEL SUD EST ASIATICO.
Parliamo soprattutto di 4 paesi: le 4 tigri asiatiche:
- Corea del sud
- Thaione
- Hong Kong
- Singapore
Sono state soprattutto questi paesi a cogliere per primi le opportunità della globalizzazione e
della divisione del lavoro, ma anche a creare le condizioni per cogliere queste opportunità.
Non dappertutto si sono prodotti gli stessi effetti.
Parliamo di una crescita impetuosa per certi aspetti e ci viene mostrata con il PIL:
COREA DEL SUD:
1800000

1600000

1400000

1200000

1000000

800000

600000

400000

200000

0
1960 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2018

HONG KONG:
400000

350000

300000

250000

200000

150000

100000

50000

0
1960 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2018

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Il PIL: principale indicatore con cui noi misuriamo la crescita di un paese.


Partendo dagli anni 60, questi paesi avevano un’economia prevalentemente agricola, erano
paesi poveri, ma a partire da quella data il PIL comincia a crescere, ma una vera e propria
crescita la vediamo attorno agli anni 80.
Poi fase di assestamento crisi anni 90 e poi di nuovo una crescita esponenziale che ci fa
capire come nell’arco di pochi decenni questi paesi siano cresciuti.
Domanda: ma perché queste economie sono cresciute cosi tanto in cosi poco?
C’è un fattore che accomuna un po’ tutte queste situazioni: presenza di forza lavoro a basso
costo; questo fattore è importante ma da solo non basta a spiegare la crescita- perché se noi
guardiamo il mondo nella sua complessità, un po’ tutti i paesi in ritardo di sviluppo avevano
negli anni 60 e ancora oggi questa condizione.
Questo qualcos’altro che completa l’hanno fatto i rispetti governi- governi Sviluppisti- sono
governi che hanno voluto fortemente il processo di industrializzazione, hanno posto le
condizioni perché si mettesse in moto il processo di industrializzazione—questo ha permesso
a questi paesi di diventare anche protagonisti e dei Mutori della globalizzazione stessa.
È stata quindi la determinazione forzata dal governo.
Questa politica di industrializzazione che si è rivolta alla attrazione di investimenti stranieri, è
passata attraverso questo modello delle zone economiche speciali- zone istituite
appositamente per attrarre investimenti stranieri e imprese orientate all’esportazione.
È stato determinante poi riuscire ad entrare nelle reti di divisione internazionale del lavoro- in
un contesto internazionale di crescente liberalizzazione degli scambi e di diminuzione dei costi
di trasporto.
Oggi questi paesi sono pienamente entrati nelle reti del commercio, oggi vediamo un
fenomeno che però ha trovato origine nei decenni precedenti, perché le premesse si sono
poste sul finire degli anni 60 quando le prime multinazionali americane hanno cominciato a
investire in questi paesi, soprattutto a delocalizzare alcune produzioni a basso valore aggiunto
o alta intensità di lavoro, andando alla ricerca di un costo del lavoro basso.

Entrare in queste reti e specializzarsi nella produzione di beni destinati all’esportazione, è


stato poi fondamentale per le imprese di questi paesi, perché non potevano contare su una
domanda interna che di fatto non c’era o non riusciva comunque a sostenerla; molti paesi per
la creazione del tessuto industriale hanno fatto riferimento prima ad una domanda interna, qui
in quel momento la domanda interna non c’era- è STATO FONDAMENTALE COLLOCARSI
IN QUESTE RETI DI DIVISIONE DEL LAVORO.

Quali imprese sono state delocalizzate?


Inizialmente le imprese o le attività delle industrie del tessile abbigliamento e delle calzature-
prodotti che poi andavano esportati sul mercato americano o europeo.
Negli anni 80 però sono cresciuti gli investimenti da parte di imprese del settore
dell’elettronica, che hanno cominciato a localizzare in quest’area del sud-est asiatico non più
solo stabilimenti a basso valore aggiunto, ma anche parti della produzione di beni
dell’elettronica è un elemento importante, perché?
Queste imprese del settore dell’elettronica, non solo americane, vanno a localizzarsi proprio
nelle 4 tigri perché qui ormai si era creata una mano d’opera con un certo livello di
qualificazione perché avevano un buon tessuto infrastrutturale.

E cosa succede ai vecchi stabilimenti dell’industria tessile?


Succede una sorta di processo di filtraggio, ovvero questi stabilimenti non vanno più verso le 4
tigri ma vanno verso la parte sud dell’asia, come THAILANDIA, INDONESIA, FILIPPINE, Che
a loro volta cominciano un percorso di industrializzazione; è un processo appunto di filtraggio
perché ha permesso di diffondersi di un tessuto industriale in tutta l’area, però con livelli di
sviluppo diversi.

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Questi esiti non sono mai scontati, non è detto che nel momento in cui una multinazionale
localizzi alcune fasi di produzione si attivino poi dei processi di sviluppo.
Questo succede se si verificano processi di upgrading- cioè se le imprese locali riescono ad
entrare in queste catene del valore, migliorando la propria posizione e molte imprese
specializzate in attività che inizialmente erano dequalificate, diventando fornitrici di imprese più
competitive hanno migliorato le proprie capacità tecniche e commerciali riuscendo ad avviare
attività più specializzate e a più elevato valore aggiunto.

Quindi lo sviluppo di molte economie asiatiche, deriva in parte da questi meccanismi- riuscire
ad elevare la propria posizione all’interno delle catene del valore-
Questi esiti non sono scontati e in altri contesti non si sono realizzati, ma si sono fatti sfruttare
dalle multinazionali che vanno alla ricerca di fattori competitivi per quanto riguarda il costo del
lavoro.

Vediamo questo aspetto anche nella composizione delle esportazioni per quanto riguarda
questi paesi.
Dal 1980 ad oggi: I prodotti dell’abbigliamento sul totale delle esportazioni
PAESE 1980 1990 2000 2016

HONG KONG 25,4% 18,7% 12,0% 3,4%

COREA DEL SUD 17,0% 12,4% 2,9% 3,4%

TAIWAN 12,3% 5,8% 2,0% 2,0%

Vediamo che la percentuale dei prodotti dell’abbigliamento sul totale delle esportazioni
progressivamente va diminuendo. Oggi è molto bassa la %, perché questi paesi si sono ormai
specializzati nella produzione di componenti per i prodotti dell’elettronica.
Ma poi pensiamo alla CDS-a partire da quelle che erano imprese locali, grazie a finanziamenti
anche del governo, hanno creato delle multinazionali che ormai competono sullo scenario
globale al pari delle multinazionali dei paesi di vecchia industrializzazione.

Nel settore automobilistico: YHUNDAY- della corea del sud.


Nel settore elettronica: SAMSUNG.
Quindi esiti mai scontati, DIPENDE DA COME IL CONTESTO LOCALE SA ELABORARE
QUESTI INPUT CHE DERIVANO DALL’ESTERNO.

Non è vero che la globalizzazione è una omogeneizzazione, e i paesi meno avanzati sono
rimasti fuori, dipende da come a livello locale sono stati elaborati questi stimoli arrivati dal
cambiamento dello scenario globale.

Il processo di industrializzazione è passato attraverso le zone economiche speciali, esse le


definiamo: aree industriali che funzionano secondo leggi e politiche diverse rispetto al resto
del paese in cui sono localizzate, hanno lo scopo di attrarre investimenti stranieri e di
sostenere una produzione orientata alle esportazioni.

All’interno noi troviamo un’ampia gamma di tipologie, come i porti franchi, zona di
trasformazione delle esportazioni- a seconda del paese hanno denominazioni particolari e
anche delle specificità.

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Però se vogliamo trovare degli elementi comuni a queste zone economiche speciali- ZES, gli
elementi sono:
- Parti del territorio nazionale formalmente delimitate e caratterizzate da un regime
normativo diverso rispetto al resto del paese in tema di investimenti-offerti degli incentivi
alla localizzazione delle imprese, tassazione più elastica rispetto al resto del paese, e
lavoro- per esempio che derogano leggi sull’orario di lavoro che vigono nel resto del paese
o che ancora impongono forti limiti all’attività sindacale, per rendere la mano d’opera più
flessibile.
- Queste aree hanno una Struttura di governance dedicata hanno una forte autonomia
amministrativa rispetto al governo centrale; perché possono assicurare alle imprese un
contesto favorevole all’interno del quale operare.
- Aree che hanno delle Dotazioni infrastrutturali di buon livello a supporto delle attività delle
imprese e dei soggetti economici che operano al loro interno. Parliamo di infrastrutture
tradizionali ma anche delle telecomunicazioni, degli immobili che vengono messi a
disposizioni delle imprese a valore non di mercato, più basso ovviamente.
Ci sono ad esempio parchi all’interno dei quali le imprese si possono localizzare.
Normalmente delle economie esterne che non trovano nel resto del paese.

L’obbiettivo principale di queste zone economiche speciali è stato quello di fare da


catalizzatori del processo di sviluppo economico del paese, attraverso l’attrazione di investitori
stranieri e la generazione di una produzione orientata all’esportazione partire da queste
aree per arrivare poi a creare uno sviluppo economico più generalizzato.
In alcuni paesi queste zone hanno avuto la funzione di valvola di sfogo per la disoccupazione,
per assorbirla un po’.
In altri casi ancora: queste zone sono state un po’ dei laboratori, delle aree di sperimentazione
per applicare nuove politiche industriali e nuovi approcci allo sviluppo da estendere in altre
parti del paese.

Queste aree sono anche state oggetto di forti critiche: ad es. è stato detto che queste aree
non sempre si sono tradotte in uno sviluppo generalizzato per il paese all’interno del quale
sono state create, ma hanno avuto l’effetto di aumentare i divari di sviluppo, quindi opposto,
perché sono andati a concentrare risorse e infrastrutture esclusivamente in alcune regioni a
discapito delle altre. Quindi in paesi molto grandi, caratterizzati da forti divari di sviluppo
economico, concentrare infrastrutture o investimenti in alcune aree ha prodotto una forte
crescita di queste aree però ha lasciato al margine altre aree che non sono state investite
dagli stessi processi di sviluppo; anche se complessivamente poi queste aree hanno dato un
contributo alla crescita dell’economia del paese.

X quanto riguarda le Condizioni lavorative: in queste aree spesso, i lavoratori avevano salari
ancora più bassi, lunghi turni di lavoro, assenza di protezione sociale e sindacale.
In alcune zone lavorano donne, che son pagate ancora meno.

X la loro dimensione: sono zone molto grandi, dall’1.3 km/q al 1.5; però ci sono casi cinesi che
arrivano anche a 200-300 km/q le ZES sono localizzate lungo le coste x avere poi accesso
ai percorsi dell’esportazione, oppure sono posti vicino alle frontiere.
Non sono una peculiarità del sud est asiatico, e non sono di per se nuovissime queste ZES si
sono diffuse a partire dagli anni 70, oggi se ne contano almeno 3500; non sono uno
sperimento recente o inventato negli anni 70.
La prima ZES creata in Irlanda, 1959.
Con caratteristiche diverse le troviamo un po’ in tutti i paesi.
Le troviamo in: Messico, Russia, Cina, Paesi Est Europa, America latina e Africa…
Quelle che hanno avuto più successo sono state quelle della Cina e del sud-est asiatico.

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MESSICO: le maquiladoras messicane- non sono ZES, ma sono impianti:


impianti manifatturieri di proprietà straniera, ovvero nord americana che si sono localizzati
lungo il confine tra Usa e Messico e nel Messico centrale.
Sono nate in una situazione abbastanza particolare perché queste maquiladoras sono state
pensate soprattutto come valvola di sfogo per la disoccupazione che si era andata creando ai
confini tra usa e Messico verso la metà degli anni 60, quando era stato chiuso un programma
braciero con il quale si autorizzavano lavoratori agricoli stagionali a lavorare legalmente negli
USA, la cessazione di questo programma ha lasciato il Messico con gravi carenze di
opportunità di lavoro, tanto che in queste città di confine la disoccupazione sfiorava tassi del
50%.
Quindi l’idea di aprire questi stabilimenti che importavano materiali, semilavorati e macchinari
esenti da dazi, assemblano ed esportavano negli USA, è stata una decisione legata alla
necessità di dare sfogo alla disoccupazione, e per ridurre la congestione che vedeva gli
impianti industriali concentrarsi nella zona della capitale.
Il numero di maquiladoras è aumentato enormemente tra il 1994-2000 da quando è entrato in
vigore il nafta (north american free trade agreement) è una zona di libero scambio creata nel
1994 tra USA, CANADA E MESSICO.
È un accordo che Trump aveva rimesso in discussione.
Le maquiladoras sono tra gli impianti più contestati per quanto riguarda le condizioni di lavoro,
sono impianti che assemblano prodotti del settore dell’elettronica o impianti che lavorano il
settore del tessile-abbigliamento lavorano molte donne, e sono condizioni di lavoro che in
motli casi sfiorano lo sfruttamento vero e proprio.

CINA:
paese gigantesco, è un’economia grande non paragonabile agli altri paesi del sud-est asiatico.
È arrivata agli investimenti stranieri per dinamiche diverse, proprie e in tempi più recenti.
Il tutto è partito con la morte di MAO nel 1976, poi anni di riassestamento e Riforme
economiche di Deng Xiaoping, nuovo presidente (1978):
- «Politica delle Quattro Modernizzazioni» ovvero politica di riorganizzazione interna, si
volevano modernizzare e aprire al mercato settori come quello dell’agricoltura, industria,
scienza.
Agricoltura e industria: non esisteva di fatto la proprietà privata, tutto dello stato.
Non possiamo parlare di un vero e proprio sistema di mercato come quello dei vecchi paesi
capitalisti; la CINA si è aperta ma con questa formula particolare che ha portato ad una sorta
di socialismo di mercato- è diventato un modello di sviluppo economico del tutto originale che
non trova riscontro in altri paesi.
Le imprese stesse che operano su scenario globale, in molti casi sono ancora imprese
controllate dallo stato, non sono paragonabili alle nostre multinazionali anche se poi effettuano
le stesse cose.
Accanto ad essa:
- «Politica della porta aperta» apertura agli investimenti stranieri e al commercio estero
che parte sempre in quegli stessi anni 1979, e fa riferimento alle ZES.
Si voleva integrare la Cina nel mercato globale.
- istituzione delle «Zone Economiche Speciali»
Queste politiche hanno portato ad un miglioramento e a una ripresa dei rapporti con
l’estero, soprattutto USA.

L’apertura era anche subordinata d’un altro obbiettivo: quello di assorbire capitali ma anche
conoscenze tecniche e scientifiche d’avanguardia dal resto del mondo, per colmare il divario
che si era creato tra un’economia chiusa per decenni e paesi economicamente avanzati.
A questi scopo sono state costruite le ZES.

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La Cina ha inizialmente considerato le ZES come un esperimento, sono state istituite a livello
sperimentale quasi come delle isole di capitalismo, all’interno di un sistema economico e
politico che era ancora fortemente comunista.
Rappresentavano una forte spinta al cambiamento per quanto riguardava il funzionamento
economico del paese stesso.
Per questa ragione inizialmente vengono istituite solo 4 ZES nel 1980.

Le prime 4- localizzate sulla costa, parte meridionale dell’area costiera.


All’epoca erano città che non erano sviluppate ne economicamente ne industrialmente ma
avevano una posizione strategica, ma vicine anche alle tigri asiatiche da cui potevano
apprendere tecniche capitalistiche di sviluppo economico e ricevere i primi investimenti.
Il numero di ZES poi è stato aumentato negli anni 80-90 e ha incluso un notevole numero di
regioni e città; ogni ZES ha anche poi il suo nome.

Le ZES hanno un po’ le stesse caratteristiche che abbiamo visto per le zone del sud-est
asiatico come la possibilità di assicurare le imprese delle esenzioni fiscali, riduzione dei dazi
ecc… hanno un’autonomia ancora più forte rispetto a quella che normalmente caratterizza le
ZES; è un’autonomia che è un elemento di novità in un paese che era fortemente centralista.
ZES di shanzen è grande come la provincia di prato, che è quella più piccola in Italia.

Altra caratteristica: integrazione- mentre le ZES asiatiche sono prevalentemente specializzate


nell’industria, le ZES cinesi hanno un mix di attività economiche- vengono promossi altri
settori, sono più diversificate o integrate.
La strategia delle ZES è riconosciuta come un successo, perché la Cina in poco tempo è
diventata il principale esportatore mondiale di manufatti, e il principale destinatario degli IDE,
questi IDE sono andati di prevalenza verso le ZES, quindi il successo delle ZES non è oggetto
di discussione.

Oltre a queste caratteristiche, le politiche interventiste del governo cinese ci sono altri fattori
che spiegano il successo della Cina:
- Forte differenziale salariale rispetto ai paesi avanzati; quando sono iniziate le
delocalizzazioni verso la Cina, è enorme questo differenziale salariale. Un operaio in Cina
costava pochissimo.

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- basso costo delle materie prime, normative elastiche in tema di protezione ambientale;
oltre al costo del lavoro che ha spinto le imprese occidentali che avevano produzioni ad
alto impatto ambientale a localizzarsi in paesi in via di sviluppo.
- ampia manodopera con buon livello di scolarizzazione; manodopera a basso costo. La
Cina ha fatto delle politiche di scolarizzazione molto sostenute.
- Potenziale mercato di grande estensione, per quanto riguarda i prodotti occidentali; con il
procedere delle industrializzazioni e dello sviluppo economico, anche qui le condizioni di
benessere aumentano e si è formata una classe media che acquista e assorbe i prodotti
dell’impresa occidentale.
- In una fase degli anni 90, gli investimenti in Cina erano fortemente popolari, e questo ha
suscitato delle strategie di imitazione: gli imprenditori vedevano imprenditori della loro area
andare a produrre/investire in Cina e vedevano ce aveva successo allora li imitavano; la
Cina era la nuova frontiera degli investimenti stranieri.
Ci sono comunque stati anche tanti fallimenti.
Come si traduce tutto questo in termini di indicatori? PIL 1960-2018
16000000

14000000

12000000

10000000

8000000

6000000

4000000

2000000

0
1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2018

Negli anni dopo l’apertura il PIL cresce poco fino agli anni 90, e poi crescita significativa.
Principale economia mondiale insieme agli USA.

La trasformazione di questo paese la vediamo poi oltre al PIL, ma anche nella composizione
percentuale del PIL.
INDUSTRIA SERVIZI AGRICOLTURA

60
50
40
30
20
10
0
1970 1980 1990 2000 2010 2013

Come i 3 settori principali dell’economia, partecipano alla composizione del pil e come
cambiano la composizione.
L’agricoltura ci da chiarezze sul cambiamento; perché quando c’è un processo di
industrializzazione il settore primario inizia a diminuire.

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Se andiamo al 2013, vediamo una situazione tipica die paesi industrializzati ed


economicamente avanzati l’agricoltura si assesta su valori bassi inferiori al 10%.
Il settore industriale, decolla e cresce anche il settore dei servizi.
Siamo in una situazione di SVILUPPO ECONOMICO che però non è ancora arrivata alla
configurazione di paesi di vecchia industrializzazione.

Per quanto riguarda il PIL PROCAPITE- QUINDI REDDITO medio Cina:


il PIL pro-capite è il PIL diviso per il numero di abitanti e ci da un’altra dimensione:
distribuzione della ricchezza all’interno di un paese.
Ci dice qual è il reddito medio all’interno del paese
10000

9000

8000

7000

6000

5000

4000

3000

2000

1000

0
1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2018

Si impenna nello stesso periodo, però siamo sotto i 10k dollari annui- è basso paragonato al
reddito medio dei paesi economicamente avanzati, che è nell’ordine dei 35k, 40k dollari Pro-
capite.
Qual è il limite di questo indicatore?
È matematicamente un valore medio; quindi si avvicina a comprendere la distribuzione della
ricchezza, ma funziona quando non ci sono grandi differenze, quando c’è una distribuzione
abbastanza omogenea- ma quando ci sono delle regioni con un bassissimo livello di sviluppo
e altre con un forte livello: IL VALORE MEDIO VA AD APPAITTIRE TUTTO.
E la Cina è un paese con un forte divario, quindi nelle regioni dove ci sono le ZES non ci sarà
10k dollari di reddito medio li, sarà molto più alto, ma d’altra parte ci sono regioni con un
reddito molto più basso.
Bisogna vedere altri indicatori che ci dicono un livello di benessere.

