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Imprese per la gola di luca storti - Introduzione alla sociologia


delle migrazioni
Sociologia dei processi culturali (Università degli Studi di Torino)

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IMPRESE PER LA GOLA RIASSUNTO

CAPITOLO 1: “Immigranti imprenditori”


Due famiglie di studi sugli imprenditori: la prima analizza i fattori socio-economici che ne
condizionano l’agire, la seconda evidenzia i tratti significativi della loro personalità.
Gli imprenditori sono coloro che introducono nuove combinazioni di fattori produttivi:
innovatori sorretti da motivazioni.
Nel presente lavoro si è fatta una nuova idea di imprenditore che rimanda al titolare di un’attività
economica con un certo grado di autonomia.

Imprenditori Etnici
Si usa il concetto per definire etnica qualsiasi attività il cui proprietario sia di origine straniera. Non
si pensa al fatto che il concetto di etnia attiene agli usi e ai costumi di un gruppo (quindi a
questioni più ampie).

 Le imprese immigrate sono classificate sotto due variabili: in base alla collocazione sul mercato
e in relazione al tipo di prodotto.
Vengono così identificati quattro tipi di imprese:
-Impresa Etnica -Impresa intermediaria
-Impresa Esotica -Impresa aperta

Piccole medie imprese


Il processo di revival della piccola impresa coinvolge anche gli immigrati.
Per spiegare le cause di tale fenomeno gli studi hanno posto l’attenzione sull’ offerta e sulla
domanda.

L’Offerta
1. Predisposizione all’imprenditorialità: Secondo questo approccio alcuni immigrati
possiederebbero un patrimonio valoriale che sostiene la propensione al lavoro autonomo.
2. Teoria dello svantaggio: La transazione degli immigrati al lavoro indipendente è considerata una
reazione adattiva alle discriminazioni subite nella società d’accoglienza ad opera degli autoctoni.

L’imprenditoria come materia di embeddedness


Embeddedness: Concetto secondo cui l’azione economica è sempre socialmente situata e non può
essere spiegata unicamente in riferimento a motivazioni individuali. (in pratica, ogni azione
economica è frutto di una ragione sociale che solo gli individui portano individualmente).
Bonding social capital: Risorsa tendenzialmente esclusiva che funziona da collante sociale per gli
immigrati ma soffrono la mancanza di Building social capital che, al contrario, connette con i
membri di gruppi diversi.

Portes e Sensenbrenner identificano quattro tipi di capitale sociale:


1) Interiorizzazione dei valori/processi di socializzazione 2) Scambi di reciprocità/norme di
reciprocità
3) Solidarietà collettiva/circostanze situazionali x l’identif. 4) Fiducia Vincolata/costi e

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benefici
(Tutte e quattro vengono ricondotte alle tradizioni sociologiche Durkheimiana, Simmelliana,
Marxista e Weberiana).
Le dotazioni di capitale sociale degli immigrati sono riconducibili al secondo, terzo e quarto tipo.

La domanda
L’imprenditoralità immigrata è l’esito di un processo d’adattamento a quei cambiamenti
economici che generano una struttura delle opportunità favorevole alle attività autonome.
Due concetti mercificazione e demercificazione: Mercificazione si fa riferimento a quei bene e
servizi la cui produzione è governata dagli equilibri di domanda-offerta; al contrario, la
demercificazione è il processo con cui il welfare assume il controllo di servizi, concepiti come
diritti.
 Gli immigrati si dirigono tradizionalmente verso i settori economici che hanno basse barriere
d’accesso e che tendono a concentrarsi negli ambiti in cui la regolamentazione è meno rigida.

CAPITOLO 2: “Emigrazione italiana in Germania”


Tre grandi flussi in cui si articola l’emigrazione in Germania: I primi due sono riconducibili alla fase
delle migrazioni liberali, il terzo a quello fordista. La loro causa è il deficit di manodopera che
caratterizzava l’economia tedesca, da cui derivava il fabbisogno di forza lavoro straniera. In
risposta a tale esigenza si emigra perché ci sono ragioni di salariato maggiore.

Quadro Storico
In Germania prima della grande guerra

Con l’inizio del secolo ha luogo una fase di espansione economica che crea i presupposti per la
richiesta di nuova forza lavoro. A differenza dei trasferimenti transoceanici, l’emigrazione in
Germania è caratterizzata da una permanenza a termine: gli emigrati si fermavano per un periodo
di tempo limitato. L’epicentro delle partenze era il Veneto e il Friuli- Venezia Giulia.
I dati testimoniano che la presenza italiana tenda a trasformarsi nel corso del tempo in
insediamento definitivo.

Tra la due guerre


La successiva ondata d’immigrati italiani si registra nella seconda metà degli anni Trenta. Si correla
con la preparazione alla guerra, in cui la Germania hitleriana aveva ridato slancio all’economia
tedesca.

Differenza sostanziale rispetto alla prima migrazione: La prima si era sviluppata in modo
spontaneo, quanto la seconda è programmata e controllata dai due Stati.

Il coordinamento dell’emigrazione era basata sull’ Asse Roma-Berlino e nel Patto d’Acciaio. Su
queste basi, l’alleato tedesco avanza una richiesta ufficiale di manodopera all’Italia, indirizzata
verso due settori: da prima si domandano bracci agricoli e nell’anno successivo lavoratori per le
acciaierie (Volkswagen).

Dopo la guerra

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I progetti di ricostruzione della neonata Repubblica italiana prevedevano che si continuasse a


ricorrere all’emigrazione per arginare quella quota di disoccupazione. Inoltre, l’emigrazione
veniva intesa come una valvola di sfogo per le tensioni sociali che derivavano dallo squilibrio tra
pressione demografica e risorse. In tale contesto, dal 1946 gli italiani riprendono a migrare.
Le destinazioni privilegiate sono il Belgio e la Francia, ove i tassi di disoccupazione sono più bassi e
notevole è la domanda di lavoro straniera.
La situazione cambierà significativamente a partire dalla metà degli anni cinquanta. Le mete dei
flussi migratori alternative alla Germania, infatti, diventano meno attrattive.
Di lì a poco, con il trattato d’accordo bilaterale tra Italia e Germania per lo scambio di
manodopera, siglato a Roma nel 1955, questo paese diventa la destinazione più ambita. L’accordo
prevedeva la definizione del numero delle partenze, la parità di posizione tra la manodopera
italiana e tedesca, l’assistenza e l’alloggio, le rimesse del salario. Il reclutamento cominciò nel
1956, i primi gruppi di partenza comprendevano individui destinati all’agricoltura, edilizia,
alberghiero e ristorazione. O perlomeno questo era il progetto. Fu un parziale insuccesso, a fine
procedura, la commissione riuscì a reclutare soli 10 mila lavoratori, meno di un terzo di quelli
richiesti.
La collocazione occupazionale degli immigrati italiani risentiva del modello di organizzazione
economica fordista, dominante in quegli anni, il cui perno erano le grandi unità produttive,
impegnate nella realizzazione di prodotti standardizzati, e di massa, ottenuti grazie all’impiego di
manodopera scarsamente qualificata e con un’organizzazione del lavoro parcellizzata, divisa in
mansioni semplici e ripetitive.
La necessità primaria era l’assunzione di manodopera semplice, per soddisfare la quale chiunque
era adeguato, a prescindere dalle difficoltà linguistiche e dalle pregresse esperienze lavorative.
E’ rilevante sottolineare che la transitorietà della manodopera italiana non dipendeva come in
svizzera, dal fatto che venissero concessi solo permessi temporanei, ma aveva luogo in una cornice
legale opposta: gli italiani, godevano della progressiva liberalizzazione degli accessi: potevano
cambiare lavoro in cerca di uno migliore, rientrare in Italia, allorquando la situazione in Germania
era stagnante, e poi tornarvi, quando il clima era più favorevole.
Il legislatore tedesco favoriva il principio di rotazione, che prefigurava, quantomeno a livello
teorico, un soggiorno limitato nel tempo da parte del lavoratore straniero e il continuo arrivo di
nuovi immigrati che dovevano rimpiazzare i vecchi. Dopo la sospensione delle assunzioni, al
metodo delle rotazioni, si affiancò il principio di rientro, sancito politicamente con una legge, con
la quale si prevedevano particolari agevolazioni economiche e servizi di assistenza per tutti gli
immigrati che volevano fare ritorno nel loro paese.
Invero, il principio di rotazione non suscitava l’entusiasmo neppure dei datori di lavoro, che
generalmente preferivano fidelizzare il rapporto con i medesimi immigrati, piuttosto che
sottoporre le imprese a un continuo turn over della forza lavoro gestito dall’alto.

