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Inoltre, nel linguaggio umano, parole come batto o patto, tardo o dardo, sono
formate da entità più piccole, dette fonemi (come d, p, a, ecc.), nessuna delle quali
ha significato, ma se scambiata con un'altra, ha la possibilità di produrre un
significato diverso. In ogni lingua i fonemi sono in numero limitato, mentre le
parole sono centinaia di migliaia ed è sempre possibile formare parole nuove.
Quindi, una delle caratteristiche del linguaggio umano è quella di poter formare un
numero altissimo di segni, cioè entità dotate di significante e significato, mediante
un numero molto limitato di elementi (i fonemi) che non hanno significato, ma solo
la capacità di distinguere i significati. Questa caratteristica, chiamata doppia
articolazione, è assente nel linguaggio degli animali. Un'altra differenza tra il
linguaggio umano e i linguaggi animali è data dall'inventario dei segni a
disposizione in questi linguaggi: in generale i sistemi di comunicazione animale
sono caratterizzati da un numero finito di segni, invece le parole di ogni lingua
umana non costituiscono insieme finito perché si creano continuamente parole
nuove. A questa possibilità di creazione continua di nuove frasi contribuisce il
meccanismo della ricorsività: questo meccanismo permette di costruire frasi sempre
nuove, inserendo in una frase data un'altra frase, poi in quest'ultima un'altra frase
ancora e così via.
ES. In una frase semplice come “Maria mi ha colpito” possiamo aggiungere “i
ragazzi dicono che Maria mi ha colpito” e ancora “i vicini credono che i ragazzi
dicono che Maria mi ha colpito.”
Dunque, non c’è un limite alla lunghezza delle frasi di una qualunque lingua
naturale.
Con linguaggio intendiamo la capacità comune a tutti gli esseri umani di sviluppare
un sistema di comunicazione dotato di queste caratteristiche, ovvero discretezza,
ricorsività, ecc. che lo distinguono da altri sistemi di comunicazione. Con lingua
intendiamo, invece, la forma specifica che questo sistema di comunicazione assume
nelle varie comunità. Quindi, se ci riferiamo al linguaggio umano, generalmente
parliamo di linguaggio al singolare, perché questa capacità è propria della specie
umana. Invece, parliamo di lingua sia al singolare che al plurale, riferendoci alle
varie lingue del mondo. Ci sono degli elementi comuni a tutte le lingue del mondo,
chiamati universali linguistici, come ad esempio la ricorsività. Una caratteristica che
invece distingue le varie lingue è l'ordine delle parole, cioè l'ordine degli elementi
principali di una frase. In italiano l'ordine più comune in una frase è quello
soggetto, verbo, oggetto (SVO). Questo ordine è tipico anche di molte altre lingue,
come l'inglese o il francese. Per esempio, in arabo o nelle altre lingue semitiche,
l'ordine è verbo, soggetto, oggetto, mentre in lingue come il turco o il giapponese
l'ordine è soggetto, oggetto, verbo. Esistono, quindi, da un lato gli universali
linguistici, dall’altro delle proprietà che caratterizzano soltanto alcune lingue oppure
soltanto alcuni gruppi di lingue.
CAPITOLO 2: CHE COS’È UNA LINGUA?
2. ASTRATTO – CONCRETO
Prendiamo in esempio i suoni della parola “mano”. Se un parlante ripete un numero
qualsiasi di volte (per esempio 12) la stessa parola, questo non riuscirà mai a
produrre due M o due A identiche: ci saranno sempre delle variazioni. Avremo
quindi 12 A o 12 M diverse dal punto di vista fisico. Quindi ogni atto linguistico è
un fatto irripetibile e ciò che in una lingua è fondamentale è proprio la capacità
distintiva dei suoni e, se il parlante dice mano per 12 volte con 12 A diverse, il
significato a cui allude è sempre lo stesso. Abbiamo quindi un livello astratto dove
esiste una ed una sola A, poi questa si può realizzare in un tot di modi diversi. Poi
invece vi è un livello concreto, quello fisico dove c'è molta varietà che dipende da
come in quel momento sono atteggiati gli organi della fonazione.
LANGUE – PAROLE
Ferdinand De Saussure pose alla base del suo corso di linguistica generale una serie
di distinzioni che formano ancora oggi una base per la definizione di lingua e cioè
le distinzioni tra sincronia e diacronia, tra rapporti associativi e rapporti sintagmatici,
tra significante e significato e quella tra langue e parole. La parole è un'esecuzione
linguistica realizzata da un individuo, è un atto individuale. Vi è poi una lingua che
è della collettività, è sociale ed astratta, questa è la langue. L'individuo, quindi, può
realizzare atti di parole diversi ma non può da solo modificare la langue. Quindi
questa è una lingua sociale ed astratta, mentre la parole è una lingua individuale e
concreta. Quindi gli esseri umani comunicano attraverso atti di parole, ma il
fondamento di questi atti e nella langue, perché è proprio questa il sistema di
riferimento collettivo: ad esempio, è proprio collettivamente che si è stabilito che
mano si riferisce all'arto umano.
CODICE – MESSAGGIO
Un'altra importante distinzione è dovuta a Jakobson ed è quella tra codice e
messaggio, anche questa si basa sulla distinzione tra un livello astratto ed un livello
concreto. Ad esempio, il codice morse è costituito da due unità soltanto, il punto e
la linea. Sulla base di queste due unità e delle regole di combinazione di queste
due unità si possono costruire diversi messaggi. Il codice è un insieme di
potenzialità ed è astratto. Il messaggio, invece, viene costruito sulla base delle unità
fornite dal codice, ed è un atto concreto. Possiamo dire che a livello di codice
esistono unità come P, N, E, A, ecc. e che queste unità astratte possono combinarsi
sulla base di determinate regole per formare dei messaggi (pane, pena) oppure dei
non messaggi (eanp, pean).
COMPETENZA – ESECUZIONE
Un’altra distinzione che avviene tra un livello astratto e uno concreto è stata fatta
da Noam Chomsky tra competenza ed esecuzione. La competenza è tutto ciò che
l'individuo sa della propria lingua per poter parlare come parla e per poter capire
come capisce; l’esecuzione, invece, è tutto ciò che l'individuo fa linguisticamente.
Quindi l'esecuzione è un atto di realizzazione, come la parole e il messaggio, e
perciò è concreto. La competenza è invece diversa dal concetto di langue. Infatti,
mentre questa è sociale, la competenza è individuale e ha sede nella mente
dell'individuo.
