Alfieri a partire dal 1790 scrisse un’autobiografia in prosa la quale è molto
importante in primo luogo per conoscere lui e poi come opera letteraria del suo tempo. Alfieri pose la propria esistenza e la propria carriera letteraria sotto la cifra dell’EROISMO. Noi sappiamo che nell’inverno del 1769 (quando aveva 20 anni), Alfieri lesse un’opera importante dello storico greco plutarco, l’opera si chiama “le vite parallele” in cui Plutarco, autore greco, mette a paragone 2 personaggi: uno della storia greca e uno della storia romana, che hanno ovviamente qualcosa in comune. Lui rimase folgorato dal dramma degli “eroi infelici”, delle vite ricche di fortune insperate e poi di sciagure imprevedibili, come capitò a Cleopatra che dal potere passò al suicidio, Antonio, Bruto, Agide. Alcuni di questi personaggi sono protagonisti di alcune sue tragedie. L’incontro col mondo di eroi di Plutarco, gli suggerì la predilezione per un senso austero e dignitoso della vita. Quindi lontanissimo dal melodramma che all’epoca andava molto di moda. Questo gli diede anche la spinta a isolarsi dalla società contemporanea, perché lui non accettava compromessi e meschinità. Secondo questo modo di vedere, la letteratura diventa per Alfieri un mezzo per fuggire, almeno idealmente, i mali del presente e per affermare la propria grande individualità. Alfieri sceglie, tra i generi letterari, la TRAGEDIA. Sia perché era ovviamente già a partire dall’antichità, il genere letterario più illustre, mentre lui diceva che il dramma borghese era “l’epopea delle rane”, sia perché tra i personaggi sublimi pensava di trovare le passioni autentiche, tragiche, le più sfrenate, come per esempio: l’amore, l’ira, il furore, la gelosia, l’odio, l’ambizione, la vendetta. Noi abbiamo una lettera del 10 dicembre 1796 in cui Alfieri dice: “Dio chiamo io l’uomo vivissimamente sentente”. Cioè “colui che sa coltivare dei sentimenti e delle passioni addirittura è paragonabile a Dio, cioè ad un animo divino”. Per esprimere l’impeto di questo sentire, occorreva la poesia. Quindi, noi siamo molto lontani con Alfieri dalla figura dell’illuminismo, cioè dell’intellettuale bonario, riformatore, amante della società civile, inserito nella società. Quindi anche se Alfieri si formò leggendo i grandi autori dell’illuminismo francese, se ne staccò in maniera decisa. Nessuno come Alfieri rappresenta in Italia in quel periodo, la CRISI DEL RAZIONALISMO, che aveva finito secondo lui per mortificare i sentimenti dell’individuo e la personalità. Sono almeno tre le differenze tra Alfieri e la cultura del 700, nella quale vive. 1 In un’epoca favorevole a chi sa vivere nella società (uomo dell’illuminismo) Alfieri invece esalta l’INDIVIDUALISMO, quindi un modo di vivere solitario. La frase famosa di Alfieri “Volli, sempre volli, fortissimamente, volli”. 2 In un’epoca che parla di “felicità terrena” e che parla di “progresso della società” (l’illuminismo è ottimista e pensa che si possano risolvere tutti i problemi della società) invece Alfieri propone non i diritti della società, ma i diritti del SINGOLO, di pochi, di sé soltanto. Quindi Alfieri ovviamente manifesta la sua natura che è aristocratica. 