Insomma, l’emigrazione italiana in Germania è stata significativamente influenzata dall’andamento


ciclico dell’economia tedesca. Inoltre, si può osservare che il saldo migratorio netto nel corso degli
ultimi vent’anni assume valori contenuti, ciò indica una stabilizzazione del numero complessivo
degli italiani, senza che però il flusso si arresti del tutto.
Dai dati disponibili non si può evincere quanto sia estesa la quota dei rientri temporanei e quanto
lo sia quella dei rientri definitivi. Non è possibile stimale l’ampiezza del fenomeno del turn over , e

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quanto lo sia quella del pendolarismo, che si realizza quando chi torna non si ferma in modo
definitivo.
Concludendo il pendolarismo sia stato una risorsa per le prime generazioni, ma un vincolo per le
seconde, impossibilitate a crescere e a sviluppare progetti coerenti di scolarizzazione in un
contesto determinato. Il tema del pendolarismo migratorio è stato analizzato in relazione ai
processi di costruzione dell’identità.

Italia, lavoro, lavoro autonomo

Quando si cerca di ricostruire il tema del lavoro autonomo degli immigrati italiani si deve mettere
in conto che esiste una mancanza di dati statistici riguardo alle loro condizioni socio-economiche.
Rispetto all’universo complessivo dei lavoratori autonomi immigrati, gli italiani contribuiscono con
una percentuale pari al 15,2%. In termini assoluti, gli autonomi italiani sono i più numerosi, seguiti
dai turchi, gli austriaci etc..
Il tasso di imprenditorialità degli italiani si mantiene saldamente al di sopra non solo di quello
autoctono, ma anche di quello medio immigrato, pari al 10,1%.
In generale, il mercato del lavoro tedesco è caratterizzato da un’accentuata regolazione dei regimi
lavorativi, che consente elevati standard di efficacia e una quota bassa di attività informali, ma
produce una certa rigidità e un costo del lavoro mediamente elevato. E’ difficile trovare un settore
di lavoro autonomo a cui si può accedere senza alcun prerequisito formativo o scolastico.

Per concludere, si è messo luce che la ristorazione costituisce un ambito d’elezione per gli
imprenditori italiani: si tratta di un settore prioritario per il lavoro indipendente immigrato in
generale, ma i dati presentati con cui possiamo osservare in modo comparato le scelte dei nostri
connazionali rispetto a quelle degli altri stranieri, suggeriscono che siamo in presenza di un
fenomeno eccezionalmente esteso, dunque rilevante in sé.

CAPITOLO 3: “Casi, disegno, contesto: la ricerca”

E’ stato messo in luce che l’imprenditorialità immigrata raggiunge livelli elevati soprattutto nei
contesti metropolitani. Di qui la decisione di svolgere la ricerca sui gruppi di imprenditori attivi in
una città.
E’ stata scelta Francoforte come area dell’indagine perché alcune sue caratteristiche lasciavano
supporre che fosse un conteso adeguato a osservare l’imprenditorialità immigrata.
Sono stati presi come modello i gelatai e i pizzaioli.
E’ possibile pensare che anche i prodotti in base a loro caratteristiche intrinseche, contribuiscano a
rendere gli imprenditori così diversi.  in quest’ottica ricordiamo che il gelato, a differenza della
pizza, può essere un prodotto stagionale e conseguentemente essere soggetto a una domanda che
ha fluttuazioni periodiche, le quali implicano differenze nella gestione dell’impresa.
Pizzaiolo e gelatai sono identificabili, come due casi polari o opposti.
Si forma l’ipotesi di ricerca: pizzaioli e gelati sono imprenditori immigrati che, malgrado la
medesima provenienza, hanno avuto origine da migrazioni diverse, le quali hanno comportato
differenti progetti di inserimento nella società ospitante, sia a livello individuale che familiare, e
due distinti tipi di imprenditorialità.

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Il disegno.
Orientati da quell’ipotesi, è stato fatto in primis, una scelta di prospettiva in favore
dell’individualismo metodologico, intendendo con ciò, ogni fenomeno sociale. Quindi nell’ambito
delle interviste si è cercato di portare alla luce:
a. Come il diventare imprenditore si collochi nelle traiettorie biografiche dei casi in studio e prenda
forma in relazione al progetto migratorio
b. In quale modo questi imprenditori compiano le scelte fondamentali del “fare impresa”.
(Inserimento nella società ospitante, Primo inserimento nel mercato del lavoro, Tipo di
ricongiungimento familiare, Rapporti con i luoghi di origine, Profilo del mercato, Domanda del
prodotto)

Il contesto: Italiani, gelaterie e pizzerie nello spazio urbano


Nella rappresentazione del contesto della ricerca in relazione al nostro oggetto di studio, pare
opportuno cercare di metterne a fuoco alcune coordinate spaziali.

CAPITOLO 4: “Dal lavoro dipendente al lavoro autonomo: il caso dei pizzaioli”


Da dove vengono
Nel dopoguerra la migrazione italiana è caratterizzata da aree localizzate al Sud: Sicilia, Sardegna,
Puglia, Calabria e Campania.
Confrontando la presenza italiana con quella dei turchi e jugoslavi, si scoprono significative
differenze: solo il 4% dei turchi proveniva dalle zone più povere del paese, mentre quasi la totalità
degli slavi era costituita da forza lavoro specializzata.  L’Italia presentava la situazione
economica più florida, in grado di offrire maggiori chance d’occupazione alla forza lavoro
qualificata e di evitare di ricorrere all’emigrazione quantomeno a quella parte della popolazione
che risiedeva nelle zone ricche del paese.

I pionieri: Motivazioni all’emigrazione e modalità d’arrivo

Al momento della loro emigrazione, i pionieri sono giovani e spesso celibi, in quanto tali più
intraprendenti e disponibili alla partenza.
Coerentemente con la loro provenienza dalla classe operaia, i soggetti presentano tassi di
scolarizzazione bassi: la gran parte ha interrotto gli studi dopo le scuole elementari, mentre una
minoranza è riuscita a conseguire la licenza media. Il nucleo dei pizzaioli più anziani è un gruppo
intrinsecamente omogeneo da un punto di vista socio-demografico, costituito quasi
esclusivamente da soggetti del proletariato urbano e rurale, che in Italia avevano un’occupazione,
ma sottopagata e che, in quanto tale, non permetteva un’emancipazione dalla condizione di
povertà.  fattori push.
Ci sono anche casi mossi non solo da motivi economici, sempre presenti, ma anche da fattori pull.

