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LA GRAMMATICA E L’ERRORE
Le lingue naturali tra regole, loro violazioni ed eccezioni

a cura di
Nicola Grandi

Bononia University Press


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Bononia University Press


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ISBN: 978-88-7395-982-3

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di


adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e
le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

Immagine di copertina: Grandville, Les métamorphoses du jour, 1869, tav.


LXIII

Impaginazione: Sara Celia

Stampa: Global Print (Gorgonzola, Milano)

Prima edizione: marzo 2015


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SOMMARIO

Le lingue naturali tra regole, eccezioni ed errori 7


Nicola Grandi

Regole, eccezioni, errori in matematica 35


Giorgio Bolondi

Le regole in linguistica 43
Gaetano Berruto

Regole (e irregolarità) nella formazione delle parole 63


Fabio Montermini

Modelli computazionali del linguaggio tra regole e probabilità 85


Alessandro Lenci

Regole ed eccezioni nella variazione sociolinguistica 101


Massimo Cerruti

Regole ed eccezioni nel mutamento linguistico 119


Maria Napoli

Le regole del congiuntivo 137


Michele Prandi
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Errori, regole ed eccezioni nell’apprendimento 161


Cecilia Andorno

Reazioni all’errore ed eccezioni all’inevitabilità


delle regole nella Didattica delle Lingue Seconde 177
Roberta Grassi

Indice delle lingue e delle cose notevoli 193


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Le regole in linguistica
Gaetano Berruto
Università degli Studi di Torino

1. Che cosa sono le regole?

Etimologicamente il termine regola e i suoi corrispondenti nelle


principali lingue romanze e germaniche (règle, regla, rule, Regel,
ecc.) vengono dal latino rēgŭla ‘asticella, righello’ (deverbale da
rēgo, regere), quindi ‘metro di misura’, da cui per astrazione ‘linea
di condotta’, ‘norma’. Questo infatti è il valore di base del les-
sema regola in italiano, come per es. leggiamo s.v. in De Mauro
(2000): “l’ordine costante che si riscontra nello svolgimento di
una certa serie di fatti: fenomeni che si verificano con, senza una
regola; eccezione alla regola, caso anomalo, irregolare”. Lo stesso
De Mauro vi affianca però una seconda accezione, “formula che
prescrive il modo di agire in un caso determinato o in una parti-
colare attività, in base all’esperienza o alla convenzione”, svilup-
pata dalla prima con l’aggiunta di una componente pragmatica e
normativo-prescrittiva. Le regole quindi colgono comportamen-
ti uniformi o li producono (e, comunque, li presuppongono);
mettono ordine nel mondo. In generale, una regola è implici-
tamente una regolarità ed esplicitamente è un’affermazione che
coglie una regolarità; o, più impegnativamente, un’operazione
che permette di prevedere il suo risultato.
Il contrario e simmetrico della regola è l’eccezione, che De
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44 Gaetano Berruto

Mauro (2000) s.v. così definisce: “fatto, situazione, caso che esce
dalla norma, dalla regola”. Le eccezioni però almeno in un certo
senso sono anch’esse previste da una regola, una regola seconda-
ria che appunto regoli le eccezioni, specifichi che cosa va inteso e
che cosa vale come eccezione. L’eccezione presuppone la regola.
Un altro concetto connesso con quello di regola, e in molti
sensi dipendente da esso, è quello di errore. L’errore dipende dal
maneggiamento che noi facciamo delle regole. Che cosa si può
fare con le regole? Le regole (a) si seguono / (b) si rispettano / (c)
si applicano; ma anche (d) si violano. Il risultato della violazione
della regola è in linea di principio un errore. Secondo una pro-
spettiva di filosofia della scienza, c’è un rapporto necessario fra
la nozione di regola e quella di errore: “eine echte Regel vorliegt,
jedesmal wenn etwas entschieden unkorrekt ist: ‘the notion of
following a rule is logically inseparable from the notion of mak-
ing a mistake’ (Winch, 1958: 32)” (Itkonen, 1976: 59).
Su questa base, epistemologi e filosofi della cognizione e del
linguaggio hanno introdotto un’importante distinzione fra due
tipi di regole. Ai linguisti che lavorano sulla pragmatica e sulla
fondazione teorica della sociolinguistica è ampiamente nota la
distinzione compiuta da J. Searle fra regole regolanti (regolative),
e regole costitutive:

voglio chiarire una distinzione fra due diversi tipi di re-


gole, che chiamerò regolanti e costitutive […]. Le regole
regolanti regolano forme di comportamento già esisten-
ti in precedenza o esistenti indipendentemente; per es.,
molte regole di etichetta regolano le relazioni interper-
sonali, che esistono indipendentemente dalle regole. Le
regole costitutive […] creano o definiscono nuove forme
di comportamento. Le regole del football o degli scacchi,
per es., non si limitano a regolare il modo di giocare, ma
creano, per così dire, la possibilità stessa di giocare a tali
giochi (Searle, 1976 [1969]: 61).
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Le regole in linguistica 45

