Sei sulla pagina 1di 36

DIRITTO del LAVORO I

a.s.2020/2021
LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO

 Diritto internazionale : le organizzazioni internazionali come onu e oil hanno svolto un grande ruolo nella individuazioni di regole di protezione del
lavoratore, standard minimi di tutela.
L’OIL è stato molto importante alla nascita del diritto del lavoro per i rischi professionali riguardanti la loro tutela ; la convenzione di New York per la
eliminazione delle discriminazioni razziali ; carta dei diritti dell’uomo → creazione di forme di protezione, principi sedimentati negli ordinamenti.
Tuttavia negli ultimi decenni queste fonti hanno perso parte del loro peso, sia perché gli ordinamenti si sono adeguati a queste.
Vi sono II tipologie principali di fonti comunitarie :
A) self executing → immediatamente applicabili (regolamenti)
B) non self executing ,meramente programmatiche → adattamento interno per la loro effettiva applicazione, provvedimento che ne specifichi i contenuti
(direttive)

Un grande sviluppo è avvenuto attraverso il diritto comunitario, specie attraverso i numerosi provvedimenti presi in favore dell’equità sociale ( si noti la
funzione della CECA, che invece era incentrata solo sul mercato ; già a Roma nel 1957 si pensa alla tutela degli standard minimi di protezione finalizzati a
limitare gli squilibri di concorrenza → si tutela la concorrenza, sì, ma con un occhio alla protezione dell’individuo.
Anche l’atto unico europeo ha rappresentato una svolta, poichè contiene in sé l’idea che il mercato e l’economia, obiettivi primari, dovessero essere
accompagnati alla protezione del lavoratore sul luogo di lavoro ( parità di trattamento, salute sul luogo di lavoro).
Ad Amsterdam nel 97 vi fu un riguardo per l’occupazione, vennero infatti indicate delle linee guida in merito a questo tema.

 Contratti di lavoro : La vera genesi del diritto del lavoro va ricercata prima, poiché nasce con l’avvento delle macchine e la rivoluzione
tecnologica.
Le prime forma di rivendicazione salariale hanno acceso il riflettore sulla questione sociale, le condizioni inumane di lavoro e incapaci di dare dignità alla
persona del lavoratore, ma anche sugli squilibri contrattuali che necessitavano di essere sanati.
Ecco che nacque il primo nucleo della legislazione sociale, che cercava di tutelare il lavoratore (donne e fanciulli, nascita di un istituto per la tutela degli
infortuni, concessione dei giorni di riposo per il lavoratore).
Questi primi interventi hanno come destinatario un modello social tipico di riferimento, che era l’operaio nella fabbrica, e la legislazione che nasce in questo
periodo era insufficiente alla sua tutela, vi erano infatti solo piccoli interventi volti a risolvere poche problematiche sociali in materia.
Tappe importanti :
1- nascita accordi collettivi → volti a disciplinare le condizioni economiche minime ed inderogabili ( c.d. contratti di tariffa).
2- istituzione del collegio dei probiviri → composto da rappresentanti degli operai e un rappresentante di governo : aveva una funzione conciliativa perché di
fronte ad un conflitto emergeva una possibilità di trovare una soluzione attraverso l’intervento di questo soggetto terzo (giudice) e una funzione arbitraria (di
fronte ad un conflitto si stabiliva da quale parte fosse la ragione : molto importante, poiché è andata a creare molte norme specifiche e colmare lacune mediante i
principi provenienti da questo collegio).
Non ci si limitava a rimuovere il conflitto, ma anche a creare principi.
Con il fascismo vengono abolite tutte le forme di espressione della libertà sindacale, abolite anche le commissioni interne rappresentanti dei lavoratori, altresì il
diritto di sciopero e fu creata una magistratura speciale del lavoro che doveva scegliere e dirimere le controversie.
Il Ventennio eliminò il pluralismo sindacale e per ciascuna categoria di lavoratori veniva riconosciuta UNA sola associazione, controllata capillarmente dallo
stato.
A questa associazione veniva attribuita la rappresentanza legale di categorie , indipendentemente dal fatto che un soggetto fosse o no iscritto, ciò che decideva lo
Stato valeva per tutti.
In sostanza per questa particolare vicenda, il contratto collettivo diveniva fonte oggettiva del diritto.
Il contratto individuale infatti non poteva differire dalle indicazioni statali favorevoli al contratto collettivo.
Il fascismo comportò anche una codificazione delle norme riguardanti il lavoro (ore di lavoro, straordinari, riposi, ferie); una legge più organica era quella
sull’impiego privato che rappresentava la sommatoria dei principali istituti dei rapporti di lavoro.
l’insieme di queste norme gettò le basi per il libro del codice civile dedicato al lavoro (libro V), libro che risente molto dell’ideologia fascista autoritaria e
centralista(per esempio con una particolare visione del contratto, che vedeva la funzione del lavoratore come mezzo utile per la produzione nazionale).

 La nostra costituzione invece fornisce al lavoro un valore di formazione della persona e della dignità umana, contribuendo attraverso interventi
normativi ad incentivare la formazione della persona e l’eliminazione delle eventuali diseguaglianze.
La Costituzione del 48 rappresenta dunque il passaggio dallo stato liberale classico allo stato democratico.
All’interno della carta sono garantite le libertà individuali, ma anche vengono riconosciuti i diritti sociali, contrariamente al passato lo Stato non protegge
solamente la sfera individuale, ma interviene promuovendo la realizzazione dell’individuo quale componente della società.
L’ordinamento è costretto ad intervenire sia sulle problematiche sociali che sui comportamenti economici degli individui.
Interessante è cercare di comprendere anche le origini storiche del ruolo che il lavoro ha nella nostra Costituzione (art. 1 soprattutto).
Ad esempio, stando al commento di Mortati si denota che l’ordinamento si debba prendere cura dei lavoratori attraverso la rimozione degli
ostacoli che si frappongono alla realizzazione della persona, rimuovendo altresì gli ostacoli di partenza che vi sono al momento della
contrattazione.
Anche l’articolo 2 è denso di significato: l’attività lavorativa è strumento di sviluppo della personalità del soggetto, e dunque si deve
predisporre tutto l’occorrente affinché vi sia un corretto sviluppo della personalità, in sicurezza e conservando l’integrità fisica e morale
del lavoratore.
Il contratto di lavoro non è solo un mero contratto, ma è espressivo di un modo in cui si manifesta la formazione sociale della persona.
L’articolo 3 poi, affrontando il tema dell’eguaglianza, mette in evidenza il ruolo che l’ordinamento ha nel rimuovere gli ostacoli alla realizzazione
dell’eguaglianza sostanziale.
L’eguaglianza sostanziale e formale sono i due pilastri del diritto del lavoro, con riguardo in particolar modo alla persona del lavoratore.
L’eguaglianza formale impedisce trattamenti differenziati sulla base di sesso, religione, razza ecc.. → il legislatore non può attraverso atti normativi creare
trattamenti differenziati tra posizioni identiche.
Il singolo cittadino pretende che appunto l’ordinamento persegua e realizzi questo principio.
Ma esiste un principio di parità di trattamento all’interno del contratto di lavoro?
La regola qui in realtà vale per il rapporto Stato-cittadino.
Ad ex. Io sono imprenditore e posso benissimo pagare un lavoratore 200 euro e un altro 300, sono solo obbligato a rispettare la retribuzione minima del
contratto collettivo.
Una volta rispettato lo standard minimo salariale, al di sopra di questo sono ASSOLUTAMENTE libero di creare trattamenti differenziati.
Semmai potremmo focalizzarci sul principio di non discriminazione, ossia un imprenditore non può pagare maggiormente un lavoratore cittadino rispetto ad
uno straniero solo perché straniero.
Articolo 36 : l’obiettivo del legislatore è quello di valutare proporzionalmente la retribuzione (sulla base delle ore) , ma stabilisce anche la qualità del lavoro
svolto, con un riguardo anche ad una retribuzione che renda la vita del lavoratore libera e dignitosa grazie allo stipendio.
Articolo 37 : si rivolge a donne lavoratrici (che devono essere retribuite come gli uomini, oppure si veda la tutela nei confronti delle neo mamme per la
maternità) e minori (viene stabilita per legge un’età minima).
Articolo 4 : possibilità di scegliere secondo i propri gusti e capacità la professione o attività lavorativa che concorra al progresso materiale e spirituale della
società.
Indica una proiezione verso cui l’ordinamento deve rivolgersi, viene imposto allo Stato di lasciare un laissez faire all’individuo nella scelta del lavoro, tuttavia
creando all’aspirante lavoratore la più ampia gamma di lavori e di occupazioni disponibili.
Articolo 35 : tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, affinché per esempio vengano promosse tutte le iniziative volte alla formazione dei
lavoratori (corsi, stage..)
Articolo 38: invito al legislatore ad intervenire in favore sia della totalità dei soggetti sia nei confronti dei titolari di lavoro.
Una particolare protezione è fornita ai lavoratori privi di mezzi di protezioni, lavoratori invalidi, disoccupati, fasce deboli della società → esiste una rete
protettiva che va a proteggere il lavoratore sempre.
 leggi
 usi delle classi aziendali
 la giurisprudenza sia interna che comunitaria

28-09
art.39 costituzione:questa disposizione stabilisce dei principi che non hanno trovato un’attuale applicazione nel nostro ordinamento(seconda parte art.=lettera
morta) ma costituisce pur sempre un parametro di riferimento, il legislatore deve tener conto di questi precetti, non può fare manovre di tipo eversivo. si divide
in due parti il primo comma non avendo necessità di alcuna forma di attuazione stabilisce un principio meramente precettivo affermando che l’organizzazione
sindacale è libera, questo vuol dire tante cose investe la libertà positiva dei singoli di scegliere a cosa aderire. e alla libertà negativa non facendo aderire,
consente tante cose ma limita il legislatore in altrettante. questa disposizione sancisce,nella sua prima parte, il superamento del sistema corporativo. quello che si
è voluto produrre con questa disposizione è anche il superamento dell'unicità del soggetto di rappresentanza, aprendo la strada al pluralismo sindacale, ma anche
conservare ciò che si poteva del sistema corporativo nel modello costituzionale. stabilisce il superamento del principio corporativo secondo cui ad ogni categoria
ci sia un solo soggetto di rappresentanza, ma vi è la libera determinazione dei soggetti di rappresentanza,e ogni singolo lavoratore ha di fronte a sé una serie di
decisioni libere scegliere di aderire o meno, e di scegliere a quale soggetto di rappresentanza aderire qualora lo voglia fare

la seconda parte non ha trovato attuazione nel nostro ordinamento per una serie di motivi; il secondo comma afferma che l'unico onere che può essere imposto a
un sindacato è quello della loro registrazione presso uffici locali o regionali secondo la legge ordinaria.
il terzo comma stabilisce delle condizioni per la registrazione, la condizione è che lo statuto del sindacato sancisca un ordinamento interno a base democratica→
primo controllo dell’ordinamento sul sindacato, queso(la registrazione)sarebbe stato il canale d’accesso per due cose: l'acquisizione da parte dei sindacati della
capacità giuridica, e avrebbe determinato la possibilità per i sindacati attraverso una rappresentanza unitaria in proporzione agli iscritti concludere contratti
collettivi, quindi questa legge che avrebbe dato attuazione all’art. avrebbe dovuto esplicitare come si calcola il peso di ogni sindacato.
le organizzazioni sindacali non videro di buon occhio questa disposizione che avrebbero determinato forme di controllo sulla nascita e sulla vita organizzativa
del sindacato, e quindi una limitazione di quella libertà perché assoggettati a un controllo statale, essere inoltre assoggettati a un controllo numerico avrebbe
determinato un controllo sulle entrate del sindacato; l’acquisizione della capacità giuridica incanalava la libertà del sindacato in una forma di libertà più ristretta,
e in più la formula in proporzione agli scritti favoriva i sindacati più numerosi avendo più peso nelle trattative, sacrificando la visibilità dei sindacati meno
numerosi→ scelta di opporsi a questa disposizione, i soggetti di rappresentanza scelgono essi stessi le regole e si muovono nelle regole che essi stessi creano
accordo interconfederale→ stabiliscono le regole generali per la contrattazione
sono le stesse parti che creano le regole i sindacati si muovono su regole che derivano da scelte dei soggetti privati e che dunque rappresentano niente di più che
un patto tra privati. gran parte delle problematiche del diritto sindacale derivano dall’inattuazione di questa norma, un problema cardine è quello dell’efficacia
soggettiva dei contratti collettivi, a chi si applicano direttamente? quello che è prevalso nella struttura dell’art.39 è il principio di libertà, tanto è ampio il
principio di libertà sindacale che le parti possono scegliere la latitudine applicativa del contratto collettivo.
un’altra ragione per cui questa norma non è stata attuata è dovuta a un timore: qualora vi fosse stata una disciplina attuativa di quest’articolo ci sarebbe stata una
normativa anche sul diritto di sciopero; lo sciopero è le strumento di autotutela per eccellenza, è un diritto fondamentale per le organizzazioni sindacali per poter
accompagnare l’attività contrattuale del sindacato, il timore era quello che nell’immediato dopoguerra si potesse valorizzare di più l’iniziativa economica privata
rispetto al diritto di sciopero, il timore che lasciando passare il legislatore ci sarebbe stata una disciplina che avrebbe comportato anche una disciplina della
materia dello sciopero. anche l’art.40 rappresenta un’inerzia della materia successiva, ci fu una grande opera suppletiva e sostitutiva ad opera della
giurisprudenza, la quale ha adeguato i precetti dello sciopero per costituire un assetto compatibile ai precetti costituzionali , in riferimento alle ipotesi di
reato(codice rocco) per i quali era previsto lo sciopero ha creato vere e proprie categorie e definito che cosa fosse la sciopero( nel 1980 si è coniata una
definizione aperta di sciopero).
nel nostro ordinamento convivono tre forme di sciopero:
1. sciopero diritto→ quando è qualificato come diritto l’astensione dal lavoro comporta l’impossibilità che quel comportamento sia sanzionato dal
punto di vista civile e penale e non può essere sottoposto a trattamenti discriminatori per il fatto di aver partecipato allo sciopero o per averlo
promosso
2. sciopero libertà→ ipotesi di mezzo: una particolare situazione in cui il lavoratore che non svolge una particolare attività lavorativa non può essere
sanzionato ma pone in essere un inadempimento contrattuale(es.sciopero politico puro); lo sciopero ha finalità economico professionale, la finalità è
quella di esercitare una pressione sul datore di lavoro affinché siano modificate le condizioni lavorative dei lavoratori, ma se si scende in piazza per
protestare contro un soggetto diverso dal datore di lavoro e non c’è nessun riflesso sulla condizione lavorativa, siamo in presenza di uno sciopero
libertà, dell'astensione dal lavoro a stretto rigore comporta che non può essere repressa penalmente ma costituisce un inadempimento contrattuale
3. sciopero reato→ ci sono dell’ipotesi di astensione che costituiscono reato ed è collegato alla finalità a cui è legato lo sciopero, vi sono delle ipotesi
discriminatorie precise configurate come reato, come lo sciopero realizzato per sovvertire l’ordine pubblico
il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano→ lo sciopero è innanzitutto un diritto(passaggio in avanti rispetto al sistema corporativo)
le leggi che lo regolano sono le leggi future ciò che era reato è trasformato in diritto; quando la carta costituzionale parla di contratto collettivo si riferisce al
contratto normativo, si parla dello sciopero funzionalmente alla trattazione collettiva, sciopero come propedeutico per ottenere vantaggi in termini contrattuali
collettivi

art.41: è anch’esso fondamentale, parla dell’iniziativa economica privata, stabilendo che è libera, però subito dopo si dice che non può svolgersi in contrasto con
l’utilità sociale alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana→ la carta costituzionale ci vuole dire che l’imprenditore deve poter effettuare scelte imprenditoriali
ma al contempo per mitigare questo potere si dice che questo potere deve essere bilanciato con degli interessi anch’essi protetti costituzionalmente, il compito
del diritto di lavoro è di stabilire attraverso un bilanciamento di interessi di quanto la libertà di contrattazione privata può essere corrosa, e quali interessi
costituzionalmente protetti possono prevalere. si devono creare regole funzionali a garantire la dignità della persona sul lavoro. ci sono alcune decisioni
incomprimibili, come quella di chiudere trasferire l’azienda ecc. questo non può essere oggetto di vaglio giudiziale ma il legislatore deve operare un
bilanciamento tra gli interessi, si deve creare una norma che sia un bilanciamento degli interessi(ad es. riguardo al trasferimento art.2103 cc)
con la norma la libertà di iniziativa viene preservata e la dignità tutelata.

29-09
art.46 cost. parla di un'eventuale forma di partecipazione dei lavoratori all’impresa, stabilisce che per elevazione economico sociale del lavoro e in armonia con
le esigenze dell’impresa, la repubblica riconosce un diritto ai lavoratori a partecipare alla gestione delle aziende nei modi e nei modi e nei limiti della
costituzione, attraverso un rinvio a una norma ordinaria consentirebbe una forma di partecipazione dei lavoratori alle imprese→ forma di partecipazione dei
lavoratori all’impresa

cosa si intende per partecipazione?


è una norma aperta è una norma che necessita un riempimento dei suoi contenuti; questa disposizione è nata dall'esperienza dei consigli di gestione, una prima
forma di rappresentanza di questo genere nel panorama della tradizione sindacale italiana, nati nel dopoguerra come alternativa alle commissioni interne. i
consigli di gestione nacquero in molte imprese con funzioni e caratteristiche diverse, il tutto infatti avveniva attraverso accordi sindacali; si trattava di organismi
paritetici formati da dirigenti aziendali lavoratori e/o sindacalisti che si occupavano della programmazione produttiva e della gestione dell’impresa. questa forma
di cooperazione ebbe vita brevissima e queste forme di rappresentanza si trasformarono ben presto da collaborative a rivendicative perché questa forma di
rappresentazione dovrebbe comportare una sostanziale cogestione cioè per alcuni aspetti dell’attività produttiva le decisioni si prendono insieme con questo
organismo paritetico che comprende in sé anche la forza lavoro.
se si guarda la posizione dei vari partiti all’epoca si capisce perché la forma finale fu compromissoria: il partito socialista era favorevole a questa forma di
cooperazione perchè in essi vedeva il seme della nuova democrazia industriale; la democrazia cristiana era combattuta fra due diverse posizioni, da un lato il
corporativismo cattolico , la dottrina cattolica aveva postulato una sorta di solidarietà industriale finalizzata alla collettività nazionale, principi ripresi nel sistema
corporativo ma vi era timore che questa via potesse determinare una socializzazione strisciante dei sistemi di produzione; i liberali erano fortemente contrari
perchè ritenevano che suddividere le responsabilità della guida delle aziende avrebbe inciso negativamente sull’incidenza dello stesso paese; il partito comunista
rifiutava l’idea della cooperazione e della cogestione in quanto avrebbe negato l’idea della lotta di classe, si intravedeva in questo modello organizzativo una
degenerazione aziendalistica del movimento sindacale, il modello prescelto era infatti di tipo conflittuale non cooperativo, fu proprio l’atteggiamento del partito
comunista, approvato dalla cgl, a far naufragare il sistema collaborativo dei consigli di gestione

l’art.46 nace in questo orizzonte burrascoso, erano nate queste forma di rappresentanza in contrapposizione all’idea di conflitto, ma al contempo stavano
scemando proprio per un'opposizione forte da parte del principale sindacato.
questo articolo non individua un modello ma fa rinvio ad una legge per stabilire i contenuti, dalla lettura di questa disposizione si desume che:
- i destinatari della norma sono i lavoratori, non i sindacati la disposizione indica non le forme di rappresentanza dei lavoratori fra i componenti del
comitato di gestione ma indica direttamente i lavoratori stessi;
- il veicolo attuativo avrebbe dovuto essere la legge, c’è un’espressa riserva di legge contenuta nella norma, e quindi non si delegava ad es. il
contratto collettivo a stabilire i contenuti e le forme di questo tipo di collaborazione e quindi si rinnegava il modo in cui erano nate quelle forme di
cogestione che erano nate nelle singole aziende attraverso semplici accordi aziendali ;

vi è un limite espresso all’interno della norma, il diritto a collaborare alla gestione delle imprese è limitato esplicitamente dall’armonia con le esigenze della
produzione correlato in questo senso all’art.41→ fine espresso è quello dell’elevazione economica e sociale del lavoro, ma dall’altro lato esisteva quello
dell’efficienza dell’impresa, la libertà di contrattazione si pone quindi in contrasto con questo precetto

la lettura dell’art. porta a una pluralità di possibili scenari:


a) evoca anzitutto un possibile modello di cogestione, ovvero l’istituzionale ingresso dei lavoratori o dei loro rappresentanti all’interno degli organi
deliberanti, la codeterminazione delle scelte strategiche dell’impresa, i sindacati e i singoli lavoratori potrebbero in questo modo comandare; non vi
è però una perfetta situazione paritetica all’interno di questa cogestione, rimane sempre un nucleo rilevante di funzioni che è ad esclusivo
appannaggio della proprietà. la funzione della legge è essenziale deve determinare la cornice in cui può inserirsi questa firma di codeterminazione.
un’unica forma di tentativo di un modello di questo genere si è avuta con la riforma del diritto societario: con l’art.2409 octies si stabilisce che lo statuto può
prevedere che l’amministrazione e il controllo siano affidati a un consiglio di gestione e uno di sorveglianza o di controllo, è modello di governance che
potrebbe permettere di giungere a una forma di cogestione vera e propria ma se la società opera per questo modello duale viene espressamente vietata la
presenza di lavoratori dipendenti nel consiglio di controllo.
allo stesso modo la disciplina del terzo settore, prevede che nei regolamenti aziendali o negli atti costitutivi devono essere previsti forme di coinvolgimento dei
lavoratori nelle attività amministrative.
esiste poi una versione ridotta di partecipazione, ovvero, il coinvolgimento dei lavoratori o dei loro rappresentanti nel momento decisionale in relazione a
delimitate scelte aziendali.
nel nostro ordinamento un’attuazione “morbida” di questo procedimento è rappresentata dalla procedimentalizzazione dei poteri del datore di lavoro: questa
procedimentalizzazione consiste nel fatto che l’imprenditore è tenuto ad un’informativa, prima di adottare una determinata decisione l’imprenditore è tenuto a
dare un’informativa sindacale, il sindacato una volta avuta questa notizia può chiedere un esame congiunto, nasce un obbligo a trattare, si complica il momento
decisionale dell’imprenditore non potendo in questo modo direttamente adottare una decisione, ma deve prima coinvolgere le forme di rappresentanza dei
lavoratori, il sindacato può quindi dire la sua in quella determinata decisione, se non si raggiunge un accordo si riespande il potere decisionale dell’imprenditore.
la prima fase di attuazione di questa idea è nata in primo luogo dalla legge la quale generò una fitta rete di diritti di informativa sindacale e individuale, da qui
nasce una procedura di consultazione che può portare ad un accordo sindacale oppure esaurirsi. la seconda fase di attuazione di questo modello è la
contrattazione partecipativa,ovvero la replicazione di queste esperienze nell’ambito della parte obbligatoria dei contratti collettivi che in alcune materie hanno
introdotto questo obbligo di informazione, molti contratti collettivi stabiliscono che l’imprenditore prima di adottare una decisione in determinate materie debba
dare un’informativa sindacale.
la terza fase riguarda entrambe le fonti è il decreto legislativo 25 2007 ,attuata da una direttiva comunitaria, pone espliciti obblighi di informativa sindacale e
individuale, prevedendo una sanzione amministrativa in caso di violazione di questa disposizione.
la differenza tra questo modello e quello della cogestione è che in questo caso si rimane sempre all’interno di un potere unilaterale dell’imprenditore che viene
sottoposto ad una procedura, nel momento in cui la trattativa non va in porto comunque si riamplia il potere del datore di lavoro di adottare quella decisione,
semplicemente si complica questo potere.

molti contratti collettivi hanno dato vita a enti bilaterali:che sono pariteticamente composti da soggetti di rappresentanza dei lavoratori e dei datori che si
devono occupare di specifiche materie. L'Ente bilaterale è un organismo paritetico, un'associazione tra sindacati e organizzazioni imprenditoriali senza scopo di
lucro. Diversi sono i settori di intervento dell'ente bilaterale: dalla formazione e l'aggiornamento professionale per lavoratori e imprenditori, allo sviluppo
dell'occupazione, alla tutela sociale. --> siamo di fronte al frutto di scelte contrattuali che vedono poi la legge seguire il modello della contrattazione, e ancora
una volta il protagonista di questa forma di collaborazione è il soggetto di rappresentanza, i lavoratori diventano al più beneficiari delle politiche che vengono
concertate a questo livello.

un’altra forma di partecipazione è la collaborazione economica al capitale o ai profitti,sono forme di remunerazione aggiuntive che in qualche modo sono forme
di coinvolgimento vero dei dipendenti nel capitale dell’azienda.

decreto crescita 2012 riguarda le start up innovative→ le remunerazione del lavoro può essere predisposta tramite strumenti finanziari o partecipazione
societaria,prevedendo sgravi fiscali per chi opta per questa opzione, unico caso in cui la legge opta per un modello organizzativo del c.d. share della divisione
degli utili.

il freno a mano della partecipazione è stato tirato dal sindacato e i principali partiti di sinistra; la cgil ha sempre inteso il coinvolgimento dei lavoratori come
sistema oppositivo alla contrattazione rivendicativa, ha cioè privilegiato il conflitto attraverso il momento dell contrattazione collettiva piuttosto che attraverso
un sistema concertativo di questo genere. ultimamente vi è stata qualche apertura da parte delle sigle sindacali, ma il mondo imprenditoriale ha fatto un passo
indietro, con l’effetto che è sempre più complicato capire chi è favorevole o meno a questo tipo di partecipazione. il fatto è che ciò dipende dal periodo storico
per capire le diverse prospettive.
le condizioni necessarie affinché si arrivi a un’attuazione,un intervento normativo vera e propria della materia,è che innanzitutto non sarà una spinta comunitaria
a darci delle regole, perchè la direttiva di riferimento ha finito per fornire semplicemente una serie di opzioni alle quali ogni stato può attingere senza alcuna
scelta ricostruttiva unica, la direttiva non impone agli stati di adeguarsi a un particolare modello precostituito. la direttiva europea introduce un concetto, quello
di employee involvement, cioè di coinvolgimento definendolo come qualunque meccanismo ivi comprese l’informazione,consultazione e partecipazione
mediante il quale i rappresentanti dei lavoratori possono esercitare un’influenza sulle decisioni che devono essere adottate.--> possibilità di influire che non
significa codecidere, ma essere inclusi in varie forme nel processo decisionale.

la direttiva ci offre una serie di soluzioni che sono già presenti nel nostro ordinamento e sono una serie di proposte di legge che peccano di una visione
organica della materia; il comune denominatore di queste proposte di legge volte ad attuare l’art.46 è rappresentato dalla presenza in tutte queste proposte di un
ventaglio di ipotesi anzichè di un'opzione unica, e sulla facoltatività, per le imprese, dell’adozione di quel modello.

art.46 ha avuto comunque un’attuazione parziale attraverso queste forme deboli di rappresentanza, ci sono solo dei germi di questa cogestione
LE FONTI
la legge è la principale fonte del diritto del lavoro: è espressione del progetto costituzionale di perseguimento dell’uguaglianza sostanziale.
obiettivi della legge:
a) tentativo di attenuare la debolezza economico sociale del contraente debole attraverso la produzione di norme inderogabili. il lavoratore attraverso
una fictio iuris si ritiene incapace di rappresentare se stesso alle trattative e lo si sostituisce con assetti pre confezionati, utilizzando come mezzo
norme inderogabili. questo comporta una serie di corollari: il concetto di ampia inderogabilità, che si applica al lavoratore subordinato,(perciò si
ambisce a questa qualificazione) delle norme nel sistema si muove innanzitutto attraverso il principio di indisponibilità del tipo contrattuale, le parti
possono trattare solo sopra una soglia minima di tutele, ma non possono disporre della qualificazione del rapporto, se si lasciasse loro questo tipo di
scelta, in ragione della forza contrattuale di uno dei due, non ci sarebbe più il lavoratore subordinato, il momento della qualificazione spetta sempre
e solo al giudice prevale il modo con cui si svolge un rapporto rispetto al nomen iuris con cui le parti qualificano questo rapporto; l’altro corollario
è la limitazione dei poteri datoriali, la legge interviene predeterminando alcuni contenuti minimi del contratto con una norma inderogabile e poi
incide sui poteri datoriali, potere che non può non esistere, quest’aspetto presuppone l’esistenza di poteri tipici del datore di lavoro, pur nella
consapevolezza di questi poteri ineliminabili nella relazione contrattuale la legge in termini protettivi, di riduzione al minimo di questo squilibrio,
attua un bilanciamento di interessi limitando questi poteri ponendo delle condizioni legittimanti, e attraverso la procedimentalizzazione dei
poteri(forma di partecipazione debole dei sindacati all’organizzazione dell’impresa) complicando il procedimento decisionale, affermando che
questo potere è sottoposto a un procedimento che coinvolge il singolo lavoratore o l’organizzazione sindacale(ad es. nella disciplina dei
licenziamento collettivi). un’altra tecnica è quella di subordinare il potere a un previo consenso di un soggetto terzo(es.trasferimento dirigenti
sindacali). un’altra tecnica è la semplice disposizione di divieti, norma imperativa che vieta determinati comportamenti. l’altra tecnica che prosegue
la legge per proteggere il contraente debole è la compressione o la limitazione dell’autonomia contrattuale del dipendente, si impedisce che
attraverso il consenso si possa pervenire ad un assetto diverso da quello previsto dalla legge.

b) sviluppare l’occupazione: è molto pericoloso utilizzare la legge in questi fini, perchè si rischia di ridurre le tutele dei dipendenti, per questo questa
seconda finalità si deve affiancare alla prima

c) tutela delle condizioni di lavoro: la protezione della dignità umana passa attraverso la protezione dell’integrità morale e fisica dei dipendenti

d) assicurare la protezione del lavoratore nel caso di particolari eventi che potrebbero determinare l’estinzione del rapporto:il legislatore tutela il
dipendente in una particolare situazione, ad es. malattie e infortuni, in questo caso il legislatore tutela il dipendente impedendo che il datore di
lavoro possa esercitare il potere di recesso per un arco temporale, viene introdotto il principio del comporto, è un arco temporale all'interno del
quale il datore non può risolvere il contratto se il lavoratore si trova in determinate condizioni(ad es, è malato), si protegge il lavoratore dal datore e
da eventi esterni che potrebbero far venir meno la sua idoneità al lavoro. è una tutela molto forte che paralizza temporalmente il potere decisionale
del datore

e) tutela del credito→ come creazione del fondo inps per insolvenza del datore di lavoro oppure la responsabilità solidale del committente nel regime
degli appalti.

f) tutela dei terzi rispetto al rapporto

30-09
rispetto al modello costituzionale ci sono state deviazioni legate al fatto che talora le leggi non sono la mera espressione della volontà del legislatore ma sono
frutto della contrattazione delle parti→ alcune discipline sono oggetto del confronto tra le trattative delle parti.
La libertà sindacale ha un'ampia latitudine. In primo luogo si estende ai RAPPORTI CON I PUBBLICI POTERI, sancendo la notevole distanza fra la
costituzione repubblicana e il previgente ordinamento corporativo. Su questo piano, il principio impedisce ogni intrusione e-o controllo dello STATO nei
confronti dell’ORGANIZZAZIONE SINDACALE. Ovviamente questo non vuol dire che fra gli attori sociali non possano intercorrere rapporti concertativi che
impongano vincoli e condizioni all’azione sindacale, in vista del raggiungimento di determinati obiettivi di benessere generale della collettività. Si tratta di
tecniche di CONCERTAZIONE:
metodo della concertazione:questo metodo ha il vantaggio di coinvolgere nel processo decisionale le organizzazioni sindacali, questo coinvolgimento
significa analizzate prima che la norma esista tutte le istanze dei soggetti rappresentati per meglio soddisfarne le esigenze, e poi vi è l’esistenza di un buon
rapporto tra governo e sindacati che avviene attraverso questo sistematico coinvolgimento nelle trattative decisionali, molto utile soprattutto nel periodo di
crisi(ad esempio protocollo del 1933).
la concertazione è anche un meccanismo di prevenzione dei conflitti sociali, perchè i sindacati difficilmente daranno battaglia a un testo preconcordato.
gli svantaggi sono che vi è un incardinamento del potere sindacale all'interno delle istituzioni, perchè non hanno una legittimazione democratica all’interno di un
procedimento legislativo, ma soprattutto il vizio di questo tipo di prassi è rappresentato dal fatto che anche all’interprete possono sfuggire le dinamiche cha
hanno portato all’approvazione di una legge, le trattative sindacali spesso sono segrete e si svolgono in luogo diverso da quello deputato alla nascita della legge;
inoltre questo meccanismo può determinare un ingessamento del potere legislativo, il sindacato diventa un contropotere politico.

vi è stato poi un movimento ondivago tra prassi: a partire dal libro bianco(inizio 2000) si è cercato di ridimensionare il ruolo della concertazione, è stata perciò
rinominata dialogo sociale(c’è dialogo con i sindacati ma il parlamento rimane sovrano)--> forte opposizione al governo di allora.
a seconda dei momenti storici c’è un maggior o minor coinvolgimento di questi soggetti nel processo decisionale.

il problema della conoscibilità del diritto del lavoro: gran parte delle riforme degli ultimi tempi non hanno la veste di legge ma piuttosto di decreto legge il che
consentiva di poter fare rinvii anche abusando di questa possibilità ;la corte poi dichiarò illegittime le reiterazioni che non mostravano innovazioni sostanziali.
le principali riforme sul lavoro(come il job act, o la riforma sulle pensioni) degli ultimi anni sono avvenute con le forme del decreto legislativo, la quale è la
tecnica più diffusa che vale sia per le direttive comunitarie che per le direttive ordinarie.
la legge fa poi un rinvio anche sconsiderato a decreti ministeriali attuativi, questo congegno comporta spesso un ritardo rispetto all’entrata in vigore della legge,
e quindi molte volte riforme vengono bloccate a causa di questo meccanismo di rinvio.
infine esiste un ulteriore impulso paranormativo che avviene per mezzo di alcuna autorità garanti: il garante della privacy e la commissione di garanzia, in questi
casi viene creata questa autorità dipendente, attraverso pareri,decisioni ecc. queste autorità finiscono per creare diritto, creano diritto ogni volta che svolgono la
loro funzione(anche se non hanno potere normativo).

nel nostro ordinamento non essendo stato attuato art.39, II comma il contratto collettivo ha natura privatistica, nel sistema delle fonti il contratto collettivo altro
non è che un contratto.
gran parte dei contenuti è eterodeterminata attraverso altre fonti, legge e contratto collettivo, si manifesta una lotta di confine tra queste due fonti e a seconda
delle fasi storiche si dà importanza ad una fonte a discapito dell’altra.

per capire come funziona dobbiamo ipotizzare una serie di ipotesi:


1. una materia è regolata da una sola fonte perché vi sono ipotesi in cui non può esistere la contrattazione collettiva, se a un determinato
comportamento consegue una risposta da parte dell’ordinamento in termini sanzionatori non vi può essere che la legge a regolare questa materia; di
regola la contrattazione collettiva non interviene o interviene limitatamente in questioni giuridiche. vi sono però istituti regolati dalla sola
contrattazione collettiva, ad es. la mensilità aggiuntiva, la legge non interviene o per mancanza di interesse pubblico o per ragioni di utilità, ma la
legge può intervenire su queste materie.il legislatore può sempre intervenire quand sussiste un interesse pubblico(ciò è avvenuto in riferimento alla
c.d. “scala mobile”).
2. vi può essere un concorso di più fonti nella regolamentazione di uno stesso istituto; questo concorso si manifesta in vari modi: avviene attraverso
dei rinvii diretti della legge alla contrattazione collettiva, questo rinvio autorizza le parti sociali a disciplinare l’intera materia, ad es. la retribuzione.
in attuazione anche con quanto previsto all’art.36 sono le parti sociali che nel momento in cui costruiscono il contratto collettivo stabiliscono il
principio di proporzionalità e corrispondenza, lo stesso vale per l’inquadramento sociale è la contrattazione collettiva che lo determina. il concorso
delle fonti si manifesta nel fato in cui è la legge che stabilisce che di quella determinata materia si occupa la contrattazione collettiva.
oppure la legge può lasciare la specificazione di una materia, di cui la legge se ne occupa in termini generali, alla contrattazione collettiva, la legge
anzichè regolamentare l'intera materia ne disciplina una parte, stabilisce la regola, ma per questioni specifiche lascia che sia la contrattazione
collettiva ad occuparsene. → la legge utilizza la contrattazione collettiva in maniera servente. il motivo di ciò è che la legge ha come caratteri
principali quello della generalità, uindi la stessa regola può essere giusta,ingiusta,eccessivamente onerosa ecc. la legge per evitare ciò dà una
regolamentazione generale lasciando ad ogni settore la possibilità di avere una propria e specifica sotto regolamentazione per calibrare le norme alle
proprie esigenze
ci sono casi in cui la legge non solo invoca la contrattazione collettiva, stabilendo che si deve occupare di qualcosa, ma la autorizza a delegare
quanto la legge stabilisce, le consente di stabilire principi opposti o addirittura diversi rispetto a quelli stabiliti dalla legge(ad es. in materia di
licenziamento collettivo).

in questi casi il congegno che consente il rapporto tra le due fonti è quello del rinvio normativo(esplicito e implicito) questo rinvio può essere di due tipi:
- qualificato: in ragione agli agenti contrattuali che si sono scelti; è qualificato il rinvio che asserisce al livello contrattuale, ci sono dei
casi in cui questa delega o specificazione della legge alla contrattazione collettiva si riferisce a quale contratto collettivo, è qualificato
quando viene specificato il livello contrattuale di riferimento; è un rinvio qualificato quello che indica sia gli agenti contrattuali che il
livello
- generico o non qualificato: è valido l’accordo su qualsiasi livello e qualunque siano gli agenti e su qualunque contratto collettivo.

ci sono casi in cui il medesimo istituto viene regolato sia dalla legge che dal contratto collettivo senza che la legge abbia fatto alcun rinvio: in caso di conflitto
prevale la legge ma nel sistema del diritto sindacale del lavoro questa regola va rivisitata: il contratto collettivo può derogare la legge se appone trattamenti più
favorevoli del lavoro(profilo protettivo del diritto del lavoro). proprio perché la legge si nutre del principio di inderogabilità per non privare le parti
dell’autonomia contrattuale, ponendo regole inderogabili fa si che le parti non possono che prevedere condizioni migliorative secondo questa stessa logica il
contratto collettivo non può alterare questo equilibrio, non può introdurre clausole peggiorative perché verrebbe meno la logica protettiva della legge, può però
attuare miglioramenti per il contraente debole integrando la funzione protettiva della legge.
ci sono dei casi in cui la legge ha come funzione quella di apporre dei tetti alla contrattazione collettiva, stabilendo i limiti del suo intervento impedendo così che
possa introdurre delle deroghe in contrasto con l’interesse pubblico tutelato dalla legge(es. decreto Craxi).

la contrattazione collettiva nasce per determinare quella dotazione minima di tutela che non possono essere oggetto della contrattazione individuale, nasce per
consentire di predeterminare alcune parti del contratto di lavoro, e con finalità rivendicative. il fatto che vi sia una selva imponente di previsioni normative che
fa rinvio alla contrattazione collettiva fa si che quest’ultima abbia assunto un ruolo e una funzione diversi da quelli tipici e originali, la contrattazione è servente
della legge assolvendo quindi una funzione ad essa funzione delegata, e questa funzione avrà dei riflessi sull’efficacia soggettiva dei contratti collettivi.

