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SETUP

MIDI
Analizziamo la terminologia della sigla MIDI, vista più volte
precedentemente. Il MIDI è un acronimo di Musical Instrument
Digital Interface (interfaccia digitale per strumenti musicali). Questo
è un sistema di comunicazione creato con lo scopo di permettere lo
scambio di dati e comandi tra i vari sintetizzatori, ed è
standardizzato a quasi tutte le case costruttrici di strumenti
musicali, in quanto dà la possibilità ad una apparecchiatura di tale
marca di scambiare informazioni con un altra apparecchiatura
diversa (non solo in marca ma magari anche come caratteristiche di
lavoro). Anche per le unità multieffetti tipiche del chitarrista il MIDI
permette quindi la possibilità di crearsi un setup con
apparecchiature diverse fra loro, e questo è fondamentale per la
costruzione di un proprio suono personale. Lo scambio di
informazioni avviene tramite apposite uscite ed entrate (Midi in -
Midi out -Midi thru) presenti su tutte le apparecchiature che
permettono lo scambio dei dati, e vengono collegate tra loro da
appositi cavi (cavo Midi). Una buona precauzione è quella di non
collegare più di quattro o cinque unità, pena la possibile perdita di
sicurezza nello scambio dei dati, anche se è possibile aumentare il
numero dei collegamenti se in questi passano solo informazioni di
program change (cambio di programma) come vedremo dopo.
Analizziamo i connettori (chiamati anche prese o porte) Midi.

 Midi in. In questo connettore devono essere inviati i dati che


interessano all'apparecchiatura, come possono essere i
program change o specifici controlli per dei programmi interni,
provenienti da altre apparecchiature e/o anche da una
pedaliera di controllo Midi.
 Midi out. Escono da questa porta i messaggi
dell'apparecchiatura da inviare ad altre unità Midi.
 Midi thru. Tramite questo connettore viene inviata all'esterno
una copia esatta del segnale Midi immesso
nell'apparecchiatura attraverso il Midi in. I collegamenti di
solito sono questi: alla porta Midi in viene inviato il segnale
Midi, mentre all'uscita Midi thru si collegano le altre
apparecchiature. In molti casi le porte Midi out e Midi thru sono
complementari, fanno cioè parte di una singola presa (Midi
out-thru).

Ad ogni apparecchiatura può essere impostato un canale di


ricezione Midi, definito come Midi channel. Nel caso si usino più
apparecchiature collegate alla stessa linea Midi e si vuole
comunicare ad ogni unità una serie propria di messaggi, questo si
ottiene impostando appunto un Midi channel ognuna. Vediamo il
grafico sottostante.
Unità A B C D E F
Midi Channel 1 2 3 4 5 6

Come si può vedere nello schema sopra, ad ogni unità ho


assegnato un canale Midi. Facciamo un esempio: l'unità A
comunica un dato specifico per C sul canale 3 mentre ne comunica
un altro per B sul canale 2. Così facendo non rischiamo di mandare
informazioni sbagliate (o inutili) alle varie apparecchiature che sono
collegate. L'utilità di questo sistema è enorme in quanto permette
chiaramente una comoda gestione di un complesso sistema a rack.

Setup Base
Si può identificare come setup base l'accoppiata chitarra -
amplificatore. E bisogna dire che in molti casi questa è sufficiente
a creare un buon suono, sicuramente non versatile, ma
semplicemente adatto a questo o a quel genere musicale, a
seconda del tipo di filosifia costruttiva della chitarra e dell'ampli
stesso. Un sistema comune negli anni 50'-60', anche perchè in quei
tempi l'elettronica non era sviluppata a tal punto da permettere lìuso
dei comuni effetti che oggi conosciamo. Un sistema in alcuni casi
utilizzato anche oggi che siamo nel duemila, grazie ad un ritorno di
moda di sonorità tipiche degli anni passati, sonorità non facilmente
ottenibili anche con i moderni (e complessi) sistemi a rack, basati,
questi ultimi, su di una tecnologia moderna.
Se vogliamo quindi ottenere un suono classico (ad esempio un
suono tipico Rock&Roll), basta accoppiare una buona
semiacustica, possibilmente a cassa bassa (tipo Gibson 335, per
interderci) e un qualunque amplificatore a valvole, possibilmente
riedizione vintage anni 50'-60'. Tra l'altro, oggi molte case
preoduttrici hanno in catalogo modelli vintage. Se questi
possiedono poi anche un buon riverbero a molla ed un buon
viibrato, il gioco è fatto.
Tornando agli anni 50', i chitarristi cercarono ben presto nuove
soluzioni timbriche, e questo avvenne grazie all'uso dei cosiddeti
pedalini. Nella pagina successiva vedremo di analizzare i setup
proprio in base a questo tipo di effettistica.

Setup a pedali
Un po' di storia...
A partire dagli anni '60 i chitarristi icominciarono ad usare delle
scatolette da pavimento, più comunemente denominate pedalini,
con le quali si poteva manipolare il segnale prima che questo
giungesse all'amplificatore. I primi effetti di questo tipo sono stati il
distorsore (più precisamente il fuzztone), utilizzato in massa dai
chitarristi inglesi. Quel tipo di suono si può sentire nelle incisioni dei
Rolling Stones, di Jimmy Page, di Jeff Beck e altri chitarristi che già
lavoravano attorno alla metà degli anni '60. A Jimi Hendrix viene
associato il Fuzz Face, tale da divenire il modello più famoso
dell'epoca, anche se l'effetto che maggiormente ha influenzato il
chitarrista è stato sicuramente il Wah Wah. Si dice che Jimi restò
praticamente folgorato dal suono della chitarra con Wah Wah di
Eric Clapton (probabilmente nel brano Tales of brave Ulysses)...
Questo effetto ha avuto alti e bassi di popolarità negli anni a venire,
ma è comunque un pedale quasi sempre presente tra i chitarristi.
Il flanger appare negli anni '70. Nel '76 viene introdotto sul mercato
l'ADA Flanger, diventato in poco tempo un meodello di riferimento),
di pari passo al cugino Phaser. Quest'ultimo era nato nel '69, (l?
univibe adottato da Hendrix), seguito dal Maestro Phase shifter,
progettato da Tom Oberheimer nel '71. Nel '72 uscì il Phase90 della
MXR, probabilmente il favorito dai chitarristi dell'epoca, che
comunque subiva una forte concorrenza da parte dell'Electro-
Harmonix Small Tone. Questi effetti li possiamo sentire spesso nei
suoni di gran parte dei musicisti anni '70, da Keit Richards (Rolling
Stones) a Jonny Winter, Joe Walsh (Eagles), Steve Howe (yes) e
molti altri ancora.
Gli anni '70 hanno visto comunque la rapida espanmsione di effetti
di ogni genere, dai nomi a volte strani, parallelamente all'evoluzione
tecnologica in questo e altri campi. La Helectro-Harmonix presenta
ad esempio un delay digitale (il Memory Man) e il Flanger Electric
Mistress, la Musitronics l'Auto Wah Mutron III, il Bi-Phase e
l'Octave Divider. La MXR offre un vasto catalogo di prodotti, dai
ditorsori, ai compressori, fuzz, delay, chorus eccetera. Alcuni nomi
anche originali? Ad esempio i pedali disegnati da Dan Armstrong,
come l'Orange Squezer, il Red Ranger, il Green Ringer, il Purple
Peaker, il Blue Chipper e altri.
La Roland presenta la sua linea di pedali sotto il nome BOSS, che
diventerà ben presto uno dei nomi più comuni tra i pedali per
chitarra. Nel '75 nasce il Chorus Ensemble (potrei sbagliarmi , ma
forse è il primo chorus a pedale, in quanto non ho trovato notizie di
modelli precedenti), che entra a far parte del sound di molti
chitarristi, quali Ry Cooder, David Lindley, Eric Clapton, Andy
Summers e tantissimi altri (e chi è che non ha mai avuto un
chorus?...). Come qualsiasi effetto di grande poplarità, molte ditte
affriranno un loro modello di chorus.
Ngli anni '80 compaiono i multieffetto formato rack, portando
inizialmente un po' di crisi nel settore dei pedali, anche se ditte ben
salde, come l'Ibanez, la Roland (BOSS) e molte altre continueranno
a sfornare modelli nuovi e sempre più tecnologici. E' proprio l?
Ibanez che mette sul mercato il TS09 Tube Screamer, un overdrive
divenuto poi un classico seguito dal più recente TS10. Nasce poi il
primo overdrive a valvole, presentato da Brent Butler della Tube
Works, con il nome di Tube Driver, utilizzato, ad esempio, da Eric
Johnson.
Intorno alla metà degli anni '80 erano ormai di moda i sistemi
composti da effetti a rack e amplificazione potente, con
preamplificatori che offrivano guadagni talmente alti da rendere
superflui i comuni distorsori a pedale, anche se era possibile
trovare qualche pedale overdrive davanti al pre. Alla fine del
decennio, la disponibilità di effetti a rack e amplificatori sofisticati
con un buon rapporto qualità/prezzo andava sempre aumentando,
creando chiaramente più difficoltà alla vendita degli effetti a pedale,
e questo sembrava presupporre anche la scomparsa definitiva dei
pedali, ma poi qualcosa è cambiato. Il grande ritorno del Blues,
anche a livello commerciale, ha portato alla riscoperta di ''antiche''
sonorità, grazie anche ad artisti del calibro di John Lee Hooker,
Gary Moore, Robert Cray, Eric Clapton (dopo anni di
''commercializzazione''), Stevie Ray Vaughan ed altri. Molti
chitarristi provenienti da un area rock o fusion si sono rivolti a quello
che a molti di loro era anche stato un ''primo amore'', come Scott
Henderson, Larry Carlton, Joe Satriani. In Italia si può dire che a
livello commerciale Zucchero ha dato tanto al Blues e, perché no,
anche Ligabue (le sonorità degli ultimi album lo dimostrano), senza
contare tutti quei chitarristi forse meno famosi ma sicuramente con
un alto livello musicale. Tutto questo ha quindi fatto in modo che
accanto a novità, come può essere il Whammy Pedal della
Digitech, che fa parte dell'equipaggiamento ad esempio di Steve
Vai e di Jennifer Batten (M. Jackson), ma usato anche (udite) da un
chitarrista tipicamente Jazz come Jim Hall, si possono trovare delle
riedizioni di pedali, quali l'Ibanez TS9, il Wah Wah Vox, il mitico
Fuzz Face, i vari modelli MXR ecc. Ora il mercato musicale si è
quindi rigonfiato di pedali, pedalini e amplificatori sia in riedizione
vintage, sia di nuova concezione. Bisogna dire che molti musicisti
non hanno mai abbandonato i pedali, pur amalgamandoli con i loro
sistemi a rack. Tanto per citare nomi famosi, possiamo dire che tra i
piedi di Robben Ford troviamo un pedale volume Ernie Ball ed un
Wah Wah Dunlop Cry Baby, tra quelli di Vai e Satriani i distorsori
Boss, in quelli di Eric Johnson i nuovi pedali Prescription
Electronics. Voglio precisare che se voi andate a vedere suonare
dal vivo questo artisti, non è detto che abbiano sempre questi
effetti, in quanto un musicista può anche modificare il proprio setup,
e quindi tutto quello detto sopra è da ritenersi puramente
informativo. Chiudiamo questo viaggio nella storia dei pedali
ricordando che l'acquisto di un pedale piuttosto che un 'unità effetto,
o viceversa o entrambi, deve anche in questo caso rimanere legata
al proprio gusto e alle proprie tasche. Nella pagina successiva
potremo vedere come utilizzare al meglio la co,binazione di più
effetti.

