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Appunti di Anestesiologia
Definizioni
1
Il dolore cronico presente nelle malattie degenerative, neurologiche , oncologiche specie nelle
fasi avanzate e terminali della malattia , assume le caratteristiche di DOLORE GLOBALE,
ovvero di SOFFERENZA PERSONALE, che trova nella propria eziopatogenesi oltre che
motivazioni fisiche , anche cause psicologiche e sociali, come evidenziato dai documenti della
OMS. Quando la condizione patologica che provoca il dolore è persistente nel tempo , quando
la sua presenza continua instaura un circolo vizioso di depressione, ansia e altri disturbi
emotivi, il dolore diviene una sindrome autonoma con pesante impatto sulla vita di relazione e
sugli aspetti psicologici e sociali della persona , il dolore assume connotati di sintomo inutile, e
va trattato nel modo più tempestivo possibile.
A differenza dei recettori tattili e pressori, i nocicettori sono costituiti da terminazioni nervose
libere. Si ritiene che la membrana dei nocicettori contenga particolari proteine che convertono
l’energia termica, meccanica o chimica in potenziali elettrici depolarizzanti.
2
Una di queste proteine (vanilloide) è il recettore per la capsaicina, il composto attivo del
peperoncino piccante. Il vanilloide risponde anche a stimoli termici intensi.
L’attivazione dei nocicettori è mediata da sostanze chimiche rilasciate localmente quando c’è
danno tissutale: K+, H+, istamina, bradichinina, serotonina, sostanza P e altre chinine,
acetilcolina, prostaglandine. Queste sono prodotte a partire dall’acido arachidonico,
componente delle membrane cellulari, in caso di infiammazione.
Anche l’ossido nitrico (NO) e le citochine (IL1,IL2,IL6, TNF) sono coinvolti nel processo.
La sensibilizzazione del recettore ad opera di queste sostanze è alla base dell’iperalgesia
primaria.
Ruolo dell’infiammazione
L’infiammazione è il risultato della liberazione di varie sostanze, tra cui numerosi neuroattivi. Il
perinevrio danneggiato facilita il passaggio delle grosse molecole, come i peptidi. Questi possono
essere rilasciati dai nocicettori stessi, e li sensibilizzano direttamente amplificando il segnale
(quindi l’iperalgesia primaria). Sia nella membrana delle fibre che nelle terminazioni sinaptiche
aumentano, in caso di flogosi, i recettori AMPA e NMDA per il glutammato, (un aminoacido
neurotrasmettitore).
Le prostaglandine sono sintetizzate dall’acido arachidonico tramite l’enzima ciclossigenasi (COX).
Ne esistono due isoforme, COX-1 e COX-2. I FANS bloccano in genere la COX-1
Il paracetamolo inibisce a livello centrale la sintesi di prostaglandine e la produzione di ossido
nitrico (NO)
3
Le fibre afferenti nocicettive terminano
principalmente nel corno dorsale del midollo
spinale, che in base alle caratteristiche dei
neuroni, che hanno funzioni in parte diverse,
può essere diviso in sei strati (lamine).
Le fibre che veicolano gli stimoli dolorosi
terminano prevalentemente nella parte
superficiale delle corna posteriori (lamina I-II).
Mentre nella I ci sono neuroni nocicettivi
specifici, la lamina II (sostanza gelatinosa) è
composta da interneuroni, sia eccitatori che
inibitori.
Le fibre A delta entrano nella lamina I e V, dove terminano anche afferenze Aβ (tattili). Ciò potrebbe
spiegare il dolore riferito.
Le fibre C a Aδ contraggono sinapsi con una seconda serie di neuroni che proiettano al talamo e
alla corteccia.
La maggior parte dei neuroni propriocettivi e della sensazione tattile fine proietta direttamente al
bulbo
Le fibre che veicolano gli stimoli dolorosi terminano prevalentemente nella parte superficiale delle
corna posteriori (lamina I-II) e contraggono sinapsi con una seconda serie di neuroni. Questi
trasportano il segnale al talamo e sono parte del fascio
spino-talamico laterale (STT).
Tutti i neuroni sensoriali secondari incrociano la linea
mediana
4
Lo stimolo arriva poi alla corteccia sensitiva, ma anche al giro del cingolo (sistema limbico),
implicato nella componente emozionale del dolore, e alla corteccia dell’insula, che fornisce
informazioni relative ai visceri.
Il tratto spino-talamico veicola informazioni su temperatura e dolore, oltre al semplice contatto e
sensazioni viscerali. Esso contiene, separate, la componente lenta (emozionale) e quella rapida
(discriminativa) in differenti regioni del fascio, che viaggiano in parallelo.
Il dolore discriminativo raggiunge il talamo direttamente, senza stabilire connessioni con altre
strutture nervose, mentre il dolore lento, emozionale, raggiunge il talamo per via indiretta
passando per il tronco dell’encefalo. Il dolore lento è trasportato anche da altri fasci, come lo
spino-reticolare.
STT può essere diviso in laterale, che porta soprattutto temperatura e dolore, (sia lento che rapido), e
anteriore, che trasporta sensazioni tattili (localizzazione).
Quando viene sezionato (cordotomia) viene abolita, sotto la lesione, la sensibilità termica e dolorifica
controlaterale. Tuttavia questo evento non è duraturo perché dall’altro lato sono conservate le vie indirette
bilaterali
Dolore riferito: è una forma di dolore viscerale che viene avvertito sistematicamente e in modo
prevedibile in altre aree della superficie corporea. Es: in caso di IMA si avverte dolore al braccio
sinistro, in caso di colica biliare si avverte dolore alla scapola dx. La spiegazione più semplice è che
i singoli neuroni di proiezione ricevono afferenze da entrambe le regioni.
Sistema limbico:
partecipa a diversi aspetti del dolore: la natura affettiva degli stimoli dolorosi, la risposta motoria
agli stimoli dolorosi, l’apprendimento associato alla precisione ed alla capacità di evitare gli stimoli
dolorosi. La corteccia cingolata anteriore rappresenta la zona cardine dell’integrazione emozionale
della percezione nocicettiva cronica.
5
Teoria del “Gate control” di Melzack & Wall (modulazione periferica del dolore)
Le afferenze non nocicettive “chiudono” il cancello, mentre quelle nocicettive lo aprono.