Ultimo indicatore: emissioni di CO2


8.00
7.00
6.00
5.00
4.00
3.00
2.00
1.00
0.00
1970 1980 1990 2000 2010 2013

EMISSIONI CO2 (tonellate metriche pro capite)

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Ha intrapreso il nostro percorso di sviluppo economico; nel momento in cui si è sviluppato un


forte settore industriale, non hanno più guardato l’ambiente- modello di sviluppo che impatta
molto sull’ambiente in termini di emissione di CO2.
La cina è il principale che emette CO2.

IDE IN CINA: in annate diverse dove vanno?


1990- verso le ZES
2000-
2010-
Vediamo un processo di diffusione e filtraggio; gli investimenti aumentano come qtà, ma
progressivamente iniziano a spostarsi anche verso la parte interna, ovvero regioni interne però
in prossimità della costa.
Cosi 2010:

È questa la ragione per cui vediamo un forte divario di sviluppo in Cina; la parte interna di
questo paese non ha lo stesso livello di sviluppo che ha avuto la zona costiera o la capitale.

Ultimo aspetto:
relativo alle strategie commerciali e politiche;
PROGETTO DELLA BELT AND ROAD INITIATIVE- nuova via della seta.

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Questo progetto annunciato nel 2013 dall’attuale presidente e questo progetto vorrebbe
integrare l’asia e Europa, sia una serie di collegamenti via terra e via mare.
Lo scopo: migliorare gli scambi commerciali fra Cina e Europa, Connettere queste due realtà
che in mezzo hanno uno spazio enorme, e anche di realizzare una nuova forma di
collaborazione fra Cina e Europa.
È il più grande progetto di investimento mai realizzato.
Prevede 2 itinerari:
- 1 rotta via terra-; ha strade, ferrovie, gasdotti, oleodotti, in cui ci sono parchi industriali e
interporti; e attraverso l’asia centrale la cina si collegherebbe al nord europa fino a poi alla
spagna; altri rami invece vanno verso il medio oriente e la turchia.
- 2 rotta marittima- parte dai porti del mar cinese meridionale, circumnaviga la parte
meridionale dell’asia, passa per india e Pakistan poi 1 ramo di questa rotta va verso l’Iran,
un altro va verso l’Africa e attraverso il canale di Suez arriva alla turchia, grecia e ai nostri
porti.
- Ci sarebbe una terza via, quella artica: purtroppo se si dovesse realizzare, si realizzerà nel
momento in cui il cambiamento climatica farà passare le navi (scioglimento di ghiacci).
Parte di queste infrastrutture sono già realizzate, si stanno via via realizzando dei pezzi di
queste rotte, soprattutto all’interno e i porti.
La Cina sta cercando di colmare quel divario infrastrutturale che li caratterizza e impedisce il
libero fluire delle merci.

PORTO DI KHORGOS:
è un interporto, creato dal nulla a cavallo tra Cina e Kazakistan; nel 2010 non c’era nulla; oggi
c’è un complesso di infrastrutture enorme.
È un’area strategica, da qui si dipartono i vari rami terrestri.
Allo stesso modo sono aumentati i progetti verso l’Africa, dove la Cina va ad aumentare molti
progetti infrastrutturali, tutto questo comporta che il baricentro della produzione sia spostato
verso l’Asia-nuova geografia della produzione.
1 CINA, 2 USA, 3 GIAPPONE.
Caso Italia dal 1860 al 2012- siamo prevalentemente una economia di servizi.

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14 LEZIONE: 12.11
I DISTRETTI INDUSTRIALI: formazione economico territoriale che è tipica della nostra
economia e dei nostri territori.
I distretti sono un fenomeno che non si forma ma emerge negli anni 70;
definizione:
è un sistema di produzione locale, composto prevalentemente ma non esclusivamente di
imprese di piccola-media dimensione, specializzate in un settore o filiera produttiva; tra loro
giuridicamente indipendenti ma in interazioni attraverso forme di divisione del lavoro.

Il distretto industriale è un caso particolare; è considerato il modello organizzativo più tipico del
post-fordismo e anche della nostra economia.
È un modello che ci si chiede se sia riproducibile al di fuori del contesto italiano; i distretti
sostengono le esportazioni, hanno creato posti di lavoro.

BECATTINI- toscano che per primo ha introdotto la definizione; osservando la sua realtà in
Toscana arriva ad una definizione:
• «il distretto è un’Entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in
un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una
comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali»
• Comunità di persone intende una comunità che incorpora un sistema di valori
omogeneo, non valori di carattere morale, ma valori che riguardano l’economia e la
società. Questa omogeneità è accentuata dal fatto che il territorio condivide un’unica
storia produttiva, cioè queste imprese sono da tempo localizzate nello stesso territorio,
e quindi si sono create esperienze di collaborazione
• Popolazione di imprese industriali sono piccole medie imprese specializzate che si
suddividono il lavoro.

Lui e altri, si sono resi conto che questa formazione non era specifica della toscana ma si
trovavano anche in altre regioni italiane come il Veneto, Emilia Romagna, Marche.

Già negli anni 90 si definiscono le PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEI DISTRETTI:


• Piccola dimensione geografica- ambito territoriale piccolo; sono aree che sono più
grandi del comune ma più piccole della provincia. Nel distretto industriale troviamo circa
15 comuni vicini, di solito sono comuni di piccola dimensione.
• Forte vocazione settoriale, sono specializzati nelle produzioni tipiche dell’industria
manifatturiera e del made in Italy. (arredamento, abbigliamento, un certo tipo di
meccanica)
• Prevalenza di imprese di piccole e medie dimensioni, indipendenti e specializzate per
fase (divisione del lavoro interna all’area), è questa forse la caratteristica più
importante. Se noi abbiamo una concentrazione di imprese ma se non dividono il lavoro
fra loro non è un distretto, queste aree quindi sono dei sistemi.
• Aree omogenee Forte cultura del lavoro e dell’imprenditorialità, identità;
• Rete di istituzioni nel territorio, coinvolte con le dinamiche delle imprese; partecipano
allo sviluppo di questi distretti anche finanziandone dei progetti, queste istituzioni
possono essere gli enti locali, comuni, regioni, camere di commercio, in passato erano
anche le banche locali…
• Radicamento nel territorio; sono normalmente imprese che sono radicate da tempo nel
territorio- non sono nate con il distretto.

Becattini riprende questo concetto di distretto industriale da un altro economista inglese


Marshall che verso la fine dell’800 ha visto che sopravvivevano delle aggregazioni di imprese
e che lavoravano dividendosi la produzione e che coesistevano con il sistema di fabbrica che
stava andando verso grandi dimensioni di impresa.

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Marshall per spiegare il funzionamento di queste aggregazioni di imprese fa riferimento al


concetto di economie esterne di agglomerazione, per descrivere i vantaggi che le imprese
ricevono localizzandosi in uno spazio limitato.

• «Con il termine distretto industriale si fa riferimento ad un’entità socioeconomica


costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente parte di uno stesso settore
produttivo, localizzato in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione ma anche
concorrenza»
Becattini riprende da Marshall questo concetto di economie di agglomerazione per spiegare il
funzionamento del distretto e la sua competitività.
Ci spiegano perché non è vero che la distanza non conta più niente; non è vero che il territorio
non conta più nulla, noi vediamo che le attività economiche tendono a concentrarsi vicine a
prescindere dal fatto che ci sia una divisione del lavoro o meno.

Economie di agglomerazione*

Mercato del lavoro diversificato


Economie di Ampio mercato di sbocco per i prodotti
urbanizzazione Capitale fisso sociale
Servizi alle imprese diversificati

Divisione del lavoro tra imprese


Economie di
Specializzazione servizi
localizzazione
Specializzazione infrastrutture
Reputazione e immagine

Le stesse ZES, sono anche delle aggregazioni di imprese.


Come definiamo le ECONOMIE ESTERNE DI AGGLOMERAZIONE? Papabile esame.
Sono dei vantaggi in termini di riduzione dei costi unitari di produzione, di aumento
dell’efficienza, di aumento della produttività, che le imprese conseguono localizzandosi vicino
fra di loro.
Le economie di agglomerazione si suddividono in:
- Eco di urbanizzazione: sono eco che le imprese vanno a conseguire nelle città, perché li
hanno dei vantaggi come: mercato del lavoro diversificato sia per conoscenze che per ruoli
professionali; quindi in questo modo riducono i costi legati alla ricerca del personale.
Nelle città hanno un ampio mercato di sbocco per i prodotti e possono avvantaggiarsi
del capitale fisso sociale- sono le infrastrutture nella loro complessità, anche quelle di
carattere sociale come le scuole. Cap fisso sociale è uno dei vantaggi più importanti.
Hanno anche tutti i servizi alle imprese diversificati.
Se non ci fossero un numero sufficiente di imprese che si aggregano in un’area non
potrebbero esserci servizi di questo tipo, è un meccanismo che viene ad essere
cumulativo.
Questo tipo di servizi non viene pagato a prezzo di mercato, però vengono pagati
indirettamente attraverso il meccanismo del mercato del suolo: se io ho un importante

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vantaggio dalla vicinanza di una infrastruttura, il terreno in cui mi localizzo ha un valore


diverso rispetto ad aree che sono più marginali.
Le eco esterne sono indivisibili e non si pagano direttamente, ma indirettamente e una è
questa ovvero il mercato del suolo.
Le eco di urbanizzazione riguardano la diversificazione.
- Eco di localizzazione: si vengono a creare quando in un’area si localizzano attività
economiche che appartengono allo stesso settore produttivo- tipico caso dei distretti
industriali.
I vantaggi derivano dalla possibilità di scomporre il processo produttivo, dalla vicinanza
tra committenti e fornitori, c’è una continua interazione tra coloro che commissionano
una parte della produzione e chi lo deve eseguire.
Sono vantaggi che derivano non solo da avere servizi ampi e diversificati, ma dall’avere
servizi specializzati per quel tipo di produzione- servizi all’impresa ma anche le
infrastrutture.
Elementi immateriali: reputazione e immagine che acquisisce l’impresa, non
direttamente dal marchio, ma la acquisisce localizzandosi in un distretto industriale.

Ma come nascono questi distretti? Ci sono delle condizioni che facilitano la localizzazione, la
nascita del distretto e poi come evolvono.
I primi distrettualistici fotografano una situazione che risale agli anni 70-80, però diverse cose
sono cambiate nel frattempo, sono subentrati altri processi tra cui non ultimo una crisi
economica che ha avuto un impatto su tutti i tipi di impresa e anche su quelli distrettuali.

La maggior parte di questi modelli(slide) si ferma negli anni 90, fotografa la situazione in cui
già è entrata la globalizzazione e quel fenomeno della delocalizzazione produttiva che non
riguarda solo la grande impresa, ma è una strategia che un po’ tutte le imprese perseguono.
Dopo il 2000 è entrato questo fenomeno dirompente, ha rappresentato un ulteriore fase di
discontinuità da cui i distretti industriali non sono usciti morti però sono cambiati- crisi.

- 1 stadio: SPECIALIZZAZIONE DI FASE : momento in cui si viene a definire una


divisione del lavoro fra imprese. Questa divisione non nasce dal nulla, ci sono delle

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precondizioni. Normalmente le situazioni che spiegano la nascita del distretto industriale


sono due:
a- La maggior parte dei distretti nasce su un tessuto artigianale preesistente,
microimprese, già specializzate in una determinata produzione e già alcune di
queste lavorano su committenza di altre. (situazione più tipica).
Queste imprese artigiane sono piccolissime, hanno pochi capitali sia di carattere
fisico che tecnologico, e competenze produttive che vengono acquisite
direttamente attraverso il lavoro.
Con il tempo questi sistemi di artigianato diffuso cominciano a industrializzare le
varie fasi di lavorazione, distrettualizzandosi, cioè strutturandosi in base a processi
di specializzazione di fase- le imprese vanno a suddividersi la produzione tra di
loro.

b- Il distretto nasce in presenza di poche grandi imprese, verticalmente integrate, che


a un centro punto mettono in atto delle strategie di decentramento produttivo,
cominciano ad esternalizzare alcune fasi del ciclo produttivo e a farle eseguire da
imprese di piccola dimensione, spesso queste imprese di piccola dimensione sono
costituite da ex dipendenti che si mettono in proprio. Sono situazioni meno diffuse
però succede.
Esternalizzavano fasi del ciclo produttivo non necessariamente per rispondere a
problemi di risparmio.
Queste strategie in altri casi sono state messe in atto quando si doveva
fronteggiare una domanda crescente di prodotto e allora a questo punto le imprese
invece di aumentare la capacità produttiva degli impianti e l’occupazione,
preferivano esternalizzare.
Attorno ad alcune imprese di grandi dimensioni si è poi definito un tessuto di imprese di
piccola dimensione che sono andate avanti nel momento in cui anche la grande impresa ha
abbandonato quel determinato territorio.
Il primo stadio, si forma il distretto, in cui si configura il meccanismo di divisione del lavoro, ma
in cui anche i rapporti tra imprese committenti e tutte le imprese fornitrici sono ancora di tipo
gerarchico; le imprese fornitrici lavorano sulla base di specifici progetti forniti dall’azienda
committente- è una divisione del lavoro ancora abbastanza semplice.
Normalmente questa fase si colloca negli anni 60 del secolo scorso.

- 2 stadio: AREA SISTEMA INTEGRATA, anni 70, in alcuni distretti prosegue anni 80 e
inizi anni 90: è la fase in cui gli economisti si accorgono del fenomeno del distretto
industriale.
È la fase in cui l’economia fordista entra in crisi, quindi entra in crisi la grande impresa, e si
comincia a capire che nella nostra economia c’è altro, perché ci sono questi sistemi di
piccole imprese che stanno crescendo molto.
È questa l’area di forte sviluppo dei distretti industriali; nascono prima ma questa è la fase
in cui crescono tantissimo in termini quantitativi.
Nei distretti cresce numero imprese, l’occupazione, la produzione e le esportazioni i
distretti cominciano a configurarsi come le strutture che sostengono le esportazioni; e si
complessifica lo schema di divisione del lavoro.
Nascono tante imprese collaterali, imprese che si collocano a monte del processo
produttivo- es. imprese che producono macchinari; in questa fase il distretto è un distretto
che diventa una filiera e non più un distretto legato ad un settore produttivo perché la
specializzazione in un prodotto fa nascere una serie di imprese che lavorano attorno a quel
prodotto.
Nascono poi tutta una serie di imprese a valle, imprese che si occupano della
commercializzazione dei prodotti finiti, che servono servizi all’impresa, imprese che si
occupano dei trasporti e logistica.

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E questa viene chiamata A.S.INTEGRATA, perché quel meccanismo che vedeva nella
fase precedente poche imprese committenti e tanti terzisti si va a complessificare, ovvero
ci sono situazioni di pluricommittenza- un subfornitore lavora per più imprese.
Spesso si attiva una struttura che è su più livello- l’impresa committente attiva una serie di
subfornitori, e i subfornitori a loro volta possono attivare delle imprese più piccole per
servizio a domicilio.
In questa fase negli anni 70, c’era anche una flessibilità che riguardava il lavoro, e c’erano
alcune fasi produttive quelle più semplici, manuali, che venivano svolte a domicilio presso
le famiglie.
Questa fase di forte sviluppo che ha conferito molta ricchezza ai territori distrettuali;
l’economia distrettuale ha avuto come conseguenza: aumento di reddito delle famiglie,
altre conseguenze: trasformazione di spazi rurali in spazi di industrializzazione.
Grazie a questi distretti si è trasformata nell’arco di pochi decenni l’economia regionale.
Questo sviluppo ha avuto anche delle conseguenze dal punto di vista ambientale.
L’industrializzazione diffusa che esce dagli spazi urbani, ha avuto tutta una serie di
conseguenze in termini di consumo di suolo e impatto ambientale, disordine urbanistico,
congestione legata al traffico.
I distretti hanno portato avanti anche l’economia nazionale.

Questo periodo di forte crescita però ad un certo punto si interrompe, quando i distretti entrano
in uno stadio di maturità, ovvero un periodo che si colloca tra la metà degli anni 80 e arriva
fino alla globalizzazione; un periodo in cui cambiano gli scenari e i distretti ormai affermati
devono difendere il loro successo economico dalle pressioni competitive esterne che arrivano
da paesi di nuova industrializzazione che vanno a produrre molti beni per i quali i distretti sono
specializzati- i distretti hanno un po’ perso le caratteristiche innovative che li avevano
contraddistinti in una prima fase.

Che cosa succede in questo periodo?


I distretti iniziano a mettere in atto una serie di strategie difensive e offensive per recuperare i
loro vantaggi competitivi, e queste strategie portano anche le imprese ad entrare nelle grandi
catene del valore che caratterizzano l’economia globale, ad entrare quindi non più come erano
entrati precedentemente nei mercati internazionali con le esportazioni ma ad entrare con altre
strategie come:
1- DELOCALIZZAZIONE PRODUTTIVA  spostano fasi produttive, quelle a più basso
valore aggiunto, in paesi a basso costo del lavoro.
Sono le multinazionali che dirigono queste grandi catene del lavoro ma partecipano tutte le
imprese.
Sono diverse le modalità- le imprese di piccola media dimensione e i distretti non vanno a
delocalizzare attraverso la forma dell’IDE, non vanno ad aprire una filiale o fare acquisizioni o
fusioni di altre imprese; delocalizzano ricorrendo alla subfornitura internazionale- invece di
decentrare ad un sub fornitore locale, la produzione viene delocalizzata all’estero.
In questo modo le nostre imprese distrettuali si posizionano nella nuova divisione
internazionale del lavoro e le reti di questi sistemi si allungano.

Oggi non possiamo più definire i distretti industriali come auto-contenuti in un territorio, queste
reti di divisione del lavoro sono diventate lunghe.
Nei distretti sono rimaste le parti della catena a più alto valore aggiunto come le attività che
riguardano progettazione, attività di servizio, è rimasta tutta la logistica.

Altre strategie che i distretti mettono in atto:


2- strategie di CONCENTRAZIONE E GERARCHIZZAZIONE- crescita di medie imprese
che hanno acquisito imprese di piccola dimensione che avevano delle competenze ma
che nello scenario globale non riuscivano più a stare sul mercato. Oppure strategie di

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apertura verso l’esterno- in forme di alleanze, joint venture con altre imprese extra
distrettuali.
3- Strategie di DIVERSIFICAZIONE PRODUTTIVA, o cercare di collocarsi in mercati di
nicchia dove i concorrenti non sono arrivati. Oppure puntare sull’innovazione, cercare di
elevare la qualità del prodotto- vera strategia offensiva nei confronti delle produzioni a
basso costo.

Alcuni distretti si sono limitati alla prima strategia, sono quelli più deboli, distretti che hanno
puntato solo sulla delocalizzazione si sono fortemente ridimensionati e quasi spariti.
I distretti più evoluti hanno fatto ricorso alla delocalizzazione però hanno puntato anche sulle
altre strategie, soprattutto sull’innovazione.

Ci sono poi altri cambiamenti che non riguardano le strategie, sono cambiati anche dal punto
di vista SOCIALE, non sono più quei territori con una popolazione omogenea come ce li
descriveva il Becattini, troviamo tanti lavoratori stranieri, abbiamo una base sociale diversa.
Si sono messi in moto anche processi di carattere sociale che hanno trovato espressione in
questo periodo e continuano oggi, come il problema di cambio generazionale- imprese che
sono arrivate alla 2-3 generazione, gli eredi non vogliono più continuare l’attività dei genitori o
nonni, quindi si interrompe il processo.
Molte di queste piccole imprese, erano e sono di carattere familiare.
Ad un certo punto però in molte imprese il meccanismo di trasmissione si interrompe e la
soluzione è: o la chiusura, o la vendita a soggetti esterni alla famiglia CAMBIA IL
CONTESTO SOCIALE.

