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La Passione secondo Cerveno

Antropologia culturale (Sapienza - Università di Roma)

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La passione secondo Cerveno (F. Faeta)

Capitolo 1 - Voci e immagini di ieri


Possiamo far risalire la tradizione più antica del rito della passione all’azione di
catechesi svolta da Leonardo da Porto Maurizio, un predicatore francescano
che durante la prima metà del ‘700 girò l’Italia settentrionale (soprattutto
alpina) gettando le baso della costruzione di 572 Viae Crucis, nell’ambito di una
sistematica azione penitenziale già avviata nel corso del ‘500 ed che si
inserisce nel più ampio contesto della Controriforma.
C’è inoltre da sottolineare che i riti legati alla mortificazione della carne si
erano già diffusi in Italia per tutti i secoli precedenti e nel Nord avevamo già
visto l’affermazione di numerosi movimenti, come quelli della predicazione di
Dolcino, del moto dei Bianchi e del movimento dei disciplinati, diffusosi in Val
Canonica in un lungo lasso di tempo. Possiamo notare come il tema della
mortificazione della carne si radicava particolarmente nel periodo quaresimale.
La Passione del Cristo diveniva passione degli uomini, che attraverso un
intreccio di liturgia, confessione pubblica e indirizzi di pentimento designavano
una “rappresentazione, atto teatrale finalizzato alla conversione di chi guarda”.
Inoltre quello della via Crucis era un tema liturgico che già nel 400 e nel 500 si
era diffuso in pratiche scultoree e architettoniche, sempre attorno alla
predicazione di Leonardo.
Leonardo: attraverso le descrizioni che ci giungono va ad iscriversi all’interno di
quel profilo antropologico specifico legato al fedele che segue un’ideologia
centrata sulle pratiche d’imitazione del Cristo, al centro della quale ideologia
c’è il tema della penitenza. Ma la devozione di Leonardo aveva anche dei tratti
in qualche modo eterodossi rispetto alla Chiesa romana (gli ci vollero 22 anni
per vedere le sue Viae Crucis innalzate anche nelle chiese non francescane).
Questo probabilmente perché il suo rito della devozione aveva degli aspetti di
autonomia “popolare”, un’impronta mistica e populista e un carattere
scenografico e teatrale - STRATEGIA DELLE EMOZIONI (spesso infatti vediamo
le chiese locali come antagoniste alla Chiesa di Roma). In questo contesto va
sottolineata la stretta relazione tra predicazione e produzione artistica, che
assunse un ruolo centrale nella strategia delle emozioni e nel processo di ri-
evangelizzazione (500 in poi). Stretta dipendenza dell’arte figurativa italiana
rispetto ai progetti della Controriforma.
Tema della Pietà: si doveva fondare un culto canonico, paradigmatico della
Pietà e anche assestare il comportamento delle masse coinvolte intorno ad
essa, attraverso l’animazione spettacolare delle sue scene.
La letteratura e le gerarchie ecclesiastiche che si svilupparono attorno a
Leonardo (oltre che ovviamente l’opera di Leonardo stesso) risuonarono anche
a Cerveno, dove, su volontà di due dei parroci dell’epoca, don Andrea Boldini e
don Giovanni Gualeni, fu fatta costruire, a partire dal 1752, una cappella ai
margini dell’abitato, addossata alla chiesa parrocchiale di San Martino di Tours
con al suo interno una Via Crucis. Grazie alle pratiche di estrazione e
lavorazione del ferro la collettività godeva di una certa agiatezza che
permetteva di sostenere l’opera della Via Crucis, complessa e onerosa dal
punto di vista economico. Inoltre l’opera fu anche finanziata da un esborso di
tipo comprensoriale o areale di molti paesi vicini (l’area di raccolta delle offerta
fu molto ampia, come si deduce dalla consultazione di due libri mastri della
Fabbrica di Cerveno).