Questo spiega il perché uno stimolo vibratorio (fibre Aα e β) può ridurre il dolore. Su questo sono
basate le tecniche di terapia antalgica con elettrostimolazione (TENS).
La funzione del “gate control” è quella di modulare lo stimolo afferente. Nelle lamine della
sostanza gelatinosa del corno posteriore del midollo viene esercitata azione inibitrice sulle
afferenze del fascio spino-talamico, deputato a convogliare lo stimolo a livello superiore.
Anche le vie discendenti talamo-spinali giocano un ruolo importante sulla modulazione dello
stimolo
6
2. Valutazione preoperatoria
La valutazione preoperatoria si pone come obiettivi principali:
• acquisizione di informazioni relative alle condizioni cliniche attraverso lo strumento
dell’anamnesi e dell’esame obiettivo;
• definizione e quantificazione del “rischio anestesiologico”, rifacendosi alla classificazione
ASA
• programmazione della strategia anestesiologica perioperatoria, sulla base delle condizioni
cliniche attuali, dell’anamnesi patologica personale e familiare, del tipo di intervento e del
grado di rischio formulato.
La richiesta preoperatoria di un approfondimento diagnostico, laboratoristico e/o strumentale, è
giustificata se corrisponde a quattro requisiti:
1) Completa l’inquadramento di una malattia concomitante clinicamente manifesta,oppure
controlla l’efficacia e gli effetti collaterali di un trattamento farmacologico;
2) Fornisce un valore di riferimento utile per l’interpretazione di eventuali modificazioni
successive all’intervento chirurgico (es: Hb);
3) Consente di diagnosticare malattie asintomatiche, di cui si è sospettata una familiarità
emersa dall’anamnesi (Es: ipertermia maligna);
4) Fornisce informazioni che condizionano la data dell’intervento chirurgico e modificano o
indirizzano la tecnica anestesiologica e/o chirurgica.
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Categoria di rischio Chirurgico
Rischio Descrizione Esempi
Biopsia mammaria, neurolisi periferiche,
miringotomia, isteroscopia diagnostica,
broncoscopia, legatura tube ovariche,
1 Procedure ad invasività minima, associate
tonsillectomia, mastoidectomia etmoidectomia,
Basso a perdite ematiche < 200 ml
settoplastica, ernia inguinale, ernia ombelicale,
artroscopia di ginocchio, impianto di pace-maker o
di defibrillatore, cataratta
Laminectomia, svuotamento laterocervicale, TEA
Procedure moderatamente invasive con
carotidea, osteotomia mandibolare, isterectomia,
2 relativo sequestro di liquidi, perdite
colecistectomia, biopsia polmonare, toracoscopia,
Medio ematiche 1000 ml, oppure procedure a
artroprotesi d’anca o di ginocchio (primo impianto),
basso rischio e su soggetti a rischio elevato
uvulo-palatoplastica, resezioni orofaringee
Procedure altamente invasive in sede Resezioni polmonari, resezioni epatiche, interventi
toracica, addominale alta, cranica, con su pancreas, stomaco, esofagectomia, reprise di
possibile perdita ematica >1000 ml e grave artroprotesi d’anca o di ginocchio, chirurgia
3
shift di liquidi. Fabbisogno postoperatorio vascolare maggiore (aortica o periferica),
Alto di trattamento intensivo; pazienti a eviscerazione pelvica
elevato rischio di morbilità o mortalità
perioperatoria
Classificazione ASA
ASA Descrizione Esempi
Soggetto sano, senza disturbi organici, Soggetti sani con buona tolleranza
1 fisiologici o psichiatrici all’esercizio fisico
Ipertensione controllata, diabete mellito
controllato senza effetti sistemici, fumo di
Soggetto con patologia ben controllata e
2 senza effetti di tipo sistemico
sigaretta senza evidenza di COPD, anemia
moderata, obesità media, età < 1 anno o >
70 anni, gravidanza
Insufficienza cardiaca compensata, angina
Soggetto con patologia ad effetto
stabile, IM pregresso (>3 mesi ),
sistemico, associata in maniera
3 intermittente a compromissione
ipertensione arteriosa mal controllata,
obesità patologica, COPD con esacerbazioni
funzionale significativa
periodiche, insufficienza renale cronica
Soggetto con gravi squilibri clinici, mal Angina instabile, COPD sintomatica in modo
4 controllati, associati a disfunzioni persistente, scompenso cardiaco cronico,
significative e potenzialmente letali insufficienza epato-renale
Soggetto in condizioni critiche con poche Insufficienza multiorgano, sindrome settica
speranze di sopravvivenza a breve con instabilità emodinamica, ipotermia,
5 termine, con o senza intervento coagulopatia non controllata o non
chirurgico controllabile, soggetti agonici.
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MET Equivalente metabolico
Ogni attività fisica richiede un certo dispendio energetico, che aumenta con l’intensità dell’attività.
Tale dispendio energetico o equivalente metabolico o MET (dall’inglese può essere misurato
(anche sotto forma di risposta al carico di Watt durante esame con cicloergometro) ma può anche
essere stimato in base all’anamnesi clinica, sia sotto forma di dato riportato dal paziente che di
elemento emerso dall’intervista effettuata dal medico anestesista. Nel questionario di anestesia
viene richiesto, al paziente di definire la propria capacità di sforzo fisico in relazione a normali
attività della vita quotidiana o delle sue abitudini nel tempo libero. La capacità di lavoro fisico
viene classificata in base agli equivalenti metabolici o MET’s elaborati da ACC/AHA e riportata su
una scala di valori crescente.
Valori di tolleranza massima fino a 4 MET sono considerati indici di scarsa performance.
Fra 4 e 7 MET la prestazione è considerata discreta.
Da 7 a 10 MET’s la prestazione è considerata buona, mentre è ritenuta eccellente oltre i 10
MET’s.
Termine di riferimento è considerata la soglia dei 4 MET’s: al di sotto di tale valore il paziente va
senz’altro inviato alla consulenza cardiologia.
