Sei sulla pagina 1di 14

l Piave[2] è un fiume italiano, che nasce dalle Alpi Carniche (monte Peralba in

Veneto), compiendo i primi chilometri in Friuli-Venezia Giulia, per poi


attraversare interamente il Veneto da nord a sud il bellunese (Cadore e Valbelluna)
e la pianura veneta del Veneto orientale: è anche noto come "Fiume sacro alla
Patria", in virtù degli avvenimenti storici avvenuti sulle sue sponde durante la
prima guerra mondiale.

Indice
1 Geografia
2 Le origini
2.1 Principali affluenti
2.2 Laghi del bacino idrografico
3 Regime idrologico
3.1 Portate mensili
4 Storia
4.1 Il Piave o la Piave? L'onomastica
4.2 Le principali piene avvenute nei secoli scorsi
4.3 Le principali opere di difesa e sistemazione idraulica seguite nei secoli
scorsi
5 Il Piave nella grande guerra
6 Le sorgenti del Piave e il passaggio di Sappada dal Veneto al Friuli Venezia
Giulia
7 Problematiche ambientali
8 Feste e leggende
8.1 Il patto d'amistà
8.2 La canzone del Piave
9 Note
10 Voci correlate
11 Altri progetti
12 Collegamenti esterni
Geografia

Il Piave della Val Visdende.


È il quinto fiume italiano per lunghezza fra quelli direttamente sfocianti in mare.
Il fiume attraversa Sappada, il Comelico, il Centro Cadore e la Valbelluna, e la
pianura veneta nelle province di Treviso e di Venezia.

Già pochi chilometri dopo la sorgente il Piave assume una notevole portata dovuta
all'afflusso di numerosi torrenti. Dopo aver percorso i primi chilometri in
direzione sud, all'altezza di Cima Sappada il fiume piega a ovest, attraversando
Sappada e successivamente ricevendo l'apporto di importanti torrenti come il Piave
di Visdende, ma scende lungo la Val Visdende. Passata Sappada si inoltra in una
profonda forra (l'orrido di Acquatona) e continua la sua corsa passando per
Presenaio, e Campolongo, dove affuisce il torrente Frison. A valle di Santo Stefano
di Cadore, si incontra col torrente Padola. Poco prima della località di Cima
Gogna, dove riceve l'Ansiei, è bloccato dalla diga del Comelico, creando un
serbatoio artificiale.

In questo lungo tratto il fiume attraversa i territori dei comuni del Centro
Cadore, Vigo, Lozzo, Domegge, Calalzo e Pieve di Cadore formando il grande lago
omonimo creato dalla seconda diga in località Sottocastello. A valle della diga di
Pieve, a Perarolo di Cadore, riceve le acque del Boite. Il fiume rimane in una
valle stretta percorsa dalla ferrovia Padova-Calalzo e dalla strada statale di
Alemagna. Riceve le acque del torrente Valmontina, e tocca gli abitati di
Macchietto, Rucorvo, Rivalgo, Ospitale di Cadore, Davestra, Termine di Cadore.

All'altezza di Castellavazzo esce dalla stretta montana e subito dopo, a Longarone,


riceve da sinistra il Vajont e da destra il Maè che scende dalla valle di Zoldo.
All'altezza di Fortogna, riceve il torrente Desendan, mentre a Soverzene dove si
trova una delle centrali idroelettriche più importanti d'Europa, viene sbarrato
dalla prima traversa, per alimentare con parte della sua portata il lago di Santa
Croce, e le centrali idroelettriche della Val Lapisina, così le acque vengono
deviate nel bacino del Livenza.

Il Piave in provincia di Belluno, tra Mel e Santa Giustina.


Dopo circa 3 km, riceve il torrente Rai, emissario del Lago di Santa Croce, e nei
pressi di Cadola, e di Ponte nelle Alpi con dei meandri piega in direzione sud-
ovest, immettendosi nella ampia Valbelluna. A Belluno riceve il torrente Ardo, e
attraversa la città a Borgo Piave. Tra Belluno e Bribano, numerosi gli affluenti
torrentizi: il Cicogna, Refos, Limana, Tuora, Ardo, Gresàl. A nord di Mel riceve le
copiose acque del Cordevole, proveniente dall'Agordino.

Ricevendo sempre con numerosi affluenti, come il Vesès, Rimonta, e Salmènega


prosegue la sua corsa, verso Busche, dove viene sbarrato dalla seconda traversa
fluviale, nei pressi di Cesana formando il lago omonimo, e le sue acque vengono
deviate alla centrale di Quero. Più a valle riceve le acque del Caorame. Qui esce
dalla Valbelluna piega a sud-est, e si immette in una valle più stretta, lungo la
quale riceve il torrente Sonna, che attraversa Feltre.

Bagna i paesi Marziai, Caorera, Sanzàn, Carpèn Santa Maria, Quero -Vas, mentre
scorre in nuova stretta scavata tra le prealpi Bellunesi (la cosiddetta "stretta di
Quero") con alla destra, il massiccio del Grappa e, alla sinistra, il monte Cesen.
A Segusino, esce dalla stretta, e nei pressi di Fener, viene sbarrato dalla terza
traversa, a scopi irrigui e alimentare il canale Brentella.

Tra Segusino e Pederobba esce dalla zona compresa tra le Alpi e le Prealpi,
entrando nella zona del Quartier del Piave, costeggia il Montello, a Falzè di Piave
riceve l'ultimo emissario il fiume Soligo, proveniente dai laghi di Revine, ed a
Nervesa della battaglia viene sbarrato per l'ultima traversa, per alimentare il
Canale della Vittoria, e riceve le acque dello sbocco del canale Castelletto-
Nervesa provenienti da Soverzene. Finalmente entra nella pianura veneta. Nel tratto
pianeggiante il Piave, avendo perso molta della sua acqua, a causa dei prelievi
idrici che avvengono a monte, rimane spesso nei mesi estivi asciutto, o ridotto ad
una maglia di rigagnoli riprendendo un aspetto fluviale solo a sud di Maserada.

Il Piave all'altezza di Ponte della Priula, in primo piano la Ferrovia Venezia-


Udine.

Il Piave nei pressi di San Donà.