 Si è in grado ora di articolare la matrice delle ragioni che conducono alla scelta di partire: Essa
risente dell’azione congiunta dei fattori push e pull, ma è altresì mediata dalle strutture sociali di
relazione degli attori. In questa prospettiva i soggetti, o avevano amici che li invitavano a emigrare,
oppure avevano opportunità più concrete.

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In sintesi si possono osservare il dispiegarsi nella realtà di un fenomeno già ricostruito in termini
generali: la via istituzionale al reclutamento di manodopera straniera, cui fecero ricorso molti
italiani, coesisteva con l’assunzione di nostri connazionali attraverso altri canali, spesso per volontà
di economici tedeschi.
Concretamente, i soggetti intervistati accedono al mercato del lavoro tedesco come dipendenti a
bassa qualificazione. Nell’area della città di Francoforte sono due le grandi imprese che danno
lavoro ad alcuni degli indagati: la Opel, impresa automobilistica, e la Hochst, che opera nel settore
chimico.

Inserimento nella società ospitante


Dalle interviste si ricava che gli attori possedevano al momento della partenza una visione solo
abbozzata del loro progetto migratorio. La gran parte delle persone aveva intenzione di fermarsi in
Germania per un periodo di tempo non predefinito, ma comunque limitato: “vado in Germania,
guadagno un po' di soldi e poi torno a casa”.
 Non si tratta di un dato inusuale: E’ frequente che gli immigrati, quantomeno al principio del
loro soggiorno migratorio, considerino la loro permanenza nel paese d’accoglienza limitata nel
tempo e strumentale a guadagnare il denaro necessario a tornare a casa in situazioni economiche
migliori.

La transizione da soggiorno a termine a permanenza definitiva, prende corpo sulla base di


considerazioni di carattere economico: i soggetti maturano la convinzione che il contesto di
provenienza non potrà mai offrire una qualità di vita assimilabile a quella del paese ricevente e
rinunciano alla prospettiva di farvi ritorno.
 E’ un cambiamento che avviene in modo graduale: durante le vacanze estive essi tornano a
casa e , di anno in anno, notano una lontananza crescente tra il loro stile di vita e quello dei loro
vecchi concittadini, che rende sempre meno assillante il pensiero di rientrare. Per tutti, ovviamente,
è determinante la decisione di inserirsi nel lavoro indipendente, che diventa incompatibile con un
movimento migratorio di carattere pendolare.

Categorie di Imprenditori
Sono Idealtipici: Avventurieri, Idealisti, Rifugiati, Convertiti.

Gli Avventurieri
Possiamo definire gli avventurieri quegli imprenditori per cui la scelta di aprire una pizzeria è
dettata in primo luogo dalla motivazione di conseguire maggiori guadagni. La scelta
imprenditoriale è dunque essenzialmente strumentale, finalizzata al miglioramento delle
condizioni economiche. Tali imprenditori si dimostrano disposti ad abbandonare il loro lavoro
precedente, pur non avendo mai subito discriminazioni dovute alle loro condizioni d’immigrati.
La maggior parte degli avventurieri non ha bisogno di ricorrere a prestito di denaro in fase di avvio
dell’attività.
Un ulteriore aspetto rilevante è che essi non si sottopongono a un vero periodo di formazione.

Gli idealisti
Desiderio di autonomia.

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Hanno una vocazione imprenditoriale e dal desiderio presente da tempi, di iniziare a lavorare da
autonomi. Ciò non implica che essi pianifichino in modo rigoroso l’accesso al lavoro autonomo:
spesso si tratta di un desiderio che rimane latente, senza condurre a un vero e proprio progetto
imprenditoriale, e che poi si concretizza, al presentarsi di un’opportunità.
L’autonomia di un lavoro diventa lo strumento per liberarsi da una prospettiva di vita e di lavoro
monotona e costituisce, quindi, una sorta di valore in sé. Diventare imprenditori dunque, è un
modo per sottrarsi al mainstream dell’economia capitalistica, creando una sorta di proprio
capitalismo.
Inoltre, è importante precisare che i soggetti parlano di velleità imprenditoriali in termini generali
e non dell’aspirazione ad aprire una pizzeria. Tale scelta non è frutto di un’aspettative di lungo
periodo ma di una contingente, dovuta alle opportunità concrete e all’assenza di reali alternative.
 Dato rilevante: Il mercato del lavoro tedesco è rigidamente regolato, anche per ciò che riguarda
il lavoro autonomo, richiedendo il possesso di titoli e qualifiche riconosciute a livello legale per
poter ottenere l’autorizzazione ad avviare l’attività. Di conseguenza molte occupazioni autonome
erano precluse a immigrati poco titolati come i nostri: non sorprende dunque, che gli italiani si
concentrino in quei settori che richiedono bassi livelli di qualificazione.

I rifugiati
“Scappare dalla marginalità lavorativa”
Nei rifugiati collochiamo quei soggetti per i quali diventare imprenditori è una risposta reattiva a
una crisi lavorativa che conduce gli attori che la subiscono a una condizione di marginalità. In tal
senso, essi trovano nella pizzeria un “rifugio” che offre la possibilità di contrastare il rischio di un
processo di impoverimento.
A ridefinire il corso della vita e gli orientamenti di fondo è l’interruzione della carriera lavorativa
come dipendenti, in seguito a un licenziamento o al fallimento della ditta presso cui erano
occupati.
La maggior parte dei rifugiati perde il lavoro intorno agli anni ’70, nel pieno della crisi petrolifera.

I convertiti
Disagio lavorativo

Alla categoria dei convertiti riconduciamo quei soggetti che maturano un progressivo malessere
nei confronti della loro occupazione, fino ad arrivare a praticare l’exit riconvertendosi nel settore
della ristorazione. In tali casi, l’accesso al lavoro indipendente avviene dopo un lungo periodo di
attesa, in cui si protrae e si acuisce il disagio lavorativo durante il quale viene elaborato il proposito
di diventare un lavoratore autonomo.
Tra i pizzaioli indagati i convertiti sono i più calcolatori, quelli per cui l’apertura della pizzeria fa
seguito a una riflessione prolungata, tesa in particolare a mettere in luce benefici e rischi di tale
scelta. Essi non subiscono, a differenza dei rifugiati, un’interruzione nella loro carriera lavorativa
che costringe a ridefinire bruscamente le loro aspettative di lavoro.
Il motivo principale per cui i convertiti si decidono a lasciare il lavoro per provare la carriera di
imprenditori è riconducibile a una sorta di usura professionale: essi svolgono lavori manuali,
logoranti da un punto di vista fisico. Il lavoro autonomo costituisce una possibile uscita da tale
situazione.

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Late comers
La prima caratteristica che distingue i late comers dai pionieri è di carattere cronologico: Essi
arrivano in Germania più di recente, nel corso di un arco di tempo che va dalla seconda metà degli
anni 70 alla fine degli anni 80. Quindi, dopo il 1973 anno che funge da spartiacque, durante il quale
fu introdotto il blocco delle assunzioni di manodopera straniera. Una seconda differenza attiene
alla diversa collocazione che trovano nel mercato del lavoro all’inizio del loro soggiorno
migratorio: mentre i pionieri si occupano del lavoro manuale in fabbrica, i late comers trovano il
loro primo impiego nel settore della ristorazione, come dipendenti in una della pizzerie esistenti.