1 Mangiare, vestirsi, lavorare alla scrivania
2 Farsi una doccia
Scendere una rampa di scale□
3 Camminare tranquillamente in piano per circa 100-200 metri
Fare tranquillamente le piccole faccende di casa (spolverare, spazzare i pavimenti) □
4 Lavorare in giardino (rastrellare le foglie secche, togliere le erbacce)
Dedicarsi al bricolage domestico (tinteggiare, piccoli lavori di falegnameria, ecc.) □
Andare piano in bicicletta □
Fare 3 - 5 km a piedi in un'ora, con al massimo una sosta □
5 Camminare speditamente (6 km in un'ora)
Ballare il liscio□
Lavare l'automobile □
Salire una rampa di scale o superare a piedi una collinetta □
6 Lavori domestici pesanti
7 Fare dei lavori pesanti all'aperto (scavare, vangare)
Portare 30 chilogrammi □
Camminare in salita (passeggiate in montagna) □
8 Spostare dei mobili pesanti
Salire le scale velocemente □
Portare 10 chili per due rampe di scale □
9 Segare la legna□
Andare in bicicletta a discreta velocità □
10 Andare in bicicletta in collina
Camminare velocemente in salita □
>10 Qualsiasi attività più pesante delle precedenti □
9
□ denti scheggiati
□ protesi dentarie
ELETTROCARDIOGRAMMA
L’efficacia di un esame ECG preoperatorio a riposo viene messo in discussione dalla maggioranza
degli autori. Non è raccomandato come esame di routine nei pazienti con anamnesi negativa per
patologie cardiovascolari e privi di fattori di rischio (ipertensione, obesità, dislipidemia, fumo,
diabete mellito, vasculopatie, malattie del collagene). Poiché le alterazione dell’ECG a riposo
aumentano con l’età, così come il rischio cardiovascolare, la letteratura specifica pone il limite dei
40 anni per l’esecuzione dell’esame nei pazienti da sottoporre ad interventi chirurgici.
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- malattia polmonari acute e croniche
- malattie cardiovascolari
- fumatore di lunga data (o di età > 50)
- chirurgia maggiore (chirurgia toracica, cardiochirurgia, chirurgia vascolare maggiore).
Pur in mancanza di evidenza particolare, in base alle linee guida già esistenti, va ritenuta valida
una radiografia del torace eseguita nei 6 mesi precedenti, purché non siano intervenute rilevanti
modificazioni cliniche.
Test di funzionalità polmonare
Simili test sono indicati in pazienti in cui il risultato modifichi le procedure chirurgiche o la strategia
anestesiologica o il programma di cure postoperatorie. Pazienti fumatori o con patologie
broncopolmonari ben trattate non necessitano sempre e comunque di simili indagini. Quando si
eseguono e su chi?
Pazienti candidati a resezioni polmonari, parziali o totali: spirometria, scintigrafia
ventilo/perfusionale e DLCO; eventuale test di consumo di ossigeno;
Pazienti con patologia respiratoria moderata/severa candidati per interventi su alto addome o per
chirurgia toracica: spirometria ed EGA;
Pazienti con dispnea a riposo: spirometria ed EGA;
Pazienti con asma in fase attiva: spirometria con test ai broncodilatatori.
Consulenze preoperatorie
Il ricorso a consulenze specialistiche preoperatorie costituisce pratica frequente e, spesso,
indispensabile per la stratificazione del rischio, tramite la definizione nosologica e la
quantificazione di condizioni patologiche. Una consulenza può essere utilizzata al meglio se
vengono definiti con precisione, nella richiesta, i seguenti quesiti:
– Inquadramento diagnostico o valutazione di stato (lasciando al consulente la
decisione su eventuali esami a lui necessari per quanto di competenza);
– L’assetto delle terapie è ottimale, oppure si possono ottenere miglioramenti con
ulteriori misure terapeutiche?
– La consulenza può fornire ulteriori elemento per la stratificazione del rischio?
Il consulente può fornire ulteriori indicazioni rispetto alla programmazione delle cure in fase
postoperatoria?
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3. ANESTESIA Tipi di anestesia
Definizione: abolizione, mediante l’utilizzo di farmaci, della sensibilità dolorosa anche patologica,
in corso di interventi chirurgici.
Distinguiamo:
Anestesia generale, che comporta l’abolizione della coscienza
Anestesia loco-regionale, che interessa una limitata parte del corpo e non
comporta quindi l’abolizione della coscienza (ma spesso è associata ad ansiolisi o
sedazione)
Che differenza c’è tra anestesia e semplice sedazione? Si può immaginare il passaggio tra
sedazione e anestesia come un “continuum”
1. Sedazione/analgesia procedurale: il paziente è in uno stato di tolleranza farmaco-indotta
nei riguardi di stimoli dolorosi o spiacevoli indotti da procedure diagnostiche o
terapeutiche. E’ auspicabile che il paziente non ricordi gli eventi spiacevoli, ma non è
garantita l’assenza di risposta agli stimoli dolorosi.
2. Sedazione cosciente (lieve-moderata): depressione della coscienza in cui il paziente è in
grado di rispondere a tono ai comandi verbali o ad una lieve stimolazione tattile.
3. Sedazione profonda: il paziente risponde soltanto agli stimoli dolorosi; può essere
presente incapacità di mantenere la respirazione spontanea o vi può essere instabilità
emodinamica.
4. Anestesia generale: assenza di risposta a qualsiasi stimolo, perdita dei riflessi protettivi
delle vie aeree, depressione del respiro e alterazione dei riflessi cardiocircolatori.
Anestesia generale
Oltre ai quattro obiettivi classici, elencati sopra, dovremmo aggiungere quindi un quinto
obiettivo: il mantenimento dell’omeostasi dell’organismo alterata dall’anestesia,
dall’intervento chirurgico, dal posizionamento del paziente…
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Effetti dell’anestesia generale sull’omeostasi dell’organismo
• Emodinamici: riduce la pressione arteriosa e può ridurre la gittata cardiaca
• Respiratori: riduce o elimina il respiro spontaneo e i riflessi protettivi delle vie aeree
• Ipotermia: temperatura corporea < 36˚C
• Può causare nausea e vomito stimolando la zona chemorecettrice
Fasi dell’anestesia
• Induzione
• Mantenimento
• Risveglio
L’induzione e il mantenimento sono le fasi più critiche. In particolare all’induzione si possono
avere problemi di gestione delle vie aeree. Esiste un’analogia tra condurre un’anestesia e pilotare
un aereo: in aviazione abbiamo tre fasi: decollo, volo, atterraggio. In anestesia: induzione,
mantenimento, risveglio. La prima e la terza fase, come in aviazione, sono le più critiche.
