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Sociologia dell'innovazione di impresa


Sociologia dell'innovazione di impresa (Università degli Studi di Milano-Bicocca) StuDocu non è
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Irene Giampaolo – Esame di SOCIOLOGIA DELL’INNOVAZIONE DI IMPRESA – Corso di laurea magistrale in FORMAZIONE E SVILUPPO DELLE RISOSRSE UMANE (BICOCCA)
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▪ Dispensa e
slides
Legenda:
▪ Appunti

LEZIONE 1 – 10/10/19

INNOVAZIONE
L’innovazione è il motore dello sviluppo economico.

Non esiste una definizione stabile di “innovazione”; la sua definizione è il risultato di approcci disciplinari
diversi. Essa ha un contenuto CONCRETO e non è sinonimo di INVENZIONE.

L’INVENZIONE è un’idea pura, è un fatto culturale in cui lo studioso, il ricercatore, inventa qualcosa. Ciò che
viene inventato però deve anche essere creato e usato. L’invenzione è una nuova idea, un nuovo sviluppo
scientifico o una novità tecnologica che possono svilupparsi anche in maniera casuale e non sistematica.

È importante capire i bisogni del mercato per vedere se l’dea è utile alle persone🡪 L’INNOVAZIONE non è più
un’idea, è qualcosa di concreto. Potremmo dire che l’innovazione è un’idea che diventa concreta, un
prodotto. È qualcosa che rientra in un processo economico/sociale, in un mercato che gli attribuisce
VALORE. All’interno del concetto di innovazione rientrano anche i concetti di miglioramento e di rivoluzione,
in quanto appunto è un processo che ha un impatto concreto sulle persone.

L’innovazione è la concretizzazione, la messa in pratica, dell’invenzione (idea) in un nuovo prodotto o


processo ed il suo sfruttamento commerciale.

L’INNOVAZIONE è il mutamento di uno stato di cose esistente, al fine di introdurre qualcosa di nuovo;
l’innovazione è “processuale”, cioè un’attività complessa che comprende una serie di fenomeni
interconnessi; è “relazionale”, cioè è relativa perché posta in relazione a un periodo e a un contesto e si
avvale del contributo di altri soggetti (=mediazione di relazioni interpersonali).
Oltre ad essere un concetto diverso da invenzione, innovazione è diverso anche da CAMBIAMENTO🡪
cambiamento è un termine generico che fa riferimento a un mutamento non necessariamente innovativo.
L’innovazione comunque comporta cambiamenti, ma per introdurre sempre qualcosa di nuovo.

L’INNOVAZIONE PROMUOVE, QUINDI, LA PROGETTAZIONE DI IDEE.

La domanda che bisogna porsi, dunque, è: come fa un’idea a diventare prodotto? I🡪P?

Attraverso un ciclo economico/sociale e quindi attraverso un’AZIENDA.


Azienda

IP

Quindi attraverso un soggetto concreto che permetta all’idea di diventare qualcosa che le persone possano
usare, all’interno sia di un contesto economico, sia sociale. Deve permettere il benessere sociale. Le aziende
devono avere un obiettivo: lo sviluppo/il cambiamento migliorativo del sistema economico.

Per produrre idee è fondamentale per l’azienda mettere insieme persone con esperienze e competenze
diverse (psicologi, HR, ingegneri, informatici, filosofi, formatori etc.).

L’azienda quindi è innovativa se è caratterizzata da processi continui di innovazione.

È vero che per intraprendere una progettazione l’azienda ha bisogno di introiti, di soldi, ma ha anche
bisogno di persone che stabiliscano dei piani concreti.

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Irene Giampaolo – Esame di SOCIOLOGIA DELL’INNOVAZIONE DI IMPRESA – Corso di laurea magistrale in FORMAZIONE E SVILUPPO DELLE RISOSRSE UMANE (BICOCCA)

Importante è capire che l’innovazione un fenomeno


SISTEMICO/MULTIDIMENSIONALE, composto da almeno 3 dimensioni per
esistere:

❖ PERSONE (R.U.)🡪 che esprimono CREATIVITÀ, con capacità


imprenditoriali e manageriali.
❖ AMBIENTE CIRCOSTANTE che permette di svilupparsi
❖ Interazione tra AZIENDE

Che cos’è la CREATIVITÀ?🡪 in psicologia sociale si fa riferimento all’abilità di generare prodotti/idee


nuovi e appropriati; è la capacità di sviluppare soluzioni originali che possono risultare utili e
influenti. Approcci allo studio della creatività:
- In Psicologia della forma (Gestalt) si identificano due tipi di pensiero: pensiero RIPRODUTTIVO
(quando si presentano problemi di routine) e pensiero PRODUTTIVO (quando emergono problemi
insoliti di cui non esistono soluzioni già pronte; è un ragionamento creativo; es. “intuizione”)🡪la
creatività dunque è la capacità di analizzare in maniera originale i dati provenienti dalla realtà
esterna, in modo da fornire una risposta comportamentale più adeguata alla situazione
problematica.
- In psicoanalisi la creatività viene ricondotta a pulsioni con una forte valenza emozionale per il
soggetto. Pensiero creativo come modo per esprimere desideri inconsci in forme socialmente
accettabili, attraverso la capacità di sfruttare in forme funzionali le tendenze aggressive dell’Io.
- È solo a partire dalle ricerche di Guilford negli anni 50 che si sviluppa un filone di ricerca sulla
creatività più organico. Fino a quel momento la psicologia considerava creatività e intelligenza l’un
dipendente dall’altro e la creatività veniva misurata attraverso i test di intelligenza🡪 in realtà sono
due dimensioni indipendenti della personalità individuale; è vero che la creatività necessita un certo
grado di intelligenza, ma non basta. I test di intelligenza infatti misuravano solo il pensiero
CONVERGENTE🡪 ragionamento che sfrutta le capacità logico-razionali della mente per trovare la
risposta corretta alle domande che vengono poste dai ricercatori; per Guilford alla base della
creatività si trova il pensiero DIVERGENTE🡪non cera di trovare la risposta giusta a un quesito, ma una
pluralità di soluzioni potenzialmente valide. Esistono diversi tipi di creatività e le attitudini cognitive
soggiacenti risultano differenti nei vari campi di attività. 3 dimensioni del pensiero divergente:
fluidità (capacità di generare velocemente un gran numero di idee); originalità (capacità di dare
nuove risposte in situazioni in cui non c’è un’unica risposta possibile); flessibilità (la capacità di
variare schema di ragionamento)🡪 Guilford ritiene che la creatività deve essere studiata in soggetti
ordinari (non per forza nei “geni” come nel passato) mediante un approccio psicometrico e che le
capacità creative possono essere migliorate attraverso percorsi formativi.
- Gli psicologi cognitivisti (anni 70) analizzano le rappresentazioni mentali e i processi cognitivi
soggiacenti al pensiero creativo utilizzando sia ricerche su persone che simulazioni al computer🡪 la
creatività emerge dalle normali procedure mentali utilizzate nelle attività quotidiane. Per Weisberg
l’intuizione deriva dall’utilizzo di processi cognitivi convenzionali che sfruttano conoscenze già
immagazzinate in memoria 🡪la creatività implica processi cognitivi ordinari che portano però a
risultati straordinari.

Da questi studi si può concludere che la creatività:

 Non è un processo mentale speciale ma implica attitudini cognitive ordinarie  Non è un tratto
distintivo della personalità, ma deriva dalla combinazione di capacità mentali di base
 È frutto di un duro lavoro
 È specifica di un campo e si associa a persone bilanciate e di successo nei loro settori (non è solo
di “geni”)

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Gli studi sulla personalità hanno messo in luce che i soggetti creativi hanno tratti ricorrenti: interessi
ampi, attrazione per la complessità, elevata energia, autonomia, autostima, intuizione, solida
concezione di sé come creativi.

In realtà questi approcci psicologici di taglio individualista sono insufficienti per comprendere i
processi creativi🡪 si iniziano a costruire approcci analitici integrati: gli psicologi iniziano a studiare,
insieme ai tratti personali degli individui, i contesti sociali e culturali della creatività (collaborazione
psicologia-sociologia).

🡪 Negli anni 80 emerge la consapevolezza che gli studi precedenti hanno teso a decontestualizzare e
desocializzare la creatività, laddove l’individuo creativo, anche quando lavora da solo, è sempre in
una certa relazione di influenza con altri soggetti🡪 in questa direzione si muove il lavoro di Teresa
Amabile, la quale sostiene che un prodotto è creativo quando gli esperti del settore lo ritengono
tale. Sottolinea quindi il carattere consensuale e settorialmente specifico (domain specific) della
creatività🡪Il soggetto creativo deve possedere:

 Domain skills 🡪 conoscenze e competenze specialistiche.