Esempi di setup a pedali.


Passiamo ora a verificare qualche combinazione possibile con
il solo uso dei pedali. Questi setup sono abbastanza semplici e
devono essere collegati in serie nel senso delle freccette
(ricordate che è molto importante la posizione di un effetto
rispetto ad un altro). Gli schemi presentati sono in molti casi
degli standard proposti da molte ditte produttrici. Nei casi
esposti, si fa' riferimento a schemi di pedali basati sugli effetti
della BOSS, alcuni dei quali presi a prestito dai Guide Book
(libro guida) che accompagnano questi effetti.

Lo schema che vediamo sotto è un setup tipicamente rock. Se


il chorus è stereo, può essere posto per ultimo, in modo da
fornire il segnale stereo, specie se collegato a due
amplificatori. Avendo un solo ampli, ovviamente, si collega solo
l'uscita mono del chorus. Volendo si può aggiungere un
compressore all'inizio della catena.

Nel prossimo esempio viene illustrato un setup ideale per il


blues. Aggiungendo uno stereo chorus e utilizzando due ampli,
è indicato anche per sonorità country.

Per un utilizzo jazz possono bastare due pedali, ma il chorus,


se usato stereo in due amplificatori, sdoppia il segnale
conferendo il sound tipico di questo genere.

Lo schema successivo prevede l'uso di una buona serie di


pedali, ottimo per un sound moderno. Da notare che la linea
degli effetti che può generare rumori di fondo, viene collegata
al send del riduttore di rumore (in questo caso l'NS2 della
Boss) e viene prelevata dal return e mandata all'output. Il
primo wah wah è quello automatico, ma, se si vuole, il wah
wah classico si può inserirlo all'inizio della catena o come nello
schema. Il compressore può essere inserito prima del Wah
Wah. Il chorus e il delay possono cambiare di posto e un
eventuale pitch può essere posizionato prima di questi.
Interessante notare la posizione del pedale volume, che non
influisce in questo modo sulla qualità del suono processato dai
vari distorsori ed equalizzatori.
Nel prossimo schema, vediamo un sistema di collegamenti
molto più complesso del precedente. Innanzitutto sono presenti
tre nuovi pedali, i line select (selettore di segnale), ognuno dei
quali ha la capacità di mandare vari segnali in varie direzioni
(notevole in questo senso Il Boss LS2, che consente di gestire
una linea diretta più due loop in parallelo selezionabili). Nel
nostro caso, la linea del segnale esce dalla chitarra e passa da
compressore, volume, wah wah, overdrive ed entra nel select
1, dove verrà accoppiato al loop A oppure al loop B
(selezionabile tramite lo switch in tempo reale), per poi uscire
ed entrare quindi nello stereo pitch delay. A questo punto il
segnale viene sdoppiato: il primo viene mandato allo stereo
chorus e il secondo allo stereo reverb. Il chorus divide il
segnale in due, mandandone uno al return A del line select 2 e
il secondo al return A del line select 3; il reverb fa il contrario,
mandando un segnale al return B del line select 2 e il secondo
al return B del line select 3. I line select 2 e 3 sono collegati
rispettivamente all'ampli 1 e 2. A seconda delle impostazioni
dei controlli del line select 1, possiamo scegliere quale linea di
segnale utilizzare; i line select 2 e 3 decideranno quali delle
linee in entrata mandare ai rispettivi amplificatori. Con questo
sistema si possono creare innumerevoli combinazioni ed avere
quindi più possibilità di suoni, creando un setup molto versatile
e sicuramente interessante.