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4.FASI dell’ANESTESIA
Preanestesia:
Era rappresentata dalla somministrazione preoperatoria (generalmente in reparto)
dell’associazione di un sedativo/ipnotico (es: benzodiazepine) + un parasimpaticolitico (atropina),
quest’ultimo per prevenire gli effetti vagali della succinilcolina e dei gas all’induzione. Oggi è molto
meno usata.
Attualmente l’atropina è praticata solo in pediatria. La sedazione si effettua generalmente per via
endovenosa, prima dell’induzione, in sala o pre-sala operatoria.
L’Obiettivo 5 del Manuale per la Sicurezza in Sala Operatoria del Ministero della Salute (2009):
prevenire i danni da anestesia garantendo le funzioni vitali recita:
• Requisito fondamentale per una anestesia sicura è la presenza continua di un anestesista
per l’intera durata dell’anestesia e fino al recupero delle condizioni cliniche che
consentono la dimissione dal blocco operatorio.
• Prima di eseguire l’anestesia si deve verificare che i pazienti sottoposti a chirurgia elettiva
siano a digiuno.
– Per l’adulto il digiuno da un pasto regolare è di 8 ore, da un pasto leggero è di 6 ore;
possono essere assunti liquidi chiari fino a 2 ore prima dell’anestesia. Per il bambino
l’ultimo allattamento al seno deve essere eseguito almeno 4 ore prima
dell’anestesia, il digiuno da altri tipi di latte deve essere di 6 ore; per quanto
riguarda i cibi solidi il digiuno da osservare è lo stesso dell’adulto così come per quel
che riguarda i liquidi chiari. I pazienti con reflusso, devono essere trattati
preventivamente per ridurre la secrezione gastrica ed aumentare il pH.
Accesso venoso: introduzione di una ago cannula in una vena della mano o dell’avambraccio
attraverso la quale somministrati vengono somministrati i farmaci anestetici e le soluzioni saline
per mantenere l'equilibrio idrico dell’organismo durante la procedura chirurgica. Queste fasi
iniziali potrebbero essere effettuate in una area dedicata, situata nelle vicinanze della sala
operatoria.
Negli interventi maggiori può essere necessario un accesso venoso centrale (CVC).
Preparazione all’induzione:
• Maschera facciale di diametro adeguato al paziente, da collegare al sistema di ventilazione
in ossigeno con va e vieni
• Cannula di Mayo
• Laringoscopio a lama curva di dimensioni adeguate al paziente e/o secondo preferenze
dell’anestesista
• Tubo tracheale (diametro 7.5 per donne e 8-8,5 per uomini), con cuffia già testata e
sgonfiata completamente
• Lubrificante per il tubo tracheale (silicone spray)
• Mandrino da utilizzare in caso di difficoltà all’intubazione
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• Pinza di Magill
• Siringa per gonfiare la cuffia del tubo tracheale
• Aspiratore sempre pronto per eventuali rigurgiti
• Preparazione dei farmaci necessari all’induzione e al proseguimento dell’anestesia, inclusi
farmaci di emergenza ritenuti necessari, marcando le siringhe con segni di riconoscimento
e/o con etichette adesive.
In caso di intubazione difficile prevista, preparare gli altri strumenti necessari (video
laringoscopio, fibroscopio…) e avvertire i colleghi.
Induzione
Preossigenazione
• Consiste nell’aumentare le riserve di ossigeno, in particolare la capacità funzionale residua
(FRC), così coma la PaO2 e la SaO2. Eseguita prima dell’induzione dell’anestesia, permette
di aumentare il periodo di apnea senza desaturazione. Nell’adulto sano garantisce
un’ossigenazione adeguata fino al 6°-10° minuto di apnea dopo l’induzione.
• Si fa respirare O2 con maschera aderente al viso (flusso O2 di almeno 5 l/min) per 2-5
minuti (discutibile)
• Deve essere una pratica di routine in tutte le situazioni a rischio di ipossia: intubazione o
ventilazione difficile prevista, stomaco pieno, diminuzione della FRC (gravidanza, obesità,
ascite), situazioni in cui l’apporto di O2 è particolarmente critico (sofferenza fetale,
coronaropatia, ipertensione endocranica, anemia).
Il primo farmaco che si somministra è un ipnoinduttore:
• Tiobarbiturico (Tiopentone sodico)
• Propofol
• Benzodiazepine
• Ketamina (raramente)
La miorisoluzione non è sempre necessaria: si basa sulla somministrazione di miorilassanti:
• Non depolarizzanti, o competitivi
• Depolarizzanti
L’analgesia si ottiene con:
• Farmaci analgesici (oppiacei)
• Anestetici alogenati
• Combinazione con A.L.R.
Come si svolge l’induzione:
• Eventuale preanestesia endovenosa (es: midazolam 1 mg/ev)
• Preossigenazione per alcuni minuti
• Somministrazione di un ipnotico, generalmente in bolo (es: propofol 2 mg/Kg) mentre si
continua la preossigenazione
• Somministrazione di un analgesico e di un miorilassante (es: fentanyl 3 mcg/Kg + rocuronio
50 mg). Una dose di analgesico si fa abitualmente precedere all’ipnoinduttore. Attenzione
alla depressione respiratoria e alla rigidità della gabbia toracica.
• Ventilazione in maschera con O2 appena il paziente non è più cosciente e il respiro è
insufficiente o assente
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• Intubazione oro tracheale, quando si presume che il paziente sia ben rilasciato (curarizzato)
e analgesizzato.
• Mentre si procede all’intubazione generalmente si fa partire l’infusione continua di
analgesico e ipnotico.
• Dopo posizionamento del tubo tracheale lo si cuffia con la siringa già preparata e lo si
collega al respiratore tramite l’apposito circuito.
• Si ausculta il torace per verificare il corretto posizionamento del tubo (4 foci: i due apici e le
due basi).
• Si inizia il mantenimento dell’anestesia generale mediante i gas alogenati e/o mediante
farmaci endovenosi (se non è già stato fatto in precedenza)
• Soprattutto nei primi minuti si monitorizza di frequente la P.A. per possibili ipotensioni
farmaco-indotte. Durante il mantenimento l’intervallo tra le misurazioni non deve essere
comunque < 5 minuti (Manuale per la Sicurezza in SO)
Intubazione:
Essendo l’anestesia generale un coma farmacologico indotto nell’ambito di una paralisi
muscolare l’intubazione serve sia a proteggere le vie aeree che ad assistere il respiro.