 Creativity skills 🡪specifiche capacità nel generare nuove idee e nel confrontarsi con situazioni
complesse/problematiche.
 Task motivations 🡪motivazioni appropriate rispetto all’obiettivo da perseguire, che dipendono
dalle caratteristiche soggettive dell’individuo, dal contesto sociorganizzativo e dagli incentivi che
vengono forniti. Le motivazioni, infine, possono essere estrinseche (legate a benefici o obiettivi
esterni all’attività) o intrinseche (sono legate alle gratificazioni specifiche derivanti da quel compito,
dall’attività stessa).

Idea che le organizzazioni dovrebbero modellare un contesto in grado di coinvolgere i propri


componenti offrendogli compiti di loro interesse e riducendo al minimo i controlli di tipo gerarchico.
Inoltre le pressioni esterne, ricompense definiti dall’alto, tendono ad associarsi con basse motivazioni
intrinseche e riducono le prestazioni creative.

Recentemente si è sviluppato l’Approccio socio-culturale alla creatività che mira a studiare le


persone creative sullo sfondo dei diversi contesti in cui operano (nella consapevolezza che la
creatività è variabile in base a cultura, società, epoca). Vi sono due concezioni diverse di creatività:

 La “piccola c” 🡪creatività diffusa, posseduta in misura diversa da tutti gli individui che si dispiega
nella vita di ogni giorno per risolvere problemi ordinari.
 La “grande C” 🡪creatività eminente, rara, con un forte impatto sociale ed economico. 🡪L’approccio
socioculturale si colloca su questo versante. La creatività di un nuovo prodotto non dipende tanto
dalle sue qualità intrinseche ma dall’effetto che esso produce sugli altri: richiede un riconoscimento
pubblico, fondato sul rapporto tra produttore e audience.
La creatività dipende, secondo l’approccio socioculturale alla creatività, anche dall’ambiente in cui
l’individuo opera, che si compone di due elementi: un aspetto simbolico-culturale (domain, dominio)
e un aspetto sociale (field, campo). Più precisamente il processo creativo deriva dall’interazione di 3
elementi: 1) L’individuo (fonte dell’innovazione); 2) Il campo (composto da esperti del settore
creativo, che selezionano le idee ritenute originali e appropriate); 3) Il dominio (il settore in cui le
innovazioni entrano e vengono diffuse). In conclusione il processo creativo si struttura in 4 stadi: 1)
Preparazione della scoperta: attività di studio e ricerca intorno a una questione problematica; 2)
Incubazione: periodo di incubazione della scoperta che si verifica in un periodo di inattività mentre
l’individuo si distacca momentaneamente dal lavoro su quella specifica questione (spesso le persone
hanno migliori idee nei momenti di inattività e ozio); 3) Intuizione 3

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(insight): momento in cui emerge la nuova idea; 4) Messa a punto: duro lavoro di elaborazione e
valutazione della nuova idea per svilupparla e precisarla. NB: Il lavoro a monte e a valle della scoperta
è influenzato dalle dinamiche sociali.
🡪 L’innovazione risulta dalla combinazione originale di idee e informazioni diverse; le nuove
combinazioni concettuali si avvalgono spesso di metafore e analogie provenienti da attività e settori
differenti. Seguire una molteplicità di progetti aumenta, perciò, la possibilità di crossfertilization (è
una metodologia di brainstorming).
Le dinamiche creative di tipo collettivo stanno conquistando uno spazio di rilievo in questo campo di
studi. La varietà di conoscenze presenti nel gruppo risulta più efficace quando si tratta di affrontare
problemi poco conosciuti, mentre l’integrazione e il possesso di conoscenze comuni (=persone con
caratteristiche comuni e cioè che hanno lavorato insieme per un po’, condividendo convenzioni) si
adattano meglio alla risoluzione di problemi più convenzionali.
Lezione 2 – 11/10/19

CATEGORIE PRINCIPALI CHE RIGUARDANO L’INNOVAZIONE

L’innovazione è qualcosa che posso valutare facilmente come una novità.

Bisogna però non confondere l’innovazione con il PROGRESSO. Per progresso si intende il valore
sociale che i cambiamenti posso apportare; il cambiamento tecnologico non è quindi per forza un
progresso, dal p.d.v. non solo tecnico, ma anche umano in quanto il suo valore sociale dipende dalla
cultura locale (es. ghigliottina all’epoca era un progresso tecnologico, rispetto all’impiccagione, e
umano; oggi non lo consideriamo un progresso dal p.d.v. etico).

L’innovazione è un’attività problematica, rischiosa e incerta, soggetta a possibili fallimenti di tipo


tecnologico, sociale o economico. Innovazione quindi non è sinonimo di progresso anche per il fatto
che le prime possono fallire e/o generale conseguenze inattese, spiacevoli e non benefiche per gli
innovatori e la società di riferimento. Nelle aziende in anni recenti è stato infatti introdotto il
concetto di RESPONSABILITÀ SOCIALE: l’azienda di natura deve tendere al profitto e alle innovazioni,
stando attenta alla direzione per la quale sta andando (es. il motore a scoppio è un’innovazione? È
un progresso? 🡪 Se all’inizio era considerato entrambe le cose, oggi ci sono molte discussioni etiche a
riguardo).

L’innovazione non dà sempre risultati positivi: è una “distorsione”, un bias cognitivo che induce a
pensare che le novità apportate a qualcosa siano sempre positive!

Anche Durkheim parlò di progresso: per lui mutamento non coincide sempre con il progresso; non vi
è nessuna correlazione tra variazione della felicità e benessere apportato dalla divisione del lavoro.
Per Durkheim, inoltre, l’innovazione non richiede solo specializzazione e differenziazione, ma anche
coinvolgimento soggettivo, coordinamento e lavoro di gruppo (diventano capaci di creare nuovi valori
collettivi)🡪 A suo giudizio la divisione e la specializzazione dei ruoli professionali rafforzava la
solidarietà sociale, determinando il passaggio dalla solidarietà meccanica (coesione dovuta a una
coscienza collettiva, uniformità delle credenze) alla solidarietà organica (differenziazione degli
individui crea interdipendenza reciproca).

Le innovazioni si possono dividere in due grandi categorie, sulla base del loro grado di novità:

1. Innovazioni INCREMENTALI: innovazioni che introducono cambiamenti minori, modifiche limitate


alla produzione o nell’uso di un bene/servizio; sono modifiche alla funzionalità, all’estetica, ad alcune
caratteristiche specifiche di un prodotto già esistente e che inducono nuovi consumi (es. nuovo
modello di un cellulare, di un pc o di una tv…). Bisogna tenere presente che il mercato è
caratterizzato da un ritmo imposto e predeterminato, che comporta continui miglioramenti e 4

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quindi ciò comporta continue innovazioni incrementali che grazie alle strategie di mercato aziendali
ne tengono alti i costi.
2. Innovazioni RADICALI: consistono in un’invenzione rivoluzionaria, che non esisteva in precedenza.
Sono le novità più rilevanti che a volte possono creare mercati nuovi. Sono quelle innovazioni che
trovano maggiori difficoltà a imporsi, ma se confrontati alle precedenti, permettono i guadagni
migliori (es. prima tv, primo pc, primo cellulare ad uso personale/domestico). Un esempio
importante di innovazione radicale è stata la possibilità di comunicare senza fili, attraverso il
cellulare: quindi un’innovazione radicale all’interno del sistema della comunicazione a voce🡪 Il
cellulare ha cambiato la vita delle persone, del loro modo di interagire. I soggetti capaci di
innovazioni radicali si collocano di frequente al confine tra varie discipline; i soggetti che
interagiscono lavorano in settori diversi (sono dei field-switchers)🡪 più idee rendono più facili
combinazioni innovative!
Un’innovazione radicale può diventare un vero e proprio PARADIGMA: un insieme di idee,
conoscenze e comportamenti che si concretizzano e condizionano la vita delle persone. Una certa
tecnologia può quindi diventare un vero e proprio modo di vivere, consolidandosi nel mercato e nella
società.
Infine le innovazioni radicali possono essere a loro volta in:
a. Radicali nel mercato (es. il marchio GEOX, capi tutti traspiranti, “che respirano”) b. Radicali nel
settore di riferimento (es. Geox nel settore SCARPE)

SMITH analizzando il fenomeno della divisione del lavoro, osserva che con il crescere della società
affiorano due diversi meccanismi generativi delle innovazioni:

❖ Il processo incrementale basato sulla divisione del lavoro: le innovazioni derivano da


miglioramenti graduali introdotti dai dipendenti che lavorano direttamente nelle attività produttive.
Queste innovazioni incrementali sono frutto di una forte specializzazione e di un processo di learning
by doing.
❖ Il processo radicale basato sull’uso di conoscenze teoriche: le innovazioni sono di maggior capacità
e provengono da lavoratori “speculatori/filosofi” che combinano saperi e conoscenze tecniche ampie
e diverse. In questo processo il fattore determinate è la produttività scientifica.