Superato Ponte della Priula, all'altezza di Lovadina, dove il suo letto raggiunge
la massima larghezza (circa 800 m), il Piave si dirama due rami formando le Grave
di Papadopoli. A nord di Ponte di Piave i due rami si congiungono, e subito dopo
nei pressi di Salgareda, termina il suo alveo ghiaioso, per assumere una fisionomia
con meandri. Da Zenson, confinato in alti argini artificiali, è considerato
navigabile. Bagna i paesi di Noventa, Fossalta, la città di San Donà, e il paese di
Musile, dove l'alveo meandriforme, si innesta nel taglio rettilineo, di circa 9 km
fino ad Eraclea, eseguito nel tardo Seicento allo scopo di contenere l'apporto di
detriti in laguna e l'interramento della principale bocca di porto, spostando a est
la foce.

Il vecchio letto detto di "Piave Vecchia" rimane attivo dalle "porte del taglio" a
Musile, dove a Caposile, i veneziani deviarono il Sile nell'antico alveo del Piave
portandolo a sfociare nell'Adriatico tra Jesolo e Cavallino. Da Eraclea scorre tra
alti argini, per poi sfociare nel mare Adriatico a Cortellazzo.
Le origini

La sorgente del Piave al rifugio "Sorgenti del Piave" in Val Sesis.


Il Piave trova origine da un ruscello che nasce dalle falde meridionali del monte
Peralba che eleva la sua vetta a quota 2 693 sul livello del mare, da altri si
vuole che l'asta iniziale del fiume sia costituita dal rivo formato dall'unione di
due corsi d'acqua scendenti dal tratto della catena principale delle Alpi Carniche
compreso fra il Passo Palombino e il Passo dell'Oregone. Tale corso d'acqua si
forma nella Val Visdende da dove esce attraverso la forra del « Cianà » o di Cima
Canale; il suo antico nome è quello di Silvella (dal dialetto La Salvela) ma è più
comunemente denominato Cordevole di Visdende per distinguerlo dal Cordevole di
Agordo, che è il maggiore affluente del Piave.

Il Piave nella Val Sesis poco più a valle del rifugio "Sorgenti del Piave".
Il ramo scendente dal monte Peralba ed il Silvella si uniscono presso la località
Argentiera e costituiscono il fiume che è il Piave. Il geografo Giovanni Marinelli,
in merito alla disputa che le popolazioni di Sappada e del Comelico si contendono
sulle origini del fiume, ha risolto la questione con un giudizio che si potrebbe
dire salomonico, chiamando Piave di Sesis o Piave proprio il ramo che scende dal
monte Peralba, e Piave di Visdende quello che scende dalla valle omonima, ma il
giudizio non accontentò nessuno dei due comuni contendenti. I bacini tributari del
Piave di Sesis e del Cordevole di val Visdende, chiusi alla confluenza di
quest'ultimo, hanno le rispettive superfici di 63 e 71,5 km². Le lunghezze reali
delle aste dei due corsi, dalle sorgenti alla confluenza, sono rispettivamente di
15 ed 11 km. I due corsi hanno un regime fortemente torrentizio con piene rapide ed
impetuose ed apporti idrici uguali.

Confrontando le valli incise dai due torrenti, appare con evidenza che quella di
Sappada è più antica della Val Visdende e costituisce la continuità dell'alta valle
del Piave la quale è longitudinale da Sappada in giù. Tenuto presente questo
importante fattore, e considerato che le documentazioni storiche e cartografiche
dimostrano che il ramo scendente dalla Val Visdende non ebbe mai il nome di Piave,
mentre lo conservò per secoli il corso di Sappada, la denominazione di fiume
principale o asta dorsale, spetta al ramo iniziale che nasce dalle falde
meridionali del monte Peralba. La sorgente visibile al rifugio Sorgenti del Piave,
in Val Sesis, è una sistemazione dei primi anni sessanta. I prati attorno al
rifugio sono ricchi polle sorgive. Alcune di esse sono state incanalate, fino a
formare la pozza, sotto al cippo in pietra recante la scritta QUI NASCE IL PIAVE.

Principali affluenti

La “cascata del Pissandolo” del torrente Padola, poco prima del Passo di Monte
Croce Comelico

Ansiei

Rio Storto, uno degli affluenti del Piave


Nella tabella seguente vengono indicati i principali affluenti del Piave,
nell'ordine in cui confluiscono nel fiume.

Affluente Destra/Sinistra Lunghezza (km)a Bacino (km2)b Portata (m3/s)c


Località confluenza
Padola D circa 20d 133,6 3,71 Santo Stefano di Cadore
Ansiei D 37,36 240,7 8,25 Cima Gogna
Boite D 45,07 395,9 12,71 Perarolo di Cadore
Vajont S 34,60 63,70 2,30 Longarone
Maè D 33,39 232,0 8,00 Longarone
Rai S 6,36 179,7 6,22 Cadola (Ponte nelle Alpi)
Cordevole D 78,92 866,8 31,99 Borgo Valbelluna
Caorame D 20,80 97,1 4,31 Nemeggio (Feltre)
Sonna D 7,56 136,9 4,91 Caorera (Quero Vas)
Soligo S 24,01 125,7 4,08 Falzè di Piave
a Piano straordinario triennale interventi di difesa idrogeologica - Elenco corsi
d'acqua della rete idrografica regionale a cura della Regione Veneto.
b c Relazione Risorse idriche a cura dell'ADBVE.
d L'approssimazione è dovuta al fatto che il torrente Padola, a differenza degli
altri affluenti riportati, non scorre esclusivamente all'interno del Veneto, ma
percorre anche un breve tratto in provincia di Bolzano.