Composizione di un sistema a Rack


A partire dagli anni '80, una buona cerchia di chitarristi ha
cominciato ad utilizzare sistemi di amplificazione sempre più
complessi. Non accontentandosi solo di pedali e pedalini, si
incominciava ad utilizzare anche dal vivo quei tipici effetti da studio
di registrazione, in quanto più versatili e più fedeli rispetto alle
scatolette da pavimento. Questi effetti non potevano essere
trasportati uno per uno, vuoi perché si correva il rischio di rovinarli
(sono abbastanza delicati), vuoi perché a chi ne usava due, tre o
più, occorreva molto tempo a piazzarli e a collegarli. Si è quindi
optato per inserirli in appositi contenitori, chiamati ''flight case'', in
modo da tenerli protetti da urti accidentali e averli già cablati
(collegati) all'interno. Si forma in questo modo il cosiddetto sistema
rack (di solito si usa solo il secondo termine), che è costituito dal
case e dalle varie unità (unità rack appunto). I modelli di case sono
identificabili per la loro capacità, che può andare da un'unità
contenuta (case da 1 unità), fino a case particolarmente grossi (20
o più unità contenute). Le unità sono avvitate su un apposita griglia
e vi si accede aprendo il pannello anteriore, mentre aprendo quello
posteriore si accede allo spazio generalmente dedicato ai
collegamenti.
Cosa si può mettere in un rack? Ovviamente gli effetti, ma non solo.
Per chi usa l'amplificazione tipo combo o testata e cassa, nel case
inserisce solo l'effettistica. Chi, invece, usa anche pre e finale a
rack, deve avere cablati anche questi: il finale sarebbe preferibile
tenerlo in un rack separato, in quanto potrebbe dare rumori e ronzii
non piacevoli, ma anche per il suo peso, specialmente se è a
valvole. Chi lavora spesso dal vivo, magari in turnée, cambiando
sempre il luogo del concerto, ha un elevato rischio di urto o cadute
del (o dei) case. Proprio per questo motivo si può optare per dei
modelli di case antiurto, i quali hanno all'interno uno strato di circa
cinque centimetri di schiuma espansa (simile al polistirolo), in grado
di assorbire sia gli urti che le vibrazioni. Le unità vengono avvitate
ad un blocco interno che può essere sospeso tramite gommini
elastici o un sistema di molle. E' sempre raccomandabile una buona
ventilazione, in quanto alcune apparecchiature sviluppano una
quantità abbastanza elevata di calore, in particolare preamplificatori
e finali. Un buon sistema di aerazione può essere ottenuto
inserendo dei ventolini (come quelli dei computer, che non danno
problemi di ronzii), e lasciando degli spazi vuoti, se è possibile, tra
le unità normali e quelle che hanno problemi di riscaldamento,
anche se queste solitamente sono dotate di ventole di
raffreddamento proprie.
Per quanto riguarda i collegamenti, bisogna tenere possibilmente
separati i cavi elettrici, Midi e audio. Ad esempio i cavi di
alimentazione possono essere raggruppati e posizionati lungo un
lato interno del case, i cavi che portano il segnale audio sul lato
opposto e i cavi Midi in posizione centrale. Per raggrupparli si
possono utilizzare le fascette stringicavi in plastica (quelle usate
degli elettricisti), che sono autobloccanti ed evitano di far cadere i
cavi al di fuori del case. Anche tenere contrassegnati i vari cavi è
utile per evitare di perdere tempo a cercarli quando occorre: si può
utilizzare delle fascette adesive o sistemi analoghi. I cavi audio
dovrebbero essere della migliore qualità in quanto è inutile
spendere milioni per un buon sistema a rack e poi utilizzare cavi da
cinquemilalire: è come avere una Ferrari e montargli le ruote di una
Cinquecento (avete ragione: è il solito paragone, ma rende
assolutamente l'idea). Un cavo di modesta fattura può far perdere
determinate frequenze al segnale audio, rovinandone il suono.
Infine vediamo i sistemi di protezione per la corrente. Dando per
scontato che la presa di corrente dal quale si riceve l'alimentazione
sia realizzata correttamente, rimane conveniente utilizzare un
sistema di protezione e filtraggio della corrente di rete (viene
chiamato power conditioners), che ha lo scopo di garantire alle
apparecchiature poste nel case un regolare afflusso della corrente
stabilizzata sui 220 volt, anche se si verificano sbalzi nella tensione
di rete. Alcuni di questi sono anche in grado di filtrare eventuali
rumori dati da segnali ad alta e bassa frequenza che possono
trovarsi sulla rete. Date molta importanza alla corrente elettrica:
molte apparecchiature sono sensibili agli sbalzi di tensione,e vi
auguro di non avere mai questi problemi.
Tutti i setup che andremo a vedere devono servire come spunto per
costruirne uno personalizzato: l'importante non è copiare alla lettera
uno schema, ma trarne dei consigli utili nello sfruttare al massimo le
varie apparecchiature.

Esempi di setup a Rack.


Dando per scontato il sistema base, che vede l'abbinamento di
preamplificatore, effettistica e finale di potenza, per altro già
analizzato a pag. 80, vediamo il nostro primo setup. Questo adotta
due preamplificatori e quindi la possibilità di usarne uno o l'altro a
scelta, in modo da avere due tipi di preamplificazione diversa, che
viene scelta attraverso l'utilizzo di una Patch-Bay programmabile.
Questa ha lo scopo di indirizzare uno o più segnali all'uscita
dell'apparecchiatura stessa, i quali erano stati prelevati alle varie
entrate e scelti di volta in volta in base alla programmazione della
macchina stessa. Un funzionamento tipico di un apparecchiatura di
questo genere è analizzato in fig.1

I due pre mandano il loro segnali alle due entrate (in 1 e in 2) e, a


seconda della programmazione (che generalmente può essere fatta
via Midi), vengono scelti e indirizzati all'uscita out, che manderà il
segnale all'effettistica. I due send-return servono ad inserire un
compressore ed un equalizzatore (o un exciter, un apparecchiatura
tipica da sala di registrazione che controlla l'enfatizzazione di
alcune frequenze preimpostate), e l'inserimento o meno è anche
questo programmabile. Può anche essere dotata di uscite switch
per il controllo di apparecchiature esterne.
Nella pagina seguente vedremo come elaborare questo sistema.

Nell'esempio in fig.2, la chitarra non entra direttamente nei pre,


ma viene mandata ad un Buffer/Splitter attivo, che serve a
dare una maggiore linearità e una migliore risposta in
frequenza al segnale, considerando il fatto che questo debba
operare in un lungo percorso attraverso varie apparecchiature.
Possiamo anche trovare una comoda uscita per l'accordatore
(tuner). Il segnale proveniente dalla Patch-Bay viene indirizzato
all'effettistica che lo sdoppia e lo manda allo Speaker Emulator
ed infine al Power Amp, cioè il finale di potenza, collegato alle
casse (nell'esempio, due 4x12: ogni cassa contiene quattro
coni da 12 pollici di diametro). Lo Speaker Emulator fa' una
copia del segnale stereo per mandarlo processato al mixer (da
palco o in studio), mentre l'originale prosegue al finale.
Utilizzo dei mixer nel setup
Nell'esempio appena visto il segnale è entrato nell'effettistica
direttamente invece di passare dal send-return del pre: la
scelta è stata obbligata in quanto erano presenti due
preamplificatori. Ma anche se ce ne fosse stato uno solo, il
send-return non era la scelta migliore, in quanto avremo avuto
troppe apparecchiature da collegarci. In questi casi diventa
interessante l'utilizzo di mixer appositi per chitarra. Attenzione:
la maggior parte dei mixer a rack è adatta per l'uso con tastiere
o impianti P.A. (Public Address, cioè l'impianto di diffusione
generale al pubblico) ma non per l'uso chitarristico.
Un mixer per chitarra deve avere ogni singolo canale con un
livello di ingresso compreso in un range da +4db a +20db e
oltre per essere in grado di ricevere il segnale diretto di un
preamplificatore. Ricordate che si sta lavorando con segnali di
linea professionali, quindi +4db sarà lo standard di sistema per
il pre, gli effetti e il mixer. Per non incappare in errori sventurati
(e conseguenti spese inutili), vediamo alcuni tra i principali
modelli offerti dal mercato:

 Custom Audio Electronics Dual Stereo Line Mixer,


costruito da Bob Bradshaw, uno dei maghi nella
costruzione di impianti a rack per chitarra, al quale si
rivolgono parecchi chitarristi famosi
 Rocktron G612 Line Mixer
 Rocktron Rack Interface
 Rane FLM82 Line Mixer
 Rane Sm 82 Stereo Line Mixer
 System MixPlus Guitar Audio Mixer della Digital Music
Corporation
 Advance Tube Tech. Voglio segnalare in particolare
questo modello perchè, oltre ad essere valvolare
(attualmente uno dei pochi sul mercato, mi sembra), è
italiano, e questo gli fa onore (un po' di patriottismo non
guasta mai, ammettiamolo).

Vediamo un possibile schema con l'uso di mixer di linea.