Per Smith la divisione del lavoro produce innovazione e sviluppo economico e, grazie alla ricchezza
(benessere) distribuita, anche consenso sociale.

HALL E SOLSKICE analizzarono il modello di capitalismo anglosassone (caratterizzato da meccanismi


di mercato liberali) e il modello renano (economie di mercato coordinate) e conclusero che il primo
modello sosteneva un regime di innovazione radicale, basato su rapidi mutamenti tecnologici, in
particolare nei settori high-tech; il secondo modello sosteneva un regime di innovazione
incrementale/graduale che comporta piccoli miglioramenti ai prodotti già esistenti (settori
slow-tech);

SIMMEL e SOMBART (ripresi poi da GRANOVETTER) sottolineavano invece l’importanza della


marginalità sociale nella diffusione delle novità, delle innovazioni radicali, perché frutto di individui
“marginali” che si distanziano dai comportamenti conformi/consolidati alla società e sono
maggiormente disposti al rischio.

NB: esiste in realtà un terzo tipo di innovazioni, ossia le innovazioni ARCHITETTURALI: riguardano le
relazioni tra le componenti dei prodotti, implicano una riconfigurazione complessiva del prodotto (es.
Fotocopiatrici Xerox).

In riferimento al Manuale di Oslo dell’OECD, ci sono 4 tipi di innovazione:

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1 Innovazioni di PRODOTTO: comportano la realizzazione di beni/servizi nuovi o modificati rispetto ai
precedenti e che possono essere venduti.
2 Innovazioni di PROCESSO: riguardano i cambiamenti nei modi di produzione di beni/servizi;
cambiamenti nei processi di realizzazione/produzione. 🡪Marx sostiene che la divisione del lavoro ha
dequalificato professionalmente il lavoratore artigiano, sottomettendolo al capitale. Ciò ha
ostacolato la loro capacità creativa: la “rivoluzione” non parte dalla forza lavoro ma dal mezzo di
lavoro; nel passaggio dalla fase manifatturiera a quella della grande fabbrica, si sono fatte avanti
innovazioni di processo per l’impiego di nuove tecnologie che hanno cambiato l’organizzazione del
lavoro e quindi il modo di produzione (operai in diretta concorrenza con i mezzi di produzione)
3 Innovazioni ORGANIZZATIVE: quelle che fanno riferimento a nuove forme di organizzazione delle
attività aziendali. 🡪 Marx spiega che nel passaggio dalla fase dell’industria artigiana a quella
manifatturiera la capacità produttiva è aumentata grazie al un’innovazione organizzativa, cioè a una
rivoluzione nelle condizioni produttive, che parte dalla forza lavoro (diventata più cooperativa).
4 Innovazioni di MARKETING: riguardano il design del prodotto, le modalità di promozione e
collocazione sul mercato, i metodi di determinazione dei prezzi di vendita di beni/servizi.

Chi sono, però, i PROTAGONISTI/ATTORI delle invenzioni e delle innovazioni?

Schumpeter 🡪 gli imprenditori (innovatori) non possono essere inventori perché la loro f(x) non è
quella di scoprire cose nuove (idee), ma quella di introdurre, grazie ad una particolare personalità
energica, novità nella sfera economica; gli innovatori non sono nemmeno uomini economici perché

È importante tener presente che le invenzioni non avvengono ovunque ma in determinati settori e
contesti e sono create da uomini dotati di grande ingegno. Spesso le invenzioni sono frutto di
conoscenze e meccanismi già disponibili e producono così innovazioni fondamentali/radicali🡪
Newton: le invenzioni avvengono sulle “spalle dei giganti” perché derivano non solo da uno sforzo
individuale, ma anche collettivo.

La figura sociale e professionale dell’inventore nasce nell’800 con la prima Rivoluzione Industriale e
con l’istituzionalizzazione di un mercato delle scoperte tecnologiche🡪 introduzione del sistema di
fabbrica e inventati nuovi materiali che consentano di ampliare la gamma delle produzioni possibili (il
ferro prese il posto del legno) e inventate nuove macchine di produzione (es. macchina a vapore di
Watt). Molti dei primi inventori (soprattutto in Europa) erano gli “operatives” = persone appartenenti
alla classe lavoratrice, in particolare artigiani, lavoratori esperti, capisquadra, che lavoravano alle
dipendenze di un’impresa, ma l’epoca che si apre con la Riv. Industriale e che si estende fino ai primi
anni del 900 (soprattutto negli USA) è stata definita l’età d’oro degli inventori indipendenti🡪
emergono come un “ceto” autonomo, con una logica auto-imprenditoriale, che si collega alla storia
dei sistemi brevettuali.

1. in Inghilterra già nei primi 800 si affermò un vero e proprio mercato per l’acquisto delle
innovazioni e invenzioni tecnologiche (brevetti) messe a punto da inventori indipendenti, ma è solo
nella seconda metà del secolo che si avvia una riforma brevettuale, un processo di riduzione dei costi
dei brevetti, cosicché venisse facilitata la capacità contrattuale di “lavoratori/operai ingegnosi”
(prima i costi dei brevetti erano elevati e gli operai diffidavano di un vero godimento di benefici
derivanti dalle loro invenzioni e temevano della speculazione dei propri datori di lavoro, che avevano
i mezzi per sviluppare le loro invenzioni, quindi erano poco propensi a rivelare le proprie scoperte).
2. La riforma del sistema brevettuale inglese trae ispirazione dall’esempio americano, che aveva
creato nella prima metà 800 un meccanismo di protezione della proprietà intellettuale efficace🡪il
sistema brevettuale americano aveva costi di accesso molto + contenuti rispetto a quelli europei, era
caratterizzato da procedure + trasparenti (titolarità del brevetto al first and true inventor), il

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brevetto veniva certificato🡪 tutto ciò influì sulla riduzione dei costi di transazione delle innovazioni
tecnologiche e riduceva l’incertezza degli inventori. Negli USA, in particolare, si assiste alla nascita di
un ceto di inventori indipendenti, cioè di figure professionali specializzate nelle attività di ricerca, che
attraverso la brevettazione delle proprie scoperte si guadagnano un reddito.

In generale con la crescita delle transazioni tecnologiche si diffonde anche una serie di figure
professionali specializzate in materia di brevetti: giornalisti (pagine dedicate a questo tema), avvocati
(tutela della proprietà intellettuale), ecc.

Il declino della Golden age e degli inventori indipendenti (e quindi la riduzione dei brevetti) è
dovuto al modello di sviluppo fordista, che lo ha sostituito con team di ricerca collettivi, una
routinizzazione della ricerca e corporate research🡪 ridimensionamento (diminuzione) dei singoli
inventori; ridimensionamento (aumento) del mercato delle innovazioni tecnologiche🡪L’autonomia di
queste figure si riduce nel momento in cui instaurano rapporti esclusivi di lunga durata con alcune
imprese, attribuendo a esse la maggior parte delle loro innovazioni🡪 si amplia il numero di inventori
dipendenti.

Nella letteratura esistono due visioni contrapposte su chi siano gli inventori:

1. Concezione individualista🡪 attribuisce un ruolo di primo piano a soggetti particolarmente CREATIVI


e dotati di specifiche caratteristiche personali; ciò è accreditato dalla “legge di Lotkam” (o “legge
dell’inverso dei quadrati della produttività scientifica”) secondo la quale gran parte della produzione
scientifica e creativa dipende da pochi uomini dotati di qualità eccezionali🡪 distribuzione fortemente
asimmetrica della produttività scientifica e della capacità creativa🡪 questa concezione dunque tende
a studiare la creatività degli inventori come una caratteristica personale.
2. Concezione olista🡪 attribuisce peso esclusivo al contesto che determina l’emergere delle invenzioni
(es. esigenze di mercato, della società, cultura, caratteristiche organizzative di determinati ambienti
etc.); questo approccio commette l’errore di spiegare l’emergere delle invenzioni come una risposta
automatica e scontata alle esigenze di mercato e della società o alle caratteristiche di certi contesti.
🡺 Entrambe le concezioni risultano però troppo deterministe se prese da sole, sottraggono spazio agli
attori sociali🡪 vi è bisogno di un approccio di analisi integrato che tenga insieme le dimensioni
individuali, relazionali e contestuali che strutturano i processi inventivi🡪 che veda le invenzioni come
l’esito di un processo complesso di costruzione sociale.