Tutte queste competenze del parlante fanno parte della grammatica dei parlanti,
intesa come un insieme di conoscenze che sono immagazzinate nella mente. La
grammatica dei parlanti viene costruita attraverso un equilibrio di fattori innati
biologicamente e di esperienze acquisite all'interno della comunità linguistica di
origine. Ad esempio, il bambino quando apprende una lingua non è esposto alle
regole della lingua, ma solo ai suoi dati. Il bambino, dunque, costruisce una sua
grammatica a partire da dei dati che sono chiamati “dati linguistici primari”.
SINTAGMATICO – PARADIGMATICO
In un atto linguistico i suoni vengono disposti in una sequenza lineare, cioè uno
dopo l'altro. In questo modo i suoni perdono la loro individualità e diventano una
catena parlata, quindi in questa operazione succede che i suoni si influenzano l'uno
con l'altro: la N di “canto” è foneticamente diversa dalla N di “anfora”: la prima è un
suono dentale, la seconda è un suono labio dentale. Quindi la T di “canto” e la F di
“anfora” esercitano un’influenza sul suono nasale precedente. Questi tipi di rapporti
vengono definiti rapporti sintagmatici e si hanno tra elementi che sono in
praesentia, cioè co-presenti. Prendiamo in esempio la coppia amico/amici: la prima
parola ha un suono velare K, mentre la seconda ha un suono palatale C. In questo
caso è la vocale seguente che influenza la realizzazione del suono che corrisponde
alla lettera dell’alfabeto C: anche questo è un rapporto di tipo sintagmatico.
Rapporto paradigmatico esempio: nella parola “stolto” tra la S e la vocale O
compare un suono T. Il contesto e la posizione di T sono dunque tra la S e la O. Al
posto di questo suono possono comparire altri suoni nello stesso contesto: STOlto,
SDOganare, SCOrta, SGOmbro, SPOrta, SBObinare. Tutti i suoni che possono
comparire in un certo contesto hanno tra di loro dei rapporti di tipo paradigmatico
o associativo, ma sono rapporti in absentia: infatti, se realizzo il suono T non posso
realizzare gli altri. I rapporti sintagmatici e paradigmatici non riguardano solo i
suoni e possiamo prendere in considerazione queste espressioni: “questo mio
amico”, “questa mia amica”, “questi miei amici”, “queste mie amiche”. Vi sono
rapporti sintagmatici quindi tra la O di questo, la O di mio e la O di amico (e così
via con la A, la I e la E).
Prendiamo in considerazione queste altre espressioni: “il libro”, “questo libro”, “quel
libro”. Tra IL, QUESTO e QUEL vi sono rapporti paradigmatici perché se realizziamo
IL non possiamo realizzare QUESTO e QUEL.
Esempi:
1. La funzione emotiva è quella che riguarda il parlante, si realizza quando il
parlante esprime stati d’animo, quando il parlare è più inteso ad esprimere
che a comunicare qualcosa.
2. La funzione referenziale è una funzione informativa: “il treno parte alle 6”.
3. La funzione poetica è la più complessa. Secondo Jakobson si realizza la
funzione poetica quando il messaggio che il parlante invia all’ascoltatore è
costruito in modo tale da costringere l’ascoltatore a ritornare sul messaggio
stesso per apprezzarne il modo in cui è formulato. “Nel mezzo del cammin…”
4. La funzione fatica è quella che si realizza quando vogliamo controllare se
il canale è aperto e funziona regolarmente: “mi senti?”, “ci sei?”, “hai capito?”.
5. La funzione metalinguistica si realizza quando il codice viene usato per
parlare del codice stesso, per esempio una grammatica realizza pienamente
la funzione metalinguistica: si usa la lingua X per parlare della lingua X.
6. La funzione conativa si realizza sottoforma di comando o di esortazione
rivolti all’ascoltatore affinché modifichi il suo comportamento: ad esempio, i
galatei con le loro prescrizioni realizzano la funzione conativa “ non sputare
per terra!”
2. LA FAMIGLIA INDOEUROPEA
Una delle più importanti scoperte nella storia della linguistica fu quella compiuta
nei primi decenni dell'Ottocento, che è un'antica lingua dell'India, il sanscrito, ed
alcune lingue europee, come il latino e il greco, sono genealogicamente
apparentate. Negli anni intorno al 1830 fu coniato il termine indoeuropeo per
indicare questa famiglia linguistica. La famiglia indoeuropea si suddivide nei
seguenti gruppi e sottogruppi:
- Il gruppo indo-iranico, è suddiviso in due sottogruppi ovvero indiano ed iranico.
Al sottogruppo indiano appartengono varie lingue antiche e varie lingue moderne.
Tra le prime, ovvero le lingue antiche, ricordiamo il sanscrito parlata nel primo
millennio a.C. e il vedico, di attestazione ancora più antica. Tra le lingue indiane
moderne, derivate non direttamente dal sanscrito, ma dai cosiddetti dialetti pracriti,
ricordiamo l’hindi e l’urdu. Il gruppo iranico è ulteriormente suddiviso in due rami:
le lingue iraniche occidentali e le lingue iraniche orientali. Tra le lingue antiche del
ramo occidentale ricordiamo il persiano antico, risalente all’epoca tra il sesto e il
quarto secolo a.C. e l’avestico, così denominato perché in questa lingua è scritto
l’Avesta, il libro sacro della religione di Zarathustra. Tra le lingue moderne, invece,
ricordiamo il persiano moderno, lingua ufficiale dell'Iran, e il curdo. Al ramo
orientale delle lingue iraniche appartengono il pashto o l'afghano.
- Il gruppo tocario è rappresentato da due lingue estinte e indicate come tocario
A e tocario B, risalenti dalla metà alla fine del primo millennio d.C. e scoperti
all'inizio del ‘900 in una regione cinese.
- Il gruppo anatolico comprende varie lingue diffuse nel secondo e nel primo
millennio a.C. nell'Anatolia o Asia minore (odierna Turchia) oggi estinte. Tra queste,
quella maggiormente documentata è l’ittita, la lingua degli ittiti.
- Il gruppo armeno è rappresentato da una sola lingua, appunto l'armeno. Questa
è attestata a partire dal V secolo d.C. e attualmente è la lingua ufficiale della
Repubblica ex sovietica dell'Armenia ed è parlato dalle popolazioni armene
stanziate in Turchia fino all'inizio del ‘900 e ora disperse in vari paesi dell'Europa,
dell'Asia e delle Americhe.