La funzione principale dei mixer di linea, oltre alle varie


possibilità di collegamento e splitting offerte da alcuni modelli,
è quella di mantenere la massima linearità e fedeltà nella
miscelazione dell'effetto (chiaramente anche in stereofonia)
con il segnale dry mono. Questo sistema, per i più pignoli,
potrebbe digitalizzare leggermente il suono, a meno che non si
usino apparecchiature di elevato livello. Il mixer valvolare ha lo
scopo di ovviare a questo possibile inconveniente, facendo
addirittura passare il segnale effettato all'interno del suo
circuito a valvole. La scelta di un tipo di sistema o l'altro deve
essere come al solito personale. Ma vediamo il percorso del
segnale nello schema in fig. 3.
Il pre manda due segnali uguali: uno diretto nel canale 1 del
mixer, l'altro all'entrata del primo effetto, che darà in uscita il
solo segnale effettato, diretto ai canali 2 e 3. Il send A del
mixer manda una copia del segnale dry del preampli (prelevato
dal canale 1) all'entrata del effetto 3; il segnale stereo di solo
effetto rientra nei canali 6 e 7. Dal send B parte il segnale
(sempre dry) diretto allo split che lo divide in due, nel caso che
l'effetto 2 abbia bisogno di lavorare con un segnale stereo in
entrata, proveniente dallo split. Il segnale effettato tornerà ai
canali 4 e 5. Nel mixer faremo le nostre opportune regolazioni
dei livelli di ingresso sui vari canali, in modo da trasferire un
segnale stereo comprensivo del mixaggio del suono diretto più
quello dry attraverso l'uscita master al finale. Un sistema molto
interessante, anche se più complicato, è quello illustrato nella
fig. 4, definito sistema tridimensionale. In questo caso la
diversità è nel modo in cui viene trattato il segnale dry, che
viene diretto ad un proprio finale, mentre l'effettistica entra nel
mixer e viene inviata stereofonicamente ad un altro finale.

Un sistema molto interessante, anche se più complicato, è


quello illustrato nella fig. 4, definito sistema tridimensionale.
In questo caso la diversità è nel modo in cui viene trattato il
segnale dry, che viene diretto ad un proprio finale, mentre
l'effettistica entra nel mixer e viene inviata stereofonicamente
ad un altro finale.
La qualità del suono è in questo caso la più fedele in assoluto,
in quanto il suono dry ha un suo sistema di amplificazione
personale, mentre gli effetti ne hanno un loro. Questo tipo di
amplificazione, che viene usato da molti chitarristi ed è ideale
per i palchi grossi, può essere costituita anche da amplificatore
(combo o testata e cassa), che ha un suo normale sistema di
amplificazione, e un rack di effetti che ne ha uno proprio.
Dall'amplificatore si preleva il segnale dry dal line out e lo si
manda al rack effetti, che dovrebbe essere possibilmente
dotato di mixer. La configurazione dei collegamenti nel rack
effetti può essere simile a quella proposta in fig. 4, con la
differenza che nel canale 1 arriva un segnale dry proveniente
dal line out dell'amplificatore. Anche in questo caso si
mantiene la fedeltà sonora nel suono dry (fig. 5) ed una buona
qualità dell'effettistica, la quale deve sempre fornire il 100%
dell'effetto, che sarà poi mixato al segnale dry.

Nello schema seguente (fig.6, fonte rivista AXE) abbiamo un


setup famoso: è la configurazione di partenza che usava Pat
Metheny a partire dalla seconda metà degli anni '70 e che
mostra un sistema tridimensionale, vera novità per quei anni.
La chitarra (Gibson ES175, datata '58) viene amplificata da un
vecchio Acoustic 134, dal quale si preleva un segnale che
entra in un Lexicon Prime Time, un doppio digital delay con
controlli indipendenti. Da questo escono due segnali wet (solo
effetto, senza suono originale), uno ritardato di 14ms e l'altro di
26ms, inviati ad una coppia di Yamaha G-100. In definitiva
anche questo è un chorus! Il riverbero viene invece aggiunto
dal mixer dell'impianto Live o in studio.
Possiamo vedere come si è evoluto negli anni '90 il setup di
Pat Metheny. Questo, effettivamente, è un sistema veramente
complesso, costruito in base alle specifiche esigenze del
chitarrista. Lo schema che vediamo, naturalmente, vuole
essere solo a carattere informativo.
Nella pagina seguente vedremo invece un setup più rock...

Un altro schema interessante è quello in fig. 7, ed è il setup


usato da John Petrucci (chitarrista dei Dream Theater). Il
sistema prevede due preampli ed è anche in questo caso
tridimensionale.
Analizzando uno dei setup utilizzati da Steve Vai, possiamo
vedere che ultimamente predilige una serie di effetti a pedale
(wah Bad Horsie Morley, distorsore Boss DS1, chorus Boss
CH1 e Digitech Whammy Pedal Mark 1) che mandano il
segnale a due testate: una Bogner Ecstasy tri-canale (molto
simile ad una Marshall pompata) e una Marshall JCM 900
modificata, entrambe utilizzate solo come pre. Da qui, dopo un
pedale volume della Boss, il segnale entra nel rack effetti, dove
troviamo due delay Roland SDE-3000, un Digitech DHP-55
Harmony Machine, un Eventide DSP H4000 per poi andare al
finale VHT Classic collegato a due casse Marshall 4x12 (con
coni Celestion Vintage 30). Queste vengono microfonate
tramite un Sennheiser 421 ed uno Shure SM 57. Il sistema è
controllato da un Bradshaw Switching System.
Joe Satriani utilizza ad esempio un setup molto più
immediato: due testate Marshall 30th Anniversary da 100 Watt
Limited Edition, un wah Wah e due delay Chandler Digital
Echo. Entrambi i chitarristi propendono per un Wireless
Furman, che è uno dei migliori apparati per la trasmissione
radio del suono (il cosiddetto sistema senza cavo): questo
genere di sistema permette, tramite un apposito trasmettitore
da collegare alla chitarra e un ricevitore che invia il segnale al
resto della strumentazione, di restare per così dire
indipendente dai cavi di collegamento tra chitarra e
amplificazione, dando una maggiore libertà sui palchi grossi
dove viene richiesto tanto movimento a chi suona.

Penso che sia impossibile descrivere tutti i sistemi utilizzati dai


chitarristi più famosi, anche perché è impossibile conoscerli
tutti: se vi dovesse capitare di trovare una pubblicazione che
tratta completamente questo argomento (io personalmente non
so se ci sia), acquistatela tranquillamente, in quanto può
sempre essere interessante. Concludendo questo lungo
capitolo, voglio ricordare che la curiosità appaga, nel senso
che conoscere e capire la strumentazione degli altri, è sempre
utile per apprendere tecniche e novità interessanti che
altrimenti sfuggirebbero. Oltre a guardare le mani dei chitarristi,
torna utile osservare come utilizzano la loro strumentazione.
E' palese come tutte le informazioni circa gli schemi, i setup e
la strumentazione in generale relativa ad un chitarrista possa
subire differenze anche notevoli nel corso degli anni. Queste
pagine sono quindi da ritenersi a carattere informativo.

Conclusioni
In molti casi le richieste dei musicisti possono però essere
condizionate da vari fattori, quali possono essere i costi della
strumentazione, il genere musicale suonato, la comodità di
trasporto eccetera...
Ovviamente, la comodità di trasporto può essere rilevante, in
quanto il musicista deve caricarsi la propria strumentazione in
auto, e non tutti potrebbero avere la station-wagon. In questi
casi può essere utile affidarsi all'amplificatore combo, oppure
un setup composto da un piccolo case contenente poche unità
rack, e una cassa piccola.
Qualcuno invece potrebbe (o vorrebbe) affidarsi a dei sistemi
più complessi (ma anche più costosi e ingombranti):
obbligatorio l'uso di una station-wagon a meno che non si
voglia caricare la strumentazione sul portapacchi...
Infine il genere musicale. Per fare del buon Jazz o Blues basta
una ampli e una chitarra; per suonare pop, fusion, rock
progressive magari occorre un sistema più complesso...
Queste semplici riflessioni sono puramente esaustive
all'argomento trattato. E' chiaro che un setup costoso, sia in
termini economici che di tempo di programmazione, non è alla
portata di tutti. E' anche chiaro che in molti casi basta poco per
ottenere un suono perfetto alla situazione musicale in cui ci si
trova a dover suonare. A voi le dovute conclusioni...