5-10
il contratto collettivo ha dei limiti in sé non potendo porre in essere previsioni in contrasto con la disposizione legale; può intervenire soltanto in termini
migliorativi.
l'inattuazione dell’art.39 ha comportato una questione molto importante quella della limitatezza dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo, il quale non
necessariamente ha una sua portata generale nei confronti di tutti quelli che appartengono a quella categoria.

nel 2011 vi è stata una norma che ha introdotto i contratti collettivi di prossimità, disposizione che è andata a collocarsi in un periodo storico di profondi
cambiamenti anche nelle relazioni industriali, ma questa normativa ha introdotto dei principi che mettono in discussione tutto quanto detto sul rapporto tra legge
e contratto collettivo e sulla questione di limitatezza di efficacia di quest’ultimo, infatti prevede che accordi aziendali o territoriali possono derogare a
disposizioni di legge a riguardo relative materie indicate dalla legge stessa a patto che siano stipulati da soggetti qualificati e che si persegua una delle finalità
indicata dalla legge. questi tipi di accordi inoltre hanno un’efficacia erga omnes.

come funzionano questi accordi:


i soggetti che possono stipulare questi accordi sono associazione di lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle loro
rappresentanze sindacali operanti in azienda.
si tratta di un rinvio qualificato.
qualora siano associazione di lavoratori la condizione ulteriore è che l’accordo sia sottoscritto sulla base di un criterio maggioritario.
questi specifici accordi devono riguardare specifiche finalità previste dalla legge, che riguardano, praticamente, tutto l’ambito del diritto del lavoro. le materie su
cui si può intervenire in deroga attraverso questa disciplina sono decine e decine di fattispecie che sono centrali nel diritto del lavoro.
queste specifiche intese hanno efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati.
questo art.8(sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità) è stato introdotto con la finalità di emancipare il più possibile i contratti aziendali da quello
nazionale.
poi questi tipi di contratti hanno avuto una limitatissima operatività nella pratica,però ci sono stati casi in cui per risolvere miopie amministrative si è fatto
ricorso a questa disposizione, in cui si è usato il contratto di prossimità per derogare alla legge.

IL CONTRATTO COLLETTIVO
art.39
l’organizzazione sindacale è libera→ principio di libertà sindacale:
- prima osservazione: passaggio dal sistema corporativo a quello costituzionale. nelle corporazioni vi era un'efficacia generale dei contratti collettivi
ciò comportava per l’organo di rappresentanza, che era unico per categoria, una sorta di incardinamento impedendo che possano sorgere sindacati
liberi predeterminado il soggetto di rappresentanza, la costituzione invece tutela la libertà di organizzazione, la norma costituzionale anziché
soffermarsi sulla libertà del singolo si colloca disciplinare il momento organizzativo proteggendo l'associazione sindacali in se
- seconda osservazione: disposizione nella norma nella costituzione: è collocata tra le libertà civile e politica. civile perché i soggetti hanno una sfera
di autonomia riguardo alla quale lo stato non può intervenire; politica perché la norma rappresenta un punto di svolta da
rappresentanza/organizzazione sindacale intesa come resistenza sindacale alla possibilità per questa di interferire in un ordinamento
- terza osservazione: la norma costituzionale è volta ad inibire ogni forma di controllo da parte dello stato nella vita del sindacato: lo stato non può
porre limiti alla costituzione di organizzazioni sindacali, non può fissare limiti per la permanenza in vita di un’organizzazione sindacale attraverso
provvedimenti che ne impediscano la continuità, non può determinare leggi che riguardano come deve operare un’organizzazione sindacale e non
può espropriare il raggio operativo dell’organizzazione sindacale.

il significato di “libera”: la prima accezione riguarda la libertà rispetto allo stato di costituire uno o più sindacati per una medesima categoria aziendale: i
corollari
sono:
1. la spontaneità della nascita di un’organizzazione(un sindacato non nasce per legge ma per moto spontaneo di soggetti che si aggregano)
2. volontarietà dell’adesione da parte del singolo qualunque lavoratore decide volontariamente e non per un’imposizione normativa se aderire o meno

seconda accezione: libertà per i lavoratori di scegliere fra i vari sindacati o di non aderire a nessuno di essi. sotto questo profilo si è posto un problema della
liceità delle norme che vietano l’iscrizione a più sindacati contemporaneamente(il divieto riguarda esclusivamente le regole interne del sindacato non incidendo
sulla libertà del singolo).

il problema della libertà sindacale negativa: ci si pone il problema se la locuzione vada a determinare una copertura costituzionale anche per la libertà negativa
del singolo ovvero quella di non aderire ad alcun sindacato.

l’ordinamento inglese:
clausole di closed shop e di union shop: le prime prevedono l’obbligo di aderire ad un sindacato al momento dell’assunzione, le seconde invece impongono di
iscriversi ad un sindacato per la permanenza in servizio.

sarebbero legittime nel nostro ordinamento clausolo di questo genere? bisogna capire prima se il principio di libertà sindacale negativa è o no
costituzionalizzato.
secondo alcuni l’organizzazione sindacale è libera comprende anche questo concetto e quindi trova legittimazione nell’art.39 della costituzione, secondo altri il
principio della libertà negativa trova legittimazione nella legge ordinaria, l’art.15 dello statuto dei lavoratori, quindi sarebbe del tutto legittima una disposizione
normativa come quella dei paesi anglosassoni in quanto lex superior derogat inferiori.

un lavoratore quindi può decidere di iscriversi a qualsivoglia organizzazione sindacale o se non aderire e non può essere discriminato per questa sua scelta.

la norma costituzionale traccia un dovere generale di astensione sulla vita interna dell’organizzazione da parte dei soggetti estranei all'organizzazione sindacale,
ma non ci può essere nessuna ingerenza anche sulla vita esterna ovvero che l’organizzazione sindacali ponga in essere patti federativi con altre sigle sindacali o
organizzazioni internazionali.

libertà sindacale è anche libertà di scelta degli strumenti di lotta nei limiti stabiliti dalla legge. quello che può fare un sindacato è scegliere un modello
organizzativo(in questo senso si parla di organizzazione
enon associazione sindacale, perchè in quest’ultimo caso se il legislatore avesse usato l’espressione associazione avrebbe ridotto la libertà di scelta del modello
organizzativo, si è preferito quindi un termine generale come organizzazione)

cosa significa organizzazione:


gli elementi tipici dell’associazione:
- vi dev'essere una collettività
- un vincolo giuridico che lega tra loro i soggetti che si uniscono
- uno scopo comune, si persegue un risultato che sia una consapevole scelta da parte degli associati, e i mezzi per perseguirlo sono di regola accettati
da tutti i componenti.
- stabilità del vincolo contrattuale

gli elementi comuni con l’organizzazione sono due:


- la pluralità dei soggetti
- il perseguimento di un interesse
gli elementi discordanti sono gli altri due:
- stabilità del vincolo contrattuale
- un vincolo giuridico che lega tra loro i soggetti che si uniscono

scegliendo il termine organizzazione il legislatore ha consentito ai soggetti di organizzarsi secondo una forma organizzativa che vogliono stabile o instabile che
sia, è quindi coperta dal cappello costituzionale ogni forma di spontaneismo sindacale.

l’art.39 rappresenta una tipizzazione dell’organizzazione sindacale come una forma organizzativa lecita, l’art.18 inoltre tutela l'individuo nell’associazione,
l’art.39 tutela sia l’individuo che l’organizzazione.

cosa significa sindacale:


1. criterio teleologico: fa leva sulle finalità tipiche del sindacato, serve per dare, utilizzare a fini qualificatori il fine perseguito, quello della tutela delle
condizioni di lavoro
2. criterio strutturale: fa leva sul dato associativo non è sufficiente la finalizzazione dell’attività ma vi dev essere anche dei soggetti che perseguono
quel fine attraverso anche uno statuto che individui quelle finalità

se questo insieme di soggetti può attuare come sistema di lotta l’astensione dal lavoro quella è un’organizzazione sindacale

il ruolo del sindacato si è trasformato nel tempo: prima aveva la funzione di modificare le condizioni di lavoro attraverso la contrattazione contrattuale, ora ha
una serie di funzioni accessorie fondamentali.

LO STATUTO DEI LAVORATORI


c’è stato poi un rafforzamento delle tutele attraverso la legislazione ordinarie: lo statuto dei lavoratori ha dotato di consistenza la libertà sindacale
La legge 20 maggio 1970, n. 300 - meglio conosciuta come statuto dei lavoratori - è una delle normative principali della Repubblica Italiana in tema di diritto
del lavoro.

Introdusse importanti e notevoli modifiche sia sul piano delle condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra i datori di lavoro e i lavoratori, con alcune
disposizioni a tutela di questi ultimi e nel campo delle rappresentanze sindacali; ad oggi di fatto costituisce, a seguito di minori integrazioni e modifiche,
l'ossatura e la base di molte previsioni ordinamentali in materia di diritto del lavoro in Italia.

6-10
titolo I
nel titolo primo vi sono due previsioni prodromiche l'art 1 e l’art.8 dello statuto dei lavoratori.

art.1= i lavoratori senza distinzioni in ordine alle opinioni politiche sindacali e religiosi hanno diritto a manifestare il proprio pensiero nel loro luogo in cui si
svolge la prestazione lavorativa nel rispetto della costituzione e nel rispetto delle norme contenute nello statuto.
questa libertà può essere esercitata sia dai lavoratori dipendendenti oppure anche da tutti coloro che svolgono attività lavorativa in quel luogo pur non avendo un
rapporto diretto di lavoro con quel determinato datore di lavoro.
vi sono limiti espliciti a questa libertà di opinione, limiti esterni ovvero i principi costituzionali e le norme di legge dello statuto, grazie a quest’ultimo caso si
risale a un ulteriore limite che si rifà all’art.26, questo limite consiste nel fatto che l’attività di proselitismo come quella della libertà di pensiero si deve svolgere
assicurando il normale svolgimento dell’attività lavorativa. in assenza di questo presupposto si cade nell’inadempimento contrattuale.
gli altri limiti di rinvio: rispetto dei principi costituzionali e la loro attuazione, questa attività infatti non può violare norme penali, pur essendoci un diritto di
manifestazione del pensiero comunque c’è un limite naturale a questa libertà non può esserci ad esempio un’offesa al datore di lavoro; la giurisprudenza ha un
atteggiamento garantista nei confronti di chi esprime il proprio pensiero consentendo al lavoratore di utilizzare alcuni termini che se utilizzati comunemente
avrebbero un valore offensivo ma nella dialettica aziendale possono essere tollerati dall’ordinamento(desensibilizzazione del termine).

art.8= È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di
terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore.

la norma per rafforzare questo divieto dice anche che ogni patto contrario è nullo → irrilevanza del consenso rispetto alla deviazione tracciata dall’art.8

rispetto a quando è nato lo statuto si è sviluppato il tema della privacy, questa norma andò a segnare un passaggio da un momento in cui era del tutto lecito
prendere informazioni di un soggetto.
l’art.8 bilancia due interessi contrapposti l’attività di iniziativa economica privata e la dignità della persona.
la disposizione traccia una linea di discrimine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è e questa linea è la rilevanza ai fini della valutazione dell’attitudine
professionale del lavoratore. se ci sono dei dati funzionali alla verifica della capacità di un soggetto e per valutare in termini prognostici il successivo
adempimento contrattuale questo tipo di indagine è ammesso.
il datore di lavoro qualora debba assumere soggetti che hanno e devono avere determinate caratteristiche ha il diritto di conoscere lo status del soggetto,
ammesso che questa ricerca sia giustificata dal tipo di contratto di lavoro che si pone in essere.
in alcuni casi ai fini dell'assunzione un soggetto deve sottoporsi a dei test attitudinali e pur non trattandosi di vere e proprie indagini dal contesto delle risposte
può emergere la personalità di un soggetto.

l’appartenenza sindacale: la conoscenza di questo dato è una conoscenza rilevante.


nell’ambito dei divieti di indagini personali rientra anche la problematica della conoscenza o meno dell’appartenenza sindacale

titolo II→ libertà sindacale


le norme sono 14,15,16,17.

art. 14= parla del diritto di associazione e di attività sindacale.


l diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro.
correlato all’art.39 vi sono però due elementi differenziali:
1. il riconoscimento di questi diritti all’interno del luogo di lavoro, si vuole esportare il modello di libertà anche dentro le mura delle fabbriche
2. l’art.39 si occupa del rapporto tra stato e cittadini, è un monito verso l’ordinamento, mentre l’art.14 incide nei rapporti interprivati collocandolo
all’interno del luogo di lavoro, non è un’invocazione di libertà verso lo stato

art.15= parla del divieto di atti discriminatori


È nullo qualsiasi patto od atto diretto a:

a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;
b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti
pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.
Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di
handicap, di età o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.

è un ampio ventaglio di ipotesi che a seguito di una modifica della norma si applicano anche ad altre fattispecie quelle volte ad attuare una discriminazione per
sesso razza religione ecc.

la nullità colpisce qualsiasi atto o patto diretto a… →elementi di protezione che sono riservati al contraente debole del contratto di lavoro, questo infatti può
temere che si trovi ad effettuare pattuizioni a lui sfavorevoli, si interviene privando di efficacia ogni tipo di accordo impedendo il pieno svolgimento
dell’autonomia contrattuale del contraente debole. il timore è che il risultato vietato lo si possa ottenere attraverso l’utilizzo delle proprie prerogative del
contratto di lavoro(per questo si viete anche ogni atto e provvedimento che venga posto in essere dal datore di lavoro con quelle finalità vietate).

la norma fa pure un elenco di cosa è vietato, viene ampliata la sfera di operatività di questa disposizione che si estende anche ai comportamenti omissivi, come
non dare un aumento non trasferire ecc.

le organizzazioni di tendenza: per loro questi principi vanno ridimensionati, perchè ci si impegna ad assumere una tendenza

art.16=divieto di trattamenti economici collettivi discriminatori. è il completamento dell’art.15


È vietata la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio a mente dell'articolo 15.
questa disposizione ha avuto scarsa applicazione perché esiste una orma di più facile applicazione l’art.28 il quale reprime la condotta antisindacale

art.17= parla dei sindacati di comodo(o gialli)


È fatto divieto ai datori di lavoro e alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di
lavoratori.
si vuole evitare che sia comparto l’avversario.
vengono detti gialli per alludere al colore politico dei sindacati, per dire che non hanno appartenenza politica.
questa disposizione come si concilia con il principio di libertà sindacale? l'ordinamento avrebbe potuto sanzionare tale condotta con la chiusura del sindacato ma
questa è una soluzione inaccettabile perché nel principio di libertà sindacale non ci può essere nessuna ingerenza di questo genere, quello che si verifica è una
perdita di credibilità del sindacato e per l’art.28 sarà sanzionato il datore di lavoro.
le RSA → canale preferenziali di questi soggetti che vengono tutelati ulteriormente dal legislatore in relazione alle loro capacità di rappresentanza delle istanze
dei lavoratori
oltre ai principi generali di libertà ci sono delle vere e proprie garanzie aggiuntive e ulteriori diritti che comportano in capo al datore di lavoro oneri via vai
diversi

art.39→ da un lato ampio principio di libertà il che comporta un pluralismo sindacale


dopodichè accanto a questo principio libertario assoluto ce n’è un altro che riguarda la seconda parte di questo articolo, nella quale c’è un tentativo di
incardinare le organizzazioni sindacali nel sistema, il fatto che non sia stata attuata questa parte ci conduce a una proiezione delle dinamiche sindacali del tutto
inattesa per il costituente.
l’inattuazione comporta la natura del contratto collettivo, il quale ha natura privatistica.
il concetto di autonomia collettiva va a significare che ci sono soggetti privati che possono produrre norme dirette alla regolazione delle relazioni sindacali,
perseguendo però un interesse generale, superindividuale, ovvero pubblico.
nella parte non attuata si individua la natura pubblica dell'interesse nonostante, ma dal diritto collettivo non può non emergere il carattere privatistico
dell’autonomia collettiva.

7-10
coloro che danno vita all’organizzazione sindacale scelgono anche chi rappresentare.
l’art.39 fa riferimento anche al concetto di categoria, le categorie non sono un prius, una volta individuata la categoria nasceva il soggetto di rappresentanza,
come in passato ma un posterius ovvero il procedimento è esattamente il contrario.
in riferimento all’autonomia collettiva in senso stretto:la definizione autonomia privata allude alla capacità dei singoli di costituire regolare o estinguere rapporti
giuridici a contenuto patrimoniale, trasporre questa def. in ambito collettivo sarebbe riduttivo, perchè è vero che i sindacati possono fare ciò ma quando si parla
di autonomia collettiva si fa riferimento a un qualcosa di più ampio rispetto alla semplice riconduzione all’interno della sfera dell’autonomia privata,
innanzitutto si fa riferimento all’autonomia rispetto allo stato, e poi si riconosce uno spazio di azione alle parti sociali di dotarsi di regole proprie e di scegliere il
veicolo per imporre queste regole. per queste caratteristiche del mondo sindacale c’è stata la creazione del concetto di ordinamento sindacale concetto che
racchiude in sé più aspetti: il principio del pluralismo sindacale e il concetto di autonomia collettiva. le parti sociali sono soggetti che pur avendo natura privata
svolgono comunque una funzione di regolazione di interessi pubblici come tali riconosciuti dall'ordinamento per il ruolo che svolgono di motore dello sviluppo
del paese.
produce regole destinate a regolare rapporti tra assetti tra privati, norme non di matrice legislativa ma estranee, questi soggetti collettivi in più si muovono nel
mondo giuridico attraverso un processo di reciproco riconoscimento, creano regole autonome rispetto all’ordinamento che operano un mutuo riconoscimento.
la trattazione collettiva comprende anche una serie di meccanismi di interpretazione delle regole che vanno a porre e la conseguente regolazione di eventuali
conflitti, offre cioè alle parti una proposta di risoluzione delle controversie che possono crearsi.
ciò determina una stabilità del tempo di questi soggetti e di queste regole→ per questo si parla di ordinamento sindacale che ha la sua origine da quello statale.

il SINDACATO
nel periodo corporativo la struttura del sindacato imposta dalla legge si organizzava su due livelli:
- a livello orizzontale→ la confederazione
- a livello verticale→ la categoria, la federazione nazionale
quindi per ogni categoria ci poteva essere una sola federazione nazionale dei lavoratori e una sola federazione nazionale dei datori di lavoro, perché non vi era
pluralismo sindacale.
con l’avvento della costituzione si rende possibile il pluralismo sindacale, è possibile parlare di libertà sindacale positiva e negativa per i singoli, vi è libertà di
modelli organizzativi(ogni struttura di rappresentanza può scegliere il proprio modello di organizzazione), questo comporta la libertà di scegliere il nucleo di
soggetti da rappresentare è lo stesso sindacato che definisce il range dell’interesse collettivo che intende rappresentare, infatti ci sono sindacati che si occupano
di una sola categoria come la fabi; ci sono sindacati intercategoriali che abbracciano più o tutte le categorie , ci sono i sindacati di mestiere,ristretti a una sola
attività produttiva, ovvero specifici. questo è stato possibili perché l’organizzazione sindacale è libera di scegliere l’ambito in cui può operare. ci possono essere
contratti collettivi collegati ad un mestiere visto trasversalmente(ad es.contratto dei dirigenti), i quali non disciplinano un settore ma un mestiere. il mondo
sindacale si presenta in maniera multiforme sia per la scelta dei soggetti da rappresentare sia per delimitare il recinto operativo della contratto collettivo di
riferimento.
da un punto di vista della struttura sindacale c’è una uniformità organizzativa per le maggiori confederazioni(cisl, cgil ecc.):
- vi è un’organizzazione verticale per categoria, organizzata con una prima struttura che ha come livello i singoli luoghi di lavoro, poi vi è una
struttura territoriale di categoria che normalmente è di tipo provinciale, poi vi è una struttura regionale e infine la struttura nazionale, detta
federazione perchè non fa che federare le singole strutture territoriali. → ad es. nella fiom c’è un segretario provinciale, uno regionale e infine uno
nazionale, e poi vi sono i vari dirigenti di struttura. (organizzazione a carattere territoriale crescente)
- vi è un'organizzazione orizzontale che attraversa orizzontalmente ogni categoria vi è una struttura territoriale, una provinciale( a tale livello le
federazioni provinciali delle varie categorie (verticali) confluiscono in strutture orizzontali variamente denominate: Camere del Lavoro Per la
CGIL Unioni Sindacali per la CISL Camere Sindacali per la UIL),una regionale, e infine una nazionale nella quale si fondono le federazioni e per
questo si chiama confederazione,nella quale le federazioni si fondono tra di loro e fanno capo ad es.alla cgil (quindi chi si iscrive alla fiom è anche
tesserato alla cgil). ci sarà quindi un segretario provinciale, uno regionale e uno nazionale della cgil

Alla contrapposizione fra le due forme organizzative categoriale ed intercategoriale corrisponde anche una conseguente ripartizione di competenze:
a. Le federazioni di categoria hanno infatti il compito di sottoscrivere il contratto collettivo nazionale dello specifico settore.
b. Alle confederazioni compete il coordinamento delle politiche sindacali che riguardano tutti i lavoratori, quale che sia la loro categoria di
riferimento. Saranno così le confederazioni a sottoscrivere i cc.dd. accordi interconfederali, che, in quanto tali, dettano regole che si applicano a
tutte le categorie di lavoratori

rappresentanza e rappresentatività:
i sindacati italiani attualmente sono associazioni non riconosciute,le organizzazioni riconosciute per essere tali devono essere sottoposte a un vaglio da parte
dell’ordinamento per verificare la meritevolezza delle finalità e l’adeguatezza dei mezzi per raggiungere gli obiettivi, si ha il riconoscimento formale; questa
valutazione di mritevolezza è incompatibile con il principio di libertà sindacale perchè questo principio impedisce al potere politico di interferire sulla vita del
sindacato, quindi la via del riconoscimento ordinario è preclusa da motivi di utilità perchè scegliere la via del riconoscimento significherebbe minare il principio
di libertà sindacale, non ci deve essere nessun tipo di vaglio per l'attribuzione di requisiti essenziali per un sindacato.
questa diversità tra associazioni non riconosciute e riconosciute si traduce anche in una diversa disciplina:
le associazioni riconosciute hanno responsabilità patrimoniale perfetta, chi risponde dei debiti è la persona giuridica(mentre nelle associazioni non riconosciute
rispondono dei debiti anche coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione). le associazioni non riconosciute sono regolate dagli artt.36 e seguenti
del cc, la regolamentazione del cc si occupa esclusivamente dell’aspetto patrimoniale, in più vi è uno statuto che stabilisce le regole all’interno
dell’organizzazione. la giurisprudenza ha affermato che per alcune materie come il recesso o esclusione del socio ci si può rifare alla regolamentazione delle
organizzazione riconosciute per via analogica.
lo statuto che regola la vita del sindacato deve uniformarsi a queste regole il che potrebbe condurre ad un controllo giudiziale sugli atti interni del sindacato, se il
sindacato non può avere controlli esterni deve essere comunque tutelata la posizione del singolo all’interno dell’organizzazione.
per salvaguardare il diritto individuale ed assicurare la libertà sindacale si è affermato che il controllo sugli atti interni possa avvenire soltanto se viene vagliato
il principio della legittimità giuridica dell’atto e non il merito o l'opportunità delle decisione che viene assunta.

i rapporti esterni del sindacato: sotto il profilo giuridico sono da considerarsi come autonomi centri di imputazione di situazioni giuridiche, hanno quindi una
propria soggettività, può quindi essere chiamato in giudizio con legittimazione attiva e passiva.

esiste poi una sfera di relazioni tra sindacati: all’interno di ogni contratto collettivo esiste la parte obbligatoria che regolamenta i rapporti tra i vari sindacati.

la rappresentanza degli interessi: all’interno dell’organizzazione sindacale questa avviene tramite un istituto quello del mandato con rappresentanza.
il sindacato deve però operare una sintesi degli interessi individuali, infatti agisce in nome proprio e non in nome e per conto dei rappresentati. esiste una sorta di
indivisibilità dell’interesse collettivo,in relazione al quale ogni lavoratore nel momento in cui conferisce mandato rinuncia alle proprie specificità per l’interesse
della collettività degli associati→ interesse collettivo sindacale p la sintesi di tutti i vari intenti dei soggetti che si iscrivono a quel determinata
organizzazione(organizzazione di interessi), si tende al bene privato collettivo dei soggetti rappresentati.
l’interesse perseguito dall’associazione è pur sempre un interesse particolare, non si tende infatti al bene pubblico, ma all’interesse privato collettivo dei soggetti
che sono rappresentati.

la rappresentatività: si intende la capacità di un sindacato di rappresentare verso l’esterno la sintesi dell’interesse del gruppo personale, è la capacità di avere un
ruolo rilevante a livello collettivo. è la capacità effettiva di una determinata associazione sindacale di raccogliere ed organizzare il consenso della categoria
professionale che si prefigge di rappresentare ( i banchieri, gli edili, i metalmeccanici, ecc). la rappresentatività ha determinato l’insorgenza di specifici diritti o
funzioni delegati dalla legge assegnati a taluni sindacati rispetto che ad altri
per i soggetti dotati di maggior rappresentatività sono dotati di una legislazione di sostegno, il titolo terzo dello statuto consente di avere strumenti per svolgere
la propria attività particolarmente invasivi nella sfera organizzativa e produttiva dell’impresa, per questo il legislatore ha stabilito una delimitazione
dell’operatività di questa disciplina applicandola a chi tra i sindacati ha una maggior capacità di rappresentare gli interessi personali sul piano nazionale.
gli indici di maggior rappresentatività sono:
- il numero di iscritti
- la struttura non nomocategoriale
- la continuità del tempo dell’azione sindacale
- un’adeguata diffusione a livello nazionale della struttura del sindacato
questa fase di attribuzione di vantaggi ai sindacati più rappresentativi ha mosso molte critiche,si parlò in questo caso di rappresentanza presunta. La scelta
legislativa si giustificava in funzione della tutela di interessi più ampi, garantita dalle grandi confederazioni, a fronte di quelli settoriali, di cui sono portatori i
sindacati di categoria. I mutamenti dei sistemi produttivi, oltre a ridurre il peso dei lavoratori subordinati, hanno anche frammentato questi ultimi in gruppi
diversificati e spesso in conflitto fra loro. Il referendum abrogativo dell’art 19 dello statuto dei lavoratori (1995) ha in qualche modo formalizzato tale crisi.

proprio per questa crisi si è passato al concetto di sindacato comparativamente più rappresentativo, molte leggi fanno riferimento a questo parametro che
significa che in un det.settore produttivo ci possono essere più contratti collettivi a disciplinare la stessa fattispecie

13-10
titolo III statuto dei lavoratori→ dell’attività sindacale
i diritti che sono assegnati a questi soggetti sono particolarmente invasivi rispetto al datore di lavoro.
l’ingresso del sindacato nella fabbrica è stata la parte più faticosa.
lo statuto dei lavoratori in questa parte si applica alle unità produttive che abbiano più di 15 dipendenti, poichè al di sotto di questa foglia è impensabile che ci
siano forme di rappresentanza stabile.
chi ha possibilità di accedere a queste tutele? nel tempo le prime forme di rappresentanza sono nate attraverso l’iniziativa del lavoratore, all’interno di un
ordinamento intersindacale, dopodichè con l’art. 19 è stata introdotta una forma di rappresentanza legale all’interno dell’impresa e successivamente nel 93 con
un accordo interfederale sono state create le RSU(nate attraverso un accordo interfederale) che non soppiantano le RSA(forme di rappresentanza legale)
già all’inizio del secolo sono nate come prime forme di interlocuzione all’interno dell’impresa le commissioni interne.
le commissioni interne sono l’antefatto delle rappresentanze aziendali odierne ma presentavano caratteristiche assai diverse; in particolare anche nella forma in
cui sono state introdotte dopo la liberazione(con un accordo) venivano private di una funzione contrattuale(salvo casi eccezionali); erano una struttura
rappresentativa che si determinava con criterio proporzionale attraverso suffragio universale dei lavoratori, con creazione di liste. → struttura di rappresentanza
democratica perchè alla base vi era questa istanza produttiva. le liste erano aperte ad ogni gruppo fosse esso espressione o meno del sindacato esterno. tuttavia le
loro funzioni erano limitate:la funzione primaria era quella di concorrere a mantenere normali i rapporti tra lavoratori e direzione dell'azienda per il regolare
svolgimento dell’attività produttiva in spirito di collaborazione e reciproca comprensione→ si nega il conflitto industriale non è la parte rivendicativa in sé che
rappresenta la cifra di queste forme di rappresentanza.

l’idea alla base delle commissioni interne era quella di mantenere normale i rapporti significava trovare una funzione di interlocuzione tra interessi contrapposti

i consigli di fabbrica:
le commissioni interne nella seconda metà degli anni 60 sono state travolte dai consigli di fabbrica, con il periodo precedente al 68 si assistette ad un fenomeno
di spontaneismo sindacale, i consigli di fabbrica nacquero come movimenti spontanei in polemica con il sindacato tradizionale.

perchè le commissioni interne non avevano potere contrattuale?


i sindacati tradizionali avevano una certa ritrosia ad ammettere che vi potesse essere una contrattazione tra le imprese all’infuori del loro controllo,il timore di
delegare la funzione contrattuale era legato al fatto di non poter avere un quadro generale su ciò che stava avvenendo da un punto di vista contrattuale collettivo
e non poter mettere il loro controllo su questi accordi. per questo le commissioni interne non avevano potere contrattuale.

i consigli di fabbrica nascono come moto spontaneo in polemica con il sindacalismo tradizionale, rimproverando ai sindacati di vivere al di fuori del mondo
reale, non preoccupandosi delle singole imprese
anche i consigli di fabbrica nascono come le commissioni interne da un’elezione, ogni singola impresa aveva delle regole proprie perché frutto di un movimento
spontaneo; le figure principali erano:
- il delegato, portatore di interesse di un gruppo omogeneo di lavoratori, veniva conformato al processo produttivo di riferimento. poteva essere
iscritto o no al sindacato, e poteva essere revocato durante il mandato dai medesimi soggetti che lo avevano eletto(a differenza di oggi che
l’incarico dura 3 anni)
- il consiglio di fabbrica, l’organo composto da tutti i delegati della fabbrica, soggetto di rappresentanza vero e proprio. siccome il numero poteva
essere consistente poteva essere eletto un comitato elettivo ristretto (detta anche segreteria). il consiglio di fabbrica si occupa delle trattativa, delle
trattazione con la controparte aziendale,era il soggetto che si occupava delle contrattazioni con la controparte datoriale, si occupa quindi del
contratto sindacale
- l’assemblea, il momento di decisione collegiale, era composta da tutti i lavoratori di una determinata unità produttiva

si è posta la questione sulla loro soggettività giuridica: difficilmente si può inquadrare giuridicamente questo fenomeno. secondo la dottrina dell’epoca si
sarebbe trattato dell’espressione organizzata della collettività, frutto del principio organizzativo della democrazia diretta, rimarcando in questo modo la distanza
dal fenomeno associazionistico tradizionale; altri parlavano di forma di rappresentanza occasionale quindi sfornite di soggettività giuridica. questo dibattito
rimase però sullo sfondo perchè difficilmente si può inquadrare questo fenomeno durato pochissimi anni

il fenomeno dell’impulso dei consigli di fabbrica impaurirono i sindacati perché sfuggivano dalle loro mani non solo il controllo sulle fabbriche e lo scettro della
contrattazione→ in questo periodo storico si ebbe un’esplosione del contratto aziendale e una sua priorità rispetto al contratto nazionale

i consigli di fabbrica volevano una contrattazione permanente, si rinnegava un principio fondamentale della contrattazione collettiva: la contrattazione porta da
un lato la rivendicazione che porta a un risultato dall’altro la stabilità degli assetti per un tempo determinato, il datore di lavoro si mette a riparo da future
rivendicazioni su quegli argomenti per un tempo X(tregua sindacale); i consigli di fabbrica rompono questo principio attuando una contrattazione, una
rivendicazione continua, sfuggendo al controllo dei sindacati.
la grande forza e il grande impulso che avevano avuto i consigli di fabbrica aveva in qualche modo determinato una forte innovazione delle relazioni sindacali
italiane.
in quel periodo le grandi conquiste vennero fatte dagli accordi aziendali delle grandi fabbriche

il contratto nazionale si trovò quindi a rincorrere il contratto sindacale, e a recepire a livello nazionale conquiste tipiche di alcune unità produttive, in più il
timore che sfuggisse del tutto fuori di mano la contrattazione collettiva portò a un patto federativo nel 1972
patto sindacale federativo del 1972→ consiglio di fabbrica ritenuto come una struttura di base del sindacato, il consiglio di fabbrica anche se è un soggetto
esterno della struttura sindacale viene indicato come agente contrattuale. → si cercò di ricondurre questo fenomeno nell’orbita del sindacalismo tradizionale. nel
mentre vi fu lo statuto dei lavoratori, il quale non fa mai riferimento al consiglio di fabbrica perchè nemico dei sindacati.

L’ASSOCIAZIONE SINDACALE
i padri costituenti avevano costruito con l’art.39 un sistema nel quale l’estensione erga omnes dei contratti collettivi avrebbe dovuto essere realizzata sul
presupposto del riconoscimento delle associazioni sindacali, con l’attribuzione della PERSONALITA’ giuridica.
ma il sistema costituzionale di estensione generale dell’efficacia dei contratti collettivi non ha mai trovato attuazione.
pertanto le organizzazioni sindacali devono essere giuridicamente qualificate come associazioni non riconosciute, venendo regolate dagli artt.36,37 e 38 del cc;
ma si tratta di una regolamentazione del tutto insoddisfacente: le norme infatti si preoccupano meramente dell’aspetto patrimoniale tralasciando quindi la
complessità dell’ordinamento interno di un sindacato.
il principio-base di governo dell’associazione ritraibile dalle norme è quello secondo cui il sodalizio è retto dalle regole volute dagli associati, attraverso lo
ststauto e i regolamenti interni. il codice fornisce soluzione al problema della rappresentanza esterna dell’associazione conferendola a coloro cui è conferita la
presidenza o la direzione. il nodo della responsabilità patrimoniale è risolto assumendosi che i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune.
Delle obbligazioni dell’associazione rispondono comunque le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione. Le associazioni sindacali hanno
una STRUTTURA COMPLESSA, essendo raggruppate in una serie di associazioni a vari livelli sia territoriale che per categoria. Si tratta quindi di associazioni
di associazioni, al cui interno l’adesione del singolo può essere richiesta sia all’associazione di primo grado che a quella di secondo grado.
E’ diffusa nella dottrina civilistica l’idea che alle associazioni NON riconosciute siano applicabili anche le disposizioni sulle associazioni riconosciute. Occorre
peraltro osservare che tale affermazione non è condivisa da una parte della dottrina lavoristica, che delinea una sfera ancora più marcata di IMMUNITA’
DELL’ASSOCIAZIONE SINDACALE.
Tale affermazione generale è particolarmente rilevante nel nostro ambito, dal momento che consente di assumere che siano applicabili all’associazione sindacale
le regole che riguardano il RECESSO. Segue che il recesso dell’associazione nei confronti dell’associato deve ritenersi sempre LIBERO, tranne nel caso in cui
questo abbia assunto l’obbligo di farne parte a tempo determinato. Si deve precisare comunque che la struttura associativa del sindacato NON prima di natura
propriamente sindacale anche STRUTTURE NON ASSOCIATIVE. Ricevono, pertanto, tutela costituzionale anche forme organizzative a carattere
ELETTIVO.

DEMOCRAZIA INTERNA DELLE ASSOCIAZIONI


a seguito della mancata attuazione dell’art.39 si è diffusa l’idea che vuole il principio di democraticità interna previsto dalla norma costituzionale sia applicabile
anche agli attuali sindacati di fatto. altra e diversa questione è quella che riguarda la concreta gestione della democrazia interna da parte delle singole
associazioni. In materia è sovrana la disciplina statutaria che detta regole puntuali in relazione agli organi che esercitano il potere disciplinare sugli associati ed
alle procedure di contestazione ed irrogazione delle sanzioni. Usualmente gli statuti prevedono la costituzione di speciali collegi incaricati di VAGLIARE LA
CORRETTEZZA DEL COMPORTAMENTO DEGLI ISCRITTI e di irrogare le sanzioni. Ed è peraltro chiaro che può talvolta passare la repressione del
dissenso interno.

RAPPORTI ESTERNI
Per quanto riguarda i rapporti esterni occorre muovere dalla constatazione secondo cui anche all’associazione NON riconosciuta va riconosciuta la soggettività e
dunque l’associazione sindacale costituisce un autonomo centro di imputazione giuridica. Tale costatazione consente di riconoscere che l’associazione può
essere PARTE DI UN GIUDIZIO, in via autonoma rispetto ai singoli soci.
Più complicata è la questione avendo riguardo alle azioni che il sindacato intenda far valere nei confronti della controparte contrattuale per ottenere la
soddisfazione dei diritti propri, previsti da clausole c.d. OBBLIGATORIE della contrattazione collettiva. In tali situazioni, la giurisprudenza ha negato la
legittimazione del sindacato.
Una significativa evoluzione in senso contrario si è verificata nella giurisprudenza più recente, ma si tratta comunque di oscillazioni destinate a ripresentarsi
poiché direttamente conseguenti all’assetto di puro fatto.