È la stessa distinzione che Wright (1971), qui citato secondo


Dittmar (1989: 125), così illustra:

è importante distinguere fra norme che regolano (co-


mandano, consentono o proibiscono) la condotta e
regole che definiscono le diverse pratiche e istituzioni
sociali. Ambedue sono chiamate ‘norme’ o ‘regole’ […].
Norme del primo tipo ci dicono che certe cose dovreb-
bero o potrebbero essere fatte. Norme del secondo tipo
ci dicono come certe azioni sono effettuate. Spesso, ma
non in tutti i casi, una norma del secondo tipo è necessa-
ria per eseguire una norma del primo tipo.

In questa prospettiva, è chiaro che le regole sono regole di com-


portamento: le regole regolative descrivono forme di comporta-
mento che si dànno indipendentemente dalle regole, le regole
costitutive generano nuove forme di comportamento, dipenden-
ti nella loro esistenza dalle regole stesse. Seguendo Eglin (1980),
Dittmar (1989: 128) sviluppa però un terzo tipo di regole: le
regole come “istruzioni per l’interpretazione” di azioni, processi,
eccetera, che sono quindi sensibili al contesto (‘in un contesto
dato, X vale y’)1.

2. Le regole nella lingua; regole, eccezioni, errori, scelte

Circa i valori del concetto di regola e le sue applicazioni in lingui-


stica, occorre fare subito una distinzione fra regole dei linguisti
(affermazioni che colgono regolarità nella lingua) e regole della
lingua (le regolarità stesse della, e nella, lingua). Io focalizzerò il
mio intervento sulle prime, le regole in quanto viste ed utilizzate
dai linguisti; che tuttavia presuppongono le seconde: il parlante

1
  “Le istruzioni sono regole sensibili al contesto, e descrivono azioni come
‘manifestazioni di items significativi’ (Eglin, 1980: 17) nelle interazioni” (Dittmar,
1989: 129).
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parlando applica sempre regole, le produzioni linguistiche sono


un comportamento governato da regole.
Il già citato Dittmar (1989: 122), muovendo dall’assunto che
le regole spiegano comportamenti, presenta così i tre principali
problemi che esse pongono alla ricerca linguistica: “1. come do-
vrebbero essere formulate?; 2. come spiegano i comportamenti
[…]?; 3. su che base descrivono regolarità? ([…] riflettono dati
obiettivi o intuizioni?)”. Poiché per Dittmar (come per molta
sociolinguistica) non v’è dubbio che il comportamento lingui-
stico sia in essenza comportamento sociale, “una parte del com-
portamento sociale” (1989: 129), ne consegue, sempre secondo
Dittmar (1989: 146-47), che “non ci sono differenze sostanziali
fra regole sociali e regole linguistiche”. D’altra parte “il potere
esplicativo delle regole in sociologia è ordinabile in uno schema
implicazionale, nell’ordine ‘regole regolative ⊃ regole costitutive
⊃ istruzioni’; le regole linguistiche, essendo fondamentalmente
‘istruzioni’ o ‘regole costitutive sensibili al contesto’, “sono og-
getto fondamentale di studio della sociologia” mentre “le regole
di Chomsky seguono il paradigma della scienza naturale. Sono
una illustrazione delle regole regolative […]” (Dittmar, 1989:
130).
Non è detto che l’argomentazione di Dittmar sia pienamente
da condividere. Si può infatti ritenere che la lingua costituisca
allo stesso tempo, e in maniera intimamente intricata, sia una
forma di comportamento sociale e culturale, funzionale, sia un
sistema formale con basi biologicamente delineate, nessuno dei
due versanti essendo riducibile all’altro; con la conseguenza che
presumibilmente la lingua come/in quanto è un comportamento
sociale dovrà/potrà essere trattata da una o più famiglie di regole,
mentre la lingua come/in quanto è un sistema formale dovrà/
potrà essere trattata da altre famiglie di regole.
Comunque sia, la nozione di regola ha sempre ricoperto un
ruolo centrale nella lingua e nella linguistica, nelle sue varie acce-
zioni. Si tratta di un tipico concetto trasversale. Parlare di ‘regole
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Le regole in linguistica 47