Unità e Pedaliere multieffetto


Nelle pagine precedenti abbiamo visto le varie possibilità che
l'odierno mercato di strumenti musicale offre per chi intende
costruire un proprio setup personale. Bisogna però evidenziare che
molte volte è il nostro portafoglio a decidere quali sono le
apparecchiature a cui indirizzare la nostra scelta: così possiamo
dire che di base un setup a pedali costa chiaramente meno che uno
a rack, questo però a scapito della programmabilità, che di contro è
utile un molte occasioni. Proprio per questo motivo numerose ditte
hanno nei loro cataloghi apparecchiature programmabili che offrono
preamplificatori, effetti e, in alcuni casi, pedaliera di controllo uniti in
un unico contenitore, il tutto caratterizzato da prezzi estremamente
accessibili, in relazione ai vari effetti in esse contenute e anche alla
qualità stessa delle macchine.
Voglio innanzitutto precisare una cosa importante: non si valuta un
musicista dalla strumentazione che usa, ma dal risultato che si crea
sommando il suo talento e le caratteristiche migliori della
strumentazione che sta usando, qualunque essa sia. Non è quindi
obbligatorio il fatto che per fare un bel suono si debbano spendere
(e spandere) milioni. Per fare un esempio: ho visto suonare Brian
May (chitarrista dei Queen) utilizzando semplicemente due ampli
Vox AC30 e uno (o forse due) Zoom (non posso dire esattamente il
modello in quanto era un po' nascosto). Resta il fatto che era una
strumentazione molto semplice. Risultato: un gran suono! Ok, era
Brian May, però usava solo quella strumentazione. Ne volete altri?
Jeff Beck ha suonato nella colonna sonora di ''Frankie's House''
utilizzando prevalentemente Digitech GSP21 Legend; Steve Vai ha
utilizzato un Sans Amp per alcune parti di chitarra durante
l'incisione dell'album Alien Love Secrets (1995); Alex Lifeson
(chitarrista dei Rush) si è servito di un Digitech 2101 per alcune
incisioni nel suo CD solista Victor; Jennifer Batten utilizza
solitamente un Digitech 2101 e una testata Peavey 5150; per stare
in Italia, Cesareo usa Zoom 9150 e 9050. E la lista continuerebbe.
Quindi, se un setup soddisfa a livello personale, qualunque scelta è
più che valida. E questo dovrebbe essere una regola da seguire.

Il multieffetto
Veniamo quindi ad analizzare un multieffetto, facendone un analisi
standardizzata. Questo può essere diviso in tre tipi:
-   Preamplificatore multieffetto
-   Multieffetto
-   Pedaliera multieffetto.
Nel primo caso, cioè il Preamplificatore multieffetto, abbiamo la
possibilità di avere due sezioni importanti nel circuito, e cioè il
preamplificatore e l'effettistica. Per quanto riguarda il pre, possiamo
dire che questo di solito è dotato di controlli simili ad un normale
pre. Bisogna accertarsi, più che altro, se offre una circuitazione
valvolare o a transistor e, nel secondo caso, se offre una
simulazione valvolare. L'effettistica lavora ovviamente sugli effetti,
da quelli che agiscono sulla pasta del suono (compressori,
equalizzatori ecc.), a quelli che ne lavorano l'ambiente (chorus,
delay, riverbero ecc.). Da qualche anno, inoltre, quasi tutti i modelli
offrono la funzione di Speaker Emulator. Nel caso vogliate
indirizzarvi verso una di queste apparecchiature, date un occhio
anche alla possibilità di creare la vostra sequenza di effetti
internamente al processore: questo sistema è molto utile nella
ricerca del suono, in quanto permette di variare la configurazione
degli effetti sulla linea di percorso del segnale. In pratica, è come
autocostruire un sistema rack in una o due unità, dove decidete voi
stessi la collocazione dei vari effetti.
Togliamo il preamplificatore e otteniamo il multieffetto: in pratica la
differenza tra i primi due tipi di multieffetto può essere il fatto che il
primo contiene un pre, il secondo no. Chiaramente un unità
multieffetti deve essere affiancata da un preampli.
La pedaliera multieffetto contiene , come dice il nome, un
multieffetto e, in molti casi, un preampli. La comodità è nel fatto che
i controlli in tempo reale sono inseriti già nell'unità che quindi è già
pronta all'uso senza bisogno di particolari collegamenti, tranne,
ovviamente, per l'alimentazione elettrica.
Tornando ai multieffetto, si può dire che in linea di massima offrono
un rapporto qualità-prezzo interessante, anche se chiaramente
possiamo avere le eccezioni. Alcuni modelli, come l' Eventide,
hanno prezzi per alcuni proibitivi, ma si tratta in questi casi di
apparecchiature veramente eccezionali.

Pedaliere di controllo Midi


Queste apparecchiature da pavimento hanno il dovere di controllare
i vari cambi di programma dei processori all'interno dei case,
controllo che avviene tramite segnale Midi. La capacità e la qualità
delle pedaliere di controllo varia da modello a modello. Si parte da
unità base, che hanno soltanto una serie di pulsanti a piede e al
limite l'impostazione del canale Midi sul quale si vuole comunicare,
a modelli più evoluti e costosi, che offrono più pulsanti di controllo,
ma anche varie possibilità di assegnazione dei parametri, come ad
esempio gli ingressi per i pedali di espressione (con i quali si
possono controllare in tempo reale impostazioni di volume, livelli di
effetti ecc,).
A seconda delle impostazioni, la pedaliera viene collegata tramite
l'uscita Midi out ad una delle entrate Midi in delle varie
apparecchiature. A questo punto si dovrebbe assegnare un canale
di trasmissione Midi, che deve combaciare con il canale di ricezione
delle varie apparecchiature: leggete bene le istruzioni sui manuali
delle unità per quanto riguarda questo argomento, perché a volte
può capitare che non ci sia un perfetto funzionamento del sistema a
causa dell'assegnazione errata dei canali Midi.
Vi sono pedaliere con caratteristiche particolari, come la Ground
Controll della Digital Music Corporation che offre numerosissime
opzioni di controllo, specie se abbinata al GCX Audio Switcher
(della stessa casa). Si tratta di un sistema molto interessante che
permette il controllo di vari parametri in diverse apparecchiature, di
due o più preamplificatori nonché l'assegnazione delle linee audio e
dei comandi di switch, il tutto controllato in tempo reale dalla
pedaliera che, tra l'altro, è dotata di un comodo display a led sul
quale si possono scrivere le varie caratteristiche dei programmi. La
Rocktron propone la All Access, anche questa dotata di particolari
sistemi di programmazione. Tra le normali pedaliere Midi possiamo
trovare la Boss FC-50, la serie economica della Rolls oppure la
Rocktron Midi Mate.

Simulazione valvolare
La continua ricerca nel campo musicale di nuove e più perfette
apparecchiature ha portato, tra le altre, alla creazione della
simulazione. Nel campo musicale, la simulazione può essere ad
esempio il suono di un sax ottenuto da una tastiera. In campo
chitarristico ha segnato un passo fondamentale la simulazione di
una valvola all'interno di un circuito a transistor, usata da case
come la Fender e la Peavey già da alcuni anni, ma resa poi famosa
dalla serie Valvestate della Marshall ed ora ampliata dalle serie
Yamaha Tube e Peawey Trans Tube, tanto per fare degli esempi.
Nei preamplificatori analogici, la distorsione può sembrare una
simulazione, ma non sempre è definibile il confine tra la ricerca di
un buon suono e la simulazione vera e propria, nel senso che
alcune ditte offrono apparecchi con un suono molto caldo e ricco di
armoniche (come può essere un circuito valvolare) grazie ad una
elevata qualità del proprio prodotto, anche se di base non è una
simulazione. Questa si può definire tale parlando dei preampli
digitali: in questo caso il segnale in entrata viene convertito in
digitale ed elaborato da un processore DSP (Digital Signal
Processor) per poi essere riconvertito in segnale analogico (vedi
cap. 2). Multieffetti come il Chameleon della Rocktron, l'Ibanez VA3
o il Viscount EFX-10 utilizzano questo tipo di processore, come del
resto apparecchiature più costose,tipo l'Eventide DSP 4000.
Perché occorre simulare un suono? Si è già accennato che in
alcuni casi la scelta della strumentazione dipende soprattutto dalla
propria disponibilità economica. Ben vengano quindi le
apparecchiature che raccolgono al loro interno svariati effetti e
anche una buona simulazione valvolare, che in alcuni modelli risulta
veramente eccezionale. In questo modo chiunque, se vuole, può
''simulare'' il suono del proprio chitarrista preferito e, perché no,
crearsene uno personale.
Resta comunque il fatto che se ti piace il sound caratteristico di un
certo amplificatore sotto le dita, oltre che nelle orecchie, è sempre
meglio avere l'originale. Ma un ampli come il Marshall ha un suono
diverso da un Mesa Boogie, o da un Rivera o da un Fender o da un
Soldano o da un... E se ti piacciono più suoni? Se si vuole
dilapidare il conto in banca li si può acquistare tutti, altrimenti esiste
la simulazione, che negli ultimi anni ha trovato sbocco in nuove
apparecchiature appositamente dedicate, come vedremo nella
pagina seguente. A voi la triste scelta.

