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Corso di Laurea in Infermieristica - Polo di Trento

Docente dott. Giovanni Pedrotti


Modulo Anestesiologia e Terapia Antalgica
a.a. 19/20

Appunti di Anestesiologia

1) Fisiologia e fisiopatologia della trasmissione del dolore


2) Valutazione preoperatoria e valutazione del rischio anestesiologico (ASA)
3) Tipi di anestesia: generale e loco regionale, principali blocchi nervosi
4) Fasi dell’anestesia: dall’induzione al risveglio
5) Monitoraggio, sicurezza in anestesia, complicanze
6) Farmaci per anestesia generale e periferica (agenti di blocco neuro-muscolare,
ipnotici, analgesici, gas e vapori, anestetici locali)
7) Anestesia loco-regionale

Da integrare con materiali già forniti su dolore cronico e principi di trattamento


- capitoli da 14 a 18 tratti dal testo Linch, Craig e Peng “Gestione clinica del dolore
Guida pratica ” Edizione Italiana a cura di Pitoni - Minerva Medica, 2011
- capitoli 9, 10, 11 e 12 del documento del Ministero della Salute Fanelli, Ventriglia
- “Il dolore cronico in medicina generale” 2010.

Riproduzione vietata ai sensi di legge n. 633/art. 171.


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esso.
1. Fisiologia e fisiopatologia della trasmissione del dolore

Definizioni

Il dolore è un’esperienza personale e soggettiva, influenzata dall’educazione, dalle


circostanze, dall’attenzione nonché da un certo numero di altri parametri psicologici.
Il dolore è un’esperienza sgradevole, sensoriale o emotiva, associata ad un danno tissutale,
reale o potenziale, o descritta in termini di tale danno (IASP – International Association for the
Study on Pain)

La percezione del dolore


Da un punto di vista fisiologico il dolore è una sub-modalità della sensibilità somatica, al pari
del tatto,della sensibilità agli stimoli pressori e del senso di posizione. Svolge anche
un’importante funzione protettiva, mettendo in guardia da quelle condizioni che arrecano
danno ai tessuti.
In passato si riteneva che la trasmissione del dolore fosse molto semplificata, rappresentata da
un collegamento diretto tra l’area stimolata ed il cervello. Si è scoperto in seguito che il
meccanismo è un po’ più complesso.

I nocicettori o recettori del dolore:


i nocicettori (dal latino nocere, danneggiare) sono recettori attivati da una varietà di stimoli
intensi, chimici, meccanici o termici, che causano, o hanno la capacità potenziale di causare, un
danno tissutale. L’attivazione dei nocicettori non provoca necessariamente un’esperienza di
dolore. Infatti la percezione del dolore è il prodotto di un processo di elaborazione e di
astrazione dei segnali afferenti sensitivi operato dal S.N.C.

Soggettività del dolore


La soggettività del dolore è uno dei fattori che rendono difficile la sua definizione e il
trattamento terapeutico. Non esistono “stimoli dolorifici”, se con questa espressione ci
riferiamo a stimoli che invariabilmente inducono la percezione del dolore in tutte le persone.
Ad esempio, molti atleti non si rendono conto di essersi provocati delle lesioni finché non è
terminata la gara. Allo stesso modo, una ferita sul campo di battaglia è meno dolorosa rispetto
ad un incidente civile, in un contesto di angoscia e disperazione.

Classificazione del dolore


Il dolore può essere classificato in base a diversi elementi..
In base alla durata: acuto, persistente o cronico.
Dolore persistente: è caratteristico di molte condizioni patologiche. Può essere nocicettivo o
neuropatico.
Il primo è causato dall’attivazione dei nocicettori della cute o dei tessuti molli provocato da
una lesione tissutale ed è generalmente associato all’infiammazione.
Il secondo è provocato da lesioni dirette di fibre nervose periferiche o centrali, e spesso si
manifesta come sensazione urente o provocata da una stimolazione elettrica (nevralgia
posterpetica, dolore da arto fantasma…)
Sia il dolore acuto che cronico possono essere distinti in somatico e viscerale

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Il dolore cronico presente nelle malattie degenerative, neurologiche , oncologiche specie nelle
fasi avanzate e terminali della malattia , assume le caratteristiche di DOLORE GLOBALE,
ovvero di SOFFERENZA PERSONALE, che trova nella propria eziopatogenesi oltre che
motivazioni fisiche , anche cause psicologiche e sociali, come evidenziato dai documenti della
OMS. Quando la condizione patologica che provoca il dolore è persistente nel tempo , quando
la sua presenza continua instaura un circolo vizioso di depressione, ansia e altri disturbi
emotivi, il dolore diviene una sindrome autonoma con pesante impatto sulla vita di relazione e
sugli aspetti psicologici e sociali della persona , il dolore assume connotati di sintomo inutile, e
va trattato nel modo più tempestivo possibile.

Il dolore può essere classificato anche in base alla patogenesi :

Dolore nocicettivo (causato dalla stimolazione di recettori specifici):


— Somatico superficiale (cutaneo e mucoso), Somatico profondo (ossa, articolazioni, tendini,
legamenti, ecc.), Viscerale, Neurogeno (nerve trunk pain) da flogosi nervosa.

Dolore non nocicettivo:


— Neuropatico (da lesione delle strutture nervose), Periferico, Centrale, Psicogeno (di riscontro
eccezionale nel paziente oncologico), misto (inteso come dolore che riconosca più meccanismi
patogenetici di base, tra quelli precedentemente descritti).

Il dolore può essere classificato anche in base ai caratteri:


—“Incidente” (traduzione dall’inglese: Incident), intendendo come tale l’algia che compare in
seguito a modifica posturale.
— Breakthrough pain (episodico).
Intendendo come tale il dolore che compare in modo intervallare senza chiari rapporti causali, nei
pazienti nei quali è in atto un trattamento con oppioidi in grado di controllare la sintomatologia di
base.

Nocicettori e fibre nervose

I nocicettori si distinguono in:


• Termici (T>45° o < 5°C). Fibre Aδ, sottili,mieliniche (vel. 5-30 m/sec)
• Meccanici (elevata pressione). Fibre Aδ, sottili, mieliniche (vel 5-30 m/sec)
• Polimodali (stimoli meccanici, chimici e termici). Fibre C di piccolo diametro, amieliniche (v
1 m/sec)
I tre tipi di recettori coesistono sia nella cute che nei tessuti profondi, e spesso operano
insieme. Es: colpo di martello: ad un primo dolore puntorio segue un secondo dolore o un
indolenzimento, a volte un dolore urente. Il primo è veicolato dalle fibre Aδ,(dolore rapido)
il secondo dalle C (dolore lento). Il dolore delle fibre C è poco localizzato.
• Silenti: si trovano nei visceri e sono attivati dall’infiammazione o dalla distensione

A differenza dei recettori tattili e pressori, i nocicettori sono costituiti da terminazioni nervose
libere. Si ritiene che la membrana dei nocicettori contenga particolari proteine che convertono
l’energia termica, meccanica o chimica in potenziali elettrici depolarizzanti.

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Una di queste proteine (vanilloide) è il recettore per la capsaicina, il composto attivo del
peperoncino piccante. Il vanilloide risponde anche a stimoli termici intensi.
L’attivazione dei nocicettori è mediata da sostanze chimiche rilasciate localmente quando c’è
danno tissutale: K+, H+, istamina, bradichinina, serotonina, sostanza P e altre chinine,
acetilcolina, prostaglandine. Queste sono prodotte a partire dall’acido arachidonico,
componente delle membrane cellulari, in caso di infiammazione.
Anche l’ossido nitrico (NO) e le citochine (IL1,IL2,IL6, TNF) sono coinvolti nel processo.
La sensibilizzazione del recettore ad opera di queste sostanze è alla base dell’iperalgesia
primaria.

Fibre e tipo di dolore


Le fibre Aδ, mieliniche e rapide, veicolano il dolore discriminativo che è alla base della reazione di
allontanamento (stimoli meccanici e termici)
Le fibre C, amieliniche e lente, polimodali, trasportano il dolore lento (affettivo), non
discriminativo, cioè non ben localizzato.
Oltre alle fibre Aδ e C anche le fibre Aβ, di grande diametro, contribuiscono alla percezione della
qualità degli stimoli nocivi, anche se non vi rispondono direttamente. L’attività delle fibre di
grande diametro è anche in grado di attenuare la percezione del dolore (esperimento del
tourniquet).

Ruolo dell’infiammazione
L’infiammazione è il risultato della liberazione di varie sostanze, tra cui numerosi neuroattivi. Il
perinevrio danneggiato facilita il passaggio delle grosse molecole, come i peptidi. Questi possono
essere rilasciati dai nocicettori stessi, e li sensibilizzano direttamente amplificando il segnale
(quindi l’iperalgesia primaria). Sia nella membrana delle fibre che nelle terminazioni sinaptiche
aumentano, in caso di flogosi, i recettori AMPA e NMDA per il glutammato, (un aminoacido
neurotrasmettitore).
Le prostaglandine sono sintetizzate dall’acido arachidonico tramite l’enzima ciclossigenasi (COX).
Ne esistono due isoforme, COX-1 e COX-2. I FANS bloccano in genere la COX-1
Il paracetamolo inibisce a livello centrale la sintesi di prostaglandine e la produzione di ossido
nitrico (NO)

Percezioni anomale del dolore:


• Allodinia: può non esserci dolore di base, ma viene provocato da stimoli che normalmente
sono innocui. Strofinamento di un tratto di cute, movimento di un’articolazione, alzarsi dal
letto…
• Iperalgesia: risposta eccessiva agli stimoli dolorifici, spesso il dolore è spontaneo e non
indotto (la capsaicina provoca bruciore senza causare lesione, il mentolo sensazione di
freddo). Si distingue in primaria (periferica) e secondaria (di origine centrale)