In caso di difficoltà all’intubazione per mancata visualizzazione della glottide in corso di
laringoscopia diretta, il mandrino, di plastica, più o meno rigido, a seconda del modello, viene
inserito nel lume del tubo tracheale. La rigidità del mandrino ci dà la possibilità di modificare
l’angolazione della parte distale del tubo stesso (ad uncino) consentendoci di posizionare
correttamente il tubo. Il mandrino DEVE essere rimosso PRIMA dell’introduzione del tubo in
trachea, una volta che esso è posizionato a livello della glottide, per prevenire danni alla
trachea stessa. Non deve sporgere dall’estremità del tubo.
La Pinza di Magill consente di afferrare il tubo tracheale, passato dalle coane nell’intubazione
nasale, e di indirizzarlo verso la glottide qualora esso tenda a progredire verso l’esofago
(glottide alta). Si utilizza anche nelle intubazioni difficili.
Attenzione alla pressione della cuffia del tubo, che deve essere “a tenuta” ma non troppo tesa
(25 cm d’H2O; in ogni S.O. deve essere disponibile un manometro). Il controllo comunque si fa
dopo fissato il tubo.
Maschera laringea:
Esistono metodiche alternative al tubo endotracheale. Sono presidi che non entrano nella
trachea e quindi sono meno irritanti più confortevoli per il paziente. Infatti evitano il fastidio
del mal di gola, che è una complicanza che può presentarsi al risveglio, quando si fa uso dei
tubi posizionati in trachea. Fra queste metodiche, la più utilizzata è la Maschera Laringea
(LMA).
Il controllo delle vie aeree è meno “a tenuta” e meno sicuro rispetto al tubo endotracheale.
Esistono algoritmi e linee guida sia internazionali che nazionali che locali che indicano con
precisione come comportarsi in caso di intubazione difficile prevista e imprevista (vedi slide).
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FASE INTRA-OPERATORIA (Mantenimento, Monitoraggio nella fase intraoperatoria )
Il paziente viene posto in una condizione di incoscienza per tutta la durata dell'intervento
chirurgico. Durante l'anestesia generale i processi di elaborazione a livello del cervello degli
impulsi nervosi che trasmettono il dolore e di quelli che trasmettono la percezione del mondo
esterno, sono bloccati, rendendo così il paziente insensibile alle stimolazioni dolorose e
totalmente incosciente. Prolungare lo stato di ipnosi non basta: occorre anche mantenere il
livello di miorisoluzione e garantire un adeguato livello di analgesia
Il mantenimento richiede pertanto:
• Gas anestetici alogenati: sevorano, desflurano vengono somministrati dall’apparecchio di
anestesia assieme all’ossigeno.
• I farmaci endovenosi (Propofol, Remifentanil) vengono invece somministrati mediante
pompa siringa impostata alla velocità di infusione desiderata, che può essere modificata
secondo le esigenze
• Curaro per il rilasciamento muscolare: si somministra in boli (dovrebbe essere
monitorizzato il rilasciamento con il TOF (Train of Four).
Durante il mantenimento è essenziale il monitoraggio non solo dei parametri vitali, della
profondità dell’anestesia e della curarizzazione, ma anche delle informazioni che ci forniscono
gli apparecchi di anestesia.
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Monitoraggio della funzione cardiovascolare: deve essere utilizzato un monitor paziente con
canale ECG dotato di frequenza minima e massima per monitorare la frequenza cardiaca ed il
ritmo. Generalmente su usa un monitor a 3 o 5 derivazioni, che evidenzia sia le aritmie che
l’ischemia (slivellamento S-T).
• Deve essere effettuato almeno ogni 5 minuti o più frequentemente, se indicato dalle
condizioni cliniche, il monitoraggio della pressione arteriosa.
• Per alcuni interventi (generalmente maggiori) è necessario il monitoraggio della pressione
cruenta: mediante catetere inserito in a. radiale o femorale, attendibile anche in caso di
ipotensione importante
• In pazienti altamente critici può essere necessario monitorare la gittata cardiaca con
catetere in arteria polmonare o, nei pazienti cardiochirurgici, con ecocardiografia
transesofagea.
Il manuale per la Sicurezza prescrive inoltre: deve essere sempre disponibile un defibrillatore
cardiaco, monitorata la temperatura corporea, tramite apposito dispositivo per la misurazione
continua o ripetuta, nei pazienti esposti al rischio di ipotermia passiva (neonato, grande
anziano) e durante procedure accompagnate da termodispersione (ad esempio, ampie
laparatomie). Il controllo della temperatura corporea in corso di anestesia si attua con delle
sonde termometriche che comunemente sono posizionate a livello del faringe o dell'esofago e
che consentono un controllo continuo della temperatura. La correzione dell’ipotermia
intraoperatoria fa parte dei compiti dell’anestesia (si usano generalmente materassini termo
riscaldanti e si riscaldano le infusioni). L’ipotermia altera la coagulazione. Insieme con l’acidosi
e la coagulopatia rappresenta la “triade mortale” del traumatizzato. Per quanto riguarda il
rischio di ipertermia maligna: deve essere disponibile dantrolene sodico all’interno della
struttura, in un ambiente noto a tutte le professionalità coinvolte.
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Risveglio
Il risveglio a fine intervento prevede:
eliminazione dei farmaci inalatori e/o endovenosi, decurarizzazione, valutazione del contatto
corticale, valutazione della performance muscolare, estubazione.
Pochi minuti prima della fine dell’intervento ci si prepara alla fase di risveglio, diminuendo il
dosaggio dei farmaci usati nel mantenimento dell’anestesia generale. Si prepara il farmaco
antagonista del curaro, la prostigmina, generalmente somministrata assieme ad atropina, che ne
antagonizza gli effetti sulla frequenza cardiaca (bradicardia). Si preparano di solito 4 fiale di
prostigmina da 0,5 mg e 2 fiale di atropina da 0,5 mg, preferibilmente in siringhe separate.
Attualmente è disponibile un antagonista dei miorilassanti (sugammadex) a rapida azione.
Occorre pianificare, e in parte attuare intraoperatoriamente, l’analgesia postoperatoria. Il paziente
non deve uscire dal gruppo operatorio con VAS>4. Graduale risveglio del paziente dopo
smaltimento dei gas e dei farmaci endovenosi somministrati. Il paziente risponde ai comandi.
