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L’incarico di scolpire le 14 stazioni viene affidato a Simoni (nel 1752). Già nel
1730 l’artista aveva scolpito figure lignee ispirate al motivo della Passione.
Realismo cinquecentesco-settecentesco lombardo e attitudine ad accostarsi
alla realtà degli umili. L’artista si trasferì a Cerveno con la famiglia e lavorò in
loco fino al 1764 (quasi portando a termine l’opera, che fu infine completata
dai due figli di Andrea Fantoni, esponenti di una delle botteghe più influenti
dell’area, nonostante è importante dire come lo stile dei due si differenzi da
quello di Simoni e perciò probabilmente la sostituzione ebbe un tratto polemico
e antagonistico). I libri mastri ci restituiscono un ambiente in cui la vita
familiare si intrecciava fortemente con la realizzazione dell’opera.
L’opera è composta di 198 statue policrome di legno e gesso, a grandezza
naturale, divise nelle 14 stazioni canoniche, disposte in cappelle affrescate
poste ai piedi di una ripida scalinata, tutte raccolte in una più grande cappella
che costituisce una sezione della chiesa. Si intreccia dunque scultura - affresco
- architettura: la scalinata sembra simboleggiare l’ascesa al Calvario e il
percorso che l’osservatore è obbligato a fare sembra procedere (da destra)
dapprima per una discesa nel mondo feroce e corrotto per poi giungere ad un
nobile riscatto esemplificato nel sacrificio del Cristo (sinistra). Tuttavia la
sequenza delle stazioni è assai serrata: l’osservatore spesso è rinviato dall’una
all’altra, così da restituire una storia d’insieme dell’evento, pur rappresentata
nei suoi tratti singolari. Sicuramente anche l’uso del colore assumeva un
aspetto fondamentale nella narrazione. Da un’osservazione attenta che
possiamo farne oggi, l’opera sembra restituire un registro freddo, una
predominanza di tinte della gamma del blu, azzurro e grigio, una presenza di
rossi smorti. Modelli viventi ispirarono l’artista (lo sappiamo da fonti), posando
anche, e ciò ci restituisce una preziosa possibile fisionomia dell’epoca e non
solo: Simoni esprimeva sia ciò che vedeva dei popolani ma anche la sua idea di
quelli che erano i popolani. Simoni descrive un mondo rozzo, per il quale non
sembra provare simpatia ma angustia. In quest’ottica peculiare andiamo a
vedere come Simoni racconta la Passione di cristo: innanzitutto i persecutori
sono esaltati nella loro cattiveria e crudeltà. Ad essi sono contrapposti un Cristo
e la sua cerchia (uomini pii e soprattutto donne) rappresentati nella loro
rassegnazione, dimessa e sfuocata. Nelle varie cappelle sembra quasi che
quell’aria cruda, dura, violenta si possa respirare: sembra di odorare latrina,
un’aria ristagnante (Testori). È una rappresentazione che ci mette davanti a
tutti i sentimenti negativi che l’esecuzione di un giusto scatena. È una
rappresentazione dove i colpevoli vincono, quasi fosse una provocazione
religiosa, una sorta di PASSIONE ALL’INVERSO, dove i cattivi assumono il ruolo
di protagonisti e i buoni sembrano quasi scomparire, sbiadirsi, sopraffatti
dall’indifferente malvagità dei persecutori. Questo tipo di rappresentazione
smuove l’osservatore, lo coinvolge sentimentalmente (coinvolgimento
emotivo). È Minervino, studiosa che opera una ricostruzione importante, che
rimette invece in discussione la descrizione di Testori e analizza le figure
positive del Cristo e delle donne che lo circondano, sottolineandone i tratti
nobili, la delicatezza, l’eleganza, l’ascetica pacatezza dei volti (matrice barocca
e di probabile ascendenza romana). La Passione all’inverso di Simoni poggia
sopra una contrapposizione voluta tra il basso e l’alto, il realismo naturalista
dei persecutori e l’idealismo dell’ambito del divino. Occorreva dimostrare che la
divinità non è nella storia, ma ne prescinde e insieme la fonda e che, allo
stesso tempo, il peccato è dentro ognuno di noi. Questa visione dualistica
doveva probabilmente lasciare perplesse le coorti composite delle personalità
ecclesiastiche.