della grammatica’, in senso non tecnico, fa ampiamente parte


del linguaggio comune e dell’orizzonte di riferimento di qualun-
que parlante. Due esempi banali qualsiasi di regole grammati-
cali dell’italiano: “il verbo si accorda in persona e numero con i
tratti di persona e numero del soggetto” (Chierchia, 1997: 21);
un altro, più particolare e puntuale: ‘la terza persona singolare
del presente indicativo dei verbi della prima coniugazione è -a’.
Cardona (1988: 256, s.v. regola) afferma incisivamente che “ogni
grammatica, quale che ne sia l’impostazione, è per definizione un
insieme di regole”. Lo stretto legame che c’è tra regole e gram-
matica vige infatti sia in un’ottica tradizionale sia in un’ottica
formale generativista. La grammatica è fatta di regole.
La controparte delle regole grammaticali, come abbiamo già
accennato, sono le eccezioni; una exception è infatti “a form, etc.
that does not follow a rule applying generally to those of its class”;
simmetricamente, è ovvio, regular è “[a form] which conforms to
a rule whose application is predicted by some general property
of a unit” (Matthews, 1997: 120, 314). Per es.: “alla ‘regola’ che
i parossitoni in -co, -go escono al plurale in -chi, -ghi fanno ecce-
zione tra l’altro: amico → amici, nemico → nemici, greco → greci
[…], porco → porci. Alla “regola” che i proparossitoni in -co, -go
escono al plurale in -ci, -gi fanno eccezione tra l’altro: carico →
carichi […], obbligo → obblighi […]” (Serianni, 1988: 120).
Qui si impone però un’altra distinzione rilevante: vi sono re-
gole la cui natura ammette eccezioni, e regole la cui natura non
ammette eccezioni. Le regole quali dispositivi minimali della teo-
ria grammaticale, assolute e predittive, sarebbero per definizione
incompatibili con eccezioni. Se una regola predittiva ha eccezio-
ni, non è una regola ‘con le carte in regola’; col corollario, molto
importante, che bisognerebbe riformulare la regola in maniera
che dia conto delle eccezioni. Le eccezioni sono invece ammesse
dalle regole come generalizzazioni.
Le regole, comunque sia, governano la bontà, la correttezza, la
‘giustezza’ delle produzioni linguistiche anche dal punto di vista
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degli epistemologi della linguistica: per Itkonen (1976: 64-65),


tautologicamente, “eine Äußerung (= ‘utterance’) ist korrekt nur
insofern sie mit den Regeln übereinstimmt, die den entsprechen-
den Satz (= ‘sentence’) korrekt machen”, giacché “Regeln bestim-
men mit einer begrifflichen Notwendigkeit, wie eine Handlung
oder ein Handlungsresultat sein muß, um korrekt zu sein”. E qui
interviene un’altra controparte della ‘regola’, l’errore. La nozione
di errore è evidente e intuitiva, ma è anche problematica per il
linguista. Dire che l’errore è il mancato rispetto di una regola
impone che si chiarisca chi fissa le regole, come queste si stabili-
scano, e quali siano. Un corollario (certo estremo, ma non infon-
dato, e anzi condivisibile pure da una visuale sociolinguistica) di
prospettive come quella generativista è che in linea di principio
non esistono errori linguistici, giacché il parlante applica sempre
nelle sue produzioni la propria grammatica individuale, la com-
petenza di parlante nativo della sua varietà materna, e di nessuno
si può dire che sbagli parlando la sua varietà nativa. Ancora una
volta coglieva con incisiva sinteticità il nucleo della questione
Cardona (1988: 124, s.v.): “in realtà il concetto di e.[rrore] pre-
suppone un parlante che parli una lingua non sua: nella propria
lingua il parlante non può, per definizione, fare errori”.
L’errore dunque è identificato come tale in base al confronto
con un’altra varietà di lingua le cui forme sono ritenute ‘corret-
te’. Più in generale, si può dire che un errore non è generato dal
mancato rispetto di una regola, ma da un’altra regola: chi sbaglia
secondo una certa norma è perché applica una regola non pre-
vista da quella norma linguistica. La nozione di errore di lingua
non dipende quindi dalla nozione di regola in quanto concet-
to operativo in linguistica, ma dipende dalla nozione di regola
come sinonimo di ‘norma’. L’errore deriva sempre dal confronto
con una norma, intrinseca od estrinseca.
D’altra parte, si pone anche il problema se le regole debba-
no essere esplicite o implicite. Se implicite, l’errore non esiste,
di nuovo: ogni produzione può essere considerata non senza
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Le regole in linguistica 49