Tutte queste trasformazioni, che sono quelle che ci portano alla globalizzazione, sono state
iniziate nella prima decade degli anni 2000, però con di mezzo la crisi 2008 che ha avuto un
forte impatto.
I distretti bene o male ne sono usciti.
Rispetto ai distretti pre-crisi, noi osserviamo oggi una trasformazione sia quantitativa che
qualitativa.
Quantitativa della base produttiva, bene o male tutti i distretti hanno registrato un forte
ridimensionamento in termini numerici, sono sparite tante imprese artigiane ed è diminuito il
numero di occupati.
È cambiata poi anche la composizione settoriale, ovvero sono aumentate le imprese
specializzate nella fornitura di macchinari- è una componente dei nostri distretti, Si è rafforzata
la componente, i macchinari sono molto importanti perche essi non servono più solo per le
imprese che lavorano nei distretti, ma sono macchinari che vengono esportati nei mercati
internazionali.

Se noi guardiamo la struttura delle esportazioni: pensiamo di solito al settore moda- ma la


componente che genera più valori è determinata dall’esportazione di macchinari industriali.
Sono aumentate le imprese altamente tecnologiche e che producono a loro volta tecnologie;
ed è aumentata la componente di servizio.
È aumentate poi la digitalizzazione, le imprese hanno introdotto queste innovazioni della terza,
quarta rivoluzione industriale, nei loro processi produttivi e che hanno permesso di aumentare
la produttività e per certi aspetti di ridurre la forza lavoro.
È aumentata quindi l’automazione.
Ancora nella piccola impresa c’è un digital divide rispetto alle medie grandi imprese.

Rispetto a quello che vedevamo decenni fa, anche le piccole imprese oggi sono aperte verso
questo tipo di innovazioni.
Oggi sono molto cresciute le relazioni esterne al distretto e si sono indebolite le relazioni locali,
per queste strategie che i distretti hanno messo in atto.

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Il rapporto con il territorio indubbiamente si è un po’ indebolito rispetto al passato.

Ultimo fenomeno- riguarda imprese distrettuali e non distrettuali, soprattutto del settore meda,
fenomeno del RESHORING: fenomeno per cui alcune imprese riportano in patria produzioni
o parte di esse, precedentemente delocalizzate.
Succede nel settore moda che produzioni delocalizzate, soprattutto in Asia, ritornano in patria
perché quei vantaggi relativi al costo del lavoro si sono ridotti, non sono più come nella prima
fase di globalizzazione, perché si punta sulla qualità e non sempre in paesi a basso costo del
lavoro si punta alla qualità.
Fenomeno colto recentemente anche dai media, è una strategia che si affianca alle altre.
Lo dimostra il fatto che una stessa impresa può fare delocalizzazione e Reshoring.
Es. Calzedonia: continua a delocalizzare, come in Etiopia per i prodotti che hanno fasce di
prezzo più basso, Tezenis, contemporaneamente ha riportato in Italia la produzione del
marchio Falconeri, che un tipo di produzione di fascia alta.
Una strategia non esclude l’altra.

Dopo la crisi, guardiamo l’export, i distretti si sono ripresi abbastanza velocemente:

Effetto ripresa, poi contrazioni però bene o male le esportazioni dei distretti industriali si sono
comunque riprese.
Le imprese distrettuali si sono dimostrate alla fine più dinamiche di altre imprese.
Chi si è salvato dalla crisi economica?
Si sono salvate imprese che si collocavano sui mercati internazionali; perché la domanda era
molto debole per anni.

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Quanti distretti ci sono, e come li individuiamo?

Sono tantissimi gli istituti che individuano i distretti industriali.


I dsitretti hanno anche una loro storicità, sappiamo che esistono sul territorio da tempo.
La maggior parte delle mappe, ci fa vedere una concentrazione nel triangolo distrettuale, non
è il vecchio triangolo industriale, ma Lombardia orientale, veneto, Friuli e Emilia; poi toscana e
marche.
Troviamo comunque distretti diffusi un po’ dappertutto, 1/3 di occupazione nell’industria.

Specializzazioni:
- Moda: abbigliamento, calzature, borse
- Casa: mobili, oggettistica, arredamento
- Meccanica leggera, o strumentale- ci sono distretti specializzati nelle apparecchiature che
oggi si usano nell’ambito della sanità.

Oggi si tende ad attribuire la definizione di distretto anche ad ambiti che non sono propri
dell’industria: qua di materiale non si produce nulla.
a- Turismo- distretti turistici
b- Cultura- distretti culturali; es. quelli che mettono assieme aree dei musei
Dovremmo fare qualche modifica al modello del distretto industriale; possiamo pensare alla
distrettualità in modo diverso ad esempio alla progettualità.
Quindi d turistici in cui le imprese della filiera turistica fanno progetti comuni, lavorano per certi
versi insieme- le possiamo forzatamente considerare un distretto.

Ci sono altre configurazioni nel mondo che possono richiamare il distretto industriale,
PORTER ha definito il concetto di CLUSTER.
Porter ha elaborato il concetto di catena del valore.
Alcuni usano il termine cluster e distretto come se fossero sinonimi.

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Nella def di Porter ci sono elementi che diversificano i distretti dai cluster; e lo stesso Porter è
ambiguo perché nel momento in cui fa degli esempi mette insieme i nostri distretti industriali e
altre configurazioni che con i nostri distretti non c’entrano.
Cluster:
• “Concentrazione geografica di imprese, fornitori di beni e servizi specializzati e
istituzioni, fortemente interconnessi, che competono ma anche collaborano tra
loro in un particolare settore” ci sono molte caratteristiche del distretto industriale:
conc geog, vicinanza di imprese, competizione e collaborazione.
Anche nei distretti le imprese che fanno la stessa cosa sono in competizione e chi lavora nella
filiera collabora.
L’elemento della individuazione spaziale- non è molto chiara l’analisi di Porter, perché se
guardiamo gli esempi ci porta come es. il cluster del vino della California che è un’area che
non ha un confine spaziale ben definito, prende dentro tutto lo stato della California.
Porter suggerisce che la presenza del cluster non dipende dalla vicinanza spaziale delle
imprese ma dipende dall’estensione delle reti di relazione che si vengono a creare tra imprese
e istituzione—qua si rileva differenza fra distretti e cluster.
Le istituzioni per noi ci sono e non ci sono nei distretti industriali, però nei cluster sono
presenti; da noi non sempre le imprese hanno legami con le università- quindi Cluster
categoria più ampia.
Es. Wallstreet lo cita come cluster, ma per noi non è un distretto.
• Categoria più ampia rispetto al distretto industriale
• Confini meno definiti, prende forma a più scale geografiche
• Presenza fondamentale di istituzioni

ULTIMO ASPETTO: I DISTRETTI INDUSTRIALI ITALIANI: IL PERCORSO NORMATIVO:

Con circa 20 anni di ritardo, rispetto a quando sono emersi i distretti, vengono emanate delle
leggi con cui vengono dati dei criteri di individuazione dei distretti e vengono attribuite alle
regioni il ruolo di finanziatori per i progetti dei distretti.
- Legge 317 criteri di individuazione molto rigidi
- Legge 140
Queste due normative sono state superate dalla riforma costituzionale che ha creato anche
delle autonomie locali.
Il tema della ricerca scientifica… con questa riforma è diventata materia concorrente fra stato
e regioni.

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Oggi abbiamo un doppio percorso, dei distretti industriali continua ad occuparsene lo stato con
la legge 180, con la quale da una def di distretto che assomiglia a quella di Becattini; poi
questo tema è tornato per quanto riguarda i finanziamenti.
Diventando concorrente anche le regioni oggi hanno piena autonomia legislativa per quanto
riguarda la definizione dei distretti industriali e il loro finanziamento; da una parte lo stato con
la sua legge e dall’altra parte una varietà di normative.

Il veneto dalla riforma costituzionale ad oggi ha gia fatto 3 leggi sui distretti industriali:
- N 8, 2003
- N 5, 2006
- N 13, 2014- attualmente in vigore
E attraverso questa legge il veneto ha dato dei criteri di individuazione dei distretti industriali e
ha stabilito dei progetti di intervento finanziabili, che si devono collocare nell’ambito di queste
linee, in questi ambiti:
• Ricerca e innovazione
• Internazionalizzazione
• Infrastrutture, non solo le infrastrutture di trasporto ma anche quelle digitali.
• Sviluppo sostenibile e salvaguardia ambientale
• Difesa dell’occupazione e sviluppo di nuova occupazione, es. sostegno a imprese che
vogliono fare reshoring.
• Sviluppo di imprenditoria innovativa e di nuova o rinnovata imprenditorialità, es. start up.
• Partecipazione a progetti promossi dall’Unione Europea, anche in materia di cluster
Ogni ulteriore iniziativa finalizzata al rafforzamento competitivo delle imprese

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15 LEZIONE: 18.11
Parleremo del nostro caso studio, per replicare il modello di ciclo di sviluppo del distretto.
SPORT SISTEM DI MONTEBELLUNA.
Premessa: com’è organizzata la produzione di calzature nell’ambito del veneto e quanti
distretti ci sono?
È organizzata in 3 poli di produzione, due dei quali sono stati riconosciuti come distretti
industriali dalla legge regionale n13 del 2014;
- primo distretto: specializzato nello sport sistem;
- secondo distretto: quello della riviera del Brenta, a cavallo tra le provincie di Venezia e
Padova- specializzato nella produzione di calzature di qualità, scarpe da donna
prevalentemente, per fascia di mercato medio alta- trattano marchi del lusso.
- terzo distretto: quello Veronese, ha avuto una storia un po’ diversa rispetto agli altri
distretti, perchè con la delocalizzazione produttiva, si è notevolmente ridotto; storicamente
è considerato un distretto ma il numero di imprese che operano è molto contenuto- non è
arrivato a soddisfare quei parametri abbastanza rigidi che ha posto la regione del veneto
per i distretti quindi la produzione calzaturiera nel veronese si è molto ridimensionata-
oggi con la normativa non è stato riconosciuto.

Montebelluna e quello del Brenta, tutti e due producono lo stesso prodotto, ovvero sono nello
stesso settore calzaturiero ma in realtà è un prodotto diverso.

Dov’è localizzato questo distretto di Montebelluna?


È un distretto costituito da 16 comuni, prevalentemente nella provincia di Treviso.

Fasi evolutive del distretto di Montebelluna:

Dagli anni 50 leggiamo questa evoluzione facendo riferimento al nostro modellino, vediamo se
aderisce o meno al modello di carattere generale.
Nelle prime fasi però non parliamo ancora di distretto.
Per tutto l’800 parliamo di una fase di incubazione del distretto, in cui si forma questo
substrato di imprese e laboratori artigiane.
Come si formano questi distretti?
Questo è uno dei casi in cui il distretto prende forma da un preesistente tessuto artigianale; si
sviluppa prima questo tessuto di imprese artigiane, poi ad un certo punto si fa un salto di
scala- la produzione comincia ad essere organizzata in maniera industriale e da qui si passa
all’organizzazione di tipo distrettuale.
È una fase che dura diverso tempo a seconda dei distretti, in questo caso la fase di
incubazione dura un po’ per tutto l’800.

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Partiamo dagli inizi 800 in cui abbiamo pochissimi laboratori, o botteghe di calzolai che
realizzavano un prodotto particolarmente robusto, resistente e rozzo, che era una scarpa da
lavoro- utilizzata dai montanari della zona limitrofa, circa 10; metà 800 abbiamo 55 laboratori,
e a inizio 900 i laboratori sono già a 200.
Per tutto l’800 la produzione mantiene un’organizzazione di tipo artigianale, e quindi non è in
grado di modificare ne la base economica dell’area che rimane rurale e neppure l’assetto del
territorio molti di questi calzolai erano contadini che svolgevano un doppio lavoro.

Se guardiamo il territorio di Montebelluna oggi non troviamo traccia di questa fase artigianale
perché quei laboratori di fatto sono poi stati assorbiti dallo sviluppo degli anni 60 in poi-
quando si sono sviluppate delle vere e proprie fabbriche.

Es. Alto vicentino: fabbrica Alta, 1862 che ha strutture che non sembrano dell’800- noi non
troviamo strutture di questo tipo se andiamo a vedere il territorio di Montebelluna, nel vicentino
c’è abbondanza di strutture di questo tipo.

Torniamo a Montebelluna e le sue fasi:


Passiamo al sistema di fabbrica nel periodo successivo, avviene nella prima parte del 900
È una fase trainata da una serie di eventi esterni che determinano poi lo sviluppo del nucleo di
imprese artigiane e un primo passaggio al sistema di fabbrica.

Input che dall’esterno condizionano l’evoluzione del distretto; (avrebbero poco senso in altri
contesti- il modello del ciclo di vita ci da una struttura di carattere generale, poi una struttura la
si riempie con fenomeni e fatti delle nostre aree):
SECONDA FASE: Fatti determinanti di questo periodo
1- forniture ai comandi militari locali La pgm è stata anche per certi aspetti
un’occasione perduta; perché le imprese che avevano delle strutture di produzione ben
messe diventano fornitrici dell’esercito ma non a livello nazionale, vanno a servire i
comandi militari locali è un’occasione che sfruttano parzialmente, e grazie a queste
forniture locali realizzano una prima accumulazione di capitale e poi permetterà a
queste imprese di configurarsi definitivamente in senso industriale.
2- diffusione alpinismo e aumento domanda scarpe da roccia;
3- prima diffusione sport sciistico diventato disciplina olimpionica; si cominciano a
diffondere anche in Italia.
4- domanda statica; non traina il distretto, però nasce una prima domanda per prodotti di
questo tipo, le scarpe da roccia e per gli scarponi da sci per questa disciplina ancora a
livelli di elite.

Questo periodo è molto importante perché Montebelluna sfruttando le conoscenze acquisite in


un secolo di produzione delle scarpe da montagna e lavoro, realizza la sua prima
differenziazione produttiva che le conferirà l’identità di distretto della calzatura sportiva- si
specializza nelle scarpe da montagna e nella produzione degli scarponi da sci.
La novità di questa diversificazione/innovazione è il fatto che Montebelluna inizia a
produrre uno scarpone per lo sci MONOUSO, fino a quel momento si utilizzavano scarponi da
montagna che venivano adattati allo sci- con questa innovazione Montebelluna schiaccia le
aziende concorrenti che producevano ancora scarponi da montagna adattati.

Trasformazioni che prendono forma all’interno del distretto come elaborazione di questi input:
1- nascita aziende storiche del distretto
2- transizione al sistema di fabbrica
3- specializzazione SCARPE DA MONTAGNA
4- PRIMA DIVERSIFICAZIONE PRODUTTIVA: scarpone da sci monouso

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5- Aumento gamma prodotti; vengono prodotte anche altre calzature sportive come scarpe
da pattinaggio, golf, calcio.
6- Impatto contenuto sulla base economica locale e sul territorio- vuol dire che la base
economica dell’area è ancora molto legata all’agricoltura e per quanto riguarda
l’industria, gli occupati lavorano prevalentemente nell’industria tessile che poi
comunque andrà via via sparendo- si verifica il fenomeno di sostituzione.
7- Banca locale- 1890 nasce questa banca, tra i soggetti locali che contribuiscono allo
sviluppo dei distretti ci sono anche le banche locali.
Nel 1890 nasce la banca di Montebelluna che poi ha avuto tutta una serie di
trasformazioni quindi ha cambiato nome più volte, e poi confluita in grandi gruppi
bancari poi ha perso questa sua caratteristica; ma nel momento in cui è nata era un
organismo a supporto dell’imprenditoria locale.

TERZA FASE 1950-69: FORMAZIONE DEL MODELLO DISTRETTUALE


Questo periodo parte con lo sviluppo del secondo dopo guerra; da questo momento possiamo
applicare il nostro modello di ciclo di vita del distretto industriale perché qui in questi anni 50 e
negli anni 60 vediamo prendere forma una specializzazione di fase—quindi divisione del
lavoro fra imprese che poi da forma a organizzazione di tipo distrettuale.

Dall’esterno anche in questo caso abbiamo una serie di eventi che fanno da input:
- Aumento domanda di attrezzature sciistiche, anche se non siamo ancora alla diffusione di
uno sport di massa
- Effetto trainante di importanti eventi sportivi, come la conquista del K2, o le olimpiadi di
Cortina anni 50, dove gli atleti indossano calzature prodotte nel distretto di Montebelluna.

Dall’interno del distretto, durante questo periodo:


- Introdotti i primi veri macchinari per la fabbricazione delle calzature; perché i primi erano
rudimentali, ora sono macchinari di tipo industriale.
- ORGANIZZAZIONE DISTRETTUALE, che vede la formazione del distretto di tipo
Marshalliano- abbiamo una divisione del lavoro ancora di tipo semplice tra imprese che
assumono il ruolo di capofila, si occupano della progettazione del prodotto,
dell’assemblaggio e hanno rapporti con il mercato- si occupano della commercializzazione
e distribuzione e del prodotto; e invece imprese che lavorano come subfornitrici delle
prime. L’impresa subfornitrice lavora per un unico committente, non c’è ancora una
situazione di pluricommittenza;
- Vediamo nascere una Nuova imprenditorialità per fenomeni di spin-off- tante imprese di
piccole dimensioni. Spin-off: sono spesso ex operai di imprese più grandi che vanno a
costituire delle piccole imprese.
- Apprendimento per learning by doing- l’apprendimento avviene attraverso il lavoro, non ci
sono scuole. In questa fase si precisa ancora la specializzazione del distretto
- Produzione di Scarpone da sci: comparto strategico e così rimarrà anche nel periodo
successivo.

Perché ci siamo fermati al 1969, e non 70 decennale?


Ci fermiamo in questo anno, perché questo distretto la cui storia è molto condizionata
dall’innovazione, dall’introduzione- questo distretto cambia la sua organizzazione proprio
come conseguenza di una innovazione tecnologica che nasce all’esterno ma viene rielaborata
dai produttori Montebellunesi.

QUARTA FASE 1969-1980: RIORGANIZZAZIONE E CRESCITA DEL DISTRETTO.


- Innovazioni tecnologiche
- Aumento domanda del prodotto, crescita economica- lo scii non è più sport di elite ma
diventa di massa

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- Sponsorizzazioni sportive- le imprese di Montebelluna si legano o alle nazionali, come


quella di scii, o a singoli campioni e fanno da sponsorizzazioni cioè portano i marchi nel
mondo.

Innovazione: fa si che il distretto metta in atto questa seconda diversificazione produttiva:


INVENZIONE DELLO SCARPONE IN PLASTICA- per noi è scontata la plastica oggi ma
all’epoca non era così, fino a quell’epoca erano in cuoio.
Questa innovazione verso la metà degli anni 60 la stavano già studiando, avevano costruito
diversi centri di produzione per quanto riguarda lo scarpone; e all’introduzione di questa
innovazione non arrivano per primi i Montebellunesi ma gli Americani 1965-66; i
Montebellunesi hanno dato il loro contributo a questa innovazione, hanno apportato delle
modifiche al processo produttivo degli americani che poi sono risultate vincenti a livello
mondiale.
Gli americani facevano colare le materie plastiche direttamente nello stampo; Nordica, la
prima impresa che ha adottato questo procedimento, iniettava i materiali plastici nello stampo,
in questo modo ha ottenuto un prodotto meno sofisticato ma un processo produttivo più
vantaggioso.
Gli americani hanno realizzato L’INNOVAZIONE RADICALE; i montebellunesi hanno
realizzato L’INNOVAZIONE INCREMENTALE- vincente, e ha prodotto una vera e propria:
- Destrutturazione e riorganizzazione del distretto, c’è stata una selezione naturale; le
imprese più grandi hanno introdotto queste tecnologie che erano anche costose, le
imprese più grandi si lanciano nella produzione dello scarpone di plastica, altre imprese
che insistono nel produrre scarponi in cuoio in breve tempo spariscono dal mercato.