IL SINDACATO IN ITALIA
- profilo storico
La nascita dell’associazionismo operaio in senso moderno costituisce la conseguenza del processo di industrializzazione che ha interessato il nostro paese nella
seconda metà dell’Ottocento. Sul piano giuridico esso fu reso possibile dalla soppressione delle CORPORAZIONI, nel Regno di Sardegna con lo statuto
albertino del 1848 e nel regno di italia nel 1864. Cominciarono così a svilupparsi le SOCIETA’ OPERAIE DI MUTUO SOCCORSO, che peraltro non possono
essere considerate le progenitrici delle associazioni sindacali, dal momento che da un lato ammettevano come soci sia operai che artigiani e dall’altra si
occupavano solo di assicurare sussidi economici e assistenza sanitaria gratuita.
Non a caso tale forma organizzativa cominciò ad entrare in crisi quando apparve il PARTITO OPERAIO ITALIANO, le cui strutture territoriali erano
associazioni di soli lavoratori subordinati ed avevano come scopo la lotta contro lo ‘’sfruttamento del padroni’’.
La restante parte delle leghe si ricollegò all’associazionismo propriamente sindacale.
Le prime forme organizzative sindacali si caratterizzavano quindi per essere legate ad un MESTIERE, per avere cioè come forma aggregativa l’ATTIVITA’
SVOLTA DAI LAVORATORI. Ben presto, però, il sindacato si rese conto che questa forma organizzativa non era affatto funzionale. Essa infatti non teneva
conto che all’interno del processo produttivo industriale venivano ad operare lavoratori con qualificazioni assai diverse fra loro. Così, il sindacato apprese che
aggregare i lavoratori per mestiere avrebbe prodotto divisioni e contrapposizioni e si riconvertì perciò ad un modello organizzativo che riuniva i lavoratori per
ramo di industria, prendendo cioè a case di riferimento l’ATTIVITA’ SVOLTA DALL’IMPRESA entro la quale i lavoratori dovevano operare.
Nasceva così il modello organizzativo del sindacato di categoria, avendo riguardo al settore economico produttivo nel quale operava l’impresa. In tal modo la
solidarietà di classe era ricomposta.
Le singole leghe di categoria, poi, ritennero indispensabile associarsi in una forma organizzativa nazionale che le riunisse, così nacquero le FEDERAZIONIDI
CATEGORIA. La prima categoria fu quella dei metallurgici che costituirono nel 1891 la FIOM. Nello stesso tempo nacquero anche forme organizzative a
carattere INTERCATEGORIALE, con lo scopo di fornire rappresentazione agli interessi comuni alle varie categorie lavoratrici, sia a livello locale che
nazionale. Il modello di riferimento sono le CAMERE DEL LAVORO.
Successivamente, alla fine dell’800, le Camere del lavoro rinacquero con una accentuazione del loro carattere esclusivamente sindacale ed intercategoriale.
Nel 1906 venne fondata la CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO – CGdL - , organismo confederale che riuniva le federazioni di categoria e le
locali camere del lavoro, con lo scopo statutario di assumere la ‘’direzione generale del movimento proletario’’.
Infine nel 1918 venne fondata la CIL, confederazione di ispirazione CATTOLICA che respingeva l’idea della lotta di classe e propugnava la collaborazione fra
capitale e lavoro, con l’espansione della contrattazione collettiva. L’avvento del fascismo fu caratterizzato dalla repressione delle libertà sindacali e del
pluralismo.
Con la legge del 1926 vennero sciolte le libere associazioni sindacali e la CGdL si sciolse nel 1927. Alla caduta dell’ordinamento corporativo gli esponenti
sindacali aderenti ai tre maggiori partiti –democrazia cristiana, partito comunista e partito socialista – diedero vita ad una nuova CONFEDERAZIONE
UNITARIA chiamata CGIL con il c.d. PATTO DI ROMA del 1944.
Dopo varie e complesse fasi di transazione, nel 1950 i cattolici diedero vita alla CISL, e nello stesso anno fu fondata la CISNAL, ora UGL. Le tre
confederazioni CGIL, CISL, UIL sono largamente rappresentative della maggioranza dei lavoratori italiani. Attualmente, nel nostro paese ci sono moltissime
altre sigle sindacali che si definiscono‘’AUTONOME’’.

LE FORME ORGANIZZATIVE DEL SINDACATO


essenziale la distinzione tra:
- organizzazione categoriale(o verticale)
- organizzazione intercategoriale(orizzontale)
alla prima accedono i sindacati di categoria, associazioni rappresentative dei lavoratori che operano nello specifico ramo di industria. a loro volta i sindacati di
categoria aderiscono a quelle organizzazioni di secondo livello che sono le confederazioni(parola composta che indica che tali entità costituiscono delle
federazioni di federazioni, sindacati di sindacati).
le forme di rappresentanza intercategoriale sono invece costituite a livello verticistico dalle confederazioni che raqggruppano nel loro seno tutte le federazioni di
categoria.
ambedue le diverse forme organizzative sono presenti sul territorio. avremo così:
a. un livello di base che è spesso costituito dalla rappresentanza operante nei luoghi di lavoro
b. una struttura provinciale
c. un livello regionale
d. un livello nazionale, dove operano le strutture di vertice sia delle federazioni che delle confederazioni
alla contrapposizione fra le due diverse forme organizzative(categoriale ed intercategoriale) corrisponde anche una conseguente ripartizione delle competenze:
- le federazioni di categoria hanno il compito di sottoscrivere il contratto collettivo nazionale dello specifrico settore
- alle confederazioni compete il coordinamento delle politiche sindacali

tali forme organizzative hanno segnato storicamente il superamento di quelle più risalenti che aggregavano i lavoratori in relazione al loro mestiere, ovvero su
base territoriale→ un parziale recupero di tali forme si ha oggi solo con riferimento alla rappresentanza di quei lavoratori ce non sono collocati all’interno di
unità produttive.
sul piano internazionale va segnalata la confederazione sindacale internazionale(CS) sorta nel 2006 dalla fusione di CISL e CML. nelll’ambito dell’unione
europea la confederazione europea dei sndacati(CES) e a livello europeo opera la BUSINESS EUROPE con sede a bruxelles.

L’ORGANIZZAZIONE SINDACALE DEI DATORI DI LAVORO


Venendo al sindacalismo imprenditoriale occorre notare che esso si caratterizza per essere un sindacalismo DI RISPOSTA, dal momento che il datore di lavoro
non ha bisogno di associarsi per far valere le proprie ragioni. Si usa dire che il datore è di per se stesso coalizione. E’ per questo che occorrerà attendere il 1906
per assistere alla nascita della prima organizzazione imprenditoriale definita LA LEGA INDUSTRIALE DI TORINO. Quest’ultima costituì lo schema di
riferimento per l’estensione su tutto il territorio nazionale di modelli organizzativi analoghi. Attualmente operano nel nostro paese distinte organizzazioni
datoriali in relazione ai vari settori economici. Fra le principali ricordiamo la CONFINDUSTRIA, per il settore industriale, o la CONFCOMMERCIO per il
commercio.
Nel 1957 le imprese a partecipazione statale fuoriuscirono dalla confindustria e confluirono in due soggetti autonomi, l’INTERSIND e l’ASAP. Nel pubblico
impiego è stato istituito un soggetto rappresentativo delle pubbliche amministrazioni, quale controparte dei sindacati, chiamato ARAN.
La CONFINDUSTRIA è un’associazione di associazioni, dal momento che ad essa fanno capo le varieAssociazioni degli Industriali a livello provinciale.
GLI ENTI BILATERALI
La contrattazione collettiva prevede spesso la costituzione di organismi PARITETICI, i c.d. enti bilaterali, cui attribuisce varie funzioni, normalmente
assistenziali a favore dei lavoratori. La caratteristica di tali entità è la circostanza di assumere una COMPOSIZIONE MISTA. Esse si iscrivono quindi nel
novero di istituzioni caratterizzate da INTENTI COLLABORATIVI fra le parti e non di contrapposizione di interessi.
Di recente il legislatore ha attribuito agli enti bilaterali alcune rilevanti funzioni come la possibilità di svolgere attività di somministrazione ed intermediazione,
di certificare i contratti di lavoro e gli atti a disposizione del lavoratore, di svolgere attività formativa. Inoltre con il TITOLO II del d.lgs. n. 148/2015 è stato
attribuito alla contrattazione collettiva il potere-dovere di istituire Fondi di solidarietà bilaterali per il sostegno del reddito nei settori non coperti dalla cassa
integrazione guadagni.
Siffatta attribuzione solleva non pochi problemi. In primo luogo, il vantaggio che lavoratori e imprese potrebbero ritrarre dall’attività di tali enti è un sostegno
indiretto a favore dei sindacati che ne fanno parte, indebolendo così la libertà sindacale negativa dei lavoratori.
Inoltre l’attribuzione di funzioni pubbliche potrebbe innescare CONFLITTI DI INTERESSE.

LA RAPPRESANTATIVITA’ SINDACALE
La rappresentanza è la tecnica giuridica attraverso cui le organizzazioni sindacali vengono delegate dai lavoratori alla stipulazione, per loro conto e nel loro
interesse, del contratto collettivo. La rappresentanza è un istituto giuridico antico.
la rappresentatività è un concetto SOCIOLOGICO che esprime la capacità effettiva di una determinata associazione sindacale di raccogliere e organizzare il
consenso della categoria professionale che si prefigge di rappresentare. si tratta di un concetto rilevante solo in un sistema che assicura il pluralismo sindacale,
dal momento che è solo in un contesto in cui opera la concorrenza fra sindacati di diversa ispirazione che può porsi il problema di selezionare quelli più (o
meno) rappresentativi.
Ì criteri iǹ base a quali è possibile misurare l'effettiva rappresentatività di un sindacato sono:
• La capacità di raccogliere adesioni
• Di espandersi
• Di tutelare al meglio la posizione dei lavoratori
problema, però, si pone in modo ben diverso nel momento in cui è lo stato che intente attribuire specifici poteri ai sindacati. in tale diversa situazione è evidente
che i criteri selettivi sono individuati direttamente dalla legge.

l’evoluzione della nozione “sindacato maggiormente rappresentativo”, nelle definizioni legali, può essere analizzata a partire dalle funzioni via via assegnate alla
legge dai soggetti collettivi o dai poteri che lo stato ha inteso attribuire ai sindacati.
sotto questo profilo distinguiamo:
a) funzioni e/o poteri di rappresentanza dei lavoratori all’interno di organi collegiali;
b) funzioni e/o poteri di rappresentanza dei lavoratori all’interno dell’impresa privata o nel pubblico impiego;
c) funzioni e/o poteri propriamente negoziali, che autorizzano cioè i sindacati dotati di rappresentatività a stipulare contratti collettivi nel settore
privato come in quello pubblico;
d) funzioni e/o poteri di deroga normativa alle condizioni previste dalla legge.

A.la legge prevede la partecipazione dei sindacati ad un numero di organi pubblici→ oltre ad integrare la rappresentanza in seno al CNEL(organo ausiliario di
rilevanza costituzionale), i sindacati sono presenti anche in commissioni ed organi di vario livello. la selezione di soggetti sindacali in tali contesti viene
effettuata dalla legge utilizzando espressioni varie. I criteri per la valutazione della rappresentatività sono stati variamente interpretati dalla giurisprudenza,
nell’ambito del contenzioso sviluppatosi davanti ai giudici amministrativi, dalle associazioni sindacali non ammesse alla designazione.
Una collocazione a sé occupano i CRITERI PREVISTI PER LA DELEGAZIONE SINDACALE che integra i componenti del CNEL. Secondo l’art 99 Cost tale
organo è composto da esperti e rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza
numerica e qualitativa.
La l. n. 936/1986, che ha sostituito quella del 57, ha previsto – all’art 4 – che la designazione dei rappresentanti sindacali deve avvenire da parte delle
organizzazioni sindacali MAGGIORMENTE RAPPRESENTATIVE, individuate dal Presidente del Consiglio.
Inoltre, con una indicazione al quinto comma, la norma definisce come criteri selettivi L’AMPIEZZA e la DIFFUSIONE delle strutture organizzative, la
consistenza numerica, la partecipazione effettiva alla formazione e alla stipulazione dei contratti o accordi collettivi
di lavoro e alla composizione delle controversie collettive o individuali di lavoro.

B.una svolta è quella che ha operato lo statuto dei lavoratori con riferimento alla composizione delle rappresentanze sindacali aziendali→ il legislatore all’art.19
stat. ha operato una doppia selezione: da una parte ha escluso di affidare la rappresentanza dei lavoratori nell’impresa ad un organismo eletto dai lavoratori, AL
DI FUORI DEL SINDACATO, ed ha inteso invece riferirsi alle associazioni sindacali esterne . dall’altra ha riferito la maggiore rappresentatività non a livello
categoriale ma a livello intercategoriale e confederale→ ne segue che le associazioni sindacali categoriali aderenti alle grandi confederazioni(CGIL, CISL, UIL)
sono state autorizzate a costituire RSA anche se nell’ambito di quella specifica categoria produttiva non fossero state dotate di rappresentatività a fronte di altre
associazioni sindacali autonome.
un blando correttivo è costituito dalla lettera b) dell’art.19 che conferisce il potere di costituzione delle RSA anche ai sindacati purchè firmatari di contratti
collettivi applicati all’unità produttiva. il che significa che il sindacalismo autonomo(ovvero non confederale) avrebbe dovuto conquistare sul campo la propria
legittimazione, senza godere di sostegno legislativo.
si è parlato di RAPPRESENTATIVITA’ PRESUNTA→ e di tutela di interessi più ampi, a fronte di quelli settoriali.
Ciò che conta è che il criterio in questione ha subìto un’eclissi per via della crisi di rappresentatività delle grandi confederazioni, indotta dai mutamenti dei
sistemi produttivi, che – oltre a ridurre il peso dei lavoratori subordinati – ha anche frammentato questi ultimi in gruppi diversificati e spesso in conflitto tra loro.
Il referendum abrogativo dell’art 19 dello statuto, svoltosi nel 1995, ha in qualche modo formalizzato tale crisi. I promotori del referendum formulavano due
opzioni alternative: l’abrogazione integrale del collegamento fra RSA e sindacato esterno OPPURE la eliminazione del privilegio delle grandi confederazioni.
L’esito della consultazione ha bocciato la prima opzione e avallato la seconda, abrogando la lettera a) della norma ma tenendo la lettera b), seppur con
formulazione ridotta. Ne consegue che oggi le RSA possono essere costituite solo nell’ambito dei sindacati firmatari dei contratti collettivi applicati nell’unità
produttiva.
Dal punto di vista pratico, il risultato referendario non cambia la sostanza delle cose, dal momento che i sindacati aderenti alle grandi confederazioni sono
firmatari dei contratti collettivi di tutte le categorie produttive. Ciò che viene meno è il SOSTEGNO APRIORISTICO
a favore del sindacalismo confederale, il quale è onerato di conquistarsi sul campo la propria rappresentatività.

Un significativo banco di prova delle discussioni sulla rappresentatività presunta è costituito dalla selezione dei soggetti abilitati a costituire RSA nel
PUBBLICO IMPIEGO in tale ambito, il diritto alla loro costituzione spetta alle organizzazioni sindacali ‘’ammesse alle trattative per la
sottoscrizione dei contratti collettivi’’, che sono i sindacati che ‘’abbiano nel comparto o nell’area una rappresentatività non inferiore al 5%’’ allo scopo di
determinare tale percentuale viene in considerazione la MEDIA fra il dato associativo ( percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali) ed il
dato elettorale (risultante della percentuale dei voti ottenuti nella elezione delle rsa). Vengono così meno sia il criterio della rappresentatività presunta del
sindacalismo confederale, sia quello della stipulazione dei contratti collettivi→ la selezione dei soggetti rappresentativi è affidata ad indici di consistenza
numerica ed al dato elettivo, PREDEFINITI DALLA LEGGE, mentre nel settore privato il dato della stipulazione dei contratti è affidato ai contingenti rapporti
di forza.
il modello proprio del pubblico impiego è stato tendenzialmente esportato anche nel settore privato a seguito della sottoscrizione del TESTO UNICO sulla
RAPPRESENTANZA, sottoscritto da confindustria, CGIL, CISL e UIL nel 2014. questo TU del 2014, che raccoglie le previsioni contenute nell’accordo
interconfederale del 2011 e del protocollo del 2013, prevede infatti che – nell’ambito di applicazione dei CCNL – siano
ammesse alla contrattazione le federazioni che abbiano una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tal fine la media fra dato associativo e dato
elettorale.
Sotto tale profilo, il TU del 2014 riconosce una delicata funzione al CNEL, cui devono essere inviati i dati relativi al numero delle deleghe e i dati elettorali. Va
peraltro aggiunto che, data l’incerta sorte dello stesso CNEL, le parti sociali si sono accordate per una MODIFICA del TU
sulla rappresentanza del 2014, trasferendo all’INPS le funzioni relative alla raccolta dei dati elettorali ed alla sua ponderazione con il dato associativo.

C. vi è poi un filone normativo che affida poteri negoziali ai sindacati nel contesto delle crisi di impresa e delle ristrutturazioni→ in tali situazioni viene evocata
la competenza delle RSA, e, in mancanza di esse, delle “associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano
nazionale”

D. Vi è infine il filone normativo che riguarda l’attribuzione al contratto collettivo di poteri di deroga e/o integrazione della disciplina che regola il rapporto di
lavoro. Questo più recente filone valorizza la nozione di SINDACATO COMPARATIVAMENTE PIU’ RAPPRESENTATIVO il legislatore presuppone che,
nell’ambito della medesima categoria, vengano stipulati più contratti collettivi ed individua come criterio di scelta fra i contratti da applicare quello della
STIPULAZIONE DA PARTE DI ASSOCIAZIONI CHE COMPARATIVAMENTE SIANO DOTATE DI MAGGIORE RAPPRESENTATIVITA’ RISPETTO
AD ALTRI.
Si tratta di un criterio che non viola l’art 39 cost, dal momento che la legge non attribuisce efficacia erga omnes al contratto collettivo in questione, ma
conferisce il potere di deroga solo ad alcuni contratti collettivi e non ad altri.
Semmai l’aspetto problematico è quello di individuare i criteri da utilizzare per effettuare la comparazione fra i sindacati. Gli indici ampiamente elaborati per
individuare il sindacato maggiormente rappresentativo – quali ad es la diffusione sul territorio nazionale – non appaiono trapiantabili di peso in questo diverso
contesto. Essi non esprimono infatti un giudizio comparativo, ma per c.d. un giudizio assoluto.
Ne consegue che si avverte l’ASSENZA di una indicazione normativa riguardi i criteri selettivi utilizzabili che consenta di mediare fra il dato puramente
associativo e la capacità di aggregare consenso ANCHE AL DI FUORI DEGLI ASSOCIATI.

LA PARTECIPAZIONE DEL SINDACATO A FUNZIONI PUBBLICHE


il sindacato è in primo luogo un organo col potere di designare rappresentanti in seno ai vari organi pubblici→ l’esempio più rilevante è quello che riguarda la
rappresentanza in seno al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), che è un organo di rappresentanza delle categorie produttive che ha le
funzioni consultive del Governo e del Parlamento ed ha anche poteri di iniziativa legislativa in materia di ‘’legislazione economica e sociale’’.
Le associazioni sindacali sono inoltre presenti in COMMISSIONI ED ORGANI DI VARIO LIVELLO nell’ambito del collocamento e della gestione del
mercato del lavoro, in organi di gestione degli enti previdenziali, in commissioni per il lavoro a domicilio etc.
Ciò che si sottolinea è che la funzione che svolgono i sindacati si differenza dal tradizionale ruolo di autotutela collettiva (art 39 cost) nell’integrare gli organi
pubblici, i sindacati espletano infatti funzioni di RAPPRESENTANZA DI INTERESSI PIU’ GENERALI rispetto a quelli che fanno da sfondo alla loro tipica
azione contrattuale. Inoltre, negli anni più recenti è stata criticata l’idea che il sindacato possa efficacemente rappresentare gli interessi generali in seno ad organi
che svolgono funzioni pubbliche.

LA CONCERTAZIONE SOCIALE
tradizionalmente il sindacato esercita la propria funzione di rappresentanza degli interessi dei lavoratori in una dimensione di contrapposizione alla controparte
datoriale, contribuendo a determinare le regole che governano i rapporti di lavoro attraverso gli strumenti di autotutela collettiva→ su un piano separato si
svolge invece l’azione dello stato sociale che predispone interventi diretti a proteggere i lavoratori e/o ad orientare la politica economica.
l’azione sindacale, in questo caso, tende ad invadere il territorio tipico dell’azione politica.
questo quadro di riferimento è destinato a cambiare nel momento in cui fattori esterni ai soggetti sindacali mettono in crisi il sistema economico→ questo è
quanto è accaduto con la crisi petrolifera nei primi anni 70. Le trasformazioni del sistema economico che sono state conseguite a quella
crisi hanno inaugurato una stagione di forte intervento legislativo nell’economia sia per contenere il salario e lottare contro l’inflazione e sia per attenuare i gravi
effetti della crescente disoccupazione. I governanti di tutti i paesi industrializzati si sono resi conto che interventi simili non potevano più essere imposti dall’alto
ne è derivata la necessità dello stato di aprirsi al dialogo con i corpi sociali, allo scopo di assicurarsene il
consenso su interventi normativi diretti ad imporre misure economiche pesantemente restrittive delle condizioni di vita e su politiche che mirano ad influenzare e
limitare l’azione sindacale.
Questa nuova metodologia di costruzione delle politiche pubbliche si usa definire come CONCERTAZIONE SOCIALE.
La specificità di tale metodo consiste nella circostanza che lo stato sottopone al vaglio preventivo ed al consenso delle parti sindacali le MISURE DI POLITICA
ECONOMICA, FISCALE, DI INVESTIMENTI ETC., che intende tradurre in legge. Si parla, infatti, di NEGOZIAZIONE LEGISLATIVA (alludendo al fatto
che ci si trova di fronte ad una tecnica nuova di formazione della legge).

profilo evolutivo:
→ la concertazione ha preso le mosse in occasione della crisi petrolifera negli anni 70. all’epoca non venne formalizzato alcun patto triangolare(stato/sindacati
lav/sindacati dat), ma le parti sociali assunsero gli obiettivi di politica economica di riduzione dell’inflazione, attraverso la stipulazione dell’accordo
interconfederale del 77
→ Negli anni 80, risale il vero e proprio accordo triangolare, il c.d. PROTOCOLLO SCOTTI (1983) Con tale intesa, il governo si impegnava ad introdurre
disposizione di riforma in materia previdenziale in cambio dell’impegno delle parti sociali di rivedere i meccanismi di indicizzazione del salario.
→ Dall’anno dopo, il metodo della concertazione entrò in crisi l’ACCORDO del 1984 (voluto dal governo Craxi) non fu infatti sottoscritto dalla CGIL. La
legge che ne seguì (219/1984)superò il vaglio di legittimità della corte costituzionale e il successivo referendum abrogativo – proposto dalla CGIL – ebbe esito
negativo. Seguì un periodo di quiescenza della concertazione
→ Un momento importante è costituito dal PROTOCOLLO CIAMPI-GIUGNI del 1993
→ La concertazione è, poi, proseguita nel corso dell’ultimo ventennio:L’ACCORDO del 1996 (ministro del lavoro Trau) per contenere la disoccupazione; il
PATTO SOCIALE PER LO SVILUPPO E L’OCCUPAZIONE del 1998 (governo d’Alema) ecc.
Un momento di discontinuità delle politiche concertative è costituito dal PATTO PER L’ITALIA del 2002,voluto dal governo Berlusconi nonostante il dissenso
della CGIL esso ha costituito il programma sul cui calco è stata poi emanata la riforma del mercato del lavoro.
Un minore rilievo spetta al ‘’verbale’’ del 2016, con cui il governo assume una serie di impegni destinati ad essere messi in una futura legislazione in materia
fiscale e previdenziale. Poi, una sorta di sotto-tipo degli accordi trilaterali sono i c.d. STRUMENTI DI PROGRAMMAZIONE NEGOZIATA: i patti territoriali
e i contratti d’opera. Con i primi si perseguono obiettivi di sviluppo economico, mentre con i secondi si cerca di promuovere l’occupazione in aree del paese
particolarmente svantaggiate.

LA RAPPRESENTANZA SINDACALE NEI LUOGHI DI LAVORO


1. assetto storico pre-statuto
L’organizzazione sindacale, nata in fabbrica, si è presto spostata sul territorio dove ha radicato strutture organizzative dirette alla rappresentazione di interessi
collettivi di vaste categorie di lavoratori, in FORMA ASSOCIATIVA in particolare, il sindacato italiano ha trascurato la rappresentanza all’interno dell’impresa
e tale vuoto è stato colmato da entità rappresentative, sganciate da ogni riferimento all’associazione esterna.
L’espressione più caratteristica di questa forma organizzativa è la COMMISSIONE INTERNA, che venne regolata per la prima volta nello storico accordo del
1906 tra FIOM e la fabbrica di automobili in Italia con il PATTO DI PALAZZO VIDONI del 1925 le commissioni interne vennero soppresse e successivamente
ripristinate con l’ACCORDO DI BUOZZI-MAZZINI del 1943. Alla loro regolamentazione si procedette, nel dopoguerra, con ACCORDI
INTERCONFEDERALI del 1947, 1953 e 1966. Le commissioni interne (c.i.) erano organismi eletti dai lavoratori dell’impresa a suffragio universale, su liste
contrapposte; i seggi venivano ripartiti con il metodo proporzionale. Alla formazione delle liste contribuivano sia lavoratori aderenti a sindacati sia lavoratori
non iscritti.
Le commissioni interne svolgevano azione sostanzialmente sindacale, anche se non erano organi di sindacato. La loro presenza nelle fabbriche ancora a fine
degli anni 60 è testimoniata dallo stesso statuto dei lavoratori esso affida alle c.i. funzioni di contropotere sindacale nell’impresa, ma solo nel caso di mancata
costituzione delle RSA. Ai membri ed ai candidati alle elezioni delle commissioni interne sono inoltre riconosciute GUARENTIGIE analoghe a quelle dei
sindacalisti interni.
Un primo tentativo di superamento delle c.i. si ebbe con l’istituzione delle SEZIONI SINDACALI AZIENDALI (s.a.s.) che erano una forma organizzativa che
ripudiava il meccanismo di rappresentanza di tipo elettivo delle commissioni interne per basarsi sul PRINCIPIO ASSOCIATIVO. Esse però non ebbero grande
diffusione…
La svolta si ebbe nel biennio 1968/1969 nel corso del quale vennero introdotti: I DELEGATI ED IL CONSIGLIO DI FABBRICA. Si può, quindi, dire che i
DELEGATI erano soggetti rappresentativi dei lavoratori appartenenti ad un medesimo ‘’gruppo omogeneo’’, cioè dei lavoratori che operavano nel medesimo
settore produttivo, che avevano quindi una solida comunanza di interessi. Non necessariamente il delegato era espressione di un sindacato, ANZI all’inizio i
delegati nacquero in aperta contestazione del sindacalismo tradizionale. I
delegati di una determinata unità produttiva si riunivano, poi, nel CONSIGLIO DI FABBRICA. I sindacati confederali (CGIL, CISL, UIL) – riuniti in un patto
federativo – riconobbero ai consigli di fabbrica poteri ‘’contrattuali’’ all’interno dell’impresa, senza peraltro definire con chiarezza sia i rapporti verso la base
che quelli verso il sindacato esterno. In virtù del patto federativo, che riconosceva i consigli di fabbrica come struttura base del sindacato, a questi ultimi nella
contrattazione collettiva vennero attribuiti diritti ed i poteri delle RSA. Inoltre la rottura del patto federativo tra le confederazioni, avvenuta nel 1984, fece
crollare i consigli di fabbrica e le varie sigle sindacali si orientarono verso la costituzione di autonome e separate RSA.

2. l’autunno caldo e lo statuto dei lavoratori


Rispetto al tema della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro lo statuto dei lavoratori rappresenta un ineludibile spartiacque la legge del ’70, infatti, per la
prima volta da un supporto normativo a tale forma di rappresentanza.
Per comprendere la scelta del legislatore del 1970 è necessario inquadrare storicamente la situazione è ben noto il quadro socio-politico di riferimento: sono gli
anni della contestazione, che muove dalle aule universitarie e si propaga alle fabbriche.
La critica contestataria non investe solo i ‘’padroni’’ e lo stato, ma si estende a tutte le istituzioni ‘totalizzanti’, fra cui la fabbrica ma ANCHE IL SINDACATO.
Si sperimentano così forme di DEMOCRAZIA DIRETTA di matrice ASSEMBLEARE, in cui la situazione dei conflitti è affidata non alla mediazione di
soggetti rappresentativi, ma direttamente alla ‘’base’’. Le tradizionali forme organizzative del sindacato vengono scavalcate da coalizioni occasionali di
lavoratori: i delegati di reparto di gruppo omogeneo, i c.u.b. (comitati unitari di base), etc insomma, tutte forme di
rappresentanza non associative e spontanee.
La descritta situazione non mancò di influire sulla discussione relativa alla introduzione di una carta dei diritti dei lavoratori nell’impresa.
Il progetto che iniziò il suo iter parlamentare nel giugno del 1969 nasceva su basi ben diverse e teneva conto della sopravvenuta situazione sindacale e sociale,
ferma l’idea che lo statuto dei lavoratori dovesse garantire nei luoghi di lavoro l’affermazione dei diritti di libertà ed attività sindacale, si poneva la questione del
MODELLO DI RAPPRESENTANZA DA COSTRUIRE.
Le alternative erano due:
1. Il legislatore avrebbe potuto affidare la rappresentanza dei lavoratori nell’impresa a coalizioni spontanee scelte di volta in volta dai lavoratori
oppure da organismi elettivi dei lavoratori stessi, in entrambi i casi al di fuori di ogni collegamento con le organizzazioni sindacali esterne
all’impresa.
2. La scelta avrebbe potuto cadere su una rappresentanza collegata al sindacato esterno.

L’opzione legislativa cadde su quest’ultimo modello fu una scelta per c.d. ISTITUZIONALE, che ripudiava forme di democrazia sindacale diretta
(assembleare), per privilegiare una democrazia di tipo rappresentativo.

le RSA:
art.19 crea le rappresentanze sindacali aziendali (RSA) → unica forma legale di rappresentanza nelle imprese, unico soggetto di rappresentanza nato per legge.
sono organizzazioni non riconosciute dotate di una propria soggettività giuridica e con una legittimazione processuale. Secondo l’art 19 dello statuto dei
lavoratori, RSA possono essere costituite ‘’ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva’’ nell’ambito:
1- delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
2- delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati all’unità produttiva.
Inoltre, nell’ambito delle imprese con più unità produttive, le RSA possono costituire organi di coordinamento.
Per quanto riguarda il rapporto fra i lavoratori dell’impresa ed il sindacato esterno, la norma lascia la massima libertà, limitandosi a stabilire che le RSA debbano
essere costituite ‘’ad iniziativa dei lavoratori’’.
Inoltre, la circostanza che la scelta debba essere operata ‘’nell’ambito’’ di taluni sindacati è altrettanto rispettosa della libertà nei rapporti
lavoratori/associazione, prescindendo dalla necessità ad esempio che i membri della RSA siano iscritti al sindacato ciò che conta, in pratica, è che la
rappresentanza sia RICONOSCIUTA dal sindacato esterno come propria. infatti, lo statuto ha voluto privilegiare i sindacati di
categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative, attribuendo loro una patente di rappresentatività del tutto avulsa dalla verifica concreta
della sua effettività nello specifico settore produttivo.
I sindacati autonomi trovavano uno spazio nell’art 19 esclusivamente nel caso in cui fossero stati sottoscrittori di contratti collettivi – nazionali o provinciali –
effettivamente applicati nell’unità produttiva.

la formula utilizzata dal legislatore per definire questi soggetti di rappresentanza non vuole essere selettiva di uno specifico modello organizzativo, e la legge
nemmeno avrebbe potuto fare una cosa di questo genere, perchè era impedito dal principio di libertà sindacale; il legislatore adottò semplicemente un modello
organizzativo attribuendogli specifici vantaggi in modo da incentivarne l’utilizzo. vennero attribuiti a questi soggetti specifici vantaggi per incentivare questa
scelta di rappresentanza all’interno delle imprese.
il titolo terzo viene inserito nella c.d. legislazione di sostegno perchè crea un canale preferenziale per alcuni soggetti con l'attribuzione di specifici compiti, diritti
e protezioni
L’opzione di politica del diritto, della legge del ’70, è stata oggetto di verifica di costituzionalità. Anzitutto si è lamentata la violazione del principio di
eguaglianza, per la promozione solo di una rappresentanza espressione dei sindacati, e inoltre ci si è lamentati per la scelta di quei sindacati in generale, si è
lamentato il carattere eversivo dei criteri utilizzati per la selezione dei soggetti sindacali a fronte di quelli fatti propri dall’art 39 cost.
Allora la corte costituzionale, chiamata più volte a pronunciarsi, ha sempre definito legittima la scelta con la prima storica decisione del 1974, la Corte giustificò
quel privilegio per il sindacalismo confederale in termini di ragionevolezza (in relazione all’art 3 cost), rilevando che quei sindacati fornivano garanzie di
solidità di impianto e storica rappresentanza degli interessi dei lavoratori e, inoltre, che la scelta di affidarsi
ai sindacati esterni anziché a coalizioni spontanee impediva una FRAMMENTAZIONE DELLA RAPPRESENTANZA.
La violazione dell’art 39 cost venne poi esclusa, sul presupposto che lo statuto assicurava comunque la tutela della libertà sindacale dei singoli, mentre la scelta
selettiva era giustificata dall’attribuzione di SPECIFICI DIRITTI, ulteriori rispetto alla mera garanzia di libertà.
L’orientamento della corte venne poi confermato in successive pronunce

il testo attuale dell’art.19 è diverso da quello di una volta→


nel 95 l’art.19 dello statuto è stato poi sottoposto a referendum che eliminò la lettera a) della disposizione legale e le parole”nazionali e provinciali” dalla lettera
b), eliminando il privilegio conferito al sindacalismo confederale(lettera a) e si è lasciata possibilità di costituire RSA solo a favore dei sindacati firmatari di
contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, quale che sia il livello di estensione: nel testo originario si affermava che le RSA potevano essere costituite dai
lavoratori solo in due casi:
a. fra soggetti firmatari di contratti collettivi nazionali o provinciali applicati nell’unità produttiva(rappresentatività tecnica) → introdotta per ampliare
i soggetti che potevano costituire RSA
b. fra soggetti aderenti a sindacati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale(rappresentatività storica) → il legislatore seleziona le sigle
sindacali storicamente radicate
in primo luogo non vi era elezione(nascono ad iniziativa dei lavoratori) e l’iniziativa poteva venire solo da quei due gruppi di soggetti.

ci sono stati vari problemi di legittimità costituzionale:


il primo problema è legato al testo della norma:
“possono creare soggetti di rappresentanza” → era una previsione legale secca oppure derogabile dalle parti?la norma non impedisce la costituzione di forme di
rappresentanza diverse da quelle predefinite si limita ad individuare i destinatari di questa normativa di sostegno. la norma ha carattere definitorio, anche se una
sentenza della corte costituzionale ha parlato di carattere permissivo(nel senso che anche con il consenso del datore di lavoro, non si potrebbe avere la fruizione
di quei diritti stabiliti dal titolo III da parte di soggetti diversi da quelli indicati).

il secondo problema è legato all’equità e regionevolezza della disposizione:


art.3 costituzione in ordine al differente trattamento che hanno alcuni sindacati rispetto ad altri: la corte ha affermato che è del tutto razionale la scelta legislativa
perché imponendo oneri consistenti in capo al datore del lavoro non si possono attribuire a tutti questi diritti, perché sennò si determinerebbe l’ingestibilità
dell’impresa.
la corte ha poi salvaguardato la disciplina del titolo terzo dello statuto dei lavoratori, in particolare l’art.19, affermando che non vi è disparità di trattamento tra
sindacati, perchè sono stati selezionati questi soggetti sulla base di caratteristiche diverse rispetto agli altri, il punto di partenza è diseguale.
infine attribuire specifici vantaggi a taluni soggetti invece che ad altri ,non cozza con il principio di eguaglianza, perchè attribuisce ulteriori tutele ma gli altri
non rimangono privi di tutele, le altre norme dello statuto sono riferiti a tutte le organizzazioni sindacali.

con queste considerazione è stato ritenuto legittimo costituzionalmente il testo dell’articolo 19.
da un punto di vista pratico l’ingiustizia però stava in questo: vista la chiusura della norma e il suo carattere poteva avere il permesso sindacale solo ad esempio
il sindacato della cgil ma non un altro sindacato meno rappresentativo, ci poteva essere una situazione non equa dal punto di vista dei soggetti rappresentati, e
soprattutto mancava l’istanza elettiva.

nel 94 vi sono stati 4 referendum, di cui uno riguarda l’art.19:


in un primo proposito si proponeva di abolire la rappresentatività storica e tecnica con l’effetto che potevano nascere infinite rsa, tuttavia questo progetto non
passò; un secondo referendum invece venne approvato: stabilendo di eliminare la rappresentatività storica e modificare la rappresentatività tecnica, eliminando
l’inciso nazionali o provinciali.
quindi attualmente può costituire rsa i soggetti firmatari di un contratto collettivo dell'unità produttiva.
quindi levando la locuzione nazionale o provinciale ora è sufficiente anche la sottoscrizione di un contratto aziendale per poter costituire un RSA → l’effetto è
che, attraverso un rapporto di forza,si crea una sorta di autoaccreditamento di quel soggetto, che se riesce sul campo a sottoscrivere un contratto collettivo(anche
aziendale) che si applica a quella determinata unità produttiva può costituire un RSA, quindi si premia l’effettività della rappresentanza del soggetto e la sua
capacità di porsi come interlocutore sindacale.
il referendum del 94 produce un minimo spostamento del sindacato tradizionale mentre per gli altri soggetti vale la legge del più forte, chi ha maggior capacità
di imporsi come referente sindacale, ha il diritto a costituire un rsa.
il testo attuale è più coerente con il sistema sindacale italiano che si costituisce con rapporti di forza.

le problematiche nate in riferimento al nuovo testo:


● cosa significa firmatari di contratti collettivi? il contratto collettivo si può firmare in vari modi:
- si può firmare all’esito di un procedimento, con un iter ordinario.
- però si può sottoscrivere anche per adesione, cioè aderendo ad un'iniziativa conclusasi con un accordo fatto da altri→ la giurisprudenza
afferma che questo non può essere veicolo per costituire le rsa, dovendo partecipare per forza alle trattative

La formulazione dell’art 19 post-referendaria, per molto tempo, ha superato il vaglio di costituzionalità. Fino al luglio 2013, la Corte costituzionale aveva infatti
riaffermato la ragionevolezza del criterio della ‘’sottoscrizione dei contratti collettivi’’, criterio che alludeva all’effettiva partecipazione all’attività di
negoziazione, a condizione che si trattasse di CONTRATTI NORMATIVI, contenenti la regolazione di rapporti di lavoro e non di accordi occasionali o
settoriali (a livello aziendale). però, nel 2013 la Consulta ha ribaltato l’orientamento precedente, rilevando come il testo dell’art 19 dello statuto dei lavoratori
riflettesse un assetto storicamente datato delle relazioni sindacali e che il criterio della ‘’sottoscrizione dei
contratti collettivi’’ si era trasformato in meccanismo di esclusione di soggetti altamente rappresentativi.

