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L’ordine delle province americane si reggeva 

su degli equilibri non


ufficializzati. Il sistema si basava sulla corruzione, lo sfruttamento della
manodopera locale e la posizione privilegiata dei creoli. Fu attraverso lo
spodestamento di questi, che sino ad allora avevano monopolizzato l’economia
locale con un alto grado di libertà dalle prerogative della Corona, che iniziò a
erodersi il patto coloniale. Questo sconvolgimento avvenne nel corso del Settecento,
sotto la dinastia dei Borbone e l’emanazione di una serie di riforme da parte
di Carlo III, conosciute per l’appunto come le riforme borboniche. Queste non
furono causa diretta né unica della volontà di distaccarsi dalla Spagna, ma senza
dubbio contribuirono a dare vita ai tumulti che portarono a tale esito. Le riforme
arrivarono dall’esterno, come tre secoli prima erano arrivati da fuori anche i
conquistadores, e ancora una volta sconvolsero l’ordine del continente. Il loro solo
obiettivo era quello di migliorare la situazione della Spagna continentale.
Attraverso uno stretto controllo amministrativo, Madrid sperava di frenare la
corruzione, il contrabbando e il potere che avevano man mano ottenuto diverse
corporazioni, come la Chiesa cattolica e i Consulados comerciales, principalmente
controllati dai creoli. In tal modo i guadagni indirizzati a questi ultimi sarebbero
finiti nelle casse reali. Lo scopo era quello di ricavare maggiori imposte e risorse dai
territori, nel tentativo di frenare il declino del regno. Il tutto era inserito nel quadro
più ampio del processo di modernizzazione portato avanti dalla dinastia dei Borbone,
per provare a stare al passo con i Paesi del nord d’Europa. Così venne creata una élite
amministrativa di spagnoli, i cosiddetti peninsulares, che diversamente dai creoli
avrebbero gestito le colonie e il loro commercio senza diretti interessi. Per vigilare al
meglio sulle dinamiche di quei territori, questi vennero divisi in ulteriori unità
amministrative. L’importanza della delimitazione di tali spazi sta nel fatto che
proprio da questi nasceranno i nuovi Stati americani. Vennero vietati la produzione
manifatturiera locale e il commercio con altre potenze, incentivando l’estrazione
mineraria e di conseguenza relegando i territori americani esclusivamente
a produttori di materie prime. La manovra più significativa fu probabilmente quella
di ridimensionare il potere della Chiesa cattolica e di espropriarne i possedimenti,
tramite la formazione di un clero secolarizzato. L’ordine dei gesuiti, perno della
Chiesa nonché del ceto creolo nelle colonie, venne espulso. Il paradosso di queste
riforme sta nel loro risultato, opposto a quello voluto. Il controllo più ferreo
attraverso la centralizzazione e spagnolizzazione amministrativa, la gerarchizzazione
dei territori - in cui per la prima volta quelli americani erano sottoposti a quelli
europei - e la secolarizzazione del clero provocarono un’americanizzazione
dell’immaginario collettivo.

Il legame con la madrepatria cominciò a essere percepito diversamente, con


forti risentimenti da parte delle élite creole. Tra di esse si diffuse la sensazione di
essere state tradite e declassate, e allo stesso tempo cominciò a fiorire un sentimento
patriottico, ormai distaccato da quello europeo. Quel che fino ad allora continuò a
reggere il patto coloniale, come era stato sin dagli albori, fu però l’obbedienza al re.
Ma dietro la figura del sovrano, che in quelle terre non mise mai piede –
diversamente da quanto avvenne nei territori portoghesi – il vero collante della
società organica americana era la Chiesa cattolica. Il suo ridimensionamento fu
determinante nel creare aspri risentimenti verso i regnanti, da sempre lontani.
Il clima intellettuale di quel periodo fu plasmato principalmente da due
eventi: l’indipendenza degli Stati Uniti avvenuta nel 1776 e la Rivoluzione
francese del 1789. Quando parliamo di intellettuali in America latina in quell’epoca
ci riferiamo esclusivamente ai creoli, che avevano accesso ad alti livelli di
educazione, spesso anche con formazioni avvenute direttamente in Europa. Quelle
due date di fine Settecento alzarono in alto le bandiere del liberalismo, della
sovranità popolare e della Costituzione, come risposte al colonialismo,
all’assolutismo e all’ancien régime. Ma la particolarità che contrassegnò le
indipendenze latino-americane fu la cultura politica delle élite, che restò
fortemente arcaica e nettamente illiberale. 