Altri produttori che non avevano le risorse cos’hanno fatto? Si sono orientati verso altri tipi di
calzature sportive, che utilizzavano sempre plastica, ma che non richiedevano grossi
investimenti o tecnologie particolari- gamma scarpe sportive.
Altre imprese ancora si lanciano nella produzione di doposci, la plastica ha introdotto i
doposci, prima della plastica veniva realizzato con cuoio mentre dopo si diffondono i doposci
sintetici abbiamo l’impresa che fa da precursore “tecnica”, l’anno dopo della plastica
introduce il primo doposci sintetico il Moonboot-in omaggio alla conquista della luna da parte
dell’uomo.
Dopo TECNICA, molte imprese che non avevano risorse per sostenere gli investimenti che
comportava la produzione di scarponi da sci in plastica, si lanciano nella produzione di
doposci, comportava un’imprenditorialità di tipo imitativo- si forma una sorta di doppio circuito
che contrappone le imprese più innovative con quelle che sono le imprese di basso livello.
Sul finire degli anni 70, la domanda di dopo sci raggiunge la sua massima espansione; e nella
produzione di doposci era impiegata la metà delle famiglie che viveva nel distretto di
Montebelluna.
Dal pdv dell’organizzazione distrettuale siamo in una fase più complessa, è una fase che
definiamo:
- Modello organizzativo del “decentramento a cascata” organizzazione del lavoro
impegnata, non più su un rapporto committente-subfornitore, ma una organizzazione del
lavoro su più livelli l’impresa committente decentrava all’esterno alcune fasi del processo
produttivi e questi subfornitori a loro volta decentravano parte della produzione a
microimprese o a laboratori artigiani o a domicilio.
Lo sviluppo delle produzioni in plastica a sua volta determina lo:
- Sviluppo settori contigui e evoluzione verso il distretto plurispecializzato; nascono tutte le
imprese che lavorano queste materie plastiche, nascono imprese che realizzano ad
esempio gli stampi per gli scarponi, imprese che realizzano le fasi di stampaggio.
A differenza del periodo precedente che si richiedevano poche competenze ai subfornitori, ora
queste fasi sono altamente tecnologiche, sono richieste competenze tecniche che non c’erano
nella fase precedente.

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Questi nuovi prodotti determinano una ulteriore complessità nell’organizzazione del distretto,
settori che lavorano per il distretto ma anche per l’esterno, per produttori che non sono solo
quelli distrettuali.
Si sviluppa il settore dei servizi, come il marketing o settori dei trasporti e logistica.
È questa la fase di MASSIMO SVILUPPO DEL DISTRETTO.
Aumenta il numero di imprese, gli occupati, la produzione e:
- Forte vocazione export Montebelluna si configura come uno dei principali produttori
mondiali per questo tipo di prodotto, e copre buona parte dell’export mondiale per gli
scarponi da sci.
Nel tutto il distretto rimane ancora autocontenuto, si amplia nel territorio però siamo ancora in
un vero e proprio distretto in cui questa divisione del lavoro rimane autocontenuta all’interno
dell’area non ci sono ancora quei fenomeni di delocalizzazione produttiva che allungano le
reti di produzione.

Questo periodo di crescita che riguarda il distretto ad un certo punto si interrompe- inizi anni
80- mentre altri distretti ancora crescevano fortemente, negli anni 80 questo distretto entra
nella fase di maturità.

QUINTA FASE, ANNI 1980: CRISI E STRATEGIE DI RISPOSTA:


la crescita rallenta perché il distretto viene investito da due crisi- la prima agli inizi degli anni
80, la seconda sul finire della decade.
La prima crisi: indotta da fenomeni di carattere esterno, fenomeni di saturazione dei mercati- è
stata una crisi di sovrapproduzione determinata dalla saturazione del mercato che non riusciva
più ad assorbire quelle quantità di beni prodotte dal distretto- aggravata poi da altri fatti come
l’aumento del costo delle materie prime, successive alla seconda crisi petrolifera, e non la
prima, e anche un po’ dell’aumento degli altri costi come quello del lavoro.

Quindi:
- Fenomeni di saturazione del mercato
- Aumento costo delle materie prime e del lavoro
- Scarso innevamento, dagli anni 80 si susseguono inverni miti, scarso innevamento in
montagna, la neve non è più così scontata e questo cambia non solo l’assetto degli sport
invernali, ma cambia l’organizzazione turistica di tante aree della media montagna.
- Aumento competizione internazionaledovuta al fatto che altri produttori vanno a produrre
nei paesi a basso costo del lavoro, paesi asiatici che diventano poi dei competitor per
quanto riguarda i prodotti di Montebelluna.
La caratteristica di questo distretto è che mentre altri adottano una o qualcuna di queste
strategie, soprattutto la delocalizzazione produttiva, il nostro distretto le mette ina tto un po’
tutte- sono strategie di tipo difensive ma anche quelle di tipo offensivo come il continuo ricorso
all’innovazione.
- prime due crisi: 1980-82 e 1987
- delocalizzazione produttiva all’esterno si decentrano soprattutto quelle lavorazioni
industriali che sono a minore valore aggiunto: suolette, lacci… sono comunque ad alta
intensità del lavoro, quindi il costo del lavoro incide parecchio.
Chi decentra non sono solo grandi imprese con marchio, ma decentrano anche parecchie
medie-piccole imprese; si delocalizzano anche alcuni subfornitori che seguono la strada dei
committenti. Dove delocalizzano le imprese di Montebelluna? Un po’ dappertutto, Cina e sud-
est asiatico; Romania; Marocco, Tunisia e qualcuno si spinge anche in sud America.

- Innovazioni; continua ricerca di innovazioni sia nell’ambito di materiali, processi produttivi e


prodotti.
Citiamo prodotti nuovi, e originali dell’epoca fenomeno Geox 1995 a Montebelluna, nasce in
un momento in cui il distretto sembrava sfaldarsi sotto l’effetto della delocalizzazione

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produttiva e nasce con questo brevetto della scarpa che respira- enorme successo e lancerà
una serie di fenomeni di carattere imitativo.
- diversificazione produttiva in settori contigui uno dei settori che oggi contribuisce al
fatturato del distretto è quello dell’abbigliamento sportivo.
- entrata multinazionali, processi di concentrazione aziendale; molte piccole imprese
vengono assorbite da imprese più grandi.
Imprese stesse di Montebelluna creano alleanze.
Entrano quindi le multinazionali ma non solo con processi di fusione e acquisizione, ma molte
multinazionali di calzature vanno a localizzare a Mb dei centri di sviluppo, nonostante la
delocalizzazione produttiva si riconosceva che nel distretto rimaneva un nucleo di competenze
e conoscenze di cui anche altre imprese potevano avvantaggiarsi.

DATI PER NUMERO DI IMPRESE E ADDETTI:


dati raccolti dall’istituto OSEM, che dagli anni 90 e fino al 2008 faceva ogni anno un’indagine
congiunturale sul distretto, molto ricca di dati.

Continua diminuzione del numero di imprese, con momenti anche altalenanti.


C’è una dinamica imprenditoriale anche molto vivace, tipica dei distretti.
Se guardiamo nel lungo periodo si è ridotto molto.
1997-2006 è il periodo dove la delocalizzazione incide di più, è il periodo di massima intensità;

guardiamo i dati sugli addetti:

Via via scendiamo anche qui; c’è anche una dinamica negativa per quanto riguarda il numero
degli addetti.

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Altre slide non confrontabili, perché la fonte è diversa.


2007-2013: IMPRESE:
350

300 309
300
286 281 280
270
250 256

200

150

100

50

0
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Passiamo dalle 309 imprese del 2007 alle 256 del 2013.

ADDETTI:
5200
5137
5052
5000
4908
4861
4800
4763
4678
4600
4476
4400

4200

4000
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Balzi e riduzioni.

Che cos’è oggi il distretto, cosa troviamo nel distretto di Montebelluna?


Rimane questo nucleo forte delle calzature da montagna e dello scarpone da sci, rimane
questo nucleo di competenza che riguarda il settore principale da cui il distretto si è sviluppato.
Poi altri settori come:
- scarpe tecniche per lo sport
- scarpe confort/città/casual
- accessori: caschi-rotelle
- abbigliamento casual sportivo molto sviluppato.

Altri settori collegati che definiscono la filiera distrettuale:


materie plastiche, imprese che lavorano nella produzione di stampi e componenti, imprese che
producono macchinari, servizi imprese, logistica distributiva-trasporti (molto impo i trasporti
perché il distretto non è più autocontenuto come negli anni 70 ma è un distretto esploso, è un
distretto a reti lunghe).

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Di produzione ne è rimasta nel distretto, non solo progettazione, vengono definite l’alto di
gamma fascia di mercato medio alto, con prezzo importante e di conseguenza si richiede la
lavorazione in Italia.
Anche qui fenomeni di reshoring, sempre legate allo sviluppo di alta gamma.
Diadora- fa parte di Geox, ha riportato una scarpa che richiede un lavoro di qualità.

Viene prodotto un po’ di tutto in questo distretto: sapere qualche nome.

Il distretto e LA NORMATIVA:
questo distretto è stato riconosciuto da tutte e 3 le normative che ha promulgato il Veneto, in
tema di distretti.
La legge 13- mette dei parametri di quantità abbastanza rigidi ma questo distretto li soddisfa.
Per i progetti:
UNINT segue i progetti, è un consorzio per le integrazioni fra imprese; cerca di favorire la
collaborazione delle imprese su progetti comuni, di cui fanno parte delle confindustrie.

Montebelluna oggi si è orientato con i suoi progetti verso la ricerca di innovazione di prodotti e
processi produttivi, in particolare riguardanti la quarta rivoluzione industriale.
Altri progetti:
Oppure ricerca e innovazione per quanto riguarda la sostenibilità ambientale.
Internazionalizzazione- quindi andare all’esterno;
formazione del capitale umano perché le competenze per le tecnologie di ultima generazione
ce ne sono ancora poche.

Foto del museo dello scarpone e calzatura sportiva che si trova a Montebelluna.

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16 LEZIONE, 19.11
LA LIBERALIZZAZIONE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE E IL RUOLO
DELLA WTO
Parliamo di POLITICHE DI LIBERALIZZAZIONE, che completano ciò che diciamo riguardo
alla formazione di reti di divisione del lavoro, che non sarebbero possibili senza traporti e ne
senza le politiche di liberalizzazione.

LA LIBERALIZZAZIONE COMMERCIALE SUDDIVISA IN:


- multilateralismo: ovvero intendiamo il processo che ha portato ad un progressivo
abbattimento a livello mondiale delle barriere al trasferimento di beni e servizi. In questa
prima modalità ha avuto importanza il ruolo guida della WTO e di altri accordi precedenti la
creazione di questa istituzione che risale alla seconda metà degli anni 90 del secolo
scorso.
- Regionalismo commerciale: due o più paesi, quindi stati, si associano per abbattere o
ridurre le barriere commerciali fra loro, escludendo i paesi esterni all’accordo da queste
facilitazioni.

Cosa intendiamo per BARRIERE AGLI SCAMBI:


abbiamo due tipi di barriere che ostacolano il libero fluire del commercio:
- barriere tariffarie: vanno a modificare direttamente i prezzi dei beni scambiati attraverso
l’introduzione di un’imposta. Es. dazi doganali.
- Barriere non tariffarie: sono strumenti che comportano un aumento dei costi di accesso ai
mercati esteri perché influenzano spessi indirettamente i prezzi dei prodotti; sono misure
che scoraggiano e ostacolano il commercio internazionale. Gli effetti di queste barriere
sono piuttosto complessi e poco trasparenti, vengono chiamate barriere occulte- c’è
sempre il rischio, al di la delle intenzioni dichiarate di attuare una strategia di tipo
protezionistico. Es. contingentamenti, cioè quantitativi massimi messi ai beni che sono
importati; o le barriere sanitarie o di standard che sono dei regolamenti che i paesi mettono
alle importazioni straniere per tutelare la salute e la sicurezza dei consumatori oppure
anche la protezione dell’ambiente.
-
Es di barriere sanitarie: carne con residuo di ormoni, nell’Ue è vietato la produzione di carne
con residuo di ormoni per tutelare i consumatori, in altri paesi come Usa è legale, non ci sono
limiti di questo tipo se non nei quantitativi fissati dalla legge. Se un produttore di carne
americano vuole entrare nel mercato europeo, per forza di cose, essendoci da noi questi
regolamenti si deve adattare, quindi deve modificare il suo processo produttivo, in modo tale
che non vi siano residui di ormoni adattare, comporta dei costi per il produttore e poi va a
riflettere anche sui prezzi dei prodotti.

C’è anche il sospetto che in alcune situazioni di queste barriere non tariffarie si giochi un po’
per fare del protezionismo.
Oggi sono diventate quasi più importanti quelle non tariffarie, rispetto alle tariffarie; la maggior
parte dell’azione della WTO oggi è focalizzata sul contenimento di barriere non tariffarie,
mentre invece nel secondo dopo guerra riguardavano soprattutto le barriere tariffarie.

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Percorso WTO: vediamo il multilateralismo:

Parliamo degli anni che precedono la conclusione della seconda guerra mondiale.
Ci da modo di parlare di una serie di organizzazioni che nascono in questo periodo e sono
considerate insieme alla WTO, le organizzazioni mondiali che governano la globalizzazione-
regolano il sistema economico globale.
Queste 3 organizzazioni sono chiamate gli organismi di BRETTON WOODS:
- Fondo monetario internazionale
- Banca mondiale
- International trade Organization—ha avuto un percorso travagliato ed è l’antenata della
WTO.
Perché organismi di Bretton Woods? Perché sono stati ideati proprio nell’ambito della
conferenza di Breeton Woods 1944 dagli Usa in questa località americana in cui si doveva
discutere di quello che sarebbe stato l’ordine economico mondiale al termine della seconda
guerra mondiale.
È una conferenza a cui parteciparono i delegati di 45 paesi, tra quelle che allora erano le
potenze del pianeta; tra questi 45 non rientravano la Germania e i suoi alleati perché il conflitto
era ancora in corso.
Quando il sistema della Breeton woods prenderà piede, includerà tutti i principali paesi più
importanti, e quindi anche quelli che sono usciti sconfitti dalla 2gm.

Cosa volevano ottenere gli Usa con questa conferenza? Volevano evitare, a fine della 2gm, di
ricadere nella situazione di protezionismo commerciale che aveva caratterizzato il periodo tra i
due conflitti mondiali; in particolare il periodo successivo alla crisi del 1929.
Cos’era successo?
Dopo la crisi le politiche commerciali che sono state messe in atto dai diversi paesi,
prevedevano la combinazione di protezionismo-aumento dei dazi per proteggere la propria
industria e per convogliare la domanda interna e contemporaneamente delle politiche di
svalutazione monetaria per sostenere le proprie esportazioni.

Chiaramente se tutti adottavano politiche simili, non c’era efficacia e il risultato: CROLLO DEL
COMMERCIO INTERNAZIONALE, nell’arco di pochi anni. Si voleva evitare di tornare in
questa situazione.
Gli Usa con questa conferenza di Breeton Woods volevano porre le basi per un nuovo ordine
mondiale che favorisse non solo la ricostruzione ma anche la crescita di tutti i paesi dopo la

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2gm, nell’ambito di questo obiettivo venne discussa la creazione di alcuni organismi


internazionali che avrebbero dovuto poi governare il sistema economico globale dopo la 2gm,
ispirandosi alla filosofia del libero commercio e libero movimento di capitali come fonte di
benessere per tutti.
Dietro queste organizzazioni c’era un po’ questo obiettivo di favorire il lib commercio e lib
mov di capitali.
Dietro a questa filosofia che stava alla base degli accordi di Breeton woods c’era la teoria
economica del vantaggio comparato, che prevede la preferenza per qualsiasi paese/regione
di specializzarsi in attività rispetto alle quali si possiedono dei vantaggi specifici, possono
essere vantaggi derivanti da risorse, poi esportare questi prodotti in tutto il mondo e importare
i restanti beni dall’estero, in modo tale che i consumatori beneficino di una gamma di prodotti a
costi minori.

FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE:


istituito dopo la seconda guerra mondiale, 1945, come parte degli accordi di Breeton woods.
Da statuto ha 3 funzioni:
1- F. di promuovere la cooperazione monetaria internazionale e la stabilità dei rapporti di
cambio; quindi di vigilare su quella che è la stabilità del sistema monetario
internazionale.
2- Sostenere la crescita economica, l’occupazione e facilitare l’espansione del commercio
internazionale;
3- Offrire assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà con problemi nella bilancia dei
pagamenti; è quella più importante che oggi svolge; Eroga dei prestiti a media-lunga
scadenza a paesi che hanno problemi di squilibrio nella bilancia dei pagamenti che è lo
strumento che registra tutti i movimenti di valuta tra un paese e il resto del mondo.
Cosa ricade nella bilancia dei pagamenti?
a. Gli scambi di beni e servizi quindi movimenti relativi a flussi di importazione e
esportazione e ricadono poi tutti i movimenti di capitale che vengono fatti per
investimenti di tipo finanziario o investimenti di tipo produttivo.
Quando un paese ha uno squilibrio di questa bilancia dei pagamenti, ovvero un saldo
negativo, per riequilibrarlo ha diverse strategie, 1 delle quali: ricorrere a prestiti internazionali,
come ad esempio prestiti presso il fondo m internazionali; ma c’è un rischio per questa
strategia: il rischio è quello di fare ancora più debito e aumentare il debito estero, questo
rischio ricorre anche quando i prestiti vengono chiesti al f m internazionale.

Dove attinge le risorse il fondo?


Le attinge direttamente dalle quote che versano i paesi membri, quote che sono proporzionate
all’importanza economica di ciascun paese, i paesi più ricchi versano di più.
Il meccanismo delle quote è importante per determinare il potere di voto all’interno degli organi
che costituiscono il fondo; perché nel fondo vale la regola che il potere di voto è ponderato in
base alla quota di capitale detenuta, tanto più grande è la quota e tanto più elevato sarà il
potere di voto.

Nell’ambito degli organismi del fondo, le decisioni vengono prese con maggioranze qualificate,
quindi maggioranze che richiedono l’approvazione dei 2/3 o 3/4 dei paesi membri, chiaro è
che i paesi che hanno più potere di voto, nel momento che si mettono insieme, vanno a
condizionare le decisioni es. USA, GIAPPONE, GERMANIA, FRANCIA, REGNO UNITO.
È anche per questo che si dice che il fondo non è un organismo democratico perché non vige
il criterio del voto di maggioranza, ma è il criterio del voto ponderato.

I prestiti del fondo sono condizionati a rispetto di determinate prescrizioni che arrivano dal
fondo stesso, che sono chiamati piani di aggiustamento strutturale, un paese per avere i
finanziamenti del fondo deve genericamente risanare la sua economia e spesso il risanamento

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dell’economia passa attraverso misure di contenimento della spesa pubblica che va poi a
colpire i soliti settori: sanità, istruzione e quindi poi va a colpire i servizi di cui usufruisce la
popolazione. Anche per questo il fondo è stato molto criticato perché nel tempo, molti paesi
che hanno fatto ricorso al fondo hanno aumentato il proprio debito e in più hanno dovuto
mettere in atto le politiche di contenimento della spesa pubblica che sono andate poi a
svantaggio della popolazione.

Ai prestiti del fondo sono ricorsi un po’ tutti i paesi, non solo quelli in via di sviluppo o paesi del
sud del mondo, anche molti paesi europei: come paesi dell’ex blocco sovietico quando sono
passati all’economia di mercato; oppure Grecia, Spagna, Portogallo dopo l’ultima crisi
economica.

