MIDI
Analizziamo la terminologia della sigla MIDI, vista più volte
precedentemente. Il MIDI è un acronimo di Musical Instrument
Digital Interface (interfaccia digitale per strumenti musicali). Questo
è un sistema di comunicazione creato con lo scopo di permettere lo
scambio di dati e comandi tra i vari sintetizzatori, ed è
standardizzato a quasi tutte le case costruttrici di strumenti
musicali, in quanto dà la possibilità ad una apparecchiatura di tale
marca di scambiare informazioni con un altra apparecchiatura
diversa (non solo in marca ma magari anche come caratteristiche di
lavoro). Anche per le unità multieffetti tipiche del chitarrista il MIDI
permette quindi la possibilità di crearsi un setup con
apparecchiature diverse fra loro, e questo è fondamentale per la
costruzione di un proprio suono personale. Lo scambio di
informazioni avviene tramite apposite uscite ed entrate (Midi in -
Midi out -Midi thru) presenti su tutte le apparecchiature che
permettono lo scambio dei dati, e vengono collegate tra loro da
appositi cavi (cavo Midi). Una buona precauzione è quella di non
collegare più di quattro o cinque unità, pena la possibile perdita di
sicurezza nello scambio dei dati, anche se è possibile aumentare il
numero dei collegamenti se in questi passano solo informazioni di
program change (cambio di programma) come vedremo dopo.
Analizziamo i connettori (chiamati anche prese o porte) Midi.
Setup Base
Si può identificare come setup base l'accoppiata chitarra -
amplificatore. E bisogna dire che in molti casi questa è sufficiente
a creare un buon suono, sicuramente non versatile, ma
semplicemente adatto a questo o a quel genere musicale, a
seconda del tipo di filosifia costruttiva della chitarra e dell'ampli
stesso. Un sistema comune negli anni 50'-60', anche perchè in quei
tempi l'elettronica non era sviluppata a tal punto da permettere lìuso
dei comuni effetti che oggi conosciamo. Un sistema in alcuni casi
utilizzato anche oggi che siamo nel duemila, grazie ad un ritorno di
moda di sonorità tipiche degli anni passati, sonorità non facilmente
ottenibili anche con i moderni (e complessi) sistemi a rack, basati,
questi ultimi, su di una tecnologia moderna.
Se vogliamo quindi ottenere un suono classico (ad esempio un
suono tipico Rock&Roll), basta accoppiare una buona
semiacustica, possibilmente a cassa bassa (tipo Gibson 335, per
interderci) e un qualunque amplificatore a valvole, possibilmente
riedizione vintage anni 50'-60'. Tra l'altro, oggi molte case
preoduttrici hanno in catalogo modelli vintage. Se questi
possiedono poi anche un buon riverbero a molla ed un buon
viibrato, il gioco è fatto.
Tornando agli anni 50', i chitarristi cercarono ben presto nuove
soluzioni timbriche, e questo avvenne grazie all'uso dei cosiddeti
pedalini. Nella pagina successiva vedremo di analizzare i setup
proprio in base a questo tipo di effettistica.
Setup a pedali
Un po' di storia...
A partire dagli anni '60 i chitarristi icominciarono ad usare delle
scatolette da pavimento, più comunemente denominate pedalini,
con le quali si poteva manipolare il segnale prima che questo
giungesse all'amplificatore. I primi effetti di questo tipo sono stati il
distorsore (più precisamente il fuzztone), utilizzato in massa dai
chitarristi inglesi. Quel tipo di suono si può sentire nelle incisioni dei
Rolling Stones, di Jimmy Page, di Jeff Beck e altri chitarristi che già
lavoravano attorno alla metà degli anni '60. A Jimi Hendrix viene
associato il Fuzz Face, tale da divenire il modello più famoso
dell'epoca, anche se l'effetto che maggiormente ha influenzato il
chitarrista è stato sicuramente il Wah Wah. Si dice che Jimi restò
praticamente folgorato dal suono della chitarra con Wah Wah di
Eric Clapton (probabilmente nel brano Tales of brave Ulysses)...
Questo effetto ha avuto alti e bassi di popolarità negli anni a venire,
ma è comunque un pedale quasi sempre presente tra i chitarristi.