3 In un’epoca in cui l’uomo era cittadino del mondo (discorso fatto a proposito del cosmopolitismo) Alfieri lo rifiua il cosmopolitismo e parla invece di NAZIONE E PATRIA, che sono il contrario, e quindi diventa uno dei futuri PROFETI DELLA FURUTA ITALIA. Ecco perché il Risorgimento amerà Alfieri a partire da Foscolo. Nei SEPOLCRI DI FOSCOLO noi abbiamo una sezione dedicata ad Alfieri e alla sua opera. Quindi noi possiamo usare a proposito di alfieri 2 definizioni: una è stata data da BENEDETTO CROCE NEL 1917, il grande filosofo definisce Alfieri PROTO ROMANTICO, cioè IL PRIMO DEI ROMANTICI. Oppure ARNALDO DI BENDETTO DEL 1987 che lo definisce POST ILLUMISTA. Tra post illuminista e proto romantico Alfieri è un personaggio proiettato più verso l’800 che il 700. Alfieri trascorse un lungo periodo fi formazione culturale. Prima è allievo della Reale Accademia Militare di Torino, dove entra a nove anni quando rimase orfano di suo padre, e dalla quale uscirà a 17 anni. Questa fase è importante per capire le sue caratteristiche di scrittore tragico, questo perché questo modo nascerà dalla ribellione verso il mondo reazionario, disciplinato, militaresco nel quale era stato educato. Per esempio nella VITA, Alfieri dà di questo periodo un giudizio molto negativo, addirittura parla di “anni di ineducazione e anni che lo hanno reso asino fra gli asini”. Tra l’altro anche l’ambiente dell’aristocrazia piemontese, dalla quale proveniva gli diedero molte occasioni per ribellarsi e criticare questo ambiente. Poi la ribellione fu aumentata anche dai viaggi che fece, tra il 1766 e il 1772 gira tutta l’Europa, va prima in Svezia, Francia, Inghilterra, Olanda. Lui dice che quelli furono anni da FOGGIASCO e non da viaggiatore, perché era desideroso di paesaggi selvaggi nei quali potesse vivere lontano dai compromessi col mondo. Le disordinate letture giovanili che fece, da Plutarco agli illuministi francesi, gli diedero la spinta a scrivere anche lui. Lui scrive la sua prima tragedia che è LA CLEOPATRA DEL 1775. Ebbe successo ma lui dopo qualche anno la rifiutò. Da quel momento in poi Alfieri si dedicò anima e corpo alla COMPOSIZIONE TEATRALE, ma prima volle rompere ogni legame con il passato torinese, sia dal punto di vista personale sia letterario, infatti noi sappiamo che si “DISVALL0’ “, nel senso che ruppe i vincoli di vassallaggio, che in quanto nobile piemontese lo legavano al re. Quindi Alfieri rinunciò all’eredità e la cedette alla sorella. Poi sul piano letterario ripudiò le OPERETTE GIOVANILI, tra cui I GIORNALI, che erano un diario in cui prendeva in giro l’aristocrazia piemontese e LA FARSETTA “I POETI”, che accompagnava la prima rappresentazione della Cleopatra. Poi andò in Toscana, tra Pisa e Firenze. Andò lì perché era la patria ideale per la nazione italiana e lì per rimediare alla propria educazione linguistica, dato che lui parlava francese e piemontese, si dedicò ai classici italiani, da Dante fino a Tasso. Grazie a questa operazione si era SPIEMONTIZZATO E SFRANCESATO. Poi a 47 anni si dedicò a studiare il GRECO ANTICO. Alfieri è quasi sempre uno scrittore POLITICO. Per lui la politica è “uno scontro di grandi personalità per conquistare il potere o mantenerlo”. Non c’è spazio né per i mediocri né per il popolo. Ciò conferma sempre di più il suo essere Aristocratico e la sua distanza con l’illuminismo. I temi politici sono l’argomento delle sue tragedie, ma Alfieri ha dedicato alla politica anche due trattati in prosa che sono DELLA TIRANNIDE e DEL PRINCIPE E DELLE LETTERE. Il primo fu scritto nel 1777, siccome lui amava Machiavelli, lui in quest’opera mette a fuoco il tema DELL’INEVITABILE CONFLITTO TRA IL TIRANNO E IL LIBERO UOMO. Il libero uomo si oppone al DESPOTA non per spirito democratico, ma perché non può mettere a tacere a propria volontà individuale. Il secondo trattato, scritto subito dopo il primo, venne pubblicato nel 1786 ed è un sommario delle idee politiche di Machiavelli e anche una dichiarazione di poetica, perché Alfieri vi illustra L’IDEALE DEL IBERO SCRITTORE, il libero scrittore è “un