Una lista più completa che include anche alcuni degli affluenti minori viene
riportata di seguito.[3]

da sinistra:

il Rio di Ecche
il Rio Lech
il Rio Siera di Sappada
il Rio Storto
il Rio di Terza
il Rio Rindenè
il Frison
il Rio Navare
il Rio Salon
il Rio Grande
il Giao de Ciariè
il Piova
il Cridola
il Rio del Peron
il Talagona
il Rio Prigioniera
il Rio Pianes
il Valmontina
il Rio Gà di Razzo
il Lutrigon
il Vajont
il Rui di Faore
il Rui l'Arès
il Rui Fàsine
il Gallina
il Rai
il Meassa
il Cicogna
il Refòs
il Limana
il Tuora
l'Ardo della Sinistra Piave
il Puner
il Terche
il Rimonta
il Rù
il Raboso
il Soligo
il Ruio della Mina
il Ruio del Mineo
il Canale Castelletto Nervesa
il Fosso Negrisia
il Canale Largon di Levante
il canale Revedoli
da destra:

il Rio Fadner
il Rio Puiche
il Rio Mühlbach
il Rio Lerpa
il Rio Acquatona
il Rio Rinaldo
il Cordevole di Visdende
il Rio Giau de Rin
il Rio Rin (Comelico)
il Padola
il Rio Piniè
l'Ansiei
il Rin
il Molinà
il Rio Stue
il Boite
il Rio Bianco
il Rio di Rivalgo
il Rio del Mier
il Valbona
il Rio Gazarro
il Rio Momo
il Maè
il Desendan
il Rui delle Salere
il Rio delle Venghe
il Rio di Cusighe
l'Ardo
il Gresal
il Cordevole
il Veses
il Ruines
il Salmenega
il Viera
il Caorame
il Sonna
il Tegorzo
il Curogna
la Piavesella
il Canale la Fossa
il Canale Zenson [Zenson di Piave]
il canale Cavetta
Laghi del bacino idrografico

Il lago del Comelico.

Il lago di Centro Cadore.

Il lago di Vodo di Cadore, formato dalla diga sul torrente Boite


Lungo l'asta del fiume e dei suoi principali tributari vi sono numerose dighe che
danno origine a laghi artificiali (le cui acque vengono utilizzate per scopi
idroelettrici) tra i quali:

(lungo il Cordevole e il Mis)

lago di Alleghe
lago del Ghirlo (a Cencenighe Agordino)
lago del Mis
(lungo l'Ansiei)

lago di Misurina
lago di Santa Caterina (ad Auronzo di Cadore)
(lungo il Piave)

lago del Comelico


lago di Centro Cadore
lago del Vajont (non più utilizzato), tristemente famoso per l'omonimo disastro
lago di Val Gallina (presso Soverzene)
lago di Santa Croce sul Tesa (una derivazione del Piave a Soverzene regimenta il
lago)
A Busche (comune di Cesiomaggiore) una traversa crea un lago artificiale il quale
permette il prelievo che alimenta le centrali elettriche di Quero e di Pederobba e
l'irrigazione di aree agricole.
(lungo il Boite)

lago di Vodo di Cadore


lago di Valle di Cadore
(lungo il Maè)

lago di Pontesei
(lungo il Caorame)

lago della Stua


(lungo il Soligo)

laghi di Revine Lago


Regime idrologico
Il Piave presenta un regime idrologico fortemente influenzato dai prelievi (sia a
fini agricoli sia energetici) che vengono effettuati all'altezza degli sbarramenti
di Soverzene, Busche, Fener e Nervesa. Il regime "naturale" presenta un massimo
primaverile, dove all'apporto delle piogge si aggiunge quello derivante dallo
scioglimento delle nevi, e uno secondario autunnale. In corrispondenza della
sezione di Nervesa della Battaglia, considerata sezione di chiusura del bacino
montano, in occasione della piena del novembre 1966 si calcola vi fu una portata di
circa 5000 m³/s.[4]

Portate mensili
Portata media mensile (in m3/s)
Stazione idrometrica: Nervesa della Battaglia (1926 - 1962)

Fonte: ADBVE, Piano di bacino del fiume Piave - Piano Stralcio per la gestione
delle risorse idriche (PDF), su adbve.it. URL consultato l'8 novembre 2012.
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Opere
idrauliche della laguna di Venezia.
Storia
Il Piave o la Piave? L'onomastica
Il nome «Plavens» o «Plabem», apparso nell'antica letteratura storico-geografica
solo alla fine del sesto secolo, fu da allora sempre di genere femminile. Difatti
«Alla Piave» fanno costante riferimento gli originali atti e documenti della
Serenissima Repubblica, e le Terminazioni e Sentenze dell'antico Magistrato alle
Acque, mentre nelle opere degli scrittori di idraulica veneta dei secoli scorsi,
come nel dolce ed incontaminato dialetto della popolazione del Cadore, della Val
Belluna, della Marca Trevigiana e di Venezia, sino a metà degli anni venti, ha pure
risuonato «la Piave, alla Piave, della Piave». Fu Carducci, sembra, il primo ad
assegnare al fiume nella sua «Ode al Cadore» il genere maschile, ciò che fu
confutato dal geografo Ettore De Toni, ma esso riapparve invece nel 1918 da
Gabriele D'Annunzio che scrisse: "O Libertà, gli Italiani li danno oggi, Il Piave
flessibile per tua collana".

Per troncare ogni disputa, Bino Sanminiatelli promosse una inchiesta. Numerosi
furono gli interpellati: da Paolo Boselli a Francesco d'Ovidio, da Ferdinando
Martini a Guido Mazzoni, da Francesco Torraca a Renato Fucini, appoggiarono per il
genere femminile. Ma la nobile fatica di coloro che volevano difendere più che
altro la tradizione, fu tardiva perché, già nel 1918, le centinaia di migliaia di
ufficiali e soldati che si avvicendarono a presidiare il Fiume Sacro gli avevano
assegnato il genere maschile abituando gli Italiani a considerarlo tale. Fu quindi
durante la prima guerra mondiale del nostro secolo che il Piave venne «promosso
maschio per merito di guerra» e tale rimane ormai per l'Italia e per il mondo.
Oggigiorno la forma utilizzata anche colloquialmente è al maschile; tuttavia si può
riscontrare l'uso del genere femminile da parte degli anziani molto legati a questa
terra e alle sue tradizioni,[5] così come nell'antico tratto terminale del fiume,
ora corrispondente al corso del Sile in prossimità della sua foce, denominato
appunto "Piave Vecchia".