In effetti, nei loro intenti, il potere non doveva passare dal sovrano al popolo,
bensì dal sovrano al ceto aristocratico ed europeo, lasciando fuori dalla storia la
maggioranza della popolazione, non europea.

In realtà, i tumulti che marcarono i decenni tra Settecento e Ottocento non


furono unicamente per iniziativa creola. Nonostante le rivendicazioni fossero
molteplici e non parlassero direttamente di indipendenza, ma piuttosto di passati
utopici da recuperare, quel periodo conobbe diverse rivolte popolari indigene,
meticce e nere. Queste posero una vera e propria sfida al sistema tradizionale. Lo
scettro della rivoluzione nera e mulatta di Haiti, e il suo successo, portò i creoli a
preferire quella sottomissione ormai scomoda alla Spagna piuttosto che un’eventuale
rivoluzione sociale dei ceti più bassi. La lealtà al sovrano cominciò a svanire quando
questo non seppe più garantire l’ordine coloniale.

Le cose cambiarono e precipitarono con gli eventi che sconvolsero l’Europa


all’inizio dell’Ottocento. Per l’ennesima e non ultima volta, la storia dell’America fu
segnata dalla storia del vecchio continente. L’emancipazione sarà una risposta a
quello che avveniva in Europa e una prerogativa di una minoranza, più un autonomo
progetto locale e popolare. Nel 1808 le truppe napoleoniche, in un gioco di alleanze
e di conflitti con la Gran Bretagna, invasero la Spagna, obbligando il re Carlo IV ad
abdicare in favore del fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte. Le colonie
proclamarono la non obbedienza all’autorità francese ribadendo la propria lealtà
al re deseado, il figlio di Carlo IV, Ferdinando VII. Queste dichiarazioni avvennero
tramite le juntas dei territori coloniali, assemblee stabilite per autogovernarsi davanti
a un trono percepito come vuoto. Questo esercizio di potere locale rappresentò una
prima esperienza di autonomia, che venne difficilmente dimenticata una volta
ristabilitosi l’ordine a Madrid nel 1814. Inoltre, Ferdinando VII, una volta al potere,
decise di mandare l’esercito per sottomettere nuovamente le colonie. Fu qui che
l’autogoverno, l’influenza degli ideali rivoluzionari e delle esperienze a Nord del
continente, nonché gli effetti delle riforme borboniche, si tradussero in lunghe e
sparse guerre, capeggiate dai creoli.

I Libertadores

I personaggi più importanti in questi processi furono il “venezuelano” Simón


de Bolívar e “l’argentino” José de San Martín, a tutti gli effetti esponenti del ceto
creolo. Il primo fu responsabile della liberazione dei Paesi a nord del Sud America e
sognava l’unione di tutte le ex colonie spagnole in una federazione di repubbliche,
mentre il secondo liberò gli Stati del sud e auspicava la restaurazione della
monarchia sotto un principe europeo. Si incontrarono nel 1822 nella città di
Guayaquil, nell’odierno Ecuador, per discutere delle rispettive mire politiche. Per
quanto prevalse la visione di Bolívar, il suo progetto, che era iniziato l’anno
precedente con la creazione della Gran Colombia, che univa Venezuela, Colombia,
Panama ed Ecuador, si dissolse nel giro di un decennio. Ciononostante, si
consolideranno numerosi Stati, attraversando sia conflitti territoriali con i Paesi
limitrofi che lotte interne sanguinose, nonché lunghe dittature e il susseguirsi
di golpes. La travagliata storia politica altro non è che l’eredità del sistema coloniale
e del suo rapido disgregarsi per mano degli interessi di una minoranza europea. Il
particolarismo e la discriminazione razziale, dopotutto, erano arrivati in America nel
1492, per restarvi.