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Le fibre afferenti nocicettive terminano
principalmente nel corno dorsale del midollo
spinale, che in base alle caratteristiche dei
neuroni, che hanno funzioni in parte diverse,
può essere diviso in sei strati (lamine).
Le fibre che veicolano gli stimoli dolorosi
terminano prevalentemente nella parte
superficiale delle corna posteriori (lamina I-II).
Mentre nella I ci sono neuroni nocicettivi
specifici, la lamina II (sostanza gelatinosa) è
composta da interneuroni, sia eccitatori che
inibitori.
Le fibre A delta entrano nella lamina I e V, dove terminano anche afferenze Aβ (tattili). Ciò potrebbe
spiegare il dolore riferito.
Le fibre C a Aδ contraggono sinapsi con una seconda serie di neuroni che proiettano al talamo e
alla corteccia.
La maggior parte dei neuroni propriocettivi e della sensazione tattile fine proietta direttamente al
bulbo

Le fibre che veicolano gli stimoli dolorosi terminano prevalentemente nella parte superficiale delle
corna posteriori (lamina I-II) e contraggono sinapsi con una seconda serie di neuroni. Questi
trasportano il segnale al talamo e sono parte del fascio
spino-talamico laterale (STT).
Tutti i neuroni sensoriali secondari incrociano la linea
mediana

Fasci ascendenti che trasportano gli stimoli dolorosi:


1. Fascio (tratto) spino-talamico laterale (STT)
2. Fascio spino-reticolare (anche all form. reticolare)
3. Fascio spino-mesencefalico (sost. grigia
periacqueduttale) – componente affettiva
4. Fascio cervico-talamico (mesencefalo + talamo)
5. Fascio spino-ipotalamico (risposte cardiovascolari ed
endocrine complesse).

Le informazioni relative alle alterazioni tissutali vengono


ritrasmesse dal midollo spinale al talamo e alla corteccia
cerebrale attraverso le vie ascendenti, tra cui la più
importante è il tratto spino-talamico.
Il talamo laterale (nucleo ventrale PM, PL e posteriore) è
implicato nella localizzazione della sede di uno stimolo
nocivo (dolore acuto).
Il talamo mediale (nucleo centrale laterale e complesso
intralaminare) riceve il tratto paleospinotalamico, costituito
da vie polisinaptiche passanti per la formazione reticolare
del tronco. Proietta anche ai nuclei della base e fornisce
informazioni relative agli stimoli che attivano un sistema
aspecifico che presiede allo stato di vigilanza.

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Lo stimolo arriva poi alla corteccia sensitiva, ma anche al giro del cingolo (sistema limbico),
implicato nella componente emozionale del dolore, e alla corteccia dell’insula, che fornisce
informazioni relative ai visceri.
Il tratto spino-talamico veicola informazioni su temperatura e dolore, oltre al semplice contatto e
sensazioni viscerali. Esso contiene, separate, la componente lenta (emozionale) e quella rapida
(discriminativa) in differenti regioni del fascio, che viaggiano in parallelo.
Il dolore discriminativo raggiunge il talamo direttamente, senza stabilire connessioni con altre
strutture nervose, mentre il dolore lento, emozionale, raggiunge il talamo per via indiretta
passando per il tronco dell’encefalo. Il dolore lento è trasportato anche da altri fasci, come lo
spino-reticolare.
STT può essere diviso in laterale, che porta soprattutto temperatura e dolore, (sia lento che rapido), e
anteriore, che trasporta sensazioni tattili (localizzazione).
Quando viene sezionato (cordotomia) viene abolita, sotto la lesione, la sensibilità termica e dolorifica
controlaterale. Tuttavia questo evento non è duraturo perché dall’altro lato sono conservate le vie indirette
bilaterali

Vie di trasmissione del dolore


DIRETTO INDIRETTO (lento)
Fascio STT laterale STT laterale +Spinoreticolare
Origine Lamina I e IV, V I,IV,V,VII,VIII
Rappresentazione corporea Controlaterale Bilaterale
Sinapsi con form. reticolare No Si
Bersagli subcorticali No Ipotalamo, sit. Limbico, centri autonomici
Nuclei talamici Ventrale posterolaterale Intra-laminari, altri mediani
Loc. corticale Cort. sensitiva Cingolo
Ruolo Discriminativo, localizzato Affettivo
Altre funzioni T, tatto (tocco)

Dolore riferito: è una forma di dolore viscerale che viene avvertito sistematicamente e in modo
prevedibile in altre aree della superficie corporea. Es: in caso di IMA si avverte dolore al braccio
sinistro, in caso di colica biliare si avverte dolore alla scapola dx. La spiegazione più semplice è che
i singoli neuroni di proiezione ricevono afferenze da entrambe le regioni.

Sistema limbico:
partecipa a diversi aspetti del dolore: la natura affettiva degli stimoli dolorosi, la risposta motoria
agli stimoli dolorosi, l’apprendimento associato alla precisione ed alla capacità di evitare gli stimoli
dolorosi. La corteccia cingolata anteriore rappresenta la zona cardine dell’integrazione emozionale
della percezione nocicettiva cronica.

Modulazione del dolore


Il SNC possiede dei circuiti modulatori della percezione del dolore.
Il primo sito di modulazione si trova nel midollo spinale. Le fibre Aβ mieliniche inibiscono la scarica
dei neuroni della lamina V tramite gli interneuroni inibitori della lamina II. Le fibre Aδ e C eccitano i
neuroni della l.V, ma inibiscono gli interneuroni inibitori della lamina se II.

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Teoria del “Gate control” di Melzack & Wall (modulazione periferica del dolore)
Le afferenze non nocicettive “chiudono” il cancello, mentre quelle nocicettive lo aprono.
Questo spiega il perché uno stimolo vibratorio (fibre Aα e β) può ridurre il dolore. Su questo sono
basate le tecniche di terapia antalgica con elettrostimolazione (TENS).
La funzione del “gate control” è quella di modulare lo stimolo afferente. Nelle lamine della
sostanza gelatinosa del corno posteriore del midollo viene esercitata azione inibitrice sulle
afferenze del fascio spino-talamico, deputato a convogliare lo stimolo a livello superiore.
Anche le vie discendenti talamo-spinali giocano un ruolo importante sulla modulazione dello
stimolo

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2. Valutazione preoperatoria
La valutazione preoperatoria si pone come obiettivi principali:
• acquisizione di informazioni relative alle condizioni cliniche attraverso lo strumento
dell’anamnesi e dell’esame obiettivo;
• definizione e quantificazione del “rischio anestesiologico”, rifacendosi alla classificazione
ASA
• programmazione della strategia anestesiologica perioperatoria, sulla base delle condizioni
cliniche attuali, dell’anamnesi patologica personale e familiare, del tipo di intervento e del
grado di rischio formulato.
La richiesta preoperatoria di un approfondimento diagnostico, laboratoristico e/o strumentale, è
giustificata se corrisponde a quattro requisiti:
1) Completa l’inquadramento di una malattia concomitante clinicamente manifesta,oppure
controlla l’efficacia e gli effetti collaterali di un trattamento farmacologico;
2) Fornisce un valore di riferimento utile per l’interpretazione di eventuali modificazioni
successive all’intervento chirurgico (es: Hb);
3) Consente di diagnosticare malattie asintomatiche, di cui si è sospettata una familiarità
emersa dall’anamnesi (Es: ipertermia maligna);
4) Fornisce informazioni che condizionano la data dell’intervento chirurgico e modificano o
indirizzano la tecnica anestesiologica e/o chirurgica.

In molti pazienti essenzialmente asintomatici la routine preoperatoria deve basarsi su una


comprensibile ed accurata anamnesi, un attento esame obiettivo, eventualmente delle indagini
più approfondite mirate. Il fine degli esami, nel contesto della valutazione preoperatoria, è di
ridurre i rischi associati alla chirurgia e all’anestesia e le complicanze postoperatorie mediante
cure preventive o modifiche della tecnica chirurgica e/o anestesiologica.
Delle tre tecniche base, usate nella valutazione preoperatoria, l’anamnesi, l’esame obiettivo e gli
esami strumentali, è la prima la più efficace e vantaggiosa. Molti studi dimostrano che l’anamnesi
e l’esame obiettivo sono il miglior metodo di screening per le malattie. L’anamnesi da sola porta a
diagnosi nel 56% dei casi, l’esame obiettivo nel 17% dei casi, i test di laboratorio di routine nel 5%
dei casi. L’intervista pre-anestesiologica permette di stabilire tra paziente ed anestesista un
rapporto personale che facilita la discussione sui rischi ed i benefici delle differenti tecniche di
anestesia, fornisce al paziente le informazioni necessarie per ottenere il consenso (che deve
essere firmato a conclusione della visita, una volta quantificato il rischio) e lo istruisce sulla
opportunità di continuare o sospendere una terapia farmacologica domiciliare.

Come si stratifica e come si può influire sul rischio operatorio ?


Nella valutazione preoperatoria risultato principale della valutazione è la definizione del rischio
perioperatorio di morbilità o di mortalità. Scopo della valutazione è la definizione di strategie di
cure perioperatorie che riducano il rischio entro margini accettabili.
– Fattori di rischio preoperatori: le condizioni cliniche del paziente
– Fattori di rischio intraoperatori: sito chirurgico, tipo di anestesia, condizioni di emergenza,
durata delle procedure, stabilità emodinamica, temperatura corporea, qualità e tipo di
monitoraggio
– Fattori di rischio postoperatori: dolore, temperatura corporea, anemia, possibilità di
mobilizzazione, infezioni, possibilità di alimentazione corretta ed adeguata dal punto di vista
quantitativo e qualitativo.