Valutare il grado di decurarizzazione: chiedere al paziente di stringere le mani, sollevare la nuca
dal lettino (tenere sollevato il capo 5 secondi: test che non garantisce la decurarizzazione)
Aspirare nel tubo tracheale e nel cavo orale
Se possibile attendere 6 ore dall’ultimo pasto. Valutare possibili fattori aggravanti (atonia gastrica
nei diabetici, gravidanza, occlusione intestinale, ernia jatale). Se possibile eseguire anestesia loco
regionale. Se comunque si deve addormentare, effettuare una induzione rapida e la manovra di
Sellick (compressione della cricoide per impedire il reflusso gastrico) secondo la sequenza sotto
riportata.
Induzione a stomaco pieno:
• Premedicazione con antiemetici e gastroprotettori
• Approntare tutto il materiale necessario all’intubazione
• Ossigenazione del paziente in O2 puro per 3-5 minuti
• Indurre rapidamente (es. TPS) e subito dopo somministrare succinilcolina o rocuronio
• A questo punto l’infermiere deve fare la manovra di Sellick: comprime la cartilagine
cricoide con 3 dita e sostiene il collo con l’altra mano fino a nuovo ordine dell’anestesista
• A intubazione avvenuta, cuffiare rapidamente il tubo con la siringa (protezione delle vie
aeree) e SOLO DOPO l’infermiere può rilasciare la pressione delle dita
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Il paziente in shock
• Praticamente tutti i farmaci per indurre l’anestesia hanno l’effetto di deprimere il
miocardio e indurre vasodilatazione, quindi il paziente si ipotende ulteriormente
• Nel paziente in shock si può avere ACC (arresto cardio-circolatorio) all’induzione
• Per minimizzare gli effetti dei farmaci l’induzione deve essere eseguita con estrema
lentezza, sospendendo la somministrazione appena il paziente perde coscienza
• In alcuni casi il paziente arriva già non cosciente, quindi la somministrazione di
ipnoinducenti può essere del tutto omessa
Ipertermia maligna
Nel 1960 fu per la prima volta riportato in letteratura un quadro di ipertermia perioperatoria
comune a tutta una famiglia. Questa ipertermia, scatenata dall'etere e dall'alotano, fu
responsabile di 10 decessi su 24 membri della famiglia. Gli Autori notarono che questa malattia
era geneticamente trasmissibile. Bisognerà attendere gli anni'70 per ricondurre questo stato di
ipertermia a un'origine muscolare e mettere a punto un test diagnostico di riferimento, il test di
contrattura in vitro all'alotano e alla caffeina.
La crisi di ipertermia maligna (IM) corrisponde a uno stato d'ipermetabolismo muscolare,
trasmesso in modo autosomico dominante, scatenato esclusivamente dall'uso di agenti
anestetici volatili con o senza l'aggiunta di un curaro depolarizzante, la succinilcolina.
L'incidenza della crisi di IM è stimata a 1/250 000 anestesie per la forma fulminante, a 1/62 000
anestesie nel corso di associazioni agente alogenato-succinilcolina e a 1/85 000 in assenza di
succinilcolina.
Esistono forme tipiche e atipiche e una forma fulminante
Segni d’ipermetabolismo: ETCO2 la frequenza cardiaca accelera, il paziente diviene tachipnoico o
lotta contro il ventilatore, la cute è calda, rossa e coperta di sudore. Un aumento progressivo della
CO2 espirata (PetCO2) a livello del capnografo è costante e la EtCO2 può superare 80 mmHg;
Segni muscolari: rigidità muscolare e rabdomiolisi
Segni clinici e biologici precoci della crisi di ipertermia maligna: spasmo dei masseteri, tachicardia,
rigidità muscolare localizzata, acidosi respiratoria (PetCO2 > 55 mmHg in ventilazione meccanica),
iperkaliemia, riduzione della SvO2
Trattamento
arrestare immediatamente la somministrazione dell'agente alogenato e prendere in
considerazione il risveglio del paziente o la prosecuzione dell'intervento sotto perfusione continua
di propofol, morfinici e curari non depolarizzanti se necessario; iperventilare il paziente (almeno
10 l min-1) in ossigeno puro. Non serve a niente perdere tempo per cambiare il ventilatore o il
circuito di ventilazione; somministrare il dantrolene (Dantrium® iniettabile) alla dose di 2,5 mg/Kg
per via endovenosa diretta, da ripetere con boli di 1 mg/ Kg per ottenere una regressione dei
segni clinici (tachicardia, ipercapnia, ipertermia, rigidità). Talora è necessaria una dose superiore a
10 mg/Kg . Raffreddare il paziente (ghiaccio ai quattro arti), fino a una temperatura di 37 °C;
attuare un riempimento vascolare (macromolecole) e una diuresi alcalina forzata per mantenere
una diuresi superiore a 1 ml kg-1 h -1. correggere un'iperkaliemia grave.
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6.FARMACI PER L’ANESTESIA GENERALE
Propofol (Diprivan®)
Meccanismo d’azione: Azione dell’anestetico sul recettore GABA
Legame dell’anestetico a siti specifici della proteina del recettore; si distribuisce nel tessuto
lipofilo del cervello e del midollo, entro 2-4 minuti si distribuisce all’intero corpo; produce
anestesia al primo passaggio del circolo al cervello.
• Utilizzato sia come induttore per anestesia generale che, da solo, per sedazioni in rapide
manovre diagnostiche o chirurgiche. Esempi: gastroscopie, rettoscopie, raschiamenti
• Effetti emodinamici: vasodilatazione e depressione miocardica con ipotensione anche
importante in pazienti ipovolemici
• Effetti sulla respirazione: provoca apnea la cui durata dipende dalla dose e dal tempo di
somministrazione. Solitamente l’apnea dura 30-60 secondi
• Effetti sul SNC: diminuisce la pressione endocranica. Essenzialmente è un ipnotico,
modesta analgesia
• Di solito è un farmaco ben tollerato e considerato piacevole da parte dei pazienti:
l’induzione è dolce e al risveglio descrivono spesso una sensazione di benessere
Complicanze e effetti avversi: Ipotensione, aritmie, ischemia miocardica, confusione
Midazolam (Ipnovel®)
Potente sedativo utilizzato nella premedicazione dei pazienti da sottoporre ad intervento
chirurgico; utilizzato anche in terapia intensiva per la sedazione estemporanea dei pazienti (bolo
da 1 a 5 mg ev) o in infusione continua
Complicanze e effetti avversi:
Può dare disorientamento specialmente nei pazienti anziani; sonnolenza, disturbi della memoria,
potenziamento degli effetti di altre molecole deprimenti il SNC (etanolo), tolleranza e dipendenza
Fentanil (fentanest®)
Oppiaceo di sintesi 50 volte più potente della morfina nel provocare analgesia chirurgica
Impiegato per induzione (intubazione), analgosedazione procedurale, mantenimento anestesia
generale. Complicanze e effetti avversi: nausea e vomito, depressione respiratoria.