Origini sociali e scelta migratoria

Buona parte dei late comers è figlia di braccianti agricoli e proviene da famiglie numerose. Al
momento dell’emigrazione, i soggetti hanno occupazioni saltuarie e poco retribuite, spesso nel
settore dell’edilizia.
Ci sono poi i soggetti che hanno iniziato a frequentare una scuola alberghiera, interrompendo gli
studi al momento dell’emigrazione. Per taluni la scelta di emigrare prende forma in seguito a un
lutto che ha pesanti ricadute economiche.  Le motivazioni che conducono a emigrare sono di
carattere quasi esclusivamente economico.

L’arrivo in Germania
Il canale d’approdo è determinante per l’inserimento lavorativo dei late comers. I late comers
possiedono, ancora prima di arrivare in Germania, risorse di capitale sociale collocate in tale
settore.
L’inserimento lavorativo non è frutto di un’opzione strategica, ma di un’opportunità veicolata dalle
risorse di capitale sociale. Inoltre sono frequenti i casi in cui il nuovo arrivato costituisce l’anello di
una catena migratoria che si estende ulteriormente, diventano la “testa di ponte” di un processo
migratorio che si ramifica nella famiglia.

 La scelta imprenditoriale inizia ad affiorare nel momento in cui i late comers hanno l’idea di
aver acquisito le risorse di capitale umano necessarie a rendere fattibile tale passaggio.

Va specificato che per molti il denaro accumulato non è sufficiente a coprire l’intero investimento.
Pare infatti, che l’avvio della pizzeria sia stato per i late comers più problematico che per i pionieri.
Questi ultimi potevano contare su barriere economiche più basse, a causa di costi di affitto
inferiori.

1. I late comers non necessitano di ricorrere a prestiti attivano risorse di capitale sociale,
contattando amici e parenti. Dalle interviste si evince che la possibilità di ottenere il capitale di
partenza attraverso canali formali è stata presente per una fase di tempo limitata.

2. Un modo alternativo di sopperire alla mancanza di capitale di partenza che siamo riusciti ad
identificare si ha quando l’aspirante pizzaiolo decide di costituire una società, condividendo
l’investimento con un connazionale. Spesso diventano soci amici stretti o parenti: il modello più
diffuso è tra due fratelli.

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I late comers nelle scuole alberghiere


La partenza per la Germania avviene nell’ambito di un progetto di formazione, inserito negli anni
di scuola, motivato principalmente dall’apprendimento della lingua.
Il canale attraverso cui vi giungono è di tipo formale e vede come intermediario la scuola, che offre
loro la possibilità di lavorare nel periodo estivo. Spesso il primo inserimento lavorativo non è nella
ristorazione italiana, ma in un albergo. Tali offerte sono in genere allettanti e poi, negli alberghi, il
guadagno è superiore.

Anche per questa variante di late comers al crescere della durata del soggiorno migratorio diventa
più difficile il rientro in patria, che inizia a essere percepito come un secondo distacco. In
particolare due elementi contribuiscono a rendere il loro soggiorno migratorio definitivo:
1. La conoscenza di un partner
2. La consapevolezza di quanto sarebbe difficile raggiungere in Italia uno standard di vita
paragonabile. E’ in questa fase che inizia ad affacciarsi l’idea di mettersi in proprio.

I late comers: quadro conclusivo


Osservando il percorso migratorio di late comers è evidente quanto la catena migratoria in cui
sono inseriti risulti determinante per il loro accesso al lavoro indipendente. Mentre i pionieri sono
transitati dal lavoro manuale di fabbrica alla ristorazione, i late comers compiono una carriera
interna a tale settore, scandita nelle tappe canoniche della formazione on the job. E’ un passaggio
sicuramente meno improvvisato di quanto non lo fosse per i pionieri.

Pizzaioli all’opera: La gestione dell’impresa


Caratteristiche delle pizzerie e percorso di carriera

L’analisi ha consentito d’identificare tra tipi di locali


a. Le pizzerie d’asporto
b. Le pizzerie con sala a sedere
c. Le pizzerie-ristorante
Nessuno dei locali mette in atto una particolare strategia di differenziazione del prodotto.

Dipendenti
La modalità di reclutamento dei dipendenti e la loro provenienza nazionale sono aspetti rilevanti
negli studi sull’imprenditorialità immigrata, in quanto indicativi del radicamento degli imprenditori
all’interno del gruppo di riferimento.
Per quanto riguarda il reclutamento, si possono individuare tre modalità:
a. Il ricorso ai canali informali, attraverso il passaparola dei colleghi
b. Il contatto diretto con persone che sono in cerca di lavoro
c. Il ricorso alle vie formali

Come vedremo, alcuni pizzaioli hanno iniziato in questi ultimi anni a inserire il vincolo della
nazionalità nella scelta dei dipendenti. Per costoro la ricerca del personale comporta uno sforzo
ulteriore: essendo diventato meno facile trovare manodopera italiana in Germania, essi devono
talvolta riattivare i contatti in Italia. Oppure, percorrono le vie formali: prendono contatto con

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scuole alberghiere, per assumere lavoratori stagionali.

I dipendenti di una pizzeria sono di tre tipi:


a. soli italiani
b. Mix italiani stranieri
c. soli stranieri
 c’è una netta prevalenza nel caso B. Minoritaria è l’opzione C, mentre la A appare una
situazione marginale.
I dipendenti stranieri vengono impiegati dapprincipio per svolgere le mansioni più fisiche, mentre
nelle ore di punta lavorano in cucina, aiutando il pizzaiolo-cuoco. Sono però esclusi dal lavoro di
cameriere di sala. Nella quasi totalità dei casi infatti, i camerieri sono italiani (mantengono in vita
l’immagine italiana del locale).
Il lavoro in pizzeria costituisce una sorta di “ultima spiaggia”, che i soggetti abbandonano non
appena trovano una possibilità alternativa. Per questo, i pizzaioli hanno difficoltà a stabilire un
rapporto lavorativo stabile nel tempo.

Si parla di concorrenza sleale invece, quando vengono aperti locali con nomi italiani senza che il
titolare sia italiano. La cucina è vista con qualità inferiore e questo consente loro anche prezzi più
bassi e risparmi sui costi.

Pizzaioli nella società tedesca


Osserviamo ora alcuni aspetti riguardanti l’inserimento dei pizzaioli nella società d’accoglienza e gli
effetti che la transizione al lavoro indipendente ha esercitato nella loro vita sociale.