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Categoria di rischio Chirurgico
Rischio Descrizione Esempi
Biopsia mammaria, neurolisi periferiche,
miringotomia, isteroscopia diagnostica,
broncoscopia, legatura tube ovariche,
1 Procedure ad invasività minima, associate
tonsillectomia, mastoidectomia etmoidectomia,
Basso a perdite ematiche < 200 ml
settoplastica, ernia inguinale, ernia ombelicale,
artroscopia di ginocchio, impianto di pace-maker o
di defibrillatore, cataratta
Laminectomia, svuotamento laterocervicale, TEA
Procedure moderatamente invasive con
carotidea, osteotomia mandibolare, isterectomia,
2 relativo sequestro di liquidi, perdite
colecistectomia, biopsia polmonare, toracoscopia,
Medio ematiche 1000 ml, oppure procedure a
artroprotesi d’anca o di ginocchio (primo impianto),
basso rischio e su soggetti a rischio elevato
uvulo-palatoplastica, resezioni orofaringee
Procedure altamente invasive in sede Resezioni polmonari, resezioni epatiche, interventi
toracica, addominale alta, cranica, con su pancreas, stomaco, esofagectomia, reprise di
possibile perdita ematica >1000 ml e grave artroprotesi d’anca o di ginocchio, chirurgia
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shift di liquidi. Fabbisogno postoperatorio vascolare maggiore (aortica o periferica),
Alto di trattamento intensivo; pazienti a eviscerazione pelvica
elevato rischio di morbilità o mortalità
perioperatoria

Classificazione ASA
ASA Descrizione Esempi
Soggetto sano, senza disturbi organici, Soggetti sani con buona tolleranza
1 fisiologici o psichiatrici all’esercizio fisico
Ipertensione controllata, diabete mellito
controllato senza effetti sistemici, fumo di
Soggetto con patologia ben controllata e
2 senza effetti di tipo sistemico
sigaretta senza evidenza di COPD, anemia
moderata, obesità media, età < 1 anno o >
70 anni, gravidanza
Insufficienza cardiaca compensata, angina
Soggetto con patologia ad effetto
stabile, IM pregresso (>3 mesi ),
sistemico, associata in maniera
3 intermittente a compromissione
ipertensione arteriosa mal controllata,
obesità patologica, COPD con esacerbazioni
funzionale significativa
periodiche, insufficienza renale cronica
Soggetto con gravi squilibri clinici, mal Angina instabile, COPD sintomatica in modo
4 controllati, associati a disfunzioni persistente, scompenso cardiaco cronico,
significative e potenzialmente letali insufficienza epato-renale
Soggetto in condizioni critiche con poche Insufficienza multiorgano, sindrome settica
speranze di sopravvivenza a breve con instabilità emodinamica, ipotermia,
5 termine, con o senza intervento coagulopatia non controllata o non
chirurgico controllabile, soggetti agonici.

Modificatore addizionale di ognuna delle


classi precedenti a significare che la
procedura viene effettuata in regime di
E urgenza o emergenza e può essere
associata a insufficiente preparazione o
quantificazione dei rischi

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MET Equivalente metabolico
Ogni attività fisica richiede un certo dispendio energetico, che aumenta con l’intensità dell’attività.
Tale dispendio energetico o equivalente metabolico o MET (dall’inglese può essere misurato
(anche sotto forma di risposta al carico di Watt durante esame con cicloergometro) ma può anche
essere stimato in base all’anamnesi clinica, sia sotto forma di dato riportato dal paziente che di
elemento emerso dall’intervista effettuata dal medico anestesista. Nel questionario di anestesia
viene richiesto, al paziente di definire la propria capacità di sforzo fisico in relazione a normali
attività della vita quotidiana o delle sue abitudini nel tempo libero. La capacità di lavoro fisico
viene classificata in base agli equivalenti metabolici o MET’s elaborati da ACC/AHA e riportata su
una scala di valori crescente.
Valori di tolleranza massima fino a 4 MET sono considerati indici di scarsa performance.
Fra 4 e 7 MET la prestazione è considerata discreta.
Da 7 a 10 MET’s la prestazione è considerata buona, mentre è ritenuta eccellente oltre i 10
MET’s.
Termine di riferimento è considerata la soglia dei 4 MET’s: al di sotto di tale valore il paziente va
senz’altro inviato alla consulenza cardiologia.
1 Mangiare, vestirsi, lavorare alla scrivania
2 Farsi una doccia
Scendere una rampa di scale□
3 Camminare tranquillamente in piano per circa 100-200 metri
Fare tranquillamente le piccole faccende di casa (spolverare, spazzare i pavimenti) □
4 Lavorare in giardino (rastrellare le foglie secche, togliere le erbacce)
Dedicarsi al bricolage domestico (tinteggiare, piccoli lavori di falegnameria, ecc.) □
Andare piano in bicicletta □
Fare 3 - 5 km a piedi in un'ora, con al massimo una sosta □
5 Camminare speditamente (6 km in un'ora)
Ballare il liscio□
Lavare l'automobile □
Salire una rampa di scale o superare a piedi una collinetta □
6 Lavori domestici pesanti
7 Fare dei lavori pesanti all'aperto (scavare, vangare)
Portare 30 chilogrammi □
Camminare in salita (passeggiate in montagna) □
8 Spostare dei mobili pesanti
Salire le scale velocemente □
Portare 10 chili per due rampe di scale □
9 Segare la legna□
Andare in bicicletta a discreta velocità □
10 Andare in bicicletta in collina
Camminare velocemente in salita □
>10 Qualsiasi attività più pesante delle precedenti □

Valutazione vie aeree è di importanza fondamentale


Distanza tiro-mentoniera: □ > 6 cm □ < 6 cm
Apertura della bocca: □ normale (> 3 cm) □ridotta (< 3 cm)
Dimorfismi facciali
mobilità del collo: □ normale □ ridotta
□ collo corto muscoloso
□ denti mobili

9
□ denti scheggiati
□ protesi dentarie

Mallampati score (con e senza fonazione)

Classe 1: visibili palato molle,


ugola, pilastri e parete posteriore
del faringe
Classe 2: visibili palato molle,
ugola, parete posteriore del faringe
Classe 3: visibili palato molle e base
dell’ugola
Classe 4: visibile il solo palato
duro

Esami da eseguire nel preoperatorio, EMOCROMO , PT - PTT


ECG nei pazienti > 40 aa, nei pazienti < 40 aa solo su indicazioni specifiche
RX TORACE nei pazienti > 60 aa, nei pazienti < 60 aa solo su indicazioni specifiche
ELETTROLITI glicemia azotemia creatininemia
nei pazienti >60 aa
nei pazienti <60 aa solo su indicazioni specifiche
GLICEMIA nei pazienti >60 anni
ASA 3-4, su indicazioni specifiche
ESAME URINE solo su indicazioni specifiche, TEST DI GRAVIDANZA tutte le paziente in età fertile

ELETTROCARDIOGRAMMA
L’efficacia di un esame ECG preoperatorio a riposo viene messo in discussione dalla maggioranza
degli autori. Non è raccomandato come esame di routine nei pazienti con anamnesi negativa per
patologie cardiovascolari e privi di fattori di rischio (ipertensione, obesità, dislipidemia, fumo,
diabete mellito, vasculopatie, malattie del collagene). Poiché le alterazione dell’ECG a riposo
aumentano con l’età, così come il rischio cardiovascolare, la letteratura specifica pone il limite dei
40 anni per l’esecuzione dell’esame nei pazienti da sottoporre ad interventi chirurgici.

ESAME RADIOGRAFICO STANDARD DEL TORACE


L’inopportunità di eseguire la lastra del torace a tutti i pazienti è sostenuta da ampia bibliografia,
inoltre va tenuta presente la legislazione vigente – legge 230 - in tema di radiazioni (l’impiego
delle radiazioni ionizzanti in campo medico è consentito solo a seguito di motivata richiesta
medica […], e da le linee guida aziendali.
Le motivazioni cliniche che giustificano la radiografia del torace preoperatoria sono:
- età oltre i 65 anni

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- malattia polmonari acute e croniche
- malattie cardiovascolari
- fumatore di lunga data (o di età > 50)
- chirurgia maggiore (chirurgia toracica, cardiochirurgia, chirurgia vascolare maggiore).
Pur in mancanza di evidenza particolare, in base alle linee guida già esistenti, va ritenuta valida
una radiografia del torace eseguita nei 6 mesi precedenti, purché non siano intervenute rilevanti
modificazioni cliniche.
Test di funzionalità polmonare
Simili test sono indicati in pazienti in cui il risultato modifichi le procedure chirurgiche o la strategia
anestesiologica o il programma di cure postoperatorie. Pazienti fumatori o con patologie
broncopolmonari ben trattate non necessitano sempre e comunque di simili indagini. Quando si
eseguono e su chi?
Pazienti candidati a resezioni polmonari, parziali o totali: spirometria, scintigrafia
ventilo/perfusionale e DLCO; eventuale test di consumo di ossigeno;
Pazienti con patologia respiratoria moderata/severa candidati per interventi su alto addome o per
chirurgia toracica: spirometria ed EGA;
Pazienti con dispnea a riposo: spirometria ed EGA;
Pazienti con asma in fase attiva: spirometria con test ai broncodilatatori.

Consulenze preoperatorie
Il ricorso a consulenze specialistiche preoperatorie costituisce pratica frequente e, spesso,
indispensabile per la stratificazione del rischio, tramite la definizione nosologica e la
quantificazione di condizioni patologiche. Una consulenza può essere utilizzata al meglio se
vengono definiti con precisione, nella richiesta, i seguenti quesiti:
– Inquadramento diagnostico o valutazione di stato (lasciando al consulente la
decisione su eventuali esami a lui necessari per quanto di competenza);
– L’assetto delle terapie è ottimale, oppure si possono ottenere miglioramenti con
ulteriori misure terapeutiche?
– La consulenza può fornire ulteriori elemento per la stratificazione del rischio?
Il consulente può fornire ulteriori indicazioni rispetto alla programmazione delle cure in fase
postoperatoria?

