Uno degli artisti più originali del '400 è Andrea Mantegna, massimo rappresentante in pittura
del classicismo archeologico rinascimentale. L'opera di Andrea Mantegna raccoglie molti
aspetti della cultura artistica rinascimentale: la conoscenza dell'antichità classica,
lo spazio prospettico, la centralità della figura umana e una complessa trama simbolica.
Nei suoi sessantasei anni di vita Andrea Mantegna produsse molto e realizzò capolavori come la
Pala di san Zeno a Verona, gli spettacolari affreschi della Camera degli Sposi a Mantova,
l'impressionante Cristo morto di Brera, l'originale Parnaso del Louvre.
Lo stile di Mantegna è inconfondibile: caratterizzato da uno spiccato senso dello spazio, effetti
scenografici e monumentali, disegno minuzioso e attento ai particolari, colori accesi e
contrastanti. Segno duro secco e spigoloso che acquisisce attraverso l’arte tedesca grazie alle
stampe.
LA VITA
Andrea Mantegna nacque nella famiglia di un artigiano a Isola di Carturo, vicino a Padova,
intorno al 1431. dai documenti risulta infatti che Andrea era "di umilissima stirpe" e Andrea,
ancora bambino, lavorava in campagna come guardiano di bestiame. Isola di Carturo era un
borgo agricolo fuori Padova che apparteneva al territorio di Vicenza, oggi è chiamato Isola
Mantegna. Probabilmente la sua inclinazione artistica si rivelò presto, poichè il padre Biagio,
falegname, presentò il figlio, che aveva circa dieci anni, alla bottega del pittore Francesco
Squarcione a Padova. Infatti, dagli antichi documenti, tra gli allievi dello Squarcione risulta
anche Andrea come "figlioccio depentore", a partire dal 1442-43. Si trattò di un'esperienza
importante per la formazione di Andrea, perchè dal maestro, collezionista di statue e rilievi
classici, oltre all'apprendimento della tecnica pittorica, ereditò anche l'interesse per
l'antichità. Andrea rimase presso lo Squarcione fino al 1448, ma nonostante questo lungo
apprendistato il suo stile si è rivelato subito piuttosto diverso da quello del maestro e dagli
altri allievi, influenzato piuttosto dai nuovi e importanti stimoli culturali che offriva in quel
momento l'ambiente padovano.
LA FORMAZIONE
Lasciata la bottega dello Squarcione, 1448 circa il Mantegna iniziò la sua attività
indipendente. In quell'anno iniziò anche una lunga vicenda giudiziaria, riportata dai
documenti, in cui Andrea chiese al maestro il pagamento dei lavori eseguiti per lui
durante il suo alunnato. Alla fine vedrà riconosciuti i suoi diritti.
ORAZIONE NELL’ORTO
DESCRIZIONE
Gesù è nell’orto del Getsemani intento a pregare. Si trova al centro del dipinto, inginocchiato
al di sopra di uno sperone roccioso. È rivolto a sinistra e guarda verso l’alto dove si trova un
gruppo di angeli nudi con piccole ali sulla schiena che mostrano gli strumenti della passione.
Uno di loro porta una croce mentre un’altro sorregge la colonna dove sarà flagellato Cristo.
Inoltre, altri due mostrano la lancia e la spugna imbregnata d’aceto fissata ad un’asta.
Intorno a lui poi si trova un paesaggio collinare privo di vegetazione. In basso, gli apostoli
Pietro, Giacomo il Maggiore e Giovanni, dormono appoggiati al suolo. Infine, a destra, in
lontananza, i soldati romani giungono ad arrestare Cristo, guidati da Giuda.
L’apostolo guida il gruppo con il braccio teso. In alto, si osserva la città di Gerusalemme
nella quale si individuano edifici costruiti in diverse epoche. Inoltre, si riconoscono il
Colosseo, un monumento equestre e una colonna scolpita con un rilievo. La città è protetta
da alte mura restaurate. Sulla sommità, due alti picchi di roccia incombono sulla città.