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Remifentanil (Ultiva®)
Oppiaceo di sintesi con emivita molto breve (3’)
Ketamina (Ketanest®)
La Ketamina è un anestetico molto particolare, diverso da tutti gli altri, è dissociante (anestesia
dissociativa) e privo di effetti depressivi sul sistema cardiovascolare e respiratorio (il paziente
continua a respirare e a deglutire). Può essere utilizzata per via e.v., i.m., per os e per via rettale
per l’induzione e il mantenimento dell’anestesia, specie in pazienti ipovolemici o ad alto rischio.
Molto frequentemente è usata per la sedazione-analgesia per brevi interventi o per manovre e
procedure diagnostiche radiologiche, anche nei bambini. Uno svantaggio durante le procedure
diagnostiche è che il paziente può avere dei movimenti involontari che possono compromettere
l’indagine (si possono associare benzodiazepine)
E’ l’unico farmaco tra quelli usati in anestesia che non deprime il sistema respiratorio e
cardiocircolatorio. Provoca analgesia e perdita di coscienza con una anestesia definita dissociativa
Miorilassanti
I miorilassanti sono farmaci che agiscono in periferia a livello delle fibre della giunzione neuro-
muscolare o centralmente, nell’asse cerebro-spinale, riducendo il tono muscolare o causando
paralisi.
Ne esistono due categorie: Bloccanti neuromuscolari, non depolarizzanti la placca neuromuscolare
• Depolarizzanti
– Agenti ad azione diretta
• Dantrolene sodico (impiegato nell’ipertermia maligna).
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Depolarizzanti: Succinilcolina
La principale distinzione è tra blocco depolarizzante e non depolarizzante.
Blocco non depolarizzante (competitivo):
• Sede: giunzione neuromuscolare
• I bloccanti competitivi hanno effetto sui recettori nicotinici a livello della placca
neuromuscolare ma non hanno attività intrinseca
• Il recettore ha struttura pentamerica con le subunità disposte a rosetta attorno al canale
del sodio
Blocco depolarizzante:
– La succinilcolina ha affinità per i recettori dell’acetilcolina; depolarizza la placca
neuromuscolare aprendo i canali del sodio
– Inizialmente causa fascicolazioni
– Una depolarizzazione prolungata produce un’eccitazione ripetitiva delle fibre
– La succinilcolina non si dissocia rapidamente dal recettore, a differenza dell’acetilcolina
– Induce una prolungata depolarizzazione della zona circostante la placca neuromuscolare
– L’acetilcolina non è più in grado di depolarizzare la placca
– Si ha una paralisi flaccida
Una volta depolarizzata, la placca si ripolarizza lentamente (6-8 min).
Succinilcolina
Miorilassante depolarizzante (depolarizza la placca neuromuscolare) a brevissima durata di azione,
permette un’intubazione ottimale entro un minuto. Reversibile spontaneamente entro 3-5 minuti
La brevissima durata di azione può essere di vitale importanza se il paziente non è intubabile e/o
inventilabile. Ci sarà ripristino di attività respiratoria propria in pochi minuti, e ciò potrebbe
significare la salvezza (tale caratteristica è oggigiorno meno importante per la disponibilità del
nuovo antagonista del curaro: il sugammadex).
ANESTESIA INALATORIA
Anestetici volatili:
- Gas (protossido d’azoto, cioè N2O)
- Vapori (alogenati)
Caratteristiche dell’anestetico inalatorio ideale: Proprietà fisiche
Agente non infiammabile e non esplosivo alla temperatura ambiente, stabile alla luce, liquido e
vaporizzabile alla temperatura ambiente, con basso calore latente di vaporizzazione, stabile a
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temperatura ambiente, con un lungo tempo di degradazione, stabile a contatto con sostanze
sodate, plastiche o metalliche, non inquinante, poco costoso e facile da produrre.
MAC (%)
Adulto +60% N2O Neonato 0-12 mesi Bambino Anziano
Isof 1.15 0,5 1,6 1,87 1,6 1,05
Sevo 2,05 1 3 3 2,6 1,45
Desfl 6 2,83 9,16 10 8 5,17
N2O 104
Effetti di altri anestetici sul MAC:
• N2O riduce il MAC con effetto additivo. Oltre una concentrazione del 50% tuttavia ha
effetto antagonista
• Gli oppioidi potenziano con effetto ceiling (il massimo effetto si ha per concentrazioni di
oppioide di 1-2 ng/ml). Poiché l’oppioide non è ipnotico non si deve scendere sotto 0,6
MAC per evitare il rischio di awareness.
Anestetici alogenati vs propofol
• PON 25,8% vs 14,1%
• POV 14,1% vs 5,2%
• Uso antiemetici 16,6% vs 5,1%
• Nausea post-dimissione: 21% vs 13%
• Vomito post-dimissione: 15,6% vs 5,9%
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Stabilità nella calce sodata
• La calce sodata, utilizzata nel circuito chiuso per adsorbire la CO2, contiene basi forti
(idrossido di Na e di K) che degradano tutti gli alogenati (e portano alla formazione di CO in
minime quantità)
• L’effetto è più accentuato quando la calce sodata è disidratata (umidità<6%) per cui è
opportuno utilizzare il circuito chiuso
• La degradazione del sevoflurano produce il composto A che a sua volta interagisce con altri
prodotti di degradazione(formaldeide e acido fluoridrico) per produrre il composto B. La
durata dell’anestesia
• La degradazione del composto A produce radicali alcanici ed alchenici con dimostrata
tossicità renale nel ratto; nell’uomo sono stati dimostrati gli stessi radicali, in quantità
minore e senza alterazioni cliniche.