- Il gruppo albanese, è rappresentato anche questo solo dalla lingua albanese,
attestata dal XV secolo d.C. e oggi parlata, oltre che nella Repubblica d'Albania,
anche dalla maggioranza degli abitanti della regione jugoslava del Kosovo e da una
consistente minoranza di quelli della Repubblica di Macedonia. I dialetti albanesi
sono anche parlati in alcune regioni dell'Italia meridionale, da discendenti di
popolazioni albanesi immigrati in quei luoghi nel XV secolo d.C. per sfuggire ai
turchi.
- Il gruppo slavo, è diviso in tre sottogruppi: slavo orientale che comprende il
russo, il bielorusso e l'ucraino; slavo occidentale che comprende il polacco, il cieco,
lo slovacco e altre lingue minori; slavo meridionale che comprende il bulgaro, il
macedone, il serbo croato e lo sloveno. Le prime attestazioni delle lingue slave
sono i testi religiosi in antico slavo ecclesiastico (o antico bulgaro) che risalgono al
IX e al X secolo d.C.
- Il gruppo baltico comprende lingue come il lituano e il lettone, lingue ufficiali
rispettivamente delle repubbliche di Lituania e Lettonia. Comprende varie lingue
oggi estinte di cui la più importante è il prussiano antico. Le prime attestazioni di
queste lingue non risalgono a prima del XVI secolo, tuttavia il lituano conserva dei
caratteri arcaici tanto che può essere messo sullo stesso piano delle lingue
indoeuropee come il sanscrito, il greco, il latino e l'ittita.
- Il gruppo ellenico, è rappresentato da una sola lingua, il greco, le cui prime
attestazioni risalgono al secondo millennio a.C., il cosiddetto miceneo. Il greco fu la
lingua più importante della civiltà occidentale tra il V secolo a.C. e il V secolo d.C.
La forma moderna di questa lingua (il greco moderno) è attualmente la lingua
ufficiale della Grecia e di Cipro, ed è parlato da minoranze linguistiche in Bulgaria e
Albania. Ci sono in Italia comunità che parlano il dialetto greco e sono presenti
prevalentemente in Puglia.
- Il gruppo italico si suddivide in due sottogruppi: italico orientale e italico
occidentale (o italo-falisco). Questi due sottogruppi hanno avuto due destini molto
diversi: il primo comprende alcune lingue dell'Italia antica come l’osco, l'umbro, il
sannita e si è successivamente estinto. Il secondo comprende, invece, il latino, che
ha dato origine a numerose altre lingue dette neolatine (o romanze). Tra le lingue
romanze ricordiamo quelle ufficiali dei rispettivi paesi, il portoghese, lo spagnolo, il
francese, l'italiano, il romeno. Altre lingue romanze che hanno riconoscimento
ufficiale a livello regionale sono il gallego, lingua della Galizia, e il catalano, lingua
della Catalogna. Ci sono poi anche le diverse varietà del ladino, diviso in ladino
romancio parlate in Svizzera, ladino dolomitico parlato appunto nelle vallate
dolomitiche e ladino friulano. Ricordiamo anche il provenzale, lingua romanza del
sud est della Francia, oggi poco parlata, ma assai importante nel medioevo per
l'abbondante letteratura prodotta in questa lingua.
- Il gruppo germanico è suddiviso in tre sottogruppi: germanico orientale,
germanico settentrionale (o nordico) e germanico occidentale. L'unica lingua
sufficientemente attestata del sottogruppo orientale è il gotico, oggi estinto, ma
documentato da alcune parti di una traduzione della Bibbia operata nel IV secolo
d.C. Il sottogruppo settentrionale comprende le lingue nordiche, ossia lo svedese, il
danese, il norvegese, l'islandese e il feroico (lingua delle Faer Oer). Il sottogruppo
occidentale si divide in due rami: quello anglo frisone e quello neerlando-tedesco.
Al primo di questi due rami appartengono, quindi, il frisone, la lingua riconosciuta
ufficialmente nella Frisia, una regione dell'Olanda, e l’inglese che, come sappiamo,
dal suo luogo d'origine (l'Inghilterra) si è diffuso poi in tutto il mondo. Il ramo
neerlando-tedesco comprende come lingue ufficiali l'olandese e il nederlandese,
lingua ufficiale dell'Olanda e della parte fiamminga del Belgio, e il tedesco, lingua
ufficiale della Germania, dell'Austria e di parte della Svizzera. A queste vanno
aggiunte l'afrikaans, varietà di olandese parlato dai coloni di origine olandese in
Zimbabwe, in Namibia e in Sudafrica (i cosiddetti Boeri), e lo yiddish (o il giudaico)
dialetto tedesco proprio degli ebrei della Germania.
- Il gruppo celtico comprende le lingue parlate un tempo, fino all'inizio dell'era
cristiana, in buona parte dell'Europa occidentale, ed oggi sostanzialmente confinato
alle isole britanniche. Questo gruppo si divide in due sottogruppi: il gaelico e il
britannico. Al primo di questi sottogruppi appartiene l'unica lingua celtica che sia
oggi ufficiale di uno stato, ossia l'irlandese, lingua ufficiale della Repubblica
d'Irlanda; vi appartiene, inoltre, anche il gaelico di Scozia. Al sottogruppo britannico
appartengono il cimrico (o gallese), parlato nel Galles; il cornico, un tempo parlato
in Cornovaglia e oggi estinto, e infine il bretone, parlato in Bretagna.
3. CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
Due lingue sono tipologicamente correlate se manifestano una o più caratteristiche
comuni, questa correlazione è indipendente dal fatto che queste lingue siano
apparentate genealogicamente oppure no. La classificazione tipologica è nata più o
meno contemporaneamente a quella genealogica, cioè all'inizio dell'Ottocento ma
non è riuscita finora a raggiungere risultati così sicuri come quelli che invece ha
ottenuto la classificazione genealogica. Possiamo parlare di una tipologia
morfologica o di una tipologia sintattica.
AGGLUTINANTE: in questo tipo di lingua ogni parola contiene tanti affissi quante
sono le relazioni grammaticali che devono essere indicate. Il turco è un esempio
tipico di lingua agglutinante. Ad esempio, dato una parola come “kus” (uccello) si
possono aggiungere il suffisso indicante il plurale, in questo caso -lar e dopo di
esso un suffisso che indica i casi diversi dal nominativo.