L’atmosfera è quella del crepuscolo, poco prima del tramonto. Nel paesaggio sono distribuiti
alcuni animali. Sui rami secchi dell’albero a destra è fermo un avvoltoio. Sulla strada si
vedono un ibis bianco e un pellicano. A sinistra e a destra, sulla strada, si notano alcuni
conigli.
INTERPRETAZIONE
Mantegna raffigura la preghiera di Cristo nell'Orto degli Ulivi nella notte in cui fu tradito, ma
l'unico elemento che sta a ricordare l'ambientazione evangelica dell'evento è il piccolo
arbusto al centro.
Egli pone i suoi personaggi in una natura spoglia e pietrificata. Il Cristo è inginocchiato su
una roccia dalla quale c'è una grande linea dura e netta - simbolo di una forza disegnativa
notevolissima - che crea asperità e determina volumetria. Siamo di fronte ad un disegno
marcatissimo, caratteristica principale della pittura del Mantegna.
I tre discepoli, addormentati in riva a un fiume che pare un canale scavato fra lisce pareti
rocciose, sembrano anch'essi pezzi di roccia colorati, parti costitutive del paesaggio
semidesertico. Essi hanno posturalità diverse, due sono in orizzontale, uno è scorciato verso
l'interno. La solitudine di Gesù è sottolineata dal fatto che volge le spalle all'osservatore,
mentre prega rivolto verso cinque angeli, simili nell'aspetto ai putti degli antichi rilievi romani,
che portano i simboli della passione (la croce, la lancia, la colonna della flagellazione),
mentre sulla destra in corrispondenza di una curva sulla strada, Giuda guida la folla di armati
che avrebbero dovuto catturare il Cristo. Sull'albero di destra c'è un corvo nero, presagio di
morte, in asse con i soldati, mentre i leprotti sulla strada e vicino alla roccia davanti alla
quale Gesù è inginocchiato e gli uccelli bianchi nel fiume simboleggiano la vita e la
resurrezione.
Sullo sfondo ritornano le rocce e al di sotto c'è una città, un'architettura imponente che vuole
rubare il ruolo di protagonista al paesaggio. Questa è una ricomposizione fantastica
simbolica della città di Gerusalemme con elementi simbolo della sua Italia, nei quali notiamo
il ritorno del libero arbitrio nel ricostruire città ed architetture mostrando conoscenze di
architetture classiche, come la colonna coclide, un anfiteatro.
Per quanto concerne i colori, questi tendono al metallico, sono forti, ed il Mantegna è attento
ad accostare il caldo e il freddo per far risaltare con una certa violenza.
Sulla strada, inoltre, si trovano alcuni conigli usati con diverse simbologie nei dipinti religiosi.
Sant’Ambrogio considerava il coniglio, il simbolo delle due nature di Cristo, umana e divina.
Questo perché il coniglio muta il pelo bruno in estate e bianco in inverno. Invece, l’albero
caduto a destra allude al peccato mentre un ibis bianco simboleggia la resurrezione. Le
riparazioni evidenti nelle mura di Gerusalemme ricordano le diverse distruzioni della città.
LA CAMERA DEGLI SPOSI
La Camera degli Sposi, chiamata nelle cronache antiche Camera picta ("camera dipinta"),
è una stanza collocata nel torrione nord-est del Castello di San Giorgio di Mantova. È
celebre per il ciclo di affreschi che ricopre le sue pareti, capolavoro di Andrea Mantegna,
realizzato tra il 1465 e il 1474.Mantegna studiò una decorazione ad affresco che investisse
tutte le pareti e le volte del soffitto, adeguandosi ai limiti architettonici dell'ambiente, ma al
tempo stesso sfondando illusionisticamente le pareti con la pittura, come se lo spazio fosse
dilatato ben oltre i limiti fisici della stanza.