Quale integrazione economica hanno raggiunto i pizzaioli?

a. Il mercato di sbocco del prodotto vede sin dalla sua comparsa la presenza in maggioranza di
autoctoni. Spesso le attività di ristorazione etnica vengono costituite dagli immigrati per offrire un
prodotto specifico, altrimenti non reperibile, che soddisfa le esigenze del mercato interno al
gruppo.

b. Il fronte dei fornitori. La ristorazione italiana ha costituito una nuova opportunità anche per
alcuni commercianti autoctoni.

c. Quantomeno per i pionieri, la transizione al lavoro autonomo è considerabile come l’esito di un


percorso che ha condotto da un inserimento funzionale al fabbisogno dell’economia tedesca di
manodopera straniera verso una collocazione professionale più personale.

d. L’approdo al lavoro autonomo non è stato caratterizzato per i pizzaioli da una continuità
professionale di ritorno, cioè dalla riscoperta di conoscenze e competenze acquisite nel paese
d’origine. E’ importante però rilevare, che alcuni acquisiscono ex novo, mediante strategie di
autoformazione, una loro professionalità.

e. Il settore delle pizzerie è stato caratterizzato da tassi significativi di turn over e da rischi di

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fallimento che paiono essere superiori a quelli fisiologicamente connaturati a un’attività


economica autonoma. Ciò nonostante sono numerosi gli imprenditori di successo.

Aldilà del successo economico, è evidente che le pizzerie hanno comportato più rinunce che
opportunità di partecipare alla vita sociale. Dunque, per i pizzaioli il lavoro autonomo non ha
azionato processi di mobilità sociale ascendente a tutto tondo: la crescita nei livelli di reddito non
ha comportato un irrobustimento dello status sociale e ha posto i nostri attori in una situazione di
“marginalità anomala”, sia nella società d’accoglienza che nel gruppo dei connazionali.
In altri termini, i pizzaioli hanno occupato un settore specifico del mercato del lavoro, che, come
abbiamo dimostrato, travalica i confini ristretti dell’economia etnica, rimanendo però, per il resto,
ai margini della società ospite.

Da un lato troviamo i pizzaioli che sono consapevoli dei costi della loro professione e che non
augurano ai figli di proseguire l’attività, proiettando su di loro il riscatto da una vita lavorativa
usurante. In tali casi, pare che a livello familiare prendano forma progetti lungimiranti per tenere i
figli al riparo dal lavoro in pizzeria, di cui la formazione scolastica costituisce la leva principale.

Dall’altro lato, vi sono i pizzaioli per cui è preferibile che il figlio prosegua l’attività. In molti di
questi casi, prevalgono progetti d’inserimento nella società ricevente da parte dei genitori nei
confronti dei figli che possiamo ritenere “miopi e incoerenti”. Tuttavia, vedono in tale prospettiva
un futuro di guadagno certo e immediato, che può rendere superfluo l’investimento nella
formazione scolastica.

Per i nostri imprenditori l’esperienza migratoria e il percorso nel lavoro indipendente producono
una serie di cambiamenti nei riferimenti culturali, dando vita ad alcune situazioni d’incontro tra
cultura di provenienza e di accoglienza.
 Ma l’atteggiamento di biasimo verso il contesto locale di provenienza, accompagnato al senso
di gratitudine per la Germania, non bastano da soli a rendere ragione di un orientamento che
assume ulteriori sfumature: Infatti, la critica ai problemi dell’Italia non fa venire meno l’amore nei
suoi confronti e un’esplicita fierezza di essere originari di quel paese.

CAPITOLO 5: “Il caso dei gelatieri”


Migranti anomali

Oltre ai numerosi migrati che giungono dal nostro paese, a partire dal tardo Medioevo, sono
presenti in Germania alcuni commercianti originari del Nord Italia. Tra questi i venditori di frutta
mediterranea, chiamati “mercanti di arance amare”, che venivano dalla zona dei laghi lombardi, i
mercati di seta del Piemonte. Da alcuni punti di vista, essi sono gli antesignani di un ulteriore
gruppo di lavoratori autonomi italiani presente sulla scena economica tedesca: i gelatieri. La gran
parte delle gelaterie è caratterizzata da titolari originari del Veneto.
Anzianità migratoria: I pizzaioli, infatti, derivano dall’emigrazione lavorista del secondo dopo
guerra, da cui i gelatieri sono estranei: un primo insediamento di gelaterie è rintracciabile tra la
fine del XIX secolo e l’inizio del XX, anche se essi si diffonderanno tanto dopo la caduta del regime

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nazista.
Essi, al contrario dei pizzaioli, diventano imprenditori a seguito di carriere più o meno lunghe.
L’universo dei gelatieri appare complessivamente omogeneo, tuttavia vi sono casi, anche se rari,
che si discostano dal modello tradizionale. In altri termini, tramite la ricerca abbiamo appurato
che, a tutt’oggi quest’ultimo è il più diffuso. (Modello tradizionale si configura sulla base di un
progetto migratorio e imprenditoriale ben delineato).
Il gelatiere tradizionale si caratterizza per la stagionalità e la professionalità, mentre gli altri si
configurano sulla base di una diversa declinazione delle dimensioni indicate.

I gelatieri tradizionali
Gli iniziatori

I siciliani furono i primi a esportare il gelato lungo lo stivale, trovando un contesto favorevole
soprattutto nel Nord Italia. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento i veneti iniziarono a
vendere il gelato all’estero.
Nomadismo stagionale: O si andava a Sud oppure a Nord; a Nord spesso di andava a fare il
garzone di un cuoco italiano, mentre i più intraprendenti optavano per un’attività autonoma:
costoro sono i veri precursori del gelatieri.
Si sviluppò così un commercio ambulante di prodotti agricoli che venivano venduti dopo essere
stati sottoposti a lavorazione.
Come sono entrati a contatto con il gelato?
Non c’è una risposta univoca, ci sono narrazioni leggendarie più che ricostruzioni esatte.
La scelta di recarsi all’estero era dovuta a due ordini di fattori. In primo luogo, i mercati stranieri
consentivano margini di guadagno più ampi, in secondo luogo, il contesto italiano era saturo,
mentre quelli esteri costituivano terre di conquista.
Di fronte al successo dei venditori italiani, i commercianti autoctoni più esposti alla concorrenza,
quali i pasticceri, iniziarono a fare pressioni sulle autorità locali perché contenessero tale
fenomeno. Si arrivò cosi alla promulgazione di un editto con cui fu vietata la vendita ambulante di
gelato. Una minoranza rinunciò alla vendita ambulante e rilevò locali, trasformandosi in gelaterie.
La Germania fu una meta ambita per le gelaterie per tali ragioni:
1. Italia e Germania sono entrambi fondatori della comunità Europea, e ciò permetteva ai gelatieri
di avere nel suddetto paese una maggiore facilità di accesso.
2. A seguito delle nazionalizzazioni in Ungheria, i gelatieri che la operavano sono costretti a riaprire
la loro attività altrove.
3. Grazie ai frutti del precoce miracolo economico, il mercato tedesco era attraente e in crescita
4. La Germania era geograficamente più contigua di quanto non fossero altri paese della Comunità
Europea.

Inserimento nella società ospitante e scelta imprenditoriale

La gran parte dei gelatai proviene da famiglie di origine contadina, meno numerosi sono i soggetti i
cui genitori erano attivi nel commercio.
Per i gelatieri tradizionali la modalità di inserimento nella società ospitante, l’accesso al lavoro e la
successiva scelta imprenditoriale costituiscono le tre componenti di un percorso di carriera
coerente e ordinato, guidato da un progetto migratorio forte e di lungo periodo.