Altro organismo uscito da Breeton Woods:


BANCA MONDIALE:
inizialmente non si chiamava così ma: banca per la ricostruzione e lo sviluppo, perché voleva
sostenere i paesi usciti distrutti dal secondo conflitto mondiale.
Questo obbiettivo è venuto meno già negli anni 60, perché negli anni 60 erano già in pieno
sviluppo e quindi da quel momento la banca mondiale si è orientata verso i paesi in via di
sviluppo paesi del sud del mondo, Africa, America Latina e anche in Asia- finanziando dei
progetti specifici che si riteneva fossero utili per lo sviluppo di questi paesi.
La banca mondiale in questa prima frase ha finanziato delle grandi infrastrutture: centrali
elettriche, dighe, autostrade, aeroporti- con risultati abbastanza dubbi, perché alcuni di questi
progetti non hanno avuto gli effetti attesi sullo sviluppo economico e in più hanno provocato
gravi danni all’ambiente.

Dalla metà degli anni 90 i suoi obbiettivi si sono riorientati sulla riduzione della povertà e la
lotta alla corruzione nei paesi in via di sviluppo.
La funzione principale della banca mondiale è quella di combattere la povertà attraverso
finanziamenti di progetti e la lotta alla corruzione nel sud del mondo.
Non parliamo più di mega progetti ma sono soprattutto progetti di sviluppo locale o di piccola
scala vanno a sostenere direttamente territori o le comunità locale; es: progetti per facilitare
l’accesso all’acqua potabile o alle risorse dove non è possibile, progetti sull’educazione.

Rispetto al fondo, questo organismo è già più democratico, infatti abbiamo una quota di diritti
di voto che è uguale per tutti i paesi, poi però ulteriori diritti di voto vengono attribuiti sempre in
relazioni ai contributi che i paesi versano alla banca mondiale, quindi anche in questo caso i
contributi sono sempre rapportati all’importanza economica dei paesi.

A Breeton era prevista anche una terza organizzazione:


L’INTERNATIONAL TRADE ORGANIZATION :
di fatto è rimasta sulla carta, questa organizzazione avrebbe dovuto guidare la
LIBERALIZZAZIONE COMMERCIALE- rimuovere le politiche protezionistiche che
ostacolavano il commercio internazionale.
In realtà è stato approvato lo statuto di questo organismo, ma non è mai stato rettificato, è
rimasto in vita di questa international trade solo un accordo che è il GATT-general agreement
on Tariffs and trade; GATT ha cominciato ad operare nel 1947, ed è un quadro normativo
all’interno del quale è stata discussa tutta la tematica del commercio internazionale e sono
state prese le decisioni in materia di riduzione dei dazi e delle tariffe dal 1947 fino al 1995, fino
a quando non è entrata in funzione la WORLD TRADE ORGANIZATION-WTO che ha
sostituito il GATT 1947.

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Il GATT nel corso del tempo si è evoluto attraverso 8 negoziati, chiamati ROUNDS, uno dei
quali si è aperto nel 1986- URUGUAY ROUND è importante perché è quello che poi ha
portato alla WTO; quindi nell’ambito degli altri negoziati sono state ridotte le tariffe doganali, e’
aumentato il numero di partecipanti al GATT, da 23 nel 1947 arriviamo a oltre 100 alle soglie
dell’Uruguay round, che doveva durare pochi anni ma in realtà è terminato nel 1994 con
l’istituzione della Wto- che entra in funzione il primo gennaio 1995.

Si è sentita l’esigenza di tornare a quello che era l’obbiettivo iniziale, di creare una vera e
propria organizzazione e non solo un accordo, e che avesse anche competenze ulteriori
rispetto al GATT, in un quadro del comm int che era profondamente mutato rispetto agli anni
successivi alla 2gm; la situazione al 1947 non era più quella della metà degli anni 80.
Poss domanda: differenza GATT E WTO?

La WTO, è una organizzazione, istituzione che ha una propria sede a Ginevra, un budget 130
milione di euro, uno staff, e ha molte più funzioni rispetto al GATT:
ad es- la Wto si occupa del commercio dei servizi, cosa che non faceva il Gatt, e si occupa
anche della proprietà dei diritti di proprietà intellettuale.
La Wto ha al proprio interno una sorta di tribunale per risolvere le controversie fra i paesi, che
sorgono in merito a diverse interpretazioni o violazioni di quelli che sono gli accordi che i paesi
vanno a sottoscrivere.
La Wto è molto più grande per quanto riguarda i paesi aderenti rispetto al Gatt—al 2016 i
paesi membri erano 164, accanto a questi ci sono paesi osservatori e sono quelli che hanno
fatto richiesta di aderire alla Wto ma al momento sono in attesa che venga deciso dagli altri
paesi il loro ingresso (partecipano alle riunioni generali ma senza diritto di voto); ci sono poi
dei paesi che sono completamente al di fuori dello schema WTO, al momento non hanno fatto
domanda di ingresso, per varie ragioni.

Quello che noi chiamiamo LIBERO COMMERCIO, in realtà più del 97% del commercio
mondiale si svolge sotto il controllo della WTO, rispettando quelli che sono una serie di accordi
che vengono presi dai diversi paesi.

FUNZIONI PRINCIPALI DELLA WTO:


1. FORUM NEGOZIALE, è la sede all’interno della quale si discute, PER LA DISCUSSIONE
DELLA NORMATIVA DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE- normativa esistente e nuovi
accordi per il futuro. Tutto ciò che fa è risultato di negoziazioni, perché si contratta, si
negozia quelli che sono gli accordi che vanno a rivedere cose già state decise o nuovi
accordi che riguardano riduzioni tariffarie o altri aspetti del commercio internazionale.
A questa funzione è legato uno degli aspetti più complessi relativi al funzionamento della
WTO quello che si chiama il meccanismo del consenso- la Wto è un organismo di
carattere democratico, non c’è il voto ponderato come esiste per il fondo monetario e per la
banca mondiale, funziona secondo il meccanismo DEL CONSENSO, il quale prevede che
il consenso venga raggiunto quando nessun membro presente alla riunione in cui viene
presa una determinata decisione si è opposto alla decisione stessa E’ IL CONTRARIO
DELLA APPROVAZIONE, si richiede ai paesi non di dare una formale approvazione di una
decisione, ma DI NON OPPORSI- MECCANISMO DI NON OPPOSIZIONE.
La decisione passa quando nessun paese si oppone; è un meccanismo psicologico, è più
facile ottenere il consenso quando nessuno si oppone piuttosto che chiedere una formale
approvazione, ma questo meccanismo allunga molto i negoziati che si fanno in sede della
WTO.

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Succede che in sede di decisione non si arriva a discutere della decisione stessa ma si
arriva già con una decisione, un progetto che è già stato quasi deciso da parte di alcuni
paesi membri che si trovano prima della decisione finale.

2. CREARE UN SISTEMA DI REGOLE CONDIVISE (ACCORDI) CHE DISCIPLINANO IL


COMMERCIO INTERNAZIONALE AL FINE DI LIBERALIZZARE GLI SCAMBI IN AMBITO
GLOBALE (ABBATTERE LE BARRIERE Tariffarie e non, AL TRASFERIMENTO DI BENI E
SERVIZI) Questi accordi non sono leggi ma sono accordi che sono sottoscritti dai paesi
membri e poi essi si impegnano a recepire all’interno delle loro politiche commerciali.

3. ORGANISMO PER LA RISOLUZIONE DELLE DISPUTE INTERNAZIONALI SUL


COMMERCIO (DISPUTE SETTLEMENT BODY) è un organismo, una sorta di tribunale
che ha due gradi di giudizio a cui si possono rivolgere i paesi che ritengono si essere stati
danneggiati dal comportamento di un altro paese membro della WTO, ad es. questo paese
non ha rispettato gli accordi che sono stati presi in sede di WTO, quindi il paese che si
ritiene danneggiato fa ricorso a questo organismo, il quale prima cerca di comporre la
disputa- arriva ad una soluzione al di fuori di quella che è la sua azione, se ciò non
succede emette un giudizio con il quale si chiede al paese di rientrare nel suo
concordamento, se questo non avviene la WTO non può erogare sanzioni però ha la
possibilità di autorizzare il paese ricorrente a mettere in atto delle misure ritorsive nei
confronti del paese da cui ha subito un danno. La Wto non agisce direttamente per chi non
rispetta gli accordi.
Negli ultimi tempi molti di questi chiamano in gioco le barriere non tariffarie, perché alcuni
paesi ritengono che altri paesi non pongano delle barriere non tariffarie con l’obbiettivo occulto
di realizzare delle politiche di tipo protezionistico.

I PRINCIPI CHE GUIDANO L’AZIONE DELLA WTO:


(quelli più importanti)
- Principio di LIBERALIZZAZIONE: la wto ha lo scopo principale di favorire il commercio
internazionale; sono vietate le restrizioni quantitative alle importazioni, sono vietati i
contingentamenti, è vietato l’aumento di dazi già esistenti, e introdurre nuovi dazi.
Ogni membro della WTO nel momento in cui aderisce, deve depositare una lista di prodotti e
indicare il dazio doganale per ciascun prodotto, questo dazio viene consolidato e non può più
essere aumentato.

- Principio di NON DESCRIMINAZIONE: ovvero i paesi non possono discriminare tra i loro
partner commerciali e tra prodotti simili di diversa provenienza, nazionali e stranieri.
Questo principio ha una specificazione in quella che viene chiamata la clausola DELLA
NAZIONE PIU’ FAVORITA- ciascun paese ha l’obbligo di estendere a tutti gli altri membri
della Wto le migliori condizioni che concede ad uno di essi ciò vuol dire che se un paese
nell’ambito di un accordo bilaterale, concede una riduzione tariffaria ad un altro paese, in
ragione di questa clausola questa riduzione tariffaria diventa automaticamente
multilaterale, viene estesa a tutti gli altri paesi.
Problema dei prodotti simili: i prodotti che sono considerati simili, nel momento in cui
entrano nel territorio nazionale, una volta che hanno pagato il dazio sono considerati dei
prodotti nazionali senza alcuna differenziazione. (caso super alcolici)

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PRINCIPALI ACCORD MULTILATERALI RATIFICATI A CONCLUSIONE


DELL’URUGUAY ROUND:
a. General agreement on Tariffs and trade (1994): versione aggiornata del precedente
GATT 1947- quello vecchio non esiste più, perché non è l’accordo all’interno del quale si
discute il commercio internazionale ma è l’accordo all’interno del quale si discute il
commercio dei beni. Il Gatt è la versione aggiornata del precedente per quanto riguarda
SOLO BENI.

b. General agreement on trade in services- GATS: si occupa del commercio dei servizi

c. Trade-related aspects of intellectual property rights- TRIPS, che si occupa di tutta la


tematica relativa ai diritti di proprietà intellettuale copyright, marchi di fabbrica,
brevetti…

POSIZIONI PRO E CONTRO QUESTA ORGANIZZAZIONE- WTO:


a favore:
- c’è il fatto che la sua azione ha contribuito ad una effettiva riduzione delle barriere al
commercio estero, che è provata poi dai dati stessi. (per quanto riguarda i dazi doganali si
sono ridotti dalla situazione post guerra)

- Vantaggi per i consumatori in termini di prezzi dei prodotti e standard di vita- i prezzi che
noi paghiamo per beni e servizi sono condizionati dalle politiche commerciali, quindi se si
abbassano le barriere si riducono anche i costi di produzione, e di conseguenza tutto si
riflette sui beni e servizi.

- La diffusione di un sistema internazionale di regole Favorirebbe la distensione politica


internazionale, e quindi anche la pace mondiale perché in linea generale quando i paesi
sono più interconnessi economicamente e gli scambi sono più fitti diventa meno
conveniente per tutti il costo di un eventuale conflitto. (Cina e Thaione)

Contro:
- Limiti del processo decisionale (meccanismo del consensus) - il fatto che non soltanto
questi negoziati diventino molto lunghi, ma anche il fatto che in realtà si può manifestare
opposizione ad una determinata decisione solo se i paesi sono presenti alla riunione
stessa e questo non è scontato per quei paesi che non hanno una rappresentanza
diplomatica a Ginevra.

- Scarso peso dei Paesi poveri nei processi decisionali: è vero fino ad un certo punto perché
ci sono state delle situazioni in cui i paesi poveri sono riusciti a fare massa critica e hanno
bloccato delle decisioni che non erano vantaggiose per loro.

- Rapporti con la società civile- a volte ci si chiede che peso hanno i cittadini nei confronti
delle decisioni che vengono prese all’interno di queste organizzazioni. Non è solo problema
della Wto ma di un po’ tutte le organizzazioni.

- Problemi relativi alla qualità dei prodotti: l’azione di riduzione delle barriere non tariffarie
che porta in campo la Wto potrebbe portare problemi relativi alla qualità di prodotti.
L’azione della Wto può andare a svantaggio dei paesi che hanno prodotti di quantità
elevata e li vogliono mantenere in queste posizioni.

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2 fase del tema della liberalizzazione: REGIONALISMO- GLI ACCORDI REGIONALI E


LA WTO.
Tra multilateralismo e regionalismo c’è un contrasto perché: La definizione di accordo
regionale è in contrasto con questo principio di non discriminazione, in particolare con la
clausola della nazione favorita; un accordo va a privilegiare i paesi che hanno sottoscritto
quell’accordo ed esclude gli altri.
Nonostante questo gli accordi sono ammessi dalla WTO stessa, sono ammessi dall’articolo 24
del suo statuto come delle eccezioni speciali, sono soggetti all’approvazione di un comitato ma
sono ammessi.
Come si cerca di spiegare questa contraddizione?
Ci sono diverse ragioni, una di queste è il fatto che quando la WTO è stata creata, 1994,
esistevano già molti accordi, e quindi abolire completamente gli accordi che già esistevano
sarebbe stata un’innovazione RADICALE per quelli che erano i rapporti economici mondiali,
cosi nell’ambito degli accordi della WTO, è stato introdotto l’articolo 24.

Il regionalismo è dettato anche da motivazioni di carattere politico, per cui è opportuno che vi
siano queste eccezioni ai principi della WTO, ci sono molte motivazioni di ordine politico che
portano alla costituzione degli accordi regionali stessi e uno di questi lo abbiamo richiamato
parlando della WTO- ovvero paesi che cercano l’integrazione su piano commerciale per
aumentare il livello di sicurezza sul piano politico e militare è stato cosi anche quando è nata
la Comunità Economica Europea.
Cercare di limitare dal punto di vista commerciale e dal pdv degli interessi economici, quelli
che negli anni 50 erano stati dei paesi nemici, paesi che si erano scontrati in due guerre
mondiali, e questo è stato un obiettivo che è anche riuscito.
Ancora grazie al fatto che sono abituati a collaborare, alcuni paesi riescono poi a fare massa
critica nell’ambito delle relazioni economiche internazionali- riescono ad acquisire una
capacità di pressione che li porta poi a non accettare certe decisioni che sono prese in senso
multilaterale e questo avviene ad esempio per i paesi poveri.

Il regionalismo viene ad essere anche una risposta alla lunghezza dei negoziati che vengono
conclusi in sede di Wto, questi accordi regionali racchiudono un numero molto più limitato di
paesi quindi è più facile arrivare ad un accordo e metterlo in atto.

Di accordi regionali ce ne sono tantissimi, esistevano anche prima della WTO, però il loro
numero è continuato ad aumentare in maniera molto netta ed esponenziale, fino a che
arriviamo ad una situazione di stallo negli ultimi anni, sono più di 300 ed è difficile crearne
ancora.
Essendo cosi tanti come li classifichiamo?
Si classificano secondo due criteri:
1- In base al grado di integrazione economica tra i paesi che costituiscono l’accordo
andiamo da una bassa integrazione che caratterizza LE AREE DI LIBERO SCAMBIO,
livello di integrazione più basso, fino al massimo dell’integrazione che è quello delle unioni
economiche. Le aree di libero scambio eliminano le barriere doganali al loro interno (tipica
area di libero scambio IL NAFTA-maquiladoras)

2- Ad un livello di integrazione superiore ci sono LE UNIONI DOGANALI, queste uniscono i


vantaggi dell’area di libero scambio- quindi eliminazione delle barriere doganali fra i paesi
membri e in più hanno una politica commerciale comune nei confronti dei paesi esterni,
cioè hanno unito un'unica politica tariffaria ovvero un unico dazio nei confronti dei paesi
esterni; mentre invece nelle aree di libero scambio ciascun paese è libero di conservare i
dazi iniziali rispetto ai paesi esterni all’accordo. (es. comunità andina- o l’ex CEE è stata in

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una prima fase una unione doganale, ha eliminato le barriere doganali interne e da
un'unica tariffa esterna comune nei confronti dei paesi esterni)

3- Ad un livello di integrazione ancora superiore abbiamo i MERCATI COMUNI, che


sommano a queste due caratteristiche la libera circolazione dei fattori produttivi, quindi dei
capitali e del fattore lavoro. (es. MERCOSUR, mercato comune che unisce Argentina,
Brasile, Paraguay e Uruguay)

4- Massimo grado di integrazione raggiunto dalle UNIONI ECONOMICHE- abbiamo tutte


queste 3 caratteristiche e in più l’armonizzazione di più ampie politiche economiche;
armonizzazione cioè il coordinamento di politiche fiscali, monetarie… L’accordo che più si
avvicina all’unione economica è L’UNIONE EUROPEA.

Altro criterio che può essere portato in campo: CRITERIO DEL LIVELLO DI SVILUPPO DEI
PAESI ADERENTI ALL’ACCORDO- questi accordi regionali si possono classificare anche in
base al livello di sviluppo dei paesi che ne fanno parte e alle caratteristiche del loro sistema
economico e produttivo; in questo caso distinguiamo:
 REGIONALISMO ORIZZONTALE: accordi nord nord, accordi sud sud cioè accordi
che raggruppano paesi che sono allo stesso livello di sviluppo economico, es. paesi del
nord del mondo, o paesi del sud del mondo. Anni 60-70 del 1900.
In questa prima fase si guardava soprattutto alla riduzione o abolizione delle politiche tariffarie.

In una seconda fase, dagli anni 90 ad oggi, al regionalismo orizzontale si è affiancato anche
un:
 REGIONALISMO VERTICALE: accordi che riuniscono paesi che si trovano a diverso
livello di sviluppo economico- accordi nord-sud.
I vantaggi che vengono concessi all’interno degli accordi regionali riguardano anche le
barriere non tariffarie e riguardano anche non più solo gli scambi di beni ma anche
scambi di servizi.

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17 LEZIONE: 24.11
Arriviamo a delineare alcuni di quelli che sono gli scenari dell’ultima fase della globalizzazione-
questa.
Nelle prime lezioni abbiamo lasciato in sospeso una domanda: Siamo in presenza di una
deglobalizzazione dell’economia? O di un rallentamento della globalizzazione?
In effetti se guardiamo alla situazione del commercio internazionale, abbiamo visto che negli
ultimi anni sono emerse delle tendenze che vanno in direzione opposta rispetto a quel
processo di multilateralismo che si è aperto con il secondo dopo guerra, e che vanno un po’ in
controtendenza anche al rispetto al processo stesso di globalizzazione, di cui la
liberalizzazione commerciale è una delle caratteristiche principali.
Sono emersi dei segnali di neo-protezionismo, che sono riconducibili alla politica commerciale
degli USA durante la presidenza TRUMP.

Nei primi due anni del suo mandato, l’ex presidente, con il suo slogan “AMERICA FIRST” ha
messo in discussione un po’ tutti gli accordi commerciali che già erano esistenti e che si
stavano delineando in quel periodo, e ha messo in discussione anche il sistema stesso della
Wto e quello che è anche il meccanismo di risoluzione delle dispute.
Da marzo 2018, si è registrato una sorta di escalation in questo atteggiamento perché siamo
passati ad una serie di dazi, effettivi e minacciati, che gli USA hanno posto sulle importazioni,
della Cina in primo luogo, e anche da paesi europei si parte dal 2018 e si arriva ai primi
mesi del 2020 fino a che non si è registrata una tregua.