Il flanger appare negli anni '70. Nel '76 viene introdotto sul mercato
l'ADA Flanger, diventato in poco tempo un meodello di riferimento),
di pari passo al cugino Phaser. Quest'ultimo era nato nel '69, (l?
univibe adottato da Hendrix), seguito dal Maestro Phase shifter,
progettato da Tom Oberheimer nel '71. Nel '72 uscì il Phase90 della
MXR, probabilmente il favorito dai chitarristi dell'epoca, che
comunque subiva una forte concorrenza da parte dell'Electro-
Harmonix Small Tone. Questi effetti li possiamo sentire spesso nei
suoni di gran parte dei musicisti anni '70, da Keit Richards (Rolling
Stones) a Jonny Winter, Joe Walsh (Eagles), Steve Howe (yes) e
molti altri ancora.
Gli anni '70 hanno visto comunque la rapida espanmsione di effetti
di ogni genere, dai nomi a volte strani, parallelamente all'evoluzione
tecnologica in questo e altri campi. La Helectro-Harmonix presenta
ad esempio un delay digitale (il Memory Man) e il Flanger Electric
Mistress, la Musitronics l'Auto Wah Mutron III, il Bi-Phase e
l'Octave Divider. La MXR offre un vasto catalogo di prodotti, dai
ditorsori, ai compressori, fuzz, delay, chorus eccetera. Alcuni nomi
anche originali? Ad esempio i pedali disegnati da Dan Armstrong,
come l'Orange Squezer, il Red Ranger, il Green Ringer, il Purple
Peaker, il Blue Chipper e altri.
La Roland presenta la sua linea di pedali sotto il nome BOSS, che
diventerà ben presto uno dei nomi più comuni tra i pedali per
chitarra. Nel '75 nasce il Chorus Ensemble (potrei sbagliarmi , ma
forse è il primo chorus a pedale, in quanto non ho trovato notizie di
modelli precedenti), che entra a far parte del sound di molti
chitarristi, quali Ry Cooder, David Lindley, Eric Clapton, Andy
Summers e tantissimi altri (e chi è che non ha mai avuto un
chorus?...). Come qualsiasi effetto di grande poplarità, molte ditte
affriranno un loro modello di chorus.
Ngli anni '80 compaiono i multieffetto formato rack, portando
inizialmente un po' di crisi nel settore dei pedali, anche se ditte ben
salde, come l'Ibanez, la Roland (BOSS) e molte altre continueranno
a sfornare modelli nuovi e sempre più tecnologici. E' proprio l?
Ibanez che mette sul mercato il TS09 Tube Screamer, un overdrive
divenuto poi un classico seguito dal più recente TS10. Nasce poi il
primo overdrive a valvole, presentato da Brent Butler della Tube
Works, con il nome di Tube Driver, utilizzato, ad esempio, da Eric
Johnson.
Intorno alla metà degli anni '80 erano ormai di moda i sistemi
composti da effetti a rack e amplificazione potente, con
preamplificatori che offrivano guadagni talmente alti da rendere
superflui i comuni distorsori a pedale, anche se era possibile
trovare qualche pedale overdrive davanti al pre. Alla fine del
decennio, la disponibilità di effetti a rack e amplificatori sofisticati
con un buon rapporto qualità/prezzo andava sempre aumentando,
creando chiaramente più difficoltà alla vendita degli effetti a pedale,
e questo sembrava presupporre anche la scomparsa definitiva dei
pedali, ma poi qualcosa è cambiato. Il grande ritorno del Blues,
anche a livello commerciale, ha portato alla riscoperta di ''antiche''
sonorità, grazie anche ad artisti del calibro di John Lee Hooker,
Gary Moore, Robert Cray, Eric Clapton (dopo anni di
''commercializzazione''), Stevie Ray Vaughan ed altri. Molti
chitarristi provenienti da un area rock o fusion si sono rivolti a quello
che a molti di loro era anche stato un ''primo amore'', come Scott
Henderson, Larry Carlton, Joe Satriani. In Italia si può dire che a
livello commerciale Zucchero ha dato tanto al Blues e, perché no,
anche Ligabue (le sonorità degli ultimi album lo dimostrano), senza
contare tutti quei chitarristi forse meno famosi ma sicuramente con
un alto livello musicale. Tutto questo ha quindi fatto in modo che
accanto a novità, come può essere il Whammy Pedal della
Digitech, che fa parte dell'equipaggiamento ad esempio di Steve
Vai e di Jennifer Batten (M. Jackson), ma usato anche (udite) da un