La crisi dell’indipendenza

L’inizio dell’Ottocento coincide con una fase di rapida disgregazione: nel


1825 il Portogallo aveva perso i suoi territori americani e la Spagna aveva conservato
solo Cuba e Puerto Rico. I motivi di questa crisi vanno ricercati a posteriori.

Per quanto riguarda l’America spagnola, importanti furono le conseguenze


della riforma del patto coloniale, che faceva sentire con maggiore durezza il peso
della madrepatria sull’economia delle colonie. Sul piano politico-amministrativo
assicurò un’amministrazione più efficiente di quella precedente, ma causò un
malcontento generale tra i coloni: essi preferivano un’amministrazione meno
efficiente e meno temibile. Inoltre, ad aumentare lo scontento generale, vi era la ben
nota preferenza della corona per i funzionari metropolitani. L’ostilità verso i
peninsulari e l’opposizione al crescente accentramento dilagavano nelle colonie. La
stessa resistenza si manifestava anche di fronte alle modificazioni nella struttura
commerciale. Altri motivi che segnarono la fine dell’ordine coloniale si possono
ricercare nel rinnovamento ideologico che la cultura ispanoamericana attraversava
nel corso del XVIII secolo. A partire dal 1790 i sintomi di questo malcontento
sfociano, in alcune città dell’America latina, in insurrezioni che avvengono in
ambienti ristretti.

Nell’America spagnola la crisi dell’indipendenza è la conseguenza della


disgregazione del potere spagnolo, iniziato nel 1795. Un primo aspetto della crisi era
il progressivo isolamento del centro metropolitano. La guerra con la Gran Bretagna
tiene impegnata la Spagna sull’Atlantico, allontanandola dalle Indie. Un insieme di
provvedimenti di emergenza autorizza l’apertura del commercio coloniale con altre
regioni e concede ai coloni la libertà di viaggiare per le vie interne dell’impero.
Questa politica di apertura viene accolta con entusiasmo nelle colonie, alle quali si
aprono nuove possibilità. Nel 1805 la battaglia di Trafalgar dà il colpo di grazia alle
comunicazioni atlantiche della Spagna e le guerre napoleoniche minano il suo
dominio oltreoceano.

In Latino America scoppiano le tensioni accumulate negli anni precedenti. Le


élites urbane e creole non hanno fiducia reciproca: per i peninsulari gli americani
attendono il crollo della Spagna antinapoleonica per conquistare l’indipendenza; per
gli americani, i peninsulari mirano a garantire il possesso delle colonie a una futura
Spagna inserita nel sistema francese. I peninsulari danno i primi colpi
all’amministrazione coloniale. In Messico, gli spagnoli insorgono contro il viceré per
creare una giunta di governo che governi in nome di Fernando VII; nel Rìo de la
Plata si cerca di sostituire Liniers; a Montevideo dominano gli ufficiali spagnoli.
Questi episodi seguono uno schema che si ripeterà più tardi e che sarà ripreso anche
dai movimenti creoli. I movimenti creoli erano riusciti a mantenersi nell’ambito della
legalità, ma nel 1809 si giunse alla ribellione aperta. Tutti questi episodi stavano
soltanto preparando la rivoluzione e mostravano la debolezza delle strutture
coloniali.

Nel 1810 la disfatta della Spagna antinapoleonica e la perdita dell’Andalusia


limitavano a Cadice e a qualche isola del suo golfo i territori rimasti fedeli al re. La
caduta della giunta suprema di Siviglia viene sostituita da un organismo sorto a
Cadice. Ed è proprio con la caduta di Siviglia che scoppiano le rivoluzioni coloniali.
All’inizio si svolgono in una scena ristretta, ma via via si allargano. Dalla rivoluzione
coloniale si passa quasi immediatamente alla guerra civile: fino al 1814 la Spagna
non può inviare truppe contro le colonie in rivolta; le truppe spagnole svolgono un
ruolo efficace solo in Venezuela e nella Nueva Granada (gruppo di provincie
coloniali settentrionali governate dall’audiencia di Bogotà). Nel Rìo de la Plata la
giunta rivoluzionaria invia due spedizioni militari: quella comandata da Belgrano in
Paraguay fallisce; la seconda conquista Còrdoba (Argentina), raccoglie le adesioni
del Tucumàn e occupa l’Alto Perù. Nel 1811 però l’Alto Perù si sottrae ai
rivoluzionari.