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Per la gran parte degli intervistati, la causa scatenante l’emigrazione è di carattere economico
(push). E’ importante sottolineare che al momento della partenza gli intervistati respingono l’idea
di lasciare il Veneto per trasferirsi stabilmente in Germania. Il progetto è quello di spostarsi in
modo stagionale. Le gelaterie dava l’opportunità di fare due lavori, di partire e tornare e questo
era allettante.
D’altro canto, la forte identità locale si coniuga bene con una prospettiva di emigrazione che non è
indefinita e si presenta come stagionale. Inoltre, l’idea è che le strutture di interdipendenza in cui
sono inseriti tali soggetti fossero costituite in modo da favorire la diffusione di un dato
comportamento collettivo: infatti, gli attori vivono in paesi montani di piccole dimensioni e sono
collocati in reti relazionali ristrette e dense, localizzate in un territorio circoscritto.
Il risultato di questo processo è che in alcuni paesi l’attività di gelatiere arrivava ad interessare la
maggio parte della popolazione di quel paese.
Come e quando decidono di mettersi in proprio? I soggetti erano mossi da uno spirito
imprenditoriale e da una volontà di autonomia radicati, a cui in buona parte erano stati socializzati
nel contesto familiare.
Il passaggio al lavoro autonomo non è quindi una frattura nel corso di vita, ma il traguardo di un
percorso unitario, nell’ambito di una carriera lavorativa che si sviluppa in modo lineare e
progressivo.

Attivazione della gelateria:


elevati costi d’avvia dell’attività. La quota prevalente del capitale di partenza viene impiegata per
l’allestimento del laboratorio e l’arredamento del locale.

La matrice che è all’origine del lavoro dei gelatieri può essere ulteriormente articolata, mettendo
in luce come nel processo di transizione dal lavoro dipendente a quello autonomo la famiglia di
provenienza offre risorse riconducibili a forme di:
a) Capitale economico (microaccumulazioni di denaro)
b) Capitale umano (etica del lavoro)

I dipendenti

Anche per quanto riguarda le modalità di reclutamento dei dipendenti, i gelatieri tradizionali
mantengono il bacino di riferimento della manodopera nelle loro zone d’origine: assunti dagli
iniziatori, che l’inverno cercavano i dipendenti per la stagione successiva, essi, una volta diventati
imprenditori, riproducono questa “procedura di ricerca”. Aver mantenuto le catene di
reclutamento del personale radicate in Italia, comporta una serie di conseguenze sui processi di
trasmissione della professione. Infatti, a differenza delle pizzerie, quasi la totalità delle gelaterie,
vanta un titolare italiano, generalmente di origine veneta.
La possibilità di agire sul risparmio dei costi di gestione dell’impresa, assumendo dipendenti
stranieri, viene scartata dai gelatieri tradizionali in modo risoluto.
Gli italiani hanno un costo, ma ti permettono di tenere un nome.
 Esito di una scelta imprenditoriale, tesa a esaltare la connotazione etnica del prodotto.

Al momento dell’arrivo in Germania i dipendenti necessitano di una sistemazione abitative. Quasi


sempre sono gli stessi gelatieri a provvedere a quest’esigenza. In molti casi si costituisce una sorta

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d’impresa comunitaria a base familiare: i dipendenti vivono insieme ai titolari delle gelaterie, nelle
camere dell’appartamento loro destinate.

Collaboratori familiari

Analizzando la questione dei dipendenti, abbiamo fatto un breve cenno al ruolo che nelle gelaterie
hanno le mogli dei titolari, su cui ora ci soffermeremo.
Due premesse, innanzitutto, le gelaterie nella quasi totalità dei casi hanno come titolare il
capofamiglia maschio. In secondo luogo, esse, al pari delle piccole imprese in generale,
necessitano di una forza lavoro duttile e poco costosa.
Le mogli dei titolari offrono una manodopera che va incontro a queste esigenze funzionali: poco
costosa, perché interna alla famiglia, e flessibile, capace cioè a combinare l’attività in gelaterie e
con il lavoro domestico.
I figli non seguono i genitori in Germania, bensì rimangono in Italia, dove vengono scolarizzati. Ad
accudire i figli “a tempo pieno” sono i nonni e gli zii. Dopo la fine delle scuole medie, sui figli ricade
una scelta che profila un’alternativa radicale: lasciare la scuola, inserendosi nella gelateria con
l’obiettivo di proseguire l’attività dei genitori; oppure procedere negli studi in Italia. In tal caso, i
gelatieri preferiscono separare i figli dai parenti con cui sono cresciuti, mandandoli in collegio.

La moglie del gelatiere costituisce l’attore più flessibile: come visto, aiuta quotidianamente in
gelateria, ma è pronta a fare ritorno in Italia, per periodi più o meno lunghi, anche durante la fase
di esercizio dell’attività, a fronte di necessità specifiche dei figli.
Quando più fratelli sono titolari di gelaterie, allora l’unità di riferimento diventa a tutti gli effetti la
famiglia allargata, composta dai nonni e dai loro figli gelatieri. I nonni permangono il punto fermo
dell’accudimento dei nipoti, ma le mogli dei gelatieri organizzano un sistema unitario di turn over,
grazie al quale una di loro riesce ad essere sempre presento presso i figli e i nipoti.

Clientela, fornitori e uno sguardo


dalla zona di provenienza:
trace di un distretto industriale di gelato

Per quanto riguarda la clientela, i gelatieri intervistati forniscono risposte tra loro omogenee,
sottolineando la scarsa presenza di clienti italiani, una maggioranza di tedeschi e una minoranza
eterogenea dal punto di vista della provenienza nazionale.
Dunque, nel corso del tempo le gelaterie hanno modificato la composizione della loro clientela in
sintonia con alcuni processi che hanno interessato la città di Francoforte, la cui popolazione
andava acquisendo un profilo sempre più multietnico.
Per i fornitori, emerge che i gelatieri si rivolgono a coloro che sono indifferentemente italiani o
tedeschi. La situazione più frequente è quella che vede gli italiani come operatori del front-line
d’imprese di grossisti tedeschi. Le gelaterie hanno bisogno di prodotti non specifici che vengano
forniti loro da operatori economici tedeschi, che riforniscono anche esercizi d’altro tipo; e di
prodotti specifici, che sono di produzione italiana, ma distribuiti sovente da ditte tedesche.

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Ne ricaviamo due dati significativi per le nostre finalità analitiche.


1. LA presenza di operatori economici e di piccole imprese italiane in tutta la “filiera” di produzione
del gelato. Alcune di queste imprese, oltre a rivolgersi al mercato interno all’Italia, mantengono
rapporti commerciali anche con le gelaterie che operano in Germania.
2. Con l’accezione di chi vende il prodotto finito alla clientela, tali imprese sono attive sul territorio
italiano e hanno una localizzazione particolare. Pare dunque evidente che le gelaterie italiane in
Germani, pur svolgendo il loro business altrove e rivolgendosi a mercati esterni, mantengano un
legame forte con alcune realtà produttive locali del Veneto e che prendano parte a una sorta di
distretto transnazionale del gelato. (agglomerati di piccole e medie imprese)

Tratti da gruppo chiuso: da imprenditori professionisti del gelato

Il concetto di chiusura verrà qui assunto nella formulazione weberiana, con cui si intende
un’azione messa in atto consapevolmente da una collettività allo scopo di monopolizzare alcune
possibilità, di regole economiche. L’azione di chiusura è un tipico agire i comunità, dunque di
persone con lo stesso stile di vita e con un forte senso dell’appartenenza. Tra i gelatieri ritroviamo
tali componenti. In primo luogo essi sottolineano la sensazione di avere uno stile di vita simile e un
comune destino, dati dalla particolare presenza stagionale nella società d’accoglienza, che
comporta un condiviso “dosaggio temporale” di vita in Italia e all’estero. In secondo luogo, essi
nutrono l’idea di far parte di una collettività imprenditoriale, che trova nel mestiere di gelatiere un
principio di identificazione forte. In particolare i gelatieri distinguono se stessi dagli altri
imprenditori immigrati, sottolineando quanto la loro carriera, a differenza delle situazioni più
comuni, non sia il frutto di un ripiego, di un progetto di corto periodo e improvvisato, bensì di una
prospettiva di carriera coerente, che richiede qualità precise.
I pizzaioli occupano nel settore della ristorazione un segmento diverso da quello delle gelaterie e,
dunque, non sussiste il problema di una diretta concorrenza.

