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CARLO G OLDONI

IN EUROPA
a c u r a d i i laria crotti

« rivista di letter atur a italiana »


i · xxv, 2007

P I S A · ROMA
I S T I T U T I EDITORIALI E POLI GRAFICI INTERNAZIONALI
MMVII
RIVISTA
DI LETTERATURA
ITALIANA
RIVISTA
DI LETTERATURA
ITALIANA
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RIVISTA
DI LETTERATURA
ITALIANA
2007 · xxv, 

carlo goldoni
in europa
a cura di ilaria crotti

PISA · ROMA
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MMVII
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isbn 10: 88-847-592-8
isbn 13: 978-88-847-592-6
SOMMARIO

Ilaria Crotti, Per un Goldoni europeo 9

interpretazioni e prassi sceniche


Anna Scannapieco, Goldoni tra teoria e prassi del teatro comico (appunti proemiali) 3
Guido Nicastro, Utopia e realtà nei melodrammi giocosi del 1750 39
Giorgio Cavallini, Per uno studio dell’ars loquendi di Mirandolina protagonista
della Locandiera 47
Javier Gutiérrez Carou, Goldoni fra riforma e controriforma : Il genio buono e il
genio cattivo 57
Laura Sannia Nowé, Profili goldoniani di fine Settecento 75
Figure 99

alterità goldoniane
Elena Sala Di Felice, Esotismo goldoniano 5
Rita Unfer Lukoschik, La ricezione di Goldoni nel Settecento europeo : il ‘caso’ tede-
sco 43
Rossana Maria Caira, Le influenze goldoniane sul teatro viennese del ’700 e il caso
della Caffettiera bizzarra di Da Ponte 67
Ricciarda Ricorda, Alvaro, Alonso, Garzía : spagnoli in Europa e oltreoceano nelle
commedie di Goldoni 97
Mariasilvia Tatti, L’io ‘forestiero’ : l’autoritratto goldoniano de I Volponi 25

prospettive novecentesche
Carmelo Alberti, L’artifex e il suo doppio. Aspetti dell’interpretazione goldoniana
in Italia nel secondo Novecento 227
Luisa Ricaldone, « Spietato ma fraterno » : il Goldoni di Anna Banti 239
Mariasilvia Tatti
L’IO ‘FORESTIERO’ : L’AUTORITRATTO
GOLDONIANO DE I VOLPONI
L’autobiografismo diffuso presente a vari livel- The autobiographical aspect that is present at several
li nell’opera teatrale di Goldoni si accentua in levels in Goldoni’s plays grew during his stay in Pa-
concomitanza con il soggiorno parigino, quando ris ; the author not only reflected on his own “artistic
l’autore non solo riflette sul proprio ‘io artistico’, self ” and on the evolution of his work in front of a new
ma propone anche delle maschere del proprio ‘io public, but also proposed some masks of the “stranger
forestiero’ che riflettono la condizione del vene- self ” reflecting the Venetian’s experience in Paris. Even
ziano a Parigi. L’autoritratto ideale goldoniano di in the comedies of the early Parisian period, Goldoni’s
questi anni coincide con la figura del viaggiatore self-portrait, projected as usual in an ideal dimension,
illuminato e consapevole, che esporta capacità e represents the figure of an enlightened, aware traveller
cultura e che viene onorato ed apprezzato per il who exports his skill and culture, and is honoured and
proprio lavoro, superando pregiudizi e ostilità. appreciated for his own work, overcoming prejudice
Quindici anni dopo l’arrivo a Parigi, nel 777, il and hostility. Fifteen years after his arrival in Paris, in
libretto de I Volponi ripropone, nella figura del 1777, the libretto of I Volponi, written for the Parisian
protagonista Girardino, il ritratto del veneziano opera house but never performed, offers once again,
a Parigi, questa volta in una chiave polemica e through the figure of the main character Girardino, a
negativa. portrait of the Venetian, this time in a polemical and
negative view.

S i è insistito molto, nella recente critica goldoniana, sulla presenza di un auto-


biografismo diffuso che attraversa tutta l’opera dell’autore e che permette di
delinearne un ritratto parallelo che si affianca a quello delle autobiografie vere
e proprie, i Mémoires francesi e quelli cosiddetti italiani ; anzi proprio il travestimento
dell’autore in personaggio in tanti suoi testi induce, paradossalmente, a una con-
fessione più articolata, aperta a esperienze e tematiche altrimenti escluse dalla scel-
ta ‘teatrocentrica’ e lineare delle autobiografie ufficiali. Umori soffocati, perplessità
controproducenti per il disegno auto-promozionale, momenti di riflessione critica
e introspettiva, spunti polemici trovano così spazio nelle molteplici maschere che
riproducono figure e situazioni dell’esistenza dell’autore, dall’avvocato, all’avventu-
riere, all’auditore giudiziario al tessitore che parte alla ricerca di fortuna (si vedano
ad esempio due testi ricchi di richiami autobiografici come L’avventuriere onorato e
Una delle ultime sere di carnovale), mentre l’io dello scrittore si moltiplica nei numerosi
travestimenti onomastici che dietro la foga ludica e anagrammatica celano il costante
piacere dell’autore a travestirsi, al di là delle strategie di autocensura utilizzate spesso
per generi minori come i libretti (e la lista qui è lunga : Logolcardoni Colodisce, Ca-
lindo Grolo, Loran Glodoci, ecc.).
L’immagine di Goldoni che risulta dall’insieme di indizi autobiografici di cui è dis-
seminata la sua opera, ne corregge il ritratto patinato affidato alle due autobiografie
per così dire ‘ufficiali’ in direzione di una rappresentazione di sé più articolata e com-