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3. ANESTESIA Tipi di anestesia
Definizione: abolizione, mediante l’utilizzo di farmaci, della sensibilità dolorosa anche patologica,
in corso di interventi chirurgici.
Distinguiamo:
 Anestesia generale, che comporta l’abolizione della coscienza
 Anestesia loco-regionale, che interessa una limitata parte del corpo e non
comporta quindi l’abolizione della coscienza (ma spesso è associata ad ansiolisi o
sedazione)

Che differenza c’è tra anestesia e semplice sedazione? Si può immaginare il passaggio tra
sedazione e anestesia come un “continuum”
1. Sedazione/analgesia procedurale: il paziente è in uno stato di tolleranza farmaco-indotta
nei riguardi di stimoli dolorosi o spiacevoli indotti da procedure diagnostiche o
terapeutiche. E’ auspicabile che il paziente non ricordi gli eventi spiacevoli, ma non è
garantita l’assenza di risposta agli stimoli dolorosi.
2. Sedazione cosciente (lieve-moderata): depressione della coscienza in cui il paziente è in
grado di rispondere a tono ai comandi verbali o ad una lieve stimolazione tattile.
3. Sedazione profonda: il paziente risponde soltanto agli stimoli dolorosi; può essere
presente incapacità di mantenere la respirazione spontanea o vi può essere instabilità
emodinamica.
4. Anestesia generale: assenza di risposta a qualsiasi stimolo, perdita dei riflessi protettivi
delle vie aeree, depressione del respiro e alterazione dei riflessi cardiocircolatori.

NOTA: Si ritiene che i livelli 3 e 4 siano di competenza dell’anestesista o di un medico con


competenze equivalenti nel sostegno delle funzioni vitali

Anestesia generale

Definizione di Anestesia Generale: perdita di coscienza indotta da farmaci e reversibile, dovuta a


depressione dell’attività del SNC.
Stato di anestesia = insieme di alterazioni nella coscienza e nel comportamento che includono:
amnesia, immobilità in risposta allo stimolo, attenuazione della risposta autonomica allo stimolo
doloroso, analgesia, incoscienza.

Gli obiettivi principali dell'anestesia generale sono in sintesi:


• ipnosi (abolizione della coscienza)
• analgesia (abolizione del dolore)
• miorisoluzione (rilassamento/paralisi dei muscoli)
• amnesia (abolizione del ricordo di tutto quanto accade)
Princìpi dell’anestesia generale:
• minimizzare i potenziali effetti nocivi dei farmaci e delle tecniche anestesiologiche.
• sostenere l’omeostasi fisiologica durante le procedure chirurgiche.
• migliorare l’outcome postoperatorio

Oltre ai quattro obiettivi classici, elencati sopra, dovremmo aggiungere quindi un quinto
obiettivo: il mantenimento dell’omeostasi dell’organismo alterata dall’anestesia,
dall’intervento chirurgico, dal posizionamento del paziente…

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Effetti dell’anestesia generale sull’omeostasi dell’organismo
• Emodinamici: riduce la pressione arteriosa e può ridurre la gittata cardiaca
• Respiratori: riduce o elimina il respiro spontaneo e i riflessi protettivi delle vie aeree
• Ipotermia: temperatura corporea < 36˚C
• Può causare nausea e vomito stimolando la zona chemorecettrice

Fasi dell’anestesia
• Induzione
• Mantenimento
• Risveglio
L’induzione e il mantenimento sono le fasi più critiche. In particolare all’induzione si possono
avere problemi di gestione delle vie aeree. Esiste un’analogia tra condurre un’anestesia e pilotare
un aereo: in aviazione abbiamo tre fasi: decollo, volo, atterraggio. In anestesia: induzione,
mantenimento, risveglio. La prima e la terza fase, come in aviazione, sono le più critiche.

Classificazione sulla base del tipo di anestetico usato:


• Anestesia gassosa o inalatoria
• Anestesia endovenosa:
1. TIVA (Totally Intra Venous Anesthesia)
2. TCI (Target Controlled Infusion)
• Anestesia mista
Si potrà parlare di "anestesia inalatoria" nel caso e si impieghino anestetici volatili e di "anestesia
endovenosa" nel secondo. I due tipi di anestesia possono essere anche combinati insieme. Nella
"anestesia inalatoria" l’assorbimento dei gas e dei vapori anestetici avviene attraverso i polmoni.
Nel caso di un’anestesia generale per via endovenosa, invece, i farmaci anestetici sono
somministrati mediante infusione continua, per mezzo di una pompa-siringa che regola la quantità
di farmaco necessaria al paziente. Alla fine dell'intervento l’anestesista mette in atto tutta una
serie di procedure che permetteranno, in totale sicurezza, di recuperare lo stato di coscienza, la
sensibilità, il tono muscolare e l'attività respiratoria e quindi di "svegliarsi", riportando il paziente
nella condizione precedente all'intervento.

Classificazione dell’anestesia in base alla gestione delle vie aeree.


• Con intubazione endotracheale (orale o nasale)
• Con maschera laringea
• Con maschera facciale

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4.FASI dell’ANESTESIA

Preanestesia:
Era rappresentata dalla somministrazione preoperatoria (generalmente in reparto)
dell’associazione di un sedativo/ipnotico (es: benzodiazepine) + un parasimpaticolitico (atropina),
quest’ultimo per prevenire gli effetti vagali della succinilcolina e dei gas all’induzione. Oggi è molto
meno usata.
Attualmente l’atropina è praticata solo in pediatria. La sedazione si effettua generalmente per via
endovenosa, prima dell’induzione, in sala o pre-sala operatoria.

Prima di iniziare la seduta operatoria:


• Controllo delle apparecchiature (test apparecchio di anestesia), dei farmaci e dei
dispositivi.
• Verifica della lista operatoria
• Check-list (sign in):_ identificazione del paziente e del lato da operare…vedi sotto.

L’Obiettivo 5 del Manuale per la Sicurezza in Sala Operatoria del Ministero della Salute (2009):
prevenire i danni da anestesia garantendo le funzioni vitali recita:
• Requisito fondamentale per una anestesia sicura è la presenza continua di un anestesista
per l’intera durata dell’anestesia e fino al recupero delle condizioni cliniche che
consentono la dimissione dal blocco operatorio.
• Prima di eseguire l’anestesia si deve verificare che i pazienti sottoposti a chirurgia elettiva
siano a digiuno.
– Per l’adulto il digiuno da un pasto regolare è di 8 ore, da un pasto leggero è di 6 ore;
possono essere assunti liquidi chiari fino a 2 ore prima dell’anestesia. Per il bambino
l’ultimo allattamento al seno deve essere eseguito almeno 4 ore prima
dell’anestesia, il digiuno da altri tipi di latte deve essere di 6 ore; per quanto
riguarda i cibi solidi il digiuno da osservare è lo stesso dell’adulto così come per quel
che riguarda i liquidi chiari. I pazienti con reflusso, devono essere trattati
preventivamente per ridurre la secrezione gastrica ed aumentare il pH.
Accesso venoso: introduzione di una ago cannula in una vena della mano o dell’avambraccio
attraverso la quale somministrati vengono somministrati i farmaci anestetici e le soluzioni saline
per mantenere l'equilibrio idrico dell’organismo durante la procedura chirurgica. Queste fasi
iniziali potrebbero essere effettuate in una area dedicata, situata nelle vicinanze della sala
operatoria.
Negli interventi maggiori può essere necessario un accesso venoso centrale (CVC).

Preparazione all’induzione:
• Maschera facciale di diametro adeguato al paziente, da collegare al sistema di ventilazione
in ossigeno con va e vieni
• Cannula di Mayo
• Laringoscopio a lama curva di dimensioni adeguate al paziente e/o secondo preferenze
dell’anestesista
• Tubo tracheale (diametro 7.5 per donne e 8-8,5 per uomini), con cuffia già testata e
sgonfiata completamente
• Lubrificante per il tubo tracheale (silicone spray)
• Mandrino da utilizzare in caso di difficoltà all’intubazione

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• Pinza di Magill
• Siringa per gonfiare la cuffia del tubo tracheale
• Aspiratore sempre pronto per eventuali rigurgiti
• Preparazione dei farmaci necessari all’induzione e al proseguimento dell’anestesia, inclusi
farmaci di emergenza ritenuti necessari, marcando le siringhe con segni di riconoscimento
e/o con etichette adesive.

In caso di intubazione difficile prevista, preparare gli altri strumenti necessari (video
laringoscopio, fibroscopio…) e avvertire i colleghi.

Induzione

Preossigenazione
• Consiste nell’aumentare le riserve di ossigeno, in particolare la capacità funzionale residua
(FRC), così coma la PaO2 e la SaO2. Eseguita prima dell’induzione dell’anestesia, permette
di aumentare il periodo di apnea senza desaturazione. Nell’adulto sano garantisce
un’ossigenazione adeguata fino al 6°-10° minuto di apnea dopo l’induzione.
• Si fa respirare O2 con maschera aderente al viso (flusso O2 di almeno 5 l/min) per 2-5
minuti (discutibile)
• Deve essere una pratica di routine in tutte le situazioni a rischio di ipossia: intubazione o
ventilazione difficile prevista, stomaco pieno, diminuzione della FRC (gravidanza, obesità,
ascite), situazioni in cui l’apporto di O2 è particolarmente critico (sofferenza fetale,
coronaropatia, ipertensione endocranica, anemia).
Il primo farmaco che si somministra è un ipnoinduttore:
• Tiobarbiturico (Tiopentone sodico)
• Propofol
• Benzodiazepine
• Ketamina (raramente)
La miorisoluzione non è sempre necessaria: si basa sulla somministrazione di miorilassanti:
• Non depolarizzanti, o competitivi
• Depolarizzanti
L’analgesia si ottiene con:
• Farmaci analgesici (oppiacei)
• Anestetici alogenati
• Combinazione con A.L.R.
Come si svolge l’induzione:
• Eventuale preanestesia endovenosa (es: midazolam 1 mg/ev)
• Preossigenazione per alcuni minuti
• Somministrazione di un ipnotico, generalmente in bolo (es: propofol 2 mg/Kg) mentre si
continua la preossigenazione
• Somministrazione di un analgesico e di un miorilassante (es: fentanyl 3 mcg/Kg + rocuronio
50 mg). Una dose di analgesico si fa abitualmente precedere all’ipnoinduttore. Attenzione
alla depressione respiratoria e alla rigidità della gabbia toracica.
• Ventilazione in maschera con O2 appena il paziente non è più cosciente e il respiro è
insufficiente o assente

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• Intubazione oro tracheale, quando si presume che il paziente sia ben rilasciato (curarizzato)
e analgesizzato.
• Mentre si procede all’intubazione generalmente si fa partire l’infusione continua di
analgesico e ipnotico.
• Dopo posizionamento del tubo tracheale lo si cuffia con la siringa già preparata e lo si
collega al respiratore tramite l’apposito circuito.
• Si ausculta il torace per verificare il corretto posizionamento del tubo (4 foci: i due apici e le
due basi).
• Si inizia il mantenimento dell’anestesia generale mediante i gas alogenati e/o mediante
farmaci endovenosi (se non è già stato fatto in precedenza)
• Soprattutto nei primi minuti si monitorizza di frequente la P.A. per possibili ipotensioni
farmaco-indotte. Durante il mantenimento l’intervallo tra le misurazioni non deve essere
comunque < 5 minuti (Manuale per la Sicurezza in SO)

Nota: l’ipnoinduttore ha una rapida emivita, il miorilassante ha una emivita variabile.