Le principali piene avvenute nei secoli scorsi


Le prime notizie sulle esondazioni del Piave sono riportate dallo storico
Giambattista Verci il quale narra che nel 1314 in seguito a dirotte piogge il fiume
uscito dal suo letto si riversò nel territorio Trevigiano. In quell'epoca secondo
altri storici, il fiume avrebbe deviato il suo corso anche a Lovadina distruggendo
numerosi abitati e la chiesa di Santa Maria di Saletto. Secondo il cronista
Daniello Tomitano, studioso e umanista appassionato di arte e storia vissuto a
cavallo tra il XVI e il XVII secolo, altra e più grave piena si ripeté nel 1330 sia
nel Piave che nei suoi affluenti; i villaggi di Nemeggio, Villapaiera e Celarda
furono distrutti e le contrade di Feltre e Pedavena gravemente danneggiate; scrisse
il Tomitano che lungo il Piave tutti i ponti furono travolti e gli opifici
esistenti lungo il fiume (magli, molini e segherie) vennero divelti dalle basi e
restarono sepolti dalle ghiaie. Nel 1368 in seguito ad elevate piene, il Piave si
aperse un nuovo letto attraverso all'abitato di Lovadina. Questo diversivo rimase
attivo durante le intumescenze del fiume sino al 1407 quando per ordine della
Serenissima Repubblica venne intercluso. Nel quindicesimo secolo sei gravi piene
furono registrate negli anni 1409- 1419-1420- 1450- 1467 e 1470.

Le notizie sui danni arrecati dalle esondazioni sono però scarse ed incerte. Dalle
antiche cronache emerge però che ad ogni piena avvenivano irruzioni di acque del
Piave nella Marca Trevigiana. Nel 1467 si ebbe la disalveazione a Cimadolmo e nel
1470 una grave rotta e conseguente esondazione a Romanziol. Nel sedicesimo secolo
si ebbero dieci piene elevatissime negli anni 1512-1524-1531-1533-1554-1558-1564-
1567-1572-1578. La piena più rovinosa fu quella del 1512 quando il Piave ha
straripato a Nervesa ed incanalandosi nel Piavesella e nel Bottenigo e seguendo le
depressioni del terreno ha inondato un vastissimo territorio e la città di Treviso
apportandovi gravi danni. La piena del 1533 è rimasta famosa per i danni cagionati
dalle rotte del Piave ai bacini lagunari di Torcello, Mazzorbo e Burano.

Quella del 1578 fu memorabile per il crollo del ponte che congiungeva le due sponde
a Belluno e per nuovi disalveamenti del fiume a Cimadolmo ed a Ponte di Piave.
L'aumentata frequenza dei disastri, provocati dalle piene del Piave nella seconda
metà del sedicesimo secolo, non mancò di preoccupare la Repubblica Veneta i cui
tecnici attribuirono lo aggravarsi dei disordini idraulici all'eccessivo
disboscamento che veniva operato nelle montagne. Pure nel diciassettesimo secolo
vennero registrate dieci elevate piene, le quali si verificarono negli anni 1601-
1642-1664-1665-1667-1678-1681-1682-1693 e 1694. Fu questo il secolo in cui la
Repubblica Veneta affrontò e risolse i più gravi problemi idraulici per la
sistemazione dei fiumi in pianura e per la loro espulsione dalla laguna di Venezia,
opera opportunamente accompagnata dall'incremento e dalla conservazione del
patrimonio forestale.

Gravi furono i danni provocati dalle ricordate piene: nel 1642, fu distrutto il
paese di Noventa da una rotta del fiume; nel 1664 vennero distrutti la chiesa e
parecchi fabbricati del paese di Musile. Durante le piene del 1678 e 1681 si
apersero ben 48 rotte negli argini costruiti per guidare il Piave a sfociare a
Santa Margherita. La piena del 1683 è famosa per la rotta della Landrona attraverso
alla quale e con nuovo letto, il Piave si diresse nell'attuale foce di Cortellazzo
abbandonando l'alveo artificiale escavato per espellere il fiume dalla laguna di
Venezia.

Solo sei piene elevate si elencano nel diciottesimo secolo. La prima avvenuta nel
1708 riguardò principalmente il Boite che, ingrossato a dismisura, investì il paese
di Perarolo provocando la rovina di molte case e la morte di parecchie persone. Nel
1748 si ebbero solo esondazioni e danni alle campagne. Due piene si ripeterono a
breve distanza di tempo nell'estate del 1757 (giugno ed agosto). Ad agosto, si
ebbero molte rotte da Nervesa a Ponte di Piave. Nel 1774 e 1782 le piene non
provocarono rilevanti danni, se si eccettua l'abbattimento di alcune case e della
chiesa di Salettuol. La cronologia dei disastrosi eventi trova il suo apice nel
1800, durante il quale si ebbero ben quindici piene elevatissime e si verificò la
massima piena conosciuta (1882). Dal 1851 al 1877, il Piave superò il segno di
guardia ed entrò in piena a Zenson ben trentotto volte. Le date in cui si
verificarono nel diciannovesimo secolo le quindici maggiori piene sono le seguenti:
ottobre 1811, maggio 1816, ottobre 1823, dicembre 1825, ottobre 1841, novembre
1851, maggio 1858, ottobre 1863, marzo 1872, novembre 1877, settembre/ottobre 1882,
ottobre 1885, ottobre 1886, ottobre 1889. Da tale elenco appare che le piene si
manifestarono prevalentemente in autunno.

Delle quindici piene, difatti dodici furono autunnali e di queste otto si


verificarono nel mese di ottobre. La piena del 1823, fu memorabile per la completa
distruzione avvenuta del paese di Perarolo. Il 12 ottobre di quell'anno mentre il
Boite ed il Piave erano considerevolmente ingrossati una frana si scaricò nel
Boite, presso la sua confluenza, bloccandone il corso. Il giorno seguente, il forte
carico delle acque provocò la rottura dello sbarramento costituito dalla frana e le
acque precipitarono come una valanga su Perarolo che scomparve nei gorghi e divenne
un cumulo di rovine coperte di ghiaia e fango.