Cfr. in particolare Bartolo Anglani, Le passioni allo specchio. Autobiografie goldoniane, Roma, Kepos
edizioni, 996 ; Franca Angelini, Vita di Goldoni, Bari, Laterza, 993 e, per il periodo francese Franco
Fido, Un veneziano a Parigi : esperienze e commedie del periodo francese, in Da Venezia all’Europa. Prospettive
sull’ultimo Goldoni, Roma, Bulzoni 984, pp. 97-6 ; Idem, La ragione in ombra e le tentazioni della follia nelle
commedie degli anni francesi, in Le inquietudini di Goldoni. Saggi e letture, Genova, Costa & Nolan, 995, pp.
63-83.

«rivista di letteratura italiana» · 2007 · xxv, 


216 mariasilvia tatti
plessa ; è come se gli accenni a un autoritratto non edulcorato, appena percettibili tra
le righe delle memorie italiana e francese e quasi soffocati dall’intento autopromozio-
nale presente nei due testi autobiografici principali, venissero rilanciati da controfigu-
re che periodicamente affiorano nel teatro goldoniano e che permettono all’autore di
riappropriarsi di uno spazio più autentico di denuncia e confessione, di ripiegamento
malinconico e istanza polemica.
L’inizio dell’esilio volontario in Francia coincide con una forte presenza, nella scrit-
tura teatrale goldoniana, di travestimenti autobiografici attraverso i quali l’autore co-
munica al suo pubblico le valutazioni ‘a caldo’ del veneziano a Parigi : Goldoni riflette
innanzitutto sul proprio ‘io artistico’ con tutte le note perplessità relative alla sua at-
tività in Francia e alla delusione per le prospettive disattese nell’ambito della sua car-
riera teatrale, ma si confronta anche con il proprio ‘io forestiero’, con la condizione di
veneziano trasferitosi a Parigi, che osserva la società francese sulla base della propria
esperienza autobiografica, ma anche partendo da valutazioni e stereotipi che appar-
tengono alla cultura cosmopolita del xviii secolo. L’istanza confessionale, consueta
d’altronde in tutti i casi di esilio, è così forte che tutte le tappe del viaggio da Venezia a
Parigi, descritte in termini romanzeschi nei Mémoires, trovano un vero e proprio con-
trocanto puntuale nei testi del periodo, animati da questa forte ispirazione a raccontar-
si, che arriva a collidere, in certi casi, come vedremo, con la stessa illusione del teatro.
Si parte dall’inizio, da Venezia, dove Angioletto, protagonista di Una delle ultime
sere di carnovale sta per partire per Mosca. Qui abbiamo un primo assaggio dell’‘io
forestiero’ : l’artigiano, attraverso la voce dell’intera comunità veneziana, si proietta
malinconicamente sul suo destino di straniero, ma la prefigurazione della inevitabile
nostalgia dell’esule è compensata dalla consapevolezza del suo valore professionale,
garanzia di un riscatto economico ed artistico ; e si affaccia anche un altro motivo
legato all’esilio, e che risuonerà come un assillo martellante nel corso del trenten-
nio francese, quello del ritorno : Angioletto-Goldoni promette a gran voce che la
sua partenza non è definitiva e che il viaggio, una necessità obbligata per la dignità
professionale del tessitore, sarà un viaggio di andata e ritorno. Dopo la partenza da
Venezia, nella pausa obbligata bolognese, ecco la maschera di Loran Glodoci, prota-
gonista de La bella verità. Il libretto  fu scritto, come è noto, su richiesta di Albergati
Capacelli e racconta la storia del librettista che, venendo meno alla decisione di non
scrivere più testi per musica, ne compone uno, senza rinunciare tuttavia a una rifles-
sione metaletteraria sulla scrittura di poesia per musica. L’accento posto sulla ‘verità’
avvicina al ‘mondo’ anche il genere melodrammatico, sottratto, nonostante i vincoli
del genere che vengono comunque rispettati, alle possibili derive irrazionalistiche e
agli eccessi consueti nel teatro musicale. Loran Glodoci insomma propone un teatro
musicale riformato, più vero e autentico, vicino appunto al mondo, ribadendo, in
questo modo, la dignità del suo io artistico anche di librettista, come se, prima di
lasciare l’Italia, lo scrittore intendesse riaffermare a tutto tondo il valore complessivo
del proprio lavoro.
Altra tappa Lione, dove Goldoni viene informato dell’unione di Opéra comique e
Comédie italienne, con tutte le conseguenze negative che questo avrà nel suo lavoro ;
evento richiamato da una situazione simile ne L’amore paterno, 2 rappresentato per la

