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matricola: 886491
Tutti questi supporti necessitano di una preparazione, ovvero di strati intermedi che
si frappongano tra essi e la pellicola pittorica, così da facilitare il processo di pittura e
successiva conservazione, impedendo il ritiro delle sostanze leganti del colore verso
gli strati più interni.
Prima della stesura della preparazione, ogni supporto veniva opportunamente levigato
per eliminarne le irregolarità e in particolare la pergamena (così come l’ancor più
pregiato velino), ottenuta da pelli animali, prima di divenire tale doveva subire bagni
di calce, essicamento e speciale levigatura con pietra pomice.
Una volta avvenuta la preparazione del supporto, si poteva procedere alla stesura del
colore, definito in pittura come la miscela di pigmenti e di un opportuno legante posti
in sospensione in un fluido (generalmente acqua nella pittura medievale).
I pigmenti sono sostanzialmente polveri
insolubili nei solventi più comuni (come
appunto l’acqua) di origine organica o
inorganica.
Solitamente i pigmenti inorganici, derivati da
minerali, sono più coprenti, mentre quelli
organici lo sono meno.
Una categoria a parte è occupata dalle
lacche, aventi la particolarità di essere
Alcuni esempi di pigmenti inorganici.
composte da un misto tra pigmenti organici e
inorganici, molto rinomate per la loro resa pittorica ma anche soggette a un facile
deterioramento se esposte alla luce (gli esempi meglio conservati sono infatti visibili
all’interno nei codici miniati).
Per quanto riguarda i leganti, anche qui si dividono in inorganici (un esempio è la già
citata calce) e organici (come l’uovo) e talvolta un particolare pigmento richiede un
particolare legante per essere stabile.
I leganti svolgono molteplici funzioni, infatti generano coesione tra le particelle di
pigmento, permettono adesione al supporto, proteggono il pigmento dall’aria e
conferiscono una differente resa ottica al pigmento, a secondo di come vengono
utilizzati.
Infine, in alcuni casi sembra che venissero applicate vernici per meglio conservare i
dipinti su tavola e su pergamena, le quali andavano dalle più “pesanti”, a base di
resine e gomme, alle più delicate, costituite solamente da albume.
In ogni caso, era ben noto che quest’ultimo passaggio uniformasse eccessivamente le
opere, annullando l’effetto variegato tipico dell’arte medievale, dove l’immagine era
costruita accostando parti dalle differenti caratteristiche ottiche, ed era per questo
motivo procrastinato o direttamente evitato.
LE TECNICHE
Dopo una doverosa introduzione focalizzata sui materiali, ora si possono trattare le
tecniche vere e proprie in cui questi ultimi vengono impiegati.
PITTURA MURALE
L’affresco, usato sovente come sinonimo di dipinto murale, costituisce una tecnica
pittorica ben definita che ha origine nell’antichità classica per poi essere ripresa
interamente solo nel Trecento.
Tra l’VIII e il XIII secolo, invece, l’esecuzione sommaria dell’affresco porta alla
riscoperta di più antiche e laboriose tecniche, ovvero quelle della pittura a calce.
PITTURA A CALCE
Poteva essere sostanzialmente operata in tre modi:
Purtroppo queste tecniche a secco, in molti casi, non hanno resistito all’umidità e al
tempo, cosa molto grave se si pensa che queste finiture erano destinate agli artisti
principali.
PITTURA A FRESCO
In seguito alla stesura dell’arriccio, su di
esso veniva eseguito (non sempre a dire il
vero) un disegno preparatorio in
nerocarbone ripassato a tempera, detto
sinopia, che fungeva da guida per l’intera
composizione, proprio come veniva fatto
per la composizione dei mosaici.
Il tonachino ricopre poi la sinopia, venendo
steso seguendo il sistema delle giornate,
che consiste nell’intonacare porzioni di
arriccio che il pittore era in grado di
Dettaglio di un affresco raffigurante l’Annunciazione e la
Visitazione, in Santa Maria Foris Portas a Castelseprio,
dove il cedimento del tonachino ha rivelato la sinopia
sottostante (X sec.).
terminare
approssimativamente
nell’arco di una
giornata, così da
assicurarsi di lavorare
sempre a fresco.