La rivoluzione del 1810 fu il punto di partenza per una nuova secessione:

- a Montevideo (Uruguay) oltre all’antagonismo con il porto rivale di Buenos


Aires, si fa sentire la pressione della marina spagnola. Il governo rivoluzionario si
decide a un’azione militare, interrotta con la firma nel 1811 di un armistizio.

- nella Banda Oriental scoppia una rivoluzione contadina guidata da José


Artigas.

Nel 1814 il generale Alvear, inviato dalla Spagna, conquista Montevideo; il


movimento di Artigas dilaga nei territori già sottoposti all’intendenza militare di
Buenos Aires e le provincie di Santa Fe, Entre Rìos e Corrientes si davano un
ordinamento politico. Artigas viene proclamato protettore dei popoli liberi e la sua
influenza si affermò nel 1815 anche a Còrdoba, oltrepassando i limiti della fascia
litoranea dedita all’allevamento e tributaria commerciale di Buenos Aires. Il
movimento di Artigas si urtò così con la resistenza del governo rivoluzionario di
Buenos Aires, che temeva uno scompiglio dell’ordine sociale.

Il Cile era invece riluttante ad assumere atteggiamenti rivoluzionari e dovette


procedere alla costruzione di un esercito per fronteggiare la minaccia costituita dal
Perù. Nel 1811 una cospirazione monarchica venne duramente repressa con
esecuzioni e lo scioglimento dell’audencia. José Miguel Carrera salì poi al potere
grazie a un colpo di stato militare. All’inizio del 1813 truppe sbarcate dal Perù nel
Cile meridionale iniziavano la lotta contro la rivoluzione. Questa venne sconfitta
nell’assedio di Chillàn. A Carrera si opponeva O’Higgins, che capeggiava una nuova
ala di moderati legati alla causa rivoluzionaria.
In Venezuela la rivoluzione del giovedì santo 1810 aveva messo do fronte al
capitanato una giunta di ventitré membri presieduta da Miranda. Miranda si adoperò
a costruire un apparato militare efficiente e orientato in senso radicale. Nel 1811 la
rivoluzione venezuelana proclamava l’indipendenza dalla Spagna. Il movimento
rivoluzionario si era esteso al litorale, ma l’interno e la parte occidentale
continuavano a dichiararsi fedeli al re, e Coro era ancora governata da Monteverde.
Monteverde avanzò lentamente verso oriente senza incontrare una resistenza
energica da parte di Miranda, che aveva perso fede negli ideali rivoluzionari. Il 30
giugno la guarnigione rivoluzionaria di Puerto Cabello si dichiarava per la causa
monarchica. Bolìvar tentò invano di soffocare la ribellione. Firmato l’armistizio,
Miranda viene portato in carcere e Bolìvar si rifugia a Nueva Granada. La lotta viene
però ripresa ad est da pescatori e marinai. Marino, capo della sollevazione di
Cumanà, avanza da oriente, Bolìvar torna sulle Ande venezuelane. Avanza verso
Caracas e il 15 giugno 1813 dichiara la guerra a morte. Bolìvar entra a Caracas in
agosto, mentre Monteverde si rifugia a Puerto Cabello. La resistenza monarchica
trovò un nuovo leader in Boves e i suoi llaneros sconfissero le truppe di Marino e di
Bolìvar.