Cfr. Su La bella verità si segnala il recente contributo di Françoise Decroisette, Tra parola parlata e
parola cantata. Le autoriscritture librettistiche di Carlo Goldoni, in Dal libro al libretto. La letteratura per musica
dal ’700 al ’900, a cura di Mariasilvia Tatti, Roma, Bulzoni, 2005, pp. 45-57.
2
Oltre ai citati contributi di Franco Fido si veda anche Jacques Joly, Goldoni a Parigi : regressione arti-
stica o esperienze nuove ?, in L’altro Goldoni, Pisa, ets, 989, pp. 99-25 e Ginette Herry, Introduction à Carlo
l ’ io ‘ forestiero ’ : l’autoritratto goldoniano de i volponi 217
prima volta a Parigi il 4 febbraio 763, dove Pantalone, giunto nella stessa città, viene
a sapere che suo fratello Stefanello, dal quale sperava di ricevere aiuti economici a
Parigi, è morto. Ma Pantalone-Goldoni prosegue per Parigi con le figlie tra cui la let-
terata Clarice, altra maschera dell’autore, questa volta in versione femminile, pronta
a confrontarsi da ‘forestiera’ con il difficile gusto francese, cercando almeno di essere
rispettata e protetta, ossia ‘compatita’. 
Infine, ultima tappa del viaggio, Parigi. Nelle commedie e scenari dei primi anni
francesi prende corpo la fisionomia dell’‘io forestiero’, del veneziano a Parigi che
mette a confronto usi e costumi e rielabora sulla base della propria esperienza perso-
nale argomenti costantemente dibattuti nella cultura dei lumi : il motivo del viaggio
in Europa, per alcuni una moda inutile (si vedano ad esempio le riflessioni contenute
nel Proemio alla traduzione di Ines di Castro di Antoine Houdar de la Motte scritto da
un personaggio vicino a Goldoni come Francesco Albergati Capacelli 2) e per altri
invece un’opportunità formativa e professionale ; lo sguardo dei francesi sull’Italia,
spesso condizionato da stereotipi e vizi di informazione ; il riconoscimento delle dif-
ferenze tra le nazioni, tra contrasti e scambi proficui.
Ne Il matrimonio per concorso, 3 inviato a Venezia al Vendramin nel luglio 763, ritro-
viamo innanzitutto una situazione autobiografica, con la presenza a Parigi di mercanti
veneziani che vogliono maritare le figlie ; all’interno dell’intreccio che si conclude con
un doppio matrimonio, è inserita una digressione su come i francesi giudicano gli
italiani. In un giardino, ritrovo mondano, un gruppo di parigini si intrattiene in con-
versazioni frivole, rivela una superficiale indifferenza nei confronti del teatro italiano
(e qui il riferimento autobiografico è esplicito, nel lamento della fredda accoglienza
che i francesi avevano dedicato alle commedie goldoniane), ammette di non aver
voglia di imparare l’italiano, innegabile ostacolo per apprezzare il teatro dell’autore ;
l’occhio di Goldoni delinea e osserva i parigini criticamente attraverso la maschera
di Anselmo, il viaggiatore colto e dignitoso che non si lascia andare ad atteggiamenti
ridicoli e che ha un comportamento opposto a quello dell’altro veneziano, Pandolfo,
il tipo del viaggiatore incapace di riconoscere la diversità dei costumi e di adeguarsi
alle novità in base al buon senso e alla cultura.
Ne Il Genio buono e il Genio cattivo (una favola composta nel novembre del 764 ma
rappresentata solo a Venezia nel febbraio 767 essendo stata rifiutata a Parigi perché
considerata troppo costosa), Arlecchino, obbedendo all’influsso corrotto del Genio
cattivo che spinge a viaggiare alla ricerca di novità e ricchezza, abbandona l’eden dove
vive con Corallina e viene trasportato, nel secondo atto, nel giardino delle Tuileries.
Subito classificato come ‘forestiero’ dai parigini lì presenti per il suo comportamento
irriverente e poco ossequioso, Arlecchino viene criticato dal veneziano Anzoletto,
ennesima controfigura di Goldoni, che polemizza contro la diffusione di stereotipi

Goldoni. Les années françaises, i, L’amour paternel – Le mariage sur concours, Paris, Imprimerie Nationale,
993, pp. 7-29.