Gelatieri tradizionali: un caso sui generis di middleman minorities

Con il concetto di middleman minorities si fa riferimento a quei gruppo immigrati che si


“mantengono relativamente estranei alla società in cui vivono, sono attivi in settori caratterizzati
da elevata liquidità, frugali e ben organizzati da un punto di vista economico; talvolta in rapporti
conflittuali con il contesto.
L’approdo al lavoro autonomo, come abbiamo già sottolineato, è frutto per i gelatieri di una
motivazione di lungo periodo e di un proposito a cui molti erano stati socializzati a livello familiare.
In tal senso, possiamo rintracciare tra i gelatieri la presenza di strategie etniche, che vengono
messe in atto riproducendo alcuni tratti tipici del sistema socio-economico della società locale di
provenienza.

A livello soggettivo i gelatieri non percepiscono come elevato il costo di aver optato per un
inserimento nella società ospitante che limita le possibilità d’integrazione sociale; al contrario, ne
esaltano i vantaggi. Un inserimento più pieno nella società tedesca, non limitato alla sola vita
economica, comporterebbe una negoziazione tra la loro cultura e quella locale, tra le loro

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abitudini e quelle degli autoctoni, oltre alla necessità di un migliore apprendimento della lingua.
attaccamento alla patria ancestrale
In relazione a questo elemento risulta ora più comprensibile l’importanza che assume per i
gelatieri tradizionali, il fatto che i figli frequentino le scuole in Italia. Infatti, l’eventuale
scolarizzazione in Germania viene vista come viatico alla “germanizzazione” e, specularmente,
della scuola italiana viene esaltato il ruolo d’istituzione mediatrice del processo di ritenzione della
cultura di provenienza
Dunque, l’azione combinata della famiglia e della scuola impedisce l’acculturazione alla società
ricevente delle nuove generazioni.

Difficoltà del modello tradizionale: l’emersione di nuovi tipi di gelatieri


I gelatieri tradizionali sono considerabili come un tipo d’imprenditore che ha dato vita a un
modello che per lungo tempo è stato caratterizzato da un’elevata riproducibilità. Mediante
l’apprendistato veniva trasmesso ai dipendenti, che sarebbero poi diventati titolari della gelateria.

La forza del modello tradizionale derivava dal fatto di essere caratterizzato da un progetto
migratorio che fondava le sue radici in pratiche di vita e in uno spazio di azione condiviso, da cui
derivava un disegno imprenditoriale conseguente, integrato con le caratteristiche di mercato. A
fronte di mutate caratteristiche socio-economiche, il modello tradizionale si trova d’innanzi a
inedite difficoltà di adattamento. A tal proposito, i gelatieri intervistati identificano nei loro
resoconti i fattori di crisi: alcuni sono endogeni al contesto di provenienza, altri al contesto di
inserimento.

“la società è cambiata, il modo di vivere dei tedeschi è cambiato”


Inoltre le gelaterie sono state investite dalle difficoltà relative all’introduzione all’euro, che ha
comportato un cambiamento della funzione di spesa da parte dei consumatori tedeschi.
E’ diventato un prodotto di lusso il gelato, come andare al ristorante.
Si accompagna a questo un aumento dei costi di gestione dell’impresa: affitti dei locali più alti e
crescita delle basi di produzione da cui si ricava il gelato.
Ma la difficoltà più grande che i gelatieri tradizionali si trovano ad affrontare riguarda la ricerca dei
dipendenti. Il modello tradizionale che comportava la ricerca dei collaboratori nelle zone di
provenienza, entra in risi.
In più la trasmissione dell’attività a livello familiare risulta meno automatica: i figli dei gelatieri,
cresciuti nel benessere, tendono a prolungare la frequentazione delle scuole, molti arrivano fino
all’Università e, una volta conseguita la laurea, cercano in Italia uno sbocco professionale tutto
diverso.
In sintesi, il gelatiere tradizionale incontra difficoltà nella gestione dell’impresa, vista la
problematicità di reperire dipendenti e di stabilire con loro un rapporto di lavoro duraturo. Inoltre,
l’aumento dei costi e una cerca stagnazione del mercato rendono l’attività meno redditizia: di
conseguenza, per molti la lunga pausa inverna diventa difficilmente sostenibile.

Gelatiere stanziale, che opta per una permanenza continuativa nel paese d’approdo.

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Gelatiere anomico, pur mantenendo la stagionalità non investe sulla sua formazione, operando
con standard di professionalità bassi.
Gelatiere spurio, riguarda il caso di un gelatiere che alla rinuncia del vincolo stagionala
accompagna anche una scarsa professionalità.

CAPITOLO 6: “Dolce o salato: forme antitetiche d’imprenditorialità”

Da alcuni anni l’Italia è meta di flussi migratori consistenti dopo essere stata fino alla fase
industriale-fordista un paese d’emigrazione. La situazione è cambiata velocemente: gli italiani
devono imparare ora a convivere.
L’aspetto più paradossale è che gli immigrati italiani meno indagati non sono quelli che abitano
oltreoceano, in America e in Australia, bensì in Europa. Eppure, in Germania sono tuttora attivi due
gruppi di imprenditori emigrati nostri connazionali. Li abbiamo conosciuti in questa ricerca.
Sono imprenditori complicati, che combinano aspetti tradizionali con altri originali, vicende di
successo con elementi di marginalità, interessanti di per sé, ma anche capaci di restituirci una
conoscenza utilizzabile per altri casi di studio.
L’universo dei pizzaioli è costituito da attori che diventano imprenditori di seguito a percorsi
differenziati. Per un inquadramento analitico, si sono viste due macro categorie, i pionieri e i late
comers. Queste modalità differenziano la conduzione dell’impresa. Le pizzerie costituiscono,
infatti, una popolazione di piccole imprese caratterizzate da una diffusa omogeneità: i criteri di
selezione dei dipendenti, l’interazione con i fornitori e l’offerta alla clientela sono scarsamente
differenziati da un esercizio all’altro. Ciò avviene sulla base di un processo di isoformismo di tipo
prevalentemente mimetico che si ha quando le attività economiche interessate, al fine di
fronteggiare l’incertezza dell’ambiente, iniziano spontaneamente dei processi imitativi.
Anche l’universo delle gelaterie è stato caratterizzato fino a questi ultimi anni dalla netta
prevalenza di un particolare tipo di gelatiere, talchè possiamo affermare che la popolazione delle
gelaterie è altrettanto isoformica ma, a differenza delle pizzerie, a seguito di processi di carattere
normativo e non meramente mimetico.
I futuri pizzaioli, nella gran parte dei casi, partono senza un progetto predefinito riguardo
all’estensione temporale del loro soggiorno migratorio, s’inseriscono nel lavoro manuale in
fabbrica e non diventano imprenditori sulla base di un disegno di carriera ordinato e di lungo
periodo. In tal senso, il pizzaiolo medio è tale “per caso”, intendendo una scelta imprenditoriale
non pianificata.
Al momento della loro migrazione essi hanno un progetto migratorio “aperto”: sono orientati al
conseguimento di maggiori guadagni e non contemplano ancora l’opzione del lavoro indipendente
per conseguire questo loro obiettivo. In altri termini, il lavoro autonomo è l’esito di un percorso
che si snoda tutto all’interno del paese d’accoglienza e che al momento della partenza non era
possibile intravedere.

