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LA MEMORIA E L’IDENTITÀ
JOËL CANDAU
CAPITOLO I
MEMORIA E IDENTITÀ: DALL’INDIVIDUO ALLE RETORICHE OLISTICHE
Secondo Buñuel, la memoria è ciò che costituisce tutta la nostra vita (Buñuel, 1994).
La conoscenza di sé, come nota Lacoste, «s’incammina necessariamente sui sentieri
di una memoria di se stessi» (Lacoste, 1990).
Memoria e identità sono strettamente legate fra loro, si fondono per produrre una
traiettoria della vita, una storia, un mito, un racconto. Questa correlazione assai
complessa è oggetto di studio nel campo delle scienze umane e sociali.
Se è vero che l’identità, la memoria e il patrimonio sono le fondamenta della
coscienza contemporanea, è altrettanto vero che il patrimonio è una dimensione
della memoria, ed è la memoria (sotto forma di rappresentazioni, mito-storie,
credenze, riti, saperi, eredità, ecc.) che rafforza l’identità, sia a livello individuale che
collettivo.
senso pratico, è ciò che permette di agire come si deve senza formulare né
realizzare una norma, cioè senza presa di coscienza (Bordieu, 1998). Se andiamo
in bicicletta senza cadere ciò è grazie alla protomemoria. Nella nostra vita
quotidiano mettiamo in moto, senza rendercene conto, molteplici ricordi,
recenti o passati.
Le retoriche olistiche
Una memoria forte è una memoria organizzatrice, nel senso che è una dimensione
importante della strutturazione di un gruppo. La probabilità di riscontrare una
memoria simile è tanto più grande quanto più è limitato il gruppo. Un ottimo
esempio di memoria forte è rappresentato dai voyageurs franco-canadesi che nel
XVIII e XIX secolo lavoravano per conto delle compagnie di pellicce trasportando
la merce sulle canoe, attraverso i grandi fiumi del Nord America. Questi uomini
trascorrevano la maggior parte dell’anno fuori casa, in mezzo a territori ancora
sconosciuti, e ciò dava loro occasione d’intrecciare frequenti rapporti con i nativi
americani, tanto che finirono con l’adottare i loro costumi, e addirittura molti di essi
sposarono le loro donne. Nonostante i contatti con questi popoli, essi seppero
mantenere i valori e le credenze propri del loro mondo: cantavano canzoni tipiche
francesi, praticavano riti attinenti alla religione cattolica, e così via.*
La memoria debole è invece una memoria senza contorni ben definiti, diffusa e
superficiale che è difficilmente condivisa da un insieme di individui la cui identità
collettiva è relativamente inafferrabile. Il grado di pertinenza delle retoriche olistiche
sarà sempre più elevato in presenza di una memoria forte, vigorosa, piuttosto che di
una memoria debole, inconsistente.
CAPITOLO II
DALLA MNEMOGENESI ALLA IDENTOGENESI
Memoria e ricordi
esperienza coerente ciò che non è più con ciò che non è ancora per messo di ciò
che è presente».
Il tempo del ricordo è inevitabilmente differente dal tempo vissuto: ciò spiega i
numerosi casi di abbellimento di ricordi sgradevoli. Il ricordo è un’imago mundi che
però agisce sull’anima mundi, aggiungendovi gli elementi successivi a quello stesso
evento passato. Per la coscienza umana, niente è mai semplicemente presentato, ma
tutto è «rappresentato». Bachelard ha parlato di risonanza poetica di ogni immagine,
favorevole all’attività di immaginazione e creazione. (Bachelard, 1999).
La totalizzazione esistenziale
Siccome ciò che determina l’identità di una persona non può mai essere realmente e
completamente rimembrato, si dovrà raccontarlo, farne un «racconto d’identità», un
discorso di presentazione di sé, che avrà la forma di una «totalità significante».
Rispondere alla domanda “chi?” significa sempre raccontare la storia di una vita. Si
parla allora di nozione «d’identità narrativa». Questa narrazione è all’origine della
totalizzazione esistenziale, è una ricostruzione resa possibile dall’attitudine
propriamente umana a mettere a distanza il passato.
Secondo Schank, l’individuo, quando racconta di sé, si appoggia ai «pacchetti di
organizzazione della memoria» (MOP, Memory organization packets). Raccontare
una storia non è una semplice ripetizione, ma un vero atto di creazione. Il narratore
raccoglie, mette in ordine e rende coerenti gli avvenimenti della propria vita
giudicati significanti e significativi nel momento stesso del racconto: restituzioni,
aggiunte, invenzioni, modificazioni, semplificazioni, arricchimenti per inferenza,
schematizzazioni, dimenticanze, censure, resistenze, non-detti, rimozioni, «vita
sognata», ancoraggi e rincoraggi, interpretazioni e reinterpretazioni. Molti racconti
di sé sono effettivamente annebbiati da diversi fenomeni come l’affabulazione
autobiografica, i riarrangiamenti mitologici, ecc.
Sarebbe un errore voler valutare questa identità narrativa a partire dai criteri del
vero e del falso, rigettando le anamnesi che non sembrano credibili, perché, come
per ogni manifestazione della memoria, c’è una verità del soggetto che viene detta
negli scarti rintracciabili tra la narrazione e la «realtà» evenemenziale.
CAPITOLO III
PENSARE, CLASSIFICARE: MESSA IN MEMORIA E MESSA IN ORDINE DEL MONDO
Le memorie mitiche delle origini hanno una funzione sociale. Infatti, manifestando
spesso nostalgia per un passato dipinto con i colori del «buon tempo antico», il
narratore s’impegna in una critica della società odierna che può far trasparire
l’esigenza sottostante di cambiamenti per l’avvenire. Il contenuto della narrazione è
in questo caso una transizione tra una certa rappresentazione del passato e un
orizzonte d’attesa. Per questa stessa ragione, questa memoria portatrice di una
struttura possibile del futuro è sempre una memoria vivente.