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L’incarico di scolpire le 14 stazioni viene affidato a Simoni (nel 1752). Già nel
1730 l’artista aveva scolpito figure lignee ispirate al motivo della Passione.
Realismo cinquecentesco-settecentesco lombardo e attitudine ad accostarsi
alla realtà degli umili. L’artista si trasferì a Cerveno con la famiglia e lavorò in
loco fino al 1764 (quasi portando a termine l’opera, che fu infine completata
dai due figli di Andrea Fantoni, esponenti di una delle botteghe più influenti
dell’area, nonostante è importante dire come lo stile dei due si differenzi da
quello di Simoni e perciò probabilmente la sostituzione ebbe un tratto polemico
e antagonistico). I libri mastri ci restituiscono un ambiente in cui la vita
familiare si intrecciava fortemente con la realizzazione dell’opera.
L’opera è composta di 198 statue policrome di legno e gesso, a grandezza
naturale, divise nelle 14 stazioni canoniche, disposte in cappelle affrescate
poste ai piedi di una ripida scalinata, tutte raccolte in una più grande cappella
che costituisce una sezione della chiesa. Si intreccia dunque scultura - affresco
- architettura: la scalinata sembra simboleggiare l’ascesa al Calvario e il
percorso che l’osservatore è obbligato a fare sembra procedere (da destra)
dapprima per una discesa nel mondo feroce e corrotto per poi giungere ad un
nobile riscatto esemplificato nel sacrificio del Cristo (sinistra). Tuttavia la
sequenza delle stazioni è assai serrata: l’osservatore spesso è rinviato dall’una
all’altra, così da restituire una storia d’insieme dell’evento, pur rappresentata
nei suoi tratti singolari. Sicuramente anche l’uso del colore assumeva un
aspetto fondamentale nella narrazione. Da un’osservazione attenta che
possiamo farne oggi, l’opera sembra restituire un registro freddo, una
predominanza di tinte della gamma del blu, azzurro e grigio, una presenza di
rossi smorti. Modelli viventi ispirarono l’artista (lo sappiamo da fonti), posando
anche, e ciò ci restituisce una preziosa possibile fisionomia dell’epoca e non
solo: Simoni esprimeva sia ciò che vedeva dei popolani ma anche la sua idea di
quelli che erano i popolani. Simoni descrive un mondo rozzo, per il quale non
sembra provare simpatia ma angustia. In quest’ottica peculiare andiamo a
vedere come Simoni racconta la Passione di cristo: innanzitutto i persecutori
sono esaltati nella loro cattiveria e crudeltà. Ad essi sono contrapposti un Cristo
e la sua cerchia (uomini pii e soprattutto donne) rappresentati nella loro
rassegnazione, dimessa e sfuocata. Nelle varie cappelle sembra quasi che
quell’aria cruda, dura, violenta si possa respirare: sembra di odorare latrina,
un’aria ristagnante (Testori). È una rappresentazione che ci mette davanti a
tutti i sentimenti negativi che l’esecuzione di un giusto scatena. È una
rappresentazione dove i colpevoli vincono, quasi fosse una provocazione
religiosa, una sorta di PASSIONE ALL’INVERSO, dove i cattivi assumono il ruolo
di protagonisti e i buoni sembrano quasi scomparire, sbiadirsi, sopraffatti
dall’indifferente malvagità dei persecutori. Questo tipo di rappresentazione
smuove l’osservatore, lo coinvolge sentimentalmente (coinvolgimento
emotivo). È Minervino, studiosa che opera una ricostruzione importante, che
rimette invece in discussione la descrizione di Testori e analizza le figure
positive del Cristo e delle donne che lo circondano, sottolineandone i tratti
nobili, la delicatezza, l’eleganza, l’ascetica pacatezza dei volti (matrice barocca
e di probabile ascendenza romana). La Passione all’inverso di Simoni poggia
sopra una contrapposizione voluta tra il basso e l’alto, il realismo naturalista
dei persecutori e l’idealismo dell’ambito del divino. Occorreva dimostrare che la
divinità non è nella storia, ma ne prescinde e insieme la fonda e che, allo
stesso tempo, il peccato è dentro ognuno di noi. Questa visione dualistica
doveva probabilmente lasciare perplesse le coorti composite delle personalità
ecclesiastiche.