Storia del bambino trovato morto vicino all’abitazione di ebrei (Trento, 1475) ->
Simonino viene beatificato e poi nasce anche il culto di Simonino (ufficializzato
nel 1588). Nacquero processioni in cui si mostrava la salma e i simboli
raffiguranti i presunti oggetti con cui il fanciullo era stato torturato (palese
tentativo di accostamento delle figure del bambino e di Cristo: comune destino
delle vittime della perfidia giudaica). Anche a Cerveno, nella chiesa
parrocchiale, vi sono affreschi consacrati al tema. In tutta l’area serpeggiava un
antisemitismo dovuto sia all’atteggiamento della Chiesa, che anche a questioni
economiche (legate alla lavorazione del ferro). Clima di grande rigidità e
incertezza. In questo clima di antisemitismo, dove la questione degli ebrei
anche nel XVIII secolo restava centrale, si colloca l’opera di Simoni. inoltre a
delineare il clima vi erano anche i processi per stregoneria in valle, processi che
coinvolsero spesso (come vittime) i preti di campagna e delle parrocchie
(spesso processati) e che assimilarono spesso le accuse di stregoneria con
quelle di eresia, con una sempre maggiore identità tra pensiero eterodosso e
ideologia/prassi demoniaca.
Questo clima di conflittualità religiosa inoltre si sedimentava su uno scenario di
fortissima crisi politica (della governance di antico regime, che suocera nei
nuovi assetti napoleonici). Incombente sentimento civile di insicurezza e
pericolo. È opinione corrente tra gli storici ma anche tra i valligiani di oggi che
Simoni non avesse potuto portare a termine la sua opera anche a causa delle
pressioni dovute a questo clima. Probabilmente il tema della Passione doveva
avere, anche prima della rappresentazione di Simoni, un’ampia diffusione di
forme concrete della rappresentazione vivente. Il tema della contrapposizione
alto-basso dovette possedere in Val Camonica, come altrove, salde radici
folkloriche. Paolo Toschi dedica grande attenzione alle origini del teatro
cristiano: capillare diffusione al nord come al centro come al sud, di
rappresentazioni popolari di argomento quaresimale (riferimento alla
celeberrima manifestazione di Cassino, in Terra di Lavoro: le forme cassinesi
dovevano essere ben note). La dimostrazione di Ala, in provincia di Trento
(1634 - 1786): misto tra processione e rappresentazione. Secondo la
testimonianza di Gregorio Brunelli di Valcamonica, padre appartenente
all’ordine dei minori riformati di San Francesco, ai tempi di Simoni la tradizione
di una processione la sera del Venerdì Santo era già realtà comune in tutta la
regione, accompagnata da rappresentazioni e canovacci teatrali molto simili a
quelli che lo scultore poi raffigurerà. È dunque lecito supporre che la
rappresentazione simoniana fosse a sua volta esito della Passione vivente (e
vissuta).inoltre nella rappresentazione di Simoni mancava una caricatura
stereotipata e insistita nella raffigurazione del Giudeo (non compariva neanche
la figura di Giuda).
Dobbiamo tenere a mente che ciò che l’artista andava a raffigurare era ben
noto già all’animo dei fedeli: conoscevano bene quelle scene e il suo compito,
dunque, era dare un volto, una presenza, a delle immagini note. Obiettivo della
chiesa: accorciare la distanza tra la realtà quotidiana dei fedeli e le storie del
vangelo. Secondo un manualetto di istruzioni religiose del 1454: “affinché il
devoto possa compiere un utile esercizio di immaginazione della Passione, si
suggerisce di rappresentarsi, innanzitutto, luoghi familiari […]. Analogamente si
chiede di fare per i personaggi del dramma”. Dunque probabile è che Simoni
fece uso di modelli per questo motivo: era una pratica, una regola, comune e in
uso, diffusa: legare, all’interno del teatro della Passione, l’umano e il
divino. La frammentazione territoriale dell’epoca (XVIII secolo) imponeva alle
varie fazioni e popolazioni locali di dotarsi del proprio strumento imperioso di
costruzione rituale del territorio (era una pratica comune quella che associava
l’oggetto d’arte, soprattutto quando si aveva a che fare con rappresentazioni
del divino e potere in Italia, sin dal Rinascimento).