1. APPARATO FONATORIO
Un suono è prodotto normalmente dall'aria che viene emessa dai polmoni, sale
lungo la trachea e attraversa la laringe, che è la sede delle corde vocali. Dopo aver
superato la faringe, l'aria raggiunge la cavità orale e da qui fuoriesce dalla bocca.
Inoltre, la cavità nasale può essere esclusa o attivata tramite l'innalzamento del velo
palatino: se il velo palatino si sposta all'indietro, chiudendo la comunicazione tra
faringe e cavità nasale, l'aria fuoriesce solo dalla bocca ed avremo suoni orali,
altrimenti se il vero palatino resta fermo, l'aria fuoriesce anche dalla cavità nasale ed
avremo suoni nasali.
Il flusso d’aria necessario per produrre un suono può essere modificato in diversi
punti dell’apparato vocale (labbra, denti, alveoli, palato, farine, ecc.); ognuno di
questi punti è chiamato punto di articolazione.
Infine, la sonorità è data dalle vibrazioni delle corde vocali: se queste vibrano
avremo un suono sonoro, se non vibrano avremo un suono sordo.
Sulla base di questi 3 parametri è possibile classificare la maggioranza di suoni di
tutte le lingue del mondo, grazie all’alfabeto fonetico internazionale IPA, che
risponde all’esigenza fondamentale di usare gli stessi simboli per gli stessi suoni in
tutte le lingue del mondo.
2. I SUONI DELL’ITALIANO
2.1 CONSONANTI
I diversi modi di articolazione dividono le consonanti in:
Occlusive: il suono è prodotto tramite un’occlusione momentanea dell’aria, a cui fa
seguito una specie di esplosione (p, b, t, d, k, g).
Fricative: l’aria deve passare attraverso una fessura stretta, producendo così una
certa frizione. A differenza delle occlusive, le fricative sono suoni che si possono
prolungare nel tempo e dunque si chiamano anche continue (f, v, s, z, ʃ -sc-).
Affricate: sono suoni che iniziano con un’articolazione di tipo occlusivo e terminano
con un’articolazione di tipo fricativo (ts, dz, tʃ, dʒ).
Nasali: per la produzione di suoni nasali, il velo palatino si posiziona in modo tale
da lasciar passare l’aria attraverso la cavità nasale (m, ɱ, n, ŋ, ɲ).
Laterali: per produrre un suono laterale dentale, la lingua si posiziona contro i denti
e l’aria fuoriesce dai due lati della lingua stessa. L’italiano ha due laterali: l che è
una liquida laterale dentale e ʎ (gl) che è una liquida laterale palatale.
Vibranti: la produzione di un suono vibrante avviene mediante vibrazione o
dell’apice della lingua o dell’ugola. L’italiano ha un’unica vibrante, cioè r, che
essendo realizzata tramite più vibrazioni è detta polivibrante.
Approssimanti: sono suoni in cui gli organi articolatori vengono avvicinati, ma
senza contatto. Le approssimanti dell’italiano sono le semiconsonanti j e w, così
chiamate perché sono a metà strada tra vocali e consonanti. In italiano [i] ed [u]
sono semiconsonanti quando vengono seguite da una vocale tonica: piede si
trascriverà pjede, può si trascriverà pwo. Invece, [i] ed [u] sono semivocali quando
seguono una vocale tonica come in sei e in pausa.
Il sistema è eptavocalico per alcuni italiani regionali come il toscano. Vi sono delle
aree, come ad esempio la Sicilia o la Sardegna, dove in linea di massima, si ha solo
una vocale media anteriore e solo una vocale media posteriore, dove cioè il sistema
è di 5 vocali.
Le vocali alte e medio alte sono dette anche chiuse e semichiuse rispettivamente,
quelle medio basse e basse sono dette anche semiaperte ed aperte rispettivamente.
TRAPEZIO VOCALICO
3. TRASCRIZIONE FONETICA
I suoni possono essere semplici per esempio [t, d, k, tʃ, dʒ] o geminati [tt, dd, kk,
tʃtʃ, dzdz]. La lunghezza può anche essere resa raddoppiando solo il primo simbolo
[ttʃ, ddz]. La lunghezza (anche vocalica) si indica con due punti e, dunque, gli stessi
suoni possono essere trascritti come [t:, d:, k:, d:z]. [o] ed [a] indicheranno una
vocale breve, [o:] e [a:] una vocale lunga.
Il simbolo IPA per l’accento è [‘] e si colloca prima della sillaba accentata, quindi
parole come casa, lampione, intimità si trascriveranno come [‘kaza], [lam’pjone],
[intimi’ta]. Sui monosillabi l’accento può non essere segnato (ma, se).
In IPA non si segnano maiuscole e apostrofi [la’miko].
4. FONETICA E FONOLOGIA – FONI E FONEMI
Mentre la fonetica si occupa dell'aspetto fisico dei suoni, la fonologia si occupa
della funzione linguistica dei suoni. L'unità di studio della fonetica è dunque il fono,
l'unità di studio della fonologia è il fonema. Un fono è, dal punto di vista fisico,
un’oscillazione del mezzo (aria) che produce onde sonore. I foni hanno valore
linguistico quando sono distintivi, cioè quando contribuiscono a differenziare dei
significati. Così [p] e [t] non solo sono suoni dell’italiano, ma contribuiscono anche a
formare delle coppie minime, cioè coppie di parole che si differenziano solo per un
suono nella stessa posizione. Ad esempio, pare – tare, premo – tremo, tappo –
tatto.
Due foni che hanno valore distintivo sono detti fonemi. Un fonema non ha un
significato in sé, ma contribuisce a differenziare dei significati. Un fonema è un
segmento fonico che ha una funzione distintiva, non è ulteriormente scomponibile
in sottounità con la medesima funzione, ed è definito solo dai caratteri che hanno
un valore distintivo. N.B.: Il fonema NON è un segno. Tutti i fonemi sono foni, ma
non tutti i foni sono fonemi!
Il fonema è un’unità astratta che si realizza in foni. I fonemi vengono rappresentati
tra barre oblique /t/, mentre i foni tra parentesi quadre [t]. Il fonema è un’unità che
si colloca a livello astratto, dunque a livello di langue. I foni invece si collocano ad
un livello concreto, quindi a livello di parole.