L’intubazione dovrebbe essere eseguita al culmine dell’effetto di entrambi i farmaci.

Intubazione:
Essendo l’anestesia generale un coma farmacologico indotto nell’ambito di una paralisi
muscolare l’intubazione serve sia a proteggere le vie aeree che ad assistere il respiro.
In caso di difficoltà all’intubazione per mancata visualizzazione della glottide in corso di
laringoscopia diretta, il mandrino, di plastica, più o meno rigido, a seconda del modello, viene
inserito nel lume del tubo tracheale. La rigidità del mandrino ci dà la possibilità di modificare
l’angolazione della parte distale del tubo stesso (ad uncino) consentendoci di posizionare
correttamente il tubo. Il mandrino DEVE essere rimosso PRIMA dell’introduzione del tubo in
trachea, una volta che esso è posizionato a livello della glottide, per prevenire danni alla
trachea stessa. Non deve sporgere dall’estremità del tubo.
La Pinza di Magill consente di afferrare il tubo tracheale, passato dalle coane nell’intubazione
nasale, e di indirizzarlo verso la glottide qualora esso tenda a progredire verso l’esofago
(glottide alta). Si utilizza anche nelle intubazioni difficili.
Attenzione alla pressione della cuffia del tubo, che deve essere “a tenuta” ma non troppo tesa
(25 cm d’H2O; in ogni S.O. deve essere disponibile un manometro). Il controllo comunque si fa
dopo fissato il tubo.

Maschera laringea:
Esistono metodiche alternative al tubo endotracheale. Sono presidi che non entrano nella
trachea e quindi sono meno irritanti più confortevoli per il paziente. Infatti evitano il fastidio
del mal di gola, che è una complicanza che può presentarsi al risveglio, quando si fa uso dei
tubi posizionati in trachea. Fra queste metodiche, la più utilizzata è la Maschera Laringea
(LMA).
Il controllo delle vie aeree è meno “a tenuta” e meno sicuro rispetto al tubo endotracheale.
Esistono algoritmi e linee guida sia internazionali che nazionali che locali che indicano con
precisione come comportarsi in caso di intubazione difficile prevista e imprevista (vedi slide).

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FASE INTRA-OPERATORIA (Mantenimento, Monitoraggio nella fase intraoperatoria )

Il paziente viene posto in una condizione di incoscienza per tutta la durata dell'intervento
chirurgico. Durante l'anestesia generale i processi di elaborazione a livello del cervello degli
impulsi nervosi che trasmettono il dolore e di quelli che trasmettono la percezione del mondo
esterno, sono bloccati, rendendo così il paziente insensibile alle stimolazioni dolorose e
totalmente incosciente. Prolungare lo stato di ipnosi non basta: occorre anche mantenere il
livello di miorisoluzione e garantire un adeguato livello di analgesia
Il mantenimento richiede pertanto:
• Gas anestetici alogenati: sevorano, desflurano vengono somministrati dall’apparecchio di
anestesia assieme all’ossigeno.
• I farmaci endovenosi (Propofol, Remifentanil) vengono invece somministrati mediante
pompa siringa impostata alla velocità di infusione desiderata, che può essere modificata
secondo le esigenze
• Curaro per il rilasciamento muscolare: si somministra in boli (dovrebbe essere
monitorizzato il rilasciamento con il TOF (Train of Four).
Durante il mantenimento è essenziale il monitoraggio non solo dei parametri vitali, della
profondità dell’anestesia e della curarizzazione, ma anche delle informazioni che ci forniscono
gli apparecchi di anestesia.

Monitoraggio dell’assistenza ventilatoria: include pulsiossimetro (cioè saturimetro) per valutare


l’ossigenazione a tono acustico variabile in base alla percentuale di saturazione dell’ossigeno
periferico ed udibile all’interno di tutta la sala operatoria. Un calo di SpO2 può essere dovuto
anche a ipoperfusione periferica (vasocostrizione - shock) o a un calo di gittata cardiaca (embolia
polmonare massiva).
Capnografo per valutare la clearance dell’anidride carbonica, emogasanalisi al bisogno. Il
ventilatore ci fornisce inoltre in continuo informazioni: Frazione Inspiratoria e F. espiratoria di O2 e
gas anestetici inspirati ed espirati, compliance e resistenze polmonari, volumi inspirati ed espirati,
frequenza respiratoria spontanea controllata, pressione delle vie aeree (picco, plateau, PEEP –
positive end expiratory pressure).

Il Manuale per la sicurezza in SO prescrive che deve essere monitorizzata continuamente la


pervietà delle vie aeree e la ventilazione. Ogni volta che viene impiegata la ventilazione meccanica,
deve essere predisposto e collegato il dispositivo di allarme per la deconnessione del circuito di
ventilazione dal paziente. Deve essere monitorata durante tutta la fase di anestesia la
concentrazione di ossigeno inspirato e un dispositivo di allarme dovrebbe essere tarato su una
bassa percentuale di ossigeno. Inoltre, deve essere utilizzato un dispositivo di protezione in caso di
erogazione di miscele di gas ipossici e un allarme che indichi l’interruzione della somministrazione
di ossigeno.
Particolarmente importante la curva di CO2 espirata (ETCO2): devono essere costantemente
misurate e visualizzate su display la concentrazione di CO2 espirata e la sua curva (capnografia) per
confermare il corretto posizionamento del tubo endotracheale e l’adeguatezza della ventilazione.
La presenza dell’onda ci dice innanzitutto che il tubo è in trachea (e non in esofago) dopo
l’intubazione; ci dà inoltre informazioni sul rebreathing (rirespirazione in caso di consumo della
calce sodata), sull’ostruzione delle vie aeree, su un improvviso aumento di metabolismo
(ipertermia maligna), sulla de curarizzazione. Un brusco calo o scomparsa può essere dovuto sia a
de connessione del tubo da ventilatore che ad arresto cardiaco. Una brusca diminuzione di gittata
cardiaca provoca un brusco calo della CO2 espirata.

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Monitoraggio della funzione cardiovascolare: deve essere utilizzato un monitor paziente con
canale ECG dotato di frequenza minima e massima per monitorare la frequenza cardiaca ed il
ritmo. Generalmente su usa un monitor a 3 o 5 derivazioni, che evidenzia sia le aritmie che
l’ischemia (slivellamento S-T).
• Deve essere effettuato almeno ogni 5 minuti o più frequentemente, se indicato dalle
condizioni cliniche, il monitoraggio della pressione arteriosa.
• Per alcuni interventi (generalmente maggiori) è necessario il monitoraggio della pressione
cruenta: mediante catetere inserito in a. radiale o femorale, attendibile anche in caso di
ipotensione importante
• In pazienti altamente critici può essere necessario monitorare la gittata cardiaca con
catetere in arteria polmonare o, nei pazienti cardiochirurgici, con ecocardiografia
transesofagea.
Il manuale per la Sicurezza prescrive inoltre: deve essere sempre disponibile un defibrillatore
cardiaco, monitorata la temperatura corporea, tramite apposito dispositivo per la misurazione
continua o ripetuta, nei pazienti esposti al rischio di ipotermia passiva (neonato, grande
anziano) e durante procedure accompagnate da termodispersione (ad esempio, ampie
laparatomie). Il controllo della temperatura corporea in corso di anestesia si attua con delle
sonde termometriche che comunemente sono posizionate a livello del faringe o dell'esofago e
che consentono un controllo continuo della temperatura. La correzione dell’ipotermia
intraoperatoria fa parte dei compiti dell’anestesia (si usano generalmente materassini termo
riscaldanti e si riscaldano le infusioni). L’ipotermia altera la coagulazione. Insieme con l’acidosi
e la coagulopatia rappresenta la “triade mortale” del traumatizzato. Per quanto riguarda il
rischio di ipertermia maligna: deve essere disponibile dantrolene sodico all’interno della
struttura, in un ambiente noto a tutte le professionalità coinvolte.