qualche ragione prodotta da una regola; in questo caso, come


abbiamo detto, l’errore è una forma generata da un’altra regola,
una regola diversa rispetto a quella in base alla quale esso viene
identificato come errore. Frei già nel 1928 scriveva con molte
ragioni una Grammaire des fautes; e alla fine degli anni Sessanta
è stata elaborata, nel campo dell’acquisizione di lingue secon-
de, una error analysis, corrente di studio che valorizza gli errori
come momento centrale per comprendere l’elaborazione che il
discente compie dei materiali e delle strutture della lingua che
sta imparando (Corder, 1981). La nozione di errore ha quindi
acquisito notevole importanza nella linguistica applicata e glot-
todidattica2.
Da un altro punto di vista, l’errore è addirittura il prius em-
pirico per individuare e stabilire le regole, il metro per giudicare
se una regola è valida oppure no: “a grammar needs not generate
sentences containing errors” (Lehrer, 1972: 201). Quindi l’errore
verrebbe in un certo senso prima della regola; e deve essere iden-
tificato indipendentemente, sulla base appunto del confronto
con una norma comunque fondata: ‘X è giusto o sbagliato? Se X
è giusto, allora la regola è R’.
Un’altra nozione correlativa con quella di regola è la nozione
di ‘scelta’. Un recente manuale di linguistica e grammatica si in-
titola appunto Le regole e le scelte, e mette giustamente in rilievo
l’importanza, accanto alle regole (che non lasciano scelta; a meno
che non siano regole opzionali o regole variabili), delle scelte:

ci sono regole prescrittive, che ci dicono come dovrem-


mo parlare, e ci sono regole descrittive, che cercano di
afferrare le regolarità che emergono dal nostro modo
spontaneo e condiviso di parlare, cioè dall’uso. Inoltre, il
nostro comportamento linguistico non consiste solo nel
seguire delle regole, ma – in larga parte – nello scegliere,
all’interno dei repertori che la lingua ci offre, i mezzi di

2
  Si vedano su questi temi i contributi di Andorno e di Grassi in questo
volume.
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50 Gaetano Berruto

espressione che ci sembrano più adatti ai nostri scopi co-


municativi (Prandi / De Santis, 2011: XIX).

Occorrerebbe dunque distinguere una “grammatica delle regole”


da una “grammatica delle scelte”. Scelta, non necessariamente
opposto a regola, è ovviamente un concetto cardine nella pro-
spettiva funzionalista della lingua.

3. Tipi/sensi di regole in linguistica

La nozione di regola acquisisce un peso centrale nella teoria lin-


guistica nella prima fase della grammatica generativa, col senso
che viene accolto nei dizionari di linguistica: “rule: […] 2. Any
of the formal expressions that constitute a ‘generative grammar’”
(Matthews, 1997: 325); “regola: formalizzazione di una parte
costitutiva della conoscenza innata di un parlante della propria
lingua” (Beccaria, 2004: 640). In questa prospettiva, le regole
servono a rendere esplicita la grammatica come simulazione della
competenza.
Tale caratterizzazione delle regole ovviamente risale a Chom-
sky, ed è esplicitata al meglio in formulazioni come:

supponiamo che quello che chiamiamo ‘sapere una lin-


gua’ non sia un fenomeno unitario, ma che debba essere
risolto in diverse componenti, divise anche se interagen-
ti. Una di esse riguarda gli aspetti ‘computazionali’ della
lingua, – cioè le regole che formano le costruzioni sintat-
tiche o gli schemi fonologici o semantici dei diversi tipi, e
che determinano il ricco potere espressivo del linguaggio
umano […]; assumo che la competenza grammaticale
sia un sistema di regole che generano e correlano determi-
nate rappresentazioni mentali, incluse, in particolare, le
rappresentazioni della forma e del significato […]; una
lingua è generata da un sistema di regole e di principi, che
entrano in complesse costruzioni mentali per determina-
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Le regole in linguistica 51

re la forma e il significato delle frasi (Chomsky, 1981: 60,


90, 214, cors. G.B.).