4.2 ALLOFONI
Quando due foni possono comparire nello stesso contesto e si ottengono così due
parole di senso diverso, allora i due foni sono realizzazioni di due fonemi diversi.
Quando, invece, due foni non possono mai ricorrere nello stesso contesto, ma il
fono X ricorre in una serie di contesti ed il fono Y ricorre in un’altra serie di
contesti, quindi sono in distribuzione complementare, allora, se questi due foni
sono foneticamente simili, si tratta di due allofoni dello stesso fonema.
Ad esempio, nella distribuzione dei suoni [s] e [z] nell’italiano del nord notiamo che
il fono [s] ricorre in posizione iniziale di parola e prima di vocale (sera, semplice,
sorriso), in posizione finale di parola (lapis, ribes) e prima di consonanti sorde
(spaurito, scavare, spirito). Il fono [z] ricorre, invece, tra due vocali (rosa, riso, asino)
e prima di una consonante sonora (sdentato, sgocciolare, snaturato). Questi due
foni sono quindi in distribuzione complementare, quindi sono due allofoni di uno
stesso fonema. Riassumendo, possiamo dire che [z] ricorre prima di consonante
sonora e tra due vocali, [s] in tutti gli altri contesti.
/s/ (fonema) > [s] [z] (varianti)
La nasale velare [ŋ] si trova solo e soltanto prima di consonante velare (____k, g).
ES: ancora, angolo.
La nasale labiodentale [ɱ] si trova solo e soltanto prima di consonanti labiodentali
(____f, v).
ES: inferno, inverno.
La nasale alveolare [n], invece, si trova in tutti gli altri contesti (naso, panna, andare).
/n/ > [n] [ŋ] [ɱ]
5. TRATTI DISTINTIVI
Le opposizioni privative hanno costruito la base per lo sviluppo di una teoria nota
con il nome di binarismo, dovuta a Jakobson. Secondo questa teoria, ogni
elemento linguistico si differenzia dagli altri per una serie di scelte binarie (del tipo
si – no). Quindi, ogni fonema può essere analizzato in un insieme di tratti distintivi
che definiscono quel fonema in opposizione a tutti gli altri.
Una regola fonologica può essere formulata sia ricorrendo ai fonemi, sia utilizzando
i tratti distintivi.
Storto – Sposto – Zdegno – Zbaglio – Znodare – Zlitta
Con questi esempi constatiamo che la sibilante /s/ resta sorda davanti a consonante
sorda come /t/ e /p/, ma diventa sonora davanti a consonante sonora /d/, /b/, /n/,
/l/. Quindi, possiamo riassumerla con questa regola. /s/ → [z] / ___ d, b, n, l.
Dato che tutti i suoni del contesto di questa regola (d, b, n, l) sono sonori, è inutile
menzionarli uno per uno, ma basta cogliere ciò che hanno in comune, cioè la
sonorità.
s → [+ sonoro] / ____ [+ consonante] [+ sonoro]
5.3 ASSIMILAZIONI
Le assimilazioni possono essere totali o parziali, progressive o regressive. Sono
totali quando il segmento che causa l’assimilazione rende il segmento assimilato
totalmente uguale al primo. Sono parziali se il segmento che causa l’assimilazione
cambia l’altro segmento solo parzialmente (ci sono assimilazioni al tratto di
sonorità, punto di articolazione o modo di articolazione). È progressiva quando il
segmento che causa l’assimilazione è a sinistra del segmento che assimila, cioè lo
precede. L’assimilazione è regressiva quando il segmento che causa l’assimilazione
è a destra del segmento che cambia, cioè lo segue.
ES. assimilazione parziale progressiva (il morfema del plurale s si assimila per
sonorità al segmento precedente)
dog + [s] > dog[z]
head + [s] > head[z]
Ci sono assimilazioni di tipo diacronico che sono assimilazioni totali regressive che
caratterizzano il passaggio dal latino all’italiano.
ES. factum > fatto
aptum > atto
6. LA SILLABA
L'attacco può essere costituito da una o più consonanti. Il nucleo può invece essere
costituito anche da un dittongo, come nel caso di piede. Una sillaba è aperta o
libera se è priva di coda e finisce dunque in vocale (come nel caso di a o ma).
Altrimenti è detta chiusa o implicata (come nel caso di con o an). Il componente
che deve essere obbligatoriamente presente in una sillaba è il nucleo infatti, in
italiano, attacco e coda possono esserci o non esserci. Per verificare che la sillaba
abbia una struttura interna, possiamo vederlo dal fatto che nella cosiddetta
aplologia (cancellazione di sillaba in composizione), la regola tiene conto solo di
una parte della sillaba stessa.
ES. morfo-fonemico > morfonemico
7. FATTI SOPRASEGMENTALI
La parola cane è costituita da quattro segmenti, ovvero da quattro fonemi: [k], [a],
[n] ed [e]. La fonologia basata sui segmenti è di tipo segmentale. Ci sono, però,
fenomeni fonologici che non possono essere attribuiti ad un segmento e vengono
detti fenomeni soprasegmentali. Questi fenomeni sono la lunghezza, l'accento,
l'intonazione e il tono.
7.1 LA LUNGHEZZA
La lunghezza è relativa alla durata temporale con cui vengono realizzati i suoni.
Non tutti i suoni hanno la stessa durata. Per esempio, le vocali alte sono più brevi
delle vocali basse, di norma. Una fricativa sonora (ad esempio [v]) è più lunga di
una occlusiva sorda (ad esempio [k]). Una vocale tonica non finale e in sillaba
aperta è più lunga di una vocale atona in sillaba aperta o chiusa: ad esempio, le
due /a/ della parola casa sono diverse, la prima è più lunga della seconda. In alcune
lingue la lunghezza vocalica assume un valore distintivo, ed è il caso del latino,
dove si trovano coppie minime distinte, appunto, dalla lunghezza.
ES. levis - levis > leggero - levigato
In italiano la lunghezza vocalica non è distintiva, infatti non esistono due parole con
significati diversi che si differenziano solo per la presenza di una vocale lunga o
breve. In italiano, invece, ad essere distintiva è la lunghezza consonantica.
ES. fato - fatto, pena - penna
7.2 L’ACCENTO
L'accento è una proprietà delle sillabe e non dei singoli segmenti. Una sillaba
tonica è più intensa di una sillaba atona perché, appunto, è realizzata con maggior
forza. L'accento può essere contrastivo in italiano: ancora - ancòra.