🡪Nella riflessione sociologica vi sono 3 modi differenti di concepire l’INVENTORE:

1. Sombart (approccio olista) nell’ambito della sua riflessione sul capitalismo moderno e sui sistemi
economici, riflette sulla tecnica e sugli inventori collocandoli all’interno di diverse “epoche
economiche”🡪 differenzia i profili a seconda dell’epoca economica. La questione degli inventori la
sviluppa in relazione alla tecnica, di cui dà due definizioni: una più ampia, cioè tutti i procedimenti
utilizzati per raggiungere determinati scopi; e una più specifica/ristretta, cioè la tecnica materiale o
economica, ossia tutti i procedimenti che servono alla produzione di beni🡪 la seconda si compone di
due elementi: la conoscenza necessaria per intervenire sui materiali e le forze naturali; l’abilità di
esecuzione dei lavori e di sviluppo degli strumenti di produzione.
1.1. Nel medioevo il sistema economico era feudale-artigianale, la tecnica era di tipo tradizionalista
ed empirico-organica (=si fonda su procedimenti tramandati e accettati passivamente, sull’esperienza
pratica; i procedimenti usano come fonti di energia uomini, animali e piante). Gli attori in questa
epoca sono gli ARTIGIANI, cioè i maestri e gli apprenditi, la cui forma di organizzazione del lavoro è
legata alla tradizione e quindi lascia poco spazio alla ricerca di novità (innovazioni)🡪 tecnica
stazionaria
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1.2 . Nel Rinascimento/Barocco il sistema economico era il primo capitalismo (1500-1750 c.a.), la
tecnica di tipo razionalista ed empirico-organica (si orienta cioè a una ricerca consapevole di mezzi
adeguati per raggiungere determinati fini, pur essendo fondata su basi/conoscenze empiriche e
organiche). Gli attori di questa epoca sono INVENTORI DELLA DOMENICA [dilettanti outsiders (coloro
che inventano al di fuori del proprio campo professionale) e dilettanti competenti (artigiani che
inventano nel proprio campo professionale)] e gli INVENTORI DEI GIORNI FERIALI (cioè di
professione, inventano per tutta la vita in tutti i settori). 🡪 Immobilismo tecnico si sblocca🡪 forte e
tenace volontà di innovare.
1.3. Nella seconda metà del 18° secolo il sistema economico è quello del capitalismo maturo, che
crea un clima favorevole per il progresso tecnico e conferisce onori e successi agli inventori. La
tecnica si basa sulla conoscenza scientifica, è di tipo scientifico-razionalista e inorganica-meccanica.
Gli inventori in questa epoca sono: GENI INVENTIVI privi di specializzazione professionale;
INVENTORI PROFANI che fanno invenzioni occasionali; INVENTORI DI PROFESSIONE SPECIALIZZATI la
cui missione e il mestiere sono quelli di inventare.
2. Tarde (approccio individualista) a differenza di Sombart, non differenzia i profili a seconda
dell’epoca economica. Articola una riflessione sugli inventori con una impronta scientifica positivista,
affermando l’esistenza di leggi generali valide per tutte le società. Concepisce gli inventori come
individui creativi e geniali. Per Tarde la società è composta da due tipi di fatti sociali: l’IMITAZIONE è il
fatto sociale elementare e caratteristico di cui si occupa la sociologia (le relazioni sociali sono forme
di influenza reciproca) e accanto all’imitazione esiste altro fatto sociale elementare antitetico,
l’INVENZIONE🡪 i grandi inventori sono individui dotati di talento creativo, sono geniali, orientati al
problem solving e agiscono intenzionalmente per raggiungere determinati obiettivi. Le loro capacità
mentali sono collegate anche ad aspetti fisiologici, emozionali e addirittura inconsci (es. età, passione
a un’idea fissa). Infine riconosce che il processo inventivo si configura come l’incontro tra una finalità
interna e una favorevole occasione esterna. Vi sono diverse dotazioni di capacità inventiva cioè
fattori socio-istituzionali come ad esempio le istituzioni universitarie (che garantiscono libertà di
pensiero e di ricerca), le barriere di status (stimolano la creatività delle élite, allontanandola dal
conformismo delle masse), le norme culturali (orientano o influenzano la capacità inventiva).
Le invenzioni possono avere due funzioni economiche diverse: a) Produrre nuovi desideri; b)
consentono di produrre oggetti noti, che soddisfano desideri già esistenti a prezzi inferiori
(mettendole a disposizione per una platea più ampia di consumatori). Inoltre le invenzioni agiscono a
due livelli: a) livello del desiderio (invenzioni creano nuovi bisogni); b) livello della fiducia
(rispondono a un’esigenze di certezza e rassicurazione che trova soddisfazione non solo attraverso
scoperte scientifiche e industriali, ma anche attraverso innovazioni istituzionali come quelle che
avvengono nel campo della legislazione, della giustizia e dell’amministrazione). Per queste ragioni, le
invenzioni secondo Tarde vanno aggiunte agli altri fattori produttivi e giocano un ruolo fondamentale
nello sviluppo economico🡪 per l’autore gli economisti hanno dimenticato l’idea di invenzione,
concentrandosi solo sul lavoro e sul capitale🡪 secondo Tarde il lavoro, che è un’attività riproduttiva, è
una pura ripetizione imitativa, e non può essere perciò la fonte ultima della ricchezza e dello
sviluppo (cercare qualcosa di nuovo, per l’autore, non è lavorare.
Ciò detto, non tutte le invenzioni sprigionano il cambiamento sociale e lo sviluppo economico.
Perché, si chiede, le invenzioni sono molte ma poche effettivamente si diffondono? 🡪per rispondere
studia le influenze sociali che ne facilitano o meno l’espansione: si tratta delle “ leggi
dell’imitazione”🡪 nei processi di diffusione delle invenzioni (e innovazioni) agiscono cause sociali
logiche, che spingono all’adozione dell’innovazione per ragioni logico-razionali (perché si pensa che
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siano più vere o utili di altre), ma anche cause sociali non logiche, che agevolano la diffusione
agendo su leve di tipo psico-sociale🡪 I fenomeni di invenzione (e di innovazione) e la loro diffusione
sono influenzati da fattori sociali.
3. Per Ogburn (approccio olista) gli inventori sono semplici comparse del cambiamento sociale. Egli
ha un approccio analitico di tipo olista e determinista🡪 attribuisce nel cambiamento sociale una forte
centralità alla tecnologia, sottraendo rilevanza ai singoli inventori e alle loro scoperte. Egli evidenzia
la differenza tra ritmi dell’evoluzione biologica della natura umana (molto lenti) e quelli della sfera
culturale (molto più rapidi/veloci). All’interno della sfera culturale osserviamo un evidente squilibrio:
la cultura materiale (artefatti, tecnologia etc.) cambia molto velocemente; la cultura immateriale
(leggi, valori, costumi sociali…) procede con maggior lentezza e si deve adeguare ai cambiamenti
della prima🡪per questo viene chiamata cultura adattiva.
La tecnologia e le innovazioni scientifiche, quindi, sono la molla del cambiamento sociale e del
processo di civilizzazione🡪 la società di adatta lentamente e con non poca resistenza alle
innovazioni/invenzioni nella sfera materiale, determinando un sistemico ritardo culturale (cultural
lag).
DA DOVE EMERGONO LE INVENZIONI?🡪 Ogburn propone una concezione ipersocializzata e
funzionalista delle invenzioni: per l’autore le invenzioni sono prevalentemente incrementali,
plasmato da forze sociali impersonali🡪 per spiegare le nuove scoperte si rifà a un modello di
accumulazione-combinazione per cui le invenzioni sono la combinazione di principi e componenti già
noti all’interno della sfera culturale🡪 la natura incrementale delle invenzioni enfatizza l’aspetto
collettivo del processo inventivo. In questa visione, gli inventori rivestono un ruolo nel progresso, ma
appaiono come semplici mediatori di forze sociali che agiscono tramite loro.