Nel 1815, ritornato Fernando VII sul trono vennero inviati diecimila uomini
dalla Spagna comandati dal generale Morillo e a Caracas si preparavano a dare il
colpo di grazia alla rivoluzione della Nueva Granada. Nel 1815 solo metà della parte
meridionale era in mano ai rivoluzionari. La rivoluzione aveva provocato ovunque
risultati analoghi. Solo in Venezuela e in qualche zona del Rìo de la Plata vi era stata
una vera mobilitazione popolare. Tra le conseguenze principali vi furono i
cambiamenti in ambito militare. Vennero costruiti eserciti sempre più numerosi di
soldati reclutati tra la plebe e le caste inferiori, che potevano fare carriera militare
esattamente come gli spagnoli. Bisognava mettere a loro disposizione dei mezzi e
questo ebbe come conseguenza un impoverimento economico, accompagnato poi
dall’epurazione politica. La trasformazione della rivoluzione in un processo che
interessa altri gruppi ai margini della élite creola e spagnola, ha avuto uno sviluppo
diverso in base alle regioni: cospicuo in Venezuela, minimo nella Nueva Granada,
meno esteso nel Rìo de la Plata, intenso in Cile.

Continuò la guerra civile, che ben presto si trasformò in guerra coloniale. Si


apre la seconda fase della rivoluzione ispanoamericana. Tra la prima e la seconda
fase della rivoluzione in Europa avvenne la Restaurazione. Gran Bretagna e USA,
pur non dichiarando apertamente il loro appoggio alla causa rivoluzionaria, si
impegnarono a fornire ai legittimisti le armi necessarie per fronteggiare gli avversari.
La Spagna, impegnata in Europa con la Restaurazione, si avviava a perdere il
dominio nelle colonie. L’Alto Perù, le zone montuose del basso Perù e il Cile
meridionale erano ancora fedeli al re. L’avanzata della rivoluzione avviene grazie
all’opera di San Martìn e Bolìvar.

San Martìn voleva arrivare in Perù passando dal Cile e per via mare, dato che
Lima era inaccessibile perché protetta dalle montagne. Per mettere in atto il suo
piano egli poteva contare sull’appoggio dei cileni guidati da O’Higgins e
sull’appoggio del governo di Buenos Aires. All’inizio del 1817 cominciava
l’avanzata verso il Cile: il 12 febbraio la vittoria di Chacabuco apriva la strada per
Santiago, dove O’Higgins venne proclamato capo supremo della repubblica cilena.
La riconquista del Cile rappresentava un primo passo dell’avanzata su Lima. Formata
una marina da guerra, nel 1820 San Martìn partiva per liberare il Perù. Nonostante
non avesse abbastanza uomini, San Martìn confidava nel fatto di poter portare dalla
sua parte i soldati dell’esercito regio. Nel 1821 il comandante La Serna iniziò
trattative con San Martìn e in luglio venne occupata la capitale, dove venne istituito
un governo autonomo. Tuttavia, l’impresa della liberazione non era ancora terminata.
San Martìn aveva bisogno dell’aiuto di Bolìvar proveniente dal settentrione. Bolìvar
nel 1817 era già un veterano della rivoluzione e a differenza di San Martìn non
poteva contare su nessun appoggio da parte dell’America spagnola. Aveva passato
molto tempo in Europa, dove aveva maturato una visione originale della futura
rivoluzione americana: fedelissimo alla repubblica, essa doveva essere di tipo
autoritario. Grazie all’alleanza con José Antonio Pàez, Bolìvar riesce a penetrare
nell’interno del Venezuela: con la vittoria della battaglia di Boyacà nel 1819 i
liberatori si assicurano il possesso di Bogotà e di tutta la parte settentrionale e
centrale della Nueva Granada. Comincia così a prendere forma la repubblica di
Colombia, che doveva comprendere tutti i territori della Nueva Granada. La vittoria
di Carabobo, nel 1821, apriva a Bolìvar la strada su Caracas. Quello stesso anno
Sucre, il luogotenente del libertador, liberava Quito. Con l’assemblea di Cùcuta il
Venezuela, la Nueva Granada e Quito perdevano la loro autonomia e i distretti in cui
si suddivideva il vasto territorio colombiano sarebbero stati affidati al governo di
funzionari di Bogotà. L’organizzazione del nuovo Stato fu affidata al presidente
Santander. L’ammodernamento sociale era però ostacolato dalla resistenza della
chiesa e dai gruppi favoriti dal vecchio ordinamento. L’autorità di Bogotà sul
Venezuela restò sempre limitata e anche in Nueva Granada si avvertivano resistenze.
I capi venezuelani sollecitavano Bolìvar a fare da intermediario e da arbitro nei
confronti del governo di Bogotà. Per quanto riguarda la questione peruviana, Bolìvar
e San Martìn si incontrarono nel 1822 a Guayaquil: dopo aver dichiarato di essere
disposto a continuare la guerra sotto il comando di Bolìvar, San Martìn si ritirò dal
Perù. Quando Bolìvar entrò nel 1823 trovò la rivoluzione in sfacelo. Agli inizi del
1824 una rivolta della guarnigione argentina consegnò il Callao ai legittimisti e il
presidente del Perù passò dalla parte degli spagnoli. La vittoria di Junìn nell’agosto
1824 consentì a Bolìvar l’ingresso alla sierra, lo stesso anno Sucre sconfiggeva il
viceré e lo faceva prigioniero. Con la caduta di Callao nel 1826 termina la resistenza
peruviana.