intellettuale che conosce la scienza dell’uomo e che insieme è un uomo d’azione che ha come missione rinnovare la nazione”. Siccome per Alfieri il “vero poeta” è “l’espressione massima dell’umanità” non si può sottomettere a nessun altro potere perché non esiste accordo tra questi ambiti diversi della vita dell’uomo. Gli illuministi invece pensano che l’intellettuale deve agire dall’interno per cercare di migliorare. LE TRAGEDIE Quando Alfieri era in Francia, pubblicò l’edizione DID0’ delle tragedie, che uscì a spese dell’autore tra il 1787 e il 1789 e comprende 19 tragedie, manca LA CLEOPATRA, che fu ripudiata da Alfieri perché era “non riuscita”. Le tragedie di Alfieri di solito sono divise degli studiosi in 5 gruppi: LE TRAGEDIE D’AMORE e sono “La Cleopatra, Il Filippo, Rosmunda, Sofonisba e Ottavia. LE TRAGEDIE DI LIBERTA’: Virginia, LA Congiura dei Pazzi, il Timoleone, L’Agide, Bruto 1 e Bruto 2. LE TRAGEDIE DI AMBIZIONE RAGALE: Polinice, Agamennone, Don Garzia e Maria Stuarda. LE TRAGEDIA DOMESTICHE: l’Antigone, Loreste e Merope e infine le TRAGEDIE DEL CONFLITTO INTERIORE, che sono i due capolavori: IL SAUL e LA MIRRA. Questa classificazione non la dobbiamo prendere come una gabbia perché per esempio il SAUL che è una tragedia del conflitto interiore è anche una tragedia d’ambientazione regale, mentre LA MIRRA è anche una tragedia degli affetti domestici. E’ difficile stabilire una cronologia precisa delle tragedie perché lui stesso ci dice che quando scriveva una tragedia seguiva un particolare metodo di lavoro. Cominciava con L’IDEAZIONE ed esponeva brevemente in prosa l’argomento di cui doveva parlare. Poi stendeva la tragedia in prosa, prima in lingua francese e poi in italiano e in questa parte prendevano forma i dialoghi, infine dopo alcuni mesi Alfieri metteva in versi endecasillabi la tragedia. Spesso la prima verseggiatura non gli piaceva, allora ne seguiva un’altra, quindi il tempo era lungo per la composizione di una singola tragedia. Dal punto di vista formale le sue sono TRAGEDIE ISPIRATE ALLA TRAGEDIA CLASSCISTICA. Nel senso che si svolgono nel giro di 5 atti, che erano quelli previsti dalle regole, traggono il proprio soggetto dalle FONTI CANONICHE della tragedia (le fonti canoniche sono la storia antica, la mitologia o la storia medievale oppure la storia moderna o la bibbia). Poi rispettano le UNITA’ ARISTOTELICHE DELLA TRAGEDIA CLASSICISTICA cioè l’unità di tempo, di luogo e di azione. Unità di tempo significa che l’azione si svolge in un unico lasso di tempo, di solito un giorno. Unità di luogo cioè in un solo luogo, di solito la reggia, e unità di azione significa che la vicenda procede senza digressioni dal nucleo centrale. Alfieri, almeno esteriormente, si attiene alla NORMA CLASSCISTICA, ma la reinterpreta, perché lo scopo era quello di consentire al pubblico di concentrarsi immediatamente sugli aspetti essenziali del dramma, quindi nelle sue trame tutto si concentra intorno ad un’unica situazione, vengono eliminati i personaggi minori, viene soffocato ogni interesse per l’ambiente circostante, al contrario di Goldoni. Quindi il teatro di Alfieri sembra svolgersi in un TEMPO UNIVERSALE, un luogo che può essere OVUNQUE, questo perché Alfieri parla delle dinamiche profonde dell’agire umano. Quindi sulla scena agiscono le passioni individuali degli eroi, che sono sempre uguali in tutti i tempi. Quindi le vicende si riducono ad uno scontro di grandi personalità, addirittura nel SAUL uno scontro interno all’uomo, quindi la catastrofe incombe fin dall’inizio quindi è ovvio che nulla potrà finire bene, non cìè speranza di riconciliazione. Quindi il teatro