Si può considerare l'accento come una specie di fonema. In italiano l'accento non è
prevedibile su basi fonologiche, infatti, non vi è una regola per prevedere dove
comparirà l'accento. In realtà, ci sono contesti in base ai quali si può prevedere la
posizione dell'accento, ma questi sono contesti morfologici, come ad esempio la
terza persona singolare del passato remoto della prima coniugazione che richiede
sempre l'accento sull'ultima vocale: amò, cantò, lodò. Una parola può avere più di
un accento. Per esempio, in capostazione vi è un accento primario sulla /o/ di
stazione e uno secondario sulla /a/ di capo. I due tipi di accento, infatti, vengono
marcati diversamente.
7.3 L’INTONAZIONE
L'altezza dei suoni non è uniforme, ci sono dei picchi e degli avvallamenti che
producono un effetto percettivo di tipo melodico che è quello che si chiama
intonazione. L' intonazione, infatti, è chiamata appunto melodia o curva melodica.
Questa ha una grande rilevanza sintattica, infatti, noi leggiamo con diversi tipi di
intonazione una frase dichiarativa e la corrispondente interrogativa. Le dichiarative
hanno una curva melodica con andamento finale discendente, mentre le
interrogative hanno un andamento finale ascendente. La punteggiatura può
decifrare le curve melodiche nelle frasi: vengono, infatti, segnalate l'interrogativa
con il punto interrogativo e l'imperativa o esclamativa con il punto esclamativo.
7.4 IL TONO
Una sillaba può essere pronunciata con altezze di tono diverse: la parola ma, in
italiano, può essere realizzata con una pronuncia molto bassa o con una pronuncia
alta. In italiano a queste due differenti pronunce non corrisponde un cambiamento
di significato, però vi sono lingue dove a differenza di altezza di pronuncia
corrispondono variazioni di significato, queste lingue sono dette tonali. Il cinese
mandarino è una lingua tonale o a toni e, infatti, in questa lingua la stessa sillaba
può essere realizzata con quattro toni diversi e ad ogni realizzazione diversa
corrisponde un diverso significato.
ES. ma (tono alto costante) = madre
ma (tono alto ascendente) = lino
ma (tono basso discendente) = cavallo
ma (tono alto discendente) = insultare
CAPITOLO 5: LA MORFOLOGIA
Lo studio delle parole e delle varie forme che la parola può assumere è la
morfologia. Le parole sono unità del linguaggio umano istintivamente presenti alla
consapevolezza dei parlanti. La diversità tra le lingue può rendere difficoltoso
definire la nozione di parola. I criteri proposti per definire una parola sono stati
molti:
1. La parola è ciò che è compreso tra due spazi bianchi. Questa definizione di
parola è semplice ed efficace, ma ha un limite di applicazione in quanto può
funzionare solo per lingue dotate di scrittura e non per lingue che ne sono
sprovviste. Inoltre, ci sono lingue (come il cinese) dove esistono parole composte da
due caratteri separati da uno spazio.
2. Un’altra possibilità è quella di definire le parole come le unità della lingua che
possono essere usate da sole, che possono cioè formare una frase da sole (ad
esempio come domani in risposta a quando?). Questo però escluderebbe tutte le
parole grammaticali come di, e, ecc. che ovviamente non costituiscono un
enunciato.
Quindi, è stato riconosciuto che non è possibile definire la nozione di parola, ma si
distinguono varie accezioni di parola a seconda di come si considera questo
oggetto. Così, la nozione di parola fonologica (ciò che si raggruppa attorno ad un
accento primario) non coincide con la nozione di parola morfologica o di parola
sintattica: per esempio, da un punto di vista fonologico “telefonami” è una parola
sola, dal punto di vista sintattico, invece, è costituita da più unità “telefona a me”.
Una parola composta come “capostazione”, invece, è una parola sola dal punto di
vista morfologico, ma dal punto di vista fonologico è probabilmente costituita da
due unità separate dato che ha due accenti. In conclusione, un criterio efficace è
quello di considerare parola quelle unità che non possono essere interrotte, e che
quindi al loro interno non si può inserire dell’altro “materiale linguistico”.
2. CLASSI DI PAROLE
Le parole di una lingua si raggruppano in classi o parti del discorso, dette anche
categorie lessicali. Secondo le grammatiche dell’italiano, le parti del discorso sono
il nome, il verbo, l’aggettivo, il pronome, l’articolo, la preposizione, l’avverbio, la
congiunzione e l’interiezione (ahi, ehi, oh). Le classi di parole che assumono forme
diverse sono i nomi, i verbi, gli aggettivi, gli articoli e i pronomi: si chiamano,
quindi, parti del discorso variabili. Le altre parti del discorso sono dette parti
invariabili. Un’altra distinzione è quella tra classi di parole aperte e chiuse: le prime
sono quelle a cui si possono sempre aggiungere nuovi membri (nomi, verbi,
aggettivi, avverbi), le seconde sono quelle formate da un numero finito di membri
(articoli, pronomi, preposizioni, congiunzioni). In ogni caso, non esistono parti del
discorso universali, cioè presenti in tutte le lingue (probabilmente sono solo il nome
e il verbo).
Le parole, inoltre, sono classificate in categorie che limitano la loro distribuzione
libera all’interno della frase. Ad esempio, un articolo può essere seguito da un
nome, ma non da un verbo. Le categorie lessicali a cui le parole appartengono
hanno, quindi, l’effetto di limitare le combinazioni possibili delle parole. Le parti del
discorso, perciò, possono essere riconosciute in base a criteri distribuzionali: i
nomi, i verbi, ecc. saranno definiti in base alle altre classi di parole, insieme alle
quali possono o non possono ricorrere.
3. MORFEMA
La composizione, invece, forma parole nuove a partire da due parole esistenti: capo
– stazione > capostazione, dolce – amaro > dolceamaro.