Cfr. L’amore paterno, atto i, scena vii : « Ogni nazione ha il suo gusto particolare, e quello de’ francesi
è il più difficile, è il più delicato di tutti. Io non sono qui per farmi merito, né per far fortuna ; mi basta di
essere compatita ». Si cita dall’edizione di Tutte le opere di Carlo Goldoni, viii, a cura di Giuseppe Ortolani,
Milano, Mondadori, 948, pp. 327-378.
2
Nel Proemio l’autore si è appena ritirato in campagna dove riceve la visita di un concittadino ritor-
nato da un viaggio, fanatico e superficiale. Alla fine del dialogo tra i due viene sconfessata l’utilità for-
mativa del viaggio, soprattutto se disgiunta da una seria preparazione culturale. Francesco Albergati
Capacelli, Proemio alla traduzione di Ines de Castro, Liegi, 768.
3
Si veda la recente edizione della commedia a cura di Andrea Fabiano, Venezia, Marsilio, 999.
218 mariasilvia tatti
negativi sull’Italia (ii, 5) prodotti da una letteratura scritta da francesi che hanno pre-
giudizi nei confronti degli stranieri. Alla fine della scena 6, Anzoletto, rimproverando
Arlecchino e invitandolo a partire, distingue tra il viaggiatore che esporta il suo lavo-
ro, degno di lode e di rispetto e il viaggiatore frivolo e ridicolo che si reca all’estero
« per capriccio, o per bizzarria », per il quale il viaggio, come per il « cavalier Giocon-
do » dell’omonimo testo,  è solo movimento frenetico e inconcludente. La scena in
cui si fronteggiano Anzoletto e Arlecchino, allo stesso modo in cui nel Matrimonio
per concorso si scontravano Anselmo e Pandolfo, è una parentesi assolutamente inu-
tile all’intreccio ed ha una evidente funzione didascalica, segno dell’importanza che
Goldoni attribuiva alla definizione di una identità dignitosa e rispettabile di straniero,
come colui che, contro pregiudizi e stereotipi, esporta all’estero le proprie capacità ;
l’‘io forestiero’ – questo è il messaggio – presuppone l’‘io artistico’ e con questo Gol-
doni sembra ricordare ai francesi e agli italiani l’esistenza di un impegno reciproco fra
l’autore e il suo pubblico sul quale si fonda la sua condizione di straniero ‘onorevole’.
Il discorso di Anzoletto si conclude con una confessione di amore patriottico, non
a caso espressa in veneziano, a sottolineare il fatto che il viaggiatore dignitoso non
rinuncia alla sua patria, ma ne fa un punto di forza dal quale partire per guadagnarsi
il rispetto degli altri : « no fe che un omo d’onor, che un bon patriota, come son mi,
abbia un’altra volta la mortificazion de sentir per causa vostra a dir mal de quel caro
paese, che venero, che rispetto, che adoro, mi che sparzerave el mio sangue per la so
gloria, e per la so vera reputazion » (ii, 6). 2
L’Angioletto-Anselmo-Anzoletto ripropone quindi sempre uno stesso tipo di arti-
sta-viaggiatore che rimpiange Venezia, vive in una condizione di esule (e rievoca il
cibo, gli usi, la lingua), difende una dignità di straniero basata sul valore professionale.
L’‘io forestiero’ insomma, con l’arrivo a Parigi, elabora un proprio statuto di stranie-
ro, basato sul lavoro e sul rispetto reciproco, doppiamente critico nei confronti della
moda del viaggio mondano, che non conduce a un vero scambio, e nei confronti
delle chiusure nazionalistiche, che alimentano stereotipi fittizi.
Nel 765 Goldoni come è noto, inizia la carriera di insegnante presso la corte e
tralascia l’attività di commediografo. Trascorre lunghi periodi a Versailles, dove ha
anche un appartamento alla corte. Nel 775, dopo un periodo di pausa nel corso del
quale era tornato a vivere a Parigi, viene richiamato per insegnare italiano alle sorelle
di Luigi XVI, Maria Clotilde Adelaide, futura moglie di Carlo Emanuele IV, principe
di Piemonte, e Madame Elisabetta.
Versailles è in fondo un’appendice del viaggio, un’esperienza ulteriore della con-
dizione del forestiero divenuto cortigiano che Goldoni puntualmente mette in scena
attraverso un nuovo personaggio autobiografico, quello di Girardino, protagonista
de I Volponi, 3 un libretto per musica scritto nel 777 in occasione della riapertura di un
teatro di opera italiana in Francia e mai rappresentato. Inviato a Venezia, il libretto
fu stampato per la prima volta solo nell’edizione Zatta nel 794. Le circostanze della
scrittura de I Volponi vengono rievocate in uno dei capitoli (il xxvi della terza parte)
più tristi e forse più sinceri dei Mémoires, dove Goldoni spiega di aver scritto il libretto
per inviarlo a Venezia, ma soprattutto per destinarlo alla troupe di cantanti italiani


Cfr. Ilaria Crotti, Il carattere e il “baule” : il viaggio di Giocondo, in Libro mondo teatro. Saggi goldoniani,
Venezia, Marsilio, 2000, pp. 83-.
2
Carlo Goldoni, Il Genio buono e il Genio cattivo, in Tutte le opere di Carlo Goldoni, viii, cit., pp. 947-
07.
3
Sul quale cfr. soprattutto Franco Fido, I libretti per musica scritti a Parigi, in Le inquietudini di Goldoni.
Saggi e letture, cit., pp. 47-62 (su I volponi, pp. 56-7).
l ’ io ‘ forestiero ’ : l’autoritratto goldoniano de i volponi 219
che era stata invitata a Parigi nel 777 ; in modo assolutamente imprevedibile Gol-
doni non viene però contattato dalla troupe e il dispetto per questa esclusione è così
forte che ancora anni dopo nei Mémoires lo scrittore insiste sulla delusione provata
in quella circostanza. Una delusione che d’altronde è facilmente comprensibile : per
quanto disprezzata, la carriera di librettista costituiva pur sempre (e tanto più dopo
le delusioni ricevute a Parigi nell’ambito della commedia) un trampolino di lancio
verso l’Europa ; a Parigi Goldoni scrive per il teatro d’opera italiana di Londra, la
presenza di Piccinni gli fa sperare di ripetere il successo romano de La buona figliola
del 760. Proprio nel 777 viene pubblicata a Torino un’edizione di Opere drammatiche
giocose di Carlo Goldoni in sei volumi,  a conferma di una fortuna anche editoriale
mai tramontata. L’esclusione dagli spettacoli di opera comica (una tarda richiesta di
collaborazione è insufficiente a risarcire il commediografo) genera quindi in Goldoni
un risentimento comprensibile. Tanto più che con i Volponi Goldoni, che in Francia
ha già all’attivo la scrittura di almeno 5 libretti, si ricollegava al progetto di riforma
enunciato attraverso la dimensione metateatrale de La bella verità (alla quale è infatti
strettamente legato anche per la presenza di un personaggio autobiografico) e inten-
deva scrivere « de nouvelles paroles » e « composer de nouveaux Drames dans le goût
français ». 2 Un’operazione quindi meditata e un libretto scritto non per committenza
ma per scelta, all’interno di una prospettiva di rilancio professionale dopo la fine
deludente della collaborazione con la corte. Nel 777 infatti si era conclusa l’attività
di maestro di italiano di Goldoni che aveva lasciato il posto al nipote Antonio, sen-
za che gli venisse riconosciuto un adeguato compenso. Il ritorno a Parigi era stato
inglorioso ; la vendita della biblioteca al segretario dell’ambasciatore Gradenigo, nel
maggio 780, è solo un atto estremo dovuto a una condizione economica difficile,
che, paradossalmente, si era verificata proprio in seguito alla collaborazione con la
corte. È tanto più comprensibile che la delusione di Goldoni per il mancato coinvol-
gimento nell’allestimento di spettacoli d’opera italiana a Parigi sia stata, con questi
presupposti, così acuta.
Scritti in queste circostanze, i Volponi costituiscono una tappa anomala nella produ-
zione di Goldoni ; il libretto ha dei caratteri di novità che lo rendono uno dei testi più
interessanti del periodo francese : l’obiettivo di scrivere ‘parole nuove’ è sicuramente
raggiunto. L’intreccio è essenziale e narra la storia di Girardino, un giovane pieno di
talento che cercando un posto da segretario nella casa di un marchese, viene raggira-
to e imbrogliato dal fattore e dal cameriere di questi che temono la concorrenza del
giovane, aiutati anche da una giovane cameriera. Sono appunto i ‘volponi’ capaci di
usare tutti i mezzi per mantenere i loro privilegi, superando le loro reciproche ostilità
per coalizzarsi allo scopo di danneggiare lo straniero. Aiutato dalla sorte e dall’ap-
prezzamento delle due donne di casa, la marchesina e la sorella del marchese, che lo
lodano e intercedono in suo favore, Girardino riesce finalmente ad ottenere il posto,
mentre i cortigiani vengono puniti dal marchese.
Il trionfo finale, che arriva dopo una serie di alti e bassi, non toglie l’impressione di
estrema amarezza e di scoramento presente nel testo : l’illustrazione del frontespizio
dell’edizione Zatta è, in questo senso, abbastanza illuminante. Vi si vede Girardino
seduto da solo su una panchina, in un luogo ameno, con le ciglia abbassate, nell’atto
di chi suona, ma tutto il suo atteggiamento e la sua solitudine denotano un’estrema
malinconia. Lo osservano tre figure in abiti nobiliari : il marchese, la marchesina e la