Tuttavia vi sono dei casi, come tra i contadini della Vandea, in cui questa memoria
del buon tempo antico non funziona secondo gli schemi classici.
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CAPITOLO IV
IL RUOLO SOCIALE DELLA MEMORIA E DELL’IDENTITÀ: TRASMETTERE, RICEVERE
Quando Halbwachs assimila il pensiero sociale a una memoria, vuole affermare con
questo che esso deriva, essenzialmente, dalla trasmissione di un capitale di ricordi e
oblii.
Senza una messa in azione della memoria come trasmissione, non è più possibile
socializzazione né educazione e allo stesso tempo ogni identità culturale diventa
impossibile. La trasmissione è di conseguenza al centro di ogni approccio
antropologico della memoria. Calvet riassume gli schemi della trasmissione sociale
in quattro domande: cosa conservare? Come conservare? Come trasmettere? Se ne
può aggiungere una quinta: perché trasmettere?
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* G. Thomas, The Two Traditions: The Art of Storytelling amongst French Newfoundlanders (1993)
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Ciò che conta è la capacità della memoria di creare dei legami tra gli uomini. Per
questo bisogna che essa sia creatrice e mediatrice. Ma oggi la memoria è sempre
meno questo. La tecnica, in effetti, ci disinveste dal compito di essere proprio noi i
depositari viventi della memoria: e noi ci riferiamo sempre più a queste memorie
sempre disponibili, benché morte – o disponibili proprio perché morte.
Oggi si tende a sostenere che non esiste identità, collettiva e personale, che non si
forgi senza il ricorso allo scritto. Senza dubbio questo è vero, ma alcune forme di
trasmissione dell’identità meno esplicite conservano tutta la loro efficacia. È stato
dimostrato che i fondamenti della durata di una discendenza domestica si situano
nei segni memorativi (i ricordi intimi, i luoghi e il paesaggio che circondano la
proprietà, filmini e fotografie di famiglia) piuttosto che nelle carte di famiglia.
Questi segni memorativi servono ad affermare il carattere durevole del legame
familiare che a veicolare delle informazioni o a ricordare degli avvenimenti. È
probabile che l’invenzione della fotografia abbia favorito la costruzione e il
mantenimento di una memoria di determinati dati fattuali – avvenimenti storici, ma
anche fatti familiari – offrendo, simultaneamente, maggiori possibilità di
manipolazioni di questa memoria.
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CAPITOLO V
IL RUOLO SOCIALE DELLA MEMORIA E DELL’IDENTITÀ: FONDARE, COSTRUIRE
È senza dubbio all’interno della memoria genealogica e familiare che il ruolo della
memoria e dell’identità si mostra più facilmente. L’insieme dei ricordi che i membri
della stessa famiglia condividono partecipa all’identità particolare di questa stessa
famiglia. Malgrado i diversi tentativi di fissazione di questa memoria (registri, alberi
genealogici, ecc.), la ricerca identitaria scompiglia e rimodella regolarmente le
discendenze più precise, utilizzando in permanenza la genealogia naturalizzata
(riferita al sangue e al suolo) e la genealogia simbolizzata (in riferimento a un
racconto fondatore).
La genealogia è definita come una «ricerca ossessiva dell’identità», quanto più
vigorosa quanto più le persone hanno la sensazione di essersi allontanate dalle loro
«radici». Poiché la profondità della propria memoria non va al di là di due o tre
generazioni, la paura dell’oblio investe ogni individuo. Questa paura dell’oblio si
manifesta maggiormente nelle popolazioni urbane, tagliate fuori dai «luoghi di
memoria» tradizionali, rispetto alle società rurali dove l’interconoscenza assicurava il
mantenimento, almeno per un certo tempo, della memoria degli scomparsi.
La reminescenza comune e la ripetizione di certi rituali (pasti, feste familiari) e la
conservazione collettiva dei saperi, dei riferimenti, dei momenti familiari e dei
simboli (fotografie, luoghi, oggetti, documenti di famiglia, canzoni, ricette di cucina)
sono dimensioni essenziali del sentimento d’appartenenza e dei legami familiari che
fanno sì che i membri del parentado si considerino come una famiglia.
La memoria generazionale
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nostri antenati si sono battuti per noi», «le generazioni precedenti hanno lavorato
per noi», ecc.
Certe generazioni, però, come quelle degli emigranti di seconda generazione, sono
spesso generazioni senza memoria e non hanno niente da trasmettere.
Prosopopea
Commemorare
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* Diana Preston, Scott, l’eroe dei ghiacci. La pagina più tragica e affascinante della grande corsa
all’Antartide, Milano 1999.
Luoghi di memoria
Esistono delle città-memoria (Gerusalemme, Roma, ecc,.) nei quali si affermano con
decisione delle identità locali. I paesaggi pure possono contribuire alla nascita di una
memoria condivisa, influenzando il sentimento di identità nazionale. Per esempio,
la tradizione poetica della «dolce Francia» rimanda a una geografia (campi
coltivati, frutteti, vigne, boschi e corsi d’acqua) come a una storia o ai miti e
ai racconti leggendari relativi a questo o a quel luogo particolare. Se un’identità
europea ha difficoltà a costituirsi, può essere in parte perché trova difficilmente
dei luoghi di memoria veramente europei sui quali potrebbe fondarsi.
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CAPITOLO VI
L’ESAURIMENTO E IL CROLLO DELLE GRANDI MEMORIE ORGANIZZATRICI
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