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Storia del bambino trovato morto vicino all’abitazione di ebrei (Trento, 1475) ->
Simonino viene beatificato e poi nasce anche il culto di Simonino (ufficializzato
nel 1588). Nacquero processioni in cui si mostrava la salma e i simboli
raffiguranti i presunti oggetti con cui il fanciullo era stato torturato (palese
tentativo di accostamento delle figure del bambino e di Cristo: comune destino
delle vittime della perfidia giudaica). Anche a Cerveno, nella chiesa
parrocchiale, vi sono affreschi consacrati al tema. In tutta l’area serpeggiava un
antisemitismo dovuto sia all’atteggiamento della Chiesa, che anche a questioni
economiche (legate alla lavorazione del ferro). Clima di grande rigidità e
incertezza. In questo clima di antisemitismo, dove la questione degli ebrei
anche nel XVIII secolo restava centrale, si colloca l’opera di Simoni. inoltre a
delineare il clima vi erano anche i processi per stregoneria in valle, processi che
coinvolsero spesso (come vittime) i preti di campagna e delle parrocchie
(spesso processati) e che assimilarono spesso le accuse di stregoneria con
quelle di eresia, con una sempre maggiore identità tra pensiero eterodosso e
ideologia/prassi demoniaca.
Questo clima di conflittualità religiosa inoltre si sedimentava su uno scenario di
fortissima crisi politica (della governance di antico regime, che suocera nei
nuovi assetti napoleonici). Incombente sentimento civile di insicurezza e
pericolo. È opinione corrente tra gli storici ma anche tra i valligiani di oggi che
Simoni non avesse potuto portare a termine la sua opera anche a causa delle
pressioni dovute a questo clima. Probabilmente il tema della Passione doveva
avere, anche prima della rappresentazione di Simoni, un’ampia diffusione di
forme concrete della rappresentazione vivente. Il tema della contrapposizione
alto-basso dovette possedere in Val Camonica, come altrove, salde radici
folkloriche. Paolo Toschi dedica grande attenzione alle origini del teatro
cristiano: capillare diffusione al nord come al centro come al sud, di
rappresentazioni popolari di argomento quaresimale (riferimento alla
celeberrima manifestazione di Cassino, in Terra di Lavoro: le forme cassinesi
dovevano essere ben note). La dimostrazione di Ala, in provincia di Trento
(1634 - 1786): misto tra processione e rappresentazione. Secondo la
testimonianza di Gregorio Brunelli di Valcamonica, padre appartenente
all’ordine dei minori riformati di San Francesco, ai tempi di Simoni la tradizione
di una processione la sera del Venerdì Santo era già realtà comune in tutta la
regione, accompagnata da rappresentazioni e canovacci teatrali molto simili a
quelli che lo scultore poi raffigurerà. È dunque lecito supporre che la
rappresentazione simoniana fosse a sua volta esito della Passione vivente (e
vissuta).inoltre nella rappresentazione di Simoni mancava una caricatura
stereotipata e insistita nella raffigurazione del Giudeo (non compariva neanche
la figura di Giuda).
Dobbiamo tenere a mente che ciò che l’artista andava a raffigurare era ben
noto già all’animo dei fedeli: conoscevano bene quelle scene e il suo compito,
dunque, era dare un volto, una presenza, a delle immagini note. Obiettivo della
chiesa: accorciare la distanza tra la realtà quotidiana dei fedeli e le storie del
vangelo. Secondo un manualetto di istruzioni religiose del 1454: “affinché il
devoto possa compiere un utile esercizio di immaginazione della Passione, si
suggerisce di rappresentarsi, innanzitutto, luoghi familiari […]. Analogamente si
chiede di fare per i personaggi del dramma”. Dunque probabile è che Simoni
fece uso di modelli per questo motivo: era una pratica, una regola, comune e in
uso, diffusa: legare, all’interno del teatro della Passione, l’umano e il
divino. La frammentazione territoriale dell’epoca (XVIII secolo) imponeva alle
varie fazioni e popolazioni locali di dotarsi del proprio strumento imperioso di

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costruzione rituale del territorio (era una pratica comune quella che associava
l’oggetto d’arte, soprattutto quando si aveva a che fare con rappresentazioni
del divino e potere in Italia, sin dal Rinascimento).