In questa prospettiva, le regole sono uno dei due fondamentali


ingredienti della competenza linguistica: la conoscenza di una
lingua è conoscenza del lessico e delle regole (applicate a rappre-
sentazioni mentali). Questo è stato un principio programmati-
co che dagli anni Sessanta ha goduto di largo successo; ma ha
anche conosciuto uno sviluppo che ha portato a ridimensiona-
re notevolmente la portata delle regole stesse. Le regole come
formulazioni simboliche, e in particolare le classiche regole di
riscrittura o regole di struttura sintagmatica (F → SN SV), in-
trodotte da Chomsky (1957) e oggetto approfondito del capitolo
sesto del classico Lyons (1971: 278-293), su cui si sono autodi-
datticamente formati molti linguisti della mia generazione (me
compreso), ritenute quarant’anni fa un grimaldello decisivo della
modellizzazione teorica, e tuttora molto utili per un principiante
per rendersi conto di quella che Graffi (1994) chiama la ‘sintassi
ingenua’ della lingua, e come primo passo per accostarsi alla di-
mensione formale della grammatica, nella teoria sintattica attua-
le sono diventate un ferrovecchio inutilizzato.
In Puglielli (1977), per es., le ‘regole’ sono abbondantemen-
te presenti nell’indice analitico e ne vengono distinti ben die-
ci tipi (per uno dei quali, le regole trasformazionali, si distin-
guono ulteriori quattro sottotipi); trent’anni dopo in Puglielli
/ Frascarelli (2008) ‘regola’ è scomparsa, azzerata, dall’indice
analitico. Il termine rule è assente per es. nell’indice analitico di
un manuale dell’approccio minimalista come Hornstein / Nu-
nes / Grohmann (2005), ove si sottolinea anche che le regole
di struttura sintagmatica sono state soppiantate completamente
dalla teoria X-barra3. In Donati (2008), le regole compaiono nel
titolo (La sintassi. Regole e strutture), ma scompaiono quasi com-

3
  “X’-Theory became one of the central modules of GB as it made possible to
dispense with PS rules completely” (Hornstein / Nunes / Grohmann, 2005: 193).
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52 Gaetano Berruto

pletamente nel testo: solo a pp. 63-64 si parla della “regola merge
(salda)”, presentata come una tipica regola ricorsiva (“una sola
regola combinatoria, responsabile tanto della combinazione delle
parole in costituenti, quanto della combinazione dei costituenti
in frasi”).
Ma le regole non sono ovviamente solo appannaggio della lin-
guistica generativa. Nelle scienze del linguaggio, l’ampio raggio
d’applicazione del termine e della nozione di regola si estrinseca
plurivocamente. Una prima contrapposizione presentata in tutti
i manuali è quella fra ‘regole prescrittive e regole descrittive’. Si
veda la citazione da Prandi / De Santis che ho commentato poco
prima. Tale contrapposizione va data per ovvia e scontata. È in-
fatti comune l’assunzione che, in questa dicotomia, le sole regole
che interessano al linguista sono le regole descrittive. Ma che cosa
vuol dire ‘regole descrittive’? In che cosa si estrinsecano? Propon-
go di distinguere negli usi che se ne fanno in linguistica almeno
cinque valori, o tipi, o sensi, o ‘vesti’ o aspetti della nozione di
regola, sensi che possono essere variamente in sovrapposizione.
(i) Una prima veste in cui le regole possono presentarsi è
quella delle regole come princìpi generali, generalizzazioni e
astrazioni fondate su un modello teorico e convalidate dai dati
empirici. Possiamo esemplificare questa veste con la ‘regola com-
binatoria’ dell’operazione merge ‘salda/fondi’, appunto in Donati
(2008: 64): la regola “Merge/Salda prende due oggetti sintattici
(semplici: parole, o complessi: costituenti) e li salda in un terzo
oggetto sintattico (complesso)”; o con il cosiddetto ‘principio di
proiezione estesa’, EPP: “all clauses must have subjects” (Horn-
stein / Nunes / Grohmann, 2005: 23), “le rappresentazioni ad
ogni livello sintattico (cioè FL, struttura-p e struttura-s) sono
proiettate dal lessico e tutte le frasi devono avere un soggetto”
(Graffi, 1994: 151).
(ii) Una seconda veste vede le regole come norme specifiche,
operanti potenzialmente in tutti i livelli di analisi e in tutti i pun-
ti particolari del sistema linguistico. Sono queste tipicamente le
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Le regole in linguistica 53

regole della diciamo ‘grammatica tradizionale’: quindi quelle


esemplificate nel § 2 sopra.
(iii) Una terza applicazione delle regole in linguistica le vede e
utilizza come istruzioni operative relative alle fasi di un processo,
per ottenere un certo ‘prodotto’. Sono di questo tipo le regole di
riscrittura in una classica grammatica a struttura sintagmatica,
distinguibili in numerosi sottotipi ma aventi la forma comune di
contenere un elemento in entrata e uno o più in uscita; la regola
rappresenta lo sviluppo dell’elemento in entrata nella fase succes-
siva della formazione di un ‘prodotto’:

F → SN (+) SV
SN → N (+) Agg
N → libro
Agg → nuovo ...