chitarrista tipicamente Jazz come Jim Hall, si possono trovare delle
riedizioni di pedali, quali l'Ibanez TS9, il Wah Wah Vox, il mitico
Fuzz Face, i vari modelli MXR ecc. Ora il mercato musicale si è
quindi rigonfiato di pedali, pedalini e amplificatori sia in riedizione
vintage, sia di nuova concezione. Bisogna dire che molti musicisti
non hanno mai abbandonato i pedali, pur amalgamandoli con i loro
sistemi a rack. Tanto per citare nomi famosi, possiamo dire che tra i
piedi di Robben Ford troviamo un pedale volume Ernie Ball ed un
Wah Wah Dunlop Cry Baby, tra quelli di Vai e Satriani i distorsori
Boss, in quelli di Eric Johnson i nuovi pedali Prescription
Electronics. Voglio precisare che se voi andate a vedere suonare
dal vivo questo artisti, non è detto che abbiano sempre questi
effetti, in quanto un musicista può anche modificare il proprio setup,
e quindi tutto quello detto sopra è da ritenersi puramente
informativo. Chiudiamo questo viaggio nella storia dei pedali
ricordando che l'acquisto di un pedale piuttosto che un 'unità effetto,
o viceversa o entrambi, deve anche in questo caso rimanere legata
al proprio gusto e alle proprie tasche. Nella pagina successiva
potremo vedere come utilizzare al meglio la co,binazione di più
effetti.
Conclusioni
In molti casi le richieste dei musicisti possono però essere
condizionate da vari fattori, quali possono essere i costi della
strumentazione, il genere musicale suonato, la comodità di
trasporto eccetera...
Ovviamente, la comodità di trasporto può essere rilevante, in
quanto il musicista deve caricarsi la propria strumentazione in
auto, e non tutti potrebbero avere la station-wagon. In questi
casi può essere utile affidarsi all'amplificatore combo, oppure
un setup composto da un piccolo case contenente poche unità
rack, e una cassa piccola.
Qualcuno invece potrebbe (o vorrebbe) affidarsi a dei sistemi
più complessi (ma anche più costosi e ingombranti):
obbligatorio l'uso di una station-wagon a meno che non si
voglia caricare la strumentazione sul portapacchi...
Infine il genere musicale. Per fare del buon Jazz o Blues basta
una ampli e una chitarra; per suonare pop, fusion, rock
progressive magari occorre un sistema più complesso...
Queste semplici riflessioni sono puramente esaustive
all'argomento trattato. E' chiaro che un setup costoso, sia in
termini economici che di tempo di programmazione, non è alla
portata di tutti. E' anche chiaro che in molti casi basta poco per
ottenere un suono perfetto alla situazione musicale in cui ci si
trova a dover suonare. A voi le dovute conclusioni...
Il multieffetto
Veniamo quindi ad analizzare un multieffetto, facendone un analisi
standardizzata. Questo può essere diviso in tre tipi:
- Preamplificatore multieffetto
- Multieffetto
- Pedaliera multieffetto.
Nel primo caso, cioè il Preamplificatore multieffetto, abbiamo la
possibilità di avere due sezioni importanti nel circuito, e cioè il
preamplificatore e l'effettistica. Per quanto riguarda il pre, possiamo
dire che questo di solito è dotato di controlli simili ad un normale
pre. Bisogna accertarsi, più che altro, se offre una circuitazione
valvolare o a transistor e, nel secondo caso, se offre una
simulazione valvolare. L'effettistica lavora ovviamente sugli effetti,
da quelli che agiscono sulla pasta del suono (compressori,
equalizzatori ecc.), a quelli che ne lavorano l'ambiente (chorus,
delay, riverbero ecc.). Da qualche anno, inoltre, quasi tutti i modelli
offrono la funzione di Speaker Emulator. Nel caso vogliate
indirizzarvi verso una di queste apparecchiature, date un occhio
anche alla possibilità di creare la vostra sequenza di effetti
internamente al processore: questo sistema è molto utile nella
ricerca del suono, in quanto permette di variare la configurazione
degli effetti sulla linea di percorso del segnale. In pratica, è come
autocostruire un sistema rack in una o due unità, dove decidete voi
stessi la collocazione dei vari effetti.