Sombart🡪 capitalismo maturo generava la proliferazione di inventori


professionali; Tarde sosteneva che gli individui di genio sono unici e
insostituibili; Ogburn ridimensiona il ruolo degli innovatori,
riducendoli a semplici mediatori del cambiamento sociale.

Durante gli anni Venti e Trenta del 900 si affermò questa scuola sociologica ipersocializzata, olista.
Nel secondo dopoguerra la routinizzazione delle attività inventive a opera delle grandi organizzazioni
ha messo in ombra gli inventori e studiato poco i meccanismi generativi delle
invenzioni🡪riduzionismo sociologico.

È solo nell’ultimo 20ennio che è tornato un interesse per questi soggetti e i meccanismi.

FLORIDA🡪 creatività e inventività/innovatività hanno un ruolo cruciale nelle economie


contemporanee. Per l’autore il sistema economico è entrato in una nuova fase di sviluppo che
definisce era creativa🡪 questa epoca non presenta novità che interessano non solo l’economia, ma
anche la cultura e la vita quotidiana: nella società si diffonde un’ etica creativa (le persone
attribuiscono agli aspetti creativi della loro esistenza più importanza rispetto che in passato). I
mutamenti nell’economia si configurano in una nuova struttura sociale della creatività. È l’epoca
dell’economia della conoscenza, in cui la produzione di nuove idee e di innovazioni diventa centrale
e riguarda tutti i settori🡪 il lavoro creativo è cresciuto notevolmente e questo ha consentito la nascita
di una nuova classe sociale, la CLASSE CREATIVA, composta da individui che costruiscono valore
aggiunto grazie alla propria creatività (e alla condivisione di preferenze, gusti culturali e valori
condivisi, come la meritocrazia. All’interno della classe creativa esistono due componenti:

❖ Nocciolo super-creativo🡪scienziati, ingegneri, professori universitari, poeti, pittori...ossia coloro


che sono pienamente impegnati nel lavoro creativo e inventivo e che producono
invenzioni/innovazioni utili e trasferibili.

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❖ Professionisti creativi🡪 coloro che lavorano in settori ad alta intensità di conoscenza, nei settori
high-tech, nei servizi sanitari, legali e finanziari…quindi professionisti (medici, avvocati etc.)
impegnati in un problem solving creativo, cioè si affidano a strutture complesse di conoscenza per
risolvere problemi specifici.

Nell’era creativa per promuovere la crescita economica dobbiamo far affidamento alle “3 T”🡪
TECONOLOGIA, TALENTO, TOLLERANZA.

❖ Talento e tecnologia sono gli ingredienti fondamentali dell’innovazione


❖ La Tolleranza (delle comunità locali) rappresenta il fattore chiave per mobilitare i primi due🡪 i
lavoratori creativi si spostano facilmente (=cambiano lavoro durante la propria carriera) verso
territori/luoghi diversi, tolleranti e aperti alle nuove idee. Costruendo un indice generale di tolleranza
Florida conclude che sono le località ad attrarre i lavoratori creativi: scelgono ambienti di elevata
qualità e uno stile di vita dinamico e con molte comodità🡪 la crescita economica regionale è guidata
dalle scelte localizzative delle persone creative.
🡺 CRITICHE ALLA TESI DI FLORIDA: 1) la spiegazione basata sulla classe creativa aggiunge poco alle
tradizionali analisi in termini di capitale umano🡪 la performance economica delle aree urbane viene
spiegata allo stesso modo da indicatori tradizionali che tengono conto del capitale umano e della
composizione della struttura produttiva. 2) È difficile credere che le scelte di mobilità dei lavoratori
creativi siano connesse solamente alle caratteristiche dei luoghi e che la loro presenza sia sufficiente
a generare innovazione e sviluppo, indipendentemente dalla cornice storico-produttiva dei luoghi🡪È,
al contrario, la dislocazione spaziale della produzione a spiegare sia le scelte locative dei lavoratori sia
lo sviluppo urbano.

QUAL È IL PROFILO SOCIOPROFESSIONALI DEGLI INVENTORI/INNOVATORI CONTEMPORANEI? Uno


studio su 9 mila inventori europei ha mostrato che si tratta in larga parte di uomini di classi centrali di
età, dotati di elevati livelli di istruzione e che nella maggioranza lavorano come dipendenti di grandi
imprese, sono caratterizzati da una buona stabilità occupazionale (3/4 del campione non ha
cambiato lavoro durante la sua carriera)🡪 questo studio smentisce la tesi di Florida secondo cui i
lavoratori creativi si spostano facilmente. Tra le motivazioni dell’attività inventiva, prevalgono quelle
intrinseche (personali e sociali, gratificazione individuale per il miglioramento delle performance
dell’organizzazione per cui lavorano; gli incentivi materiali, cioè economici e di carriera, sono di
secondo piano). La maggioranza di questi inventori inoltre non sono solitari o autonomi ma lavorano
all’interno di team.
In Italia, nello specifico, la maggior parte degli inventori lavorano nelle PMI ed emergono 3 mondi
sociali delle invenzioni:
1. Farmaceutica e apparecchi medicali🡪settori dell’high-technology che coprono il 13% dei brevetti
italiani; processo inventivo molto istituzionalizzato (ricercatori, protagonisti specializzati) all’interno
di grandi aziende per lo più nel nord Italia.
2. Meccanica a elevata istituzionalizzazione della ricerca🡪 soggetti e strutture specializzate, ma
formalizzazione minore rispetto alle farmaceutiche. Carriere in PMI collocati nei distretti industriali
del centro-nord.
3. Meccanica a bassa istituzionalizzazione🡪 attività inventive meno formalizzate, apporto molto
debole della ricerca. Inventore è spesso autonomo o dipendente di imprese minori, soprattutto del
sud.

CHI PRODUCE LE INVENZIONI PIÙ RILEVANTI tra gli INVENTORI AUTONOMI (che lavorano in
proprio), INVENTORI SOLITARI (che lavorano soli), INVENTORI IN TEAM (che lavorano alle
dipendenze di un’organizzazione)?
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Studi recenti🡪 un’invenzione è una nuova combinazione di componenti tecnologiche, nuove o


esistenti, o in un miglioramento delle combinazioni precedenti. Il processo inventivo si sviluppa in tre
fasi: a) fase della variazione: inventori provano diverse combinazione e generano nuove idee; b) fase
della
selezione: le nuove idee subiscono un primo modeste; gli inventori in team hanno maggior
processo di valutazione🡪 quelle ritenute poco
La prima e la seconda fase coinvolgono in prima
interessanti vengono scartate; c) fase di ritenzione: le
persona sia gli inventori solitari, sia gli inventori
idee che hanno superato la fase precedente vengono
creativi. La terza fase, principalmente sociale,
giudicate dalla comunità scientifico-professionale e
decreta il successo di un’invenzione e coinvolge la
quelle ritenute valide vengono utilizzate. 🡪 Gli
comunità scientifico-professionale.
inventori solitari hanno minor probabilità di produrre
invenzioni radicali e tendono a creare invenzioni

probabilità di produrre invenzioni importanti e minor probabilità di brevettare idee deludenti. Per
quanto riguarda gli inventori autonomi, questi possono essere “inventori non abituali” (cioè hobbisti
che introducono novità di scarso impatto); oppure sono eroi delle invenzioni (hanno esperienza
tecnico-professionale che consente loro di generare invenzioni radicali).

Lezione 3 – 17/10/19

STRUTTURA DELLE AZIENDE E MODELLI DI INNOVAZIONE

Comunemente quando ci si chiede cosa sia un’azienda, di descrivere la struttura organizzativa dell'azienda,
vengono date tre rappresentazioni:
1. FORDISTA🡪 tradizionale concetto di azienda manifatturiera. Una delle innovazioni introdotte da Ford
fu la catena di montaggio, la linea di produzione;
l’operaio è sempre impegnato in azioni alienanti È una
particolare forma di produzione caratterizzata da una
divisione del lavoro in cui l’operaio non specializzato è
sempre impegnato
in azioni alienanti eseguendo semplici operazioni
ripetitive. Questa
rappresentazione ricorda un’epoca della storia che ormai
è conclusa. Le
aziende automobilistiche che producono tutte le componenti di un auto
non esistono più. Il fordismo è stato comunque importante perché
condizionò la vita di un enorme numero di persone, le città, i luoghi, le
università (La Bicocca ne è un esempio, sorta all’interno degli ex edifici
Pirelli).
2. Rappresentazione a ORGANIGRAMMA🡪 rappresenta una visione organizzativa dell’azienda e degli
strumenti necessari per la gestione delle imprese. Gli organigrammi sono rappresentazioni
interpretative (=fanno una “fotografia”) dei rapporti tra le risorse umane esistenti all'interno
dell'azienda ed a seconda della tipologia e dello scopo può descrivere rapporti di tipo gerarchico,
funzionale, comunicativo o altri ancora. Si può creare un organigramma secondo prospettive
diverse.