Il Messico era indipendente già dal 1821. Questo era l’esito di una
rivoluzione ben diversa dal resto delle rivoluzioni sudamericane. Non era stata
avviata dalle élites creole, all’inizio era una rivolta di indi e meticci. Nel 1808 vi era
stata in Messico una prima prova di forza tra élites creole e peninsulari; gli spagnoli
uscirono allora vittoriosi, ma nel 1810 entrava in scena Miguel Hidalgo che
proclamava la rivoluzione contro i peninsulari. Braccianti agricoli e poi minatori si
unirono alle forze rivoluzionarie che occupavano Guanajuato compiendo un
massacro con l’assalto all’Alhòndiga, il magazzino pubblico del grano dove si erano
rifugiati i notabili spagnoli e creoli della città. I ricchi creoli dopo questo episodio si
allontanarono dal movimento rivoluzionario. In ottobre la rivoluzione si avvicinò a
Città del Messico, ma gli uomini di Hidalgo vennero sconfitti. Le forze
rivoluzionarie si disgregarono, dopo una ritirata che si trasformò in fuga, Hidalgo
venne giustiziato. La rivoluzione trovò un nuovo capo in José Maria Morelos. Nel
1812 Morelos riesce a dominare le regioni meridionali; il suo intento era quello di
utilizzare il movimento indigeno per una rivoluzione nazionale ma venne sconfitto e
giustiziato nel 1815. Restavano ancora alcuni focolai rivoluzionari. La rivolta
contadina era stata soffocata quasi ovunque, negli anni successivi tra i creoli della
capitale parve rinascere lentamente un certo spirito di rivolta. La rivoluzione liberale
in Spagna scatenò immediatamente il movimento di indipendenza in Messico.
Augustìn de Itùrbide si accordò con Guerrero sul piano di Iguala che confermava tre
punti fondamentali: indipendenza, unità nella religione cattolica, eguaglianza dei
creoli e peninsulari; inoltre, prevedeva un Messico indipendente governato da un
principe spagnolo scelto da Fernando VII. Alla sollevazione seguì una marcia
militare; Itùrbide raccolse numerosi consensi ed entrò nella capitale. Nel 1821 il
Messico proclamava la sua indipendenza.

In Brasile la situazione era diversa e costituisce un utile termine di paragone.


Le diversità tra l’indipendenza del Brasile e quella degli altri paesi dell’America
latina sono la conseguenza di un processo di differenziazione che ha origini lontane.
Retrospettiva sull’evoluzione del romanzo storica

Storia e letteratura si sono sviluppati sempre di pari passo. La frontiera che li


separava è stata permeabile lungo gli anni e si sono verificati diversi mescolamenti
tra un genere e l’altro.
Ma cos’è una novela historica?
Quali requisiti deve avere una novela per essere considerata storica?