Sembrerebbe una situazione analoga a quella che interessa altri gruppi immigrati, ma è
arricchita da alcuni tratti specifici: abbiamo sottolineato che l’offerta della pizza non ha mai
risposto a una domanda di consumo interna al gruppo di connazionali. Erano i tedeschi a volerla,
ancora prima che le “cucine estere” diventassero di moda. Dunque tale prodotto contiene anche
una valenza di qualità universale, che lo predispone a interessare un ampio mercato al consumo.

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Peraltro, anche le pizzerie seguono un percorso analogo, in quanto oggetto di un processo di


successione ecologica di tipo interetnico: esse vengono comprate da immigrati di altre nazionalità,
che se ne appropriano senza mettere il marchio italiano.
Diversa è la situazione dei gelatieri, per la gran parte dei quali il percorso di carriera è già tracciato
al momento in cui decidono di lasciare il paese. Attratti dalle prospettive di buon guadagno e
sostenuti da motivazioni di lavoro autonomo. L’emigrazione diventa quindi la tappa di una
carriera.
Abbiamo poi osservato come tra i gelatieri sussistano forme non trascurabili di fiducia reciproca e
buone pratiche cooperative, mentre prevalgono tra i pizzaioli isolamento e scarsa interazione.
Inoltre, i gelatieri denotano una certa vitalità associativa. I pizzaioli invece, privilegiano di una
strategia imprenditoriale individualistica, dando scarso peso alla vita associativa.
La differente conformazione strutturale delle reti in cui sono collocati gli attori dei due gruppi,
pertanto, fornisce risposte soddisfacenti a interrogativi che sovente vengono risolti con
riferimento a un approccio unilateralmente culturalista: i gelatieri, in quanto veneti, sarebbero
cooperativi, comunitari e produrrebbero strategie imprenditoriali condivise, mentre i pizzaioli
opererebbero sul mercato in modo più atomizzato perché la loro cultura ostacola forme evolute di
cooperazione.
Ma la vera tesi è che siano soprattutto i diversi percorsi migratori e le differenti modalità di
inserimento nella società di destinazione da parte degli attori dei due gruppi a comportare le
differenze suddette. I pizzaioli sono più numerosi e provengono da una zona vasta della penisola,
che in buona sostanza coincide con il mezzogiorno. In Germania, seguono percorsi di carriera
diversi, che sono come visto, scarsamente predefiniti. In altri termini al momento dell’approdo
nella società ricevente i destini dei futuri pizzaioli si separano e solo nel momento in cui avviene la
transizione al lavoro autonomo si sovrappongono. I gelatieri, viceversa, provengono da una zona
più circoscritta, condividono una specifica origine locale e sono accomunati da un progetto
migratorio simile, che li porta a seguire il medesimo iter di carriera.
Si può concludere dicendo che lo status dei pizzaioli sia cresciuto in modo squilibrato:
all’innalzamento dei loro guadagni non hanno fatto seguito una crescita della partecipazione alla
vita sociale e un ampliamento delle reti relazionali; essi si collocano in una posizione
d’integrazione subalterna rispetto alla società d’accoglienza.
 Da questo punto di vista le vicende dei gelatieri sono anomale: il fatto di aver dato vita a una
tradizione di lavoro autonomo stagionale ha concesso loro di avere una doppia dimora e di
scindere a livello spazio-temporale un vita sociale e attività lavorativa. La Germania rimane così
terra di lavoro  integrazione parziale.
La scelta di bilocalità in relazione a una stagionalità migratoria iterata è una delle scoperte più
sorprendenti della ricerca. Colpisce che tuttora il nostro paese è raggiunto da una moltitudine
d’immigrati provenienti da diverse aree del mondo, vi siano ancora nicchie d’immigrati italiani
all’estero di tipo stagionale, noti nella società locale di provenienza ma sconosciuti ai più. 
Modello d’inserimento nella società d’approdo remunerativo e conveniente, o quantomeno
percepito come tale dagli attori interessati.

Un riferimento alla tipologia elaborata da Ambrosini


Le gelaterie presentano un tassi di etnicità superiore a quello delle pizzerie: entrambe le categorie
d’imprese sono etniche rispetto al prodotto e non in base al mercato, ma si differenziano sul
fronte dei dipendenti e in merito ai rapporti col contesto di provenienza. Pizzerie e gelaterie

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costituiscono due varianti differenti d’imprese esotiche, essendo le prime etnicamente più aperte
e le seconde più chiuse. L’omogeneità nazionale dei dipendenti delle gelaterie è un indicatore
forte della matrice comunitaria che le caratterizza, laddove le pizzerie sono meno radicate nella
vita di una determinata collettività in quanto tale.
Possiamo dire che le gelaterie coinvolgano attività dislocate in uno spazio esteso, i cui confini
hanno una dimensione transnazionale. Le pizzerie sono invece più avulse dal sistema produttivo
italiano, limitandosi a importare alcuni prodotti culinari già presenti nel mercato tedesco.

Conclusioni
Per concludere, crediamo che dall’indagine possano derivar alcune considerazioni di portata più
generale.
Parte dell’analisi servirebbe come cornice per inquadrare i soggetti di successive indagini: ulteriori
casi d’immigrati imprenditori.
Altrettanto si può dire per il fatto di avere formalizzato uno schema d’analisi di una determinata
offerta imprenditoriale in funzione di tre elementi:
a. Il progetto migratorio degli individui;
b. Le caratteristiche del prodotto e del suo mercato di sbocco
c. Le risorse differenziali degli attori.

1. La stagionalità dei gelatieri presuppone l’insediamento in un paese contiguo a livello geografico.


La collocazione in una realtà più distante dall’Italia potrebbe comportare anche per i gelatieri
veneti una diversa modalità d’insediamento. Per contro, i pizzaioli possono delineare percorsi di
carriera verso il lavoro autonomo riscontrabili in forme più o meno simili anche in altri contesti.
2. Nell’indagine è stato messo in luce che l’inserimento nella ristorazione risponde anche a
meccanismi adattivi, in presenza di una logica della situazione che, a casa dei vincoli di un mercato
del lavoro molto rigido, limita fortemente le possibilità alternative. In un paese contraddistinto da
un mercato del lavoro diverso, potrebbero essere presenti strutture di opportunità e logiche di
situazione differenti, qundi i meccanismi all’opera nell’aggregazione di scelte individuali
renderebbero il settore della ristorazione meno esclusivo.

Infine, la scelta di concentrare l’approfondimento empirico su due casi d’imprenditori immigrati


provenienti dal medesimo paese ha permesso di illustrare quanto possano essere profondi i
cleavages interni ai singoli gruppi immigrati. Questo gruppo assume rilevanza se si pensa che
tendenzialmente nelle ricerche si presentano i gruppi immigrati come omogenei.

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