Nello stesso periodo si ebbero nei tronchi di pianura più rotte fra cui quelle di
Sant'Andrea di Barbarana e di Mussetta. Più elevata, specie per i tronchi
superiori, fu la piena del 1825, che durò quattro giorni, danneggiò le opere
idrauliche e di presidio lungo l'asta fluviale e determinò dodici rotte fra
Sant'Andrea di Barbarana e San Donà di Piave. Eccezionale per la rapidissima
crescita fu la piena del 1851 durante la quale si ebbe, per cinque ore, un
incremento idrometrico orario di 1,36 m a Zenson, dove il colmo raggiunse la quota
10,6 m, nonostante il Piave attraverso a nove rotte arginali, avesse invaso le
campagne tanto a monte che a valle di quella località. La piena durò cinque giorni
e le principali rotte si ebbero a Fossalta, Croce di Piave, Fornera e Grisolera.
L'anno 1882 rappresenta il triste caposaldo delle più funeste vicende idrauliche
dei fiumi veneti. Per quanto il bacino plavense non sia rimasto in quell'evento
indenne dalle conseguenze della disastrosa alluvione che si abbatté in tutta l'Alta
Italia, di fronte ai disastri provocati dalla rotta dell'Adige avvenuta a Legnago,
la piena del Piave passò quasi inosservata.

Le piogge cominciarono ai primi di settembre ed alla metà del mese si registrarono


le più elevate altezze idrometriche che culminarono nei tronchi di pianura nel
pomeriggio del 16 settembre. A Zenson venne raggiunta l'altezza di 10,80 m e
superata di 0,74 m la massima conosciuta. Nel corso della piena si ebbero quindici
rotte in destra e sinistra da Ponte di Piave a Cava Zuccherina causate tutte da
tracimazioni per l'estesa complessiva di un chilometro. La piena durò sette giorni
impiegando solamente sedici ore, per raggiungere il colmo e oltre 6 giorni, per
discendere al segno di guardia. Oltre alle rotte, si ebbero sormonti delle sommità
arginali e conseguenti tracimazioni a valle di Nervesa per la estesa di ben trenta
chilometri. Il triste bilancio dei danni arrecati dalla alluvione si può riassumere
in queste cifre: danneggiati venticinque comuni con una popolazione di circa 40 000
abitanti, superficie allagata 56 000 ettari; altezza media delle acque in campagna
3,05 m durata media dell'allagamento dieci giorni, ma in alcune località l'acqua
rimase nei terreni per oltre un mese. Distrutti tre ponti: a Quero, Vidor e San
Donà e nove ponti sugli affluenti del fiume, crollati centotrenta fabbricati. Nel
1885 si ebbero tre piene di cui una abbastanza elevata avvenuta il 16 ottobre. Nel
successivo 1886 si ebbero ancora tre piene che si esaurirono senza gravi danni.
L'anno 1889 registrò pure tre piene la più elevata delle quali avvenne l'undici
ottobre e provocò dapprima lo squarciamento dell'argine destro compreso fra il
ponte ferroviario e il ponte della provinciale presso Musile, e quindi quello di un
tratto del rilevato ferroviario Mestre-Portogruaro e del vecchio argine San Marco.

L'inondazione si estese così al comprensorio del Consorzio idraulico Croce dove


l'acqua raggiunse l'altezza di quattro metri, e all'abitato di Musile dove
crollarono dodici case e vi furono varie vittime e danni. Infine nell'ottobre del
1896 si verificò l'ultima grave piena del secolo diciannovesimo la quale, pur
superando di poco come altezze idrometriche quella del 1885, fu brevissima nella
durata (due giorni) e rimase contenuta nell'alveo in conseguenza dei lavori di
sistemazione arginale eseguiti dopo i disastri del 1885. Lavori che all'inizio del
secolo vennero ripresi ed estesi e soprattutto integrati con opere idraulico-
forestali di sistemazione del bacino montano, orientando così le provvidenze
tecniche ai moderni criteri secondo i quali ogni cura dovrebbe essere rivolta alle
origini del male ossia alla montagna ed agli affluenti superiori.

In questa prima metà del nostro secolo il Piave fu soggetto a nove elevate piene
verificatesi negli anni 1903- 1905-1906-1907-1914-1916-1926 (in maggio e novembre)
e nel 1928. Di tali eventi è da considerarsi veramente notevole quello verificatosi
nel 1903. In tale circostanza, la piena raggiunse il colmo a Perarolo il 30 ottobre
e si propagò rapidamente, tanto che dopo tredici ore si ebbe il colmo a Zenson con
11,58 m, quota superiore di ben 0,74 m alla massima registrata nel 1882. In questa
località le acque cominciarono a tracimare nel mattino del 31 ottobre, e quindi
aumentarono e si estesero a Campolongo, Volta Croce, Musile, Passarella, San Donà e
Grisolera.

La estesa complessiva delle tracimazioni fu di circa 4 km, fra sponda destra e


sinistra con altezze di lame che in alcuni punti giungevano da 1,15 1,20 m.[non
chiaro] Il lavoro febbrile compiuto da centinaia di operai che in ogni tronco
minacciato costruirono coronelle in sommità, banchine di sacchi a terra in schiena
d'argine, chiusura di gorghi e gettate di sasso a fiume, valse a scongiurare i
gravi disastri che si profilavano a Ponte di Piave, a Zenson, nel tronco di San
Donà ed alla Gaggiola. La battaglia sembrava vinta poiché si era iniziata la
decrescita dei livelli idrometrici, quando l'improvviso sbocco di un sifone
apertosi all'unghia dell'argine sinistro in località Intestadura a valle di San
Donà di Piave, diede luogo in brevissimo tempo ad una rotta disastrosa. La gravità
del pericolo corso da tutto il territorio attraversato dal Piave, da Nervesa al
mare, impose la esecuzione di nuovi poderosi lavori di rialzo, ringrosso ed
imbancamento di tutte le arginature da Ponte di Piave alla foce. Tutte le piene
successive furono contenute sia per effetto di tali lavori sia perché nei tronchi
di pianura le massime altezze idrometriche furono di molto inferiori a quelle
verificatesi nel 1903. La piena del 1928 fu caratterizzata da notevoli altezze
idrometriche registrate nei tronchi montani e dal manifestarsi di tre ondate
successive (il 22 ed il 29 ottobre e il 1º novembre) le quali non si sovrapposero e
consentirono l'innocuo esaurimento della piena.

Le principali opere di difesa e sistemazione idraulica seguite nei secoli scorsi


Com'è noto dal 1420 al 1727 tutto il bacino del Piave fu compreso nei domini della
Repubblica di Venezia la quale non mancò di dedicare ogni possibile ed amorevole
cura alla difesa dei territori minacciati dalle frequenti piene del Piave. Giova Il
problema che assillava la mente dei reggitori della Repubblica era quello di
proteggere il litorale separante la laguna dal mare, di mantenere le « fuose »
ossia le bocche aperte nel litorale stesso per l'alimentazione della laguna e di
impedire l'interrimento di quest'ultima, provocato dallo sfocio dei fiumi che
avveniva nell'ambito lagunare.