La vicenda concreta che ha portato all’incostituzionalità è la seguente: la FIAT, dopo essere uscita dal sistema confindustriale ed aver disdettato il contratto
collettivo nazionale, aveva sottoscritto un contratto AZIENDALE solo con alcune oo.ss, con l’opposizione della FIOM, organizzazione altamente
rappresentativa,che aveva rifiutato di sottoscriverlo.
Proprio in ragione della mancata sottoscrizione del contratto collettivo, la FIAT non aveva consentito all’organizzazione dissenziente la costituzione di una RSA
e l’esercizio dei diritti sindacali previsti dallo statuto la corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art 19 comma1 lettera b) nella parte in cui NON
prevede che la rappresentanza sindacale possa essere costituita nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati
all’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori.

La Corte Costituzionale il 3 luglio ha dichiarato incostituzionale il primo comma dell'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori. Secondo i giudici vengono violati
gli articoli 2, 3 e 39 della Carta ovvero il principio solidaristico, quello di uguaglianza e quello della libertà sindacale.
L’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori è incostituzionale quando non consente la rappresentanza sindacale alle sigle che non hanno firmato un contratto. Era il
3 luglio quando la Corte Costituzionale ne aveva dichiarato l’illegittimità. Oggi i giudici spiegano il motivo del verdetto: consentendo la rappresentanza
sindacale aziendali ai soli sindacati firmatari del contratto applicato in azienda, l’articolo 19 dello statuto dei lavoratori contrasta coi “valori del pluralismo e
libertà di azione della organizzazione sindacale”. → subordinare la costituzione delle rsa alla effettiva sottoscrizione del contratto a seguito della partecipazione
alla contrattazione significherebbe indurre la sigla sindacale a dover comunque accettare il contenuto di quel contratto per costituite o salvare le rsa in azienda
violando l’art.39, sarebbe obbligata a sottoscrivere per non perdere la sua rappresentanza.
→ Per la corte in buona sostanza il dato della sottoscrizione del contratto collettivo – per individuare soggetti abilitati alla costruzione di RSA – non va inteso in
senso formale, ma deve essere comprensivo di una seria partecipazione alle trattative (restando libera l’organizzazione sindacale), all’esito di queste e per
ragioni di opportunità politica, di non sottoscrivere il patto. il dato della sottoscrizione rischierebbe di trasformarsi in un meccanismo di esclusione di un
soggetto rappresentativo a livello aziendale, con violazione sia del principio di eguaglianza sia dello stesso art 39 cost, perché fortemente penalizzante della
libertà di azione sindacale.

dopo questa sentenza possono costituire le rsa: coloro che siano firmatari di contratti collettivi applicati a tale unità produttiva, o comunque anche coloro che
non sono firmatari del contratto collettivo ma che abbiano partecipato alle trattative, e che quindi siano stati ammessi come interlocutori sindacali n una delle
trattative che hanno comportato la nascita di un contratto collettivo applicato a quell’impresa.

nonostante il testo dell’art sia cambiato, rimane il deficit di democraticità legato all’assenza della componente elettiva

● a quali contratti collettivi ci si riferisce? la giurisprudenza ha chiarito che il riferimento normativo deve essere inteso a un contratto che abbia
funzioni normative applicato all’unità produttiva e che regoli in modo organico i rapporti di lavoro.

14-10
L’introduzione per via legislativa della forma di rappresentanza regolata dall’art 19 st lav lasciava aperti dei problemi sia nei rapporti interni fra i sindacati sia in
quelli con il datore in primo luogo essa non attenuava la tensione interna alle varie componenti sindacali. Inoltre, un’altra contrapposizione era costituita dal
riconoscimento del reciproco peso all’interno delle rappresentanze di tipo unitario (es consigli di fabbrica), oscillante tra il proporzionalismo (propugnato da
CGIL) e il principio paritario (fatto proprio dalla CISL). La rottura del patto federativo fra le confederazioni (1984) condusse al superamento dell’esperienza
della rappresentanza unitaria dei consigli di fabbrica. Il che portò alla moltiplicazione delle RSA, con la conseguenza di rendere faticosa la gestione delle
relazioni industriali.
In questo clima di intemperie, maturò il PROTOCOLLO CIAMPI-GIUGNI del 1993 nell’ambito della complessiva risistemazione delle relazioni industriali le
parti stipulanti il Protocollo vollero collocare anche la revisione della materia della rappresentanza sindacale nell’impresa, con la costituzione di un nuovo
organismo: LE RAPPRESENTANZE SINDACALI UNITARIE. Alla regolamentazione di tale nuova forma di
rappresentanza, provvide un apposito accordo interconfederale sottoscritto nel 1993 da CONFINDUSTRIA, INTERSIND, CGIL, CISL, UIL. Alla stregua di
tale accordo, le organizzazioni sindacali firmatarie hanno diritto di costituire le RSU, secondo alcune modalità precise, rinunciando a costruire però proprie
RSA. Le RSU nascono quindi istituzionalmente come strutture sostitutive della rappresentanza prevista dallo statuto, e
subentrano a quest’ultima nella ‘’titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni’’ che la legge assegna alle RSA.

iniziano a crearsi le rsu all’interno dei luoghi di lavoro: l’accordo interconfederale afferma che le prerogative e le garanzie previste nel titolo III dello statuto dei
lavoratori, si applicano anche alle RSU, quindi il membro delle rsa e il membro delle rsu hanno gli stessi diritti.
si creano però una serie di problematiche:
a. problema interpretativo: in questo accordo del 93 si fa confusione nel traslare i diritti in capo al nuovo soggetto di rappresentanza: l’art.4 afferma
che i componenti delle rsu subentrano ai dirigenti(ovvero i componenti) delle rsa nella titolarità dei diritti del titolo III, l’art.5 afferma invece che le
rsu subentrano alle rsa nella titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni: in un caso chi subentra nei diritti paiono essere i singoli componenti
delle rsu, nel secondo caso sembra che subentri l’organo unitario, quindi ad es. chi è convoca un’assemblea? bisogna guardare all’art.4 o all’art.5?
da un punto di vista pratico sciogliere questo nodo era molto rilevante, la cassazione ha affermato la prevalenza dell’art.4.
b. sopravvivenza delle rsa: in alcune realtà produttive abbiamo ancora le rsa al posto delle rsu, ma la cosa più paradossale è che in alcune situazioni
troviamo la sovrapposizione tra rsa e rsu, quindi potrebbe accadere che anche laddove si opti per il modello delle rsu possano sopravvivere le rsa
che vanno di pari passo con le rappresentanze sindacali unitarie

le RSU: sono un sogg. di rappresentanza che dovrebbe far pensare a un’unità di intenti, ma nella pratica proprio in relazione alla trasposizione dei vari diritti in
capo alle rsa in capo alle rsu ciò ha causato vari problemi.

i sindacati che hanno sottoscritto il protocollo del 93 si sono impegnati a promuovere questa forma di rappresentanza e a non costituire altre forme di
rappresentanza sindacale. questo protocollo si fonda sul mutuo riconoscimento e sul rispetto della parola data dai soggetti che si sono impegnati.

come nasce un RSU? l’iniziativa parte o dalle rsu uscenti, oppure su iniziativa dei firmatari del protocollo del 93. possono anche essere delle liste proposte dagli
stessi lavoratori che raccolgono più del 5% dei lavoratori dell’unità produttiva.

La materia è stata oggetto di recente revisione per effetto dell’ACCORDO INTERCONFEDERALE del 2011 e del PROTOCOLLO DI INTESA del 2013,
entrambi sottoscritti da confindustria, CISL, UIL e CGIL. La regolamentazione è confluita oggi nel TESTO UNICO sulla RAPPRESENTANZA SINDACALE
del 2014 che, per espressa previsione, ‘riprende’ la disciplina contenuta nell’A. I. del 1993, anche alla luce delle modifiche apportate all’A. I. del 2011 e al
PROTOCOLLO del 2013. L’A. I. del 1993 risolveva in modo originale la questione dei rapporti fra la base di lavoratori dell’impresa ed il sindacato esterno,
operando un compromesso fra designazione verticistica e metodo elettivo. Alla costituzione delle RSU si procedeva, infatti, per due terzi dei seggi mediante
elezione con suffragio universale e scrutinio segreto fra liste concorrenti e per il restante terzo con assegnazione alle liste presentate dalle associazioni sindacali
firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’unità produttiva e alla sua copertura si procedeva o con elezioni o con designazione, in
proporzione ai voti ricevuti.
Il testo unico del 2014, superando tale impostazione, prevede che alla costituzione delle RSU si proceda mediante elezione a suffragio universale e a scrutinio
segreto fra liste concorrenti. Il numero dei componenti è variabile e crescente in proporzione.
le elezioni sono su liste, vi deve essere un quorum minimo del 50 % dei votanti. e i soggetti votati restano in carica 3 anni.
nell’accordo del 93 era prevista una ripartizione dei seggi diversa da quella di oggi(riserva del terzo, oggi eliminata)→ ⅔ dei seggi erano ripartiti alle liste in
proporzione ai voti, ⅓ veniva ripartito fra le sigle affiliate ai firmatari del contratto nazionale con assegnazione libera da parte dei sindacati. oggi i lavoratori
scelgono tutti i loro rappresentanti sulla base delle liste e nelle liste sulla base dei meccanismi di preferenza.

chi può partecipare alle elezioni? il protocollo del 93 fa una distinzione:


- i soggetti affiliati ai firmatari del protocollo
- i soggetti non affiliati, ma che hanno raccolto almeno il 5 % di firme del numero di dipendenti dell’unità produttiva
- i soggetti non affiliati, ma sottoscrittori del contratto nazionale di lavoro di quel settore produttivo
Le associazioni non firmatarie devono comunque: a) accettare espressamente e formalmente i contenuti del TU del 2014, dell’A.I del 2011 e del Protocollo del
2013; b)presentare una lista che sia corredata da un numero di firme di lavoratori dipendenti non inferiore al 5% dei lavoratori aventi diritto al voto nelle aziende
con oltre 60 dipendenti.

Altra previsione di rilievo è quella secondo cui i componenti delle RSU durano in carica per tre anni e decadono automaticamente allo spirare del periodo si
prevede, poi, che il cambiamento di appartenenza sindacale di un componente della RSU determini la sua decadenza dalla carica con sostituzione con il primo
dei non eletti nella lista di originaria appartenenza del sostituito. Le RSU, quindi, subentrano alle RSA nella titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni ad
esse assegnate. Inoltre alle RSU ed alle competenti strutture territoriali delle associazioni firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro è attribuita la
competenza a stipulare il contratto collettivo aziendale nelle materie, con le procedure e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale.
I componenti delle RSU, infine, godono delle guarentigie sindacali (permessi, aspettative e libertà sindacali) riconosciute dal titolo III dello statuto dei lavoratori
alle RSA.

LA PARTECIPAZIONE DEI SINDACATI ALLA GESTIONE DELLE IMPRESE


Secondo l’art 46 cost, la Repubblica riconosce ‘’ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro…’’ il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei
limiti stabiliti dalla legge, alla GESTIONE DELLE AZIENDE.
si tratta di un principio che trae ispirazione dall’esperienza dei consigli di gestione, istituiti nel 1945 dal Comitato di Liberazione Nazionale per l’alta Italia, quali
organismi a struttura paritetica, con funzioni di partecipazione alla gestione delle imprese.
La via italiana alla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese è identificabile, a partire dalla seconda metà degli anni settanta, in quelle previsioni
della contrattazione collettiva di quasi tutte le categorie produttive, con cui si riconosce alle associazioni sindacali un diritto ad essere INFORMATE e
CONSULTATE sulle strategie economiche delle imprese e sui principali mutamenti degli assetti organizzativi e produttivi.
Nel diritto europeo l’attenzione al tema della partecipazione dei lavoratori è espressa prima dalla direttiva 45/1994, che ha istituito i comitati aziendali europei
(CAE) cui è stata data attuazione col d.lgs. n. 74/2002, e più recentemente dalla direttiva 2009/38/CE, cui è stata data attuazione con il d.lgs. n. 113/2012. In tale
normativa si prevede L’ISTITUZIONE DI UN CAE o, in alternativa, di una procedura di informazione e consultazione. Allo scopo, la legge fornisce una
nozione di ‘gruppo di imprese’ e di ‘impresa controllante’. La regolamentazione puntuale della costituzione, funzionamento e competenze del CAE è rinviata ad
un accordo fra la direzione centrale dell’impresa o del gruppo di imprese ed una DELEGAZIONE SPECIALE DI NEGOZIAZIONE. La competenza a
designare i membri della delegazione di negoziazione è conferita ai sindacati stipulanti il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’impresa e alle
RSU. In mancanza di RSU, la competenza è dei lavoratori.
I CAE risultano, dunque, ENTITA’ RAPPRESENTATIVE e DELLE ASSOCIAZIONI SINDACALI e DEI LAVORATORI dell’impresa di dimensioni
europee.
Lo scopo dell’istituzione di questa forma di rappresentanza è quello di definire fra le parti (imprese e sindacati) un accordo sulle modalità dell’informazione e
consultazione dei lavoratori.
La parte datoriale può legittimamente negare le informazioni suscettibili di creare difficoltà al funzionamento e all’attività delle imprese interessate o di arrecare
loro danno o realizzare turbativa dei mercati. A tal fine i membri della delegazione sono comunque tenuti al segreto rispetto alle notizie ricevute in via riservata
e qualificate come tali alla direzione centrale.
Dalla materia sono espressamente escluse le informazioni regolate da altre fonti legali o contrattuali

I DIRITTI

i diritti del titolo III:


sono diritti che comportano una situazione di sofferenza per il datore di lavoro il quale si trova in una situazione di soggezione nei confronti di queste
prerogative sindacali, questa situazione generale di “pati” può avere anche diverse declinazioni differenziali: il datore deve essere di ausilio all’attività sindacale
con comportamenti attivi(mettendo ad esempio a disposizioni locali per lo svolgimento dell’assemblea), comportamenti attivi che vengono imposti al datore di
lavoro; vi sono poi situazioni di soggezione del datore di lavoro a diritti potestativi(come nei permessi sindacali). in alcuni casi la situazione di soggezione
paralizza i poteri datoriali(divieto di trasferimento del componente della rsu perché per farlo serve il nulla osta). infine all’art.28 disciplina la repressione della
condotta antisindacale, esiste un procedimento giudiziale speciale che consente ad un soggetto collettivo di agire in giudizio nei confronti del datore per la
repressione della condotta antisindacale, dopodichè si può chiedere la cessazione di tale comportamento e la rimozione degli effetti di tale condotta(ripristino
della situazione co ante) questa disposizione dà un senso alle altre: se non ci fosse questo articolo non ci sarebbe concreta fruibilità dei diritti del titolo III.

Oltre ai diritti riconosciuti direttamente alle r.s.a. lo statuto introduce una serie di diritti strumentali all'esercizio delle liberta sindacali posti in capo ai lavoratori.
art.20: diritto di assemblea→Secondo artt 20,lavoratori hanno diritto di riunirsi nelle unità produttive iǹ cui prestano la loro opera,per svolgere assemblee.
Il diritto di assemblea ha la funzione di consentire un collegamento fra la base dei lavoratori dell’impresa e le rappresentanze.
Si tratta di un diritto di cui sono titolari i singoli lavoratori, ma che è strutturalmente di esercizio collettivo.
Il potere di convocazione dell’assemblea spetta alle r.s.a, singolarmente o congiuntamente.L’assemblea deve avere ad oggetto materie di interesse sindacale.
Si è molto discusso sulla nozione di “interesse sindacale”.
La contrapposizione era fra una concezione oggettiva, che limitava la materia alle sole questioni che coinvolgessero la tutela collettiva degli interessi dei
lavoratori ed una soggettiva, che invece faceva capo alle questioni che, in un dato momento storico, il sindacato riteneva rientrare nel proprio interesse.
Per l’esercizio del diritto di assemblea il datore di lavoro è obbligato a mettere a disposizione un locale idoneo. Allo scopo è indispensabile che il datore sia pre
avvertito per tempo e che l’assemblea sia legittimamente convocata.
• All’assemblea possono partecipare tutti i lavoratori dell’unità produttiva di riferimento o anche gruppi di questi, secondo la convocazione.
Possono inoltre prendervi parte anche i lavoratori sospesi e/o in cassa integrazione o scioperanti. Quanto ai soggetti estranei all’impresa la norma prevede che
possano parteciparvi, “previo preavviso al datore di lavoro”,dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la r.s.a.
• Il datore non ha invece diritto a partecipare all’assemblea.
Dal punto di vista dei rapporti con il contrapposto interesse del datore di lavoro alla continuità dell’attività produttiva distinguiamo due tipi di assemblee:
1. quella in costanza di orario e lavorò(retribuite)̀sono limitate ad un massimo di 10 ore annue o alla misura eventualmente più favorevole prevista dal contratto
collettivo
2. e quella al fuori di esso(noǹ retribuite)̀non hanno alcuna limitazione temporale e sono non retribuite

l'ordine del giorno deve riguardare materie di interesse sindacale o di lavoro: è una locuzione molto ampia, il legislatore ha creato questo diritto e lo ha
sottoposto ad una condizione, che si parli di materie specifiche, ma, in ordine al principio di libertà sindacale, fa si che sia difficilmente sindacabile la
sussistenza di un interesse sindacale, quindi se anche vi è una debordazione rispetto al concetto di interesse sindacale, vi è una sorta di tolleranza da parte dei
datori di lavoro.
secondo un'ipotesi non è possibile sindacare la presenza di un interesse sindacale, perché tanto è ampia la libertà sindacale che sono le parti a scegliere la
materia; chi critica questa ipotesi afferma che la locuzione debba essere strettamente interpretata e quindi vi deve essere una stretta interpretazione dell interesse
sindacale con l’ordine del giorno.

20-10
art.21→ il referendum: consiste in un a votazione, i lavoratori sono chiamati a votare attorno a qualcosa, ma in particolare l’art.afferma che Il datore di lavoro
deve consentire nell'ambito aziendale lo svolgimento, fuori dell'orario di lavoro, di referendum, sia generali che per categoria, su materie inerenti all'attività
sindacale, indetti da tutte le rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti i lavoratori appartenenti all'unità produttiva e
alla categoria particolarmente interessata.
Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro anche aziendali.
il referndum viene utilizzato nel momento in cui si stipulano i contratti collettivi per avere un consenso da parte dei lavoratori stessi.

le differenze con l’assemblea:


- l’assemblea può essere convocata anche da una sola rsa e anche nelle ipotesi di rsu ciascun componente può convocare l’assemblea, l’art.21 abilita
tutte le rsa congiuntamente a convocare il referendum
- il referendum si svolge al di fuori dell’orario di lavoro, mentre per le assemblee sono concesse anche le ore interne all’orario lavorativo
- le materie sono solo quelle di interesse sindacale

caratteristiche: l’esito del referendum ha soltanto valore politico, qualunque lavoratore può esprimere con il voto la propria opinione, m l’esito referendario è
semplicemente un’indicazione politica per il sindacato dal quale può decidere di discostarsi.
PERMESSI RETRIBUITI O NON RETRIBUITI
Per l’esercizio del loro mandato rappresentativo, i dirigenti delle RSA hanno diritto a PERMESSI Secondo l’art 23 dello statuto dei lavoratori, essi hanno
anzitutto diritto a permessi RETRIBUITI. In queste situazioni, il datore di lavoro è onerato non solo di tollerare l’assenza al lavoro, ma deve anche retribuire le
ore di permesso.
Titolari del diritto sono i dirigenti delle RSA di cui all’art 19. La distribuzione dei permessi tiene conto delle dimensioni delle imprese (con alleggerimento
dell’onere per quelle minori) nelle unità produttive che occupano fino a 200 DIPENDENTI il diritto spetterà ad un dirigente per ciascuna RSA della categoria.
Nelle unità produttive maggiori invece il numero dei titolari dei permessi è proporzionale al numero dei
dipendenti dell’impresa.
La durata dei permessi non potrà essere inferiore ad UN’ORA L’ANNO per ciascun dipendente nelle unità produttive più piccole e ad OTTO ORE L’ANNO
per ciascun dipendente in quelle maggiori. La materia è derogabile in melius da parte della contrattazione collettiva.

artt.23-24: ha come obiettivo quello di consentire ai rappresentati sindacali di svolgere le proprie funzioni all’interno dell’azienda, ma anche al di fuori senza che
la fruizione dei questo diritto possa determinare qualche pregiudizio dal punto di vista del rapporto contrattuale e della retribuzione.
il dirigente infatti potrebbe subire dei pregiudizi, per lo svolgimento dell’attività sindacale: ad esempio perdere la retribuzione.
tutta questa attività di proselitismo e di trattativa sindacale determina il venir meno di questo possibile pregiudizio che deriverebbe dall’assenza di una normativa
di sostegno protettiva all’attività sindacale.
l’altro pregiudizio è la perdita dell'effettiva capacità di rappresentanza degli interessi sindacali.
si intende poi evitare la perdita della possibilità di poter partecipare alla vita del sindacato, ma soprattutto si vuole evitare che vi possano essere ritorsioni per lo
svolgimento dell’attività sindacale.
Trattandosi di una sorta di diritto POTESTATIVO(all’inizio si era partiti da un permesso come concessione, poi si passa al permesso come accordo perchè i
contratti collettivi disciplinano forme legittime di astensione dal lavoro; lo statuto definisce il permesso come diritto potestativo di natura legale), il datore non
potrebbe opporre alla fruizione del permesso l’esistenza di esigenze confliggenti di carattere organizzativo. L’unica eccezione vale per l’ipotesi dell’esistenza di
esigenze di salvaguardia dell’incolumità delle persone e dell’integrità degli impianti. L’art 24 dello statuto dei lavoratori prevede poi il diritto a PERMESSI
NON RETRIBUITI, per gli stessi soggetti
L’impiego di tali permessi è ristretto alla partecipazione a trattative sindacali o a congressi/convegni di natura sindacale. I lavoratori che intendono fruirne
devono informare il datore, tramite RSA, tre giorni prima. Il limite minimo di fruizione è di otto giorno all’anno.

il legislatore a seconda del tipo di permesso interviene su tre profili:


1. assicura la retribuzione per la partecipazione all’attività per un numero di ore calibrato alla dimensione dell'impresa art.23 → permessi retribuiti
2. consente lo svolgimento di attività sindacale all’esterno grazie a specifici permessi che vengono garantiti al fine di evitare che l'assenza dal lavoro
costituisca inadempimento contrattuale art.24 → permessi non retribuiti
3. dare permessi specifici agli organismi direttivi del sindacato per partecipare all’attività sindacale art.30 → Permessi per i dirigenti provinciali e
nazionali

questa disciplina nasce come sospensione dell’attività lavorativa prevista dalla legge, un esonero temporaneo dall'adempimento lavorativo, il rapporto di lavoro
nel momento in cui ci sono quei permessi subisce uno sviamento dal suo schema tipico, quello della corrispettività
la ricostruzione giuridica del permesso: è un diritto potestativo, diritto azionabile unilateralmente dal soggetto beneficiario, non è sottoposto a nessun vaglio
preventivo da parte del datore di lavoro, il quale si trova in una situazione di pati.

L’art 30 dello statuto prevede poi il DIRITTO A PERMESSI RETRIBUITI ANCHE A DIRIGENTI PROVINCIALI E NAZIONALI DELLE ASSOCIAZIONI
DI CUI ALL’ART 19, che all’esito del referendum sono quelle firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva. La funzione di tali permessi è
ristretta alla ‘’partecipazione alle riunioni degli organi’’ direttivi dei sindacati provinciali e nazionali. Si tratta quindi di un’attività di natura sindacale che si
svolge al di fuori dell’impresa. La legge NON indica la misura dei permessi, ma rinvia alla contrattazione collettiva il tutto, e non vi è nemmeno alcuna
indicazione nella legge circa un OBBLIGO DI PREAVVISO.
Infine l’art 31 dello statuto riconosce ai dirigenti provinciali e nazionali del sindacato il diritto all’aspettativa non retribuita. Anche tale norma è di generale
applicabilità.

diritto di affissione:
art.25: Secondo l’art 25 dello statuto, le RSA hanno diritto di affiggere su appositi spazi, che il datore ha l’obbligo di PREDISPORRE in locali accessibili a tutti,
pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro.
Si tratta di un DIRITTO RICONOSCIUTO già in precedenza dalla contrattazione collettiva ai rappresentanti dei lavoratori. Per rendere agevole questo compito,
gli spazi in questione non solo devono essere collocati all’INTERNO dell’unità produttiva, ma anche in LUOGO ACCESSIBILE A TUTTI.
Dall’impiego del plurale (‘’spazi’’) inoltre, si è dedotto che ciascuna RSA ha diritto ad un proprio spazio.
Le RSA sono le titolari esclusive di tale diritto e la loro posizione rispetto agli spazi è quella di un DETENTORE QUALIFICATO sul piano della tutela
potranno pertanto invocare l’art 1168 cc o l’art 28 dello statuto dei lavoratori questo comporta che il datore di lavoro NON può procedere
UNILATERALMENTE alla defissione di documenti, ritenuti estranei alla materia dell’art 25, MA deve ottenere un provvedimento giurisdizionale
autorizzativo.
Fra l’altro, il datore potrebbe esporsi alla commissione del reato di cui all’art 392 cp.
I documenti o i comunicati affissi devono attenere a MATERIE DI INTERESSE SINDACALE E DEL LAVORO.

nell’ipotesi in cui volantino abbia un contenuto diffamatorio per il datore di lavoro questi può toglierlo; altri affermano che invece debba rivolgersi all’autorità
giudiziaria e chiedere di poter rimuovere quel manifesto.

adesso vengono perlopiù predisposti SPAZI INFORMATICI, piuttosto che spazi fisici.

I CONTRIBUTI SINDACALI
le associazioni sindacali hanno bisogno di risorse finanziarie per poter sopravvivere e svolgere il mandato loro tipico. dunque è essenziale l’attività di
PROSELITISMO e RACCOLTA DEI CONTRIBUTI. Della materia si occupa lo statuto, con una norma che è stata oggetto di referendum abrogativo.
La versione originaria della disposizione statuiva al 1 comma il PRINCIPIO fondamentale secondo cui i lavoratori hanno DIRITTO DI RACCOGLIERE I
CONTRIBUTI e di SVOLGERE OPERA DI PROSELITISMO per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del
normale svolgimento dell’attività sindacale titolari di tale diritto sono individualmente i lavoratori. L’esercizio di tale diritto non deve, tra l’altro, pregiudicare la
normale attività aziendale. Al principio posto dal 1 comma, seguivano altre due disposizioni: l’una diretta a conferire alle associazioni sindacali un diritto a
percepire, tramite ritenuta sul salario, i contributi che i lavoratori intendono loro versare e l’altra diretta ad assicurare ai lavoratori un diritto a chiedere al datore
il versamento dei contributi sindacali all’associazione da loro indicata, nel caso in cui il rapporto non fosse regolato da un contratto collettivo. Il referendum
popolare del 1995 ha abrogato il secondo ed il 3 comma dell’art 26, lasciando solo il primo. Vediamo quali sono gli effetti:
Prima, occorre ricordare che la riscossione dei contributi sindacali per il tramite di trattenuta sulla retribuzione va qualificata giuridicamente come una
DELEGAZIONE DI PAGAMENTO. Il datore di lavoro (delegato) versa al sindacato (delegatario) una QUOTA-PARTE DELLA RETRIBUZIONE, su
indicazione del lavoratore (delegante). La struttura della delegazione di pagamento postula peraltro che il debitore delegato (datore) non sia giuridicamente
obbligato ad accettare l’incarico.lo schema civilistico che viene invocato è quello della cessione del credito: il datore del lavoratore è il cedente il sindacato il
cessionario. il debitore è obbligato ad effettuare ciò che il cedente chiede(il datore continua ad essere obbligato ad effettuare la trattenuta). nella delegazione
occorre invece il consenso del delegato(il datore può rifiutarsi di effettuare la trattenuta). la giurisprudenza non si è ancora accertata anche se forse è prevalente
l’ipotesi di cessione parziale del credito.
L’art 26, 2 e 3 comma st lav, introduceva, con la forza propria della legge, l’OBBLIGO per il datore di lavoro di ADERIRE ALLA RICHIESTA DEI
LAVORATORI di effettuare le trattenute a favore dell’associazione sindacale di riferimento. posto ciò, risulta evidente che l’abrogazione della seconda parte
dell’art 26 riconduce la vicenda nell’alveo preesistente, restituendo all’autonomia delle parti la gestione della raccolta dei contributi questo significa che il
datore, non più obbligato per legge ad aderire all’invito del lavoratore, potrà farlo solo su basi volontarie o perché destinatario di una omologa previsione del
contratto collettivo.
A mitigare quest’ultima valutazione giuridica si considera che l’effetto pratico del referendum non è stato avvertito dalle associazioni sindacali firmatarie di
contratti collettivi, dal momento che in tutti i contratti è previsto un tale obbligo a carico del datore di lavoro. Ad essere penalizzate sono SOLO le associazioni
escluse dalla sottoscrizione dei contratti collettivi. Per queste ultime la questione si è spostata sul fronte giudiziario.

21-10

art.22: Trasferimento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali→ questo articolo è a presidio della possibilità di svolgere attività sindacale e tutela il
sindacalista dalla ritorsione del datore di lavoro, che è quello del trasferimento.

in questo caso il potere datoriale non solo viene compresso ma viene subordinato a un nulla osta da parte del sindacato di appartenenza.

Il trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali dei candidati e dei membri di commissione interna può essere disposto
solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza.

Le disposizioni di cui al comma precedente ed ai commi quarto, quinto, sesto e settimo dell'articolo 18 si applicano sino alla fine del terzo mese successivo a
quello in cui è stata eletta la commissione interna per i candidati nelle elezioni della commissione stessa e sino alla fine dell'anno successivo a quello in cui è
cessato l'incarico per tutti gli altri.

questa disposizione si applica fino al termine dell’anno successivo rispetto a quello in cui è cessato l’incarico→ tutela ultrattiva.

il tutto va coordinato all’art.13 del codice dei lavoratori, che altro non è che l’art.2103 del codice civile, il quale si occupa della modifica delle mansioni, e nella
sua ultima parte, del trasferimento del luogo di lavoro(ius variandi).

le stesse disposizioni vanno poi coordinate con l’art.15(tutela antidiscriminatoria), e infine con l’art.28 dello statuto dei lavoratori(repressione della condotta
antisindacale, una disciplina processuale che rende definitivi le garanzie dello statuto dei lavoratori).

la disciplina generale→ art.2103 cc afferma che il lavoratore non può essere trasferito se non per comprovate ragioni tecniche amministrative o produttive,
stabilendo che ogni patto contrario è nullo. contiene in sé un bilanciamento di interessi, se non sussistono tali ragioni tecniche produttive e amministrative il
trasferimento non può essere effettuato.

il rapporto tra le due disposizioni: fra le due disposizioni c’è una diversità degli interessi tutelati.
- l’art.2103 afferma che il potere di datore del lavoro di modificare il logo di lavoro è a tutela del contraente debole, limitando lo ius variandi
protegge il contraente debole secondo la tecnica tipica delle norme laburiste
- l’art.22 vuole garantire lo svolgimento dell’attività sindacale, ovvero l’effettività di tale attività: infatti in caso di trasferimento di dirigenti, vengono
traslocati in un luogo diverso i lavoratori e il sindacalista, perdendo quel contatto tra loro necessario
a questa diversità di interessi tutelati corrisponde anche un diverso strumento protettivo:
- nell’art.2103 la legge subordina il potere alla presenza di elementi che consentano di esercitarlo
- l’art.22 finisce per poter anche paralizzare il potere datoriale attraverso quella sorta di veto che può essere esercitata dall’organizzazione di
appartenenza del lavoratore che svolge attività sindacale.

l’art.22 non esclude la tutela generale dettata dall’art.2103: la posizione sindacalista si rafforza perchè gode sia della tutela generale(art.2103) che di quella
specifica(art.22)

il soggetto destinatario della tutela dell’art.22: non tutela il lavoratore in quanto tale, ma come dirigente sindacale, ma lo tutela in ogni caso. se manca il nulla
osta in giudizio può agire il soggetto collettivo, in quanto condotta antisindacale(art.28); ma anche lo stesso soggetto poi può esercitare individualmente l’azione
mancando un presupposto legittimante del datore di lavoro(sia perché manca il nulla osta, sia perchè si contraddice l’art.2103).
il datore che trasferisca il dirigente senza nulla osta si trova in una situazione di carenza di potere, e siccome quel provvedimento è nullo anche il dirigente che è
destinatario di quel provvedimento può agire anche individualmente.

art.22 deve essere qualificato come norma eccezionale, sottraendosi alle disposizioni generali, rappresentata in questo caso dall’art.2103. dal punto di vista
interpretativo partire da questo presupposto di eccezionalità della norma crea delle barriere:
● impossibilità di estensione analogica della disposizione
● si delimita la fattispecie sotto il profilo soggettivo(solo i destinatari della norma) e oggettivo( solo il trasferimento) e ciò ha delle conseguenze:
- dal punto di vista soggettivo: dal punto di vista interpretativo la tutela non può estendersi analogicamente ai soggetti non citati(i
destinatari sono individuati selettivamente, ma la tutela è ultrattiva ovvero va oltre la carica).nelle imprese dei gruppi comunitari sono
stati creati i CAE, è prevista nella norma attuativa della direttiva si estendono le stesse tutele del titolo III. allo stesso modo è previsto
dalla legge 6262 sulla sicurezza, che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) è disciplinato normativamente in questo
modo: è titolare di tutti i diritti del titolo III. ma il problema è che trasporre delle tutele così per i RLS non si sa chi debba dare il nulla
osta.
- dal punto di vista oggettivo: la nozione di trasferimento→ il fatto che si tratti di una norma eccezionale fa si che non sia applicabile in
via analogica a fattispecie diversi dal trasferimento. il trasferimento è però un provvedimento definitivo, a differenza di altri come la
trasferta che è temporaneo, perciò a quei tipi di attività che comportano uno spostamento non definitivo questa norma non si applica.
qual è la ratio della norma? la ratio è consentire di perseguire la finalità dell'azione sindacale limitando il potere datoriale sul
trasferimento per mantenere uniti la base rappresentata dai suoi rappresentanti,questo scopo fraudolento però può essere ottenuto anche
in altri modi, perciò secondo alcuni si dovrebbe includere ogni altro atto fraudolento che attui questa separazione tra rappresentati e
rappresentanti. il fatto però che si applichi o non si applichi questa disciplina non significa che non vi siano garanzie, infatti l’art.28
permette che se si dimostra che sia stato attuato un progetto volto ad attuare quel l'allontanamento entra in pratica per tutelare la parte
debole( la differenza è che la tutela dell’art.22 è preventiva quella dell’art.28 opera ex post).

questa disposizione infine non si applica al trasferimento collettivo o a quello interno.

la natura del nulla osta sindacale:


vi sono due diversi orientamenti:
1. si tratterebbe di un provvedimento datoriale(il trasferimento) sottoposto a condizione sospensiva, determinando quindi l’inefficacia del
provvedimento di trasferimento senza nulla osta( l’efficacia del trasferimento è subordinata al nulla osta)
2. c’è una funzione autorizzatoria del nulla osta sindacale, non inefficacia del trasferimento ma la sua nullità. questa seconda opzione è preferibile per
due ragioni:
- ragione letterale: il nulla osta deve arrivare prima del trasferimento, il dirigente non può essere trasferito previo nulla osta.
- l’art.15 afferma che sono nulli tutti i patti e i provvedimenti determinati da motivi sindacali religiosi ecc, sarebbe illogico che sin
ritenesse per una fattispecie identica che in un caso ci fosse la nullità (art.15 e 22) e in un altro caso l’inefficacia del provvedimento, e
quindi in questo caso siamo di fronte a un'ipotesi di nullità.
il nulla osta: → diritto di veto incomprimibile da parte del soggetto rappresentante
il nulla osta non deve essere motivato ciò comporta che ci si deve porre una domanda, è sindacabile la mancata concessione del nulla osta sindacale? ci potrebbe
essere un abuso del potere di veto sindacale; un datore di lavoro potrebbe lamentarsi del fatto che: 1) non c’è nessun intento vessatorio nei confronti del
sindacalista; 2) potrebbe affermare un bilanciamento di interessi tra interesse sindacale e interesse aziendale; 3) potrebbe chiedere al giudice di verificare se
sussista un interesse sindacale al mantenimento di quel soggetto nell’unità produttiva. in concreto il datore di lavoro ha sempre torto perchè:
1) non è ammissibile affermare gli intenti non vessatori nei confronti del soggetto, perché si tradurrebbe in una duplicazione dell’art.15 del datore di
lavoro, la stessa norma dell’art.22 preclude l’esistenza di intenti discriminatori.
2) il bilanciamento degli interessi non va a buon fine perché la costruzione della norma ruota attorno a una pre valutazione degli interessi contrapposti:
nel momento in cui il legislatore ha costruito l’art.22 ha già fatto un bilanciamento degli interessi, privilegiando sempre l’interesse collettivo del
corretto funzionamento dell’attività sindacale rispetto all’interesse aziendale.
3) l’art 39 cost.impedisce di fatto un accertamento dall’esterno dell’interesse sindacale, perché la capacità espansiva di questa norma è che tale
interesse può stabilirlo solo il sindacato,è il soggetto di rappresentanza che stabilisce questo interesse, non può farlo il giudice.il giudice poi
potrebbe accertare che non vi è interesse del sindacato a mantenere quel dirigente in quella determinata unità produttiva→ art.39 afferma che è
impossibile sindacare dall'esterno l’interesse sindacale, un giudice non può affermare che non vi sia un interesse sindacale.

se viene violato l’art.22= può il dirigente agire direttamente per violazione di tale norma? secondo un’impostazione la norma tutela l’interesse collettivo allo
svolgimento dell’attività sindacale, e quindi solo il soggetto collettivo può agire. ma il trasferimento senza nulla osta è disposto dal datore in piena carenza di
potere, ed è quindi nullo, quindi lo stesso dirigente, destinatario del provvedimento, può agire individualmente.
nella pratica lo strumento attraverso il quale viene azionato in giudizio la pretesa è l’art.28 perchè ha delle caratteristiche che lo rendono preferibile all’azione
individuale:
- è molto rapido(il concetto di concentrazione è ciò che caratterizza questo procedimento processuale), a differenza di quello individuale che agisce
in via ordinaria
- è uno strumento facile : la mancanza di nulla osta determina una presunzione assoluta di condotta antisindacale senza possibilità per il datore di
lavoro di dimostrare il contrario
- il lavoratore o il dirigente non si sporca le mani non dovendo sopportare le spese giudiziali, l’art.28 è azionato dal soggetto collettivo

Un’altra disciplina, garantistica, è prevista per il LICENZIAMENTO DEL SINDACALISTA INTERNO art 18 st lav tale disciplina riprende ed amplia la
regolamentazione di cui all’art 14 dell’ACCORDO INTERCONFEDERALE del 1966 sulle commissioni interne. I destinatari di tale tutela sono i lavoratori ‘’di
cui all’art 22 dello statuto’’, e cioè i dirigenti di rappresentanze sindacali aziendali ed i candidati e membri di commissioni interne. In caso di licenziamento di
tali soggetti si prevede che, su istanza congiunta di lavoratore e sindacato, il giudice può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli
elementi di prova forniti dal datore, la REINTEGRAZIONE nel posto di lavoro. La natura CAUTELARE dell’ordinanza è confermata dall’ammissibilità del
reclamo e dalla possibilità di revoca con la sentenza che decide il giudizio.