Questo sistema,
soppiantato dalle
sopracitate pontate nel
corso del Medioevo,
ritorna in uso tra la fine
del Duecento e l’inizio
del Trecento (grazie sia
alla rivoluzione di
Giotto che alla Particolare della Deposizione di Giotto, nella cappella degli Scrovegni a Padova, dove è
riscoperta del mosaico): ben visibile la suddivisione dell’opera in giornate a causa del cedimento delle parti a
secco atte a nasconderla (1303-5).
gli intonaci delle scene
non appaiono più divisi nettamente in grandi campiture rettangolari, bensì seguono i
profili di personaggi e architetture.
Una volta preparata la giornata di tonachino, su di essa veniva tracciato il disegno, o
con una punta metallica, oppure con ocra gialla e rossa.
Preparato il disegno, si poteva procedere all’applicazione del colore vero e proprio,
partendo dalle campiture di base, in generale: grigio per i cieli, blu o bianco per gli
sfondi, ocra o verde chiaro per gli incarnati (i cui contorni venivano poi ripassati con
il verdaccio, composto da bianco, ocra rossa e una punta di nero).
Per finire, era opzionale l’applicazione di una finitura, il cui scopo era quello di
conferire lucentezza e compattezza alle superfici (un metodo talvolta in uso
consisteva nello schiacciare l’intonaco, così da richiamare in superficie l’umidità e
garantendo un’asciugatura più lenta e graduale).
La pittura a tempera offre uno spessore quasi nullo sulle superfici su cui viene
applicata, a differenza di quella a calce.
In epoca medievale il termine tempera si riferiva a una miscela da temperare,
ovvero, come accennato in precedenza, a dei pigmenti da diluire in un liquido
legante.
Usata in particolare per la pittura su tavola e su pergamena, la pittura a tempera è
caratterizzata da campiture di colore nette e ben definite.
La tecnica a tempera implicava prima di tutto la realizzazione delle dorature, se
contemplate, secondo uno di questi modi:
A bolo: usato su tavola per vaste superfici, consisteva nella stesura di
un’argilla molto elastica (il bolo) su cui venivano poi incollate sottili foglie
d’oro.
A missione: impiegato su muro e in piccole superfici su tavola, consisteva
nell’applicazione di una sostanza oleoresinosa (la missione) su cui veniva fatta
aderire la foglia d’oro.
A conchiglia: riservato per piccoli dettagli e alla pittura libraria, era
caratterizzata dall’uso di polvere d’oro unita a una sostanza legante, stesa poi a
pennello.
Essendo ovviamente la doratura molto dispendiosa in termini economici, per i
manufatti più grandi veniva impiegata la lamina di stagno dorata, oppure quella
d’argento, la quale però era soggetta a ossidazione nel tempo.
Alla doratura poteva precedere la cosiddetta ingessatura, ovvero l’applicazione di
forme in rilievo in gesso, per aggiungere tridimensionalità e profondità all’opera.
Stesura del colore: le tempere risultano composte da pigmenti più fini rispetto a
quelli utilizzati nelle tecniche dell’affresco.
Il colore poteva essere steso “a corpo”, quindi con impasto più coprente destinato
solitamente alle campiture di base, oppure sotto forma di “velatura”, caratterizzata
da un pigmento meno concentrato e quindi
semitrasparente, adatto a definire luci e ombre (le
lacche erano i pigmenti preferiti per questo scopo).
La pittura a tempera poteva dare il meglio di sé
quando applicata su tavola, in quanto poteva
beneficiare di una gamma di colori più brillanti
rispetto a quelli impiegati nell’affresco e non era
vincolata a esigenze architettoniche tipiche della
pittura murale.
Nella produzione di codici miniati, caratterizzati da
decorazioni pittoriche atte a far risaltare il testo
denominate miniature, il colore veniva diluito
molto e i leganti utilizzati erano molto delicati,
come ad esempio l’albume.
Esempio di miniatura.
Questa varietà di tecniche e composizioni dei colori, applicati su supporti così
differenti tra loro, mostrano la volontà che accompagna gli artisti dall’Alto Medioevo
fino alla fine del Duecento di imitare in particolare i paliotti, le elaborate decorazioni
in oro e avorio degli altari, che presentano incredibili giochi di luce favoriti dalla loro
tridimensionalità.
Dal Trecento in poi sarà però proprio la pittura a identificarsi come tecnica-pilota,
guidando di lì in poi la ricerca artistica con i suoi particolari stili e tecniche.
Particolare della Fuga in Egitto di Giotto nella cappella degli Scrovegni a Padova,
dove la perdita dello strato di tempera azzurra sul mantello della Vergine ha rivelato
una particolare costruzione delle ombre e dei volumi sottostante (1303-5).