Togliamo il preamplificatore e otteniamo il multieffetto: in pratica la
differenza tra i primi due tipi di multieffetto può essere il fatto che il
primo contiene un pre, il secondo no. Chiaramente un unità
multieffetti deve essere affiancata da un preampli.
La pedaliera multieffetto contiene , come dice il nome, un
multieffetto e, in molti casi, un preampli. La comodità è nel fatto che
i controlli in tempo reale sono inseriti già nell'unità che quindi è già
pronta all'uso senza bisogno di particolari collegamenti, tranne,
ovviamente, per l'alimentazione elettrica.
Tornando ai multieffetto, si può dire che in linea di massima offrono
un rapporto qualità-prezzo interessante, anche se chiaramente
possiamo avere le eccezioni. Alcuni modelli, come l' Eventide,
hanno prezzi per alcuni proibitivi, ma si tratta in questi casi di
apparecchiature veramente eccezionali.
Simulazione valvolare
La continua ricerca nel campo musicale di nuove e più perfette
apparecchiature ha portato, tra le altre, alla creazione della
simulazione. Nel campo musicale, la simulazione può essere ad
esempio il suono di un sax ottenuto da una tastiera. In campo
chitarristico ha segnato un passo fondamentale la simulazione di
una valvola all'interno di un circuito a transistor, usata da case
come la Fender e la Peavey già da alcuni anni, ma resa poi famosa
dalla serie Valvestate della Marshall ed ora ampliata dalle serie
Yamaha Tube e Peawey Trans Tube, tanto per fare degli esempi.
Nei preamplificatori analogici, la distorsione può sembrare una
simulazione, ma non sempre è definibile il confine tra la ricerca di
un buon suono e la simulazione vera e propria, nel senso che
alcune ditte offrono apparecchi con un suono molto caldo e ricco di
armoniche (come può essere un circuito valvolare) grazie ad una
elevata qualità del proprio prodotto, anche se di base non è una
simulazione. Questa si può definire tale parlando dei preampli
digitali: in questo caso il segnale in entrata viene convertito in
digitale ed elaborato da un processore DSP (Digital Signal
Processor) per poi essere riconvertito in segnale analogico (vedi
cap. 2). Multieffetti come il Chameleon della Rocktron, l'Ibanez VA3
o il Viscount EFX-10 utilizzano questo tipo di processore, come del
resto apparecchiature più costose,tipo l'Eventide DSP 4000.
Perché occorre simulare un suono? Si è già accennato che in
alcuni casi la scelta della strumentazione dipende soprattutto dalla
propria disponibilità economica. Ben vengano quindi le
apparecchiature che raccolgono al loro interno svariati effetti e
anche una buona simulazione valvolare, che in alcuni modelli risulta
veramente eccezionale. In questo modo chiunque, se vuole, può
''simulare'' il suono del proprio chitarrista preferito e, perché no,
crearsene uno personale.
Resta comunque il fatto che se ti piace il sound caratteristico di un
certo amplificatore sotto le dita, oltre che nelle orecchie, è sempre
meglio avere l'originale. Ma un ampli come il Marshall ha un suono
diverso da un Mesa Boogie, o da un Rivera o da un Fender o da un
Soldano o da un... E se ti piacciono più suoni? Se si vuole
dilapidare il conto in banca li si può acquistare tutti, altrimenti esiste
la simulazione, che negli ultimi anni ha trovato sbocco in nuove
apparecchiature appositamente dedicate, come vedremo nella
pagina seguente. A voi la triste scelta.
Guitar Synth
Il termine chitarra midi, la protagonista di questo capitolo, anche
se forse è il più usato non è giusto. E' invece esatto definire questo
tipo di strumento chitarra sintetizzatore, appunto guitar synth. In
pratica, il sintetizzatore è uno strumento elettronico che, dopo avere
creato un suono di timbriche, lo trasforma nei modi più svariati fino
a riprodurre una vasta gamma di varietà timbriche. I primi
eseperimenti di sintetizzatore risalgono agli anni '60. Un capostipite
di questo strumento è stato il synth progettato nel '64 dal Dr. Robert
A. Moog, che veniva pilotato da una tastiera analoga a quella di un
organo. Successivamente, nel corso degli anni, il synth ha subito
una serie di variazioni, soprattutto dedicate ai tastieristi. Il guitar
synth si distingue nel fatto che il sintetizzatore è pilotato da una
chitarra tramite un apposito pick-up esafonico.