Una categoria lessicale, come ad esempio il verbo, può nascere come tale oppure
può diventare verbo attraverso vari processi:
a. N > A > V = centro > centrale > centralizzare
b. A > N > V = giusto > giustizia > giustiziare
c. N > N > V = palla > palleggio > palleggiare
d. V > N > V = agire > azione > azionare
e. A > V = attivo > attivare
f. N > V = magnete > magnetizzare
g. V > V = giocare > giocherellare
h. V = rompere
6. ALLOMORFIA E SUPPLETIVISMO
Le parole semplici sono quelle date, ossia quelle che costituiscono il lessico o
dizionario dei parlanti. Le parole complesse, invece, sono quelle formate tramite
regole morfologiche. Possiamo dire che le parole semplici sono quelle non derivate
e non composte, come ieri, sempre, ogni, che appunto non si possono
ulteriormente analizzare sul piano morfologico e, quindi, ogni segmentazione ( i-eri,
ie-ri, ier-i) non porta ad unità morfologicamente riconoscibili. Le parole complesse
sono, invece, quelle derivate e/o composte. Ad esempio:
parola suffissata > vin+aio, bar+ista
parola prefissata > dis+adatto, in+elegante
parola composta > capo+stazione, alto+piano
parola suffissata più volte > insdustri+al+izza+zione
parola prefissata più volte > ex+pro+console
parola composta più volte > tergi+lava+lunotto
parola prefissata e suffissata > in+desidera+bile, dis+articola+zione
parola composta e suffissata > croce+rossa+ina, ferro+via+ario
parola composta e prefissata > in+vero+simile
parola composta, prefissata e suffissata > in+vero+simile+mente
8. PAROLE SUFFISSATE
Tutti i composti che hanno una testa si chiamano endocentrici perché da questa
derivano tutte le informazioni necessarie al composto per farlo funzionare in una
frase. Non tutti i composti però hanno una testa, ad esempio dormiveglia.
Applicando il test “è un” a questo composto, otteniamo risposte negative:
dormiveglia dal punto di vista semantico non è né un dormi né una veglia e dal
punto di vista della categoria non è un verbo. In questo caso si dice che il
composto è esocentrico. Altri esempi di composti esocentrici sono pellerossa,
purosangue, senzatetto.
Esiste, infine, un terzo tipo di composti detti dvandva dalla tradizione grammaticale
sanscrita e detti anche composti di coordinazione. Questi composti hanno, per così
dire, due teste, cioè sono formati da due costituenti che sono entrambi teste sia
categoriali che semantiche, sono composti tipo cassapanca (che al plurale flettono
entrambe le teste cassepanche), agrodolce.
CAPITOLO 6: IL LESSICO
Ci sono almeno due definizioni di lessico: uno è il lessico mentale dei parlanti e
l'altro prende la forma del dizionario. Le parole di una lingua sono memorizzate,
mentre le frasi sono costruite tramite regole ma non memorizzate.
6.2 DIZIONARIO
Un dizionario è l'insieme delle parole usate da tutta una comunità linguistica e,
dunque, contiene sia parole di uso comune sia parole che fanno parte di lessici
specialistici o settoriali. In un dizionario, inoltre, è presente molta diacronia, cioè vi
si conservano parole che appartengono a fasi precedenti della lingua e che non
sono più in uso. In un dizionario il lemma è di solito evidenziato in neretto, segue
poi di solito la trascrizione fonetica o fonologica, l'etimologia e la definizione della
categoria lessicale. Vi sono, poi, degli esempi e le varie accezioni di significato. Un
dizionario è necessariamente sempre arretrato sia rispetto ai neologismi, ovvero le
parole nuove che nascono continuamente, sia rispetto ai significati nuovi che le
parole possono assumere. Ad esempio, navigare oggi si riferisce anche alla
navigazione in rete. È importante distinguere tra dizionario ed enciclopedia: il
dizionario è una lista di parole che contiene informazioni sulla natura e sull'uso
delle parole, mentre un'enciclopedia contiene informazioni su tutto il sapere umano.
Ad esempio, di una parola come giardino nel dizionario troviamo informazioni
grammaticali di vario genere su questa parola, mentre in un'enciclopedia troveremo
la storia del giardino.
6.3 LESSICALIZZAZIONI
La lessicalizzazione è un processo per cui una sequenza di parole acquista
carattere e funzione di unità lessicale autonoma, nella quale i singoli elementi non
sono più sostituibili con sinonimi e talvolta si fondono anche graficamente. Ad
esempio: tagliare la corda, scoprire il fianco, cosicché, di sana pianta, usa e getta,
ecc. Questo processo va però distinto da un altro processo, quello di
grammaticalizzazione, per cui un'unità perde il suo significato lessicale e ne
acquisisce uno grammaticale, ad esempio il suffisso -mente oggi è un suffisso,
mentre in latino era una parola mens-mentis, ablativo mente.
CAPITOLO 7: LA SINTASSI
1. LA VALENZA
Notiamo che determinati verbi devono essere accompagnati da un determinato
numero di altre parole, mentre altri verbi ne richiedono un numero diverso. Ad
esempio, un verbo come catturare ha bisogno di due nomi, mentre al verbo
camminare ne basta uno. Quindi, esiste una valenza verbale e possiamo dire che
un verbo come catturare è bivalente, mentre uno come camminare è monovalente.
Gli elementi che sono richiesti dai vari verbi sono detti argomenti.
VERBI BIVALENTI: sono detti verbi bivalenti i tradizionali verbi transitivi, come
catturare, lanciare, compiere, ecc.
VERBI TRIVALENTI: sono detti verbi trivalenti i verbi cosiddetti di dire o di fare. Ad
esempio “il professore ha detto ai ragazzi di fare silenzio” oppure “Gianni ha dato
un libro a Maria”.
Oltre al verbo e ai suoi argomenti, che di per sé formano già una frase di senso
compito, si possono aggiungere altri elementi facoltativi che si chiamano
circostanziali. Questi si possono presentare in posizioni diverse all’interno della
frase senza che quest’ultima cambi il suo senso. Ad esempio “il poliziotto catturò il
ladro + a mezzanotte”.
2. IL SINTAGMA
Possiamo definire il sintagma come una combinazione minima di parole che può
funzionare come un’unità all’interno della frase.
I sintagmi sono unità intermedie tra le parole e le frasi. Come le parole, possono
essere attribuiti a categorie grammaticali diverse: avremo così sintagmi nominali,
sintagmi verbali, sintagmi aggettivali, sintagmi avverbiali, sintagmi preposizionali.