BIS (bi-spectral index): questo strumento ha lo scopo di valutare la profondità dell’anestesia. Il


valore 100 riportato sulla scala corrisponde ad una condizione di normalità (paziente sveglio,
vigile e cosciente). Dopo l'inizio dell'anestesia si può osservare un brusca caduta dell'indice BIS
che si porta a valori intorno a 35-40, che rappresentano la condizione di anestesia completa.
Lo strumento ha alcuni limiti.
Perché monitorare la profondità dell’anestesia?
• Il sovradosaggio di anestetici può avere effetti indesiderati come: ipotensione, bradicardia,
depressione respiratoria postoperatoria o convulsioni. Come minimo, ritarda il risveglio
dall’anestesia e provoca un costo farmacologico del tutto inutile
• Il sottodosaggio mantiene il paziente sveglio (awareness) con conseguenze psichiche e
medico-legali. Inoltre può causare risposte al dolore come movimento (rischio di morbilità
chirurgica), ipertensione e tachicardia (fattori predisponenti ad ischemia miocardica),
laringospasmo o broncospasmo (specie nel bambino)
TOF: monitoraggio del blocco neuromuscolare (vedi capitolo sui miorilassanti)
ONSET TIME= intervallo fra somministrazione e massimo effetto, cioè 100% e 5% del “single
twitch”
DURATA: tempo fra somministrazione e recupero al 25%
RECOVERY INDEX: tempo fra recupero 25 e 75%
ED95: dose necessaria per bloccare il 95% dei recettori
Fino a 80% dei recettori occupati il TOF è 95%. A 90% dei recettori occupati il TOF è 20%.

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Risveglio
Il risveglio a fine intervento prevede:
eliminazione dei farmaci inalatori e/o endovenosi, decurarizzazione, valutazione del contatto
corticale, valutazione della performance muscolare, estubazione.
Pochi minuti prima della fine dell’intervento ci si prepara alla fase di risveglio, diminuendo il
dosaggio dei farmaci usati nel mantenimento dell’anestesia generale. Si prepara il farmaco
antagonista del curaro, la prostigmina, generalmente somministrata assieme ad atropina, che ne
antagonizza gli effetti sulla frequenza cardiaca (bradicardia). Si preparano di solito 4 fiale di
prostigmina da 0,5 mg e 2 fiale di atropina da 0,5 mg, preferibilmente in siringhe separate.
Attualmente è disponibile un antagonista dei miorilassanti (sugammadex) a rapida azione.
Occorre pianificare, e in parte attuare intraoperatoriamente, l’analgesia postoperatoria. Il paziente
non deve uscire dal gruppo operatorio con VAS>4. Graduale risveglio del paziente dopo
smaltimento dei gas e dei farmaci endovenosi somministrati. Il paziente risponde ai comandi.
Valutare il grado di decurarizzazione: chiedere al paziente di stringere le mani, sollevare la nuca
dal lettino (tenere sollevato il capo 5 secondi: test che non garantisce la decurarizzazione)
Aspirare nel tubo tracheale e nel cavo orale

Anestesia in emergenza - urgenza

Fattori che influenzano la scelta delle tecniche anestesiologiche in emergenza:


• La reale emergenza: l’intervento è davvero indifferibile?
• La storia medica del paziente (terapie assunte, allergie, riferiti problemi in precedenti
anestesie)
• Intervallo dall’ultimo pasto (spesso in urgenza i pazienti non sono a digiuno)
• Alternative all’intubazione (se è possibile eseguire anestesia loco-regionale)
• La possibilità o la certezza che l’intubazione sarà difficile.
Paziente a stomaco pieno: il rischio è che il paziente possa vomitare senza essere in grado di
proteggere le vie aeree in quanto addormentato. Le conseguenze, gravissime, sono
essenzialmente due:
• Una asfissia per ostruzione completa delle vie aeree
• Una inalazione di vomito con conseguente polmonite ab-ingestis

Se possibile attendere 6 ore dall’ultimo pasto. Valutare possibili fattori aggravanti (atonia gastrica
nei diabetici, gravidanza, occlusione intestinale, ernia jatale). Se possibile eseguire anestesia loco
regionale. Se comunque si deve addormentare, effettuare una induzione rapida e la manovra di
Sellick (compressione della cricoide per impedire il reflusso gastrico) secondo la sequenza sotto
riportata.
Induzione a stomaco pieno:
• Premedicazione con antiemetici e gastroprotettori
• Approntare tutto il materiale necessario all’intubazione
• Ossigenazione del paziente in O2 puro per 3-5 minuti
• Indurre rapidamente (es. TPS) e subito dopo somministrare succinilcolina o rocuronio
• A questo punto l’infermiere deve fare la manovra di Sellick: comprime la cartilagine
cricoide con 3 dita e sostiene il collo con l’altra mano fino a nuovo ordine dell’anestesista
• A intubazione avvenuta, cuffiare rapidamente il tubo con la siringa (protezione delle vie
aeree) e SOLO DOPO l’infermiere può rilasciare la pressione delle dita
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Il paziente in shock
• Praticamente tutti i farmaci per indurre l’anestesia hanno l’effetto di deprimere il
miocardio e indurre vasodilatazione, quindi il paziente si ipotende ulteriormente
• Nel paziente in shock si può avere ACC (arresto cardio-circolatorio) all’induzione
• Per minimizzare gli effetti dei farmaci l’induzione deve essere eseguita con estrema
lentezza, sospendendo la somministrazione appena il paziente perde coscienza
• In alcuni casi il paziente arriva già non cosciente, quindi la somministrazione di
ipnoinducenti può essere del tutto omessa

Alterazioni dello stato di coscienza


- Se il paziente ha una coscienza depressa, il dosaggio di ipnoinduttore deve essere ridotto
- Se invece il paziente è molto agitato può occorrere una dose aumentata per ottenere la
perdita di coscienza

Ipertermia maligna
Nel 1960 fu per la prima volta riportato in letteratura un quadro di ipertermia perioperatoria
comune a tutta una famiglia. Questa ipertermia, scatenata dall'etere e dall'alotano, fu
responsabile di 10 decessi su 24 membri della famiglia. Gli Autori notarono che questa malattia
era geneticamente trasmissibile. Bisognerà attendere gli anni'70 per ricondurre questo stato di
ipertermia a un'origine muscolare e mettere a punto un test diagnostico di riferimento, il test di
contrattura in vitro all'alotano e alla caffeina.
La crisi di ipertermia maligna (IM) corrisponde a uno stato d'ipermetabolismo muscolare,
trasmesso in modo autosomico dominante, scatenato esclusivamente dall'uso di agenti
anestetici volatili con o senza l'aggiunta di un curaro depolarizzante, la succinilcolina.
L'incidenza della crisi di IM è stimata a 1/250 000 anestesie per la forma fulminante, a 1/62 000
anestesie nel corso di associazioni agente alogenato-succinilcolina e a 1/85 000 in assenza di
succinilcolina.
Esistono forme tipiche e atipiche e una forma fulminante
Segni d’ipermetabolismo: ETCO2 la frequenza cardiaca accelera, il paziente diviene tachipnoico o
lotta contro il ventilatore, la cute è calda, rossa e coperta di sudore. Un aumento progressivo della
CO2 espirata (PetCO2) a livello del capnografo è costante e la EtCO2 può superare 80 mmHg;
Segni muscolari: rigidità muscolare e rabdomiolisi
Segni clinici e biologici precoci della crisi di ipertermia maligna: spasmo dei masseteri, tachicardia,
rigidità muscolare localizzata, acidosi respiratoria (PetCO2 > 55 mmHg in ventilazione meccanica),
iperkaliemia, riduzione della SvO2
Trattamento
arrestare immediatamente la somministrazione dell'agente alogenato e prendere in
considerazione il risveglio del paziente o la prosecuzione dell'intervento sotto perfusione continua
di propofol, morfinici e curari non depolarizzanti se necessario; iperventilare il paziente (almeno
10 l min-1) in ossigeno puro. Non serve a niente perdere tempo per cambiare il ventilatore o il
circuito di ventilazione; somministrare il dantrolene (Dantrium® iniettabile) alla dose di 2,5 mg/Kg
per via endovenosa diretta, da ripetere con boli di 1 mg/ Kg per ottenere una regressione dei
segni clinici (tachicardia, ipercapnia, ipertermia, rigidità). Talora è necessaria una dose superiore a
10 mg/Kg . Raffreddare il paziente (ghiaccio ai quattro arti), fino a una temperatura di 37 °C;
attuare un riempimento vascolare (macromolecole) e una diuresi alcalina forzata per mantenere
una diuresi superiore a 1 ml kg-1 h -1. correggere un'iperkaliemia grave.

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6.FARMACI PER L’ANESTESIA GENERALE

Tiopentone sodico (Pentothal®)


Classe dei barbiturici (derivati dall’acido gamma-amino-butirrico, GABA)
• Riduce il metabolismo e il flusso ematico cerebrale; Si distribuisce ai tessuti più perfusi
come il cervello dando l’effetto clinico. Poi avviene la redistribuzione verso tessuti meno
perfusi come il muscolo fine dell’effetto della dose di induzione
• Dose: 3-5 mg/Kg
Complicanze e effetti avversi:
• rash cutaneo al torace e al volto che regredisce di solito spontaneamente
• Edema e dolore per stravaso in tessuti extravascolari

Propofol (Diprivan®)
Meccanismo d’azione: Azione dell’anestetico sul recettore GABA
Legame dell’anestetico a siti specifici della proteina del recettore; si distribuisce nel tessuto
lipofilo del cervello e del midollo, entro 2-4 minuti si distribuisce all’intero corpo; produce
anestesia al primo passaggio del circolo al cervello.