Sono anche regole come istruzioni (ma non sono, ovviamente,


regole di riscrittura) le regole di formazione dei lessemi utilizzate
ampiamente in morfologia: per es., le due regole di suffissazione

[[X]n + ale]a: dentale, palatale, nasale, *alveolale


[[X]v + tore]n: scopritore, *moritore4.

Sono infine ovviamente ‘istruzioni’, di un altro tipo ancora, le


regole conversazionali utilizzate in pragmatica, come per es. “se
il turno in atto è costruito in modo da coinvolgere [implicare,
G.B.] l’uso della tecnica ‘il parlante che ha il turno seleziona il

4
  Che specificano rispettivamente come unendo una base nominale designan-
te una parte del corpo al suffisso -ale si ottenga un aggettivo (con opportune restri-
zioni di applicazione, in questo caso di natura fonetica/fonologica; che dà quindi
luogo a una regola con eccezioni) e come unendo una base verbale al suffisso -tore si
ottenga un nome (con opportune restrizioni, in questo caso semantico-sintattiche:
sogg del verbo dev’essere un ‘agente’). In morfologia, come si vede, le regole in
fondo sono il processo, il fenomeno stesso; ma si veda in questo volume il contri-
buto di Montermini.
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54 Gaetano Berruto

successivo’, allora la persona così selezionata ha il diritto e l’ob-


bligo di prendere il turno successivo per parlare” (Dittmar, 1989:
144).
(iv) Vi sono poi, quarta veste, le regole assunte come forma-
lizzazioni di conoscenze interiorizzate; per es., nella cosiddetta
teoria ‘X-barra’ la strutturazione generale sottostante di ogni sin-
tagma avente la testa X:

X’’ (= SX’)

Spec X’(= SX)

X Compl

Forse nessun linguista formale chiamerebbe questo schema una


‘regola’: però mi sembra corrisponda pienamente alla nozione
di regola come formalizzazione di un ‘pezzo’ di conoscenza, di
competenza linguistica.
Sempre formalizzazione di conoscenze interiorizzate inconsce
sono regole usate in semantica, per spiegare le condizioni che
determinano la denotazione, come la “regola di modificazione
intersettiva” utilizzata da Delfitto / Zamparelli (2009: 106), che
effettua “l’intersezione dei significati di espressioni che [...] non
si potrebbero combinare altrimenti” (per es. prendendosi l’una
come argomento dell’altra):

[[ [sn ragazzo vegetariano] ]] = [[ragazzo]]<et>[[vegetariano]]<et>


Regola di Modificazione Intersettiva
In una struttura della forma [x A B], se il tipo semantico di [[A]]
e di [[B]] è <et>, allora il significato di X sarà [[A]]∩[[B]]5.

Si tratta in entrambi i casi di notazioni che rendono espliciti i

  Dove <et> è “una funzione che prende in input entità [e] e dà in output V
5

o F [t, valori di verità]” (ibid.: 58).