• Il composto A è eliminabile rimuovendo le basi forti dalla calce sodata
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Anestesia loco-regionale
Anestesia locale: è una perdita della sensibilità in una determinata regione senza perdita della
coscienza o compromissione del controllo di funzioni vitali. Distinguiamo: anestesia topica o di
superficie, anestesia per infiltrazione, anestesia tronculare, anestesia loco regionale.
Anestesia topica o di superficie: Applicazione diretta di soluzioni acquose di anestetici locali
(tetracaina, lidocaina e cocaina) sulla cute o sulle mucose nasali, della bocca, della gola, dell'albero
tracheobronchiale, dell'esofago e del tratto genitourinario. Assorbimento sistemico rapido e
pericolo di tossicità sistemica. (Esempio: anestesia topica per gastroscopia, intervento per
cataratta).
Anestesia per infiltrazione; iniezione di un anestetico locale direttamente nella cute dell’area
interessata senza tenere conto della ramificazione dei nervi cutanei (Esempio: attorno a una ferita
da suturare, per rimozione di un nevo, ecc…).
Anestesia tronculare: iniezione di una soluzione di anestetico locale nelle vicinanze di nervi
periferici che presiedono alla sensibilità della zona interessata. Blocco sensitivo e motorio.
(Esempio: anestesia in odontoiatria). In parte di competenza anestesiologica.
Anestesia loco regionale: iniezione sottocutanea o perinervosa di un anestetico locale (lidocaina,
mepivacaina, bupivacaina, levobupivacaina, roppivacaina) effettuata per anestetizzare una regione
distale rispetto al sito di iniezione. Essenziale la conoscenza della neuroanatomia. Di esclusiva
competenza anestesiologica (Esempio: blocchi neuro assiali, blocchi dei plessi).
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LIPOSOLUBILITA’ condiziona POTENZA e ONSET TIME
COSTANTE DI DISSOCIAZIONE Pka: condiziona POTENZA e ONSET TIME
LEGAME PROTEICO: condiziona la DURATA
LIPOSOLUBILITA’: i composti più liposolubili sono i più potenti, per la maggior diffusibilità tra
membrane biologiche. Gli AL possono essere sequestrati da tessuto adiposo peridurale o perinevrio
PKa: è il grado di dissociazione a PH fisiologico. Tanto più il PH è lontano da PKa, tanto minore è il
farmaco in forma neutra, quindi tanto maggiore sarà la latenza.
LEGAME PROTEICO: è direttamente proporzionale alla durata d’azione dell’anestetico.
Definisce l’affinità di legame del farmaco con la proteina di membrana dove risiede il sito d’azione
del farmaco
MECCANISMO D’AZIONE: disattivazione dei canali del sodio dell’assolemma per ancoraggio
all’interno del canale ed impedimento al transito del Na+.
In condizioni di riposo la porta d’ingresso del Na+ è chiusa; con la depolarizzazione si apre e
permette il transito di Na+ all’interno della cellula. Contemporaneamente ed in maniera molto
lenta il canale raggiunge una configurazione inattivata (porta esterna aperta, porta interna
chiusa), che resta tale fintanto che la membrana non si è completamente ripolarizzata. Il canale in
questo stato è completamente refrattario alle variazioni di potenziale.
Per agire (legarsi al sito all’interno del canale ionico) l’anestetico locale deve essere in forma
dissociata = idrofilica, ma per oltrepassare la membrana delle strutture adiacenti al nervo
(epinevrio, perinevrio, endonevrio) deve essere in forma neutra = lipofilica
SITO DI INIEZIONE: influenza l’onset e la durata in base alle caratteristiche anatomiche ed alle
varie tecniche di anestesia locoregionale utilizzate. Il blocco subaracnoideo insorge prima di quello
peridurale, e questo prima di quello del plesso brachiale.
BLOCCO DI UN PLESSO NERVOSO (A. PLESSICA): Blocco di un fascio nervoso costituito da più nervi.
Si può eseguire più o meno vicino all’emergenza dalla radice. L’ordine temporale di insorgenza: la
paresi precede l’anestesia perché all’interno del fascio le fibre motorie decorrono nel mantello
mentre le sensitive sono più al centro. Inoltre le fibre prossimali sono più esterne delle distali per
cui l’insorgenza sarà prima delle prossimali e poi le fibre più distali. Inversa progressione avrà la
regressione del blocco.
Elettroneurostimolatore (ENS) ed ecografo: l’ENS viene utilizzato per blocchi nervosi ed era fino a
poco tempo fa la tecnica più idonea e sicura per eseguirlo; attualmente l’ecografia sta
soppiantando l’ENS. Esso genera stimoli elettrici mirati che, provocando la contrazione muscolare
consentono di identificare in maniera univoca le strutture nervose stimolate
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BLOCCO CENTRALE O NEURASSIALE: spinale (o subaracnoideo) e peridurale (o epidurale). La parto-
analgesia con epidurale è quindi un blocco neurassiale sia pure parziale, perché si usano basse
dosi di AL più oppioidi.
Indicazioni ai blocchi centrali:
- interventi sul piccolo bacino (isterectomia, fratture)
- Interventi all’inguine e alla regione sellare (ernie, emorroidi, fistole)
- Interventi agli arti inferiori (fratture, interventi vascolari)
- Interventi urologici
- Taglio cesareo
ANESTESIA SUBARACNOIDEA (Spinale): L’anestetico locale viene iniettato a livello dello spazio
subaracnoideo, ove si trova il liquor cefalorachidiano (o cerebro-spinale) e induce una paralisi
temporanea motoria e sensitiva. Si possono utilizzare soluzioni iperbariche (aggiunta di glucosio)
rispetto al liquor, isobariche o ipobariche. I segmenti bloccati varieranno in base alla posizione del
paziente. Il volume della soluzione è molto inferiore a quello utilizzato per la peridurale (1-3 ml).
Poiché il blocco della trasmissione nervosa non è selettivo, solo per le fibre sensitive, ma interessa
anche la trasmissione motoria, questa tecnica viene riservata per interventi della regione
sottombelicale, infatti un blocco troppo alto potrebbe bloccare i nervi intercostali
compromettendo la respirazione. Il blocco insorge in pochi minuti e si stabilizza entro 15-20’.
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