• Utilizzato sia come induttore per anestesia generale che, da solo, per sedazioni in rapide
manovre diagnostiche o chirurgiche. Esempi: gastroscopie, rettoscopie, raschiamenti
• Effetti emodinamici: vasodilatazione e depressione miocardica con ipotensione anche
importante in pazienti ipovolemici
• Effetti sulla respirazione: provoca apnea la cui durata dipende dalla dose e dal tempo di
somministrazione. Solitamente l’apnea dura 30-60 secondi
• Effetti sul SNC: diminuisce la pressione endocranica. Essenzialmente è un ipnotico,
modesta analgesia
• Di solito è un farmaco ben tollerato e considerato piacevole da parte dei pazienti:
l’induzione è dolce e al risveglio descrivono spesso una sensazione di benessere
Complicanze e effetti avversi: Ipotensione, aritmie, ischemia miocardica, confusione

Midazolam (Ipnovel®)
Potente sedativo utilizzato nella premedicazione dei pazienti da sottoporre ad intervento
chirurgico; utilizzato anche in terapia intensiva per la sedazione estemporanea dei pazienti (bolo
da 1 a 5 mg ev) o in infusione continua
Complicanze e effetti avversi:
Può dare disorientamento specialmente nei pazienti anziani; sonnolenza, disturbi della memoria,
potenziamento degli effetti di altre molecole deprimenti il SNC (etanolo), tolleranza e dipendenza

Fentanil (fentanest®)
Oppiaceo di sintesi 50 volte più potente della morfina nel provocare analgesia chirurgica
Impiegato per induzione (intubazione), analgosedazione procedurale, mantenimento anestesia
generale. Complicanze e effetti avversi: nausea e vomito, depressione respiratoria.

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Remifentanil (Ultiva®)
Oppiaceo di sintesi con emivita molto breve (3’)
Ketamina (Ketanest®)
La Ketamina è un anestetico molto particolare, diverso da tutti gli altri, è dissociante (anestesia
dissociativa) e privo di effetti depressivi sul sistema cardiovascolare e respiratorio (il paziente
continua a respirare e a deglutire). Può essere utilizzata per via e.v., i.m., per os e per via rettale
per l’induzione e il mantenimento dell’anestesia, specie in pazienti ipovolemici o ad alto rischio.
Molto frequentemente è usata per la sedazione-analgesia per brevi interventi o per manovre e
procedure diagnostiche radiologiche, anche nei bambini. Uno svantaggio durante le procedure
diagnostiche è che il paziente può avere dei movimenti involontari che possono compromettere
l’indagine (si possono associare benzodiazepine)
E’ l’unico farmaco tra quelli usati in anestesia che non deprime il sistema respiratorio e
cardiocircolatorio. Provoca analgesia e perdita di coscienza con una anestesia definita dissociativa

Miorilassanti
I miorilassanti sono farmaci che agiscono in periferia a livello delle fibre della giunzione neuro-
muscolare o centralmente, nell’asse cerebro-spinale, riducendo il tono muscolare o causando
paralisi.
Ne esistono due categorie: Bloccanti neuromuscolari, non depolarizzanti la placca neuromuscolare
• Depolarizzanti
– Agenti ad azione diretta
• Dantrolene sodico (impiegato nell’ipertermia maligna).

Fisiologia della contrazione muscolare


L’impulso nervoso che corre lungo la fibra,
arrivato all’estremità (tramite l’apertura dei
canali del calcio) causa un rilascio nello spazio
sinaptico dell’acetilcolina (Ach), contenuta in
vescicole all’estremità presinaptica. Questa
interagisce con il recettore nicotinico posto sulla
membrana della cellula muscolare, apre i canali
del sodio e causa la depolarizzazione che innesca
l’attivazione dei canali del calcio e la contrazione
L’acetilcolinesterasi rompe immediatamente le
molecole di Ach in acido acetico + colina. La
terminazione nervosa riassorbe subito acido
acetico e colina e risintetizza acetilcolina che immagazzina in vescicole.

I curari si possono distinguere in base al meccanismo d’azione e alla durata d’azione:


Non depolarizzanti (competitivi):
A lunga durata: D-tubocurarina, pancuronio
A durata intermedia: Rocuronio, Vecuronio, Atracutrio, Cisatracurio
A breve durata: Mivacurio

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Depolarizzanti: Succinilcolina
La principale distinzione è tra blocco depolarizzante e non depolarizzante.
Blocco non depolarizzante (competitivo):
• Sede: giunzione neuromuscolare
• I bloccanti competitivi hanno effetto sui recettori nicotinici a livello della placca
neuromuscolare ma non hanno attività intrinseca
• Il recettore ha struttura pentamerica con le subunità disposte a rosetta attorno al canale
del sodio

Blocco depolarizzante:
– La succinilcolina ha affinità per i recettori dell’acetilcolina; depolarizza la placca
neuromuscolare aprendo i canali del sodio
– Inizialmente causa fascicolazioni
– Una depolarizzazione prolungata produce un’eccitazione ripetitiva delle fibre
– La succinilcolina non si dissocia rapidamente dal recettore, a differenza dell’acetilcolina
– Induce una prolungata depolarizzazione della zona circostante la placca neuromuscolare
– L’acetilcolina non è più in grado di depolarizzare la placca
– Si ha una paralisi flaccida
Una volta depolarizzata, la placca si ripolarizza lentamente (6-8 min).

Succinilcolina
Miorilassante depolarizzante (depolarizza la placca neuromuscolare) a brevissima durata di azione,
permette un’intubazione ottimale entro un minuto. Reversibile spontaneamente entro 3-5 minuti
La brevissima durata di azione può essere di vitale importanza se il paziente non è intubabile e/o
inventilabile. Ci sarà ripristino di attività respiratoria propria in pochi minuti, e ciò potrebbe
significare la salvezza (tale caratteristica è oggigiorno meno importante per la disponibilità del
nuovo antagonista del curaro: il sugammadex).

Antagonismo dei curari


Neostigmina (Prostigmina®)
Antagonista dei curari non depolarizzanti
Dosaggio: generalmente 4-5 fiale da 0,5 mg somministrate assieme ad atropina 0,5– 1 mg che ne
antagonizza gli effetti cardiaci (bradicardia e, a volte, comparsa di aritmie)
Il sugammadex è una ciclodestrina che ingloba e neutralizza le molecole di curaro: attivo solo sugli
amino steroidi e in particolare sul rocuronio. Non antagonizza gli isochinolinici (Atracurio e
Cisatracurio). Il suo impiego richiede il monitoraggio del blocco neuromuscolare.

ANESTESIA INALATORIA
Anestetici volatili:
- Gas (protossido d’azoto, cioè N2O)
- Vapori (alogenati)
Caratteristiche dell’anestetico inalatorio ideale: Proprietà fisiche
Agente non infiammabile e non esplosivo alla temperatura ambiente, stabile alla luce, liquido e
vaporizzabile alla temperatura ambiente, con basso calore latente di vaporizzazione, stabile a

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temperatura ambiente, con un lungo tempo di degradazione, stabile a contatto con sostanze
sodate, plastiche o metalliche, non inquinante, poco costoso e facile da produrre.

Anestetici alogenati: SEVOFLURANO, DESFLURANO, ISOFLURANO


- Idrocarburi con alcune parti della molecola sostituite con atomi di alogeno (Br, Cl, F).
- Caratterizzati da elevato indice terapeutico e bassa tossicità.
- La concentrazione alveolare può essere misurata in continuo, e in alcuni circuiti di
anestesia è possibile l’iniezione diretta; si utilizzano quindi concentrazioni misurate e
non calcolate come per gli anestetici endovenosi.
- Sono rapidamente eliminati per via respiratoria, scarsamente solubili, scarsamente o
affatto metabolizzati.
Isoflurano: Il suo uso per l'anestesia umana sta venendo soppiantato con gli anni dal sevoflurano e
dal desflurano e dall'anestetico endovenoso propofol. Nonostante questo l'isoflurano è molto
usato nell'anestesia veterinaria.
Sevoflurano e Desflurano: hanno cinetica rapida e bassa tossicità. I vantaggi che ne derivano
(rapidità di induzione e risveglio e maggiore maneggevolezza) devono essere considerati alla luce
di un costo di utilizzo 4 volte maggiore rispetto all’isoflurano. Devono quindi essere impiegati in
modo prioritario in circuito chiuso e con flussi di gas fresco ridotti al minimo.

Qual è il parametro quantitativo che garantisce il controllo di ciascuna componente dell’anestesia?


Eger e Saidman (1965) misero per primi a punto un parametro attualmente di riferimento che è il
MAC per anestetici inalatori (minimum alveolar concentration) che rappresenta la concentrazione
minima necessaria ad abolire la risposta riflessa motoria alla stimolazione chirurgica nel 50% dei
pazienti e riflette esattamente la pressione parziale encefalica alla quale si produce tale effetto.

MAC (%)
Adulto +60% N2O Neonato 0-12 mesi Bambino Anziano
Isof 1.15 0,5 1,6 1,87 1,6 1,05
Sevo 2,05 1 3 3 2,6 1,45
Desfl 6 2,83 9,16 10 8 5,17
N2O 104
Effetti di altri anestetici sul MAC:
• N2O riduce il MAC con effetto additivo. Oltre una concentrazione del 50% tuttavia ha
effetto antagonista
• Gli oppioidi potenziano con effetto ceiling (il massimo effetto si ha per concentrazioni di
oppioide di 1-2 ng/ml). Poiché l’oppioide non è ipnotico non si deve scendere sotto 0,6
MAC per evitare il rischio di awareness.
Anestetici alogenati vs propofol
• PON 25,8% vs 14,1%
• POV 14,1% vs 5,2%
• Uso antiemetici 16,6% vs 5,1%
• Nausea post-dimissione: 21% vs 13%
• Vomito post-dimissione: 15,6% vs 5,9%

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Stabilità nella calce sodata
• La calce sodata, utilizzata nel circuito chiuso per adsorbire la CO2, contiene basi forti
(idrossido di Na e di K) che degradano tutti gli alogenati (e portano alla formazione di CO in
minime quantità)
• L’effetto è più accentuato quando la calce sodata è disidratata (umidità<6%) per cui è
opportuno utilizzare il circuito chiuso
• La degradazione del sevoflurano produce il composto A che a sua volta interagisce con altri
prodotti di degradazione(formaldeide e acido fluoridrico) per produrre il composto B. La
durata dell’anestesia
• La degradazione del composto A produce radicali alcanici ed alchenici con dimostrata
tossicità renale nel ratto; nell’uomo sono stati dimostrati gli stessi radicali, in quantità
minore e senza alterazioni cliniche.
• Il composto A è eliminabile rimuovendo le basi forti dalla calce sodata

Sevoflurano: l’anestetico più usato in anestesia pediatrica. Permette un’induzione inalatoria


(prima dell’incannulazione venosa) perché non è irritante per le vie aeree.