Il synth può essere usato per simulare il suono di qualsiasi
strumento, per crearne uno nuovo o per amalgamare entrambi i due
casi. Un sintetizzatore viene controllato variando i livelli della
tensione e perciò, se viene controllato da una chitarra, occorre
innanzitutto un convertitore tono-tensione, che in termini di tensione
indica al synth quale nota si sta suonando sulla chitarra. Il synth
utilizza questa tensione per pilotare il suono base tramite un
dispositivo chiamato oscillatore controllato in tensione (VCO:
voltage controlled oscillator). Questi sono dei componenti complessi
che producono forme d'onda a dente di sega, quadra, sinusoidale e
triangolare. A queste onde può essere modificata ulteriormente la
forma dell'onda allo scopo di produrre una maggiore varietà di
suoni.
Il sintetizzatore incorpora inoltre un altro dispositivo,, detto
generatore di rumori: questi creano un rumore bianco, che è una
miscela di forme s'onda prese a caso nello spettro delle frequenze,
e il rumore rosa,, analogo ma con più bassi. Dopo che il VCO ha
creato il suono, interviene il VCF (voltage controlled filter) cioè il
filtro di controllo della tensione, che taglia le frequenze. Questo può
essere paragonato ad un controllo di tono o ad un equalizzatore
grafico: elimina, in pratica, alcuna frequenze per enfatizzarne altre,
secondo un processo definito sintesi sottrattivi. In modo analogo,
l'intensità del suono è regolata da un amplificatore controllato in
tensione, detto VCA (voltage controlled amplifier).
I sintetizzatori sono inoltre dotati di comandi che attivano il
generatore di inviluppo, che possono essere usati, collegati con il
VCA, per presentare l'inviluppo del suono. Praticamente controllano
l'attacco (attack), il decadimento (decay), la tenuta (sustain) e il
rilascio (release), sistema definito ADSR. Il suono che esce dal
guitar synth non è una versione modificata del suono delle corde
della chitarra, ma un proprio suono che è stimolato, chiaramente,
dalla chitarra.
I primi modelli di sintetizzatore erano monofonici : in pratica non si
poteva suonare più di una nota per volta e quindi non potevano
dare grande prestazioni. I synth pseudo-polifonici permettono di
suonare un numero determinato di note contemporaneamente. I
moderni synth polifonici hanno un circuito generatore indipendente
per ogni nota e quindi tutta la libertà possibile di sovrapposizione
delle note.
All'inizio degli anni '80 vediamo comparire sul mercato i primi guitar
synth grazie a ditte come la Roland, da sempre precursore in
questo genere di apparecchiature. Tra i primi modelli troviamo il
Roland GR 100 e il GR 500, seguiti poi negli anni a venire da
modelli sempre più sofisticati, come il GR 300, il GR 50 e gli ultimi
GR 30. Altre ditte che producono queste apparecchiature sono la
Axon (Neural Guitar Midi Controller NNGC 77) e la Yamaha (Guitar
Midi Converter G50). Si possono tra l'altro espandere con moduli di
generazione sonora, anche se il migliore utilizzo è sicuramente
quello interno. Un problema che può nascere con queste
apparecchiature è il ritardo tra la nota effettivamente suonata e
l'elaborazione della stessa: nei primissimi modelli questo ritardo era
notevole (nell'ordine dei millisecondi). Oggi, comunque, il livello
tecnologico ha portato quasi allo zero assoluto questo tempo di
ritardo.
Per quanto riguarda il pick-up esafonico uno standard è il GK-2
della Roland, che si interfaccia con quasi tutte le unità sintetizzatore
(non la Yamaha G50, che lavora solo con un proprio pick up). Il pick
up esafonico ha sei poli che sono posti in corrispondenza alle corde
della chitarra su cui è istallato, e ognuno di essi legge la frequenza
relativa alla corda abbinata, traducendola in un formato diverso che
viene inviato al convertitore (o controller) allegato al pick up stesso.
E' questo il cervello di tutto il sistema, in quanto traduce i dati che
gli arrivano in formato Midi e li dirige al modulo sonoro. Questo
emetterà il suono impostato nella programmazione ed è qua che
potrebbe nascere il ritardo di cui si parlava prima, che avviene a
causa del modo in cui il riconoscimento e la conversione sono
effettuati.