Definire una novela historica in senso stretto significa dire che essa sviluppa
un’azione romanzata nel passato; i suoi personaggi principali sono immaginari ma vi
sono anche dei personaggi storici che, insieme ai fatti storici realmente accaduti,
costituiscono un elemento secondario. Affinché una novela historica sia veramente
storica deve ricostruire l’epoca in cui si situa l’azione.
Per sua natura la novela historica è un genere ibrido che mescola finzione e
realtà. La maggior difficoltà per un novelista historico risiede nell’incontrare
l’equilibrio giusto tra l’elemento e i personaggi storici e l’elemento e i personaggi
fittizi, senza che uno dei due aspetti prevalga sull’altro. Secondo Lukàcs, la novela
historica classica nasce all’inizio del XIX secolo come conseguenza di una serie di
circostanze storico-sociali, coincide approssimamente con la caduta dell’impero di
Napoleone Bonaparte nel 1815. Tuttavia, esistono dei romanzi storici anteriori a
questo periodo, ma in essi non vi riscontriamo la volontà di voler ricostruire il
passato. Waverley di Walter Scott, del 1814, è considerata la prima novela historica:
Scott, considerato padre del romanzo storico, partendo dal romanzo sociale, crea la
novela historica moderna in un momento in cui in Europa si verificano alcune
circostanze che ne facilitano lo sviluppo. In effetti, con la Rivoluzione francese e le
guerre napoleoniche, si creano i primi grandi eserciti di massa e il popolo comincia a
prendere coscienza della propria importanza storica. Inoltre, queste lotte sveglieranno
il sentimento nazionalista nei territori sottomessi, che condurrà a un’esaltazione del
passato nazionale e alla crescita di un profondo interesse per la storia. Insomma,
Scott vive in un’epoca di profondi cambi e collocherà i suoi romanzi in alcuni
momenti cruciali della storia inglese.
Tutta una serie di fattori facilita, dunque, la nascita della novela historica
europea. Tuttavia, secondo l’opinione di Maria Isabel Montesinos bisogna attendere
fino a dopo il 1848 per osservare una vera ripercussione nella letteratura della novela
historica di Scott. Scott ebbe numerosi imitatori tra gli scrittori del Romanticismo e
le idee romantiche esercitarono una grande influenza nella storiografia della prima
metà del secolo XIX.

La novela historica nasce nel XIX secolo con Walter Scott e, nel caso della
Spagna, con i suoi imitatori. Tuttavia, è possibile riscontrare nella letteratura
spagnola alcuni antecedenti di questo modo di fare la letteratura. Sono molte le opere
che in cui incontriamo elementi propri del romanzo storico: epopee, croniche,
traduzioni di leggende arabe e orientali, racconti di cavalleria con sfondo storico, ecc.

Perché si scrive una novela historica? Tutti, chi più chi meno, siamo
interessati al passato e alla storia. Più conosciamo il nostro passato, meglio possiamo
conoscere il nostro presente e affrontare il futuro. Nella storia l’uomo può ricercare
la propria identità, la storia contribuisce ad evitare l’oblio del passato. Inoltre, nel
romanzo storico possiamo incontrare valori e sentimenti universali. La novela
historica può essere uno strumento di lotta, di critica, ed è di facile di lettura. Può
anche convertirsi in un veicolo del sentimento nazionalista, ma può avere anche
ragioni esterne come la moda o il successo.

Come si costruisce una novela historica?


Sappiamo già che raccoglie elementi della letteratura e della storia. Ma
combinare l’elemento fittizio con quello storico non è sempre facile. Il novelista deve
fare attenzione a non far prevalere un elemento sull’altro. Per raggiungere
l’equilibrio tra i due elementi può fare ricorso ad alcuni espedienti. Il più frequente
consiste nel collocare la parte storica come sfondo sul quale poi costruire la storia
inventata; in questo caso i fatti storici costituiscono un elemento secondario sul quale
si sviluppa la trama inventata. Il novelista può ricostruire grandi quadri storici oppure
la storia può essere frammentata all’interno della narrazione. Questo succede anche
nel momento i cui si creano i personaggi: normalmente i personaggi storici non sono
i protagonisti, ma svolgono un ruolo secondario. Non sono importanti per lo sviluppo
dell’azione, ma servono solo a ricostruire il passato.