Perché ricorrere a questi dazi da parte degli USA?


Uno dei primi obbiettivi è quello di tutelare le produzioni americane, rendere meno
vantaggioso per le imprese degli stati uniti andare a delocalizzare soprattutto in Cina, o paesi
a basso costo del lavoro; questa idea di tutelare le produzioni americane in realtà, non è
nuova, era già stata portata avanti dalla presidenza precedente Obama, con però strumenti
diversi non tanto ricorrendo ai dazi, ma ricorrendo ad esempio ad un sistema di incentivi che
stimolassero un rientro delle produzioni in patria.

In questa idea di imporre dei dazi c’è anche il tentativo di strappare delle concessioni agli altri
paesi, soprattutto alla Cina, in modo tale da aumentare le esportazioni degli USA.
Perché uno dei problemi principali degli stati uniti è IL DEFICIT DELLA BILANCIA
COMMERCIALE STATUNITENSE, quindi importano più di quello che esportano.
Non solo nei confronti della Cina ma anche nei confronti di altri paesi esportatori come la
Germania.

Infine c’è un ultimo obbiettivo quello di cercare di contrastare la Cina, fermare la Cina e la
sua ascesa come superpotenza economica e mondiale, soprattutto sul piano dell’innovazione-
l’amministrazione americana si è allarmata per il piano di sviluppo strategico chiamato MADE
IN CHINA 2025, che il governo di Pechino ha lanciato tre anni fa per entrare in una serie di
settori strategici dell’alta tecnologia, quindi un piano che vuole lanciare la Cina anche
nell’ambito di questi settori strategici, e poi un altro piano: ARTIFICIAL INTELLIGENCE 2030,
con cui la Cina vuole entrare in questa grande innovazione dell’intelligenza artificiale.
Oltre a questi due, ci sono anche gli investimenti in infrastrutture nella nuova via della seta,
c’è un insieme di progetti da parte della Cina che risalgono a questi ultimi anni e si proiettano
negli anni a venire, che preoccupano il governo americano e non solo, un po’ tutti-perché la
Cina vuole imporsi come nuova superpotenza economica e politica.
La possibilità di andare a intervenire in questa via della seta costituisce un’attrazione per i
paesi europei perché vedono la Cina come un mercato per l’espansione dei propri prodotti.

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Quali prodotti hanno subito-colpito i DAZI?


Soprattutto sulle importazioni dalla Cina di alluminio e acciaio, giustificandoli come dazi che
proteggevano gli USA da una sorta di minaccia alla sicurezza nazionale.

Sono state fatte poi altre azioni, come quella di inserire aziende cinesi come il caso di
HUAWEI in una sorta di lista nera, chiamata ENTITY LIST e che impedisce alle imprese
americane di collaborare con quelle inserite nell’elenco, sempre nell’idea di tutelare la
sicurezza nazionale in realtà dietro le azioni di questo marchio cinese c’è il problema delle
tecnologie di quinta generazione, di cui HUAWEI è leader di queste tecnologie.
Trump poi se l’è presa di nuovo con la WTO e contro la WTO di fatto ha impedito il rinnovo dei
giudici del tribunale dove vengono discusse e risolte le controversie in tema di commercio
internazionale, in particolare il tribunale di secondo grado, ha impedito la rielezione dei due
giudici che sono usciti da questo tribunale, quindi il numero degli arbitri si è ridotto da 7 a 5,
quindi non sufficiente per risolvere tutte queste cause e ha costretto la WTO d’accordo con
L’ue e altri paesi a trovare un accordo provvisorio che prevedesse un insieme di arbitri
alternativi a questo organismo e che potesse continuare a far funzionare il tribunale della
WTO.
La WTO è accusata dagli USA di essere morbida nei confronti della Cina, in particolare di non
tutelare gli USA e i PAESI OCCIDENTALI da quelli che sono comportamenti opportunistici
nell’ambito della tutela dei diritti di proprietà intellettuale.
Al di la dei metodi, ci sono dei problemi reali che riguardano il comportamento della Cina
anche dopo che è entrata nella WTO.

Tutte queste sanzioni hanno prodotto una sorta di guerra commerciale, hanno prodotto una
serie di contromisure anche la Cina ha messo dei dazi AD VALOREM, per un valore
stabilito in sede di WTO, per contrastare l’azione degli stati uniti.
La guerra commerciale con l’unione europea ha delle motivazioni diverse: è la conseguenza di
una disputa commerciale annosa, perchè risale al 2004- tra gli USA e l’unione europea e
riguarda l’industria aerospaziale che è monopolizzata da due grandi produttori:
1- BOEING- americana
2- AIRBUSS -consorzio europeo di cui fanno parte REGNO UNITO, FRANCIA,
GERMANIA E SPAGNA- noi Ita non ne facciamo parte perché non abbiamo impianti
dell’Airbus in Italia però ne produciamo comunque delle componenti.

È una questione partita nel 2004, quando gli USA hanno accusato l’UE di aiutare il consorzio
AIRBUS attraverso gli aiuti DI STATO, di finanziare il proprio operatore contravvenendo agli
accordi fissati in sede WTO che vietano di ricorrere agli aiuti di stato.
Cos’è successo?
L’unione europea a sua volta si è poi rivolta al tribunale della WTO dicendo che anche gli USA
finanziano la BOEING, non solo con sussidi ma anche con finanziamenti alla ricerca
scientifica.
Quindi è una tutta una questione di ricorsi che è terminata in questi ultimi anni- terminata con
un primo verdetto nel 2019 a favore degli stati uniti, quindi la WTO ha autorizzato gli stati uniti
a imporre dei dazi ai prodotti europei per 7,5 miliardi- ha autorizzato 7,5 miliardi di sanzioni
sottoforma di dazi.
Gli stati uniti hanno messo in atto questi dazi che andavano a colpire non solo il settore che è
oggetto di contesa, quello dell’aerospazio, ma anche su altri settori: prodotti dell’alimentare,
prodotti del lusso- quelle che sono le esportazioni di molti paesi nei confronti degli stati uniti.

All’ottobre 2020 è arrivato a conclusione anche il ricorso dell’unione europea e la WTO ha


dato ragione anche all’unione europea- ha autorizzato a sua volta anche l’unione europea che
quindi ha messo in atto tutta una serie di dazi nei confronti degli stati uniti.

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A partire dal 10 novembre, l’unione europea ha attuato 4 miliardi di dazi dopo l’autorizzazione
della WTO che colpivano prodotti americani dell’agroindustria e prodotti industriali.
Questo sistema quindi danneggia tutti quanti, e poi la maggior parte del commercio
internazionale avviene tra imprese che scambiano beni intermedi/componenti e in cui questi
prodotti stessi passano più volte le frontiere, quindi non è una soluzione conveniente.

è una ragione che ci fa pensare ad una possibile contrazione del fenomeno della
globalizzazione, politiche commerciali di questo tipo scoraggiano la libera circolazione dei
prodotti e componenti.

Ad aprire ulteriori scenari è intervenuta la pandemia da covid-19, che oltre ai costi umani, ha
avuto un impatto economico importante, tutte le misure di contenimento della diffusione de
virus che sono state messe in atto da tutti i paesi hanno prodotto una contrazione dell’attività
economica a livello globale, di cui noi vediamo gli effetti sul commercio internazionale, quindi
sulle relazioni orizzontali ma poi queste conseguenze hanno un effetto MULTISCALARE- si
riproducono a più scale anche quelle locali, e vanno a colpire l’economia di specifici territori.
Es. la crisi del commercio.

Le stime della WTO, riguardo il commercio internazionale, su quello che sarà l’impatto della
crisi da coronavirus cambiamo continuamente, l’ultimo report della WTO che risale ai primi di
ottobre stima per il 2020 una caduta degli scambi globali del 9,2%.
È un’ipotesi meno pessimistica rispetto ad una stima fatta ad aprile del 12,9%  una stima
fatta perchè nei mesi estivi le misure del lockdown sono state meno impattanti e quindi di
pensava ad un miglioramento della situazione; in realtà le stime fatte ad ottobre non tengono
conto delle nuove chiusure, ovvero la seconda ondata del virus in cui siamo ancora in mezzo.
Tutte le stime che si possono fare, cambiano continuamente perché è lo scenario che cambia,
e nel momento in cui vengono messe le misure più restrittive i flussi rallentano.

Al di la delle stime, i dati reali fino a giugno 2020 che riguardano GLI SCAMBI NEL LORO
COMPLESSO mettono in evidenza una caduta verticale degli scambi, per tutti e tre i poli
della triade ma soprattutto per unione europea e nord America, un po’ meno per l’Asia.
Dopo un continuo periodo di crescita degli anni precedenti, adesso siamo in presenza di una
caduta verticale.
Se andiamo a vedere i SINGOLI SETTORI, sono stati colpiti in maniera diversa uno dei
settori più colpiti, nella prima fase, è stato il settore dell’automobilistica -70% per quanto
riguarda gli scambi, e questo rallentamento è dovuto sia al fatto che si sono interrotte molte
supply chain con le misure restrittive, queste catene dell’auto distribuite tra più paesi, ma
anche perché è diminuita la domanda da parte dei consumatori.
Colpito poi anche il settore dei servizi, turismo, chiaramente le limitazioni ai viaggi e uso dei
trasporti hanno avuto una ripercussione su questo settore e su tutto ciò che è correlato come il
trasporto aereo.
Crollo del traffico aereo in Europa, concentrato nei mesi centrali della prima fase della
pandemia- impatto molto forte.
Oggi le compagnie aree sono un po’ tutte in crisi, è dovuto intervenire lo stato nel salvataggio,
situazione estremamente drammatica.
Hanno registrato un aumento il settore dell’alimentare, il settore dei dispositivi tecnologici
dovuto al fatto che molte aziende lavorano a distanza, il settore dei prodotti farmaceutici
perché i paesi cercavano di assicurarsi i prodotti essenziali dai fornitori stranieri, e i dispositivi
di protezione personale (mascherine- aumento degli scambi 92%).

Questa situazione crea un clima di sfiducia nei mercati che va a riflettere sugli investimenti, c’è
una FASE DI RALLENTAMENTO, dovuta a un evento che è stato del tutto imprevisto di cui
non sappiamo ancora valutare la portata e la durata.

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L’annuncio di un vaccino fa salire la borsa, è tutta una reazione in base alle aspettative.

Altro elemento che la pandemia da covid-19 ha messo in evidenza: un altro timore che si è
prodotto in questi ultimi mesi: il fatto che forse le economie sono troppo interdipendenti oggi e
proprio questa frammentazione geografica della produzione, e quindi il fatto che abbiamo
delegato intere produzioni ad altri paesi ci possa rendere dipendenti nei momenti di
emergenza.
Es. con le mascherine, bassa tecnologia e prodotte a basso costo, vengono importati dalla
Cina e questo ha creato grossi problemi di approvvigionamento nella fase iniziale di
emergenza.
Es. farmaci, prodotti qua, ma il principio attivo per il 60-70 % viene prodotto all’estero e quindi
indubbiamente la pandemia ha messo in luce alcuni aspetti problematici delle nostre reti di
produzione.

In una delle prime lezioni abbiamo detto che il commercio internazionale e un po’ tutti i
processi dipendono da quelle che sono le traiettorie tecnologiche, da innovazioni radicali che
intervengono nello scenario tecnologico quindi dovremmo andare a delineare qualche
scenario in relazione a quello che sta emergendo in questi anni e che potrebbe risolversi in un
rallentamento del processo di globalizzazione.

SCENARI: ECONOMIA, TECNOLOGIE, AMBIENTE .


- Uno scenario l’abbiamo già trattato, riguarda l’evoluzione recente della globalizzazione
vista nel suo aspetto relativo agli scambi commerciali, commercio estero.
(Neo-protezionismo degli stati uniti e le guerre commerciali con Cina e Europa; e impatto
della pandemia covid19)
Altri scenari:
- altri fenomeni di ordine economico che riguardano delle tendenze che stanno emergendo
nell’organizzazione spaziale della produzione, fenomeno del RESHORING (imprese che
riportano in patria alcune produzioni, mentre prima delocalizzavano).
- il cambiamento tecnologico: oggi si parla di quarta rivoluzione industriale
- la questione ambientale: il cambiamento climatico e lo sviluppo sostenibile.

Partiamo dal RESHORING: delocalizzazione di ritorno, non è un’inversione di tendenza


rispetto alla delocalizzazione che in ogni caso prosegue. È una strategia che affianca le
strategie aziendali e localizzative, come la delocalizzazione produttiva, e riguarda soprattutto
alcuni tipi di settori e di imprese.
(In inglese quando parliamo di delocalizzazione produttiva utilizziamo il termine
OFFSHORING)
Off-delocalizz, resh-rientro.
Come viene definita questa tendenza?
RESHORING/BACKSHORING: fenomeno per cui si riportano in patria produzioni
manifatturiere precedentemente delocalizzate in paesi esteri.
È una «Strategia d’impresa – deliberata e volontaria – orientata alla rilocalizzazione domestica
(parziale o totale) di attività svolte all’estero, direttamente o presso fornitori» (Fratocchi).

Questa definizione riassume i termini del fenomeno, non c’è nulla di pianificato in questa
strategia anche se ci sono degli incentivi che possono stimolarla; possiamo riportare in patria
tutta la produzione, precedentemente delocalizzata di attività svolte all’estero, o parte di
questa produzione.
Attività che precedentemente potevano essere delocalizzate attraverso la forma dell’IDE,
andare a costituire una filiale all’estero con cui realizzare queste lavorazioni, oppure attraverso
contratti di subfornitura.

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Allo stesso modo quando la produzione si riporta in patria può seguire queste due modalità,
ovvero può essere l’impresa che fa rientrare la produzione al proprio interno- produzione
INTERNALIZZATA, oppure affidata ad un subfornitore però del contesto locale o nazionale,
affinchè vi sia reshoring bisogna che ci sia stata delocalizzazione.
IL RESHORING non va confuso con le operazioni di DISINVESTIMENTO che le imprese
fanno all’estero.
Di questo fenomeno se ne sono accorti prima gli stati uniti, con questi Casi: Apple, Ford,
General Electric, Caterpillar, Walmart(ha fatto reshoring perché si forniva di molti fornitori
stranieri, anche cinesi, e quindi si è impegnata a utilizzare una quota di fornitori americani per
favorire le imprese nazionali) ….

Altra strategia, che si avvicina al reshoring:


NEAR-SHORING: fenomeno per cui si trasferiscono in paesi «vicini» produzioni manifatturiere
precedentemente delocalizzate in paesi esteri molto lontani.
Si considerano sia i casi di produzioni svolte all’interno dell’azienda sia i casi di produzioni
esternalizzate.
Le imprese americane hanno fatto operazioni di near-shoring riportando parti delle produzioni
dalla Cina al Messico; quindi non si riportano in patria ma in un altro paese più vicino e dove si
riesce a controllare le catene di produzione e dove il costo è comunque basso.
Es. imprese europee hanno fatto near-shoring riportando produzioni dalla Cina a paesi del
nord Africa o dell’est-europeo.

QUALI SONO LE CAUSE CHE HANNO SPINTO E CHE SPINGONO LE IMPRESE


OCCIDENTALI A RIENTRARE? Sono stati i media i primi a riportare questi casi di imprese
che rientravano in patria.
Quasi tutte le analisi concordano sul fatto che vi sia un nesso fra la crisi economica e le
operazioni di rilocalizzazione, la maggior parte di queste operazioni di rientro si concentrano
dopo il 2009, dopo la crisi economica.
Premessa per parlare delle cause: Cambiamenti nei costi di produzione su scala globale:
cambiamenti che hanno mutato le convenienze localizzative delle imprese occidentali.

1- Riduzione differenziali salariali tra paesi occidentali di vecchia industrializzazione, e


paesi emergenti a basso costo del lavoro questo differenziale non è più cosi ampio
come era nelle prime fasi di delocalizzazione. In Asia i salari reali sono cresciuti, c’è stato
un aumento dei salari che andava di pari passo con il procedere e dell’industrializzazione e
dello sviluppo economico di questi paesi.
All’interno di ciascun paese ci sono anche delle differenze, se pensiamo alla Cina anche i
salari sono cresciuti di più; aree invece meno toccate dall’industrializzazione i salari non
sono cresciuti.
Al contrario nei paesi economicamente avanzati, i salari hanno registrato una dinamica
molto debole, c’è sempre stata poco conflittualità, è aumentata la produttività anche per
effetto dell’automatizzazione dei processi produttivi, e la disoccupazione ha costretto i
lavoratori occidentali ad accettare posti precari e mal retribuiti.
2- Coordinamento supply chain
Altri fattori che si vanno ad aggiungere: la difficoltà anche di ordine logistico, alcune imprese
hanno deciso di rientrare anche per ragioni di ordine logistico, legate al coordinamento di
supply chain che sono sempre più estese a scala globale e anche dei tempi di
approvvigionamento e dei tempi per far arrivare il prodotto sul mercato- non è tanto un
problema di costi di trasporto ma problema di coordinamento di catene che diventano sempre
più lunghe.

3- Effetto “made in”, qualità, immagine è richiamato soprattutto dalle imprese italiane del
sistema moda che hanno riportato in patria le produzioni. È relativo alla qualità dei prodotti;

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made in è il valore aggiunto che acquistano le produzioni quando incorporano qualità,


design, saperi.
4- Scarsa qualita delle produzioni delocalizzate 
per contro alla scarsa qualità che hanno molte produzioni delocalizzate, rispetto a quelle
nazionali. Chiaramente non se ne sono accorti ora, ma finchè c’era questa enorme
differenza sul costo del lavoro si poteva passare sopra a questa scarsa qualità, nel
momento in cui il vantaggio salariale comincia a ridursi, si valutano altri fattori.

5- Incentivi governativi per cercare di contrastare le delocalizzazioni e di reindustrializzare


i propri paesi—USA, OBAMA. Da noi si sono mosse un po’ di più le regioni e la
confindustria.

6- Le innovazioni legate all’Industria 4.0 nesso tra reshoring e industria 4.0 che potrebbe
rafforzarsi con la diffusione delle tecnologie che portano aumento della produttiva e
risparmio nel costo del lavoro perché sono tecnologie che spingono verso una forte
automazione.

7- Errori di valutazione imprenditori che pensavano di raggiungere determinati obbiettivi


con la delocalizzazione ma di fatto non è stato così.

Nel caso dell’Italia:


protagoniste del RESHORING sono soprattutto imprese delle regioni dalle quali sono partiti i
flussi più consistenti di delocalizzazione- veneto, Emilia Romagna, e Lombardia.
Le imprese italiane rientrano soprattutto dalla Cina e dai paesi dell’est Europa e dell’ex unione
sovietica.
Sono prevalentemente imprese di grandi e medie dimensioni.
Sono soprattutto un 40% imprese che appartengono al sistema moda- abbigliamento e
calzature- percentuale che aumenta se includiamo anche operazioni di near shoring.

Benetton: nel 2016 ha riportato in patria la produzione di un maglioncino che ha destinato ad


una fascia di consumatori alta, fascia di prezzo elevata- cosa strana perché Benetton ha

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prodotto all’interno poche cose. Questo prodotto non ha avuto successo perhcè non andava a
cogliere la fascia di clienti di benetton. Produzioni ritornate in Romania.
Calzedonia: fa contemporaneamente delocalizzazione produttiva, e contemporaneamente per
Falconeri, suo marchio, fa reshoring.
Aveva un impianto in Etiopia che ora ha chiuso per causa guerra.