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3. Rappresentazione INSIEMISTICA/STRUTTURALE🡪 l’idea è che le persone sono contenute


all’interno di uno spazio, una “scatola”, dove svolgono compiti specifici.

ASPETTI COSTITUTIVI DELE AZIENDE

Quali sono gli ingredienti che devo avere per fare un’impresa? E affinché questa impresa rimanga in
piedi? Cioè quali ingredienti devo avere affinché ci sia un passaggio dall’idea al prodotto? I🡪P?
 Risorse economiche e relativa competenza nel saperle gestire.
 IDEE, un prodotto non può esistere se prima non c’è un’idea; possiamo parlare di idee necessarie
per tenere in piedi un’azienda, cioè idee che fanno parte di una conoscenza interdisciplinare
(persone laureate in filosofia, R.U., sociologia, psicologia…), idee costituite da più componenti:
progetti specifici (idea che inizia a concretizzarsi, ad avere un valore materiale), conoscenze generali,
conoscenze settoriali (legate all’ambito di riferimento), ma anche valori (intese come idee più “vive”,
come la responsabilità sociale dell’impresa), strategie.
 PERSONE, cioè coloro che incarnano e ipotizzano nuove idee, gestiscono tutto ciò che è collegato
con le caratteristiche interdisciplinari.
 TEMPO, è una risorsa fondamentale che ha al suo interno però un problema: il tempo è un costo,
perché è lo stipendio della persona. Quindi devo pianificare quanto vale lo stipendio di una persona
che sta svolgendo un determinato compito e quindi devo saper quantificare economicamente il
tempo per fare quella cosa.
 RISORSE FISICHE E MATERIALI: quindi spazi, scrivanie, oggetti specifici. Anche queste risorse
rappresentano un costo, in quanto hanno un valore economico.

Queste caratteristiche sono variabili essenziali di qualsiasi project management (pianificazione di


attività concrete).

Infine queste componenti dell’azienda devono essere operativizzate, cioè tradotte in MODELLI
ORGANIZZATIVI!

MODELLO ORGANIZZATIVO: la struttura organizzativa è una componente essenziale di quello che noi
consideriamo per tenere in piedi un’azienda. È l’insieme di regole per il buon funzionamento
dell’azienda.

🡪Da ciò è nata la figura del Manager dell’innovazione, una figura professionale presente, e
necessaria, nel mondo dell’Università e della Ricerca, in quello dell’Impresa e delle varie istanze di
Governo centrale e locale che ha il compito prevalente di indirizzare le funzioni-obiettivo del mondo
della ricerca verso le domande dell’industria e del governo e di facilitare il trasferimento di
conoscenza dal mondo della ricerca a quello dell’impresa.

ALCUNE DEFINIZIONI DI BASE PRIMA DI


SPIEGARE I MODELLI DI INNOVAZIONE

Ricerca di base: si tratta di un’attività di ricerca


finalizzata
all'aumento delle conoscenze senza diretti fini
applicativi,
basata sulla pura curiosità intellettuale e sulla
volontà di
ricerca di base esplora ciò che è
12 sconosciuto, ampliando il campo del
scoprire le leggi possibile, e produce conoscenza per
fondamentali che lo più generale e teorica.
spiegano i fenomeni della natura. La

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fase prototipale alla vera e propria fase di produzione. È il
Ricerca applicata: si intende l’attività di ricerca volta ad lavoro sistematico, basato sulla preesistente conoscenza,
ottenere conoscenza con fini applicativi. Il fine primario è con i seguenti obiettivi: produzione di nuovi materiali,
il raggiungimento di uno specifico obiettivo pratico. Le prodotti e dispositivi; introduzione di nuovi processi,
idee vengono sviluppate da un punto di vista operativo, sistemi o servizi; miglioramento incrementale dei
concreto. Produce modelli, metodi prototipi. prodotti/processi esistenti.
Sviluppo sperimentale: è l'attività volta a passare dalla
Con il declino della “Golden Age” degli inventori indipendenti e la conseguente riduzione dei brevetti, si
amplia il ruolo degli inventori dipendenti🡪 I primi decenni del 20° secolo vedono un mutamento
nell’organizzazione delle invenzioni e delle innovazioni: scienza e tecnologia assumono un ruolo più
rilevante nello sviluppo e diventano maggiormente ricettive delle esigenze economiche🡪 già alla fine
dell’800/inizi 900 le imprese iniziano a investire maggiormente nella ricerca e sviluppo dotandosi di
grandi laboratori industriali.

🡪 Possiamo dire che si sono sviluppate 6 generazioni successive di modelli di innovazione nel corso
del 900 utili alla comprensione del problema del trasferimento scientifico-tecnologico nell’impresa.

1. Black Box model🡪 Si sviluppa nell’immediato dopoguerra, caratterizzato da un clima di forte fiducia
nei confronti della scienza e della tecnologia, e nella necessità di salvaguardare l’autonomia del
sistema della ricerca da ogni forma di ingerenza esterna. L’innovazione viene studiata solo in termini
di input (risorse in R&S) e output (nuovi prodotti tecnologici). Cosa accade nella “scatola nera”, cioè
al passaggio input/output, non è visibile o ignoto: questo non ha importanza perché ciò che conta è
finanziare la ricerca di base e lasciare che il sistema della scienza si autogoverni. Le grandi imprese
diventano collettori privilegiati del capitale umano ed economico necessario all’innovazione🡪
riescono ad attrarre gli inventori indipendenti, che intravedono la possibilità di proseguire le proprie
ricerche nei laboratori industriali, diventando inventori dipendenti. Questa crescita di R&S venne
accompagnata però a un forte processo di burocratizzazione della ricerca che spesso riduceva la
capacità di fare scoperte davvero innovative (es. Azienda Xerox, a causa del suo modello gerarchico,
sottovalutò diverse innovazioni rivoluzionarie, come il personal computer, le quali vennero sfruttate
da altre imprese).
2. Modelli lineari🡪 si comincia a capire che l’innovazione non è solo ricerca e sviluppo, ma è un
processo lineare articolato in fasi diverse. Questo processo lineare (=rappresentazione concreta di
una sequenza logica di attività, a loro volta caratterizzate da sottoprocessi) può essere visto secondo
due prospettive differenti:
❖ TECHNOLOGY PUSH MODEL: è un modello molto vicino alla rappresentazione I🡪P. è un
modello che descrive un processo molto lento che “parte da un posto per arrivare ad un
altro”. Si sviluppa negli anni 50, in epoca tardo fordista, caratterizzata da una grossa fiducia
nella capacità industriale e nell’imprenditore che aveva delle idee e le metteva in pratica.
Era pensiero comune che l’innovazione tecnologica fosse un processo lineare a partire dalla
scoperta scientifica, attraverso la Ricerca & Sviluppo industriale e la produzione, per
concludersi processi di marketing e di vendita.
Secondo questo modello, per creare innovazione (e cioè essere capaci sul mercato), noi
partiamo dalla prima componente delle idee, ossia la RICERCA DI BASE che descrive alcune
caratteristiche generali della materia o della natura; è il lavoro teorico o sperimentale che
gli scienziati sviluppano per capire la struttura delle cose/della materia, producendo leggi
generali, universali, astratte, che descrivono in modo ampio dei fenomeni. Poi la ricerca di
base si applica alla RICERCA APPLICATA, quindi un principio generale declinato in numerosi
ambiti concreti diversi; giungiamo poi alla fase di SVILUPPO SPERIMENTALE in cui ci si 13

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mette nella condizione in cui si anticipano dei fenomeni (non solo li descrivo, ma li manipolo e
controllo), che permettono di progettare qualcosa di concreto, descritto in maniera
specifica/dettagliata. Dalla ricerca di sviluppo sperimentale si arriva poi alla PRODUZIONE, cioè alla
concretizzazione delle idee in prodotto. Poi si ricerca un sistema di vendita (MARKETING) che decida
l’immagine del prodotto e il suo modo di comunicarla e diffonderla, per poi infine giungere alla
commercializzazione/VENDITA del prodotto.