La continua espansione delle barene, determinata dalla sedimentazione di torbide


fluviali, l'apparire ed il propagarsi di canneti per il prevalere delle acque dolci
su quelle salse, allarmarono i veneziani in modo tale che venne coraggiosamente
affrontato dalla Repubblica il titanico problema della espulsione dei fiumi dalla
laguna di Venezia. Furono necessari circa quattro secoli (dal 1300 al 1700) per
condurre a termine la gigantesca impresa la quale fu compiuta con la diversione del
Piave all'attuale sua foce di Cortellazzo. Ne deriva che le principali opere di
sistemazione idraulica del Piave compiute dalla Repubblica Veneta furono intese a
difendere la bassa pianura dalla minaccia di esondazioni ed a deviare il tronco
terminale del fiume per portarlo a sfociare in località sempre più discoste dal
lembo lagunare orientale.

Nel tronco montano ed in quello medio invece nessuna attività venne svolta dal
Governo della Serenissima, il quale però intervenne sempre per stimolare iniziative
e per guidare, con la proverbiale saggezza dei suoi proti ed ingegneri, l'opera
delle Comunità sia per la difesa del territorio come per la utilizzazione del corso
d'acqua. Il tronco più vulnerabile del Piave fu quello compreso fra Nervesa e
Spresiano ed è proprio in questo tronco che furono costruite le prime difese
arginali. Da citazioni frammentarie che affiorano da antichi documenti riprodotti
dagli scrittori di idraulica veneta dei secoli scorsi appare che, dal 1317 al 1370,
si lavorò per la costruzione dei muraglioni o «murazzi» di Nervesa più volte
abbattuti dalle piene del Piave nel corso dei secoli.

Nel 1509 la Repubblica Veneta avuta la percezione che i muraglioni dì Nervesa


venivano ricostruiti con struttura a sacco e cioè con paramenti di pietrame ed
imbottitura di ghiaia e ciottoli, inviò sul posto il celebre Fra' Giocondo con
l'incarico di dettare severe e categoriche norme per la razionale esecuzione dei
lavori. I muraglioni di Nervesa furono così ricostruiti con l'ordine di struttura
che tutt'oggi conservano. Ma le aggressioni del Piave continuarono e da nuove
brecce il fiume disalveò ancora ponendo in pericolo la città di Treviso.

Per tre secoli dal 1400 al 1700 la Repubblica Veneta, a mezzo di appositi
Provveditori, continuò ad elevare difese e ripari arginali lungo l'asta fluviale
compresa fra Nervesa e Zenson; ma tale attività fu saltuaria e frammentaria ed i
lavori eseguiti per fronteggiare le aggressioni del fiume non furono mai coordinati
in programmi tecnici per una razionale sistemazione idraulica del fiume. Più
importanti furono invece le opere studiate ed attuate per la difesa della bassa
pianura e per allontanare lo sfocio del Piave da Jesolo a Cortellazzo, allo scopo
di evitare il trasporto di torbide nei lembi lagunari. Nel 1533, durante una piena,
il Piave debordò in più punti nel suo tronco inferiore e le sue acque torbidissime
invasero il Sile che si scaricava in laguna, provocando forti interrimenti nei
bacini lagunari di Torcello e Mazzorbo. L'inconveniente si era già manifestato
prima di allora ma in quella evenienza era apparso tanto grave che il Magistrato
alle Acque deliberò che da Ponte di Piave alla Cava del Caligo venisse costruito un
argine: «sia facto di passi sei trevisani (11 m) in fondo e di sopra passi due e
mezzo (4,50 m) e tanto alto che el superi l'arzere davanti de la Piave almeno de
pié quattro (1,40 m), il quale sia per muraglia e segurtà de questa banda de
Venetia acciò in caso se rompesse el primo arzere questo sia per seguitò de le
lagune nostre».
I Savi del Magistrato idearono in sostanza un secondo argine in ritiro il quale
svolgendosi lungo il lembo occidentale della laguna superiore la isolava
completamente dal Piave. L'argine detto di San Marco venne compiuto nel 1543 e
dichiarato inalienabile. Esso è tuttora efficiente ed ha salvato più volte dalla
inondazione il territorio situato in destra del fiume. Oltre a tale provvedimento
il Magistrato alle Acque aveva decretato che sulla sinistra del Piave in località
Rotta Vecchia venisse aperto un diversivo convogliante le acque di piena in uno dei
porti di Livenzuola, Portesino o Cortellazzo.

Il celebre idraulico Cristoforo Sabbadino con più larga visione del problema
idraulico integrò il concetto espresso dal Collegio dei Savi alle acque, e presentò
nel 1552 un progetto per deviare completamente il Piave portandolo a sfociare a
Cortellazzo. Per quanto approvata dal Governo Veneto, l'idea del Sabbadino non
trovò unità di consenso e non ebbe immediata e completa fortuna. Innumerevoli
proposte, polemiche e discussioni si accesero e, mentre si lavorava alla
escavazione del diversivo voluto dal Magistrato alle Acque denominato Taglio di Re,
il Piave continuava ad allagare ed a impaludare la pianura litoranea apportando
torbide alla laguna. Dopo oltre un secolo di tentativi per mantenere efficienti
come diversivi per lo scarico delle piene del Piave, il Taglio di Re ed il Canale
Cavazuccherina, i Savi alle acque riconobbero che « l'unico mezzo di mantenere
eterne le lagune» a era quello di deviare completamente il corso del fiume
portandolo a sfociare a Santa Margherita di Caorle, ciò che rendeva necessaria la
interclusione di uno dei rami del Livenza che là sfociava.