Nella parete nord, nota come “La Corte”, Ludovico Gonzaga è rappresentato con la famiglia
in un lungo porticato, chiuso da una balaustra decorata a tondi marmorei, al di là del quale
figura uno sfondo alberato. Il signore di Mantova è seduto su un trono, sotto al quale sta
accucciato il cane preferito del marchese, Rubino, simbolo di fedeltà. Protagonista insieme a
Ludovico è poi la moglie Barbara di Brandeburgo, seduta al centro e circondata dai figli:
Francesco, Gianfrancesco, Rodolfo, Sigismondo, Barbara e Paola. In basso è stata
posizionata la famosa nana di corte Lucia, affetta da neurofibromatosi, che guarda
direttamente lo spettatore. La corte, invece, si colloca sul basamento rialzato della Camera
in corrispondenza del camino, la cui presenza, che invade a metà la parte inferiore destinata
agli affreschi narrativi, rendeva molto difficile ambientare la scena senza interruzioni.
Tuttavia, Mantegna risolse il problema usando l’espediente di collocare la scena su una
piattaforma rialzata a cui si accede da alcuni gradini che scendono nel lato destro. Da ciò
deriva l’impaginazione particolarmente originale della scena, pensata appunto per adattarsi
alla forma della stanza. Per la realizzazione di questa parete il pittore scelse una tecnica a
secco, che diversifica la rappresentazione e l’effetto coloristico-pittorico in una resa più
preziosa, rispetto alla decorazione a fresco del resto della Camera.
Proseguendo con l’analisi delle pareti, tradizione vuole che la decorazione di quella ovest–
denominata “L’Incontro” – sia volta alla glorificazione della nomina di Francesco Gonzaga a
cardinale, evento fondamentale per la signoria dei Gonzaga.
La scena è divisa in tre settori: in quello di destra avviene l'incontro” vero e proprio, in quello
centrale alcuni putti reggono una targa dedicatoria e in quello di sinistra sfila la corte del
marchese. Sullo sfondo è rappresentata una veduta ideale di Roma, in cui si riconoscono –
tra i vari monumenti – il Colosseo, Castel Sant’Angelo e la piramide di Cestio.
A sinistra figura il marchese Ludovico Gonzaga, che indossa una corta sopravveste militare
grigia sopra una giubba rinforzata ed è armato di una daga e di una spada tempestata di
gemme; solleva la mano destra e si rivolge al cardinale Francesco, suo figlio. Come si è
detto poc’anzi, per buona parte della critica tale gesto rispecchierebbe il discorso che il
marchese pronunciò a Bozzolo il 1 gennaio 1462, accogliendo il figlio per la prima volta dopo
la sua elezione. Accanto a Ludovico e Francesco si individuano gli eredi della famiglia:
Federico, futuro marchese di Mantova, e Francesco II, che sposerà Isabella d’Este, insieme
all’imperatore Federico III e al re Cristiano di Danimarca, marito della sorella della marchesa
Barbara di Brandeburgo.
A sinistra dell’affresco, sopra la porta, geni alati sostengono la cartella con la targa
dedicatoria che reca la seguente scritta: «All’illustrissimo Ludovico, secondo marchese di
Mantova, principe ottimo e di fede ineguagliata, e all’illustre Barbara, sua consorte,
incomparabile gloria delle donne; il loro Andrea Mantegna, padovano, compì la presente
modesta opera in onore loro l’anno 1474».
Ma a rendere davvero celebre la Camera degli Sposi nel corso degli anni è stato senz’altro
lo stupefacente scorcio prospettico dell’oculo del soffitto, dove Mantegna portò alle estreme
conseguenze gli esperimenti illusionistici condotti nella Cappella Ovetari di Padova.
Incorniciato da una ghirlanda di fiori e frutti ornata di nastri, al centro della calotta figura
l’oculo dipinto che si apre illusionisticamente sul cielo sovrastante e alla cui balaustra si
affacciano figure ridenti e putti classici. Oltre ai putti alati sono raffigurate cinque figure
femminili, la cui identificazione con personaggi reali gravitanti attorno alla corte gonzaghesca
non è ancora chiara. Una di esse, a giudicare dall’elaborata acconciatura, doveva essere
una dama d’alto rango; accanto a essa, con un copricapo a strisce avvolto attorno alla testa,
la schiava di colore, una delle tante che si trovavano raffigurate nei palazzi e nelle ville
rinascimentali italiane. Al di là della tinozza rustica che contiene un albero di limoni
compaiono poi tre domestiche che, con volti sorridenti e complici, sembrano in procinto di
farla cadere nella stanza.