Carlo Goldoni, Delle opere drammatiche giocose, Torino, Guibert-Orgeas, 777-8.
2
Mémoires, cap. xxvi, Troisième partie (si cita dall’edizione di Tutte le opere di Carlo Goldoni, i, cit.,
935).
220 mariasilvia tatti
contessa, sorella del Marchese. Nelle due donne si possono forse riconoscere la prin-
cipessa Maria Adelaide che nell’agosto del 775 si sposa con il principe di Piemonte
e Madame Elisabetta, sorella del re, le due allieve per le quali nel 775 era stato nuo-
vamente invitato Goldoni a Versailles e che avevano quindi favorito il suo riavvicina-
mento alla corte.
L’identificazione tra Girardino e Goldoni è esplicita e gli indizi che spingono a un
immediato riconoscimento di Girardino come autoritratto dell’autore sono numero-
si : l’aspirante segretario si definisce ‘buon veneziano’ ; padroneggia bene il francese
e il veneziano ; è un poeta musicista in cerca di un impiego in virtù delle sue quali-
tà professionali ; professa un’ideologia anticortigiana, di rifiuto di ogni mondanità ;
crede nella fedeltà, nell’amicizia, nella virtù. D’altronde le riflessioni anticortigiane
contenute nel testo hanno un riscontro in diversi interventi diretti di Goldoni, espres-
si e ribaditi nel corso di quasi un ventennio, dal 766, nel primo periodo quindi del
soggiorno a Versailles, fino alla scrittura dei Mémoires. Già nella lettera di dedica a
Stefano Guerra, datata Parigi febbraio 766, premessa a La buona madre, edizione Pa-
squali, Goldoni si esprime senza mezzi termini : « Io ho l’onore di vivere tra cortigiani
ma non saprò mai essere cortigiano ; amo la sincerità, l’ho ereditata dal mio Paese, la
custodisco con gelosia » ;  parole riprese anni dopo nella stesura dei Mémoires (iii, 7) :
« j’étais à la cour et je n’étais pas courtisan ».
Al ‘disinganno’ prodotto dalla corte, Goldoni dedicò inoltre la rappresentazione in
due parti Il disinganno in corte, un testo contemporaneo strettamente legato ai Volponi
che sotto la veste allegorica motiva l’ideologia anticortigiana dell’autore. La scena
si apre con un cortigiano che si reputa fortunato perché ammesso alla corte, dove
pensa di emergere e di fare la sua fortuna grazie a « amicizia, onore, virtù ». Mentre il
Disinganno cerca di dissuaderlo, mostrandogli che la verità è ben diversa e che nella
corte dominano i vizi, altri tre personaggi allegorici, Interesse, Ambizione, Impo-
stura gli si presentano sotto l’aspetto delle virtù opposte e cercano di corromperlo,
trascinandolo in intrighi e truffe mascherate da buone azioni. Il Disinganno riuscirà
alla fine a mostrare all’aspirante cortigiano la verità, mettendolo in guardia contro
le lusinghe della corte, dalla quale ogni virtù è bandita. La conclusione contiene un
insegnamento che suona come un monito dell’autore a se stesso, un decalogo ideale
insolitamente sentenzioso nel quale vibra il risentimento di Goldoni verso la corte
francese : Disinganno : « Vera Virtù t’insegni /con tuo sudor, colle fatiche e i stenti /
procacciarti fortuna ; e se la sorte / all’onesto desio risponde avara, /dalla Virtù la
sofferenza impara ». 2
Ne I Volponi questo stesso messaggio, espresso nel Disinganno attraverso un regi-
stro didascalico-morale tipico dei testi allegorici, è tradotto sul piano della rappresen-
tazione teatrale comico-giocosa, anche se l’intento polemico e i contenuti ideologici
rendono il libretto un testo poco coeso, che sembra forzare dal di dentro, sulla spinta
dei contenuti del testo, i topoi del genere. I Volponi rispettano infatti, da un certo pun-
to di vista, le consuetudini del genere melodrammatico ; ad esempio la situazione,
già presente nella Buona figliola, del Marchese, della promessa sposa e della sorella
del Marchese ; le liti tra i servi ; la presenza di una doppia coppia di servi (Girardino e
Merlina ; Tolomeo e Lisetta) ; l’ambientazione divisa tra spazi interni (la casa signori-
le) ed esterni (il giardino). Anche a livello espressivo il testo presenta una tipologia di
arie abbastanza canonica, fedele a formule stereotipate : si veda ad esempio l’aria di