IL CAMBIAMENTO TECNOLOGICO :

Oggi si dice che siamo nel pieno di una nuova rivoluzione industriale, o industria 4.0 cosa
intendiamo?
Ci riferiamo ad una serie di tecnologie e nuove modalità di organizzazione di produzione di
beni e servizi che fanno leva sulla integrazione delle tecnologie digitali e di internet con la
manifattura tradizionale; le opportunità che derivano da questo nuovo paradigma sono ritenute
talmente importanti da essere paragonate a quelle generate dall’adozione di macchine
alimentate dal vapore (prima riv), o dall’introduzione dell’energia elettrica che ha portato alla
produzione di massa e catena di montaggio (seconda riv); la terza riv dalle tecnologie della
elettronica, dai pc e da internet che hanno portato ad una automazione della produzione
quindi ogni rivoluzione parte da delle innovazioni radicali, quindi delle tecnologie che hanno
cambiato i modi di produzione e hanno innescato dei processi di sviluppo economico.

La quarta, quella in cui siamo dentro, sarebbe la fase più recente della rivoluzione informatica
e rivoluzione più recente di internet, indotta da un’ultima ondata di innovazioni tecnologiche:
come sensori, e intelligenza artificiale.

Espressione 4.0 è comparsa per la prima volta nel 2011 ad una fiera in Germania.
L’anno successivo un gruppo di ingegneri tedeschi ha presentato al governo federale una
sorta di indicazioni per la digitalizzazione per il sistema manufatturiero si chiedeva al
governo federale di sostenere questo progetto con delle politiche, ed è stato fatto.
Poi nel giro di qualche anno è diventato un tema diffuso, e anche il governo italiano ha
realizzato dei piani per il sostegno.

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Nel contesto americano si parla anche di smart factory- fabbrica intelligente, sono delle
diverse dizioni dello stesso fenomeno.

Anche industria 4.0 passa attraverso una serie di tecnologie che sono chiamate le tecnologie
abilitanti.

Dovrebbe assicurare alle imprese nuova produttività.


Ad es. industrial internet la definizione che include tutto l’insieme di componenti e dispositivi
tecnologici, come sensori, che sono incorporati in oggetti fisici e macchinari e sono quelli che
assicurano l’interfaccia tra il mondo fisico e digitale, e consentono agli oggetti di comunicare
attraverso internet con altri oggetti, di scambiare informazioni, di modificare il comportamento
in base agli input che si ricevono nell’ambito della produzione industriale si pensa schiuderà
tante opportunità fino ad ora impensabili, ad esempio livelli della flessibilità della produzione
prima impensabili.
Dovremmo arrivare alla situazione in cui i macchinari sono in grado di prendere decisioni
senza un essere umano, competenze dentro la macchina.

Soluzioni avanzate per la manifattura: ROBOT.


C’è stato un forte processo di automazione industriale, noi facciamo riferimento ai robot di
nuova generazione, robot che sono capaci di lavorare affianco degli uomini senza barriere,
chiamati COBOT- possono eseguire diversi tipi di lavorazioni, quelli più pericolosi, e possono
essere una sorta di assistente personale dell’uomo.
Pensiamo ai magazzini automatizzati che stanno nascendo, robot che sono tutti connessi tra
loro con un solo operatore umano che da alcune istruzioni.
È una interconnessione dell’uomo con gli oggetti e degli oggetti tra loro.

Un’altra tecnologia abilitante è la manifattura aditiva- stampa in 3D che rivoluziona la logica


della produzione tradizionale, perche essa funziona per addizione, mentre la manifattura
tradizionale funziona per sottrazione: parto dalla materia prima e sottraendo materiale
arriviamo poi al prodotto finito- la manif additiva consente di costruire degli oggetti
tridimensionali a partire da un disegno digitale fatto al pc e inviato ad una stampante 3D
locale, che consente di creare un prototipo o un singolo oggetto o a un server per produrre
pezzi in più quantità.
Gli oggetti vengono costruiti con le tecniche additive, progressiva sovrapposizione di strati di
materiale.

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Si riescono a creare degli oggetti anche complessi.


Si possono usare non solo plastica, si possono utilizzare anche resine o metallo- di fatto
posso creare tanti tipi di oggetti.
Le stampanti 3D esistono dagli anni 80 e venivano utilizzate soprattutto per creare dei
prototipi, poi a partire dagli anni 90 si sono diffuse in alcuni settori industriali, come
biomedicale per protesi, settore delle automobili.
Nel momento in cui molti brevetti sono scaduti e si sono abbassati i prezzi, il loro uso si è
esteso non solo ad altri settori manifatturieri ma anche all’universo FAI DA TE.

La barilla ha provato a produrre della pasta in 3D, e arriviamo fino a stampanti gigantesche
che hanno un enorme estrusore- la punta da cui escono i materiali x l’edilizia che riescono
addirittura a realizzare degli edifici- ma al momento sono ancora dei prototipi.

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18 LEZIONE- ED ULTIMA:

Effetto delle nuove tecnologie:


di fatto questa rivoluzione è appena iniziata.
Dal pdv delle imprese-Alcuni effetti attesi sono già in qualche modo in essere: pensiamo a
come queste nuove tecnologie potranno aumentare l’efficienza, la produttività.
Mettiamo in relazione le nuove tecnologie con possibili effetti di carattere geografico che
ancora non sono ben chiari e vanno anche a volte in direzione, le varie ipotesi, opposta tra
loro.

I nostri territori sono prevalentemente di piccola impresa e quindi quale sarà l’esito di queste
tecnologie su queste imprese?
Per quanto riguarda l’esito di tecnologie impegnative e costose, al momento non sono attesi
grandi cambiamenti, certamente ci sono delle piccole imprese che sono altamente
tecnologiche e che riescono a sfruttare a pieno i vantaggi della 4 rivoluzione industriale; però
ci riferiamo soprattutto a quel tessuto di imprese tradizionali che hanno meno risorse a
disposizione, in particolare le imprese artigiane.

Si parla di artigiani di nuova generazione- e si riferisce alla manifattura additiva, quindi la


stampa in 3D questa ha già una buona diffusione nell’ambito della produzione artigianale.
I prezzi di queste macchine 3D costano poco e sono disponibili nei laboratori artigiani, e
rappresentano una potenzialità per questi laboratori perché rendono possibili le produzioni su
piccola scala e le produzioni personalizzate, che sono quelle che caratterizzano le imprese
artigiane; quindi c’è già una trasformazione e un tessuto di imprese di questo tipo nei nostri
territori.

Succede sempre in queste fasi di transizione che ci siano delle ipotesi estreme e
pessimistiche, e succede anche in questo caso.
Ci sono degli autori che ipotizzano che questa ondata di innovazioni tecnologiche, in
particolare l’automazione nella produzione industriale, porterà a una nuova fase di
deindustrializzazione, che si aggiunge a fasi già vissute nel mondo occidentale come: la
transizione dal fordismo al post fordismo, la delocalizzazione produttiva, e infine la crisi
economica. (c’era chi ipotizzava la fine della città nelle fasi precedenti)
Quando parliamo di deindustrializzazione intendiamo che ci sia una caduta dei posti di lavoro
dell’industria.

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Questa tesi portata all’estremo da alcuni autori, andrebbe a configurare una “morte” della
manifattura.
Anche il discorso della riduzione dei posti di lavoro portato dalle nuove tecnologie,
sicuramente è importante cambiano le caratteristiche del lavoro, molti posti vengono distrutti
ma ne vengono comunque creati di nuovi.

Alcuni autori sostengono che queste nuove tecnologie diano un impulso al RESHORING,
precedentemente delocalizzate, e questo sempre spinto all’estremo potrebbe portare ad una
contrazione delle GRANDI CATENE DEL VALORE.
E ritorniamo alla domanda, è in atto un processo di deglobalizzazione?
Una contrazione delle catene del valore la possiamo già osservare per diverse ragioni, anche
perché le imprese trovano difficile controllare queste grandi catene del valore però al momento
non ci sono segnali di una vera e propria inversione di tendenza; sono sempre tendenze che
si affiancano a quelle già esistenti.
(certamente tecnologie che portano un risparmio al costo del lavoro potrebbero incentivare
questo fenomeno).

Altra domanda che ci si chiede: è se queste nuove produzioni siano più sostenibili rispetto alla
produzione tradizionale?
Tecnicamente si perché nella stampa 3D non c’è spreco di materiale, ci sono pochissimi scarti
di lavorazione perché utilizziamo solo la materia prima che ci serve.
Molte delle plastiche che si utilizzano nella stampa in 3D sono riciclabili, non all’infinito ma per
un certo numero di passaggi.
Se noi abbiamo delle tecnologie che riescono a controllare in maniera efficiente tutto il ciclo
produttivo, questo comporta poi anche un’efficienza dal punto di vista energetico; in questa
nuova organizzazione della produzione, caratteristica della 4 riv ind, rientra a pieno titolo il
discorso di una gestione intelligente di tutta quella che è l’energia che entra nel ciclo
produttivo.

Ultima domanda:
visto che è possibile produrre su piccola scala, con queste tecnologie, e visto che queste
produzioni sembrano essere più sostenibili, possiamo ipotizzare anche un ritorno dell’industria
nelle città nel prossimo futuro, e in qualche modo ricreare il legame spezzato nel passaggio
dal fordismo al post fordismo?
Oggi le industrie concentrate negli spazi extra urbani, questo potrebbe anche aprire un altro
aspetto: la possibilità di diversificare la base economica delle città che oggi è troppo legata ad
alcuni tipi di attività di servizio, pensiamo al turismo/commercio/servizi finanziari.
Si può ipotizzare anche un percorso di questo tipo, che già in alcune città si vede perché molte
di queste produzioni non hanno bisogno di grandi spazi, e non sono fortemente impattanti
(visto che prima le industrie si erano spostate per un impatto ambientale notevole)

Al momento abbiamo più domande che risposte.

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Ultimo argomento: LE ATTIVITA’ UMANE E L’AMBIENTE :


è il problema ambientale e il rapporto fra attività umane e ambiente che negli ultimi decenni si
va configurando in modo piuttosto problematico.
Partiamo da qui:

La metafora del cowboy e della navicella spaziale che riprende delle considerazioni di un
economista dell’ambiente, che ancora nel 1966 prima che nascesse la questione ambientale
aveva fatto in un suo articolo: che è quello del titolo.
Attraverso una metafora rappresenta la questione del limite delle risorse naturali e dall’altra
parte il problema delle tensioni a cui viene sottoposto l’ambiente per effetto dell’azione umana.
Cosa dice BOULDING?
Dice che c’è un cowboy che cavalca da solo nella prateria e di fatto ignora la questione
dell’ambiente perche con il cavallo abbandona rifiuti però le quantità che consuma e i rifiuti
che abbandona di fatto non avrà influenza su ciò che consumerà domani perché gli si apre
davanti un orizzonte sconfinato.
L’immagine del cowboy rappresenta le condizioni di un’economia LINEARE: economia aperta
dove noi preleviamo risorse senza alcun limite, processiamo queste risorse attraverso cicli
produttivi, consumiamo i prodotti e poi sia il prodotto e tutto ciò che residua da questi cicli di
produzione viene abbandonato nell’ambiente in quanto scarto questo perché sia le risorse
che lo spazio si ritengono illimitati e che a riequilibrare tutto il processo ci penserà poi il
sistema terra.
Questo non è certamente la realtà, perché la realtà del nostro pianeta è rappresentata meglio
dalla metafora della terra vista come navicella spaziale e dell’umanità come suo equipaggio;
perché in una nave spaziale ogni viaggiatore ha a disposizione una qta limitata di risorse e
può produrre anche solo una qta limitata di rifiuti perché la navicella ha una capacità limitata di
accogliere rifiuti.
E la navicella spaziale ci richiama un sistema CIRCOLARE E CHIUSO, ed è un po’ quello che
rappresenta il nostro pianeta nulla si crea e nulla si distrugge.
Questa è un po’ la nostra condizione, perché abbiamo a disposizione una qta di risorse
limitata, trasformiamo le materie prime attraverso i processi produttivi ma tutto ciò che noi non
riusciamo a riciclare, cioè a fare rientrare nel ciclo produttivo viene poi rilasciato nell’ambiente
sottoforma di rifiuto, e la terra ha delle capacità limitate di assorbire tutti i nostri rifiuti.

Dietro a queste due metafore ci sono in sostanza teorie economiche, ci sono modelli di
sviluppo e di produzione, ci sono stili di vita e modelli di consumo, e ci sono anche delle scelte
politiche di carattere ambientale e di carattere energico e di politica economica.

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Ci sono quindi due modi diversi di concepire il rapporto tra l’uomo e l’ambiente, quindi due
approcci di carattere diverso.

Dietro l’immagine del cowboy troviamo:


il MODELLO DI SVILUPPO ECONOMICO DOMINANTE- che ha preso piede soprattutto nel
periodo aureo del fordismo, supportato dall’economia neoclassica che vedeva come obbiettivo
quella che è la produzione di ricchezza materiale che noi vediamo attraverso la crescita del pil;
e le politiche stesse sono orientate verso la massimizzazione del pil.
Anche oggi nonostante ci stiamo orientando verso altri modelli di sviluppo, quando parliamo di
politiche economiche parliamo di politiche che vanno a far crescere il pil e i consumi.
Dietro questo modello c’è il mito del PROGRESSO- che va da motore sia alle trasformazioni
della società sia alle trasformazioni dell’economia; e c’è nel rapporto tra uomo e ambiente un
approccio di tipo NTROPOCENTRICO- visto solo dalla prospettiva dell’uomo, l’ambiente è
qualcosa che sta fuori, è un qualcosa di strumentale alla produzione di ricchezza e
eventualmente se facciamo dei danni all’ambiente li saneremo poi; e c’è un uso delle risorse
come se fossero illimitate e poi l’utilizzo illimitato di risorse non rinnovabili, petrolio e carbone
che hanno alimentato questi grandi cicli di produzione fordista e purtroppo ancora oggi
costituiscono le risorse energetiche prevalenti.

Dietro l’economia della navicella spaziale c’è un modello a cui non siamo ancora arrivati ma ci
dovremmo arrivare nei decenni successivi.

Fino a quando ha funzionato questa economia del cowboy?


Ha funzionato fino a che non siamo arrivati all’epoca industriale, nei sistemi economici delle
società preindustriali hanno apportato all’ambiente delle trasformazioni reversibili.
Il problema è: com’è cambiata la situazione con l’avvento della riv industriale che ha
aumentato in modo impensabile fino a quel momento la capacità dell’uomo di trasformare
l’ambiente.
con la rivoluzione industriale è partita l’esplosione demografica, già nel 1820 la popolazione
del pianeta aveva superato il miliardo di abitanti, ancora mentre la riv industriale stava
prendendo piede, poi con la riv industriale sono partiti i processi di urbanizzazione che hanno
trasformato l’organizzazione di intere regioni.
tutti questi fenomeni sono arrivati al culmine nell’epoca del capitalismo fordista, quindi per gli
stati uniti prima, per la maggior parte dei paesi nei primi decenni del secondo dopo guerra, poi
a partire dagli ultimi decenni del 900 anche molti paesi in via di sviluppo hanno ripercorso il
nostro stesso modello di sviluppo nel momento in cui hanno messo in moto dei processi di
industrializzazione che li hanno portati ad emergere nello scenario globale, come la Cina e
altri paesi asiatici.
Questo ha comportato una globalizzazione della produzione e delle reti di trasporto su cui ci
siamo più volte soffermati.
Le capacità dell’uomo di trasformare il pianeta hanno raggiunto ormai il loro culmine; ciò non
toglie che lo sviluppo tecnologico e questi nuovi modi di produzione del ventesimo secolo
hanno portato dei vantaggi in termini ad es. dell’aspettativa di vita, della qualità di vita, del
benessere, però le trasformazioni che noi apportiamo all’ambiente sono diventate sempre più
veloci ed è aumentato anche il rischio di apportare all’ambiente delle trasformazioni
irreversibili, che compromettono la capacità del sistema di tornare allo stato iniziale.

I temi dell’economia e dell’uomo oggi sono sempre più brevi ed impongono trasformazioni
sempre più impattanti.
La terra ha i suoi tempi che sono decisamente più lunghi rispetto ai tempi dell’uomo.
È da questa contraddizione che deriva il problema ambientale, che secondo alcuni studiosi è il
problema di sopravvivenza più grave che l’umanità ha incontrato nel suo percorso storico.

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Un aspetto preoccupante di questa questione ambientale e che deriva dal fatto che l’economia
si è sempre più globalizzata è che la maggior parte dei cambiamenti ambientali oggi non sono
più locali ma sono appunto globali.
Quindi le conseguenze delle trasformazioni che noi vediamo in alcuni luoghi non rimangono
limitate ad alcuni luoghi ma interessano ormai a tutto il mondo ed è il cambiamento GLOBAL
CHANGE.
C’è una discontinuità spaziale nel funzionamento del sistema terra stesso, la terra funziona
come sistema terra stesso, gli effetti che noi produciamo in un punto di questo sistema vanno
poi a ricadere in tutte le scale geografiche, anche distanti. Nel momento in cui noi
moltiplichiamo questi punti di inquinamento arriviamo alla situazione attuale.
C’è anche una discontinuità di carattere temporale, per cui le conseguenze di quelle che sono
le trasformazioni che noi apportiamo all’ambiente possono anche diventare evidenti non in
quel momento ma nel medio-lungo periodo.

Siamo partiti da questa metafora per arrivare a questa idea DI SFASAMENTO TEMPORALE-
di contraddizione in quello che è l’uomo e l’ambiente, nell’approccio dell’uomo verso
l’ambiente ed è questo che poi ci porta a tutti i problemi oggi.

Le fonti di inquinamento sono oggi tantissime, gli effetti in termini di inquinamento e prelievo di
risorse legati al modello economico oggi sono tanti, e se aggiungono altre in relazione
all’evoluzione tecnologica.
Es. smartphone- ciclo breve- sono una nuova fonte di inquinamento che spesso va a colpire
non solo chi produce questi beni, ma anche paesi al di fuori, vengono smaltiti in paesi poveri
nelle discariche dove i bambini lavorano anche a mani nude per decomporli e rivendere le
parti preziose.

Soffermiamoci su quello che è il tema che viene affrontato anche in sede di istituzioni
internazionali, ovvero il problema del cambiamento climatico determinato DALL’EFFETTO
SERRA E GLOBAL WARMING
Effetto serra: Funzionamento dell’atmosfera simula quello che è il funzionamento della serra
che ha il compito di trattenere il calore.
Gli studiosi utilizzano regolarmente il termine effetto serra per spiegare come funziona
l’atmosfera terrestre, che è lo strato di gas che circonda la nostra terra, è costituita da azoto
78% e da ossigeno 21% per il resto l’atmosfera è costituita dall1% di vapore acqueo e altri
gas, che sono i gas serra come l’anidride carbonica e metano.
(sono questi gas che fanno da schermo all’atmosfera)

Come funziona l’effetto serra?


Le radiazioni solari a onda corta, i raggi ultravioletti, passano attraverso l’atmosfera e
riscaldano la terra, riscaldandosi la sup terr emette calore sottoforma di radiazioni a onda
lunga, raggi infrarossi, essi in parte ritornano nell’atmosfera e in parte vengono trattenuti dai
gas serra e in questo modo si riflettono sulla sup terr e riscaldano la terra.
Quindi l’effetto serra di per se è un processo naturale, fondamentale perché permette il
mantenimento della vita stessa sul pianeta.
In assenza dello schermo dei gas serra, le temperature sarebbero incompatibili con la vita.
Il problema è che l’attività dell’uomo ha aumentato la concentrazione di questi gas serra,
soprattutto anidride carbonica, ed è questo che produce il fenomeno del GLOBAL WARMING
a cui è collegato il cambiamento climatico.
Effetto serra da fenomeno naturale è diventato di tipo patologico.

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Ma di quanto è aumentata la temperatura della superficie terrestre?