I lavori furono iniziati nel 1642 ma procedettero lentamente e richiesero ventidue


anni di tempo per il compimento. Nel 1664 il Taglio della Piave fu compiuto ed il
fiume fu condotto a sboccare nel porto di Santa Margherita. Prima di giungere alla
nuova foce le acque del Piave invadevano le grandi paludi di Ribaga, Cortellazzo e
Livenzuola le quali erano conterminate da modesti argini circondariali (o
«arzerini») e poiché per sfociare a Santa Margherita le acque durante le piene o le
fasi di alta marea dovevano sopraelevarsi, ne avvenne che in tali frequenti
circostanze si ebbe la tracimazione o la rovina degli arzerini e la inondazione dei
territori circostanti. Le diverse paludi nelle quali esondavano le acque del fiume
divennero intercomunicanti e si formò un grande stagno che venne chiamato il Lago
della Piave.

La situazione idraulica andò aggravandosi col susseguirsi delle piene che, come
abbiamo segnalato, si ripeterono nel 1664-1665-1667-1678- 1681. Venne quindi
ventilata l'idea di aprire un nuovo sfogo alle acque invasate nel Lago della Piave
portandole al mare attraverso al porticciuolo di Valle Altanea. Ma, mentre
fervevano discussioni e proposte, nel 1683, durante una piena abbastanza elevata,
il Piave rotti gli argini a Landrona di fronte a Cortellazzo si scaricò in mare in
quel porto che, per la pendenza dei terreni, costituiva il naturale sfocio del
fiume. I fatti dettero ragione al Sabbadino che centocinquanta anni prima aveva
intuita la soluzione del problema idraulico, ed il Piave fu lasciato nell'alveo da
esso prescelto e continuò da allora a sfociare a Cortellazzo. Il 5 ottobre 1935 una
nuova alluvione avrebbe portato il fiume nell'attuale foce, mentre il vecchio
estuario andò a formare la Laguna del Mort[6].

Il Piave nella grande guerra


Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Prima
battaglia del Piave, Battaglia del solstizio e Battaglia di Vittorio Veneto.
Il Piave costituì il fronte più arretrato di difesa dell'esercito italiano dopo la
sconfitta subita nella Battaglia di Caporetto durante la Prima guerra mondiale.
Oltre all'importanza strategica, il mantenimento della linea del Piave fu
importante anche per tenere alto il morale dell'esercito dopo la ritirata dalla
linea dell'Isonzo; per questo, il fiume Piave venne presto caricato di retorica
patriottica (si veda ad esempio La canzone del Piave). La linea fu mantenuta nella
Prima Battaglia del Piave e nella Battaglia del Solstizio. L'esercito italiano
oltrepassò poi il fiume il 24 ottobre 1918 (esattamente un anno dopo la sconfitta
di Caporetto), cominciando così la decisiva Battaglia di Vittorio Veneto.Nel corso
del primo conflitto mondiale la parte meridionale del corso del Piave divenne una
linea strategica importante a partire dal novembre 1917 in corrispondenza della
ritirata avvenuta in seguito a Caporetto.

Dopo il passaggio sulla riva destra delle armate italiane e la distruzione dei
ponti, il fiume divenne la linea di difesa contro le truppe austro-ungariche e
tedesche che, nonostante svariati tentativi, non riuscirono mai ad attestarsi
stabilmente oltre la sponda destra del fiume, pur riuscendo a varcarla in più
punti, penetrando in profondità in territorio "destra Piave" in particolare presso
Meolo. La linea di difesa italiana resistette fino all'ottobre 1918 quando, in
seguito alla battaglia di Vittorio Veneto, gli avversari furono sconfitti e si
giunse all'armistizio.

Dopo l'armistizio del 4 novembre 1918, il generale Lorenzo Barco si occupò del
problema della riparazione e del ripristino degli argini del Piave e di altri fiumi
veneti e friulani (Monticano, Livenza, Tagliamento), danneggiati in seguito alle
vicende belliche. L'opera di ricostruzione, che si mantiene ancora ai giorni
nostri, fu terminata in tempo per proteggere le popolazioni dalle possibili
inondazioni a seguito delle piene invernali e primaverili. Furono impiegati circa 9
500 uomini e 330 ufficiali.

Le sorgenti del Piave e il passaggio di Sappada dal Veneto al Friuli Venezia Giulia
Mercoledì 22 novembre 2017 la Camera dei deputati approvava la proposta di legge
che sanciva il via libera definitivo al passaggio del Comune di Sappada dalla
Regione Veneto alla Regione Friuli Venezia Giulia. Si concludeva così una procedura
durata più di dieci anni. Si accendeva un nuovo dibattito, sulla paternità delle
sorgenti. Si riteveva infatti che fossero passate al Friuli, vista l’acquisizione
di tutta la documentazione amministrativa e catastale avvenuta l'11 luglio 2019 a
Belluno, viene dato avvio al trasferimento definitivo al demanio idrico regionale
dei beni di proprietà statale ubicati in Comune di Sappada.

Su richiesta del presidente della Regione Veneto Luca Zaia, una commissione di
esperti, presieduta dal professor Luigi D'Alpaos, docente emerito di ingegneria
idraulica all'università di Padova, ha concluso che il Veneto ha diritto a tenersi
la sorgente[7]:

Luca Zaia, presidente della Regione Veneto: «Le sorgenti del Piave sono ancora in
territorio veneto». «Non posso che rallegrarmene per quello che ha sempre
rappresentato il nostro fiume per la nostra regione e tutti i veneti. La
commissione presieduta dal professor Luigi D'Alpaos, quella che lo ha confermato,
l'ho richiesta io più di un anno fa proprio perché ci fosse un giudizio terzo da
parte di luminari di riconosciuto valore ed evitare dispute campanilistiche e
antistoriche».[8]

Gianpaolo Bottacin assessore bellunese all'ambiente della Regione Veneto: «Chi


sostiene che il Piave ora nasce in Friuli e non più nel Veneto - sottolinea - dice
per convenzione una cosa non sbagliata ma sostiene un falso storico. La
commissione, di cui fa parte anche il professor Vladimiro Achilli, docente di
Topografia e Cartografia all'università di Padova, ed altri esperti tra cui una
storica, sta confermando che dal punto di vista idrologico e idraulico va
considerata come sorgente quella del bacino più ampio, che in questo caso è proprio
il ramo della Val Visdende».[8]

Problematiche ambientali
«Fiume simbolo del coraggio, dell'eroismo, del patriottismo degli italiani. Fiume
simbolo, oggi, della loro cecità»
(Gian Antonio Stella, Corriere della Sera, 11 agosto 2003[9])
Il forte sfruttamento idrico e il conseguente parziale abbandono del letto naturale
del fiume fanno del Piave uno dei corsi d'acqua più artificializzati d'Europa.
Così, a partire dalla seconda metà degli anni novanta, ha cominciato a sorgere una
questione ambientale legata al Piave, che ha portato alla richiesta, rivolta in
particolare all'ENEL, di assicurare il minimo deflusso vitale del fiume.