L'amplificazione nel 21° secolo


La domanda è ovvia: se negli ultimi trent'anni abbiamo avuto un
evoluzione tecnologica musicale sempre più rapida, cosa ci
possiamo aspettare in questo nuovo millennio?. LA musica in se
stessa è intramontabile ed è piuttosto facile supporre che sarà
sempre una forma artistica tra le più importanti. Non si può
comunque sapere, al di là di tutto, quali daranno i generi musicali
che sopravvivranno in un prossimo futuro, ne tanto meno prevedere
quali saranno quelli nuovi che nasceranno: di certo, nessuno
poteva immaginare nel 1800 che un giorno un certo chitarrista nero
avrebbe imitato gli effetti sonori di un combattimento aereo con la
chitarra… Certo, oggi come oggi abbiamo delle direzioni musicali
ben definite, generi musicali che nascono, che scompaiono, che si
rinnovano, ma bisogna ben sperare, come è giusto che sia, che le
radici di ogni genere musicale (bello o brutto che sia, secondo il
nostro gusto personale) non finiscano solo nei libri di storia o nei
solchi di un disco (che tra l'altro potrebbero diventare anch'essi
reperti di antichità: chissà cosa si inventeranno in futuro per la
riproduzione musicale…). Speriamo solo di trovare il classico
gruppo che ci allieta le serate nei locali o anche l'artista da strada
nel 22° secolo. Questa prefazione un po' romanzata serve ad
introdurre un breve viaggio in quello che appena qualche anno fa'
poteva sembrare un futuro remoto. Ad esempio: provate ad
immaginare di essere negli anni '70 e poter suonare un intero
concerto con una sola chitarra, ma di avere la possibilità di passare
da un suono tipo Fender Stratocaster ad uno tipo Gibson 175 o ad
uno tipo Martin D-45 (in questo caso una chitarra acustica, per chi
non lo sapesse). Ma non solo: possiamo anche impostare il tipo di
amplificatore, che può essere ora un Marshall, poi un Mesa Boogie,
poi un Fender eccetera... In pratica: pura fantascienza. Ma
nell'esempio eravamo negli anni '70. Oggi invece tutto questo è
possibile grazie alla tecnologia. Vediamo di ripercorrere la storia
iniziando dalla chitarra midi.

Guitar Synth
Il termine chitarra midi, la protagonista di questo capitolo, anche
se forse è il più usato non è giusto. E' invece esatto definire questo
tipo di strumento chitarra sintetizzatore, appunto guitar synth. In
pratica, il sintetizzatore è uno strumento elettronico che, dopo avere
creato un suono di timbriche, lo trasforma nei modi più svariati fino
a riprodurre una vasta gamma di varietà timbriche. I primi
eseperimenti di sintetizzatore risalgono agli anni '60. Un capostipite
di questo strumento è stato il synth progettato nel '64 dal Dr. Robert
A. Moog, che veniva pilotato da una tastiera analoga a quella di un
organo. Successivamente, nel corso degli anni, il synth ha subito
una serie di variazioni, soprattutto dedicate ai tastieristi. Il guitar
synth si distingue nel fatto che il sintetizzatore è pilotato da una
chitarra tramite un apposito pick-up esafonico.
Il synth può essere usato per simulare il suono di qualsiasi
strumento, per crearne uno nuovo o per amalgamare entrambi i due
casi. Un sintetizzatore viene controllato variando i livelli della
tensione e perciò, se viene controllato da una chitarra, occorre
innanzitutto un convertitore tono-tensione, che in termini di tensione
indica al synth quale nota si sta suonando sulla chitarra. Il synth
utilizza questa tensione per pilotare il suono base tramite un
dispositivo chiamato oscillatore controllato in tensione (VCO:
voltage controlled oscillator). Questi sono dei componenti complessi
che producono forme d'onda a dente di sega, quadra, sinusoidale e
triangolare. A queste onde può essere modificata ulteriormente la
forma dell'onda allo scopo di produrre una maggiore varietà di
suoni.
Il sintetizzatore incorpora inoltre un altro dispositivo,, detto
generatore di rumori: questi creano un rumore bianco, che è una
miscela di forme s'onda prese a caso nello spettro delle frequenze,
e il rumore rosa,, analogo ma con più bassi. Dopo che il VCO ha
creato il suono, interviene il VCF (voltage controlled filter) cioè il
filtro di controllo della tensione, che taglia le frequenze. Questo può
essere paragonato ad un controllo di tono o ad un equalizzatore
grafico: elimina, in pratica, alcuna frequenze per enfatizzarne altre,
secondo un processo definito sintesi sottrattivi. In modo analogo,
l'intensità del suono è regolata da un amplificatore controllato in
tensione, detto VCA (voltage controlled amplifier).
I sintetizzatori sono inoltre dotati di comandi che attivano il
generatore di inviluppo, che possono essere usati, collegati con il
VCA, per presentare l'inviluppo del suono. Praticamente controllano
l'attacco (attack), il decadimento (decay), la tenuta (sustain) e il
rilascio (release), sistema definito ADSR. Il suono che esce dal
guitar synth non è una versione modificata del suono delle corde
della chitarra, ma un proprio suono che è stimolato, chiaramente,
dalla chitarra.
I primi modelli di sintetizzatore erano monofonici : in pratica non si
poteva suonare più di una nota per volta e quindi non potevano
dare grande prestazioni. I synth pseudo-polifonici permettono di
suonare un numero determinato di note contemporaneamente. I
moderni synth polifonici hanno un circuito generatore indipendente
per ogni nota e quindi tutta la libertà possibile di sovrapposizione
delle note.
All'inizio degli anni '80 vediamo comparire sul mercato i primi guitar
synth grazie a ditte come la Roland, da sempre precursore in
questo genere di apparecchiature. Tra i primi modelli troviamo il
Roland GR 100 e il GR 500, seguiti poi negli anni a venire da
modelli sempre più sofisticati, come il GR 300, il GR 50 e gli ultimi
GR 30. Altre ditte che producono queste apparecchiature sono la
Axon (Neural Guitar Midi Controller NNGC 77) e la Yamaha (Guitar
Midi Converter G50). Si possono tra l'altro espandere con moduli di
generazione sonora, anche se il migliore utilizzo è sicuramente
quello interno. Un problema che può nascere con queste
apparecchiature è il ritardo tra la nota effettivamente suonata e
l'elaborazione della stessa: nei primissimi modelli questo ritardo era
notevole (nell'ordine dei millisecondi). Oggi, comunque, il livello
tecnologico ha portato quasi allo zero assoluto questo tempo di
ritardo.
Per quanto riguarda il pick-up esafonico uno standard è il GK-2
della Roland, che si interfaccia con quasi tutte le unità sintetizzatore
(non la Yamaha G50, che lavora solo con un proprio pick up). Il pick
up esafonico ha sei poli che sono posti in corrispondenza alle corde
della chitarra su cui è istallato, e ognuno di essi legge la frequenza
relativa alla corda abbinata, traducendola in un formato diverso che
viene inviato al convertitore (o controller) allegato al pick up stesso.
E' questo il cervello di tutto il sistema, in quanto traduce i dati che
gli arrivano in formato Midi e li dirige al modulo sonoro. Questo
emetterà il suono impostato nella programmazione ed è qua che
potrebbe nascere il ritardo di cui si parlava prima, che avviene a
causa del modo in cui il riconoscimento e la conversione sono
effettuati.
. Il processo è abbastanza complicato: le note suonate, analisi di
ogni singola corda e della propria frequenza (numero di vibrazioni
della corda) che crea l'altezza del suono e quindi la nota, possibili
note estranee (non volute) determinate dalla poca pulizia di
esecuzione o da tecniche particolari (slide, bending, tapping,
hammer-on e pull-off) che mangiano tempo alla conversione, la
conversione stessa e l'invio al modulo di generazione sonora.
Come si può vedere, il percorso e lungo. Negli scorsi anni, per
ovviare a questo problema, si sono progettate apparecchiature di
forma non proprio simile alla chitarra, come il SynthAxe (della ditta
californiana Zeta) o le prime Casio. Progetti più o meno riusciti, che
però presentavano un nuovo problema: il fatto che i chitarristi
volevano (e vogliono tuttora) imbracciare una chitarra vera e
propria. Da qui il successo dei pick ups esafonici, che possono
venire installati su qualsiasi tipo di chitarra. Esistono tra l'altro
chitarre che montano di serie, oltre ai normali pick ups, anche un
esafonico. Voglio ricordare a proposito la Fender Stratocaster
Roland Ready e alcuni modelli della Godin o della Aria, me anche
le Ovation e le Godin elettroacustiche. A questo punto possiamo
quindi far suonare la nostra chitarra con i suoni che vogliamo.