26-10
L’importanza dell’art. 28

La protezione legislativa della libertà, dell’attività sindacale in azienda e del diritto di sciopero si realizza nel modo più ampio, e con la massima effettività,
nell’art. 28 St. lav. , vera norma di chiusura della legge, che prevede uno speciale procedimento giurisdizionale repressivo della condotta antisindacale del datore
di lavoro.
con l’art.28 il legislatore degli anni 70 si è ripromesso di introdurre uno strumento processuale, con anche effetti sostanziali, finalizzato a proteggere l’effettività
dei diritti non solo previsti dallo statuto, ma anche di tutte quelle prerogative figlie dell’art.39.
si tratta di un procedimento processuale specifico ciò che si intende tutelare sono interessi che trascendono l’interesse del singolo, attraverso questa disposizione
si è individuato dei soggetti che possono agire in giudizio e questi soggetto sono soltanto soggetti collettivi.

i rimedi previsti sono indicativi della volontà del legislatore di evitare forme di risarcitorio, si intende realizzare un congegno che consenta l’effettività concreta
dei diritti sindacali, non un ristoro economico per equivalente.

la nozione di condotta antisindacale è una nozione aperta. la mancanza di tipicità della condotta antisindacale consente al giudice di verificare in concreto se un
dato comportamento è tale da ledere gli interessi protetti.
la disposizione è accompagnata da una sanzione penale in caso di inosservanza del provvedimento giudiziale.
infine la rapidità del procedimento è espressiva dell’urgenza di eliminare ogni forma di ostacolo all’attività sindacale.

Per l’art 28 è antisindacale il comportamento diretto ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero → si
tratta di un concetto indeterminato, secondo un modello alquanto diffuso nel diritto del lavoro (es ipotesi di violazione dei diritti delle personalità o nozioni di
giusta causa e giustificato motivo). La caratteristica fondamentale delle ipotesi ricordate consiste nel fatto che il legislatore non elenca un numero chiuso di
comportamenti illeciti e lesivi ma prospetta clausole ampie ed onnicomprensive che indicano la direzione dell’attività illecita. Il legislatore adotta tale tecnica
ogni qual volta è impossibile definire a priori la fattispecie illecita ed è indispensabile rinviare ad una tipizzazione giurisprudenziale.

il soggetto attivo è il datore di lavoro, indipendentemente dalla sua connotazione; non rileva invece e la condotta posta in essere dalle associazioni lavorative.La
condotta antisindacale è identificata dall’art. 28 nei “comportamenti del datore di lavoro diretti a impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività
sindacale nonché del diritto di sciopero”. Soggetto attivo della condotta vietata è quindi il datore di lavoro, a prescindere che sia o non sia imprenditore, privato
o pubblico e indipendentemente dal numero di lavoratori alle sue dipendenze. La condotta antisindacale è rilevante ex art. 28 anche se posta in essere non
personalmente dal datore, ma dai soggetti che secondo l’organizzazione dell’azienda svolgono attività ad esso imputabile. L’illecito è imputabile solo e
direttamente al datore.

i comportamenti:Il comportamento illegittimo è individuato nell’art. 28 solo per l’idoneità a ledere i beni protetti: libertà, attività sindacale, diritto di sciopero, è
quindi strutturalmente aperto; infatti i beni protetti possono essere lesi nella pratica da comportamenti diversi, non tipizzabili a priori. Il termine comportamento
esclude ogni qualificazione giuridica dell’atto, e comprende quindi anche i meri comportamenti materiali del datore (intimidazioni, minacce, ecc. ), a conferma
della maggior ampiezza dell’art. 28 rispetto all’art. 15. Nel divieto rientrano anche comportamenti antisindacali, come la serrata, riduzioni o sospensioni di
orario, presi nei confronti della generalità dei dipendenti.
possono rilevare dei meri comportamenti materiali del datore di lavoro, sono compresi all’interno di questi comportamenti tutti i comportamenti commissivi, ma
anche comportamenti omissivi, può costituire condotta antisindacale comportamenti di per sè leciti che potrebbero però integrare una fattispecie, se sono volti a
compiere una condotta antisindacale.

il soggetto attivo sono le organizzazioni sindacali, ci sono dei casi in cui la condotta può essere anche plurioffensiva. differenza tra COMPORTAMENTI
MONOFFENSIVI e COMPORTAMENTI PLURIOFFENSIVI i primi sono i comportamenti datoriali diretti a violare una prerogativa posta direttamente in
capo alle associazioni sindacali (es violazione dei diritti di informazione del sindacato); i secondi sono le condotte con cui il datore di lavoro, attraverso un
illegittimo atto di gestione del rapporto di lavoro, colpisce anche la libertà e l’attività sindacale (es licenziamento di sindacalista). Nel caso di condotta
plurioffensiva si porrà il problema di possibile sovrapposizione tra AZIONE INDIVIDUALE e RICORSO DA PARTE DELL’ASSOCIAZIONE SINDACALE
ALLA PROCEDURA EX ART 28.

ci sono state varie letture dell’art.28.


- una lettura restrittiva: che tutelavano soltanto il bene protetto enunciato nella norma
- una norma ampia: includendo anche i diritti che provenivano dalla contrattazione collettiva

diritti sindacali tipici e atipici: quelli atipici comprendono qualsivoglia comportamento che sia lesivo dell’interesse sindacale anche in assenza di una specifica
disposizione normativa o contrattuale a sostegno, tipici quelli che sono diretta violazione di norma.
antisindacalità giuridica e di fatto: con la seconda si intende il comportamento antagonistico del datore nell’ambito del conflitto sindacale, la prima si manifesta
con l’opposizione al conflitto e non come mera opposizione nel conflitto; tutti i comportamenti antagonisti all’interno del conflitto sono leciti, quello che viene
sanzionato è tutto ciò che impedisce il normale fluire dell'attività sindacale.

principio di parità di trattamento: la norma processuale tutela la posizione dei sindacati da un punto di vista di non discriminazione non attua un principio di
parità di trattamento vero e proprio, non esiste un obbligo a trattare salvo che non sia espressamente previsto dalla legge. non esiste un obbligo a trattare ciò
comporta una serie di conseguenze. se il datore di lavoro non vuole trattare con una determinata sigla sindacale non integra una condotta antisindacale. il datore
può anche fare trattative su tavoli separati, queste situazioni sono lecite perché fanno parte delle dinamiche tra i soggetti, ma perchè vi sono queste situazioni? si
possono verificare perché ad esempio per determinate materie si vuole trattare solo con le organizzazioni maggioritarie, oppure possono verificarsi perchè sono
le stesse organizzazioni maggioritarie che nell’ambito del conflitto tra soggetti collettivi impongono un determinato comportamento al datore di lavoro.
seconda casistica: trattative dirette con i lavoratori: non si può precludere al datore di parlare con i lavoratori, ma assecondare pratiche che rinnegano il ruolo di
rappresentanza significherebbe rinnegare il ruolo del sindacato e della contrattazione.

l’art.28 si caratterizza per la mancanza di tipicità del comportamento illecito,il legislatore ha preferito tipizzare il bene protetto ma non la condotta che può
ledere quel bene, uno dei punti più discussi della fattispecie è quello relativo alla rilevanza o meno della intenzionalità della condotta antisindacale: alcuni
ritengono che sia da inserire l'intenzionalità della condotta, in questo caso nel momento in cui il sogg.collettivo agisce in giudizio deve dimostrare non solo che
vi è stata quella condotta ma anche il fatto che il datore ha volontariamente voluto perpetuare quella condotta antisindacale; in riferimento a questa problematica
c’è un orientamento che ha considerato l’evento costitutivo necessario alla fattispecie, perché si parla di comportamenti DIRETTI ad azionare il comportamento
lesivo(elemento letterale); in una sentenza della consulta ai fini della conclusione della fattispecie non rileverebbe l’illegittimità o meno della comportamento ma
solo il fine perseguito da quel comportamento, la disposizione conterrebbe insieme un elemento oggettivo, idoneità in astratto della condotta a ledere interessi
protetti, e un elemento soggettivo, la volontà dimostrata di ledere quei beni; in questo senso la volontarietà fa parte della fattispecie. la rilevanza della
volontarietà non è desumibile soltanto dall'inciso dell’art.28 ma rileva anche in una sentenza della consulta del 74: secondo la quale non rileverebbe la
legittimità o meno del comportamento sindacale ma soltanto il fine perseguito da tale comportamento. suddetta norma si compone di due elementi: uno
oggettivo(la condotta lesiva) e uno soggettivo (la volontarietà di tale condotta lesiva), quindi la volontarietà della condotta è necessaria ad integrare la
fattispecie, e quindi il soggetto collettivo che agisce ex art.28 deve dimostrare anche questa volontarietà.
vi è stata una seconda lettura antitetica che viene dalla cassazione che ha adottato questo orientamento escludendo la rilevanza della volontarietà della condotta
ritenendo sufficiente che quel comportamento abbia lesionato il bene protetto, si tutela il bene protetto, trattandosi di un illecito civile, per i principi generali del
diritto, sarebbe sufficiente che la condotta si ponga in rotta di collisione con gli interessi tutelati→ art.28 norma di chiusura del sistema protettivo, l’onere da
parte del soggetto collettivo di provare la volontarietà del comportamento doloso del datore di lavoro sarebbe contrario all’impostazione della norma stessa. non
rileva il dolo ma solo il comportamento stesso.

eliminare la fattispecie dell’elemento psicologico viene concesso al giudice un ampio potere interpretativo. a fronte delle critiche mosse a questa seconda
impostazione che dilata i poteri del giudice c'è una teoria intermedia la quale distingue due ipotesi:
1. la condotta datoriale si pone in contraddizione con una norma imperativa, in questo caso la prova della volontà non occorre
2. il comportamento di per sè lecito possa produrre l’intento lesivo degli interessi tutelati, se il comportamento non contrasta direttamente con una
norma ma presenta i tratti dell’abuso del diritto, in questo caso l'esercizio del potere assume il carattere dell’illecito(condotta atipica) in questo caso
c’è da dare la prova anche dell’intenzionalità della condotta.

l’intervento delle sezioni unite del 97 ha privilegiato la seconda ipotesi, ma vi sono sentenze successive che hanno rimesso in ballo la questione.

i soggetti legittimati: criterio selettivo anomalo, si sceglie il criterio della nazionalità, sono legittimati gli organismi locali delle organizzazioni nazionali che ne
hanno interesse.
questa scelta è stata considerata ragionevole per due ragioni:
- siccome l’art.28 è uno strumento particolarmente invasivo, non deve essere destinato a tutti la nazionalità assicura una scelta selettiva ragionevole
- non viola l’art.3 il fatto che questo procedimento processuale sia concesso ad alcuni ma non a tutti, che hanno sempre strumenti processuali di
tutela ordinaria

organismi locali delle organizzazioni sindacali: non sono strutture del sindacato ma sono esterni ad esso, ma un organo periferico dell’organizzazione sindacale.
anch’essi però devono avere un interesse

la caratteristica che deve essere sempre presente è quella dell’attualità della condotta: immediata reazione al comportamento datoriale
principio dell’attualità della condotta lesiva: Il requisito dell’attualità della condotta antisindacale è considerato dalla giurisprudenza come essenziale ai fini
dell’esperibilità del procedimento ex art. 28 Stat. lav. coerentemente con la sua natura di strumento processuale volto ad offrire al sindacato la possibilità di una
reazione il più possibile tempestiva contro i comportamenti datoriali pregiudizievoli per i propri diritti [38].

Ed invero se l’orientamento inizialmente prevalente in ordine all’attualità era particolarmente restrittivo, tanto che se ne ravvisava la sussistenza solo nel caso di
comportamento antisindacale ancora in atto e/o di persistenza degli effetti al momento della proposizione dell’azione [39], si è fatto strada, nel tempo, un
diverso indirizzo, che – come per l’antisindacalità – ha letto l’attualità della condotta in rapporto alla natura “aperta” e teleologica della disposizione statutaria,
ed in relazione quindi all’idoneità o meno a ledere i beni tutelati dalla stessa tutelati [40].

Su questa base, e partendo dal presupposto della mancata indicazione da parte del legislatore di uno specifico termine di decadenza nella proposizione
dell’azione, diversamente da altre ipotesi [41], la giurisprudenza ha ritenuto che le organizzazioni sindacali possano scegliere liberamente “nell’ambito delle
proprie autonome valutazioni e nell’esercizio dei propri poteri di autotutela, i tempi per la domanda giudiziaria di cessazione dell’attività antisindacale, la quale
… può essere proposta anche dopo lungo tempo dall’inizio dell’illegittima condotta” [42].

Evidentemente, una siffatta ricostruzione sconta però un pesante tributo al potere discrezionale del Giudice di tracciare i confini tra una condotta esaurita ed una
ancora attuale, verificandola di volta in volta in concreto, posto che, in sua assenza, difetterebbe il lo stesso requisito dell’interesse ad agire e sarebbe preclusa la
possibilità di pronunciare una condanna a contenuto inibitorio o ripristinatorio.

In tal senso, l’attualità andrebbe ricostruita non tanto attribuendo rilevanza al fatto che la condotta sia ancora in essere, quanto piuttosto al profilo relativo alla
produzione ovvero alla idoneità del comportamento denunciato di produrre effetti pregiudizievoli per il sindacato. Coerentemente con questa ricostruzione, il
mero esaurimento della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l’ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo qualora
questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la
sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero
esercizio dell’attività sindacale [43].

L’attualità andrebbe ravvisata quindi in tutti quei comportamenti dei quali persista una efficacia pregiudizievole che necessiti per contro di un provvedimento
giudiziario idoneo a ristabilire la legalità violata ed assicurare al sindacato “l’utilità ripristinatoria cui l’azione ex art. 28 Stat. lav. è preordinata” [44] e sotto
questo profilo ben si comprende la questione della sanzione penale in caso di inottemperanza [45].
Sulla base di questo approccio ermeneutico, l’unico limite è individuato nell’inammissibilità della repressione di comportamenti antisindacali futuri, a ciò
ostando la ratio e la lettera della norma, oltre che la considerazione che, in questo modo, si finirebbe per attribuire al giudice l’esercizio di una funzione quasi
normativa, e comunque eccedente l’attività giurisdizionale.

Vista anche la sua particolare funzione di condizione dell’azione, il requisito dell’attualità è verificato con particolare rigore dal giudice, ravvisandosi la
necessità, nei casi in cui si voglia agire in giudizio, di allegare e fornire elementi probatori precisi e circostanziati, atti a dimostrare la pregiudizialità della
condotta ed il permanere dei suoi effetti pregiudizievoli, anche facendo uso di presunzioni, ma non certo sulla base di mere illazioni o asserzioni [46].

bisogna fare una distinzione tra condotte che producono una permanente lesione del bene o condotte che esauriscono gli effetti immediatamente.
alcune sentenze recenti pur di fronte alla mancanza del principio di attualità hanno ritenuto legittimo il ricorso perché si è dato rilevanza al potere intimidatorio
che può produrre una condotta illecita, potere che permane nel tempo, nei confronti del sindacato i cui effetti durano nel tempo.

27-10
si tratta di un procedimento sommario e urgente: da un lato si afferma che si tratta di un provvedimento urgente che presuppone il contraddittorio, in questo caso
non è ammessa una pronuncia inaudita l’altra parte; dall’altro si presuppone un termine così breve che contraddice il contraddittorio.
non è ammessa pronuncia senza che sia prima ascoltata la controparte: da un lato vi è l’esigenza e la necessità del contraddittorio, dall’altro lato il termine del
contraddittorio è talmente breve da quasi impedirlo(2 giorni), pertanto deve necessariamente essere osservato un tempo minimo che consenta la difesa(pertanto
questi due giorni non trovano riscontro pratico)con il fatto che il termine è ordinatorio e non perentorio.

il procedimento si nutre innanzitutto di una fase sommaria: non ci sono vere e proprie testimonianze, gli informatori si impegnano a dire la verità ma non fanno
giuramento. la volontà del legislatore è quello di creare un procedimento molto snello che consente al giudice un’ampia discrezionalità nell’ambito della prova,
il quale sulla base del fumus decide, ma non decide né con una sentenza né con un’ordinanza, ma con un decreto motivato immediatamente esecutivo il quale in
questo caso è lo strumento decisionale. entro 15 giorni dal decreto vi è la possibilità che la parte soccombente possa opporsi→ a questo punto dalla fase
sommaria si passa alla fase di merito vero e proprio.
la caratteristica peculiare di questo procedimento si abbina alla finalità della norma e si abbina all’altra peculiarità, quella che riguarda il soggetto che
agisce(solo un soggetto collettivo).
è espressamente previsto ciò che può essere chiesto(il c.d. petitum): il giudice accertata la condotta antisindacale ne determina la cessione della condotta e ne
rimuove gli effetti. il giudice ha però la legittimazione dei contenuti, deve specificare in che modo il datore di lavoro deve rimuovere quegli effetti, ciò ha una
portata processuale a monte: il soggetto collettivo deve presentare una domanda definita e deve suggerire al giudice anche il modo con cui possono essere
eliminati gli effetti, il giudice può attenersi a quanto la parte suggerisce oppure può decidere egli stesso con quali strumenti possono essere eliminati gli effetti.

la pronuncia è pubblicata su un quotidiano a spese del datore: si vuole dare pubblicità del fatto che il datore di lavoro ha posto in essere una condotta
antisindacale, la quale rappresenta uno degli strumenti con cui può essere rimosso l’effetto di tale condotta.

il procedimento ha struttura bifasica: gli effetti della pronuncia possono essere due:
in caso di inosservanza ,da parte del datore di lavoro,questo incorre in ulteriore conseguenza questa volta di natura penale, con l’inosservanza del
provvedimento della pubblica autorità scatta l’art.650 c.p.

LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

il contratto collettivo di categoria: fissa i minimi di trattamento economico e lavorativo applicabile ai rapporti di lavoro, stabilisce degli standard al di sotto dei
quali la legge non può scendere(per fare in modo che non vi sia contrattazione individuale sui minimi)
dopodichè troviamo le regole che le parti sociali si danno: la durata del contratto, le procedure di rinnovo, di informativa sindacale ecc.

mentre la parte dei trattamenti ha un riflesso diretto sui contratti di lavoro, l’altra parte stabilisce le regole di comportamento delle parti sociali da adottare
durante la vigenza del contratto.

il contratto collettivo nazionale è una contrattazione di tipo periodico, sono le stesse parti sociali a decidere quanto dura il contrttao anche se non vi è un loro
libertà assoluta perché queste regole sono predeterminate da un’altra fonte, ovvero gli accordi interconfederali. i contratti collettivi una volta predeterminate
queste regole sottostanno ad esse

gli accordi interconfederali:Nell’ambito della contrattazione collettiva, l’accordo interconfederale è l’accordo atto a definire regole generali che riguardano i
lavoratori a prescindere dal settore merceologico di appartenenza.

L’accordo interconfederale può essere:


● bilaterale se a firmarlo sono solamente le Confederazioni dei lavoratori e le Confederazioni dei datori di lavoro;
● trilaterale se partecipa anche il governo
Esso è il prodotto della mediazione tra i soggetti suddetti, i quali, attraverso il cd “metodo di concertazione sociale”, adottano una decisione comune rispetto a
tematiche di particolare valenza.
Infatti, grazie a tale metodo di relazioni industriali, caratterizzato dal confronto e dall’accordo, le parti sindacali, in via negoziale, garantiscono il loro sostegno a
politiche del governo particolarmente delicate.
Il coinvolgimento delle parti sociali, d’altro canto, consente al governo il raggiungimento di importanti obiettivi, da un lato, e, dall’altro, permette ai sindacati di
partecipare alla predisposizione di alcune significative riforme in campo sociale.

vi sono due livelli di contrattazioni: ol contratto nazionae e il contratto decentrato

contratti decentrati: sono contratti non nazionali, ovvero


- contratti territoriali(provinciali e regionali), riguarda un nucleo di imprese
- contratti aziendali,riguarda la singola impresa
perchè non sono previsti solo i secondi? in alcune realtà è impensabile avere un contratto aziendale, proprio perché in determinate realtà non potranno mai
esserci accordi aziendali viene creato un altro tipo di contrattazione.

vi può essere un pendolarismo tra i vari livelli di contrattazione, si parla di contrattazione centralizzata, decentrata o bipolare:
centralizzata→ domina il contratto nazionale
decentrata→ domina la contrattazione aziendale
bipolare→ quando entrambi i livelli hanno una propria autonomia di competenze e di funzioni senza che vi sia prevalenza dell’uno sull’altro

Contratti collettivi di diverso livello, qual è il loro rapporto? nelle varie epoche storiche vi è stato un rapporto sempre diverso, ma da un punto di vista pratico,
cosa succede se due contratti di diverso livello contrastano tra loro?
in caso di conflitto tra due diversi livelli di contrattazione, vi sono vari criteri per capire quale livello prevale:
- Criterio di conservazione del trattamento più favorevole-criterio del favor (sia in passato della Cassazione che di una parte della dottrina).si
stabilisce che deve prevalere la contrattazione più favorevole per il lavoratore, Inderogabilità in peius del contratto collettivo di categoria da parte
del contratto di inferiore livello Art. 2077 cc – Principio di favore al lavoratore. questo criterio fu fin da subito oggetto di critica, non è
concretamente sostenibile, perché non vi è un ancoraggio normativo di controllo

- Criterio di gerarchia fra il contratto collettivo nazionale e quello aziendale: qualora si potesse creare una sorta di gerarchia all’interno dei livelli di
contrattazione, al vertice sta il contratto nazionale, e poi la contrattazione decentrata, la quale anzi si nutre molto spesso dei rinvii fatti dal contratto
nazionale; quindi nella realtà per come si è sviluppato il sistema contrattuale collettivo italiano è evidente che esista una gerarchia tra il contratto
nazionale (di primo livello) e i contratti decentrati(di secondo livello). Giuseppe Pera ha giustificato questa teoria con un richiamo all’art.39 cost.,
quando parla del contratto collettivo, parla di quello nazionale, pera perciò afferma che questo primato della contrattazione nazionale si giustifica
con questa disposizione che ha elevato il contratto nazionale a rango di contrattazione collettiva protetta costituzionalmente. a ciò si può opporre il
fatto che per come si è sviluppato il nostro ordinamento, e il fatto che l’art.39 non è stato attuato, siamo di fronte ora ad una contrattazione di diritto
comune cioè una contrattazione tra privati, regolamentata dalla disciplina del contratto tra privati, pur con gli accorgimenti necessari dovuti al fatto
che si tratta di soggetti collettivi; quindi il contratto collettivo nazionale e aziendale, nella gerarchia delle fonti, stanno sullo stesso piano, quindi
sostanzialmente questa teoria pecca nel fatto che si ha a che fare con dei contratti a tutti gli effetti, non si può stabilire la prevalenza di un contratto
rispetto a un altro.

- Teoria della prevalenza del contratto aziendale su quello nazionale Sostiene che sia una revoca implicita del mandato

- Criterio di specialità o della fonte più vicina al rapporto che si va a regolare si va vedere la realtà disciplinata. Ammette le derogabilità sia in melius
che in pejus in quanto disciplina speciale (mentre quella nazionale è una disciplina generale) → però anche in questo caso siamo di fronte a due
contratti di tipo privatistico che stanno sullo stesso piano, perciò in giurisprudenza si è giunti ad un altro criterio per spiegare questo rapporto→

- Criterio cronologico della prevalenza del contratto posteriore anche se meno favorevole Sia aziendale che nazionale, salvi i diritti acquisiti.

- vi è poi un criterio ulteriore nato dopo il protocollo del ‘93, dal 93 in poi c’è una funzione non ripetitiva: entrambi i livelli devono occuparsi di cose
diverse(se di una cosa se ne occupa il contratto nazionale, non può occuparsene quello aziendale). la giurisprudenza afferma che in caso di
debordazione delle competenze assegnate allo specifico livello non si possono produrre effetti diversi da quelli voluti dalle parti sociali.

LE FONTI
il sistema delle fonti del diritto è tuttora riflesso nell’art.1 delle disposizioni sulla legge in generale→ in questo modo di vedere il concetto di fonte si vede la
caratteristica principale del diritto del lavoro che è la seguente: il diritto del lavoro è il terreno di elezione della cosiddetta formazione extralegislativa delle
regole. ciò nonostante le regole da applicarsi all’interno delle fabbriche sono state elaborate dalle stesse parti in conflitto, attraverso patti negozialii ad efficacia
generalizzata stipulati per tramite di rappresentanti→ i contratti collettivi di lavoro.
L'assenza di regole vincolanti giuridicamente non escludeva l'esistenza di conflitti da risolvere allo scopo il legislatore intervenne con l'istituzione di una
speciale magistratura arbitraria( il consiglio dei probiviri industriali) con l'incarico di dirimere le controversie individuali tra datori e lavoratori.

I probiviri decidevano le controversie secondo equità, un’equità particolare in quanto creativa di diritto. la giurisdizione di equità esercitava un ruolo di
supplenza, in attesa che le regola acquisissero il grado di maturazione sufficiente per essere trasferite in formule legali.

quindi volendo ragionare in termini di fonti del diritto del lavoro il primo richiamo va fatto all’equità creatrice→ il declino di quest’ultima quale fonte del diritto
del lavoro è da ricondurre alla definitiva affermazione del ruolo della norma inderogabile nella regolazione del rapporto→ il diritto del lavoro diviene oggetto di
giuridificazione ad opera della legge dello stato. Da quel momento la norma inderogabile prende il posto delle fonti succedanee. L’inderogabilità della norma
lavoristica, cui è collegata una indisponibilità dei diritti, è sancita dall’art 17 della l. del 1924
sull’impiego privato, è poi riaffermata dall’art 2077 cc ed è riconfermata dall’art 40 st lav. Ne deriva un sistema nel quale l’attributo della inderogabilità è
sostanzialmente PRESUNTO rispetto alle norme del diritto del lavoro, con la conseguenza che il carattere dispositivo delle norme deve essere sancito
esplicitamente.
L’indisponibilità PARZIALE, invece, scaturisce dall’art 2113 cc nella parte in cui dichiara invalide le rinunce o transazioni sui diritti prefigurati da norme
inderogabili. Le due categorie concettuali non sono necessariamente connesse sul piano logico, ma lo sono nel diritto positivo.

INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE REGOLE E GLOBALIZZAZIONE VS REGIONALIZZAZIONE E FEDERALISMO


le fonti del dir.lav. si sono caratterizzate in funzione della necessità di assicurare un trattamento uniforme a tutti i lavoratori sul territorio nazionale→ la
liberalizzazione dell’economia e la sopravvenuta interdipendenza dei mercati (cd globalizzazione) hanno peraltro prodotto effetti significativi anche sul sistema
delle fonti della materia. In primo luogo lo stato-nazione è stato posto nell’impossibilità di controllare un mercato del lavoro ormai globalizzato.
In secondo luogo l’attività delle imprese ha avuto modo di espandersi ben oltre i confini di un singolo stato, così favorendo la perdita di identità della disciplina
e la frammentazione dello statuto giuridico dei lavoratori→ i rimedi consistono nel trasferire ad orgnismi sovranazionali la competenza a dettare regole per
l’amministrazione del mercato del lavoro→ è il caso del diritto europeo.

Dove non può operare un diritto sovranazionale vincolante, la standardizzazione delle regole viene affidata a strumenti privatistici. Rilevano in particolare i
contratti commerciali internazionali, che regolano i rapporti fra le imprese ed al cui interno vengono inserite le cd CLAUSOLE SOCIALI, tramite le quali
l’impresa che riceve la commessa di lavoro si impegna a rispettare determinati standard di trattamento nei confronti dei
propri dipendenti, pena la risoluzione del contratto o altre sanzioni privatistiche.

Sul piano delle fonti peraltro è da notare che l’aspetto più intrigante delle clausole sociali consiste nel fatto che i diritti sociali fondamentali conquistano la scena
e rompono il nesso che li lega alla sovranità.
Alla materia dei diritti sociali fondamentali è in gran parte dedicata la CARTA DI NIZZA.

Strumenti più blandi per scongiurare la concorrenza al ribasso, invece, i cd CODICI DI CONDOTTA diretti a garantire il rispetto di regole minime di tutela del
lavoro, di cui si dotano le imprese multinazionali. Si tratta di strumenti privi di giuridicità, che si collocano piuttosto nella logica della RESPONSABILITA’
SOCIALE DELL’IMPRESA.
Le fonti devono altresì impiegarsi a governare fenomeni di particolarismo giuridico.
Ciò vale anzitutto per quelle fonti che sono messe in campo per consentire deroghe eccezionali→ allo scopo vengono realizzate misure che si avvalgono di varie
fonti, con cui si dà luogo a particolari concessioni in contropartita di un reingresso nell’area dell’economia ufficiale delle imprese.

a ben diverse prospettive si apre il sistema delle fonti, se si ha riguardo alla riforma dello stato in senso federalista. l’art.117 della costituzione ha incrinato il
quadro delle certezze acquisite mel sistema precedente, nel cui ambito era indiscutibile che la regolamentazione del ddl rientrasse nella competenza statuale.

Tale disciplina sembra mettere in dubbio tale certezza, dal momento che è rinvenibile una materia cui può essere in qualche modo ricondotto il diritto del lavoro
o una parte di esso. Così:
- nell’ambito della competenza esclusiva dello stato→ materia dell’ordinamento civile e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
- nell’ambito della competenza concorrente stato-regioni→ materia della tutela e della sicurezza del lavoro
il contratto collettivo

quali tipi di contratti collettivi conosciamo nel nostro ordinamento? il nostro ordinamento ha visto innanzitutto il contratto collettivo corporativo, nel 26 viene
istituito il regime corporativo il quale prevedeva un unico sindacato per ogni categoria di lavoratori che aveva un riconoscimento normativo da parte del
governo, questo riconoscimento comportava l'acquisizione della personalità giuridica di diritto pubblico, determinado che questo soggetto avesse un potere di
rappresentanza per tutti coloro che appartenevano alla categoria, quindi il contratto corporativo aveva efficacia erga omnes.

la funzione principale del contratto collettivo corporativo era quella di standardizzazione delle condizioni di lavoro(impossibilità di derogare in senso
migliorativo,che era possibile solo in casi eccezionali), e di disciplina dell’economia nell’interesse della produzione nazionale.

Durante il regime corporativo (periodo fascista) c’era un solo sindacato per ogni categoria, sia per i lavoratori che per i datori di lavoro, che sottoscriveva il
contratto collettivo corporativo; esso aveva un’efficacia erga omnes (per tutti i lavoratori), inderogabilità in peius (non modificabilità in senso peggiorativo) e
comportava la sostituzione automatica delle clausole difformi contenute nel contratto individuale.

Successivamente, nel secondo dopoguerra vi era il timore che radendo al suolo i contratti collettivi ci si sarebbe trovati di fronte a una mancanza assoluta di
standard minimi di tutela, così con un decreto luogotenenziale del 44, questi contratti vengono mantenuti in vita salvo eventuali modifiche, nel nostro
ordinamento le norme corporative infatti hanno ancora una loro funzione normativa.

con l’abolizione delle corporazioni si arrivò all’elaborazione di un nuovo contratto collettivo sulla base di quanto previsto dalla Costituzione (1° gennaio 1948).

-Il contratto collettivo ex art. 39 Cost.

Con l’entrata in vigore della Costituzione, l’art. 39 c.4. Cost. prevedeva che i sindacati possono stipulare contratti collettivi con efficacia per tutta la categoria.

Tuttavia la seconda parte dell’art. 39 Cost. rimase inattuata, comportando solo un’efficacia impeditiva.

la mancata attuazione di tale norma ha portato nel 59 ad un esperimento, miseramente fallito la c.d. legge vigorelli:
L. 741/1959 (Legge Vigorelli)

Nel 1959 fu approvata una legge transitoria, provvisoria ed eccezionale per regolare una situazione passata e tutelare l’interesse pubblico della parità di
trattamento tra lavoratori e datori di lavoro.

Con la L. 741/1959 il governo ha emesso decreti legislativi che determinavano condizioni minime di lavoro sulla base del vincolo delle clausole dei contratti
collettivi esistenti.

L’efficacia soggettiva (ambito di efficacia) era erga omnes tramite il recepimento in decreti legislativi anche dei contratti collettivi stipulati prima dell’entrata in
vigore della legge.

L’efficacia oggettiva (tipo di efficacia) prevedeva l’inderogabilità in peius, invalidità/inefficacia della clausola difforme del contratto individuale.

La proroga alla L. 741/1959 disposta dalla L. 1027/1960 che delegava il governo di emanare norme uniformi alle clausole dei contratti collettivi stipulati nei
dieci mesi successivi dall’entrata in vigore della Legge Vigorelli, è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale in quanto anche “una sola reiterazione
della delega toglie alla legge il suo carattere eccezionale e transitorio, finendo col sostituire al sistema costituzionale un sistema arbitrario costruito dal
legislatore” (Corte Cost. n. 106/1962).

questi decreti prevedevano l’obbligatorietà per tutti gli appartenenti alla categoria, l'eliminazione di tutti i contrasti con tale legge e veniva introdotta una
sanzione penale per i datori di lavoro che non rispettavano i minimi, e viene stabilito un termine per recepire questi decreti(1 anno)
la corte non dichiara subito l’illegittimità di questa disposizione, ancorando il suo giudizio sul fatto che la costituzionalità della norma si poteva salvare proprio
per il suo carattere transitorio. però succede che l’anno dopo viene prorogata la legge, la corte dichiara illegittima la proroga venendo meno i requisiti di
transitorietà ed urgenza; quindi la lezione che ci arriva da questa sentenza della corte è quello di dire che se si vuole che il contratto collettivo abbia un’efficacia
generalizzata , l’unico modo è dare attuazione all’art.39 seconda parte, quello che dice questa sentenza è che non può il legislatore intervenire e dare un
investimentum diverso al contratto collettivo, perchè così facendo adotta un percorso diverso da quello previsto dalla disposizione costituzionale, l’unica cosa
che può fare è dare attuazione all’art.39 altrimenti deve rimanerne fuori, non può intervenire creando percorsi alternativi alla norma costituzionale. la mancata
attuazione dell’art.39 ha determinato che si lascino ai privati la determinazione di questi assetti.