Si cita dall’edizione di Tutte le opere di Carlo Goldoni, vii, cit., 946, p. 922.
2
Il disinganno in corte. Rappresentazione in due parti, in Tutte le opere di Carlo Goldoni, cit., xii, 952, pp.
968-98.
l ’ io ‘ forestiero ’ : l’autoritratto goldoniano de i volponi 221
Girardino che riprende l’immagine barocca, divulgatissima, del naufrago (ii, 2) : « son
qual naufrago nocchiere / che del mar fra l’onde assorto, / trova un nume, e trova il
porto, / e ritorna a respirar » ; altre arie riprendono modalità dubbiose e patetiche ti-
picamente metastasiane, particolarmente funzionali all’umore malinconico del pro-
tagonista : « Tant’è la gioia mia, / tant’è il piacer ch’io sento, / che non sarò contento
/ se non mi sfogo almen ! ecc… » (i, 9) ; altre hanno un ritmo più incalzante consueto
nel dramma giocoso, dove si riconosce la verve espressiva di Goldoni : « se faccio, o
se non faccio, / se parlo, o pur se taccio, / scherzando – e ghignazzando, / non fa
che criticar » (ii, 0). Non mancano poi varie situazioni consuete del melodramma : i
dialoghi amorosi (ad esempio il primo incontro tra Girardino e Merlina che si ricono-
scono essendo già stati amanti in Italia, i, 7) ; lo scambio di innamorati (Girardino e Li-
setta/Tolomeo e Merlina, salvo poi ricomporsi la coppia fedele Girardino-Merlina) ;
gli equivoci (ad esempio attorno al dono di una ‘doppia’, disposto dai cortigiani per
liberarsi di Girardino, sorgono una serie di incomprensioni che allontanano il lieto
fine) ; il plurilinguismo e l’inventiva verbale (presenza di inserti in veneziano e france-
se, alternanza di registri aulici e colloquiali, insistenza su ambiti semantici zoologici,
come lupo (ii, 2) e volpe (ii, 3) in relazione alla metafora dei ‘volponi’).
Tuttavia se guardiamo nel complesso all’intreccio, al tema, all’articolazione dei
recitativi, al lessico esistono elementi di novità, dovuti soprattutto all’intento auto-
biografico apologetico e alla volontà di denuncia degli usi cortigiani che assumono
un rilievo che travalica, quasi mettendolo in ombra, l’intreccio canonico melodram-
matico. La ripresa di ambientazioni, personaggi e situazioni consuete del dramma
giocoso sentimentale sembra collidere con l’intento polemico e l’istanza di denuncia
relativa alla falsità della vita di corte e al pregiudizio nei confronti di chi viene da
fuori, che introducono un tono caustico e argomentativo che mal si accompagna al
registro comico-giocoso del dramma buffo. Si verifica insomma un superamento, a
livello di forzature tematiche e strutturali, delle situazioni consuete del genere, in
funzione di un discorso che ancora una volta guarda alla ‘verità’, anche se questa
volta non si tratta di una ‘bella’ verità, ma della denuncia di un disagio dell’‘io fore-
stiero’ la cui professionalità, non sufficientemente riconosciuta e apprezzata, non lo
salva dall’emarginazione cui è condannato, per la sua stessa natura, il ‘forestiero’.
L’intento confessionale e polemico rompe quindi gli equilibri interni del genere, che
si basa su una serie di convenzioni estremamente delicate (rapporto musica parole,
articolazione delle scene, suddivisione delle parti tra i cantanti), riportando in primo
piano la vicenda dell’autore, più di dieci anni dopo il gruppo di testi nei quali si deli-
nea l’‘io forestiero’.
Ma vediamo come si verifica nel testo questo contrasto.
In prima istanza alcuni elementi topici, inseriti nel contesto argomentativo e po-
lemico, risultano amplificati con esiti parodici, creando una tensione interna al testo
che mal si risolve nel ritmo dell’azione e delle battute. Si vedano ad esempio la già
citata aria di paragone Son qual naufrago nocchiere (ii, 2), i duetti amorosi e gli equivo-
ci sentimentali inseriti quasi forzatamente in un contesto di intrighi professionali, le
riprese metastasiane che mal si conciliano con la trama di relazioni spregiudicate del
testo (si veda ad esempio l’aria dubbiosa di Girardino « Tant’è la gioia mia » i, 9). Di
timbro parodico sono anche le canzoncine amorose ricche di ridicole similitudini ani-
mali (Gli augelletti in loro favella...Anche il gregge in sua favella...Anche i polli in lor favella)
che intona Girardino quando nel giardino (i, 6) viene inteso dalle dame.
Inoltre la sentenziosità che accompagna la polemica anti-cortigiana è poco con-
forme al registro consueto del genere : Tolomeo : « Con questi scrupoli / non sperate
222 mariasilvia tatti
avanzar. Ciascun pensare / dee agl’interessi suoi » (ii, ) ; Girardino : « Questo nobil
paese, a quel ch’io vedo / non è fatto per me. Qui per virtudi / passano le finzioni, ed
io son schietto / e amo più di lor scienza il mio difetto » (ii, 5).
Lo stesso lessico introduce termini desueti nell’ambito del dramma giocoso. Si
veda ad esempio una parola come ‘politica’ che nel vocabolario veneziano di Goldoni
coincide con « astutezza, accortezza »  ma che qui si riferisce a un ambito non perso-
nale ma pubblico, con una risonanza più equivoca e sibillina : « Tolomeo : Politica de’
grandi / per veder, per sentire, e esaminarvi » (i, 7) ; e Girardino : « Ah politica rea !...
Oh politica ! Oh stile ! Oh mondo ingrato ! » (ii, 9)
Il comico, altro aspetto singolare, è praticamente inesistente, affidato ai consueti
screzi tra i servi, ad alcuni exploits verbali e a un personaggio come il marchese, inton-
tito dall’amore, ingenuo e pasticcione nel turbinio di azioni e malefatte che vengono
intessute attorno a lui ; egli si esprime in modo caricaturale, tra il cerimonioso e il
ridicolo : « Volo dove mi chiama il dio Cupido » (i, 3).
Prevale invece una costante cifra di amarezza ; anche il sogno (i, 5) di Merlina, la
cameriera che poi sposerà Girardino, relativo all’impossibilità di soddisfare la fame
della figlioletta, preannuncio tenebroso di un destino avverso, lascia presagire fin dal-
l’inizio uno svolgimento cupo, lontano dalla comicità gioiosa così come dai toni pa-
tetico-sentimentali del dramma giocoso.
Infine il lieto fine, continuamente rinviato (una soluzione dell’imbroglio favorevo-
le a Girardino, viene nuovamente ribaltata da altre insidie dei ‘volponi’) sembra in
realtà una concessione obbligata al genere che viene come applicata quasi forzata-
mente ad un’azione che procede in una direzione opposta. Il valore professionale del
forestiero dovrebbe garantirgli la salvezza ; e così sembrerebbe avvenire, anche se tali
sono le insidie e gli equivoci che il lieto fine avviene più per l’eccesso di malizia dei
cortigiani volponi e per una serie di circostanze casuali che per il merito di Girardino.
È insomma una sconfessione di quello statuto dell’‘io forestiero’ che Goldoni aveva
individuato al proprio arrivo in Francia : Girardino viene considerato per i suoi meriti,
ma solo a costo di infinite amarezze e umiliazioni che gettano un’ombra sulla sua
stessa condizione. La corte e la Francia sono d’altronde assimilate, e dalla corte il giu-
dizio negativo di Girardino-Goldoni sembra estendersi anche alla Francia : nella scena
undicesima dell’atto secondo, Girardino canta alle due nobildonne due arie, una in
francese che testimonia della ‘incostanza’ del paese e una in veneziano. Goldoni con-
trappone così due mondi, due atteggiamenti opposti, e anche due diversi linguaggi
letterari. Da un lato c’è la Francia, vacua, incostante, cerimoniosa, frivola, inutilmen-
te altezzosa e la poesia, modulata su un registro solenne cerimonioso, sottolinea il
carattere formale della nazione : « Belle Iris, mon espérance / Que j’adore vos attraits !
Mon amour et ma constance / dureront pour vous à jamais... » (ii, ). Dall’altro Venezia,
luogo, come ha ricostruito Folena a proposito della lingua, dell’affettività, 2 oggetto
di una nostalgia che sembra prendere corpo dalle parole, che si snodano quasi in una
filastrocca, una nenia struggente intonata dall’esule, lontano ormai da quindici anni :
« Son sta in Franza, e son sta in Spagna, / son sta a Londra, e in Alemagna, / ma ste
care cocolette, / veneziane graziosette, / no se trova altro che qua » (ii, 2).
Che cosa è divenuto nei Volponi l’‘io forestiero’ dei primi tempi parigini ?
Intanto una riflessione preliminare. Anche le figure autobiografiche qui esaminate