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Le regole in linguistica 55

processi in atto fornendovi una formalizzazione all’interno di un


modello esplicativo, dove dunque è particolarmente rilevante il
compito che per es. Simone (19952: 166) assegna alle regole, di
“notazioni che rendono espliciti i processi messi in atto”. Questo
genere di regole è certamente in sovrapposizione con il tipo o
veste (i), in quanto anche il primo tipo indubbiamente è inteso
formulare conoscenze facenti parte della competenza innata del
parlante, ma quello che mi pare rilevante per distinguerle è il
fatto che in questo caso è molto spiccata la componente di for-
malizzazione della rappresentazione, all’interno di un paradigma
logico-formale di carattere esplicativo forte, del genere di quelli
delle scienze esatte.
(v) Proprio il carattere di notazione esplicita sottolineato da
Simone costituisce il punto di passaggio che ci porta all’ultima
veste delle regole nel quadro che stiamo schizzando: le regole
come meri dispositivi simbolici, convenzioni (tra virgolette, ‘for-
mali’), di rappresentazione e descrizione dei fenomeni, che, senza
ambire ad essere predittive o a costituire comunque pezzi della
competenza linguistica né ad essere il frutto di una formalizza-
zione logica, consentono precisione e rigore descrittivo, rappre-
sentando uno strumento economico di descrizione. Hanno la
stessa forma canonica esterna delle regole di riscrittura, (iii), con
due membri uniti da una freccia destrorsa, X → Y, e con eventua-
li indicazioni sul contesto di applicazione, X → Y/ (__) z (__);
qui però la freccia è da intendere o leggere più comunemente
‘diventa’ (piuttosto che ‘riscrivere’). Le regole di questo tipo sono
particolarmente utili anche per indicare processi diacronici, mu-
tamenti. Si tratta quindi di un tipo di regole molto usato in fo-
netica, fonologia e morfonologia.
Facciamo qualche esempio. Dapprima una semplice regola
fonetica, quella di palatalizzazione della velare:

[k] → [t∫] / __ V ant


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che rappresenta la generalizzazione retrostante a fenomeni come:


nŭce(m) (['nukem]) → noce (['no:t∫e]) ; amico → amici.
Poi, una regola morfonologica, la cancellazione in formazione
di parola della vocale finale atona della base davanti alla vocale
iniziale del suffisso (Thornton, 2005: 155):

V[-acc] → Ø/__ + V (giornale → giornalaio)6

Una regola dello stesso genere ma un po’ più sofisticata, con


utilizzazione di tratti, è quella della desonorizzazione delle con-
sonanti ostruenti in posizione finale formulata da Loporcaro
(2003: 37-38):

a. [-snt] → [-son] / _______ ##


b. [-snt] → [-son] / _______ #
c. [-snt] → [-son] / _______ $

Tale regola consente anche di apprezzare la dinamica e l’esten-


sione diacronica dei contesti com’è testimoniata per es. dal te-
desco: la desonorizzazione, sorta in posizione prepausale, in fine
assoluta di enunciazione (contesto a.), si è estesa alla posizione
finale di parola (contesto b.), e in tedesco alla posizione finale “di
sillaba” (o meglio di morfema; contesto c.). La regola non agisce
in inglese (band [bænd]); in neerlandese, russo, turco arriva alla
fase b. (neerland. band [bant], russo drug [druk] (nom pl drugi
['drugi]), turco kitap [ki'tap] (acc indef kitabi [ki'tabi]); e in
tedesco alla fase c. (Kind [kint] (pl Kinder ['kind]), Tag [tak] (pl
Tage ['ta:gə]), Band [bant] (pl Bänder ['bεnd]), täglich ['tεkliç]
(['tεk$liç])).
Ma l’assortimento delle regole in linguistica non si arresta cer-
to qui. Finora si è trattato di regole ‘assolute’, categoriche, il cui
prodotto date le condizioni di applicazione è da aspettarsi sicuro

  Regola peraltro discussa così nella sua formulazione come nella sua appli-
6

cazione.
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Le regole in linguistica 57

a meno che si diano eccezioni da motivare indipendentemente;


e che dànno conto del nucleo invariabile del sistema linguistico,
o almeno lo trattano come se fosse invariabile, omogeneo, unita-
rio. Ma ogni sistema linguistico ha fra le sue proprietà e caratteri-
stiche fenomenologiche anche la variabilità, e il prodotto che ne
è la variazione. Gli strumenti impiegati in linguistica per trattare
la variabilità in modo omogeneo al resto del sistema linguistico
e recuperare la variazione nelle regole sono fondamentalmente le
regole opzionali e le regole variabili. Una regola opzionale è una
regola che può essere o non essere applicata, senza conseguenze
sulla grammaticalità del tutto: “Optional: (rule) that may or may
not apply. Thus a grammar might include an optional rule by
which e.g. away in I threw away the bottle might be moved after
the object: I threw the bottle away” (Matthews, 1997: 258)7.
Le regole variabili sono invece regole la cui uscita varia in cor-
relazione (probabilistica) con fattori extralinguistici. Sono regole
che non possono essere mai violate da una singola istanziazione8
e che cercano di incorporare la variabilità sociolinguistica entro
la regola stessa, cogliendo in questo modo ‘l’eterogeneità ordina-
ta’ tipica delle realizzazioni della lingua. Esse forniscono valori
di probabilità a partire dalla distribuzione di dati empirici in un
corpus (il che non va confuso col fatto che esprimano la fre-
quenza dei fenomeni). Tipico strumento analitico della sociolin-
guistica variazionista americana (cfr. Berruto, 1995: 173-182),
il modello delle regole variabili, introdotto da Labov alla fine
degli anni Sessanta, è stato presto abbandonato: “Over the years,
as rules have been discarded by categorical linguists in favour
of notationally different generalizations variously called filters,
templates and principles, so variable rules have ceased to be di-
scussed in variational linguistics” (Chambers, 1995: 31); ma ha