3-11
l’istituto della rappresentanza:nel momento in cui il lavoratore si iscrive all’organizzazione sindacale, o il datore si iscrive a un'organizzazione datoriale, si
conferisce mandato a questi soggetti di rappresentanza consentendo loro in questo modo di svolgere questa funzione

il contratto collettivo ha assunto varie vesti nel corso del tempo, quello tradizionale, trattato dalla costituzione, è quello che ha come scopo la standardizzazione
dei livelli minimi delle condizioni di lavoro, occupandosi della parte retributiva e normativa.
si tratta di un contratto nominato, e in particolare, il contratto collettivo può essere annoverato tra le fonti del diritto.
questo contratto collettivo tradizionale è un contratto normativo, cioè stabilisce le condizioni per futuri ed eventuali accordi. tuttavia è una species del contratto
normativo, avendo le sue caratteristiche peculiari che lo differenziano da esso:
- le parti sono diverse da quelle del contratto normativo
- è destinato ad influire su un numero indeterminato di contratti, avendo come soggetti una platea di soggetti non determinati
- esplica i suoi effetti nei confronti di contratti già esistenti
un contratto collettivo nasce innanzitutto elaborando una piattaforma rivendicativa, la quale può essere unitaria o differenziata;
poi vi è la negoziazione con la controparte datoriale e nell'ipotesi in cui non si raggiunga un accordo nei tempi assegnati, può intervenire il ministero del lavoro
il quale svolge una funzione compositiva del conflitto e dà il proprio contributo affinchè si raggiunga l’accordo. quando si arriva all’intesa, quando si
sottoscrive, si sottoscrie un’ipotesi di accordo e non l’accordo finale, perché vi è un passaggio successivo e intermedio che le organizzazioni sindacali si
riservano per ascoltare la base, poi si passa alla sottoscrizione vera e propria. nel momento in cui si approva l’accordo si passa poi a un arco temporale molto
ampio dove si elabora sul testo perché deve essere integrato con il vecchio contratto collettivo(articolato). con sottoscrizione di accordo, si intende sottoscrizione
diretta dei soggetti che hanno partecipato alle trattative; le sigle che non hanno partecipato alle trattative possono lo stesso sottoscrivere ma la loro sottoscrizione
eventuale è una sottoscrizione per adesione.
la forma del contratto: in teoria ai fini dell’esistenza del contratto collettivo è richiesta la forma ab substantiam, ma in pratica ci sono state contrattazioni che non
sono state scritte. la legge del 26 prevedeva l'obbligatorietà della forma scritta. nell’ordinamento attuale alcuni sostengono l’obbligatorietà della forma scritta,
desumendola secondo una prima opinione, che ci sarebbe una sorta di ultrattività dell’art.10 del regio decreto del 1926; la seconda ipotesi invece afferma che si
sarebbe formato un uso normativo dell’obbligatorietà della forma scritta.
vi è poi un approccio funzionale che fa derivare la necessità della forma scritta dalla funzionalità del contratto collettivo, dicendo che non potrebbe raggiungere i
propri scopi tipici senza un rivestimento formale.
la giurisprudenza seguendo questi orientamenti ha parlato di forma scritta ab substantiam.
alcuni al contrario affermano che la forma scritta ha funzione di pubblicità del contatto non essendo quindi un elemento necessario per la sua efficacia,
ricavando ciò dal principio di libertà delle forme ex.art.1350 cc.
si abilitano i soggetti collettivi a scegliere le modalità con cui si forma il patto e la scelta se sottoscriverlo o meno; ma l’ancoraggio costituzionale ci porterebbe a
dire che la forma rafforza la garanzia dell’autonomia sindacale permettendo al contratto di raggiungere i propri scopi
la corte di cassazione è giunta alla conclusione che la forma scritta non è essenziale ai fini dell’esistenza e della validità dell'accordo collettivo, la necessità della
forma rileva solamente sul versante della capacità di produzione degli effetti tipici del contratto collettivo.
nel 2015 alcuni hanno utilizzato l’art.14 d'lgs 114/2015, il quale stabilisce un principio di pubblicità degli accordi aziendali e territoriali, perché alcuni benefici
contributivi e fiscali sono subordinati al fatto che questi contratti siano depositati in via telematica presso la direzione territoriale del lavoro, al fine di una
catalogazione dei contratti aziendali e territoriali, ma anche con finalità di facilitare il compito degli organi ispettivi per verificare se si sono pagati i contributi
ma questa impostazione non è un obbligo, è un ONERE.

interpretazione del contratto:


Il contratto collettivo va interpretato utilizzando i CRITERI ERMENEUTICI dettati dal codice civile per l’interpretazione dei contratti (artt.1362 e seguenti).
ART. 1362 cc nell’attività interpretativa è essenziale l’indagine sulla comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole è questa la c.d.
INTERPRETAZIONE SOGGETTIVA.
La giurisprudenza è invece solita attenersi proprio al senso letterale delle espressioni assumendo che la chiarezza del dettato contrattuale è tale da escludere il
ricorso all’interpretazione oggettiva.
Un limite al processo interpretativo è costituito dal DIVIETO DI ANALOGIA, già contenuto nell’art 13 delle preleggi , e ciò nella doppia accezione di
ANALOGIA ESTERNA (applicazione della clausola di un contratto ad un diverso contratto ) ed ANALOGIA INTERNA ( estensione del significato di una
clausola al di fuori dei casi espressamente previsti) ;
la spiegazione a tale divieto è piuttosto ovvia: ciascun contratto collettivo è il frutto di una specifica negoziazione, dunque ove si potesse estendere la clausola di
un determinato contratto collettivo, ad altro contratto di diverso settore, si stravolgerebbe il delicato equilibrio su cui si regge il contratto.
Durante il processo , l’interpretazione del contratto collettivo, costituisce tipica espressione dei poteri del giudice di merito . Inizialmente la Cassazione non
aveva accesso alla conoscenza del contratto, ma doveva solo soffermarsi sulla gestione della vicenda da parte del giudice di merito all'interpretazione dei
contratti a lui sottoposti.Nell’ambito del processo, la sua interpretazione costituisce tipica espressione dei poteri del giudice di merito. La Cassazione ha sempre
ritenuto di non poter conoscere direttamente i contratti collettivi, ma di doversi limitare a valutare la congruenza del ragionamento del giudice di merito e quindi:
- per vizio di motivazione - o per violazione dei canoni di interpretazione dei contratti ; tale regime cambia con l’introduzione del d. lgs. n.40 del 2 febbraio
2006 grazie a tale norma la Cassazione ha adesso accesso diretto al contratto collettivo.
Il d. lgs 40/2006 ha modificato tale regime:
- in primo luogo si è stabilito che la sentenza di merito è ricorribile in cassazione anche per “violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi e
accordi nazionali di lavoro”. La Cassazione può quindi conoscere direttamente dei contratti collettivi (ovviamente solo di quelli nazionali e non di
quelli aziendali o di minor livello), pur continuando ad utilizzare gli stessi criteri previsti dal codice, non implicando la riforma processuale una
completa equiparazione dei contratti alle norme di legge.
- Nella stessa logica di garantire un’uniforme applicazione delle regole pattizie, il d. lgs 40/2006 ha esteso ai contratti collettivi del settore privato
una regola già prevista per il settore pubblico. Infatti si è stabilito che quando per la definizione di una controversia di lavoro sia necessario
risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo
nazionale di lavoro rilevante per la soluzione della controversia, il giudice decide con sentenza non definitiva la questione ed impartisce i
provvedimenti necessari per la prosecuzione della causa. La sentenza è impugnabile solo con ricorso per cassazione da proporsi entro 60 giorni
dalla comunicazione della sentenza del giudice di merito. Il ricorso per cassazione sospende il giudizio. -
- Per converso se la sentenza del giudice di merito che risolve la questione pregiudiziale non viene impugnata, passa in giudicato e il processo
prosegue. In caso di impugnazione e di accoglimento del ricorso la causa è restituita al giudice di merito, davanti al quale ciascuna parte potrà
riassumerla.
La ratio dell’innovazione è che:
- Da una parte sarà possibile un intervento immediato della Cassazione nel processo, così anticipandosi i tempi di definizione della questione
pregiudiziale
- Dall’altra si esalta la nomofilachia (È uno dei compiti essenziali della Corte di Cassazione: vigilare sull'esatta e uniforme interpretazione della
legge), caratteristica del giudizio di Cassazione, il cui intervento può garantire l’uniforme applicazione del diritto.

l’efficacia soggettiva,oggettiva e nel tempo del contratto collettivo:


1. efficacia soggettiva:
la mancata attuazione dell’art.39 cost., rendeva inevitabile la qualificazione del contratto collettivo alla stregua del diritto vigente. il contratto collettivo non può
che ricevere senso e qualificazione nell’ambito del diritto privato, il quale è il mezzo attraverso cui un’attività negoziale posta in essere da soggetti
rappresentativi ha modo di estendersi a rapporti-altri.

il problema è quello di individuare attraverso quali tecniche i soggetti rappresentativi(i sindacati) si fanno portatori di interessi collettivi, i quali non
costituiscono la mera sommatoria di quelli individuali dei singoli lavoratori rappresentati, ma pretenderebbero di integrare una funzione egemonica dell’intera
categoria rappresentata.
la prima questione che si presenta all’interprete è quella dell’efficacia soggettiva dei contratti di lavoro, posto che le rappresentanze sindacali dichiarano di agire
“in nome e per conto” dei lavoratori e dei datori di lavoro rappresentati→ quindi, a chi si applica il contratto collettivo? l’art.39 II parte dava una risposta
chiara,nel sistema corporativo espressamente previsto che per ogni categoria vi era un solo soggetto di rappresentanza, quindi tutti gli appartenenti alla categoria
erano destinatari di quella disciplina. aveva efficacia erga omnes perchè erano organizzazioni riconosciute
in un sistema come il nostro a fronte dell’innattuazione dell’art.39 e senza il riconoscimento della personalità giuridica i soggetti agiscono liberamente come
soggetti privati, e il contratto che viene sottoscritto è un contratto di diritto privato disciplinato quindi dalle norme di diritto comune.
l’istituto per capire l’efficacia del contratto è il mandato con rappresentanza: i sindacati stipulano in nome proprio, dovendo fare una sintesi di tutti i mandati, di
tutti gli interessi dei singoli iscritti;
il presupposto per l’estensione del contratto collettivo passa quindi attraverso il vincolo associativo che lega i soggetti rappresentati ai soggetti rappresentanti→
quindi la risposta alla domanda a chi si applica il contratto collettivo sarà ai soggetti che siano iscritti alle associazioni sindacali che lo abbiano stipulato.
il contratto collettivo è di regola aperto all’adesione da parte dei datori di lavoro e dei lavoratori non iscritti ai sindacati stipulanti. Di conseguenza, il contratto
collettivo è efficace anche nei confronti delle parti del rapporto di lavoro che, pur non essendo iscritte ai sindacati stipulanti, abbiano volontariamente aderito
alla disciplina del contratto collettivo, o l’abbiano comunque recepita. Nella prassi, tale recepimento viene solitamente effettuato mediante una esplicita clausola
inserita nei contratti individuali di lavoro, con la quale si fa rinvio alla disciplina o al trattamento economico e normativo previsto dal contratto collettivo
nazionale del lavoro. Ne deriva che il contratto collettivo di diritto comune non ha efficacia erga omnes.

Esso, infatti, sia in base al principio di libertà sindacale, sia in base ai principi del diritto comune, non può vincolare i datori di lavoro ed i lavoratori in mancanza
di un loro atto di volontà idoneo a manifestare la comune intenzione di accettare che il rapporto di lavoro tra essi intercorrente sia sottoposto alla disciplina del
contratto collettivo. Tale conclusione determina una duplice conseguenza. La prima conseguenza è che, nelle realtà ove il sindacato non abbia la forza necessaria
per imporre l’applicazione del contratto collettivo, il datore di lavoro ha la possibilità di escludere i propri lavoratori dalle tutele e dalle “conquiste” sociali.
il rispetto dell’art.36 cost. :Il più importante intervento operato dalla giurisprudenza è stato basato su una interpretazione degli articoli 36 della Costituzione e
2099 del Codice Civile che ha portato ad individuare nella retribuzione base prevista dal contratto collettivo il “minimo” di retribuzione dovuto a tutti i
lavoratori, anche ove al loro rapporto di lavoro non sia applicabile la disciplina sindacale. Ed infatti il contratto collettivo è stato considerato il parametro più
adeguato per determinare quale sia la retribuzione “proporzionata” e “sufficiente” spettante ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione.

la giurisprudenza ha elaborato dei principi che resistono nel tempo e che hanno portato a una generale estensione dei contratti collettivi: il contratto individuale
deve rispettare le regole del contratto collettivo che si è sottoscritto, nessun problema quindi quando entrambi i soggetti sono iscritti, il contratto esplica i suoi
effetti nei confronti dei soggetti che siano iscritti a una delle organizzazioni sindacali che hanno stipulato il contratto collettivo o il datore di lavoro sia iscritto in
un’organizzazione datoriale che lo ha sottoscritto. → regola generale non violabile dalla legge
i problemi sorgono quando o i lavoratori o il datore non sia iscritto a un’organizzazione o siano iscritti a organizzazioni che non hanno stipulato/sottoscritto il
contratto collettivo.
un altro fatto che può determinare l’insorgenza di problemi è il pluralismo sindacale, può succedere quindi che nello stesso settore merceologico ci siano più
contratti collettivi, il principio di libertà sindacale ha generato come frutto marcio di questa libertà non solo un pluralismo sindacale ma anche contrattuale e in
più sono le stesse parti sociali che stipulano il contratto a stabilire l’ambito di operatività

4-11
Il lavoratore ha un interesse maggiore, rispetto al datore, dell’applicazione del contratto collettivo, in quanto esso contiene la disciplina standard di regolazione
del rapporto di lavoro, la quale di solito è di gran lunga favorevole rispetto a quella che si otterrebbe attraverso una trattativa individuale. Pertanto,l’iscrizione
del lavoratore all’associazione sindacale, è condizione (relativamente) necessaria , ma non sufficiente, per ottenere l’applicazione del contratto collettivo al suo
rapporto di lavoro. Ciò che conta è invece l’iscrizione del datore di lavoro all’associazione stipulante in modo tale che il contratto sia per quest’ultimo
vincolante. In sostanza se un imprenditore (es. metalmeccanico) non aderisce all’associazione sindacale di categoria (Federmeccanica) non è giuridicamente
tenuto all’applicazione del contratto collettivo stipulato da quest’ultima. Quando il datore di lavoro esercita più attività, in passato, la giurisprudenza applicava
l’art. 2070 cc ‘’se l’imprenditore esercita distinte attività autonome, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme corrispondenti alle singole attività’’ , ad
oggi si da prevalenza al criterio dell’iscrizione del datore all’associazione stipulante, con conseguenza che anche se è iscritto ad una sola
delle associazioni di categoria, sarà tenuto ad applicare il relativo contratto anche ai lavoratori che operano nella diversa categoria.

datore di lavoro non iscritto: se non è iscritto a nessuna organizzazione, il datore potrebbe di fatto rifiutarsi di applicare un qualsivoglia contratto
collettivo,quindi in teoria il datore non si iscrive perchè non voglia che siano applicati quei minimi; non è possibile come correttivo obbligare un datore di lavoro
ad applicare quel determinato contratto collettivo, perchè si tratta di un contratto di diritto privato.
la giurisprudenza ha introdotto vari correttivi:
1. art.36 la retribuzione deve avere determinate caratteristiche, nel rispetto del principio di proporzionalità e il principio della sufficienza, quest’ultimo
principio viene utilizzato dalla giurisprudenza per creare un correttivo di questa situazione anomala: nello stabilire questo principio ci dice
indirettamente quale sia la fonte che determina questa sufficienza,la quale è affidata alle parti sociali attraverso lo strumento del contratto collettivo,
si parla allora di retribuzione parametro: come si fa nell’ipotesi in cui non sia determinata la retribuzione, cosa accade nell’ipotesi in cui in
un’azienda non si applichi un contratto collettivo? in questo caso il lavoratore può agire in giudizio facendo leva sull’art.36 affermando che la sua
retribuzione non è sufficiente, il giudice non può operare attraverso lac.d.scienza privata, dovendo ancorare la sua pronuncia a dati oggettivi o
riscontrabili nella realtà, allora dovendo decidere secondo equità prende a parametro quanto la contrattazione collettiva di quel settore merceologico
stabilisce per quella prestazione, il giudice utilizza come parametro quanto la contrattazione collettiva di settore stabilisce per quella prestazione,
determinando direttamente la sufficienza retributiva; questo comporta che la parte retributiva del contratto ha un’efficacia generalizzata perchè
quella disposizione che stabilisce il quantum è utilizzata dal giudice come parametro per stabilire la retribuzione. quindi le parti sociale quando
stipulano un contratto nazionale, limitatamente alla parte retributiva fanno una determinazione del valore del lavoro, per cui il giudice non potendo
estendere direttamente quella norma e il contratto, equitativamente prende a parametro quella clausola del contratto collettivo,per stabilire il
quantum producendo così un effetto indiretto.
come ulteriore sviluppo di questa teoria qualche giudice di merito è andato oltre e ha fatto questo ragionamento: si utilizza come parametro quanto
dice l’art.36 ma siccome si decide secondo equità che cosa si valuta aggiuntivamente? il fatto che quando le parti sociali arrivano a un accordo
hanno stabilito la sufficienza media del territorio nazionale, ma rispetto al costo della vita questo parametro può essere mutevole, quindi c’è una
variante introdotta da alcune sentenze che tiene conto attraverso dati statistici, che la sufficienza in quella determinata area dovrebbe essere più alta
rispetto ad altri
un altro filone giurisprudenziale estende gli effetti naturali del contratto collettivo oltre i propri limiti, il datore di lavoro pur non essendo iscritto
potrebbe scegliere di applicare il contratto e basta, ma il problema non sussiste perchè la giurisprudenza ha affermato che attraverso i suoi
comportamenti concludenti viene applicato, l giurisprudenza valorizza questo comportamento per facta concludentia del datore, affermando che se
quest’ultimo dà attuazione a una parte consistente del contratto, attraverso il principio di attuazioni è tenuto e si è vincolato ad applicare l’intero
contratto.
2. per pratica costante: la giurisprudenza ritiene vincolato un datore di lavoro quando abbia sempre applicato all’interno dell’impresa il contratto
collettivo, in virtù di ciò non potrà sottrarsi alla sua applicazione rispetto ad uno specifico rapporto di lavoro.
3. attraverso un intervento diretto del legislatore→ il quale conferisce solo al datore che effettivamente applica il contratto collettivo di settore ,
particolari benefici(economici, fiscali, previdenziali ecc.)

quindi il datore può sfuggire dalla contrattazione collettiva ma da un lato non può sfuggire dalla retribuzione minima, e dall’altro se dà attuazione a una parte del
contratto collettivo, quel suo comportamento viene enfatizzato e si afferma che quel contratto verrà applicato anche a lui per il futuro

datore iscritto a un’organizzazione datoriale di un settore diverso da quelle naturali dell’interesse di quel settore merceologico, applicando così anche un
contratto collettivo diverso da quello naturale di quel settore merceologico: può fare ciò, ma il lavoratore può richiedere quale sia la retribuzione sufficiente, al
sufficienza viene valutata sulla base dei parametri stabiliti dal contratto collettivo naturale del settore merceologico, non quello dal contratto collettivo applicato.
a seguito dell’art.39 è successo che la rincorsa del datore, ad iscriversi ad un’organizzazione datoriale più conveniente, può ottenere gli effetti convenienti
scegliendo il soggetto di rappresentanza che abbia sottoscritto un contratto collettivo più conveniente→ pluralismo contrattuale, nello stesso settore
merceologico ci sono più contratti, e ognuno di questi può essere più o meno conveniente per il datore di lavoro. ci sono contratti collettivi(c.d.pirata), di recente
si è cercato di stroncare questo fenomeno dal punto di vista retributivo, prevedendo che l’ispettorato del lavoro ai fini della contribuzione può andare a cercare il
contratto collettivo stipulato dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale e scegliendo come parametro retributivo proprio quel
contratto.
un altro caso di mutamento è rappresentato dal passaggio dall’inquadramento innaturale a quello naturale.

un altro caso di mutamento del contratto collettivo è l’art.47 della legge 428/1990, la quale disciplina il fenomeno del trasferimento d’azienda attuativo
dell’art.2212: vi è la salvaguardia di tutti i diritti individuali del prestatore di lavoro in caso di trasferimento, ma nei casi ad es.di incorporazione si può verificare
che l’azienda acquirente, la norma prevede che fermo restando la salvaguardia dei diritti individuali dei singoli lavoratori, avviene che si continua ad applicare
all’azienda ceduta il contratto collettivo applicato fino a quel momento fino alla sua scadenza salvo diverso contratto collettivo applicato a quell’impresa.

il lavoratore non iscritto: in questo caso entra in ballo l’art.15 statuto. si deve proteggere da un lato il dissenso, non può essere applicato con forza il contratto
collettivo dal datore di lavoro, e quest’ultimo non potrà usare come scusa la sua non iscrizione a un’organizzazione per non applicargli il contratto. la regola in
questi casi è che il datore è obbligato ad estendere l’efficacia del contratto anche ai soggetti non iscritti alle organizzazioni di rappresentanza qualora ne facciano
richiesta.
altri strumenti di estensione della latitudine operativa del contratto.
- all’interno dei contenuti minimi vi è anche il contratto collettivo di riferimento, le parti volontariamente attraverso la firma aderiscono alla
contrattazione contrattuale impegnandosi di applicare il contratto collettivo, anche nella sua successiva configurazione
- vi sono degli incentivi legati all’estensione del contratto, la sua applicazione viene indicata dalla legge come condizione necessaria di accesso a
eventuali benefici, questa norma è legittima perchè non impone il contratto collettivo, è un onere e non un obbligo
- art.36 statuto dice che per partecipare a delle gare pubbliche una delle condizioni è che il sogg.che partecipi applichi il contratto collettivo di
settore, la sua mancanza determina una barriera di accesso al concorso, ma se dopo aver vinto si cessa di applicarlo o non si rispettano i minimi si
perde l’appalto

tutto ciò si riferisce normalmente ai contratti collettivi di tipo normativo, cioè quei contratti che stabiliscono regole che dovranno essere osservate in altri
contratti, quelli individuali. vi sono però contratti collettivi che svolgono una funzione diversa.

10-11
di fronte a questa situazione un tentativo è stato fatto dagli accordi interconfederali, iniziando a parlare di efficacia del contratto, creando delle formule per
risolvere la questione. in riferimento al contratto nazionle l’accordo di maggio 2013 ha previsto una regola: viene introdotto un meccanismo di certificazione
della rappresentanza,ammettendo alla contrattazione collettiva, le sigle firmatarie che hanno una rappresentanza di almeno il 5% calcolato sulla base della media
di due dati: il primo è la certificazione inps del numero degli iscritti alla sigla sindacale, il secondo sono i voti ottenuti da queste sigle in seno alle elezione delle
rsu, se il risultato è superiore al 5% quel soggetto è ammesso alle trattative; viene poi prevista un’efficacia generalizzata del contratto, il quale ha efficacia erga
omnes, se c’è la sua sottoscrizione da parte di sigle sindacali che abbiano complessivamente più del 50% della rappresentanza, occorre poi che vi sia la
consultazione e il referendum in azienda approvato dalla maggioranza dei lavoratori.

siamo però di fronte a una petizione di principio, non potendo sostenere che questa soluzione sia la soluzione che funzionerebbe di fronte a un giudice. gli
accordi interconfederali creano un sistema incompatibile con l’art.39, ma non è questo il problema, ciò che rende vano questo tentativo è che si tratta di un
accordo che vincola chi lo sottoscrive, l'accordo ha forza di legge tra le parti contraenti, non esplica i suoi effetti al di fuori di esse,il soggetto terzo può essere
coinvolto solo se a monte ha dato mandato di essere rappresentato in quelle trattative, quindi non c’è nessun fondamento normativo che regga questo congegno,
di conseguenza questi accordi sono patti tra soggetti collettivi privati che coinvolgono soltanto alcune sigle sindacali, quindi il loro valore è di stabilire regole
che riguardano il mondo sindacale al fine di avere un ordine nella prassi, ma questi accordi vincolano soltanto il soggetto collettivo che firma questo accordo.

analogo sforzo viene riprodotto riguardo alla questione dei contratti aziendali: per il contratto aziendale la storia è stata diversa, perché qui il problema è
rovesciato: nel contratto collettivo vi è un’aspirazione dei lavoratori affinché questo si applichi, mentre nei contratti aziendali può succedere che alcuni
lavoratori possono volersi sottrarre al contratto aziendale, perché spesso questi sono accordi che recano più svantaggi che vantaggi. la giurisprudenza in
riferimento ai contratti aziendali in alcuni casi ha ritenuto che valga lo stesso principio generale, con efficacia limitata agli iscritti, in altri casi ha parlato di
interesse collettivo indivisibile su cui andrebbe ad incidere la contrattazione d’azienda; un ulteriore orientamento ha visto una sorta di soluzione mediana
rappresentata da quelle sentenze che escludono l’operatività del contratto aziendale a chi non è iscritto solo quando sono introdotti trattamenti deteriori. ma la
particolarità del contratto aziendale è che è stipulato dal datore di lavoro o dal soggetto di rappresentanza, e le sigle di rappresentanza aziendali sindacali
dall’altro, quindi potrebbe incidere sul contratto aziendale il modello di rappresentanza adottato:finchè vi erano le rsa, vi era un po’ un deficit di democraticità,
perchè non vi era nessuna istanza elettiva, ma se vi sono i criteri dell’art.19, su istanza dei lavoratori si crea un rsa ma non è detto che abbia una grande
rappresentabilità all’interno dell’impresa, e quindi di per sé l’assenza di un criterio democratico elettivo, escludeva che fosse la forma del soggetto di
rappresentanza a risolvere il problema; diversamente si è parlato laddove vi siano le RSU, le quali vengono eletti da tutti i lavoratori, vi è quindi un soggetto
legittimato a rappresentare tutti i lavoratori, in questo caso si avrebbe quell’interesse collettivo indivisibile e si avrebbe un avallo democratico di questo
congegno, dato dalla elezione. la regola dovrebbe essere quella che il contratto si applica a chi è iscritto, ma vi è il tentativo di aggirare questi accordi, e poi si
deve distinguere la natura del contratto collettivo:
1. il principio generale dovrebbe essere quello della sua efficacia agli iscritti, che cosa prevedono gli accordi interconfederali del 2011 e quello del
2014? c’è un tentativo di dare una risposta al problema dell’efficacia soggettiva, dicendo che un accordo firmato da associazioni che abbiano una
media superiore al 50% della rappresentanza generale questo accordo è esigibile nei confronti di tutti i lavoratori, con una diversificazione a
seconda che il soggetto firmatario sia l’rsa e l’rsu: nel caso siano le rsa vi deve essere un elemento aggiuntivo ovvero quell’accordo deve essere
approvato attraverso un referendum aziendale a cui partecipino il 50% + 1 degli aventi diritto
2. ma per alcuni tipi di contratti ci si è posti un’altra domanda, la regola del mandato, conseguenza della disapplicazione dell’art.39, si applica a tutti i
tipi di contratti collettivi? l’art.39 a quali contratti collettivi si riferiva? all’epoca si conosceva solo il contratto collettivo normativo, però dopo è
successo che la legge a più riprese si è avvalsa della contrattazione collettiva per modificare la regola, e quindi attraverso la clausola del rinvio, la
legge ha utilizzato la contrattazione collettiva per riempire di contenuti un determinato istituto, concedendo talvolta alla contrattazione collettiva di
derogare alla legge, ma sono questi contratti normativi? quasi mai, in sostanza laddove vi è una delega legislativa a intervenire siamo di fronte a una
situazione diversa da quella tracciata dall’art.39, prescindendo quindi da questa norma, in questi tipi di contratti l’efficacia è generalizzata; es. art.5
della l.n.223/1991 , in materia di licenziamento,in seguito all’articolo 4 quale stabilisce che in caso di esubero di dipendenti in un’azienda si deve
mandare un’informativa sindacale in cui si dichiarano questi esuberi, vengono indicati soltanto i profili professionali, a quel punto si apre un
procedimento(che può durare anche 75 giorni) che si svolge, nella prima parte,è in sede sindacale, questo percorso serve per raggiungere degli
accordi, ma all’interno di questa procedura di consultazione sindacale, si possono raggiungere accordi anche sui criteri di scelta, l’art. 5 afferma che
in assenza di accordo la legge stabilisce tre criteri: esigenze tecniche produttive, anzianità di servizio,e carichi di famiglia, la combinazione di questi
fattori permette al datore di fare una scelta, ma questi principi valgono a meno che non vi sia un accordo aziendale che stabilisca ulteriori e diversi
criteri di scelta, può succedere che con i criteri normativi un lavoratore rimarrebbe a lavoro, mentre con quelli dell’accordo sarebbe licenziato. in
questo caso la soluzione della corte è stata quella di dire che questi contratti non sono contratti normativi ma gestionali(o ablativi), andando a
procedimentalizzare un potere che, altrimenti, il datore di lavoro sarebbe libero di esercitare unilateralmente, quindi non essendo un contratto
normativo è possibile, secondo la consulta e la cassazione, che questi accordi abbiano un’efficacia diretta nei confronti dei soggetti destinatari di
questa disciplina, avendo efficacia erga omnes,no esplicano un’efficacia diretta sui contratti di lavoro, sui quali incidono direttamente, attraverso
l’esercizio del potere datoriale. in questo caso siamo di fronte a una natura del contratto collettivo diversa da quello tradizionali, e quindi non sono
assoggettati all’art.39, secondo comma quindi ben può la legge abilitare la contrattazione collettiva ad intervenire con efficacia generalizzata del
contenuto dell’accordo, perchè è un accordo di matrice legislativa.

IL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTO COMUNE NEL SISTEMA DELLE FONTI


A partire dalla seconda metà degli anni sessanta ci sia convinti che non fosse più nemmeno opportuno adoperarsi per ottenere l attuazione l'articolo 39 e quindi a
sistema di estensione erga omnes dei contratti collettivi disegnato nella norma costituzionale.

tale presa di posizione non ha fermato la diffusione della contrattazione collettiva Anzi Essa si è affermata sul piano delle attività come una fonte regolativa dei
rapporti di lavoro che si affianca alla legge nella disciplina di tali rapporti. basti pensare che la legge ha rinviato alla fonte sostitutiva del contratto collettivo:
a. la regolazione dei rapporti fuori standard o atipici
b. l’individuazione delle prestazioni essenziali in caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali
c. la gestione delle crisi di impresa con il ricorso alla cassa integrazione guadagni o alle procedure di mobilità e licenziamento collettivo.

Quindi il contratto collettivo si è fermato nella realtà concreta della gestione dei rapporti di lavoro o per forza propria o in ragione dei rinvii volta volta operati
dal legislatore→ tale assetto permette quindi di annoverare il contra tto collettivo tra le fonti?

in senso giuridico NO, perchè manca una disciplina organica e quindi non c’è un rigorismo, tuttavia nell’ordinamento ci sono vari riferimenti che lasciano
presupporre invece una risposta affermativa:
- come ad esempio il contenuto della riforma processuale risalente al d. lgs. 2 febbraio 2006 ,n. 40 : fino all’entrata in vigore di questo decreto, la
cassazione poteva intervenire sui contratti collettivi solo se il giudice di merito avesse violato le norme sull’interpretazione dei contratti contenute
negli artt. 1362 e seguenti del cc; con tale riforma invece, la Cassazione ottiene accesso DIRETTO ai contratti collettivi, al pari del controllo sulla
legge→ l’innovazione NON è idonea a promuovere il contratto collettivo tra le fonti in senso proprio, ma denota una volontà del legislatore in tal
senso.

NATURA, TIPOLOGIE, SOGGETTI, FORMA


- elementi strutturali
Uno dei caratteri essenziali del contratto collettivo consiste nella circostanza che esso è stipulato da soggetti collettivi ovvero i sindacati i quali possono
liberamente rappresentare gli interessi dei lavoratori . Nell'attuale ordinamento non è regolato da specifiche norme di legge che ne puntualizzano le scansioni
procedurali quindi non può strettamente definirsi un contratto tipico può però inserirsi nell'ambito delle leggi di manifestazioni di autonomia privata collocabili
sotto l'egida della articolo 1322 del codice civile.

Una importante differenziazione fra i contratti collettivi e quella che riguarda il loro ambito di riferimento, il prototipo della categoria è il contratto collettivo
nazionale di lavoro(CCNL).Attraverso il contratto nazionale di categoria a ciascun lavoratore è tendenzialmente assicurato lo stesso trattamento minimo Quale
che sia l'impresa presso la quale opera è la località nella quale si trovi l'impresa.

Una questione cruciale legata al campo di applicazione del contratto nazionale è quella che fa capo alla determinazione della categoria produttiva ma quali sono
i criteri distintivi delle varie categorie produttive? Nel sistema corporativo la categoria veniva determinata in ‘’funzione dell’attività effettivamente svolta
dall’imprenditore’’ , la categoria era quindi, un a priori rispetto all’azione sindacale. Nel sistema di libertà sindacale sono le parti stesse che , di volta in volta,
sono libere di ridefinire tale ambito che può anche estendersi fino a ricomprendere attività produttive che non rientrerebbero nell’ambito tradizionale di
riferimento del relativo settore economico.

Altra questione , rispetto all’individuazione del campo di applicazione, è la questione della possibile COMPRESENZA , per una stessa categoria produttiva, di
più contratti collettivi, stipulati da organizzazioni sindacali diverse. Dal punto di vista giuridico, in tale situazione, il problema più rilevante è quello
dell’EFFICACIA SOGGETTIVA del contratto aziendale. Tutte le teorie avanzate trovavano difficoltà nel dare una giusta risoluzione al problema nel caso di
una o più rappresentanze sindacali dissenzienti, problema risolto attraverso l’adozione del CRITERIO DI MAGGIORANZA. Tale soluzione ha trovato
attuazione anche nell’ ACCORDO INTERCONFEDERALE del 28 giugno 2011,conciliato poi con il TESTO UNICO sulla rappresentanza sottoscritto da CGIL,
CISL UIL e CONFINDUSTRIA nel 2014. Si prevede che i contratti collettivi aziendali sono efficaci erga omnes se sono approvati dalla maggioranza semplice
dei componenti delle r.s.u. o in mancanza, delle r.s.a. ; per evitare ogni dubbio sull’efficacia erga omnes dei contratti è comunque intervenuto il legislatore con
l’ART.8 del d.l. 13 agosto 2011 n.138, convertito poi in legge n. 148 del 14 settembre 2011 secondo tale disposizione , i contratti collettivi aziendali , sottoscritti
da associazioni di lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale , hanno il potere di realizzare SPECIFICHE INTESE con efficacia nei
confronti di TUTTI i lavoratori interessati; restano comunque dubbi di costituzionalità rispetto a tale norma.

la massima espressione della contrattazione collettiva è l’ACCORDO INTERCONFEDERALE, che è un contratto collettivo stipulato dalle confederazioni
sindacali → si tratta di contratti che regolano assetti normativi che riguardano la generalità dei lavoratori dipendenti, senza distinzioni di settori; tali contratti
trovano quindi applicazione nei confronti di lavoratori appartenenti a tutti i settori produttivi.

la situazione si complica in caso di accordi triangolari(fra governo e parti sociali): a partire dagli anni 70 si pose il problema per i governi di coinvolgere anche
le parti sociali nelle scelte di politica economica→ in tali accordi il governo si limita a trattare con le parti sociali per ottenere l’assenso sulle misure da adottare,
assumendo impegni in contropartita(regime di scambio politico)

- soggetti
i sogetti stipulanti, in assenza di legislazione specifica, muteranno a seconda della fonte regolativa:
1. CCNL→ associazioni sindacali e di categoria
2. CONTRATTO AZIENDALE→ impresa e rappresentanze territoriali/aziendali dei lavoratori
3. ACCORDO INTERCONFEDERALE→ le contrapposte confederazioni

Per effetto degli accordi interconfederali del 2011 e del 2013 vi è stato un avvicinamento del settore privato a quello pubblico con la previsione che siano
ammesse alla contrattazione le federazioni che abbiano una rappresentatività non inferiore al 5%, mentre i contratti collettivi nazionali sono sottoscritti dalle
oo.ss. che rappresentino almeno il 50% più 1 della rappresentanza e previa consultazione dei lavoratori a maggioranza
semplice e sono secondo il T.U. ‘’efficaci ed esigibili’’.

- forma
in merito alla forma del contratto la sua natura normativa ne presuppone la forma scritta, tuttavia, in assenza di una regolamentazione specifica, deve ritenersi
che valga il principio di libertà della forma. rispetto al contratto aziendale, la giurisprudenza più recente ne ha ammesso la stipulazione anche solo verbale
deducibile da un comportamento concludente.

EFFICACIA OGGETTIVA→ ha come presupposto che si sia risolto il quesito, a chi applica il contratto collettivo?
la regola: il contratto individuale può derogare al contenuto del contratto collettivo solo in melius, l’autonomia individuale si riespande nel momento in cui si
pattuisce qualcosa di migliorativo rispetto allo standard minimo che deve essere assicurato.