. Il processo è abbastanza complicato: le note suonate, analisi di
ogni singola corda e della propria frequenza (numero di vibrazioni
della corda) che crea l'altezza del suono e quindi la nota, possibili
note estranee (non volute) determinate dalla poca pulizia di
esecuzione o da tecniche particolari (slide, bending, tapping,
hammer-on e pull-off) che mangiano tempo alla conversione, la
conversione stessa e l'invio al modulo di generazione sonora.
Come si può vedere, il percorso e lungo. Negli scorsi anni, per
ovviare a questo problema, si sono progettate apparecchiature di
forma non proprio simile alla chitarra, come il SynthAxe (della ditta
californiana Zeta) o le prime Casio. Progetti più o meno riusciti, che
però presentavano un nuovo problema: il fatto che i chitarristi
volevano (e vogliono tuttora) imbracciare una chitarra vera e
propria. Da qui il successo dei pick ups esafonici, che possono
venire installati su qualsiasi tipo di chitarra. Esistono tra l'altro
chitarre che montano di serie, oltre ai normali pick ups, anche un
esafonico. Voglio ricordare a proposito la Fender Stratocaster
Roland Ready e alcuni modelli della Godin o della Aria, me anche
le Ovation e le Godin elettroacustiche. A questo punto possiamo
quindi far suonare la nostra chitarra con i suoni che vogliamo.
Trasduttori piezoelettrici
Attualmente, il sistema migliore per amplificare una chitarra
acustica senza l'ausilio del microfono è il trasduttore
piezoelettrico. Esistono vari modelli e varie possibilità di
applicazione per questo tipo di pick-up. Il più classico consiste in un
piccolo blocco di materiale cristallino o ceramico incapsulato in un
involucro di metallo o di plastica, sulla cui superficie sono saldati
due fili di uscita. Questo dispositivo viene attaccato alla tavola dello
strumento e funziona sul principio dell'effetto piezoelettrico. Viene
eccitato dalle vibrazioni che si propagano attraverso il legno della
tavola della chitarra quando le corde sono in vibrazione, in pratica
quando si suona. Queste eccitazioni permettono una fuga di
elettroni al lato del trasduttore adiacente alla tavola, rendendo
negative tutte le cariche di tale lato, quando la tavola vibrante si
muove verso l'esterno. Quando quest'ultima si muove verso
l'interno, gli elettroni migrano verso la superficie opposta,
invertendo la polarità. Queste variazioni verranno trasmesse sotto
forma di corrente alternata attraverso i due cavi d'uscita. In alcuni
casi il segnale potrà essere così debole da rendere obbligatorio
l'uso di un preamplificatore per potenziare il segnale stesso.
Un pre per piezolettrico è ben diverso da un normale preampli per
elettrica, in quanto è un piccolo circuito, che a volte adotta un
equalizzatore, e può essere anche inserito all'interno dello
strumento. Questo sistema riproduce il timbro acustico dello
strumento con grande fedeltà. Il trasduttore può essere fissato alla
superficie dello strumento con materiale adesivo o con delle viti,
incorporato sotto il ponte (punto di massima vibrazione della
tavola), come il sistema "hot dot" della Barcus Berry, oppure nel
modo attualmente più in voga, cioè direttamente sotto l'osso del
ponte, caratteristico delle Ovation, delle Takamine, delle Yamaha,
delle Godin e di molte altre marche.
L'amplificazione.
Sul mercato abbiamo oggi dei modelli di amplificatori costruiti per
l'impiego con chitarre acustiche. La loro circuitazione è adattata alle
specifiche frequenze dei pick up piezoelettrici, siano questi
preamplificati o no e in molti casi sono anche dotati di effetti interni,
quali chorus e riverbero, e di mandate effetti, per collegare unità
esterne di modulazione, delay e riverbero. La qualità del suono
varia da un amplificatore all'altro, ma i più pignoli preferiscono
senza ombra di dubbio la microfonatura o il collegamento in diretta
al banco di mixaggio, sentendo quindi il proprio suono nelle spie.
Per chi volesse comunque indirizzarsi sugli amplificatori ricordo i
vari modelli per acustica della Trace Elliot, anche nei modelli di solo
pre (sicuramente tra i migliori), la serie Acoustic della Marshall e i
più recenti Compact della Audio Electric Research. Un altro
modello di preampli per acustica è L'AD-5 della BOSS, con un
ottimo rapporto di qualità-prezzo.