Cfr. Gianfranco Folena, Vocabolario del veneziano di Carlo Goldoni, Roma, Istituto della Enciclopedia
italiana, 993.
2
Idem, Il francese di Goldoni, in L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Torino, Einaudi,
983, pp. 359-396.
l ’ io ‘ forestiero ’ : l’autoritratto goldoniano de i volponi 223
del periodo francese non possono certo essere assunte come maschere totalmente
autentiche ; nel gioco del travestimento l’autore dissemina troppi indizi di ricono-
scimento espliciti, troppe allusioni a Venezia e al proprio lavoro, per non fugare il
sospetto che anche qui, come nei Mémoires, l’autore voglia fornire un ritratto di sé
edulcorato, levigato. Il gioco insomma è troppo scoperto e nasce il sospetto di un
artifizio che consegna al lettore e allo spettatore un io autobiografico modulato su
aspettative e proiezioni apologetiche, rivisto su modelli ideali : il viaggiatore colto e
tollerante, l’artista considerato e riconosciuto per il proprio lavoro.
Nel caso dell’‘io forestiero’ delineato nei primi anni parigini l’esperienza autobio-
grafica reale si coniuga infatti con un modello di forestiero ideale, quello del viaggia-
tore colto, che appartiene alla civiltà dei lumi, aperto all’Europa, lontano da stereo-
tipi e pregiudizi. Egli si differenzia radicalmente da Arlecchino de Il Genio buono e il
Genio cattivo e da Pandolfo del Matrimonio per concorso che a loro volta avevano diverse
prefigurazioni in altri personaggi goldoniani ; penso al cavalier Giocondo agitato da
un tormentato movimento senza scopo, incapace di distinguere tra vicino e lontano
o al protagonista del Viaggiatore ridicolo, che rappresenta una tipologia ben diffusa
di viaggiatore superficiale e vanesio, preda delle mode e dei riti mondani (e si veda
anche il personaggio di Milord Ernold in Pamela). Il viaggiatore illuminato instaura
invece un rapporto di scambio con lo straniero, basato sul rispetto reciproco e sul
riconoscimento di differenze culturali che devono essere valorizzate e apprezzate.
Nella sua multiforme incarnazione autobiografica, tra Pantalone e Clarice (di
L’amore paterno), Anselmo (di Il matrimonio per concorso) e Anzoletto (di Il Genio buono
e il Genio cattivo), il viaggiatore illuminato ideale diventa quindi l’uomo di teatro ‘eu-
ropeo per sensibilità e cultura’,  rispettato e valorizzato per il suo lavoro, consapevole
delle difficoltà ma combattivo nel tentativo di risolverle. Il rimpianto per Venezia e la
nostalgia dell’esule, con i vari riferimenti al cibo, ai costumi, alla lingua conferiscono
a questa figura ideale di straniero una cifra umana calorosa che rende più credibile e
vero l’ambiguo ritratto autobiografico, la maschera con cui Goldoni si proiettava al
suo arrivo in Francia in una dimensione europea.
L’esperienza della corte raccontata nei Volponi introduce, rispetto allo scenario dei
primi anni francesi, una condizione nuova. Girardino esprime ancora una prospettiva
ideale e rappresenta un ritratto ancora una volta edulcorato, non però nella direzio-
ne consueta di teatralizzazione dell’esistenza, ma nella definizione di una condizio-
ne onorevole di straniero, che dovrebbe superare l’esclusione e le ostilità attraverso
l’impegno e il valore professionale. La sua ingenuità, inadeguata a fronteggiare la
situazione, lo rende un personaggio quasi caricaturale e comunque patetico ; nel rac-
contare la sua vicenda, Goldoni esibisce ancora dei caratteri ideali : il disinteresse as-
soluto, la buona fede, la lealtà, ma l’accentuazione di questi elementi e d’altro canto
la presenza di oppositori così determinati e negativi come i Volponi-cortigiani creano
una situazione di disagio e amarezza che come abbiamo visto si coniuga con difficol-
tà con i topoi del genere librettistico. Il microcosmo della casa del marchese allude in
modo esplicito alla corte, ma indirettamente anche alla Francia nel suo complesso,
della quale si sottolinea comunque, se non la malizia e la falsità che appartengono
in modo esplicito alla corte, l’incostanza, riconducibile alla freddezza con la quale il
pubblico parigino aveva accolto le rappresentazioni delle commedie di Goldoni, ma
anche al rapporto contraddittorio dell’autore con la cultura francese nel suo com-
plesso. Girardino è quindi il viaggiatore disingannato, il forestiero che vive con soffe-