Per ottenere la vincolatività del contratto collettivo, rispetto a quello individuale, è necessario che l’ordinamento sancisca la NON DEROGABILITA’ delle
clausole contenute nel contratto collettivo ad opera del contratto individuale. Infatti nessuno potrebbe impedire alle parti, una volta stipulato il contratto, di
disattendere all’impegno assunto , in applicazione del PRINCIPIO GENERALE DELLA LIBERTA’ DI CONTRATTO. Era dunque necessario l’intervento
della legge che sancisse, appunto, l’inderogabilità (o efficacia oggettiva ) del contratto collettivo su quello individuale.
All’interno dell’ordinamento corporativo, il principio di inderogabilità era espressamente previsto dalla legge ex art. 2077 comma 2 del cc , tuttavia tale
disposizione divenne successivamente incompatibile con l’assetto costituzionale in quanto rimandava al sistema sindacale fascista, per cui nel primo ventennio
costituzionale, furono diverse le posizioni in merito: una delle più note risale a Francesco Santoro Passarelli e si fondava sulla teoria del mandato collettivo
secondo l’autore , l’inderogabilità del contratto collettivo ad opera di quello individuale , avrebbe dovuto dedursi dall’art. 1726 cc, secondo tale norma sarebbe
derogabile SOLO dalla stessa comunità che lo ha conferito con la conseguenza che la deroga operata da un singolo datore di lavoro, non avrebbe potuto sortire
l’effetto della disapplicazione del contratto collettivo.
Tuttavia, nel 1973 , interviene direttamente il legislatore con una nuova norma del cc , l’art. 2113 che disciplina il regime giuridico delle rinunzie e delle
transazioni del lavoratore; la norma stabilisce la limitata rinunciabilità dei diritti prefigurati in disposizioni inderogabili contenute nella legge e nei contratti
collettivi, in tal modo la legge ritiene che anche gli attuali contratti collettivi, non solo quelli corporativi, sono dotati del requisito di inderogabilità ad opera dei
contratti individuali.

ma qual è il meccanismo giuridico in forza del quale il contratto collettivo prevale su quello individuale?
1. necessità di evitare che ci possa essere una contrattazione individuale delle condizioni di lavoro
2. consentire però che vi possa essere una riespansione dell’autonomia individuale consentendo clausole di miglior valore
3. vi è poi la necessità di dotare di efficacia reale il principio di inderogabilità: vi è questa necessità perchè a fronte della violazione di norma
inderogabili vi sono due possibili reazioni da parte dell’ordinamento:1)efficacia obbligatoria, si determina un inadempimento contrattuale con
conseguente risarcimento; 2)efficacia reale, determina la sostituzione della clausola nulla con quella illecitamente derogata. l’efficacia obbligatoria
mal si adatta al contratto collettivo perchè anzitutto si applica a contratti i cui soggetti sono individuali e non collettivi, e poi perchè le conseguenze
dell’inadempimento sarebbero insufficienti, e in alcuni casi inattuabili, per l’assetto che l’ordinamento vuole ottenere. l’efficacia reale fa sì che la
disposizione del contratto individuale sia nulla o non produca effetti, come se si fosse in un rapporto tra leggi, operando una sostituzione automatica
di clausole, quindi vi è la necessità di dotare questa inderogabilità del contratto collettivo di una forza simile a quella della legge.
4. evitare che vi sia un’incorporazione del contratto collettivo nel contratto individuale→ è importante che non si produca l’effetto dell’incorporazione
che potrebbe produrre la sostituzione automatica della clausola, perchè si andrebbe ad incidere su uno dei dogmi del contratto collettivo, la sua
dinamicità temporale; la contrattazione collettiva disciplina il contratto individuale dall’esterno, nell’ipotesi in cui si parlasse di sostituzione
automatica di clausola si contaminerebbero una serie di aspetti: facciamo un esempio, il contratto collettivo stabilisce 25 giorni di ferie, un contratto
individuale ne prevede 15, il rimedio è quello che il contratto collettivo prevale su quello individuale, una volta stabilito ciò, quanti giorni si fanno
di ferie? se nel contratto c’è scritto 15 e la contrattazione prevede 25 giorni, se operasse la sostituzione automatica di clausola, la clausola del
contratto individuale contiene una clausola nulla, quella dei 15 giorni, e si cancella, e allora si prevedono 25 giorni di ferie, cosa produrrebbe questo
meccanismo? produrrebbe dei problemi alla contrattazione in generale, se si è adottato il principio della sostituzione automatica il contratto si
cambia, un ipotetico nuovo contratto collettivo non potrebbe funzionare, perchè ad esempio lo stesso contratto collettivo prevede di dare più
retribuzione, ma in cambio le aziende chiedono che ci siano un numero inferiore di ferie prevedendo ad es.22 giorni; che cosa succederebbe al
contratto individuale? nel mentre questo contratto individuale è cambiato perchè se si è adottato il principio di sostituzione della clausola, vuol dire
che in quel contratto sono previsti 25 giorni di ferie, quindi il nuovo contratto collettivo che ha creato delle compensazioni, non potrebbe funzionare
in questa circostanza, perchè per rimuovere quella clausola individuale fra privati, occorre il consenso dei contraenti, la disposizione del contratto
individuale sui 25 giorni di ferie è diventata una disposizione di miglior favore rispetto al contratto collettivo. il vero principio da utilizzare è
diverso dalla sostituzione automatica della clausola, la quale creerebbe l’incorporazione della norma nel contratto individuale, allora si deve far
riferimento a un'altra disposizione, l'art.1374 cc, integrazione degli effetti del contratto individuale, producendo in questo modo gli effetti voluti di
volta in volta dal contratto collettivo così come si è modificato nel tempo, producendosi solo gli effetti, di volta in volta, voluti dal contratto
collettivo: l’integrazione degli effetti fa in modo che il contratto collettivo resti una fonte esterna al contratto individuale, e quindi via via che si
modifica la norma collettiva si produce effetti diversi sul contratto individuale senza che si tocchi la norma del contratto individuale, assicurando in
questo modo la dinamicità della contrattazione collettiva. il contratto collettivo disciplina dall’esterno il rapporto individuale e, laddove vi sia una
lacuna, integra gli effetti con la disciplina collettiva, laddove, invece vi sia una norma difforme, fa in modo che quella norma non produca gli
effetti, perché gli effetti sono prodotti direttamente dalla contrattazione collettiva.

principio di inderogabilità del contratto collettivo: su quale principio normativo si basa la prevalenza del contratto collettivo su quello individuale? per molti
anni anche le sentenze della cassazione hanno dato questo fenomeno per assodato; il legislatore ha poi aiutato indirettamente a risolvere il problema: alcune
sentenze hanno dato, più che un parametro normativo di riferimento, una spiegazione sul perchè il contratto collettivo prevale su quello individuale, utilizzando
per necessità l’art.2077 cc, disposizione ereditata dal sistema corporativo, prevede che le norme corporative prevalgono sul contratto individuale; l’effetto
nefasto dell’applicazione di questa norma, è che la stessa prevede il meccanismo della sostituzione automatica di clausola, determinando l’incorporazione, vi
sono poi state le teorie sociologiche secondo le quali il contratto collettivo prevale sul contratto individuale dicendo che siamo di fronte a un diritto materiale,
affermatosi in via consuetudinaria, è sempre stato così e quindi sarà così; vi sono state teorie costituzionale, che hanno fatto leva su disposizione della
costituzione utilizzate per spiegare questo raccordo tra contratto collettivo e contratto individuale, in particolare alcuni hanno utilizzato l’art.39 cost. dicendo che
questa disposizione introdurrebbe una sorta di riserva normativa in capo alla contrattazione collettiva, in forza di una specie di potere originario assegnato al
sindacato di regolare gli assetti collettivi dei lavoratori; l’esistenza dell’art.39 significa che di fatto si è scelto un modello all’interno dell’ordinamento che
consente ai soggetti collettivi di produrre regole che avranno i propri effetti sui contratti individuali; alcuni invece hanno invocato l’art.36, dicendo che il
costituente, nel momento in cui parla di retribuzione equilibrata e sufficiente, attribuisce all’attività sindacale,che è quella che determina il quantum retributivo,
una funzione pubblicistica, il che renderebbe inderogabile la norma del contratto collettivo che parla di retribuzione(la quale piuttosto costituisce un parametro).
vi è stato poi un percorso, molto più raffinato, quello di santoro passarelli, la teoria da lui creata per spiegare l’inderogabilità del contratto collettivo è
affascinante ma ha qualche pecca. si è detto che il principio generale dell'efficacia soggettiva del contratto collettivo è quella della rappresentanza volontaria,
santoro si è chiesto che tipo di mandato è questo mandato,poichè, in questo caso, il mandato è ricevuto da tanti soggetti che si iscrivono al sindacato, allora
questa teorizzazione ha fatto leva su quanto previsto dagli artt. 1723 e ss., i quali disciplinano il mandato collettivo irrevocabile, questa disposizione afferma che
il mandato, conferito da più soggetti per un interesse comune, non è revocabile se non con il consenso di tutti, se non vi è tale consenso unanime non si può
revocare il mandato, e quindi non ci si può sottrarre dalle regole che derivano dal contratto collettivo.
quali sono le eccezioni che si possono muovere a questa teoria:
- non spiega la ragione per cui il contratto individuale possa derogare in senso migliorativo
- dal punto di vista delle conseguenze, produce un effetto obbligatorio, producendo come conseguenza un inadempimento contrattuale, con
conseguente obbligazione risarcitoria
con l’art.2113 cc, modificato nel 73, allorquando sono state introdotte le norme sul processo sul lavoro, con quella normativa si sono modificate anche alcune
disposizione del cc, tra cui anche l’art.2113: in questo art. noi troviamo il fondamento dell’inderogabilità del contratto collettivo:
“Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi
collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide.”
indirettamente, per la prima volta il contratto collettivo viene definito inderogabile, quindi per la prima volta abbiamo una disposizione normativa che spiega il
perchè di questa inderogabilità, stabilendo che il soggetto non può disporre liberamente di questi diritti, perché se vi rinunciasse o se ne facesse oggetto di
transazione, porrebbe in essere un accordo invalido.
(però poi, il meccanismo che introduce questa norma, che è quello dell’annullabilità, sarebbe insoddisfacente, consentendo soltanto di annullare il frutto della
rinuncia.)
la soluzione quindi qual è? l’art.2113, fornisce il supporto normativo per ritenere inderogabile il contratto collettivo, è la legge che chiama inderogabile il
contratto collettivo; non si ha comunque una sostituzione automatica della clausola, avendo un’integrazione degli effetti cosicché le parti sono vincolate non
solo per ciò che è espressamente previsto all’interno del contratto ma anche per ciò che non è previsto ed è previsto nel contratto collettivo, in questo modo si
ottiene l’effetto reale, conservando al contempo la separazione tra contratto individuale e contratto collettivo, il quale costituisce una fonte esterna ed eteronoma
alla disciplina del rapporto.
il contratto individuale può derogare in senso migliorativo, perché, contrariamente a quello che avveniva nel contratto corporativo, la funzione del contratto
collettivo, non è quella di creare standard normativi, ma di individuare dei minimi di trattamento. quali sono gli effetti di una deroga in senso migliorativo? se la
clausola individuale continua ad essere migliorativa, la deroga resiste anche alle successive previsioni del contratto collettivo, però, le cose che possono
determinarsi sono queste:
1. come possono modificarsi queste clausole di miglior favore: si possono modificare soltanto con un accordo individuale, il datore di lavoro, per
modificarle, deve trovare un accordo con i dipendenti, ed è una cosa non semplice. ci possono essere poi situazioni in cui questa modifica può
avvenire per via collettiva, perché i lavoratori danno mandato alle organizzazioni sindacali di trovare una soluzione.
2. superminimi riassorbibili: rispetto alle pattuizioni del contratto collettivo viene data una maggiore retribuzione, in questo caso avviene che a
seconda di come il superminimo è configurato, c’è un effetto della contrattazione su questo importo, e c’è un potere o meno del datore di lavoro di
vedere assottigliato gradualmente questo importo. bisogna distinguere tra:
- superminimi riassorbibili: la riassorbibilità può avvenire a seguito della contrattazione contrattuale collettiva, nell’ipotesi in cui il
rinnovo contrattuale stabilisca una maggiore retribuzione di base, il superminimo diviene inferiore
- superminimi non riassorbibili: aumenta all’infinito questo importo

problemi della comparazione vedi libro→ teoria del conglobamento, teoria del cumulo, comparazione per istituto

11-10
le funzioni del contratto collettivo:
La principale funzione del contratto collettivo è quella di dettare le norme che dovranno regolare i rapporti di lavoro dei dipendenti appartenenti all’area o
settore cui il contratto si riferisce. E’ questa la cosiddetta funzione normativa , quella che esprime meglio l’attitudine del contratto collettivo a regolare relazioni
giuridiche esterne rispetto alle parti contraenti
accanto alla funzione normativa, il contratto collettivo ha assunto ruoli diversi e di conseguenza diverse funzioni:
1. funzione obbligatoria: deriva dall’art.39 cost. il contratto collettivo contiene delle clausole che determinano degli impegni tra i soggetti stipulanti. è
contrapposta alla funzione normativa, allude alla circostanza che alcune clausole del contratto collettivo non sono destinate a regolare i rapporti di
lavoro dei soggetti rappresentati, ma sono piuttosto dirette ad introdurre un assetto regolativo che riguarda gli stessi soggetti stipulanti. instaura dei
rapporti obbligatori tra le parti collettive: mentre la parte normativa vede come destinatari i singoli individui, i destinatari della parte obbligatoria
sono i soggetti collettivi che stipulano il contratto, i quali per mezzo di questa clausole costruiscono la disciplina della funzione gestionale che
vanno a svolgere. i contratti collettivi possono contenere clausole appartenenti alla c.d. parte obbligatoria, che assolvono alla funzione di
disciplinare i rapporti tra le associazioni sindacali partecipanti alla stipulazione dei contratti medesimi, senza creare obblighi e diritti per i singoli
lavoratori. (Per tale ragione, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che i datori di lavoro che applicano un determinato contratto collettivo
senza essere iscritti all’organizzazione datoriale stipulante, situazione tipica nella realtà imprenditoriale italiana, non sono tenuti all’applicazione
delle clausole della parte obbligatoria) un primo gruppo di clausole riguarda la contrattazione collettiva in senso stretto, i singoli contratti indicano
delle regole da rispettare che sono anche degli impegni che i soggetti collettivi stipulati vanno ad assumere per il futuro, in questo gruppo rientrano
ad es.le clausole di durata, di ultrattività o di retroattività, clausole di disdetta, clausole che riguardano il raccordo con altri livelli di trattazione, ci
sono poi clausole che riguardano la futura contrattazione collettiva; un secondo gruppo riguarda invece gli impegni che le parti collettive si
assumono per il funzionamento del contratto collettivo, ad es. le clausole istituzionali, mediante le quali viene prevista, appunto, l’istituzione di
organismi paritetici come Enti bilaterali, Fondi di assistenza sanitaria, poi vi sono le clausole di amministrazioni, che disciplinano il potere
datoriale,attraverso cui si regolamentano obblighi di comunicazione sindacale (se ovviamente non richiamati da disposizioni di legge), l’istituzione
di procedure conciliative e di arbitrato, procedure particolari per l’instaurazione di rapporti di apprendistato, queste clausole hanno la caratteristica
di impegnare le organizzazioni sindacali, ma, al contempo, impegnano anche i singoli datori di lavoro( c.d. clausole diagonali); vi sono poi tutte
quelle clausole che disciplinano l’attività sindacale in azienda, ovvero le c.d. clausole sindacali, mediante le quali le organizzazioni sindacali
stipulanti si impegnano a non proclamare o appoggiare scioperi durante la vigenza del contratto collettivo (clausole di tregua sindacale), ovvero
sono fissati i contributi di assistenza contrattuale, alcune di queste clausole di clausole riguardano il rispetto degli obblighi del contratto collettivo, il
dovere di influenza, di pace sindacale e di esecuzione:
- il dovere di esecuzione è l’impegno che le parti sociali si assumono per rispettare ed attuare quanto prevede il contratto
- dovere di influenza. le parti collettive si impegnano a indurre gli associati ad applicare il contratto collettivo, a non sfuggire alla
categoria.attiene agli impegni assunti dalle organizzazioni sindacali di influire sugli associati per tener fede ai patti , dando corso
all’applicazione effettiva del contratto
- pace sindacale: per molto tempo si è ritenuto che fosse un dovere implicito del contratto collettivo, questo impegno consiste nel non
porre in essere rivendicazioni fino alla scadenza del contratto, a cessare il rapporto conflittuale e a riprendere il proprio ruolo nel
momento della cessazione del contratto collettivo. si distingue tra clausole che impongono un dovere relativo di tregua sindacale, le
quali impongono alle organizzazioni di non ricorrere a nessuna azione volta alla modifica o al riesame delle materie del contratto
collettivo(divieto di sciopero), e le clausole che impongono un dovere assoluto, che impongono alle parti sociali di rispettare un
periodo in cui non si può azionare alcun meccanismo di autotutela sia in riferimento agli istituti disciplinati o meno dal contratto
collettivo. dire tregua sindacale significa andare a toccare un diritto fondamentale, quello di sciopero, che viene paralizzato, si discute
quindi se questo impegno assunto dalle parti collettive investa anche i lavoratori o impegni soltanto i soggetti contraenti: il diritto di
sciopero è un diritto individuale ad esercizio collettivo, che trova un ancoraggio costituzionale ai sensi dell’art.40, si desume da ciò che
la clausola riguarda più che altro i soggetti collettivi i quali se vogliono rispettare il contratto non possono proclamare scioperi, ciò non
toglie che sia comunque legittimo uno sciopero organizzato da un gruppo di lavoratori in quanto le clausole di tregua sindacale non
dovrebbero incidere sulle posizioni individuali dei soggetti
che succede se si viola la parte obbligatoria? siccome ci troviamo di fronte a un contratto tra privati gli strumenti potrebbero essere quelli ordinari
del codice civile, ma che in questo caso sono inadeguate, ma alcune di queste previsioni sono clausole diagonali, in questo caso la sanzione è
rappresentata dall’art.28 dello statuto dei lavoratori, perché si tratta di condotta antisindacale, ma nell’art.409 c.p.c si stabilisce che non si può
adottare l’art.28 questione discussa meramente in dottrina, perchè nella pratica non ci sono stati casi specifici, ciò ci serve per confermare che tutto
si risolve con le regole che le parti sociali stesse si sono date(1:02)
2. funzione compositiva dei conflitti: nel contratto vi sono delle clausole volte ad eliminare conflitti nati o che potrebbero sorgere offrendo una
funzione conciliativa. sono clausole che pongono uno schema per risolvere il conflitto cosicché le parti individuali possono aderire o meno
3. funzione normativa delegata. la legge chiede aiuto alla contrattazione collettiva, lasciando che siano le parti sociali a determinare una porzione della
materia, oppure consente all’accordo collettivo di raggiungere assetti diversi da quelli stabiliti dalla legge.
4. funzione procedimentale e/o gestionale: sono tecniche di procedimentalizzazione del potere datoriale, obbligando il datore di lavoro a rispettare una
procedura che normalmente ha uno schema fisso: informativa sindacale a cui può seguire una richiesta di esame congiunto da parte delle
organizzazioni sindacali. il legislatore quando abilita queste procedure vuole complicare il processo decisionale del datore di lavoro, non
esercitando direttamente il suo potere ma dovendo passare necessariamente attraverso un percorso che ne limita la libertà, in alcune materie si
richiede una gestione congiunta come ad es. in materia di licenziamenti.

EFFICACIA NEL TEMPO DEL CONTRATTO COLLETTIVO


la funzione della durata del contratto collettivo è evitare azioni di rivendicazione costante sui medesimi istituti, la funzione della durata, se vi è una sua
predeterminazione, è consentire la dinamicità della contrattazione collettiva.
si possono creare situazioni che hanno scenari pratici considerevoli:
il contratto collettivo è una fonte eteronoma rispetto al contratto individuale, quindi il contenuto del contratto collettivo non si incorpora in quello individuale; il
contratto collettivo successivo può derogare anche in senso peggiorativo perchè di volta in volta le parti sociali possono decidere su vari istituti di arretrare nelle
tutele per aumentarne altre, in tutto questo il singolo contratto individuale segue le sorti della variazione dei contratti collettivi, via via che ci sono dei rinnovi si
modifica anche l’assetto dei singoli contratti individuali, quindi non esiste un principio di irriducibilità della retribuzione, perchè è sempre possibile una
previsione deteriore anche in materia retributiva. vi è però un limite di intervento del contratto collettivo, il rispetto dei diritti quesiti,quei diritti che si assumono
entrati nel patrimonio individuale di ciascun lavoratore , per effetto del precedente contratto collettivo, e che non potrebbero più uscirne ovvero quei diritti che
essendo entrati a far parte del patrimonio del lavoratore sono diventati intangibili, indisponibili da parte dell’organizzazione sindacale.
le parti sociali stabiliscono la regola della contrattazione in generale, ma anche del singolo contratto individuale il quale può essere disciplinato dalle parti
contraenti.

l’efficacia nel tempo: l’art.2071 disciplinava che il contratto corporativo on potesse essere a tempo indeterminato. oggi per il principio di libertà sindacale i
contratti a tempo indeterminato sono ammessi e cessano per rinnovo, per mutuo consenso, o per recesso unilaterale, in questo ultimo caso è discussa la
possibilità che una delle parti potrebbe disdettare il contratto perché un contratto a tempo indeterminato dovrebbe produrre effetti all’infinito, vi sono due
orientamenti su questa possibilità: secondo alcuni si può recedere unilateralmente se questa possibilità è prevista dalla legge o dagli stessi contraenti, la
giurisprudenza ammette il recesso unilaterale sulla base di un principio, quello della non perpetuità dei vincoli giuridici, la critica a questa impostazione è legata
a questo aspetto, vi sono dei rimedi nel codice civile per rimediare alla perpetuità, l’impossibilità o l'eccessiva onerosità sopravvenuta, ma sono entrambe
situazioni limite. al di là di queste critiche la giurisprudenza ammette questa possibilità, ma alcune sentenze ammettono la disdetta solo se non viene leso l’art.36
cost., venendo meno quanto contenuto nell’accordo non si va ad incidere sulla sufficienza e proporzionalità della retribuzione. un altro filone giurisprudenziale
ammette questa possibilità nel rispetto dei canoni di correttezza e buona fede, ma in cosa si sostanziano questo principio? ad esempio dare la notizia con un
congruo preavviso; un altro orientamento afferma che vi deve essere il rispetto dei diritti quesiti. il canone di correttezza e buona fede è la chiave di volta della
situazione perchè si dice che il recesso unilaterale è possibile perchè non si può vincolare a vita i contraenti, ma per il particolare assetto delle relazioni
industriali il recesso può avvenire con la finalità non soltanto di far cessare gli effetti del contratto, ma per poter attivare nuovamente una ricontrattazione la
quale siccome non esiste un obbligo a contrarre può anche non portare a nessun esito.

contratti a tempo determinato: il contratto collettivo nazionale ha sempre una durata; la durata è sempre stata di 3 anni.
che succede allorquando scada un contratto e non c’è un rinnovo? dal punto di vista degli effetti la regola generale è che alla scadenza si verifica un’estensione
automatica dell'accordo salvo che nel contratto collettivo non sia prevista una clausola di ultrattività, la quale è il congegno attraverso il quale si fa in modo che
non ci sia una lacuna normativa in cui non via sia una disciplina del contratto collettivo riflessa nel contratto individuale per un determinato periodo. nel sistema
corporativo i era un’ultrattività legale
, qui siamo di fronte a un’aultrattività negoziale. nonostante vi sia questo principio, e non vi sia la possibilità di individuare una ultrattività legale la
giurisprudenza per evitare che vi sia un vuoto normativo ha attuato una serie di correttiva affermando che l’ultrattività si può desumere da un comportamento
concludente delle parti, qualora le parti collettive continuino a dare attuazione al contratto, oppure abbiano nei rinnovi ritenuto applicabile il precedente
contratto, ma anche il comportamento dei singoli lavoratori o del datore di lavoro possono integrare questa ultrattività, se hanno continuato ad utilizzare il
contratto collettivo allora di fatto si sono impegnati adr attuazione oltre il tempo di scadenza a quel contratto. ricavandosi questa volontà delle singoli parti si può
dire che si è verificata nei fatti una ultrattività dei contratti collettivi.
una pronuncia della cassazione aveva affermato che apporre una durata del contratto collettivo serve a determinare non una scadenza, ma il termine rappresenta
un termine programmatico ad astenersi a rivendicazioni fino alla scadenza.

quand’anche si ritenga che non esista un principio generale di ultrattività, c’è un aspetto che va tenuto separato dal resto, l’aspetto retributivo: la giurisprudenza
ha stabilito che pur non potendosi costruire un principio di ultrattività negoziale automatica, le clausole riguardanti la retribuzione, nonostante siano scadute e
non abbiano quindi più efficacia diretta, continuano a costituire il parametro ex art.36. cost. esiste quindi una sorta di ultrattività di fatto della parte retributiva.

principio della retroattività: il principio generale è quello dell'ammissibilità delle clausole di retroattività con l’inderogabilità dei diritti quesiti.
gli effetti delle clausole di retroattività nei confronti di rapporti esauriti:registrazione 2.03
la giurisprudenza ha detto che per quanto riguarda i trattamenti migliorativi, al fine dell’efficacia delle clausole di retroattività sui rapporti cessati, il contratto
collettivo non deve far distinzione tra i rapporti in essere e quelli cessati, se invece si riferisce soltanto ai rapporti in essere un eventuale beneficio ad esempio si
riferisce ai lavoratori. minuto 2:05
per quanto riguarda i trattamenti peggiorativi ai fini dell'estensione ai rapporti cessati occorre che sia ancora in essere il mandato sindacale e che non si sia di
fronte a diritti quesiti.
quando ci si riferisce a diritti quesiti e non a mere aspettative? registrazione 2:10

clausole interpretative o transattive: i sindacati non hanno un potere dispositivo, non possono disporre dei diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore. allora
in riferimento ad alcune clausole dubbie o istituti oggetto di contenzioso la contrattazione collettiva cerca di risolvere il problema per appianare una situazione
critica ponendo delle transazioni collettive. ci sono stati vari orientamenti: il primo ritiene che non ci sono limiti all’autonomia privata, ritenendo compreso nel
mandato il potere di risolvere la res dubia, quindi nel momento in cui si risolve la situazione con le transazioni collettivi lo si fa nell’interesse dei singoli, ma ciò
porterebbe a dire che i sindacati possono disporre anche dei diritti quesiti; un altro filone, ribadendo l'impossibilità da parte dei sindacati di disporre dei diritti
quesiti, hanno affermato che la transazione siglata assume per i singoli lavoratori o datori il valore di offerta di rinnovamento contrattuale idoneo a risolvere il
conflitto, i singoli potranno ono prestare il loro consenso a quest disposizione, in assenza di sottoscrizione da parte dei singoli quella clausola collettiva non
produce effetti: il sindacato quindi non ha potere esecutivo, e non avendo potere dispositivo dei diritti occorre che l’offerta riconciliativa sia accettata dalle parti.

le clausole di transazione collettiva devono essere tenute distinte da quelle interpretative:


può succedere che il contratto collettivo preveda al suo interno una lettura circa il significato di una previsione contenuta nel precedente contratto collettivo,
disposizione che ha prodotto dei danni, e a questo punto sono le stesse parti sociali firmatarie del contratto che dicono il significato di quella disposizione, in
questo caso è un’opera di interpretazione, siamo di fronte a regole ermeneutiche classiche del contratto civile adattate al contratto collettivo.

I RAPPORTI TRA LE FONTI


1. contratto collettivo e contratto individuale
una caratteristica essenziale del contratto collettivo di lavoro è la sua NON derogabilità del contratto individuale. l’ordinamento considera l’autonomia
individuale del tutto insufficiente a regolare le obbligazioni che nascono dal rapporto di lavoro, questo perchè il lavoratore è il contraente debole e dunque
l’integrazione del contratto dall’esterno ha proprio la funzione di riequilibrare tale debolezza . il complessivo assetto regolativo del rapporto è dunque solo in
parte minima dettato dai contraenti, risultando dall’agire combinato, oltre che dei contraenti, della legge e della contrattazione collettiva→ la legge e la
contrattazione collettiva, infatti, stabiliscono dei minimi di trattamento cui le parti non possono in alcun modo derogare in pejus, potendo, il contratto
individuale, disporre solamnete deroghe migliorative(in melius)

2. contratto collettivo e legge


anche il contratto collettivo non può derogare in pejus rispetto alle previsioni minime contenute nella legge, anche se la legge in alcune sitazioni ha mutato la
direzione dell’inderogabilità, assumendo il ruolo di disciplina dei massimi di trattamento, ed impedendo così sia all’autonomia individuale che a quella collettiva
di prefigurare deroghe in senso più favorevole ai lavoratori.
Un inedito è stravolgente modello di rapporti tra contratto collettivo e legge e ora prospettato dall'articolo 8 del decreto legge 138/2011 convertito con la legge
148 del settembre 2011. la norma attribuisce ai contratti collettivi aziendali o territoriali il potere di realizzare specifiche intese attribuendo ad esse efficacia nei
confronti tutti i lavoratori interessati.

Tali intese aziendali o territoriali possono derogare in peius alle disposizioni di legge e alle clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro che disciplinano le
materie richiamate l'unico limite è costituito dal rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative europee e dalle convenzioni internazionali sul
lavoro. l'articolo 8 pone alcune perplessità riguardo la sua costituzionalità Con riferimento all'articolo 39 che attribuisce il potere di stipulare contratti collettivi
Con efficacia erga omnes alle rappresentanze unitarie delle organizzazioni sindacali in proporzione agli iscritti. Inoltre Mette in discussione la filiera della
gerarchia delle fonti attribuendo al contratto aziendale facoltà derogatorie anche delle norme di legge oltre che di quelle del contratto aziendale con una
potenziale scrittura dell'intero diritto del lavoro. Infine Mette in discussione anche la dinamica e la statica delle obbligazioni che nascono dal contratto di lavoro
subordinato: il legislatore può ridisegnare la sagoma del contratto di lavoro ma tale operazione deve potersi inserire in un disegno razionale di riscrittura del tipo
e ho attuarsi per il tramite della costruzione dei sottotipi dotati di sufficiente autonomia concettuale.

Ciò che invece è proibito al legislatore e quanto si è preteso con l'articolo 8 Ovvero la polverizzazione della disciplina in una serie di contratti di lavoro minori o
a minore tutela con un ulteriore effetto di frammentazione del Mercato del Lavoro.

RAPPORTI FRA CONTRATTI COLLETTIVI


la questione dei rapporti fra contratti collettivi si è posta in ragione fondamentalmente di due circostanze.
a. la diversa natura dei contratti collettivi
b. il diverso livello a cui i contratti si collocano

quanto al primo aspetto→ art.43 d.lgs 369/44 mantenne in vita i contratti collettivi corporativi “salvo successive modifiche”: Le modifiche che avrebbero potuto
provenire solo da contratti pariordinati a quelle corporativi ovvero costituenti fonti del diritto in senso proprio, si negava quindi la possibilità che i contratti
collettivi di diritto comune potessero introdurre legittimamente modifiche; la tesi più seguita Si orientò invece nel senso che anche i contratti non efficaci erga
omnes potessero derogare quelli corporativi.

quanto alla seconda questione→ la questione si pone fondamentalmente avendo riguardo all’esistenza di deroghe peggiorative contenute nella fonte di minor
livello a fronte di quella maggiore. es. il contratto nazionale prevede che il lavoratore possa godere di 25 giorni di ferie annuali , mentre quello aziendale prevede
20 giorni di ferie annue: di qui il quesito, quale delle due fonti deve avere prevalenza nella regolamentazione del rapporto di lavoro? Le più risalenti
impostazioni escludevano che il contratto aziendale potesse derogare quello nazionale ex art. 2077 cc che regola i rapporti fra contratto individuale e collettivo;
un altro filone di pensiero faceva invece leva sul principio di gerarchia che dovrebbe
governare i rapporti fra le parti collettive contraenti e conseguentemente fra i prodotti negoziali realizzati; un altro ancora richiamava il principio del favor che
prevedeva la prevalenza della fonte che prevedeva il trattamento più favorevole per il lavoratore.
un punto di approdo è maturato quando la giurisprudenza ha trasferito il focus del problema dal piano dei rapporti fra i sogg. negoziali, a quello degli atti→ è
stato così valorizzato il criterio di specializzazione, che dovrebbe dare prevalenza alla fonte regolativa maggiormente vicina o maggiormente corrispondente alla
concreta situazione locale o aziendale.

LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA IN ITALIA


Nella fase post costituzionale in Italia ci sono state varie stagioni che hanno caratterizzato l'evoluzione della contrattazione collettiva. inizialmente le difficili
condizioni economiche del secondo dopoguerra favoriscono la centralizzazione contrattuale nel corso degli anni 50 donne nel contratto collettivo nazionale di
categoria. Alla fine degli anni 50 LE migliorate condizioni economiche favorirono una riapertura del dialogo a livello aziendale il che permette lavoratori di
migliorare le proprie condizioni salariali e agli imprenditori di attuare una regolamentazione dettagliate in base alle loro specifiche esigenze.
il 5 luglio 1962 venne stipulato un accordo fra le federazione lavoratori metalmeccanici e le associazioni datoriali intersind e Asap→ Tale accordo istituiva la
cosiddetta contrattazione articolata. Una svolta significativa si ebbe nel 69 periodo che viene definito a livello sindacale autunno caldo ed inaugura una nuova
stagione di conflittualità si afferma l'idea che in sede locale si possa ridiscutere ex-novo ogni materia rilevante senza tener conto dei limiti derivanti dal contratto
nazionale. la crisi economica che interessò gli anni 70 rese indispensabile un riaccentramento delle politiche contrattuali; inotlre un ruolo di primo piano fu
svolto dagli accordi interconfederali che posero le basi per importanti interventi legislativi ad es. l’indicizzazione del salario.

un primo intervento di razionalizzazione del sistema contrattuale fu il protocollo scotti(22 gennaio 83): cercò di rafforzare i rapporti di gerarchia tra contratti
collettivi, introducendo il divieto di ricontrattazione di materie già disciplinate e definite nel contratto nazionale.

nel 93 si giunse all’elaborazione di un protocollo sulla politica dei redditi, l’occupazione, gli assetti contrattuali, e le politiche del lavoro; questo protocollo
prevedeva 2 livelli di contrattazione:
1. il contratto nazionale di categoria
2. il contratto aziendale/territoriale
in merito alla durata del contratto nazionale di categoria questa era quadriennale per la parte normativa e biennale per la parte retributiva. l’ambito di
competenza del contratto decentrato(anch’esso quadriennale) era fissato nel contratto nazionale. l’ambito di contrattazione di secondo livello era comunque
dedicato secondo il protocollo, alle materie e istituti diversi rispetto a quelli già considerati dal contratto nazionale di categoria.

Il Protocollo dava inoltre un contributo essenziale alle procedure negoziali di rinnovo dei contratti collettivi;si trattava di una serie di indicazioni delle regole
acquisite in via di prassi nell’ambito delle relazioni industriali. Era lo stesso contratto collettivo nazionale a dover, in primo luogo, indicare delle piattaforme
contrattuali nazionali, territoriali o aziendali→ le PIATTAFORME CONTRATTUALI dovevano essere presentate in tempo utile per consentire l’apertura
delle trattative TRE MESI PRIMA della scadenza dei contratti. Nei tre mesi antecedenti e in quello successivo alla scadenza del contratto, le parti non avrebbero
potuto assumere iniziative unilaterali né procedere ad azioni dirette si tratta di un periodo durante il quale deve essere garantito il raffreddamento del conflitto
collettivo, senza quindi il ricorso allo sciopero.
L’ipotetica violazione id questo periodo di raffreddamento comportava l’anticipazione o lo slittamento di tre mesi del termine a partire dal quale decorre
l’INDENNITA’ DI VACANZA CONTRATTUALE.

Il vero problema oggetto di discussione rimase comunque l’ambito di competenza del contratto aziendale rispetto a quello nazionale. Gli imprenditori tendono a
favorire la contrattazione decentrata a discapito di quella nazionale perché assumono che solo in sede aziendale possono verificare l’efficienza e la produttività
del lavoro , inoltre in sede nazionale, la standardizzazione dei trattamento potrebbe produrre la
penalizzazione delle imprese già esposte alla concorrenza internazionale.
A tale atteggiamento imprenditoriali si contrappone quello della CGIL che non ha mai fatto mistero si privilegiare la contrattazione a livello nazionale, vista
come baluardo per garantire la parità di trattamento fra i lavoratori della medesima categoria.
Uno dei frutti di tale scontro-confronto tra le parti sociali fu, nel 2009, l’emanazione dell’Accordo quadro fra governo, CISL, UIL e le principali associazioni
datoriali italiane (NON viene sottoscritto dalla CGIL) uno degli scopi prefissati è quello di giungere ad una regolamentazione unitaria degli assetti della
contrattazione tra settore pubblico e privato , tuttavia lo scopo ne costituisce anche il limite data la grande distanza tra i due settori. Caratteristiche di tale
accordo:
a. permanente articolazione del sistema su due livelli: nazionale e decentrato
b. suddivisione delle competenze: a livello nazionale le questioni del mantenimento del potere d’acquisto e del salario e a livello decentrato la
retribuzione legata alla produttività
c. la durata triennale del CCNL e del contratto decentrato
d. copertura economica in caso di tardività dei rinnovi
e. possibilità di deroghe anche peggiorative in casi di crisi

Con l’Accordo interconfederale del 2011 si inizia a ricucire lo strappo avvenuto tra le grandi associazioni sindacali ( rientra in gioco la CGIL) si pone l’obiettivo
di favorire lo sviluppo e la diffusione della contrattazione collettiva di secondo livello per cui vi è la necessità di promuoverne l’effettività e di garantire una
maggiore certezza alle scelte operate. Il senso è quello di consentire l’efficacia generalizzata del contratto aziendale nei confronti di tutti i dipendenti
dell’impresa, tuttavia è prevista, con clausole ad hoc,la possibilità di operare modifiche al contratto nazionale

art.8 l.148/2011→ in ordine ai rapporti fra contratti (nazionali e decentrati) , le intese aziendali o territoriali possono derogare anche in pejus alle
disposizioni di legge ed alle clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro che disciplinano le materie richiamate. NON vi è quindi una materia delegata alla
contrattazione aziendale nel quadro di quelle regolate dal contratto nazionale, ma ogni aspetto della disciplina lavoristica è liberamente contrattabile a livello
aziendale

CONTRATTO COLLETTIVO NEL PUBBLICO IMPIEGO


all’esito della riforma degli anni 90 si è completata la traiettoria di contrattualizzazione del lavoro pubblico ormai sottoposto al diritto del lavoro privato. tale
svolta è da ricondurre in particolare a tre leggi:
1. 421/1992→ razionalizzazione e revisione delle discipline in materia di sanità
2. 59/1997→ generale riforma della pubblica amministrazione
3. 127/1997→ snellimento dell’attività amministrativa
la normativa base viene attuata con il d.lgs 29 febbraio 1993, mentre con il d.lgs. 165/2001 la materia è stat raccolta in una sorta di testo unico.
Le finalità della riforma rispondono alle esigenze di accrescere l’efficienza delle pubbliche amministrazioni,razionalizzare il costo del lavoro pubblico e
realizzare la parità di trattamento fra dipendenti pubblici e privati , i quali hanno medesimo statuto giuridico e le eccezioni a tale situazione hanno carattere di
tassatività.
si afferma( già nel d.lgs. del 2001) che i rapporti di lavro dei dipendenti pubblici sono disciplinati dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa e
sono regolati contrattualmente.
la l.421 stabilisce la ripartizione di confini fra legge e contrattazione collettiva circa le rispettive competenze; restano conferite alla legge:
a. le responsabilità giuridiche dei singoli operatori nell’espletamento delle procedure amministrative
b. individuazione degli organi e dei modi di conferimento della titolarità degli stessi
c. principi fondamentali di organizzazione degli uffici
d. garanzie della libertà e autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica scientifica e di ricerca
la restante materia rienta nell’ambito della contrattazione collettiva→ il contratto collettivo costituisce quindi una fonte diretta di regolamentazione del rapporto
di lavoro pubblico senza la necessità di essere recepito in un atto regolamentare che ne possa condizionare l’efficacia.

L’assegnazione di un ruolo privilegiato di fonte al contratto collettivo nel settore pubblico, presupponeva necessariamente una rigorosa regolamentazione delle
procedure e dei soggetti abilitati. A differenza del settore privato, le pubbliche amministrazioni datrici di lavoro hanno vincoli di spesa da rispettare
doverosamente ,mentre nel settore privato le concessioni economiche sono legate all’andamento generale del mercato; inoltre, il contratto collettivo, deve poter
assicurare condizioni omogenee di trattamento su tutto il territorio nazionale di qui la necessità di una REGOLAMENTAZIONE DETTAGLIATA di tutti i
profili dell’attività contrattuale.
il contratto collettivo che corrisponde al contratto di categoria è il contratto nazionale di comparto→ le parti possono definire fino ad un massimo di 4 comparti
di contrattazione collettiva nazionale cui corrispondono non più di 4 separate aree per la dirigenza; nell’ambito dei comparti di contrattazione, possono poi
essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità.

è la contrattazione collettiva che regola i livelli contrattuali e i rapporti tra questi→ è abilitata a disciplinare i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti
collettivi nazionali ed integrativi. La durata dei contratti viene stabilita in modo che vi sia coincidenza fra la vigenza della disciplina giuridica e di quella
economica; la durata dei contratti di primo e secondo livello è sempre TRIENNALE.