Chitarra e amplificazione virtuale


E' ovvio che con l'avvento dei computers e della realtà virtuale
anche la tecnologia nel campo musicale (come d'altronde in tutti i
campi) ne trae profitto. Abbiamo analizzato prima i vari sistemi tra
pick up esafonico, convertitore e sintetizzatore che servivano a
creare sonorità particolari o legate ad altri strumenti. Quello che
invece stiamo per conoscere è un mondo totalmente nuovo, basato
sulla simulazione virtuale sia della chitarra nelle sue più svariate
forme e modelli, sia dell'amplificazione, anche in questo caso visto
sotto gli aspetti più classici e non. Ma perché bisogna ricreare
artificialmente le caratteristiche tipiche di chitarre e amplificatori
quando si ha comunque la possibilità di utilizzarne uno vero?
Provando questo genere di sistema sotto le mie mani, posso
ammettere in tutta franchezza che la risposta è una sola: la
comodità. Provate ad immaginare di avere a disposizione una
Fender Strato e Telecaster, una Gibson Les Paul, 175 e 335, una
Martin e un Ovation, una Rickenbacker, una Gretsch ecc. Poi gli
ampli: Fender Twin, Vox AC30, Mesa Boogie Mark (1, 2, 3, 4), un
Roland Jazz Chorus, un Soldano ecc. Per disgrazia vi capita di
avere una serie di concerti o turni in sala di registrazione dove sono
richieste le sonorità tipiche di questi strumenti. Che fare?
Innanzitutto dovete noleggiare un furgone solo per portare in giro la
strumentazione, e poi magari anche un agente di sicurezza per
tenerla sotto scorta, senza contare uno o due roady per caricare e
scaricare. In seguito pensate alle maledizioni che vi tira dietro il
fonico. Certamente non capita spesso nella vita di un chitarrista di
dovere affrontare tutta questa fatica, anche se è ben ripagata dal
possedere tutto quel ben di Dio. Però, a chi di noi non piacerebbe
avere tutta la strumentazione sopra citata (e anche di più)? E'
proprio qui che entra in gioco la realtà virtuale, che andremo ad
analizzare nelle prossime righe.
Il primo passo che dobbiamo fare per addentrarci in questo nuovo
mondo è quello di capire alcune terminologie, iniziando dal
physical modeling. Con questo termine si identifica un
procedimento tecnologico che descrive uno strumento acustico o
elettrico e tutte le sue caratteristiche fisiche, sonore e di
performance attraverso l'uso di un elaborato sistema di regole e
leggi matematiche, che possono venire elaborate e quindi
rappresentate da un computer. In pratica per le chitarre è oggi
possibile quantificare in dati: il legno, la forma, i pick ups, le corde
ecc. Per gli amplificatori: le valvole, gli speakers, la microfonatura
ecc. Una nuova apparecchiatura come il Roland VG8 possiede
nella sua memoria interne tutte le caratteristiche degli ampli e delle
chitarre di cui parlavamo prima, il tutto "sezionato" nel sistema di cui
sopra e ricomponibile nei modi più svariati, procedimento che la
Roland sigla con l'acronimo COSM, cioè Composite Objet Sound
Modeling. Vorrei soffermarmi un attimo su questa macchina, in
quanto sarà la capostipite di tutta una serie di apparecchiature
sempre più perfezionate che opereranno secondo questi criteri. Il
VG8 viene ad interfacciare con la chitarra attraverso un pick up
esafonico (Roland GK-2), e questo potrebbe far pensare che si tratti
di un sintetizzatore per chitarra (anche se, volendo, è in grado di
produrre suoni analoghi), ma il sistema si basa su ben altri principi.
Al contrario di un comune synth per chitarra, il VG8 utilizza il
segnale del pick up esafonico elaborando il segnale audio completo
come tale. Gli approcci successivi al segnale possono essere due:
- il VGM (Variable Guitar Modeling), che indica il sistema in grado di
ricreare i suoni di un gran numero di chitarre e amplificatori esistenti
oggi nel mondo;
- l'HRM (Harmonic Restructure Modeling), che lavora sulle
armoniche dello strumento, elaborandole a piacere e creando suoni
completamente nuovi, che agiscono però sempre in merito alla
chitarra (non vengono quindi sintetizzati).
La Yamaha popone il DG1000, un'unità che ha un approccio molto
simile al VG8, ma emula solamente gli amplificatori, utilizzando una
tecnologia denominata ECM (Electric Circuit Modeling). In questo
caso viene simulato ogni componente che fa parte del circuito
originale di un particolare tipo di ampli, il tutto attraverso le regole e
leggi descritte precedentemente. La chitarra che pilota il DG1000
non ha bisogno di pick up esafonico, in quanto la macchina accetta
i normali pick up . Un altro apparecchio simile al DG1000 è il Line6
"AxSys212" della Line6 oppure il recentissimo Johnson "Millenium"
della Digitech. Sempre della Line Six troviamo il "pod", un simpatico
aggeggio che viene solitamente utilizzato in diretta al banco e che
offre dei suoni veramente interessanti, in particolare se paragonati
al rapporto qualità-prezzo, e di cui dovrebbe uscire anche una
versione a rack. Tra gli emulatori di amplificatori, il Pod è
attualmente la macchina più diffusa.
Un altra novità in questo settore, dopo l'emulazione delle chitarre e
degli amplificatori, è quella dei pedali virtuali. In pratica, si cerca di
emulare anche il suono tipico dei pedali la cui sonorità è la più
ricercate, quali possono essere ad esempio un Tube Screamer
dell'Ibanez, oppure un Ecoplex Maestro EP-3, oppure ancora
l'Electro Harmonix Deluxe Memory Man e tanti altri ancora. Le
nuovissime apparecchiature a pedale come il Line6 DL4, oppure
l'Akai E1, oppure il Lexicon MPX G2 (una mostruosa macchina a
rack probabilmente destinata ad un buon successo). Il tutto con il
preciso scopo di offrire numerosi effetti storici a pedale in una sola
apparecchiatura.

Siamo oramai nel 2.000 e bisogna dire che l'evoluzione tecnologica


è preparata al nuovo millennio, e le apparecchiature descritte sopra
ne danno la prova. Ovviamente non si potrà mai sostituire una
chitarra o un ampli reali: confrontandoli con i loro relativi "virtuali" si
può però dire che la somiglianza è tale da poter avere almeno il
beneficio del dubbio. Se poi, come dicevo prima, non vogliamo (o
possiamo) sobbarcarci il peso reale di tutta la strumentazione che
queste macchine sono in grado di simulare, in un prossimo futuro
(magari neanche tanto remoto) potremo trovarci ad avere tra le
mani questi apparecchi. Come al solito la scelta sarà
assolutamente personale per ognuno di noi...
L'amplificazione della chitarra acustica
La chitarra acustica (in tutte le sue varie forme, da classica con
corde di naylon a folk con corde bronzate a quella flamenco) ha un
suo volume naturale che è determinato dalla sua cassa armonica,
volume che è di gran lunga superiore a quello di una chitarra
elettrica non amplificata. Le situazioni in cui è però necessario
amplificare lo strumento acustico sono varie. Ad esempio,
suonando una chitarra acustica in un gruppo i cui strumenti sono
amplificati dal P.A., rende obbligatoria l'amplificazione della chitarra
stessa, in quanto a quel punto il suo volume naturale risulterebbe
insufficiente. Ma non è solo in questo caso che si deve intervenire:
anche in un concerto a due, tre chitarre o anche una sola può
essere necessaria l'amplificazione, dovuta magari ad esigenze
ambientali della situazione in cui si tiene il concerto.
Amplificare una chitarra acustica è un procedimento più complicato
rispetto a quello di una chitarra elettrica, in quanto gioca un fattore
fondamentale il fatto di dovere ricreare con molta fedeltà il suono
acustico dello strumento. Dopo avere letto la sezione precedente, si
può immaginare che queste problematiche hanno oggi meno
importanza, in quanto è possibile addirittura simulare una chitarra
acustica con un circuito elettronico abbinato ad una chitarra
elettrica. Ma si può rinunciare completamente al contatto fisico con
uno strumento acustico? Certamente no. Vediamo quindi quali sono
i vari procedimenti per amplificare lo strumento acustico.