Mario Baratto, Goldoni vent’anni dopo, in L’interpretazione goldoniana. Critica e messinscena, a cura di
Nino Borsellino, Roma, Officina Edizioni, 982, pp. 9-3.
224 mariasilvia tatti
renza la propria condizione, che riesce solo con fatica a destreggiarsi in un ambiente
ostile : Anzoletto ne Il Genio buono e il Genio cattivo si muoveva nello spazio arioso di
un giardino parigino, aperto alla società, e presentava la condizione di straniero in
chiave problematica, ma anche fiduciosa nella possibilità di una proficua integrazione
basata sul rispetto reciproco e sul riconoscimento di un’appartenenza culturale che
supera i confini geografici ; Girardino si muove nello spazio ristretto e angusto del
giardino del marchese, emblema della corte, si destreggia a fatica tra inganni e aggua-
ti e la sua vittoria sui volponi è, come dicevamo, una vittoria imperfetta.
L’‘io forestiero’, privo di riconoscimenti professionali ed economici, è appiattito
sulla condizione di ‘straniero’, spogliato almeno in parte della considerazione ono-
revole che l’‘io artistico’ avrebbe dovuto garantire : « io meritava però d’esser distinto
come forestiere »  scrive ancora Goldoni al ritorno da Versailles nel dicembre 775,
con un tono tra la rivendicazione e lo sconforto che preannuncia il risentimento de Il
disinganno in corte e le punte polemiche e desolate de I Volponi.


Lettera a Stefano Sciusciaglia, datata Versaglies 8 dicembre 775, in Tutte le opere, cit., xiv, Epistolario,
pp. 373-375.
composto, in carattere dante monotype,
impresso e rilegato in italia dalla
accademia editoriale ® , pisa · roma

Gennaio 2007
(cz2/fg13)

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