Il "caso Piave" è stato sollevato e promosso, tra l'altro, dall'amministrazione


della provincia di Belluno, dal suo presidente Sergio Reolon e dal Centro
Internazionale Civiltà dell'Acqua di Mogliano Veneto (in particolar modo dallo
scrittore e giornalista Renzo Franzin, cofondatore del Centro). Nel 2007, inoltre,
è a Belluno che, con il supporto delle azioni Marie Curie della Commissione
europea, si è tenuto un convegno di ricerca sul tema dell'artificializzazione del
fiume Piave e dello sfruttamento sostenibile dell'acqua[10].

Garantire un flusso di acqua costante per tutto l'anno e realizzare impianti di


risalita lungo gli sbarramenti, sarebbe importante per la sopravvivenza di specie
di fauna ittica autoctona.

Feste e leggende
Il patto d'amistà
Lungo il basso corso del fiume, a circa 30 km da Venezia, si trovano due Comuni
divisi dal Piave: San Donà di Piave e Musile di Piave. San Donà (il toponimo
significa San Donato) e Musile (il toponimo di diga, argine) durante il Medioevo
erano due piccole comunità di una zona paludosa, aggregate attorno alle loro
rispettive chiese e santi patroni.

Secondo la leggenda, "il patto d'amistà" (il patto d'amicizia) tra le due comunità
risale a quegli anni, quando una disastrosa alluvione deviò il corso del fiume
Piave (nel 1258 per lo storico Teodegisillo Plateo, nel 1383 secondo altri
studiosi). Fu un fatto così straordinario che dovettero essere ridefiniti i confini
territoriali. La piccola chiesa di San Donato segnava il confine tra due diocesi:
il patriarcato di Aquileia da un lato e la diocesi di Torcello dall'altro. La
chiesetta, già in Sinistra Piave (lato sandonatese), si ritrovò sulla destra del
fiume, in territorio di Musile. La comunità San Donà si ritrovava così privata
della propria identità perché la chiesa, dedicata al suo patrono, si ritrovava
dall'altra parte del Piave. Da qui il compromesso: lasciare il nome di San Donato
all'attuale centro urbano di San Donà, con il diritto di festeggiare il santo a
Musile. A compenso un patto solenne: che la "bagauda", ovvero la comunità di San
Donà dovesse offrire agli abitanti di Musile per sempre, il 7 agosto di ogni anno,
due capponi ("gallos eviratos duos") vivi, pingui e ottimi.

La manifestazione è stata ripristinata a partire dal 1957 e si svolge ogni anno con
il patrocinio dei due comuni e della Regione Veneto.

La canzone del Piave


La canzone probabilmente più famosa della prima guerra mondiale fu La canzone del
Piave di Giovanni Gaeta, autore famoso di canzoni napoletane, meglio noto con lo
pseudonimo di E.A. Mario. Fu composta nel giugno 1918[11], subito dopo la battaglia
del solstizio. Ben presto venne fatta conoscere ai soldati dal cantante Enrico
Demma.

Note
^ Elenco corsi d'acqua della rete idrografica regionale (PDF), su Piano
straordinario triennale interventi di difesa idrogeologica, Regione Veneto. URL
consultato il 15 dicembre 2014.
^ Anticamente, e tuttora in veneto, l'idronimo è femminile: la Piai, la Piave, ecc.
Vedi Ulderico Bernardi, Cara Piave, Editrice Santi Quaranta, 2011. Vedi anche Nomi
geografici, un genere difficile | Treccani, il portale del sapere
^ Mappa IGM 1:25000, su pcn.minambiente.it.
^ Bacino del Fiume Piave - Piano stralcio per la sicurezza idraulica del medio e
basso corso a cura dell'ADBVE.
^ Vedi nota 2.
^ Foce del Piave [collegamento interrotto], su acqueantiche.provincia.venezia.it,
Provincia di Venezia - Acque Antiche. URL consultato il 29 marzo 2013.
^ A3 NEWS Treviso 13/07/2019, «Le sorgenti del Piave restano in Veneto», su
youtube.com.
Sorgenti del Piave. Zaia, "La commissione di esperti le conferma in Veneto, non
posso che compiacermi. È il fiume simbolo della nostra regione e della nostra
gente", su s01-stagingportale.regione.veneto.it.
^ L'articolo di Stella nel sito del Corriere
^ articolo Archiviato il 5 marzo 2016 in Internet Archive. apparso sul Corriere
delle Alpi
^ Andrea Castellano, La «leggenda Del Piave», su assocarabinieri.it, Associazione
Nazionale Carabinieri. URL consultato il 01-10-2009 (archiviato dall'url originale
il 13 giugno 2009).
Voci correlate
Prima battaglia del Piave
Battaglia del solstizio
Battaglia di Vittorio Veneto
Zattieri
Piave (formaggio)
Altri progetti
Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su
Piave
Collegamenti esterni
Un articolo con informazioni e foto sulle Sorgenti del Piave, su Sappada.Blog
Osservatorio del Paesaggio "Montello - Piave", su osservatoriomontellopiave.it
(archiviato dall'url originale il 7 marzo 2014).
Museo degli zattieri del Piave, su museozattieri.it.
Centro Internazionale Civiltà dell'Acqua, su civiltacqua.org.
(EN) Natura 2000 - Standard data form IT3230088, su Natura2000 Network Viewer,
Agenzia europea dell'ambiente.
(EN) Natura 2000 - Standard data form IT3240023, su Natura2000 Network Viewer,
Agenzia europea dell'ambiente.
(EN) Natura 2000 - Standard data form IT3240030, su Natura2000 Network Viewer,
Agenzia europea dell'ambiente.
(EN) Natura 2000 - Standard data form IT3240035, su Natura2000 Network Viewer,
Agenzia europea dell'ambiente.

Potrebbero piacerti anche