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In effetti, nei loro intenti, il potere non doveva passare dal sovrano al popolo,
bensì dal sovrano al ceto aristocratico ed europeo, lasciando fuori dalla storia la
maggioranza della popolazione, non europea.
I Libertadores
La crisi dell’indipendenza
Nel 1815, ritornato Fernando VII sul trono vennero inviati diecimila uomini
dalla Spagna comandati dal generale Morillo e a Caracas si preparavano a dare il
colpo di grazia alla rivoluzione della Nueva Granada. Nel 1815 solo metà della parte
meridionale era in mano ai rivoluzionari. La rivoluzione aveva provocato ovunque
risultati analoghi. Solo in Venezuela e in qualche zona del Rìo de la Plata vi era stata
una vera mobilitazione popolare. Tra le conseguenze principali vi furono i
cambiamenti in ambito militare. Vennero costruiti eserciti sempre più numerosi di
soldati reclutati tra la plebe e le caste inferiori, che potevano fare carriera militare
esattamente come gli spagnoli. Bisognava mettere a loro disposizione dei mezzi e
questo ebbe come conseguenza un impoverimento economico, accompagnato poi
dall’epurazione politica. La trasformazione della rivoluzione in un processo che
interessa altri gruppi ai margini della élite creola e spagnola, ha avuto uno sviluppo
diverso in base alle regioni: cospicuo in Venezuela, minimo nella Nueva Granada,
meno esteso nel Rìo de la Plata, intenso in Cile.
San Martìn voleva arrivare in Perù passando dal Cile e per via mare, dato che
Lima era inaccessibile perché protetta dalle montagne. Per mettere in atto il suo
piano egli poteva contare sull’appoggio dei cileni guidati da O’Higgins e
sull’appoggio del governo di Buenos Aires. All’inizio del 1817 cominciava
l’avanzata verso il Cile: il 12 febbraio la vittoria di Chacabuco apriva la strada per
Santiago, dove O’Higgins venne proclamato capo supremo della repubblica cilena.
La riconquista del Cile rappresentava un primo passo dell’avanzata su Lima. Formata
una marina da guerra, nel 1820 San Martìn partiva per liberare il Perù. Nonostante
non avesse abbastanza uomini, San Martìn confidava nel fatto di poter portare dalla
sua parte i soldati dell’esercito regio. Nel 1821 il comandante La Serna iniziò
trattative con San Martìn e in luglio venne occupata la capitale, dove venne istituito
un governo autonomo. Tuttavia, l’impresa della liberazione non era ancora terminata.
San Martìn aveva bisogno dell’aiuto di Bolìvar proveniente dal settentrione. Bolìvar
nel 1817 era già un veterano della rivoluzione e a differenza di San Martìn non
poteva contare su nessun appoggio da parte dell’America spagnola. Aveva passato
molto tempo in Europa, dove aveva maturato una visione originale della futura
rivoluzione americana: fedelissimo alla repubblica, essa doveva essere di tipo
autoritario. Grazie all’alleanza con José Antonio Pàez, Bolìvar riesce a penetrare
nell’interno del Venezuela: con la vittoria della battaglia di Boyacà nel 1819 i
liberatori si assicurano il possesso di Bogotà e di tutta la parte settentrionale e
centrale della Nueva Granada. Comincia così a prendere forma la repubblica di
Colombia, che doveva comprendere tutti i territori della Nueva Granada. La vittoria
di Carabobo, nel 1821, apriva a Bolìvar la strada su Caracas. Quello stesso anno
Sucre, il luogotenente del libertador, liberava Quito. Con l’assemblea di Cùcuta il
Venezuela, la Nueva Granada e Quito perdevano la loro autonomia e i distretti in cui
si suddivideva il vasto territorio colombiano sarebbero stati affidati al governo di
funzionari di Bogotà. L’organizzazione del nuovo Stato fu affidata al presidente
Santander. L’ammodernamento sociale era però ostacolato dalla resistenza della
chiesa e dai gruppi favoriti dal vecchio ordinamento. L’autorità di Bogotà sul
Venezuela restò sempre limitata e anche in Nueva Granada si avvertivano resistenze.
I capi venezuelani sollecitavano Bolìvar a fare da intermediario e da arbitro nei
confronti del governo di Bogotà. Per quanto riguarda la questione peruviana, Bolìvar
e San Martìn si incontrarono nel 1822 a Guayaquil: dopo aver dichiarato di essere
disposto a continuare la guerra sotto il comando di Bolìvar, San Martìn si ritirò dal
Perù. Quando Bolìvar entrò nel 1823 trovò la rivoluzione in sfacelo. Agli inizi del
1824 una rivolta della guarnigione argentina consegnò il Callao ai legittimisti e il
presidente del Perù passò dalla parte degli spagnoli. La vittoria di Junìn nell’agosto
1824 consentì a Bolìvar l’ingresso alla sierra, lo stesso anno Sucre sconfiggeva il
viceré e lo faceva prigioniero. Con la caduta di Callao nel 1826 termina la resistenza
peruviana.