Il problema di questo modello lineare è che raramente un’impresa in ambito organizzativo finanzi la
ricerca di base (inoltre il passaggio da ricerca di base alla produzione può durare molti anni).
Un’azienda secondo questo modello dovrebbe produrre un prodotto senza prima sapere COME
venderlo. È un modello con una visione estremamente ottimista e idealista della realtà. L’innovazione
è tale alla fine del processo, cioè quando realmente il prodotto viene commercializzato. La vendita è
in realtà basata sulla domanda di mercato, sulla richiesta del prodotto e affinché questo sia
un’innovazione deve essere venduto altrimenti diventa un fallimento.
❖ Agli inizi degli anni 60, quindi, si fa avanti un nuovo modello lineare, il NEED TO PULL MODEL (o
MARKET DRIVEN): questo secondo modello lineare è più veloce rispetto al precedente. In questo
secondo modello, diventa centrale il ruolo del mercato come motore dell’innovazione. L’industria
deve esser in grado, per avviare il processo innovativo, di percepire i bisogni dei consumatori: lo
sviluppo tecnologico è la funzione Ricerca & Sviluppo orientata nella produzione di nuovi prodotti o
processi.

LEZIONE 4 – 18/10/19
Negli anni successivi si avviò un percorso di approfondimento e di critica di questi due modelli dei
rapporti tra scienza, tecnologia e mercato a causa della loro estrema semplificazione.

3. Modelli interattivi🡪 Esistono diversi modelli interattivi che forniscono una nuova idea di
innovazione= è un fenomeno complesso che comprende al suo interno diversi processi di
comunicazione e scambio sia interni che esterni all’impresa. Questi modelli presentano l’innovazione
come un processo sequenziale costituito da diversi momenti interattivi. La loro rappresentazione
centrale è una catena lineare che unisce la generazione di una nuova idea con la produzione e le
funzioni di marketing attraverso l’inclusione dei
diversi momenti quali lo sviluppo dell’idea
(=definizione concreta del progetto),
la realizzazione dei prototipi (=esemplari con
alcune caratteristiche del prodotto finale
necessarie per capire se può funzionare; prima
del prototipo c’è il cartonato, un’idea che è da
sviluppare), la produzione, il marketing e la
vendita🡪 la struttura centrale è sempre una
catena lineare che va dalla nascita dell’idea
alla commercializzazione.

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Particolare è il MODELLO A CATENA (Chain-linked


model), nato a metà degli anni 80, in quanto
protagonista del modello non è più la ricerca, ma il
cliente, la domanda di mercato. È un modello che
inverte il punto di partenza rispetto ai precedenti,
in quanto il punto di inizio è il marketing (nei
precedenti modelli era il punto di arrivo!). In
questo modello si introducono cicli di feedback
loops nei processi di innovazione e tra scienza e
tecnologia, tramite cui le f(x) a valle (flussi di
interazione tra l’impresa e i bisogni di società e
mercato) possono interagire su quelle a monte
(flussi di interazione tra comunità scientifica e
tecnologica), generando continui interscambi e
flussi di conoscenza. Viene ribaltata la
unidirezionalità del modello lineare e le
innovazioni possono così retroagire sulle modalità di sviluppo e acquisizione della conoscenza
scientifica. Si parte quindi non dalla ricerca ma dal target di mercato di riferimento per poi passare al
design analitico (=operazioni che consistono dell’assemblare e integrare in combinazioni nuove la
conoscenza già esistente) che diviene il nocciolo duro del processo di innovazione. Questo modello fa
una descrizione realistica di ciò che avviene in un’azienda.

Molti studiosi hanno osservato ai giorni nostri l’esistenza di UNA PLURALIZZAZIONE E UN


DECENTRAMENTO DELLE FONTI DELL’INNOVAZIONE🡪 cioè le invenzioni/innovazioni sono in certi
casi il prodotto di un lavoro comune dove è difficile distinguere l’apporto individuale; il processo
inventivo/innovativo sono più aperti e collaborativi. Dunque si sono create una pluralità di fenomeni
diversi:

 Invenzioni collettive🡪 un particolare tipo di processo inventivo che è diverso sia da quello
pubblico collettivo sia da quello privato di mercato🡪si basa sul libero scambio di informazioni tra le
imprese di un settore produttivo che collaborano per trovare una soluzione a un problema tecnico
comune🡪 l’invenzione finale è di tipo collettivo, ricco di miglioramenti incrementali introdotti dalle
singole imprese che hanno però collaborato🡪 impossibile attribuire la scoperta al un singolo
inventore.
 Comunità “open innovation”🡪 Si è sviluppata soprattutto nel settore informatico. È un gruppo di
volontari non retribuiti che lavorano informalmente e mantengono i loro processi di innovazione
pubblici e disponibili. Processo innovativo che si basa su partnership innovative che assumono forme
comunitarie e non sono motivate da incentivi economici e non sono orientati a produrre beni per il
mercato, ma a produrre un bene pubblico. 🡪 Si creano così modelli di innovazione definibili “privati
collettivi”.
 Democratizzazione delle innovazioni🡪 indica una diversa divisione del lavoro innovativo tra users
(utilizzatori dei prodotti) e manifactures (produttori)🡪 sta prendendo piede negli ultimi decenni un
processo di democratizzazione delle innovazioni user-centred che si affianca a quello dominante del
passato di tipo manifacture-centred. A proporre innovazioni sono prevalentemente i lead users, gli
utenti principali, cioè attori all’avanguardia in un settore di attività che vogliono modificare un
prodotto al fine di soddisfare al meglio un proprio bisogno. 🡪 gli users si specializzano su innovazioni
che richiedono elevate informazioni sul contesto d’uso del prodotto e sui bisogni degli

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utilizzatori; i manifactures si specializzano su innovazioni relative a bisogni più


conosciuti/standardizzati.
 Strategia “open innovation”🡪 è un modello imprenditoriale e innovativo che si contrappone al
modello chiuso di innovazione tipico delle imprese verticalmente integrate (vedi modelli lineari
appunti). Nei modelli chiusi la ricerca era condotta esclusivamente nei laboratori dell’impresa e
conduceva allo sviluppo interno di prodotti, mantenendo alte le barriere con l’esterno, e
commercializzarli attraverso la propria rete interna di distribuzione. Nel modello aperto il
management promuove flussi di conoscenza in entrata e in uscita per accelerare l’attività innovativa
ed espandere il mercato dei propri prodotti (come i modelli network). Le imprese si aprono verso le
idee e le collaborazioni/partnership esterne sia per generare/sviluppare le proprie innovazioni, sia
per commercializzarle. 🡪 Modello orientato al mercato e alla creazione di valore per l’impresa.

DESIGN ORGANIZZATIVO🡪 Anand e Daft elaborarono 3 ere che evidenziano diverse configurazioni
organizzative, cioè una transazione dell’organizzazione verticale, a quella orizzontale, all’apertura
dei confini attraverso l’esternalizzazione e le collaborazioni, mostrando il loro impatto sulle
prestazioni inventive/innovative delle imprese.

1. Prima era delle organizzazioni autocontenute🡪 fino al 1970 c.a. 🡪 Prevalevano organizzazioni
gerarchiche, autocontenute, formalizzate e basate su una divisione del lavoro per funzioni e strutture
divisionali. IL PROCESSO INNOVATIVO CONFINATO PREVALENTEMENTE ALL’INTERNO DELLE AZIENDE,
avvalendosi di grandi laboratori di ricerca (per le imprese di grandi dimensioni).
2. Seconda era delle organizzazioni orizzontali🡪 fino a metà anni 90 🡪si pone enfasi sul
coordinamento orizzontale delle funzioni, sui processi e sul lavoro in team. Vengono promossi flussi
comunicativi orizzontali e una maggiore apertura verso i fornitori e i clienti. PROCESSO INNOVATIVO
caratterizzato da una riduzione delle gerarchie interne, da un lavoro per progetti e da una riduzione
della separazione tra innovatori e altri stakeholders dell’impresa (addetti produzione, fornitori,
clienti) 🡪 MAGGIOR CONDIVISIONE DELLE CONOSCENZE E MAGGIOR SVILUPPO DELLE IDEE E
INNOVAZIONE.

NB: le diverse configurazioni organizzative presentate sono idealtipiche e non vanno quindi
assolutizzate🡪 La struttura organizzativa più appropriata è quella che si adatta meglio a una
contingenza operativa. Esiste infatti una forte varietà settoriale, contestuale e strategica che implica
l’esistenza di una varietà di forme organizzative.