Appunti per definire la novela historica


Tra i generi limitrofi collochiamo: le memorie, il diario, la biografia e
l’autobiografia, la cronica, la leggenda, l’epopea, il romanzo sociale. La chiamata
historia novelada non costiusce, invece, un genere letterario, in quanto è solo una
storiografia di divulgazione. Ora possiamo analizzare quali sono le caratteristiche che
diversificano la novela historica dai generi limitrofi.
Il genere delle memorie ha molti elementi in comune con l’autobiografia,
dato che sono due generi che ruotano attorno a una persona e sono generalmente
scritte in prima persona. Forse le memorie dedicano la loro attenzione allo spazio,
alla vita pubblica e non tanto all’intimità soggettiva. Lo spazio temporale delle
memorie non arriva ad abbracciare una vita intera, è ridotto.
Il diario è un genere intimo e racconta di una persona e le sue vicende
personali. Ha una struttura frammentata e accumulativa.
La biografia e l’autobiografia sono anch’essi generi intimi: si concentrano
sulla persona biografata e si evoca il suo divenire come persona, mescolando
l’oggettività e la soggettività, insistendo negli aspetti intimi.
La cronica è un genere storiografico che presenta fatti storici in un ordine
cronologico. Generalmente si limita a uno spazio temporale e a un ambito sociale
ridotto e determinato.
La leggenda è forse il genere che più si allontana dalla storia documentabile,
si avvicina all’ambito mitologico.
Con la epopea e le canzoni di gesta incomincia la lista dei generi
esclusivamente letterari. Sono i generi più antichi che hanno a che fare con la storia
sebbene il tempo che utilizzano sia un tempo mitico. Strettamente con questi due
generi è il romance.
La novela de sociedad coincide in alcuni aspetti con la novela borghese
sebbene essa si collochi più precisamente nel secolo XIX. Si tratta di un racconto
esteso che rievoca le circostanze sociali di una determinata epoca passata o del
presente sottolineando la problematica delle forze sociali e dei valori. Ha una
funzione prevalentemente critica.
Il termine novela de actualidad è simile a quella sociale, l’unica differenza sta
nel tempo narrato, ovvero, l’autore fa riferimento alla epoca contemporanea
dell’epoca. Una sua variante è la novela costumbrista.

L’azione dell’uomo nel tempo può essere concepita in diversi modi ed è in


questa diversità che si riflette la concezione del mondo e dell’uomo che soggiace a
tre teorie fondamentali:
1. Concezione teologica della storia, che concepisce il tempo come un tutto
definito e immutabile che, tale e quale, si dirige verso una meta;
2. Concezione ciclica, che concepisce il tempo come un tutto, non lineale,
ma reiterativo e ridondante che torna sempre al suo punto di origine
seguendo cicli più o meno regolari;
3. Concezione contemporanea e pessimista che sostiene che la storia è
un’accumulazione di eventi sconnessi e arbitrari, non è più una totalità
riconoscibile e autonoma.

A seconda della concezione della storia che lo storico professa ci sono diversi
modi di raccontarla o presentarla. Essenzialmente sono due: historiografia objetivista
y documentalista, da un lato; dall’altro, la historiografia interpretativa e narrativa. La
concezione teologica e ciclica della storia genera la prima.

La novela historica è un genere, o meglio, un sottogenere. Ci sono due tipi di


novela historica: novela historica ilusionista e novela historica antilusionista.
L’etichetta ilusionista si riferisce al teatro aristotelico, intendo un teatro interessato a
creare l’illusione della realtà e captare l’attenzione dell’osservatore in modo tale che
perda la consapevolezza di assistere a una rappresentazione lasciando ipnotizzare
dall’opera; al contrario, il teatro antilusionista insiste nel carattere fittizio del dramma
e della rappresentazione, cercando di svegliare gli osservatori attraverso l’uso
dell’alienazione. Verso la fine del XIX secolo, quando si smette di scrivere la novela
historica classica (di Scott), si diffonde la otra novela historica.

Uno degli elementi più caratteristici del modello ilusionista è l’afan degli
autori nel creare l’illusione di autenticità della narrazione. Questo affanno è visibile
soprattutto nella struttura della narrazione. L’autore spesso afferma che la storia che
racconta è una storia realmente accaduta. L’attitudine che soggiace a questo tipo di
struttura è il dialogo del narratore con la storia, ovvero, si concede alla storia e al
narratore capacità interlocutiva. La storia si presenta come una totalità continua,
unità a una vision desde arriba.

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