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Anestesia loco-regionale
Anestesia locale: è una perdita della sensibilità in una determinata regione senza perdita della
coscienza o compromissione del controllo di funzioni vitali. Distinguiamo: anestesia topica o di
superficie, anestesia per infiltrazione, anestesia tronculare, anestesia loco regionale.
Anestesia topica o di superficie: Applicazione diretta di soluzioni acquose di anestetici locali
(tetracaina, lidocaina e cocaina) sulla cute o sulle mucose nasali, della bocca, della gola, dell'albero
tracheobronchiale, dell'esofago e del tratto genitourinario. Assorbimento sistemico rapido e
pericolo di tossicità sistemica. (Esempio: anestesia topica per gastroscopia, intervento per
cataratta).
Anestesia per infiltrazione; iniezione di un anestetico locale direttamente nella cute dell’area
interessata senza tenere conto della ramificazione dei nervi cutanei (Esempio: attorno a una ferita
da suturare, per rimozione di un nevo, ecc…).
Anestesia tronculare: iniezione di una soluzione di anestetico locale nelle vicinanze di nervi
periferici che presiedono alla sensibilità della zona interessata. Blocco sensitivo e motorio.
(Esempio: anestesia in odontoiatria). In parte di competenza anestesiologica.
Anestesia loco regionale: iniezione sottocutanea o perinervosa di un anestetico locale (lidocaina,
mepivacaina, bupivacaina, levobupivacaina, roppivacaina) effettuata per anestetizzare una regione
distale rispetto al sito di iniezione. Essenziale la conoscenza della neuroanatomia. Di esclusiva
competenza anestesiologica (Esempio: blocchi neuro assiali, blocchi dei plessi).

Vantaggi dell’anestesia loco-regionale:


 Per il paziente: rimane sveglio, può rientrare subito in contatto con i familiari, può
riprendere precocemente l’alimentazione
 Per l’anestesista: maggiore stabilità cardiocircolatoria (non sempre) e respiratoria, rapido
recupero di autonomia a fine intervento, conservazione dei riflessi protettivi delle vie
aeree, analgesia protratta.

Anestetici locali (AL)


Gli anestetici locali sono sostanze che poste a contatto con una fibra nervosa ne bloccano
reversibilmente l'attività eccitabile, alterando la conduzione degli impulsi elettrici in transito nella
fibra nervosa stessa. La reversibilità dell'azione di blocco della formazione del potenziale d'azione
è garantita alle concentrazioni usualmente impiegate, ed il loro uso è seguito da completo
recupero della funzione nervosa senza evidenza di danno alle cellule nervose bloccate.
Le molecole di anestetico locale contengono un anello aromatico ed una porzione amminica
legate insieme da un legame esterico o amidico. Per tale motivo si possono individuare
aminoesteri, come la procaina, ed aminoamidi come la lidocaina. Questi ultimi sono i più usati.
Gli AL sono amine terziarie che agiscono come basi deboli e si legano ai componenti del sangue
(emazie e proteine sieriche). La durata d’azione dipende dalla velocità del loro assorbimento
sistemico. Gli esteri sono idrolizzati da esterasi non specifiche. Le amidi sono eliminate dal fegato,
attraverso il sistema del citocromo P450.
Hanno proprietà antinfiammatorie e possono modulare la risposta infiammatoria.
Il blocco nervoso permette di attenuare lo sviluppo della sensibilizzazione del sistema nervoso
secondario a un’aggressione tissutale, come un intervento chirurgico, responsabile dei fenomeni
di iperalgesia. Agiscono sul recettore NMDA.
I fattori che influenzano l’attività farmacologica: sono: POTENZA (intensità), LATENZA (= onset
time), DURATA DEL BLOCCO. Tutti e tre sono condizionati dalle proprietà fisico-chimiche degli AL.

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 LIPOSOLUBILITA’ condiziona POTENZA e ONSET TIME
 COSTANTE DI DISSOCIAZIONE Pka: condiziona POTENZA e ONSET TIME
 LEGAME PROTEICO: condiziona la DURATA
LIPOSOLUBILITA’: i composti più liposolubili sono i più potenti, per la maggior diffusibilità tra
membrane biologiche. Gli AL possono essere sequestrati da tessuto adiposo peridurale o perinevrio
PKa: è il grado di dissociazione a PH fisiologico. Tanto più il PH è lontano da PKa, tanto minore è il
farmaco in forma neutra, quindi tanto maggiore sarà la latenza.
LEGAME PROTEICO: è direttamente proporzionale alla durata d’azione dell’anestetico.
Definisce l’affinità di legame del farmaco con la proteina di membrana dove risiede il sito d’azione
del farmaco
MECCANISMO D’AZIONE: disattivazione dei canali del sodio dell’assolemma per ancoraggio
all’interno del canale ed impedimento al transito del Na+.
In condizioni di riposo la porta d’ingresso del Na+ è chiusa; con la depolarizzazione si apre e
permette il transito di Na+ all’interno della cellula. Contemporaneamente ed in maniera molto
lenta il canale raggiunge una configurazione inattivata (porta esterna aperta, porta interna
chiusa), che resta tale fintanto che la membrana non si è completamente ripolarizzata. Il canale in
questo stato è completamente refrattario alle variazioni di potenziale.
Per agire (legarsi al sito all’interno del canale ionico) l’anestetico locale deve essere in forma
dissociata = idrofilica, ma per oltrepassare la membrana delle strutture adiacenti al nervo
(epinevrio, perinevrio, endonevrio) deve essere in forma neutra = lipofilica

 DOSE: Influenza l’onset, l’intensità e la durata del blocco. Aumentando la concentrazione a


parità di volume aumenta l’intensità e si riduce la latenza. Aumentando il volume a parità di
concentrazione aumenta l’estensione del blocco.

SITO DI INIEZIONE: influenza l’onset e la durata in base alle caratteristiche anatomiche ed alle
varie tecniche di anestesia locoregionale utilizzate. Il blocco subaracnoideo insorge prima di quello
peridurale, e questo prima di quello del plesso brachiale.

BLOCCO DI UN NERVO PERIFERICO (A. TRONCULARE): richiede in media 10 ml di soluzione


anestetica. Per le zone anatomiche piuttosto piccole si deve evitare l’uso di grandi volumi di
anestetico perché la pressione meccanica della soluzione può impedire il flusso di sangue (Es:
interdigitale). Si può bloccare un nervo lungo un qualsiasi punto del suo decorso.

BLOCCO DI UN PLESSO NERVOSO (A. PLESSICA): Blocco di un fascio nervoso costituito da più nervi.
Si può eseguire più o meno vicino all’emergenza dalla radice. L’ordine temporale di insorgenza: la
paresi precede l’anestesia perché all’interno del fascio le fibre motorie decorrono nel mantello
mentre le sensitive sono più al centro. Inoltre le fibre prossimali sono più esterne delle distali per
cui l’insorgenza sarà prima delle prossimali e poi le fibre più distali. Inversa progressione avrà la
regressione del blocco.

Elettroneurostimolatore (ENS) ed ecografo: l’ENS viene utilizzato per blocchi nervosi ed era fino a
poco tempo fa la tecnica più idonea e sicura per eseguirlo; attualmente l’ecografia sta
soppiantando l’ENS. Esso genera stimoli elettrici mirati che, provocando la contrazione muscolare
consentono di identificare in maniera univoca le strutture nervose stimolate

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BLOCCO CENTRALE O NEURASSIALE: spinale (o subaracnoideo) e peridurale (o epidurale). La parto-
analgesia con epidurale è quindi un blocco neurassiale sia pure parziale, perché si usano basse
dosi di AL più oppioidi.
Indicazioni ai blocchi centrali:
- interventi sul piccolo bacino (isterectomia, fratture)
- Interventi all’inguine e alla regione sellare (ernie, emorroidi, fistole)
- Interventi agli arti inferiori (fratture, interventi vascolari)
- Interventi urologici
- Taglio cesareo

ANESTESIA SUBARACNOIDEA (Spinale): L’anestetico locale viene iniettato a livello dello spazio
subaracnoideo, ove si trova il liquor cefalorachidiano (o cerebro-spinale) e induce una paralisi
temporanea motoria e sensitiva. Si possono utilizzare soluzioni iperbariche (aggiunta di glucosio)
rispetto al liquor, isobariche o ipobariche. I segmenti bloccati varieranno in base alla posizione del
paziente. Il volume della soluzione è molto inferiore a quello utilizzato per la peridurale (1-3 ml).
Poiché il blocco della trasmissione nervosa non è selettivo, solo per le fibre sensitive, ma interessa
anche la trasmissione motoria, questa tecnica viene riservata per interventi della regione
sottombelicale, infatti un blocco troppo alto potrebbe bloccare i nervi intercostali
compromettendo la respirazione. Il blocco insorge in pochi minuti e si stabilizza entro 15-20’.

Problemi con l’anestesia Locoregionale:


Dolore nella sede della puntura, timore degli aghi, ricordo della procedura. Valutare l’associazione
di una sedazione. La sedazione permette di ottenere: analgesia, ansiolisi, amnesia. Va ricordato
comunque che “Il paziente deve poter scegliere se essere sedato o meno”.
• Un bolo iniziale o un’infusione producono ansiolisi (il 50% dei pz è in ansia prima del
blocco)
• La sedazione produce amnesia
• L’infusione continua migliora il comfort (interventi lunghi, posizioni scomode)
• Analgesia quando necessario (il 5-10% dei blocchi riesce in modo insufficiente)
• I sedativi aiutano a ridurre la quantità di oppiacei e, di conseguenza, di PONV
• La sedazione permette l’esecuzione di un blocco meno esteso (es. locale o regionale vs
spinale)
• Farmaci: midazolam, diazepam, fentanyl…

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