di Alfieri è un teatro PESSIMISTICO. Ma è anche un TEATRO DI PAROLA, perché i fatti non avvengono mai sulla scena, ma vengono raccontati da qualcuno sulla scena. Quindi la protagonista assoluta è la voce dei personaggi principali, quindi più che dialogare con gli altri, i personaggi di Alfieri parlano con sé stessi, in uno stile difficile, con versi privi di rime che rendono la lettura molto complicata. Questo tipo di teatro andava contro il MELODRAMMA che aveva molto successo in quell’epoca. Molte volte Alfieri mise in scena le sue tragedie nei teatri privati, addirittura di alcune opere lui ne fece l’attore. Le prime tragedie sono le più vicine allo spirito del Trattato della Tirannide e quindi sono ambientate nella corte, viene analizzato l’atmosfera di corte e il conflitto che oppone il tiranno e dell’altro il libero uomo. Quando Alfieri parla di Libertà fa riferimento alla “libertà dell’io, la libertà del personaggio” e quindi è una cosa irraggiungibile. Questo tema lo troviamo nel Filippo, nell’Antigone, nell’Agamennone. Molto interessante è IL FILIPPO che parla della storia d’amore contrastata tra IL PRINCIPE CARLO DI SPAGNA E ISABELLA (moglie del padre Filippo II), ma che era stata già promessa sposa di Carlo. Quindi abbiamo le RAGIONI DELLA POLITICA che si scontrano con il MONDO DEI SENTIMENTI, fino a far prevalere la politica sul sentimento. Quindi Carlo e Isabella per sfuggire al dispotismo di Filippo, si suicidano e Filippo stesso rimane vittima della “ragion di stato”, quindi per conservare il potere e l’onore egli deve rinunciare ai sentimenti di padre e marito ed esercitare il ruolo di tiranno. Nell’AGAMENNONE Alfieri riprende la tragedia di ESCHILO, Agamennone è ucciso per mano di GLITENNSTRA E DALL’AMANTE EGISTO. Egisto è uno dei tipici tiranno alfieriani e GLITENNESTRA appare in preda ad un incubo terribile che è il ritorno di Agamennone e ELETTRA, che è la figlia cerca di portarla alla ragione. L’ORESTE è la continuazione dell’AGAMENNONE Dopo questo primo gruppo di tragedie abbiamo alcuni altri DRAMMI che sono segnati da UNA CRISI DELL’ISPIRAZIONE. Nel periodo romano che va dal 1781 al 1783 Alfieri rinnovò la propria ispirazione e compose nel 1778 il poemetto in ottave L’ETRURIA VENDICATA e poi scrisse 4 odi in versi L’AMERICA LIBERA in cui parla dell’indipendenza degli stati uniti. Le tragedie più importanti sono le ultime: LA MIRRA del 1785-1786 e il SAUL del 1782. L’argomento del Saul deriva dalla Bibbia quindi il dramma non scaturisce dall’antagonismo tra due idee o due personaggi, ma si sposta sulla coscienza dell’eroe che è un tiranno, perché Saul è divenuto re di Israele con la benedizione di Dio e ha ottenuto grandi successi militari ma a un certo punto soffre la scesa di Davide, da lui stesso chiamato a corte. Allora lui stesso si allontana dalla volontà di Dio, perché non accetta di essere messo da parte da Davide, quindi subisce un declino rapidissimo. Il vero antagonista di Saul non è Davide, ma è Dio. Quindi si capisce che la sconfitta di Saul è segnata fin dall’inizio, ma lui non demorde. Rifiuta di accettare i propri limiti umani e si pone contro una forza infinitamente superiore alla sua. Assurge quindi alla grandezza di un eroe, un titano che si spezza ma non si piega. Dopo il Saul aveva giurato di non scrivere più tragedie ma invece ne scrisse altre tra cui LA MIRRA. Affronta il tema DELL’INCESTO, perché a causa della vendetta di Venere, Mirra si innamora di suo padre CINIRA. L’opera porta una nota nuova nel teatro alfieriano perché non ha un argomento politico, ma parla delle infinite angosce che si nascondono nell’animo dell’uomo.