Il Messico era indipendente già dal 1821. Questo era l’esito di una
rivoluzione ben diversa dal resto delle rivoluzioni sudamericane. Non era stata
avviata dalle élites creole, all’inizio era una rivolta di indi e meticci. Nel 1808 vi era
stata in Messico una prima prova di forza tra élites creole e peninsulari; gli spagnoli
uscirono allora vittoriosi, ma nel 1810 entrava in scena Miguel Hidalgo che
proclamava la rivoluzione contro i peninsulari. Braccianti agricoli e poi minatori si
unirono alle forze rivoluzionarie che occupavano Guanajuato compiendo un
massacro con l’assalto all’Alhòndiga, il magazzino pubblico del grano dove si erano
rifugiati i notabili spagnoli e creoli della città. I ricchi creoli dopo questo episodio si
allontanarono dal movimento rivoluzionario. In ottobre la rivoluzione si avvicinò a
Città del Messico, ma gli uomini di Hidalgo vennero sconfitti. Le forze
rivoluzionarie si disgregarono, dopo una ritirata che si trasformò in fuga, Hidalgo
venne giustiziato. La rivoluzione trovò un nuovo capo in José Maria Morelos. Nel
1812 Morelos riesce a dominare le regioni meridionali; il suo intento era quello di
utilizzare il movimento indigeno per una rivoluzione nazionale ma venne sconfitto e
giustiziato nel 1815. Restavano ancora alcuni focolai rivoluzionari. La rivolta
contadina era stata soffocata quasi ovunque, negli anni successivi tra i creoli della
capitale parve rinascere lentamente un certo spirito di rivolta. La rivoluzione liberale
in Spagna scatenò immediatamente il movimento di indipendenza in Messico.
Augustìn de Itùrbide si accordò con Guerrero sul piano di Iguala che confermava tre
punti fondamentali: indipendenza, unità nella religione cattolica, eguaglianza dei
creoli e peninsulari; inoltre, prevedeva un Messico indipendente governato da un
principe spagnolo scelto da Fernando VII. Alla sollevazione seguì una marcia
militare; Itùrbide raccolse numerosi consensi ed entrò nella capitale. Nel 1821 il
Messico proclamava la sua indipendenza.
Definire una novela historica in senso stretto significa dire che essa sviluppa
un’azione romanzata nel passato; i suoi personaggi principali sono immaginari ma vi
sono anche dei personaggi storici che, insieme ai fatti storici realmente accaduti,
costituiscono un elemento secondario. Affinché una novela historica sia veramente
storica deve ricostruire l’epoca in cui si situa l’azione.
Per sua natura la novela historica è un genere ibrido che mescola finzione e
realtà. La maggior difficoltà per un novelista historico risiede nell’incontrare
l’equilibrio giusto tra l’elemento e i personaggi storici e l’elemento e i personaggi
fittizi, senza che uno dei due aspetti prevalga sull’altro. Secondo Lukàcs, la novela
historica classica nasce all’inizio del XIX secolo come conseguenza di una serie di
circostanze storico-sociali, coincide approssimamente con la caduta dell’impero di
Napoleone Bonaparte nel 1815. Tuttavia, esistono dei romanzi storici anteriori a
questo periodo, ma in essi non vi riscontriamo la volontà di voler ricostruire il
passato. Waverley di Walter Scott, del 1814, è considerata la prima novela historica:
Scott, considerato padre del romanzo storico, partendo dal romanzo sociale, crea la
novela historica moderna in un momento in cui in Europa si verificano alcune
circostanze che ne facilitano lo sviluppo. In effetti, con la Rivoluzione francese e le
guerre napoleoniche, si creano i primi grandi eserciti di massa e il popolo comincia a
prendere coscienza della propria importanza storica. Inoltre, queste lotte sveglieranno
il sentimento nazionalista nei territori sottomessi, che condurrà a un’esaltazione del
passato nazionale e alla crescita di un profondo interesse per la storia. Insomma,
Scott vive in un’epoca di profondi cambi e collocherà i suoi romanzi in alcuni
momenti cruciali della storia inglese.
Tutta una serie di fattori facilita, dunque, la nascita della novela historica
europea. Tuttavia, secondo l’opinione di Maria Isabel Montesinos bisogna attendere
fino a dopo il 1848 per osservare una vera ripercussione nella letteratura della novela
historica di Scott. Scott ebbe numerosi imitatori tra gli scrittori del Romanticismo e
le idee romantiche esercitarono una grande influenza nella storiografia della prima
metà del secolo XIX.
La novela historica nasce nel XIX secolo con Walter Scott e, nel caso della
Spagna, con i suoi imitatori. Tuttavia, è possibile riscontrare nella letteratura
spagnola alcuni antecedenti di questo modo di fare la letteratura. Sono molte le opere
che in cui incontriamo elementi propri del romanzo storico: epopee, croniche,
traduzioni di leggende arabe e orientali, racconti di cavalleria con sfondo storico, ecc.
Perché si scrive una novela historica? Tutti, chi più chi meno, siamo
interessati al passato e alla storia. Più conosciamo il nostro passato, meglio possiamo
conoscere il nostro presente e affrontare il futuro. Nella storia l’uomo può ricercare
la propria identità, la storia contribuisce ad evitare l’oblio del passato. Inoltre, nel
romanzo storico possiamo incontrare valori e sentimenti universali. La novela
historica può essere uno strumento di lotta, di critica, ed è di facile di lettura. Può
anche convertirsi in un veicolo del sentimento nazionalista, ma può avere anche
ragioni esterne come la moda o il successo.
A seconda della concezione della storia che lo storico professa ci sono diversi
modi di raccontarla o presentarla. Essenzialmente sono due: historiografia objetivista
y documentalista, da un lato; dall’altro, la historiografia interpretativa e narrativa. La
concezione teologica e ciclica della storia genera la prima.
Uno degli elementi più caratteristici del modello ilusionista è l’afan degli
autori nel creare l’illusione di autenticità della narrazione. Questo affanno è visibile
soprattutto nella struttura della narrazione. L’autore spesso afferma che la storia che
racconta è una storia realmente accaduta. L’attitudine che soggiace a questo tipo di
struttura è il dialogo del narratore con la storia, ovvero, si concede alla storia e al
narratore capacità interlocutiva. La storia si presenta come una totalità continua,
unità a una vision desde arriba.