Uso dei microfoni


Attraverso i moderni impianti di amplificazione P.A. è possibile
riprodurre il suono di una chitarra acustica con assoluta fedeltà. Il
migliore sistema rimane ancora oggi la microfonatura, anche se
possono esserci limitazioni proprio dal vivo. I problemi che si
possono riscontrare sono questi:

 il tempo di lavoro che occorre nel piazzare il microfono nella


posizione corretta e la relativa e accurata regolazione audio;
 troppi movimenti da parte di chi sta suonando potrebbero
causare sbalzi eccessivi di volume, in quanto ci allontana o
avvicina troppo al microfono (anche se in alcuni casi si può
usare creativamente questa situazione per regolare a proprio
gusto il volume)
 il pericolo di urtare il microfono, che potrebbe dare delle
''botte'' non indifferenti all'- impianto di amplificazione, alzando
il livello nevrotico del fonico.

Resta il fatto, come dicevo prima, che una buona microfonatura


rende sicuramente più di qualunque altro sistema e proprio per
questo motivo è la più usata da chi vuole ottenere il massimo della
sonorità.
A volte può essere interessante piazzare anche due microfoni in
posizioni diverse (uno davanti alla buca e l'altro su di un angolo
della cassa armonica, ad esempio), calcolando che l'inclinazione,
specialmente del microfono posto davanti alla buca, darà più bassi
se collocato sopra la sesta corda o più alti se collocato sotto la
prima corda. Una posizione centrale sarà la più neutrale. La
corretta posizione deriva anche dal tipo di chitarra che si sta
usando, in quanto ogni strumento predilige una sua particolare
gamma di frequenze nello spettro sonoro e di conseguenza può
essere utile provare varie angolazioni per ricavare il migliore suono
dallo strumento. Un ultima raccomandazione: la distanza del
microfono è molto importante in quanto potrebbe influire sul rientro
dei suoni di altri strumenti.
Se il microfono rimane lontano, per avere il giusto volume bisogna
alzare il relativo controllo, e in questo caso si alzeranno anche altri
eventuali suoni captati dal microfono stesso. Di contro, il microfono
troppo vicino potrebbe non raccogliere la dinamica completa dello
strumento. Provate quindi diverse posizioni e valutatene le migliori,
sia come pulizia che come resa sonora creando un buon
compromesso.
Per ultimo, si può dire che molti problemi si riscontrano solo dal
vivo, in quanto in sala di registrazione esistono vari fattori
ambientali (suonare ad esempio in una stanza isolata da altri
strumenti) che daranno una migliore pulizia e qualità sonora nella
microfonatura.
Uso dei Pick-ups magnetici
E' possibile installare sulla chitarra acustica un pick-up magnetico
del tipo di quelli usati per le chitarre elettriche. Questo pick up
risponde alla vibrazione della corda, ma viene influito in misura
minima dalla cassa armonica e perciò è poco utilizzato, in quanto il
suono risultante sarà una via di mezzo tra il suono naturale dello
strumento e il suono elettrico del pick up. Con questo sistema si
perderanno molte delle qualità timbriche della chitarra acustica.
Consigliato solo nel caso si voglia spendere pochissimo senza
intervenire con lavori di liuteria sul corpo dello strumento.

Trasduttori piezoelettrici
Attualmente, il sistema migliore per amplificare una chitarra
acustica senza l'ausilio del microfono è il trasduttore
piezoelettrico. Esistono vari modelli e varie possibilità di
applicazione per questo tipo di pick-up. Il più classico consiste in un
piccolo blocco di materiale cristallino o ceramico incapsulato in un
involucro di metallo o di plastica, sulla cui superficie sono saldati
due fili di uscita. Questo dispositivo viene attaccato alla tavola dello
strumento e funziona sul principio dell'effetto piezoelettrico. Viene
eccitato dalle vibrazioni che si propagano attraverso il legno della
tavola della chitarra quando le corde sono in vibrazione, in pratica
quando si suona. Queste eccitazioni permettono una fuga di
elettroni al lato del trasduttore adiacente alla tavola, rendendo
negative tutte le cariche di tale lato, quando la tavola vibrante si
muove verso l'esterno. Quando quest'ultima si muove verso
l'interno, gli elettroni migrano verso la superficie opposta,
invertendo la polarità. Queste variazioni verranno trasmesse sotto
forma di corrente alternata attraverso i due cavi d'uscita. In alcuni
casi il segnale potrà essere così debole da rendere obbligatorio
l'uso di un preamplificatore per potenziare il segnale stesso.
Un pre per piezolettrico è ben diverso da un normale preampli per
elettrica, in quanto è un piccolo circuito, che a volte adotta un
equalizzatore, e può essere anche inserito all'interno dello
strumento. Questo sistema riproduce il timbro acustico dello
strumento con grande fedeltà. Il trasduttore può essere fissato alla
superficie dello strumento con materiale adesivo o con delle viti,
incorporato sotto il ponte (punto di massima vibrazione della
tavola), come il sistema "hot dot" della Barcus Berry, oppure nel
modo attualmente più in voga, cioè direttamente sotto l'osso del
ponte, caratteristico delle Ovation, delle Takamine, delle Yamaha,
delle Godin e di molte altre marche.

Il feedback: come prevenirlo


Molti chitarristi acustici prediligono amplificare il proprio strumento
sia attraverso l'uso dei trasduttori piezoelettrici, sia con l'uso dei
microfoni, miscelando attraverso il mixer i vari suoni e ottenendo
probabilmente le migliori sonorità in assoluto. In ogni caso un
problema da tenere sempre sotto controllo è il feedback. Questo
effetto, tanto caro a molti chitarristi elettrici, è l'incubo in persona
per quelli acustici. Per ovviare a ciò, bisogna tenere innanzitutto lo
strumento lontano dalle proprie casse e comunque mai di fronte
alle stesse. Attenzione poi alle regolazioni di equalizzazione, in
quanto il "fischio" tende a svilupparsi su determinate frequenze
(specialmente gli acuti), mentre la tipica risonanza predilige le
frequenze basse. Occorre poi verificare i tagli di frequenza nei
riverberi, in quanto potrebbero creare delle risonanze molto
fastidiose. Come al solito, è consigliabile provare sempre la
posizione dei microfoni durante il soundcheck, in modo da non
avere sorprese all'ultimo momento durante l'esecuzione.

L'amplificazione.
Sul mercato abbiamo oggi dei modelli di amplificatori costruiti per
l'impiego con chitarre acustiche. La loro circuitazione è adattata alle
specifiche frequenze dei pick up piezoelettrici, siano questi
preamplificati o no e in molti casi sono anche dotati di effetti interni,
quali chorus e riverbero, e di mandate effetti, per collegare unità
esterne di modulazione, delay e riverbero. La qualità del suono
varia da un amplificatore all'altro, ma i più pignoli preferiscono
senza ombra di dubbio la microfonatura o il collegamento in diretta
al banco di mixaggio, sentendo quindi il proprio suono nelle spie.
Per chi volesse comunque indirizzarsi sugli amplificatori ricordo i
vari modelli per acustica della Trace Elliot, anche nei modelli di solo
pre (sicuramente tra i migliori), la serie Acoustic della Marshall e i
più recenti Compact della Audio Electric Research. Un altro
modello di preampli per acustica è L'AD-5 della BOSS, con un
ottimo rapporto di qualità-prezzo.

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