Capitolo 2 - Voci e immagini di oggi


L’opera svolge ancora oggi una forte influenza non solo su Cerveno, ma più in
generale sull’intera area comprensoriale. Ci sono due tipi di influenze che essa
svolge: una diretta e esplicita (opinione che i cittadini hanno di essa ecc.) e una
implicita, insita in comportamenti e atteggiamenti che i cittadini adottano a suo
riguardo in modo più inconscio.
Per quanto riguarda il primo approccio, la considerazione della popolazione
riguardo l’opera è altamente positiva. La cappella e tutto il complesso sono
concepiti in un’ottica patrimonialista. SI vorrebbe che essa venga inclusa tra i
patrimoni dell’Unesco. Diffusa è l’opinione che il manufatto necessiti di
restauri, tuttavia le pratiche di restauro (alcune delle quali già avvenute e altre
in corso d’opera) non sono viste, al contrario di ciò che sovente accade, in
modo univocamente positivo (si teme che l’opera venga alterata come
avvenuto a seguito di grossolani interventi passati e altri temono che le statue
possano non tornare in loco, disperdendosi nell’eventualità di un loro
temporaneo trasferimento). Il restauro dunque è vissuto in modo ambivalente:
se da una parte è visto come un’opera dovuta alla comunità, dall’altra è
avvertito anche come una minaccia, come qualcosa che priva del suo
patrimonio la comunità. Inoltre l’opera garantisce l’inserimento del paese in un
giro turistico di cui si sente il bisogno (causa lo spopolamento ecc.). Detestata,
invece, è una lettura filmica del manufatto (regista Elisabetta Sgarbi - impronta
eccessivamente spiritualista e inoltre la regista non proiettò il film in paese,
come se non si considerasse che l’opera appartiene ai cervenesi).
Critiche: alcuni cittadini tuttavia assumono un atteggiamento critico nei
confronti dell’opera, chi perché “sembra essere l’unico problema di Cerveno e
dunque passano in secondo piano altre cause”, chi perché assume un
atteggiamento diffidente nei confronti della gestione ecclesiastica del
patrimonio, chi perché il manufatto porta con sé tutta una serie di pratiche
superstiziose non condivise. L’interruzione da parte dell’artista Simoni è ancora
motivo di dibattito tra i paesani, vissuta talvolta come un rifiuto.
La Via Crucis non è vista come un oggetto morto, ma come un modo per far
rivivere nel presente il passato, attraverso un tema sempre vivo, quello della
Passione. Essa permette relazioni tra ieri e oggi. Due movimenti: verso
l’esterno l’opera è celebrata, è mostrata come un tratto del proprio patrimonio
culturale (conviene a tutti), ma all’interno della comunità si apre al dibattito, vi
è una prospettiva critica e diversificata = MECCANISMO DI INTIMITÀ
CULTURALE descritto da Herzfeld.
Nesso funebre che lega la cultura locale a quella della Passione (cimiteri:
continui richiami, il cimitero è posto sulla via che conduce alla cappella, i
defunti si onorano particolarmente durante le ricorrenze pasquali ecc.).
Per acquistare indulgenze (probabilmente vissute come atto di riparazione per
ciò che era stato vissuto in passato, forse per la stessa realizzazione dell’opera,
l’abbandono dell’artista, contesto sociale…) la comunità di Cerveno mette in
scena ogni 10 anni (probabilmente a partire da XIX secolo) una sacra
rappresentazione che coinvolge tutto il paese e che richiede un lungo periodo
di preparazione (circa 1 anno, 1 anno e mezzo).
Quella moderna più che un’invenzione può considerarsi una ripresa (sulla base
di ciò che abbiamo visto nello scorso capitolo: già dal 1600 venivano messe in

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scena rappresentazioni del genere). Continuità o discontinuità con la


tradizione? Fa problema, sul piano storico-culturale: non esiste un’eternità delle
manifestazioni religiose. A Cerveno possiamo parlare di un’andatura “a
fisarmonica”: interruzioni e riprese del rito. Secondo Sordi la ripresa post-
simoniana sarebbe da datare intorno al 1850, data in cui si sarebbe svolta
un’attività di pellegrinaggio da parte di un eremita, la cui memoria però appare
alquanto appannata e confusa. Sembra ancora prendere piede un bisogno di
datazione a partire dalla documentazione esistente. Una possibile datazione è
basata su fonti fotografiche, risalenti al 1933 (prima rilevazione significativa
della manifestazione). La Santa Crus si tiene nel mese di maggio, in modo da
tenere la connessione con le manifestazioni quaresimali, con cui è
evidentemente collegata. Perché è de-calendarizzata rispetto alla settimana
santa? In paese: diverse opinioni (ciclo agrario, calendario degli allevatori,
porre la manifestazione al riparo dalla pesante ingerenza ecclesiastica…).
Sicuramente c’è una verità nelle ragioni legate al ciclo agrario: permettere a
più persone di partecipare (a maggio il ciclo tende ad essere concluso). Inoltre i
modesti guadagni del ricavato potrebbero aver contribuito alla
rappresentazione. Carattere fortemente legato al pellegrinaggio, sin dagli inizi
(come tutte le Vie Crucis). Testimonianza di un giornalista indignato - in
funzione anticlericale - (1894) a seguito del volantino fatto circolare dal Parroco
che invitava tutti i fedeli a partecipare al rito alludendo ad un successivo
festeggiamento (riportava il volantino: “la funzione grandiosa e imponente
sotto ogni rapporto”). Dalla descrizione che il giornalista fa della festa appare
già evidente l’unione tra rito ecclesiastico e e spinte popolareggianti. Però vi
sono altri testi tesi a smentire l’immagine in questione: testimonianza anonima
dello stesso anno, “…festa solennissima”, “ottima e religiosa popolazione si
impone sacrifici pecuniari e personali rilevantissimi onde compiere nel modo
più solenne questo, per loro tradizionale dovere”…). Da quest’ultima
descrizione (che la parrocchia di Cerveno ha interesse rimanga agli atti) appare
un mondo idillico, ordinato, devoto, in cui le donne solo relegate a icone sacre e
tenute a margine. Per tutto il secolo scorso e fino agli anni 70: profondi dissidi
sulla concorrenza della manifestazione (Chiesa, popolazione). Tanto che per
circa 20 anni (anni 50 anni 70) la manifestazione fu interrotta.
⁃ La manifestazione riprende nel 72, anno in cui essa si svolge in una forma
di compromesso tra le istanze popolari (rappresentazione) e quelle
ecclesiastiche (processione). Le rappresentazioni quell’anno furono mute.
⁃ 1982: la situazione è nettamente cambiata e la dimensione popolare e
laica ha preso il sopravvento, con il Comitato che va verso una forma di
regime di autonomia popolare osservabile ancora oggi. Il programma
prevede numerose occasioni gestite dalla chiesa ma lascia uno spazio
tutto suo alla rappresentazione popolare (15:30/19).
Intervistando i diretti interessati del Comitato si noti come ogni partecipante
sembra nutrire un rapporto personale, intimo, con la manifestazione (è così che
interpreta la funzione religiosa) più che esteriore. FORTE E RADICATA
INTERPRETAZIONE LAICA DEL CONTENUTO RELIGIOSO ESPRESSO NELLA
PASSIONE. Ci sono alcuni nuclei problematici, di natura intellettuale e
culturale, in cui è possibile leggere ancora l’eco delle differenze religiose e
sociali operanti all’epoca di Simoni:
1. L’idea della vicenda della Passione di Cristo come evento antagonista
rispetto alle forme di potere consolidate (dimensione dei poveri cristi:
permane l’elemento di una distinzione locale che poggia su una diversa
interpretazione del simbolo Passione. La controversa personalità di Simoni