Dal 1880, data dalla quale abbiamo misurazione più o meno attendibili, fino ad oggi con
piccole variazioni questi 4 grafici ci dicono la stessa cosa.
Ci dicono che se noi guardiamo, soprattutto nella seconda parte del nostro secolo, queste
anomalie della temperatura diventano un costante, a partire dagli anni 80 osserviamo un
continuo aumento della temperatura terrestre.
Cambiano un po’ le stime fra un istituto e un altro.
Sono aumenti che cci possono sembrare piccoli e insignificanti ma in realtà sono aumenti che
producono effetti particolarmente pesanti.
L’effetto più importante è lo scioglimento dei ghiacci polari e conseguente innalzamento del
livello del mare, che è già in atto.
Se questo dovesse estendersi e interessare quei grandi stati di ghiaccio in Groenlandia, il
risultato sarebbe un sensibile innalzamento del livello dei mari che andrebbe a colpire le basse
aree costiere del mondo dove si concentra la maggior parte della popolazione, con costi
ambientali e economici notevoli.

Assistiamo già al susseguirsi di ondate di calore e di forti alluvioni situazioni estreme che
prima non erano presenti.
L’aumento della temperatura avrebbe delle conseguenze un po’ per tutti gli eco sistemi,
diverse specie sia animali che vegetali, potrebbero essere messe a rischio.
Aumento delle migrazioni internazionali (profughi ambientali), popolazioni costrette ad
abbandonare le proprie terre, non per ordine economico in primo stato, ma per la mancanza di
risorse.

La maggior parte degli studiosi concorda che questo surriscaldamento che noi vediamo è da
attribuire all’azione umana- alle concentrazioni di Co2.
Co2 è quello che preoccupa di più, è responsabile per un 81%, Che viene da tutte le nostre
emissioni, dal fatto che ancora usiamo prevalentemente carbone e petrolio per produrre
energia.

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Il consumo globale di energia:

0.025 0.015
Petrolio
0.049
0.097 0.317
Carbone

Gas 0.216
naturale

0.281
Biocombustibili e
biomasse
Energia nucleare

Petrolio e carbone in primis, poi ci sono singoli paesi che sono virtuosi e non rispecchiano
questa composizione.
Co2 deriva da tutte le nostre emissioni, quelle che riguardano l’industria, i trasporti, ma è
anche l’effetto del cambiamento dell’uso del suolo pensiamo alla deforestazione (la
scomparsa delle grandi foreste della zona equatoriale, contribuisce all’incremento del co2,
perché le foreste hanno la funzione di rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera) quindi
l’effetto serra è collegato anche ad altri fenomeni.

Perché vengono abbattute le foreste?


Per ricavare spazi per l’agricoltura, allevamento di bovini; le foreste asiatiche scompaiono per
produrre l’olio di palma, per costruire infrastrutture.
Se togliamo le foreste andiamo ulteriormente a togliere al pianeta una capacità di riequilibrio.

Altri gas da effetto serra derivano da altro:


es. metano rilasciato nell’aria, è un effetto dell’allevamento del bestiame, perché i ruminanti
durante la digestione producono metano.

Oltre alla co2 sono stati fatte delle azioni per eliminare questi clorofluorocarburi, altri gas, dagli
impianti di refrigerazione.

Principale inquinatore
Cina.
È il risultato del processo di sviluppo che la Cina ha seguito negli ultimi decenni e che l’hanno
portata ad essere cosi importante. (modelli di sviluppo impattanti sull’ambiente).
La Cina ha superato gli stati uniti.
l’UE è “piccolo”, quota inferiore al 10%, ha messo in atto una serie di azioni e politiche
ambientali di contrasto al cambiamento climatico e all’inquinamento.

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PERCORSO DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE:


ora cosa si sta facendo x correggere questo rapporto fra uomo e ambiente?

La questione ambientale si comincia a manifestare negli anni 70, sia in sede di istituzioni
scientifiche e politiche, sia nell’opinione pubblica.
Non è che precedentemente non ci fosse un’attenzione verso questi problemi, perché già negli
anni 60 a livello di elite, la questione ambientale era già emersa nell’ambito di istituzioni
scientifiche, perché degli scienziati avevano iniziato a divulgare i risultati di alcuni studi.

Alcuni economisti, come Building, creano un filone dell’economia che si chiama ECONOMIA
AMBIENTALE, e iniziano a riflettere sull’impatto delle attività economiche sull’ambiente; però
la maggior parte delle azioni parte negli anni 70 quando il tema dell’ambiente fa il suo ingresso
nell’agenda di grandi attori internazionali: LE NAZIONI UNITE, AMMINISTRAZIONE
FEDERALE DEGLI USA- perfino il GATT nel 1971 crea una commissione che avrebbe dovuto
studiare gli effetti del traffico di merci sull’ambiente.

Di questa commissione poi non è stato fatto nulla perché la crisi economica legata alla prima
crisi petrolifera del 1973 ha distolto l’attenzione.
Azioni di protezione ambientale c’era già prima degli anni 70, però era l’approccio che era
diverso, perché l’approccio dei parchi naturali e delle aree protette era quello di azioni di
protezione di singole porzioni della superficie terrestre; preservare singole aree dall’effetto
dello sviluppo industriale da quella che era l’azione dell’uomo.

Ora non è più questo l’obbiettivo, si vuole preservare tutto il pianeta e non solo un pezzo.
Anche l’ecologia nasce, nell’800, come disciplina che studia i rapporti tra le specie animali e
l’ambiente, non nasce come una disciplina che si occupa dell’ambiente come un po’ oggi.
Il movimento ecologista nasce negli anni 70.

Il punto di partenza per analizzare il percorso dello sviluppo sostenibile, è:


- 1972- anno della prima conferenza voluta dall’ONU per discutere dei problemi ambientali
connessi con l’industrializzazione, a Stoccolma. Si doveva discutere anche di problemi
ambientali e di sviluppo connessi con quelli che si chiamavano allora terzo mondo, ma di
fatto questo tema ebbe poco attenzione, si parlò di inquinamento ma ancora non si mise in
discussione il modello di sviluppo dominante; dalla conferenza uscirono 109
raccomandazioni per l’ambiente che avevano l’obbiettivo di minimizzare i costi della
protezione ambientale. Quindi l’approccio della conferenza si ispira ad un principio di

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PROTEZIONE E RIPARAZIONE- quindi non risolvere i problemi a monte ma risolverli


dopo, piuttosto che a un principio di PREVENZIONE come oggi.
Non usci nulla di concreto se non la creazione della UNITED NATIONS ENVIRONMENT
PROGRAM, un programma delle nazioni unite che da quel momento in avanti ospiterà
tutte le più importanti iniziative ambientali delle nazioni unite unico effetto concreto della
prima conferenza.

Poi abbiamo due crisi petrolifere: 1973 e 1979 che hanno un po’ interrotto l’elaborazione di
questi processi e l’iniziativa ambientale dell’ONU è ripresa nel 1983 una volta rientrati i
problemi creati dalle crisi.
L’iniziativa si è concretizzata nella formazione: WCED si crea nel 1983 ma nel 1987:

- 1987- WORD COMMISSION ON ENVIRONMENT AND DEVELOPMENT la quale


pubblicherà il rapporto “our common future” che è rimasto di fatto storico, perché il rapporto
in cui la prima volta compare il concetto di sviluppo sostenibile e si da una definizione di
sviluppo sostenibile, compare verso gli anni 90.
Compare in questo rapporto, ma comunemente è noto anche come rapporto BRUNTLAND-
primo ministro norvegese, donna, che in quel momento era presidente della commissione.

Il Rapporto «Our Common Future» (Rapporto Bruntland) della World Commission on


Environment and Development (1987)
• Compare per la prima volta in forma ufficiale il concetto di sviluppo sostenibile: “sviluppo
che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle generazioni
future di soddisfare i propri” 
quindi il concetto di sviluppo sostenibile fa riferimento a due aspetti: il diritto di ogni abitante
della terra di poter godere delle stesse opportunità e la responsabilità verso le generazioni
future. C’è implicita nella definizione, un’idea di equità INTRAGENERAZIONALE che riguarda
il presente, le diverse popolazioni che abitano la terra e tutte devono avere accesso alle
risorse dell’ambiente e devono godere di un ambiente integro.
E poi c’è l’equità INTERGENERAZIONALE- l’equità tra le generazioni, attuale e successive;
quindi lasciare alle generazioni successive un ambiente per quanto possibile integro.
Quando si parla di lasciare un ambiente integro, si fa riferimento ad un altro concetto che
viene utilizzato in questo ambito ed è quello del:

• Capitale naturale: insieme di beni e servizi offerti dalla natura; è composto da 4 elementi
fondamentali:
• risorse rinnovabili- aria, acqua e tutto ciò che abbiamo sul pianeta; si rinnovano o
naturalmente o attraverso l’uomo; sono rinnovabili se la nostra azione non compromette la
loro capacità di rinnovarsi.
• risorse non rinnovabili- tutte quelle che sono le risorse fossili, che vengono considerate
esaurite quando vengono meno le condizioni per la loro rigenerazione.
• biodiversità terrestre- varietà di specie animali e vegetali, ed è ciò che assicura la vita
stessa.
• «servizi» resi dagli ecosistemi- facciamo riferimento a quelli che sono dei processi naturali
con cui gli ecosistemi arrivano a fornirci questi servizi, es. la fotosintesi clorofilliana che
consente il mantenimento della vita.

Ciò che dovremmo mantenere inalterato è questo capitale naturale.


(torniamo alla slide date)

Dal rapporto Bruntland in avanti il concetto di sviluppo sostenibile entra nelle politiche
ambientali su scala globale, quindi politiche ambientali che vengono portate avanti a livello
delle grandi organizzazioni internazionali ma anche a più piccole scale.

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Nelle azioni da questo momento in poi il concetto di sviluppo sostenibile diventa il riferimento,
anche il riferimento a cui si orienta il cambiamento die nostri modelli di produzione e sviluppo.
- 1992- Conferenza di Rio, chiamata anche vertice della terra perché si doveva fare il punto
dopo 20 anni dalla conferenza dell’Onu di Stoccolma e proprio una delle funzioni più
importanti della conferenza di Rio è stata quella di condividere dei principi guida delle
politiche ambientali che sono poi serviti da punto di riferimento per rielaborare tutti gli
accordi e le politiche successive.
Sono usciti i 27 punti della dichiarazione dei principi di rio che costituiranno una sorta di
manuale a cui si ispireranno gli accordi successivi e le azioni dei governi alle diverse scale, e
a loro volta fanno sempre riferimento al concetto di sviluppo sostenibile.
Principi più famosi:
1- Chi inquina paga- ovvero il principio che sancisce la responsabilità del risarcimento da
parte di chi inquina, all’epoca non era scontata, ha impiegato del tempo per essere
introdotta negli ordinamenti dei diversi paesi.
2- Principio di precauzione- a fronte di una minaccia grave, l’assenza di conferme dal
mondo della scienza non deve essere un ostacolo all’azione; si può intervenire con
delle politiche per bloccare questa minaccia anche se non ci sono conferme da parte
della scienza.
3- Principio di responsabilità- sancisce che tutti in quanto abitanti della terra siamo
responsabili nei confronti del pianeta, che è la nostra casa comune; in realtà questo
principio sancisce una responsabilità diversa a seconda della situazione dei diversi
paesi e anche dei comportamenti nel passato. Ad es. nei paesi industrializzati, in termini
di produzione dell’effetto serra hanno sicuramente una responsabilità maggiore rispetto
a quella dei paesi poveri che hanno contribuito meno a creare l’effetto serra.

Altro prodotto importante del vertice della terra è stata la CONVENZIONE SUL
CAMBIAMENTO CLIMATO, già nel 1992 si avverte questo problema.

- 1995- cambia la situazione, a partire dal 1995 l’Onu ha indetto tutta una serie di conferenze
a cadenza annuale o biennale proprio sul tema del cambiamento climatico.
Vengono chiamate CONFERENCES OF PARTIES-COP, sono focalizzate sul problema del
cambiamento climatico e sui provvedimenti da intraprendere per contenere questo problema.
Vediamo le più importanti che hanno cambiato il percorso che ci porta ad oggi.

- 1997- COP 3 DI KYOTO- una delle più importanti, perché da questa conferenza è uscito il
famoso protocollo di KYOTO che la prima volta cerca di mettere un limite ben preciso a
quella che è l’emissione di gas serra, quindi impone degli obblighi ben precisi e quantifica
gli obblighi a cui devono sottostare i paesi che hanno firmato questo protocollo.
È la prima volta perché fino a quel momento erano state fatte delle dichiarazioni di principio,
quindi pur con tutti i suoi limiti questo protocollo è importante per il contenimento del problema
del cambiamento climatico.
COP 3 PROTOCOLLO DI KYOTO:
• Trattato internazionale in tema di cambiamento climatico sottoscritto nel 1997 ed
entrato in vigore nel 2005 lasso temporale perché il protocollo conteneva una
clausola, ovvero richiedeva che il protocollo entrasse in vigore nel momento in cui
veniva ratificato da almeno 55 paesi firmatari, e che i paesi che l’avessero ratificato
producessero almeno il 55% delle emissioni inquinanti al 1990. Questa condizione è
risultata soddisfatta nel 2004 quando il protocollo è stato ratificato dalla Russia e quindi
dal 2005 entra in vigore.

• Obiettivo: obbligo di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, entro il 2012, del
5,2% rispetto al 1990- è stata fissata una riduzione complessiva che è stata poi ripartita
in maniera diversa fra i paesi. (ita 6,2 %)

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• Problemi e limiti di questo protocollo: il vantaggio è stato che per la prima volta si sono
quantificato questi obblighi e di aver impegnato i paesi; il problema è che il protocollo
non stabilisce obblighi di riduzione delle emissioni per i PVS- paesi in via di sviluppo,
perché non volevano bloccare la loro economia questo fa si che complessivamente
l’obbiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra non venga raggiunto e di fatto la
produzione di anidride carbonica è continuata anche se singoli paesi hanno raggiunto il
loro obbiettivo- complessivamente non essendo vincolati certi paesi l’aumento di gas
serra è proseguito.
• Altro problema: rifiuti alla ratifica da parte di paesi altamente inquinanti- come stati uniti,
proprio per l’opposizione dei repubblicani che riteneva che il protocollo avrebbe
danneggiato gli interessi del paese.

Protocollo di Kyoto scadeva nel 2012 e già qualche anno prima:


- 2009- nella COP 15 DI COPENHAGEN si doveva discutere su come andare avanti dopo la
scadenza del protocollo di Kyoto.
In realtà questo COP si è conclusa con un accordo firmato da 120 paesi che riconosce il
problema, ma si riduce in una dichiarazione di intenti non vincolanti perché i problemi negli
anni successivi al 2008 erano altri.

- 2015: COP 21 DI PARIGI- da questa conferenza uscirà L’ACCORDO SUL CLIMA che è
l’accordo che attualmente è in vigore a scala internazionale.

• I paesi si impegnano a Contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto


della soglia critica di + 2°C rispetto ai livelli dell’era preindustriale entro la fine del
secolo;
• in realtà il protocollo prevede una clausola più specifica: Mettere in atto tutti gli sforzi
necessari per non superare +1,5° nella prospettiva di raggiungere l’obiettivo zero
emissioni
• Impegni nazionali e revisione periodica- tutti i paesi si sono impegnati a produrre dei
piani e si sono impegnati a rivederli in modo trasparente ogni 5 anni.
• Aiuti finanziari ai PVS, da parte dei paesi industrializzati. (100 miliardi di euro l’anno)
• Hanno aderito 195 paesi- e si è ripresentata di nuovo la situazione degli stati uniti, che
con Obama erano favorevoli all’accordo sul clima, ma con la presidenza Trump sono
usciti dall’accordo perché lui nega che il cambiamento climatico avvenga per colpa
dell’uomo.

Andando ad un livello ancora più specifico, passiamo al livello delle nostre economie.
Questi accordi internazionali sono molti importanti perché poi il paese che firma deve
introdurre nuove norme nei propri ordinamenti.
C’è anche un livello più operativo che è quello dei sistemi produttivi, ed è qua che arrivano altri
concetti e modelli di produzione sostenibile che si ispirano a quest’idea di sostenibilità nata
negli anni 80.

Nascono quindi:
GREEN ECONOMY E CIRCULAR ECONOMY.
Green- non ha una definizione comune ma:
«Un modello economico finalizzato a migliorare il benessere umano e l’equità sociale,
riducendo allo stesso tempo i rischi ambientali e la scarsità di risorse»
(United Nations Environment Programme, 2011)

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«Una economia che genera crescita, crea lavoro e sradica la povertà investendo e
salvaguardando le risorse del capitale naturale da cui dipende la sopravvivenza del nostro
pianeta» (Commissione Europea, 2011)
La commissione europea vede nella green economy uno strumento per uscire dalla crisi ma
anche uno strumento per rigenerare l’economia, creare nuovi posti di lavoro e per
reindustrializzare.
Il timore della deindustrializzazione è sentito molto in Europa e quindi vuole reindustrializzare
introducendo anche dei nuovi modi di produrre- utilizzo di risorse rinnovabili, risparmio
energetico nelle fasi dei processi produttivi e poi punta sul rendere circolari i nostri sistemi
economici in generale e i nostri sistemi produttivi.
Questa idea di circolarità si può applicare sia al sistema economico nella sua complessità, sia
all’industria in senso stretto, sia al funzionamento di un singolo impianto industriale.

La Circular economy la possiamo definire:


Come un modello di economia non lineare, che è concepito e progettato per essere
RIGENERATIVO, e che riproduce la natura nel migliorare e ottimizzare in modo attivo i sistemi
mediante i quali opera.
Torniamo alla metafora della navicella spaziale di Building.
Vogliamo arrivare ad un modello in cui andiamo a valutare tutti gli impatti di ciascuna fase del
ciclo produttivo e non della produzione in se, a partire dall’approvvigionamento (razionalizzare
l’uso dei materiali che entrano nei processi produttivi, cercando di sostituire quelli che sono
materiali non rinnovabili con quelli rinnovabili, per quanto possibile utilizzare risorse di
prossimità perché in ciascuna di queste fasi va valutato l’impatto del trasporto e logistica).

Altra fase prima di arriva alla produzione è la progettazione, si parla di eco progettazione,
dobbiamo progettarlo in maniera da ridurre al minimo gli scarti di lavorazione, dobbiamo far si
che il prodotto possa essere riparato e recuperato in nuovi cicli produttivi- eliminare sostanze
chimiche all’interno dei prodotti.

Fasi di produzione, che devono puntare al risparmio energetico.

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La distribuzione dove entrano in gioco ancora i trasporti.


Il consumo, entra in gioco il comportamento del consumatore.
La raccolta- fase dedicata, tanti dei prodotti che scartiamo di fatto non arrivano a questa fase.
Una circolarità perfetta non esiste, avremo sempre una parte di rifiuti che non rientrano nel
ciclo produttivo.

Quante sono le imprese GREEN in Italia? Dati da FONDAZIONE SYMBOLA-


UNIONCAMERE, fanno una sorta di monitoraggio della green economy nel nostro paese; dati
2019 (sono sempre stime)
- 432.000 imprese hanno investito nel green nel 2015-2019 (31,2% delle imprese extra-
agricole)
- 3.100.000 green jobs (13,3% occupazione nazionale)
Regioni con il maggior numero di imprese green: Lombardia, Veneto, Lazio, Emilia-Romagna,
Toscana.

IL GREEN E’ DI MODA …. ATTENZIONE!!!!


Utilizzo disinvolto dei dati da parte di media/politici …
Rischio greenwashing: pubblicizzazione di falsi comportamenti e/o prodotti ecosostenibili da
parte di aziende/istituzioni- imprese che si spacciano per green quando invece non lo sono per
niente.
Green geograficamente selettivo: rischio legato alla frammentazione spaziale della
produzione- ci sono imprese green nel loro paese e non sono green in paesi poveri dove le
normative sono più elastiche.
Effetti collaterali del green: esempio biocarburanti- la produzione per alimentare i
biocarburanti va a discapito dell’agricoltura tradizionale.

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