7
  L’es. di Matthews riguarda l’opzionalità in inglese della posposizione della
particella avverbiale di un verbo sintagmatico alla fine della frase.
8
  In riferimento alla fonetica, “they cannot be violated with any given pro-
nunciation of a word” (Labov, 2003 [1969]: 242).
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58 Gaetano Berruto

anche conosciuto sviluppi tuttora validi in termini di programmi


statistico-informatici (VARBRUL, GOLDVARB) per calcolare
il peso dei fattori variabili e per mettere in correlazione variabili
dipendenti e variabili indipendenti nell’interfaccia fra lingua e
società. Altri modelli che mirano a inglobare nelle regole la va-
riabilità sono la Word Grammar di R. Hudson e la grammatica
di varietà (Varietätengrammatik), un modello di analisi gramma-
ticale della variazione che incorpora nella rappresentazione me-
diante ‘blocchi di regole’ le frequenze osservate, sviluppato negli
anni Ottanta da W. Klein e N. Dittmar e poi caduto, a mio avvi-
so immeritatamente, nel dimenticatoio. Ma su tutta la questione
delle regole in relazione alla variabilità, si rimanda al capitolo di
Cerruti in questo volume.

4. Conclusioni

Considerazioni conclusive alla schematica rassegna che abbia-


mo tracciato si possono/devono limitare ad elencare una serie di
punti più o meno problematici, che richiedono ulteriore discus-
sione, di fronte alla molteplicità delle vesti in cui le regole sono
presenti nella lingua e nella linguistica. Il concetto di regola, i
costrutti a cui esso dà luogo, e le sue manifestazioni fenomeno-
logiche hanno infatti un posto molto rilevante per i linguisti;
ma costituiscono anche un campo che presenta una grande po-
limorfia di aspetti, ed è tutt’altro che esente da ambiguità e da
potenziali contraddizioni. Discutere delle regole, in fondo, signi-
fica anche discutere della natura epistemologica delle discipline
linguistiche.
Un primo punto focale in questo quadro è la dialettica fra
rigidità (delle regole) vs. libertà (dei parlanti), che risponde anche
a una dialettica, e a un dialogo, fra due anime della linguistica.
Una linguistica completa deve tener e dar conto sia dell’esattez-
za e autonomia del sistema linguistico, sia dell’intenzionalità del
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Le regole in linguistica 59

parlante e del suo insieme di esperienze socio-culturali. Questo


complica molto la vita con le regole, che devono corrispondere a,
e assicurare, sia la categoricità delle leggi del sistema, sia la libertà
del parlante. Le regole di per sé dovrebbero essere rigide, dure;
ma esistono anche regole non rigide, molli. Di qui, una divisio-
ne di compiti fra le regole che devono avere valore predittivo,
esplicativo in senso forte, e quelle che possono avere solo valore
descrittivo o probabilistico; fermo restando che entrambi i valori
per il linguista si oppongono al valore prescrittivo, normativo.
Quanto alla funzione delle regole, il problema da discutere è se
le regole, o meglio quali tipi di regole, in linguistica siano ‘re-
golative’ o ‘costitutive’; o di nessuno dei due tipi ma per lo più
di un terzo tipo, che io chiamerei ‘procedurale’. E ho trascurato
del tutto qua gli aspetti metodologici e la relativa questione del
rapporto fra regole e dati empirici, altro punto nodale nel lavoro
dei linguisti.
Come valutazione complessiva, si può ragionevolmente dire
che le regole (dei linguisti) hanno goduto di vasta e acclarata
applicazione nell’apparato teorico e nell’armamentario metodo-
logico della linguistica, non sempre tuttavia confortata da altret-
tanta efficacia esplicativa/operativa; il che ha conferito loro alter-
na fortuna, e una sorte differente in settori diversi delle scienze
del linguaggio. Nel complesso, oggi in linguistica si opera molto
meno con ‘regole’ rispetto ad una trentina di anni or sono.

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