CONTRATTAZIONE DECENTRATA→ deve rispettare i vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna
amministrazione e comunque assicurare adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici; inoltre anche l’ambito di competenza della
contrattazione decentrata è definito dal contratto collettivo nazionale. La recente riforma del 2009 dà competenza
regolativa unilaterale delle P.A. relativamente alle materie della contrattazione decentratasi prevede che qualora non si raggiunga l’accordo per la stipulazione di
un contratto collettivo integrativo, l’amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo fino alla
successiva sottoscrizione. Infine il sistema dei rapporti gerarchici fra contratto nazionale di comparto e contrattazione decentrata è rafforzato dalla SANZIONE
DI NULLITA’ che colpisce le clausole dei contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli e con i limiti risultanti dai contratti collettivi nazionali o che
disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale; tali clausole sono NULLE e vengono sostituite di diritto da quelle del contratto
nazionale.

LE PARTI
il sistema della contrattazione collettiva nel settore pubblico prevede una rigorosa regolamentazione dei soggetti abilitati a stipularla. viene realizzato un sistema
nel quale, sul versante dei lavoratori, il potere negoziale si affida al sindacato rappresentativo; per quanto riguarda la contrattazione nazionale, vengono
ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le organizzazioni che abbiano nel comparto o nell'area una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a
tal fine la media tra dato associativo e dato elettorale:
DATO ASSOCIATIVO→ espresso dalla % delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al tot delle deleghe rilasciate nell’ambito
considerato.
DATO ELETTORALE→ è espresso dalla % dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale, rispetto al tot dei voti espressi
nell’ambito considerato.

E’ prevista inoltre anche la partecipazione delle Confederazioni cui siano affiliate le associazioni sindacali ammesse alla contrattazione. Prima delle
sottoscrizione dei contratti, si deve verificare che le organizzazioni sindacali che aderiscono all’ipotesi di accordo, rappresentino nel loro complesso, almeno il
51% come media tra dato associativo e dato elettorale o almeno il 60% per dato elettorale nell’ambito in questione.

Soggetti dei contratti collettivi integrativi , dal lato dei lavoratori sono le rappresentanze sindacali unitarie ;tale rappresentanza non è però esclusiva, in quanto
esse possono essere affiancate dai rappresentanti sindacali firmatari dei contratti di comparto.

Per quanto riguarda invece le P.A. , la legge ha istituito un soggetto ad hoc : l’ARAN (agenzia per la rappresentanza negoziale delle p.a.) ne costituiscono gli
organi il presidente, scelto fra esperti di economia del lavoro, diritto del lavoro, politiche del personale e strategie aziendali e dura in carica 4 anni, ed il collegio
di indirizzo e controllo, costituito da 4 componenti scelti tra esperti di riconosciuta competenza in materia di relazioni sindacali e di gestione del personale. Il
collegio coordina la strategia negoziale e ne assicura l’omogeneità , assumendo la responsabilità per la contrattazione collettiva e verificando che le trattative si
svolgano in coerenza con le direttive contenute negli atti di indirizzo . L’ARAN
ha la rappresentanza legale delle p.a. ed esercita a livello nazionale ogni attività relativa alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e
all’assistenza delle p.a. ai fini dell’uniforme applicazione dei contratti collettivi; ha inoltre personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia
organizzativa nei limiti del proprio bilancio. Il suo ruolo NON E’ appaiabile a quello delle associazioni datoriali del settore privato né a quelle delle cosi dette
autorità indipendenti, essendo la sua azione condizionata agli indirizzi e impulsi che le vengono dati dai Comitati di settore. L’ARAN NON ha la rappresentanza
necessaria delle regioni a statuto speciale e delle province autonome , che possono invece avvalersi , per la contrattazione collettiva di loro competenza, di
agenzie tecniche istituite con legge regionale o provinciale e, solo in subordine, dell’assistenza dell’ARAN.

PROCEDURE DI CONTRATTAZIONE
l’attività contrattuale è preceduta dagli atti di indirizzo emanati dai comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale. gli atti di indirizzo sono sottoposti al
governo che può esprimere le sue valutazioni per quanto attiene agli aspetti riguardanti la compatibilità con le linee di politica economica e finanziaria
nazionale. gli atti di indirizzo sono preceduti, per l’amministrazione statale, dalla quantificazione dell’onere derivante dalla contrattazione collettiva nazionale a
carico del bilancio dello stato, con disposizione da inserire nella legge finanziaria , per le altre amministrazioni gli oneri sono determinati a carico dei rispettivi
bilanci.

esaurita la fase preliminare inizia la vera e propria trattativa negoziale tra le parti,nel corso della quale l’ARAN è tenuta ad informare costantemente i comitati di
settore ed il governo sullo stato di avanzamento delle intese; all’esito delle trattative viene sottoscritta un’ipotesi di accordo e si apre il procedimento di
perfezionamento e chiusura del contratto. l’ipotesi di accordo viene trasmessa dall’aran ai comitati di settore e al governo entro 10 giorni dalla data di
sottoscrizione. per le amministrazioni statali, il parere sul testo contrattuale viene espresso dal presidente del consiglio dei ministri.
acquisito il parere favorevole sull’ipotesi di accordo, il giorno dopo l’ARAN TRASMETTE LA QUANTIFICAZIONE DEI COSTI CONTRATTUALI alla
corte dei conti; a quest’ultima è affidata una funzione di controllo dell’attendibilità dei costi e della loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di
bilancio→ è previsto un termine di 15 giorni trascorso il quale la certificazione si intende effettuata positivamente e trasmessa all’aran che sottoscrive
definitivamente il contratto collettivo. attraverso la corte dei conti si può aprire un subprocedimento: se l’ipotesi di accordo non passa il vaglio della corte dei
conti, le parti contraenti non possono procedere alla sottoscrizione definitiva dell’ipotesi di accordo, ed il presidente dell’aran provvede alla riapertura delle
trattative e alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo.
il procedimento si conclude con la pubblicazione del contratto sulla gazzetta ufficiale.

SGUARDO D’INSIEME E PROBLEMI DI COSTITUZIONALITA’


contratto collettivo per il pubblico impiego→ tipo di contratto che esplica direttamente la propria efficacia nei confronti dei rapporti di pubblico impiego, senza
la mediazione di atti di recepimento, essendo le pa obbligate a darvi applicazione in sede di stipulazione dei cotratti individuali;
→ si applica a prescindere dall’iscrizione e/o adesione del singolo lavoratore al sindacato e dunque anche al di fuori della regola dell’iscrizione all’associazione
sindacale che lo ha stipulato.

si pone il problema della sua compatibilità con art.39→ la Corte costituzionale ha salvato la costituzionalità della riforma estendendo al contratto collettivo
pubblico un ragionamento analogo a quello già elaborato a proposito dei c.d. contratti gestionali del settore privato. Secondo la Corte ,infatti, non può esserci un
problema di incompatibilità con l’art. 39 perché l’efficacia erga omnes del contratto collettivo pubblico NON discende direttamente dalla sua natura intrinseca,
ma si colloca sul diverso piano delle conseguenze che derivano per un verso dal vincolo di conformarsi imposto alla p.a. e, per l’altro, dal legame che avvince il
contratto individuale al contratto collettivo.

Nei contratti collettivi del pubblico impiego , la funzione uniformatrice dell’interpretazione è esaltata dall’obbligo dall’obbligo di pari trattamento fra dipendenti
pubblici e dalle garanzie previste dall’art. 97 Cost. . Nel settore pubblico viene dato maggiore spazio alle parti negoziali nel procedimento di interpretazione
autentica del contratto quando infatti insorgono controversie sull’interpretazione dei contratti collettivi, le parti che li hanno sottoscritti si incontrano per definire
consensualmente il significato delle clausole controverse. Ove sopraggiunga l’accordo, questo va validato con le usuali procedure negoziali e l’interpretazione
autentica ha efficacia retroattiva , sostituendosi alla precedente fin dall’inizio della
vigenza del contratto.
In caso di INCIDENTE INTERPRETATIVO all’interno del processo, il giudice, con ordinanza non impugnabile,nella quale indica la questione da risolvere,
fissa un’udienza per procedere ad una nuova discussione che può esserci solo dopo 120 giorni dalla precedente e comunica questo intento all’ARAN, il quale nei
successivi 30 giorni convoca le organizzazioni sindacali firmatarie per verificare la possibilità di un accordo sull’interpretazione autentica del contratto, ossia
sulla modifica della clausola controversa.

LO SCIOPERO
l’espressione sciopero designa il rifiuto della prestazione da parte di chi vi è obbligato con lo scopo di premere sulla controparte per ottenere condizioni più
favorevoli. presuppone l’esistenza di una relazione giuridica caratterizzata dalla condizione di subordinazione del lavoratore e dall’inserimento all’interno di
un’organizzazione etero-diretta. la prestazione che viene rifiutata deve essere oggetto di un obbligo giuridico e non di un obbligo morale.
nella costituzione lo sciopero è strumento privilegiato della sola classe lavoratrice, per arrivare però alla posizione che ricopre oggi, lo sciopero ha subito varie
fasi:
a. Nel CODICE PENALE SARDO 1859 si incriminava penalmente qualsiasi forma di coalizione ,sia dei lavoratori che dei datori di lavoro , diretta a
sospendere, ostacolare o far rincarare il lavoro senza ragionevole causa;
b. Nel CODICE ZANARDELLI 1889 si affermò invece un periodo di tolleranza penale, la repressione si indirizzava infatti non alle forme di lotta
sociale in sé (sciopero e serrata), ma alle eventuali minacce o violenze che vi fossero connesse e che fossero impeditive della libertà di lavoro; in
sostanza lo sciopero non era più un reato ,ma non costituiva nemmeno un diritto, potendo qualificarsi come una mera libertà
c. Nel CODICE PENALE ROCCO 1930 con la l. n. 563 del 1926 si introdussero agli artt. da 502 a 508 una serie di delitti contro l’economia
pubblica, di fatto vietando TUTTE le fattispecie di sciopero e serrata, quale che fosse la loro finalità; inoltre agli artt. 330 e 333 si vietò gli scioperi
nell’ambito del lavoro pubblico, introducendo i reati di interruzione di servizio pubblico e di abbandono individuale di pubblico servizio, ufficio o
lavoro
Caduto il fascismo, la soppressione delle istituzioni del corporativismo NON si estese alle norme incriminatrici penali dello sciopero e della serrata contenute
nel codice Rocco; dopo l’entrata in vigore della Costituzione, fu compito della Corte cost. valutare caso per caso la permanente legittimità di talinorme rispetto
al nuovo sistema che ruota intorno all’idea che lo sciopero costituisce un diritto.

3 tipi di sciopero:
1. sciopero reato. nell’ordinamento vi è una normativa che vieta lo sciopero e lo sanziona penalmente, il lavoratore che si astiene dal lavoro è
sanzionabile dal punto di vista civilistico che penale
2. sciopero libertà: scelta astensionistica da parte dell'ordinamento, dal punto di vista penale è un comportamento neutro, ma non si rientra nella sfera
inter privata, l’astensione del lavoro produce solo un inadempimento
3. sciopero diritto: facoltà per un individuo di partecipare ad uno sciopero senza che vi siano conseguenze
l’art.40, nel sancire il diritto di sciopero afferma che il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano. questa formazione lascia spazio a
varie interpretazioni, specie a seguito di un prolungato silenzio del legislatore che ha omesso di intervenire nella materia dello sciopero salvo alcune ipotesi
specifiche: nel nostro ordinamento non esiste una disciplina organica dello sciopero, il quale , la maggior parte delle volte non ha base normativa.
una prima interpretazione dell'art.40 ha posto l’attenzione sul passaggio delle leggi che lo governano:secondo alcuni si sarebbe trattato i una norma ad
applicazione differita, quindi la copertura costituzionale si avrebbe solo a seguito di una legge ordinaria a cui l’art.40 rinvia. la corte invece ha parlato di un
carattere immediatamente precettivo della tutela del diritto, quindi la norma deve essere come indicativa dell'esistenza del diritto a prescindere che ci sia o meno
una legge .
è stata la giurisprudenza a sopperire al vuoto normativo.
sempre in riferimento alla costituzione dogmatica dello sciopero, un autore, santoro passarelli, ha ricostruito lo sciopero come un diritto soggettivo potestativo,
esercitabile dai lavoratori nei confronti del datore di lavoro; tuttavia anche questa lettura è molto limitante: è una pretesa che si può azionare esclusivamente con
una finalità ovvero rivendicare migliori condizioni lavorative, ma questa funzione, classica dello sciopero, non riassume in sè tutte le finalità che lo sciopero può
perseguire. circoscrive il fenomeno dello sciopero nello sciopero contrattuale, che secondo questo autore è l’unica forma lecita.La teoria di F.SANTORO
PASSARELLI, Guarda fondamentalmente agli effetti di questo sul rapporto di lavoro e ne circoscrive l’ambito di incidenza; implica una restrizione nello spettro
di rilevanza dello sciopero: sarà legittimo solo lo sciopero che si rivolga nei confronti del datore di lavoro. Per converso diverrebbero illegittime tutte le forme di
sciopero che non abbiano come destinatario quest’ultimo (politico, di solidarietà ecc) secondo questa ricostruzione, ciò che conta è che la pretesa fatta valere
rientri nella disponibilità del datore di lavoro , nel senso che quest’ultimo possa darvi corso con il suo comportamento , le rivendicazioni estranee a tale
disponibilità renderebbero illegittimo lo sciopero costituendo un INADEMPIMENTO CONTRATTUALE.
in seguito negli anni 70 soprattutto nasce l’idea che lo sciopero sia un diritto assoluto della persona(teorie personalistiche): l’art.40 viene posto in correlazione
con l’art.2 e 3: l’astensione del lavoro viene visto come strumento attraverso quale si può attuare quella rimozione di quelle disuguaglianze di fatto che
impediscono lo sviluppo della persona. i sostanza si ricostruisce ex novo il diritto di sciopero, e lo si riconduce nei diritti della persona→ sciopero come diritto
pubblico di libertà,questa nuova ricostruzione che vede lo sciopero come diritto assoluto ha due significati: il primo è che qualsivoglia legge ordinaria non può
travolgere il diritto, può regolamentarlo, ma deve tener conto che è un diritto assoluto; significa poi che vi è un divieto per il datore di adottare comportamenti
attuati per mortificare l’esercizio di quel diritto.

tuttavia la prospettiva maggiormente aperta e più aderente al fenomeno sociale è quella che qualifica lo sciopero come FATTO GIURIDICO lo sciopero è in
effetti un’entità giuridicamente non definibile, ma risente del mutevole assetto dei rapporti sociali, per cui classificarlo come fatto costituisce il miglior modo per
lasciare aperto il flusso regolativo fra dato sociale e dato giuridico.

titolarità del diritto di sciopero: nella fase post costituzionale, con l'espansione del sindacato si è assistito ad una iper valorizzazione del ruolo delle
organizzazioni sindacali andato di pari passo con una definizione di sciopero limitata alla finalità di una rivendicazione di migliori condizioni lavorative
santori passarelli ricostruisce lo sciopero come negozio giuridico collettivo unilaterale di rivendicazione(diritto potestativo): vi deve essere un elemento che
precede la materiale astensione del lavoro, lo sciopero è legittimo solo se prima vi è la proclamazione dello sciopero da parte del sindacato, senza la quale,
secondo questa impostazione, non si può avere sciopero. questa impostazione originaria, lo sciopero è un diritto individuale che presuppone un momento
autorizzatorio.
gradualmente si arriva a tutt’altra impostazione vedendo lo sciopero come diritto individuale ad esercizio collettivo: il momento della proclamazione può esserci
o non esserci. questa teoria è convincente perché nell’articolo 39 quando si afferma che l’organizzazione sindacale è libera, il costituente ha parlato di
organizzazione lasciando la strada aperta a qualsiasi spontaneismo sindacale. per molto tempo questa teoria è stata quella dominante.
è successo però che una volta nata la l.n.146/1990 ha preso di nuovo campo la prima teoria: questa legge infatti all’art.2 impone ai fini della legittimità della
sciopero che vi sia un preavviso dato dai soggetti che promuovono la sciopero( che essenzialmente avviene da parte dei soggetti collettivi) che indichi quanto
dura lo sciopero.

più complessa è stata la creazione della nozione di sciopero:fino al 1980 è stata adottata la lettura dottrinale fornita da santoro passarelli: sciopero è astensione
concertata dal lavoro a tutela di un interesse professionale collettivo. era una naozione molto ristretta dello sciopero(tecnica definitoria definisce cosa è lo
sciopero). con interesse professionale collettivo significa che la sciopero deve essere diretto al perseguimento di una pretesa che sia nella disponibilità del datore
di lavoro, da questa definizione resterebbero fuori tutte quelle forme di astensione dal lavoro che non siano di rivendicazione economico-finanziarie. questa
tecnica definitoria comportava che lo sciopero dovesse essere:
- completo, non poteva essere parziale
- continuo, vi era il divieto di forme articolate di sciopero
- occorreva che vi fosse la proclamazione del sindacato quale elemento autorizzatorio dello sciopero(concertazione)
vi era quindi una limitazione delle forme e della finalità della sciopero
venivano poi enucleati dei limiti interni e esterni allo sciopero:
- interno: tutto ciò che non rientra nella definizione non è sciopero
- esterno. i limiti esterni ponevano un bilanciamento tra il diritto di sciopero e gli altri diritti costituzionali, con la conseguenza che venivano ritenuti
illegittimi gli scioperi anomali, perchè si andava a produrre un danno ingiusto, perchè il danno è eccessivo rispetto al sacrificio dello scioperante.
nel 1980, con la sentenza 711 si arriva al concetto odierno di sciopero: sciopero visto come fatto. è sciopero tutto ciò che la coscienza sociale determina come
tale. ciò comporta una conseguenza in termini di limiti: non vi sono limiti interni, a si modificano anche quelli esterni perché non è l'entità del danno che
influisce sulla connotazione del comportamento come sciopero, non è il danno che determina la liceità o meno dello sciopero, quindi anche gli scioperi anomali
sono scioperi legittimi, perché la finalità dello sciopero è proprio quella di recare un danno(alla produzione), ciò che è impedito è che il comportamento
determini un danno alla produttività, un danno tale per cui l’azienda ne risentirà in futuro, questo bilanciamento degli interessi è risolto ammettendo ogni danno
alla produzione come legittimo, quello non legittimo è impedire la futura capacità produttiva del destinatario dello sciopero.
dal punto di vista dei limiti esterni, vi possono essere comportamenti che minano l’integrità del patrimonio aziendale o che mettano a repentaglio la vita o
l’incolumità delle persone, quindi è sempre possibile un bilanciamento degli interessi.

lo sciopero deve essere sempre totale(deve sospendere tutta l’attività lavorativa mentre non rientrano le modalità con cui lo sciopero si svolge.

lo sciopero può essere valutato in relazione alle modalità con le quali viene effettuato.
in relazione alle modalità del suo esercizio, possiamo distinguere lo sciopero come astensione totale e continuativa dal lavoro per una determinata frazione di
tempo, da forme diverse che per essere distinte dalla prima vengono definite anomale:
a. sciopero a singhiozzo: consiste in un’astensione frazionata nel tempo e ad intervalli più o meno regolari
b. sciopero a scacchiera: i reparti dell’impresa scioperano alternativamente.
Queste sono tecniche di sciopero che incidono in modo molto più pregnante sull’organizzazione produttiva dell’impresa , tanto che la stessa giurisprudenza,
almeno nel primo ventennio post-costituzionale, è stata molto severa nei confronti di tali forme di lotta bisogna comunque considerare la formazione culturale
dei giudici dell’epoca , appartenenti ad una generazione cresciuta all’interno di un regime diffidente verso le forme di autotutela collettiva ; non a caso infatti
dagli anni 70 si inverte l’atteggiamento interpretativo. Nel ventennio post-costituzionale, si afferma la convinzione che sciopero= astensione collettiva e
continuativa dal lavoro di tutti i dipendenti dell’impresa ne deriva che vengono considerate illegittime tutte le forme di sciopero che si distaccano dal prototipo,
veniva cioè utilizzata una TECNICA DEFINITORIA , sostanzialmente creata dalla giurisprudenza e non fondata su alcun riscontro positivo, mentre invece gli
elementi di valutazione dello sciopero dovrebbero essere dedotti dalla stessa realtà effettuale.
Un’ulteriore ostacolo rispetto alla valutazione di legittimità dello sciopero articolato è venuto da quella corrente di pensiero che ha attribuito a tale forma di
astensione collettiva la responsabilità di causare al datore di lavoro un DANNO INGIUSTO ed ulteriore rispetto a quello causato dallo sciopero-standard. La
prospettiva ragiona assumendo che lo sciopero debba causare un danno proporzionato al sacrificio imposto al lavoratore con la perdita della retribuzione; gli
scioperi articolati, viceversa, romperebbero questo equilibrio, definito di CORRISPETTIVITA’ DEI SACRIFICI , ed infliggerebbero al datore un danno
supplementare, in quanto tale ILLEGITTIMO anche tale linea di pensiero viene smentita dalla giurisprudenza negli anni 80, in base al fatto che la causazione di
un danno costituisce un effetto caratteristico dello sciopero senza che possa distinguersi in concreto l’entità delle conseguenze dannose, comunque ricomprese
nel fenomeno sociale; del resto ai lavoratori scioperanti NON possono essere imposti gli obblighi di correttezza e buona fede, semmai sugli scioperanti può
incombere il generico neminem laedere , il quale richiede che la loro manifestazione sia tale da non ledere l’interesse del datore alla conservazione
dell’organizzazione materiale dell’impresa, al momento della ripresa dell’attività produttiva.
SENT. N. 711/1980 sentenza decisiva della Corte nella quale afferma che lo sciopero non ha altri limiti se non quelli che si rinvengono in norme che tutelino
posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario o quanto meno paritario, quali il diritto alla vita e all’incolumità personale; in questa sentenza si
distingue inoltre fra:
DANNO ALLA PRODUZIONE viene messa in discussione semplicemente la possibilità di ricavare dalla produzione un risultato utile= è una forma di sciopero
legittima;
DANNO ALLA PRODUTTIVITA’ viene inibita la potenzialità produttiva dell’impresa= è una forma di sciopero illegittima;

illegittimità dello sciopero: si ha nei casi di:


1. sciopero delle mansioni→ quando un dipendente si rifiuta di svolgere un determinato compito per una data unità di tempo (l’astensione non deve
quindi essere integrale), violando così gli obblighi contrattuali.
2. sciopero del rendimento→ scopo di non rispettare i ritmi di lavoro dettati dall’azienda e gli obiettivi produttivi.

3. sciopero pignolo→ consiste nella pedissequa osservanza delle disposizioni e dei regolamenti in modo da cagionare, attraverso un rallentamento
della produzione, un danno all'attività lavorativa.

Tra le forme di autotutela collettiva dei lavoratori come il boicottaggio, non collaborazione, ostruzionismo, cosiddetto “picchettaggio”, etc. non sono definibili
come sciopero perché non vi è astensione dal lavoro, con lo sciopero invece Si esprime un’astensione totale dal lavoro da parte di una pluralità di dipendenti,
diretta ad esercitare una pressione su una o più controparti.

le finalità dello sciopero:


Lo sciopero può esercitarsi da parte dei lavoratori per raggiungere diverse finalità può essere diretto a migliorare le condizioni di lavoro, in questo caso parliamo
di sciopero economico-professionale ; ma può anche accadere che i lavoratori scioperino per questioni che non sono riconducibili alla loro posizione economica
come ad esempio in quei casi in cui si vuole dar sostegno alla lotta di altri lavoratori , in questo caso parleremo invece di sciopero di solidarietà. Possono però
esserci anche altre finalità , come ad esempio la volontà di esercitare una pressione NON sulla controparte datoriale , ma sulle istituzioni al fine di rivendicare
l’adozione di determinate misure legislative o per opporsi alla loro emanazione in questo caso si parla di sciopero politico , nel quale si può distinguere lo
sciopero economico-politico (quando le rivendicazioni toccano gli interessi economici dei lavoratori) e sciopero puramente politico ( quando ci si rivolge contro
decisioni che riguardano il governo generale del paese è una protesta nei confronti della pubblica autorità senza voler realizzare un interesse economico, non c’è
nessuna connessione con lo status di lavoratore).
Sulla materia vanno segnalati alcuni interventi della Corte costituzionale:
SENT. N. 123/1962 dichiarò l’illegittimità dell’art 505 c.p. che incriminava lo sciopero di solidarietà , infatti la corte ritenne di circoscrivere la legittimità dello
sciopero a quelle sole situazioni in cui vi fosse una qualche connessione o affinità fra gli interessi degli scioperanti e quelli della categoria con la quale avevano
solidarizzato.
SENT. N. 290/1974 i giudici della Consulta hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 503 c.p. che incriminava lo sciopero politico ( sciopero per
fini non contrattuali) ; per la corte resta penalmente perseguibile lo sciopero diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il
regolare funzionamento delle istituzioni democratiche.
L. N. 165/1983 La corte cost. dichiara l’illegittimità cost. dell’art. 504 c.p. nella parte in cui punisce lo sciopero che ha lo scopo di costringere l’autorità a dare o
ad omettere un provvedimento o lo scopo di influire sulle deliberazioni di essa , estendendo a tale sciopero i medesimi limiti riguardanti lo sciopero politico.
.
la corte afferma che in questo caso non essendoci un aggancio diretto all’art.40 siamo di fronte al mero esercizio di una libertà, quindi in teoria e si aderisce a
uno sciopero di libertà, non si potrà essere perseguiti dal punto di vista penale, ma si potrebbe dal punto di vista civilistico. questa impostazione è stata messa in
discussione con l’uscita della l.n.146/1990.
lo sciopero politico è un concetto pericoloso, per le finalità che si vogliono perseguire: nel nostro ordinamento sono reato quegli scioperi voti a sovvertire
l’ordinamento costituzionale, o finalizzato ad ostacolare il libero esercizio dei poteri nei quali si esercita la sovranità popolare.

gli effetti sul rapporto di lavoro: lo sciopero comporta la sospensione dell’obbligo retributivo, viene meno il sinallagma tra prestazione e controprestazione. nei
casi di sciopero non continuo, il datore può rifiutarsi di pagare la retribuzione anche per gli spazi in cui si è lavorato, in quanto la prestazione non ha raggiunto il
livello minimo di stabilità tecnica tale da rendere normale l’attività lavorativa, non accettando in questo modo di pagare la prestazione residua.
il datore di lavoro come può reagire allo sciopero? Mettiamo che buona parte dei dipendenti di un comparto aziendale decidano di scioperare. Non tutti però.
Alcuni non aderiscono allo sciopero, ma in quelle ore non erano in turno. Possono essere utilizzati dal datore di lavoro per sostituire i lavoratori scioperanti o si
rischia di sfociare nella condotta antisindacale?
può farlo e si chiama crumiraggio interno, è infatti È facoltà dell’azienda impiegare dipendenti già interni all’azienda per tamponare l’astensione di quelli
partecipanti alla lotta sindacale. A condizione, ovviamente, che per tutelare gli scioperanti non si ledano invece i diritti dei dipendenti utilizzati per la
sostituzione.
Viene invece considerata condotta antisindacale, e quindi vietata all’azienda, quella che mira a sostituire i dipendenti scioperanti con altri lavoratori assunti però
per l’occasione (ad esempio con contratti di somministrazione). → crumiraggio esterno

sciopero dei servizi pubblici


l’unico intervento legislativo in materia di limiti all’esercizio del diritto di sciopero è da ricondurre alla legge 146/1990 nel settore dei servizi pubblici essenziali.
si tratta di un intervento reso necessario dal fatto che nel settore dei servizi essenziali ( scuola, sanità trasporti ecc..) oltre alla normale dialettica sindacale fra le
parti del rapporto di lavoro, si aggiunge anche la presenza degli UTENTI , ossia i destinatari dei servizi che subiscono le conseguenze sfavorevoli
dell’astensione dal lavoro. Prima del 1990 la materia era regolata dagli artt. 330 e 333 del c.p. che prefiguravano i reati di abbandono collettivo ed abbandono
individuale di un pubblico servizio; nel corso degli anni 80, le associazioni sindacali elaborarono dei codici di autoregolamentazione che però si dimostrarono di
scarsa effettività perché lasciavano mano libera alle organizzazioni dissenzienti. Si giunse così alle legge 146 /1990 questa non sottopone a divieti l’esercizio
dello sciopero nell’ambito dei servizi essenziali , ma utilizza piuttosto una tecnica diretta a stimolare una regolamentazione proveniente dalle stesse parti in
conflitto introducendo una sorta di arbitro della congruità delle regole a raggiungere il fine proposto e della loro corretta amministrazione (la Commissione di
garanzia). La legge si propone di ‘’contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona , costituzionalmente tutelati ‘’ ; la
legge contiene anche un lungo elenco di quelli che considera i diritti tutelati , elenco che deve però considerarsi aperto perché suscettibile di continue annessioni
(es. diritto alla vita, alla salute, alla sicurezza della persona, all’istruzione, alla libertà di circolazione , alla libertà di comunicazione ecc..).

In tali ambiti lo sciopero può essere esercitato nel rispetto di misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili per garantire le finalità di
protezione del contenuto essenziale dei diritti individuati; la legge impone anzitutto alla contrattazione collettiva di prevedere PROCEDURE DI
RAFFREDDAMENTO E DI CONCILIAZIONE da esperire prima della proclamazione dello sciopero. Esperite le procedure di raffreddamento, i soggetti
sindacali possono proclamare lo sciopero , ma sono onerati al rispetto di un preavviso di almeno 10 giorni nonché dell’obbligo di comunicare per iscritto la
DURATA, le MODALITA’ DI ATTUAZIONE e le MOTIVAZIONI dell’astensione collettiva dal lavoro. La comunicazione deve essere data sia alle imprese
che alle amministrazioni che erogano il servizio , sia all’ufficio competente di adottare l’ordinanza di precettazione. La funzione del preavviso è quella di
consentire di predisporre le misure indispensabili che devono necessariamente garantire e di comunicare agli utenti l’elenco dei servizi garantiti.
La revoca spontanea dello sciopero proclamato costituisce una FORMA SLEALE DI AZIONE SINDACALE e viene valutata dalla Commissione di garanzia ai
fini dell’irrogazione delle sanzioni previste dalla legge fenomeno che nella prassi sindacale viene definito EFFETTO-ANNUNCIO con il quale i soggetti si
assicurano gli effetti negativi dell’astensione senza poi darvi effettivamente corso; è in sostanza un modo per responsabilizzare le parti promotrici e cercare di
limitare il ricorso allo sciopero ai casi in cui si presenti come indifferibile.
Ulteriore limite è costituito dalla necessaria indicazione di INTERVALLI MINIMI da osservare tra uno sciopero e la proclamazione del successivo , quando
cioè sia necessario evitare che sia oggettivamentecompromessa la continuità dei servizi pubblici.

LA DETERMINAZIONE DELLE PRESTAZIONI INDISPENSABILI AD OPERA DEI CONTRATTI COLLETTIVI


Il punto-chiave della legge sta nel rinvio ai contratti collettivi della determinazione delle prestazioni indispensabili che devono adottare misure che possono
disporre l’astensione dallo sciopero di quote strettamente necessarie di lavoratori tenuti alle prestazioni ed indicare le modalità per l’individuazione dei
lavoratori interessati . La regolamentazione dettata dai contratti collettivi si impone come REGOLA VINCOLANTE nei confronti sia dei soggetti che
promuovono lo sciopero o che vi aderiscono, sia dei lavoratori che esercitano il diritto di sciopero , sia delle amministrazioni e imprese erogatrici di servizi.
Per i lavoratori autonomi l’astensione collettiva è esercitata nel rispetto dei codici di autoregolamentazione i contratti collettivi in questione hanno efficacia erga
omnes il che ripropone ancora una volta la questione della compatibilità con l’art. 39 Cost la Corte cost. ne salva la costituzionalità utilizzando gli argomenti già
fatti propri con riferimento alle ipotesi di rinvio al contratto collettivo nelle legislazione sulle crisi aziendali ; la Corte ha ritenuto che il focus della scelta
legislativa non fosse nella costruzione di procedure di estensione del contratto collettivo alternative a quella previstadall’art. 39 , ma nella LIMITAZIONE DEI
POTERI DATORIALI

LA COMMISSIONE DI GARANZIA
La COMMISSIONE DI GARANZIA, svolge un ruolo essenziale di controllo e promozione degli scopi della legge del 1990 si tratta di un soggetto annoverabile
fra le autorità amministrative indipendenti , è composta da 9 membri scelti, su designazione dei presidenti di camera e senato , tra esperti di diritto
costituzionale,diritto del lavoro e di relazioni industriali e nominati dal PdR.
Per accentuare l’indipendenza della Commissione, non possono farvi parte i parlamentari e le persone che rivestono altre cariche pubbliche elettive come
cariche in partiti politici, in organizzazioni sindacali o in associazioni di datori di lavoro .
Il principale compito della Commissione di garanzia è quello di VALUTARE L’IDONEITA’ DELLE MISURE PREVISTE NEGLI ACCORDI ad assicurare il
contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati. Nel caso in cui la valutazione della
Commissione sia negativa , quest’ultima formula una proposta sulla quale le parti sono onerati a pronunciarsi. La delibera resta provvisoria , nel senso che potrà
essere sostituita dalla ulteriore nuova negoziazione fra le parti , che abbia passato il vaglio della Commissione . In tal modo la legge lascia alla
contrattazione collettiva il ruolo di fonte primaria di regolazione dello sciopero , ma garantisce che, in caso di resistenze o situazioni di stallo , una
regolamentazione autoritativa comunque vi sia.

ulteriori compiti:
a) Esprimere il proprio giudizio sulle questioni interpretative o applicative dei contenuti degli accordi o codici di autoregolamentazione;
b) Assumere informazioni o convocare le parti in apposite audizioni per verificare se sono stati esperiti i tentativi di conciliazione e se vi sono le
condizioni per una composizione della controversia;
c) Segnalare preventivamente ai soggetti interessati eventuali violazioni delle disposizioni relative al preavviso , alla durata massima, all’esperimento
delle procedure preventive di raffreddamento e di conciliazione;

Altrettanto rilevanti sono i poteri della Commissione in materia sanzionatoria nel caso in cui rilevi inadempienze o violazioni di obblighi legali o contrattuali
apre un procedimento disciplinare , la cui apertura viene notificata alle parti che hanno 30 giorni per presentare osservazioni e per chiedere di essere sentite ;
decorso tale termine la Commissione formula la propria valutazione e, se valuta negativamente il comportamento , delibera le sanzioni. Il potere sanzionatorio
della Commissione può inoltre rivolgersi nei confronti delle organizzazioni dei lavoratori che proclamano uno sciopero o ad esso aderiscono in violazione delle
disposizioni di legge. Ovviamente tale potere è esercitato proporzionalmente alla gravità dell’inflazione e dell’eventuale recidiva. Nel caso in cui tali sanzioni
non risultino applicabili , la Commissione di garanzia delibera in via sostitutiva una sanzione amministrativa pecuniaria a carico di coloro che rispondono
legalmente per l’organizzazione sindacale responsabile e questa viene applicata con ordinanza-ingiunzione della direzione provinciale del lavoro-sezione
ispettorato del lavoro.
Possono altresì essere soggetti a sanzioni disciplinari anche i lavoratori singoli, nel caso in cui si astengono dal lavoro in violazione della legge tali sanzioni
devono essere proporzionate alla gravità dell’infrazione ed in caso di sanzioni disciplinari di carattere pecuniario, il relativo importo è versato dal datore di
lavoro all’INPS .
Infine la legge prevede un apparato sanzionatorio anche nei confronti dei dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche e dei legali rappresentanti delle
imprese e degli enti che erogano i servizi pubblici , nel caso in cui non osservino le disposizioni relative alle prestazioni indispensabili o le indicazioni della
Commissione o che non prestino correttamente l’informazione agli utenti. A costoro vengono irrogate sanzioni amministrative pecuniarie di varia entità a
seconda della gravità della violazione.
L’accentramento del potere sanzionatorio nelle mani della Commissione di garanzia, determina come conseguenza la possibilità per i destinatari di
impugnazione delle delibere davanti al giudice del lavoro.
SERRATA = forma di lotta sindacale del datore di lavoro che consiste nel chiudere lo stabilimento rifiutando la prestazione di lavoro offerta dai lavoratori. Non
viene evocata nella Carta Costituzionale il che comporta la possibilità di classificarla come una mera LIBERTA’ la motivazione di tale scelta consistono nel
rifiuto di adottare un criterio di ‘’parità di armi fra contendenti’’ , per prendere atto della disparità di potere fra lavoratori ed imprese, rispetto alla quale il
riconoscimento del diritto di sciopero costituisce un PARZIALE fattore di riequilibrio.
Senti. N. 29/1960 dichiara incostituzionale l’art. 502 c.p. che puniva la serrata PER FINI CONTRATTUALI; diversa posizione assume invece la Corte in merito
all’art. 505 c.p. che punisce la serrata di solidarietà o di protesta. E’ ancora oggetto di discussione se la medesima disciplina può essere estesa anche agli artt.
503 c.p. ( serrata per fine politico) e 504c.p. (serrata per coazione alla pubblica autorità).
Quanto alle conseguenze civilistiche, non potendosi classificare la serrata come un diritto , è evidente che essa comporta il rifiuto della prestazione offerta dai
lavoratori e va quindi apprezzata come inadempimento contrattuale. Più precisamente essa va inquadrata entro lo schema della MORA DEL CREDITORE che
implica che il creditore che rifiuti , SENZA GIUSTO MOTIVO , la prestazione offerta dal debitore, è obbligato al risarcimento dei danni , i quali si ritiene
usualmente consistano nelle retribuzioni perdute dai lavoratori per effetto del rifiuto di accettarle.
Una ipotesi particolare di SERRATA è quella che il datore di lavoro attua PER RITORSIONE soprattutto in risposta delle forme anomale di sciopero ( a
singhiozzo, a scacchiera ecc..) che hanno un forte impatto all’interno dell’impresa ; in tali casi viene evidenziato il diritto del datore di rifiutare la prestazione dei
lavoratori ad es. negli intervalli tra due fasi di uno sciopero a singhiozzo .
In sostanza se la prestazione dei lavoratori risulta UTILIZZABILE dall’impresa, il rifiuto e quindi la serrata è considerata ILLEGITTIMA; invece la prestazione
che abilita al rifiuto è quella INUTILIZZABILE IN TOTO , non quella solo meno conveniente , giacchè in quest’ultimo caso , si entrerebbe entro gli effetti
legittimi dello sciopero.
Infine la serrata di ritorsione può essere apprezzata nella chiave di CONDOTTA ANTISINDACALE DEL DATORE DI LAVORO

Potrebbero piacerti anche