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viene evocata per sostenere un’idea di indipendenza dai poteri, un’idea di


libertà. Garante di questa dimensione umile, contestativa e testimoniale
sentita dal comitato è la figura stessa del Cristo.
2. Controllo della temporalità: la Passione nelle mani della Chiesa (parroco di
Cerveno e vescovo di Brescia) è vista come il prospetto di una temporalità
che non è conforme alla vita comunitaria (non deve andare in
corrispondenza alla Pasqua, deve ripetersi ogni 10 anni, insomma:
espressione di un tempo diverso, libero, originale). Questa durata così
lunga è stata voluta: si vuole che le cose siano cambiate tra i due
intervalli, si vuole che la manifestazione sia ordinatrice delle temporalità
locali, questo dà un’idea LOCALE del tempo. Prende luogo una costruzione
arbitraria delle periodizzazioni temporali della festa, ovvero una
costruzione essenzialmente intellettuale delle mappe della temporalità.
Bisogno di CULTURIZZARE il tempo, di sottrarlo alla sua datità, di inventare
una durata, di trasformare un’idea del passato in un’idea del prima. La
durata decennale ci obbliga a fare i conti con il mutamento: essa sancisce
e garantisce la logica della trasformazione e su tale logica poggia
l’autonomia della manifestazione.
3. Rapporto tra festa e costruzione politica della società. Il comitato viene
eletto dall’Associazione Santa Crus e i membri del direttivo non possono
essere né enti pubblici né rappresentanti ecclesiastici. Su base volontaria i
cittadini, dopo che circa un anno prima della manifestazione si elegge il
comitato, si propongono per i vari ruoli (soprattutto famiglie dedite alla
manifestazione). Se si sceglie di risostenere un ruolo sostenuto l’edizione
precedente questo indica una certa fedeltà della persona a quel ruolo,
fedeltà che diventa impegno e che si radica poi, di festa in festa, in modo
indelebile nel tessuto comunitario caratterizzando in modo netto la
persona (caso del Cristo, importanza particolare ovviamente).
Tema dell’identificazione persona personaggio (il Cristo = Guarinoni, si fa
crescere barba e capelli, osserva molte e molte volte il Cristo nella cappella,
studia, prova. È stato il Cristo per 5 edizioni di fila (1972 - 2012).
Identificazione ruolo - località: il Cristo non può che essere di Cerveno, così
come tutti i personaggi. Soltanto un Cervenese può fare la Santa Crus.
Circolarità di molti ruoli, circolarità redistributiva (chi fa Pietro oggi può fare un
vecchio del Sinedrio domani ecc.).

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