La parte restante della balaustra è invece occupata dal gruppo dei putti alati che giocano: tre
stanno all’interno, sulla cornice, e sono raffigurati per intero, due frontalmente e uno da
dietro, in pose volutamente contrapposte l’una all’altra. Degli altri putti, alcuni sporgono con il
capo attraverso gli ovali della balaustra, rafforzando l’illusione del libero movimento dello
spazio, altri giocano con un pavone, con ogni probabilità ritratto dal vero, che è un
riferimento agli animali esotici presenti a corte. Piccola curiosità: nella nuvola vicino al vaso
si trova nascosto un profilo umano, probabile autoritratto dell’artista abilmente mascherato.
Dal punto di vista architettonico, la copertura a calotta ribassata con oculo centrale rimanda
alla tipologia degli edifici classici romani, dalla Domus neroniana al Pantheon, il monumento
antico per eccellenza celebrato dagli umanisti
GIOVANNI BELLINI
Giovanni Bellini, pittore italiano del Tardo Rinascimento, meglio conosciuto come Il
Giambellino, appartenente ad una famiglia di artisti, nasce a Venezia intorno al 1430.
Nella sua pittura giovanile si nota l’influenza del Mantegna, suo coetaneo e cognato, con il
quale aveva lavorato per suo padre Jacopo Bellini, e dal quale aveva imparato l’arte della
prospettiva, l'attenzione agli spazi, il risalto, l’importanza dei contorni e gli schemi compositivi
elaborati.
Più avanti Giovanni Bellini raggiungerà una propria maturità stilistica, distaccandosi
parzialmente dai vecchi schemi, caratterizzandosi in una particolare luminosità, nell’armonia
dei colori, nella sensibilità verso il paesaggio naturale e l'empatia delle sue figure.
Maturando, il pittore aveva studiato da vicino i lavori degli artisti più innovativi che avevano
lavorato nella sua Venezia, come nella Cappella di San Tarasio in San Zaccaria, dipinta da
Andrea del Castagno o conosciuti a Ferrara come l'italiano Piero della Francesca ed il
fiammingo Roger Van Weyden.
La stessa età, il vincolo di parentela e i comuni interessi fecero in modo che Giovanni Bellini
fosse introdotto nell'ambiente colto e innovatore nella Padova del Mantegna. Questa
frequentazione, che gli fece conoscere la pittura fiorentina, aiutò il pittore ad adottare uno
stile compositivo più rigoroso e un disegno preciso e lineare.
Il lavoro del Giambellino eserciterà una grandissima influenza sui pittori veneti per tutto il
Quattrocento e gran parte del Cinquecento: è da lui che nasce il famoso “tonalismo
veneto”. Nel suo disegno ci sono linee secche e metalliche e forte chiaroscuro. Giovanni
Bellini muore, nella sua città nel 1516.
ORAZIONE DI BELLINI
Pur subendo l’influenza del Mantegna, che peraltro fu suo cognato, il Bellini non dipese mai
passivamente dal grande pittore padovano; anzi, con il tempo andò progressivamente
distaccandosi dallo stile mantegnesco. In questo processo di liberazione del colore dal
disegno, che dette vita alla cosiddetta pittura tonale, fondamento dell’arte veneta, si
dimostrò fondamentale l’incontro di Bellini con Antonello da Messina, dal quale imparò a
definire le forme senza l’intervento della linea, a modellarle solo con la luce, attraverso sottili
gradazioni di tono. I toni hanno una schema: primo piano colori caldi e colori freddi i
successivi. Con lui ci fu PROSPETTIVA CROMATICA: grazie a questi schemi di colori
riusciva a creare la prospettiva. I colori caldi sembrano di avvicinarsi agli occhi di chi guarda
e quelli freddi sono rientranti ovvero si spingono indietro.
Ancora una volta, però, egli seppe conferire nuovi significati a quanto aveva potuto assorbire
da altri pittori: per Antonello da Messina, infatti, come per Piero della Francesca, la luce
serviva a esaltare il senso della forma pura; per Giovanni, invece, essa era il tramite della
grazia e della bellezza, rifletteva la presenza di Dio, esaltandone il mistero.