• i sintagmi nominali (SN) sono espressioni che hanno come testa un nome;
• i sintagmi verbali (SV) sono espressioni che hanno come testa un verbo;
• i sintagmi aggettivali (SAgg) sono espressioni che hanno come testa un
aggettivo;
• i sintagmi avverbiali (SAvv) sono espressioni che hanno come testa un avverbio;
Nella sua forma più semplice, ogni sintagma può essere teoricamente ridotto
all’elemento che ne costituisce la testa, con l’eccezione del sintagma preposizionale:
la preposizione, infatti, non può mai comparire in isolamento (deve essere sempre
seguita da un nome o da un SN). In pratica, soltanto gli aggettivi, gli avverbi, i nomi
propri e alcuni tipi di verbi sono in grado da soli costituire un sintagma.
Solo i nomi propri sono in grado da soli di costituire un sintagma.
All’interno del sintagma nominale possiamo trovare dei modificatori del nome (che
corrispondono ai “circostanti del nome”). Ad esempio, proviamo ad aggiungere
degli elementi a “il cane”:
Il cane nero > attributo
Il cane poliziotto > apposizione
Il cane di Paolo > complemento
Il cane che ho incontrato > frase relativa
L’italiano, che è considerato una lingua “a testa iniziale” (A differenza dell’inglese,
che è invece una lingua “a testa finale”: a black dog, John’s dog ecc.), tende a
collocare i modificatori dopo la testa.
3. GRUPPI DI PAROLE
I diagrammi ad albero sono utili per rappresentare la struttura gerarchica delle frasi,
ossia i sintagmi di cui queste sono composte.
La differenza tra i gruppi di parole chiamati “frasi” e gli altri tipi di gruppi di parole
è che solo le frasi sono composte di soggetto e predicato. Il rapporto
soggetto/predicato è un rapporto di dipendenza reciproca, ossia l’uno dei due
elementi esiste solo perché esiste anche l’altro e viceversa. Mentre, non c’è
dipendenza reciproca tra la testa e gli altri elementi all’interno del gruppo di parole
(elementi che possiamo chiamare modificatori), perché la testa può esserci anche
senza i modificatori, mentre i modificatori non possono esserci senza la testa.
Sono stati individuati tre tipi di entità che sono genericamente chiamate “frasi”:
1. espressione di senso compiuto che sono gruppi di parole con struttura
predicativa > l'albero è verde.
2. espressioni di senso compiuto che non sono gruppi di parole e non hanno una
struttura predicativa > Gianni! Ahia!
3. strutture predicative che non sono espressioni di senso compiuto > che aveva
appena svaligiato.
La proposizione è l'equivalente di una “frase con struttura predicativa”, sia che
questa esprima un senso compiuto oppure no.
Un altro punto di vista delle frasi è quello della polarità che distingue le frasi
affermative dalle frasi negative: ad esempio, “Gianni è partito” e “Gianni non è
partito” (positivo – negativo).
Poi c'è il punto di vista della via della diatesi che distingue le frasi attive dalle frasi
passive: “Gianni ama Maria” e “Maria è amata da Gianni”.
Infine, il punto di vista della segmentazione oppone due tipi di frasi come le
seguenti: “non avevo mai letto, questo libro” e “questo libro, non l'avevo mai letto”.
Nel secondo esempio il SN “questo libro” è collocato nella prima posizione della
frase ed è separato dal resto della frase con una pausa (la virgola) ed è, quindi,
divisa in due segmenti ed è un esempio di frase segmentata detta dislocata a
sinistra. La prima frase, invece, è una frase dislocata a destra.
Altri tipi di frasi segmentate sono: frase a tema sospeso (questo signore, Dio gli ha
toccato il cuore “Manzoni”); frase focalizzata (Gianni ho visto ieri, non Paolo); frase
scissa (è questo libro che non avevo mai letto). Quindi, tutti i tipi di frasi
segmentate hanno in comune il fatto che un determinato sintagma si trova in
posizione di rilievo rispetto agli altri.
Possiamo classificare le frasi anche in base alla loro forma, ossia in esplicite e
implicite.
Sono esplicite le frasi dipendenti che contengono un verbo in modo finito.
> Gianni ha promesso a Maria che partirà domani.
Sono implicite quelle che contengono un verbo in modo non finito.
> Gianni ha promesso a Maria di partire domani.
6. SOGGETTO E PREDICATO
Le definizioni di soggetto sono numerose, la più diffusa è quella che dice che il
soggetto di una frase indica la persona o la cosa che fa l'azione, o delle frasi
passive, chi la subisce. Inoltre, possiamo anche dire che il soggetto è
quell'argomento che ha obbligatoriamente la stessa persona e lo stesso numero del
verbo. In ogni caso le definizioni di soggetto sono definizioni parziali, perché
colgono soltanto alcuni aspetti dell'organizzazione del linguaggio.
Il predicato, invece, a sua volta esprime l'azione compiuta oppure subita dal
soggetto.
Parlando di soggetto e di predicato queste definizioni non distinguono i diversi
livelli di analisi della frase: questi livelli sono rispettivamente quello sintattico,
semantico e comunicativo.
È meglio limitarsi ad usare soggetto e predicato per riferirsi alle nozioni del livello
sintattico: infatti, a questo livello il soggetto è l'argomento che ha
obbligatoriamente la stessa persona e lo stesso numero del verbo. Il predicato è
costituito, invece, dal verbo più gli altri argomenti del verbo stesso, ossia dal
sintagma verbale.
A livello semantico, invece di soggetto parliamo di agente e, invece, di predicato
parliamo di azione. Oppure nelle frasi che non esprimono un'azione (Gianni teme la
guerra) parliamo di stato. In questa frase al soggetto sintattico (Gianni), dal punto
di vista semantico, diamo l'etichetta di esperiente, cioè di chi prova un certo stato
d'animo.
A livello comunicativo, al posto di soggetto, useremo tema, nel senso più o meno
in cui si parla di “tema da svolgere” e, al posto di predicato, useremo rema, che
deriva dalla parola greca collegata alla radice che significa “parlare”. Infatti,
possiamo dire che il tema è ciò di cui si parla, mentre il rema è quanto ciò che su
di esso viene detto.
Ad esempio:
1. Quel ragazzo picchia quel signore > in questa frase il soggetto coincide sia con
l’agente che con il tema, e il predicato coincide sia con l’azione che con il rema.
2. A Pietro piacciono i fiori > il soggetto non coincide con il tema, ma fa parte del
rema, e il predicato è “spezzato” tra tema e rema. Inoltre, questa frase non contiene
un agente, ma un esperiente, e non descrive un’azione, bensì uno stato.
7. CATEGORIE FLESSIONALI