LEZIONE 4 - 24/10/19

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I modelli elencati in precedenza sono necessari per pianificare i flussi operativi all’interno delle
aziende collegati ai progetti d’innovazione. Se io affronto una PMI posso ancora ragionare
prendendo in considerazione un modello a catena che mi deve guidare sui passaggi che prevedo,
dando la massima attenzione a tutti gli aggiustamenti che sono necessari prima di proporre un
prodotto🡪 questa cosa è una delle più critiche: se io ho a che fare con un’azienda con poca
esperienza è certo che questi 3 momenti si incasinano perché i test non sono mai definiti in modo
accurato e i feedback si perdono per strada con la conseguenza che i prodotti/prototipi che si cerca
di realizzare hanno bisogno di forti revisioni, le quali non sono pianificate. Da un punto di vista
aziendale non gestire bene questo processo cosa implica? 🡪 Screditamento immagine azienda, ma
soprattutto problema di costi e non capacità di gestione di questi costi, in particolare per PMI è un
problema fatale perché un progetto d’ innovazione si può convertire in un pozzo nero
(rifiuto/spazzatura): sono tantissime le aziende che iniziano con progetti di innovazione perché
hanno una profonda competenza nel campo in cui si sviluppano, poi però questa bella idea non va da
nessuna parte perché si arena all’interno di questo processo che non è gestito o pianificato.

Quelli che si occupano di organizzazione all’interno della sezione HR (risorse umane) possono
consigliare di fronte a una proposta di progetto innovativo di definire un piano specifico che non è
esclusivamente di project management (la cultura del project management=pianificare tutte le
operazione, tempi e costi che sono collegati a un progetto), ma quando parliamo di un progetto di
innovazione non si stratta solo di pianificare il triangolo magico (tempi, costi, obiettivi) di una
qualsiasi attività, dobbiamo anche entrare nel dettaglio del flusso di realizzazione cioè vuol dire
tutelarsi attraverso test e feedback per arrivare a conseguire un prodotto che possa entrare
completamente in una fase di produzione🡪 far riflettere i titolari delle aziende e studiosi R&S sulla
necessità di una griglia di pianificazione di un progetto di innovazione è un ruolo critico e delicato
all’interno di aziende medio-piccole.

Nella riflessione teorica si sviluppa la consapevolezza che nonostante siano utili ed imprescindibili i
modelli di gestione interna di una azienda, se parliamo di innovazione fare un ragionamento
solamente collegato alla dimensione interna di un’azienda non produce risultati di innovazione
perché non si riesce a produrre un oggetto che si imponga sul mercato: il processo interno all’azienda
non è sufficiente a spiegare tutti i processi di innovazione e i componenti alla base di un progetto di
innovazione. Parlando di innovazione dobbiamo riferirci a un processo sistemico, cioè l’azienda e le
persone che ci lavorano è coinvolta all’interno di una rete di relazioni che è molto ampia ed è
imprescindibile per un numero enorme di motivi per il risultato di avere nuovi prodotti, nuove leve di
sviluppo per la nostra azienda. Se all’inizio di questa riflessione abbiamo osservato che l’idea di come
si producono i processi di innovazione era un’idea astratta (modello lineare è astratto anche se
esplicativa mente consistente), abbiamo visto che da una 20 d’anni la riflessione si concentra su
come dobbiamo gestire all’interno di un’azienda i processi di innovazione🡪 dagli anni 90 si ragiona
che per comprendere quello che è necessario per una singola azienda per sostenere un progetto di
innovazione ci dobbiamo spostare in una riflessione che coinvolge il resto del mondo. La riflessione si
concentra su aspetti che sono presenti all’esterno dell’azienda. L’azienda stessa è considerata un
elemento all’interno di un sistema. Generalmente se io sono all’interno di una realtà mi concentro
sugli aspetti che rientrano nella mia percezione diretta per diversi motivi: imprenditori con un ego
talmente esteso che la loro azienda fa parte della loro identità e tutto il resto non conto. Ma da un
punto di vista di progettazione dobbiamo ragionare intensamente su come si articolano le relazioni
esterne all’azienda che sostengono le capacità di sviluppo. Concepire lo sviluppo di un’azienda come
il risultato di una rete di relazione che si instaurano al di fuori dell’azienda è rilevante perché non è
solo la capacità gestionale dell’azienda sulla quale le persone si concentrano ma un insieme di fattori
e relazioni che non sono solo di contorno ma diventano sostanziali per lo sviluppo.

La nuova sociologia economica aveva applicato l’analisi delle reti (Network Theory-Analysis) nei
confronti dello studio sui fenomeni socio-economici, nella quale l’azione economica (circolo di soldi)
è radicata

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all’interno delle relazioni sociali tra attori individuali o collettivi. Queste relazioni influenzano l’azione
economica, poiché consentono l’accesso a risorse e informazioni di vario genere, creano fiducia e
scoraggiano l’opportunismo nelle transazioni. Le reti di relazioni non sono tutte uguali, ma
dipendono dal tipo di relazioni che si instaurano tra gli attori:

▪ Informali (basati sull’apparenza) oppure formali (basato su un rapporto contrattuale) ▪ Di lunga o di


breve durata
▪ Che sono incentrate su attori individuali (singoli manager o ricercatori) o collettivi (tra diverse
aziende).

Possono inoltre queste reti:

▪ Avere natura transazionale (cioè relazioni commerciali)


▪ Avere natura relazionale (rapporti sociali e personali)
▪ Possedere modalità di governance diverse (più o meno gerarchiche o regolate)
▪ Presentano una configurazione più o meno chiusa e densa.

Questa rete di relazioni, frutto della ricerca scientifica, è quella che dagli anni 90 è diventato l’oggetto
delle riflessioni collegate alle reti di innovazione. Per quanto riguarda la progettazione, dobbiamo
considerare le relazioni esterne all’azienda che sostengono le fasi di sviluppo🡪ESISTONO DIVERSI
LIVELLI DI SVILUPPO:

1. Il primo livello è collegato al fatto che un’azienda in sé non esiste perché un’azienda è il
Quali sono gli ingredienti essenziali che devo avere per
fare un’impresa? E affinché questa impresa rimanga in
risultato delle relazioni tra almeno tre soggetti: sistema finanziario, fornitori, clienti. Se non piedi? Cioè
quali ingredienti devo avere affinché ci sia un
ci sono almeno questi tre elementi, un’azienda non esiste. Quindi concepire il nostro
passaggio dall’idea al prodotto? I🡪P

progetto di innovazione solo con un modello interno ai processi aziendali, non ti tutela dal risultato di
innovazione, ti fa perdere una serie importante di informazioni. Se io non mi riferisco alla rete
esterna non combino niente🡪 le relazioni sono relazioni molto articolate. La rete di relazioni contiene
una quantità di opzioni estremamente ampia (noi e il resto del mondo). Esistono una serie di teorie
che la ricerca ha sviluppato e che cerca di capire questo tipo di problemi:
▪ Teoria della forza dei legami (GRANOVETTER): I legami deboli e legami forti qualificano le reti che
abbiamo a disposizione; vi è una relazione positiva tra reti di collaborazione e innovazione🡪 I legami
forti fanno riferimento a soggetti con cui esiste un rapporto di familiarità e confidenza (amici,
familiari, parenti); i legami deboli indicano rapporti di minore intensità comunicativa e affettiva
(conoscenti). Granovetter sosteneva che i legami deboli consentono al soggetto di ottenere nuove
informazioni, che non aveva a disposizione e che non poteva ottenere tramite i legami forti🡪maggiori
responsabili della connettività sociale.
▪ Fenomeno del small world: secondo questa teoria il mondo ci sta restringendo e che tutti siamo
collegati con tutti attraverso pochi gradi di separazione : ogni persona è raggiungibile da un’altra
persona attraverso pochi intermediari, attraverso una catena limitata/breve/stretta di conoscenti
(=nodi), indipendentemente dalla distanza geografica o sociale🡪 ciascuno di noi è separato da tutti gli
altri solo da poche persone di cui solo la prima persona conosciamo direttamente. Gli studiosi delle
reti sostengono che, per sapere quanti intermediari dobbiamo avere a disposizione per mettere in
contatto due persone, dobbiamo conoscere profondamente la società in questione🡪 le reti di
conoscenza non sono distribuite casualmente tra le persone, ma sono socialmente strutturate, cioè
tendono ad addensarsi intorno ad alcune dimensioni della struttura sociale (territorio con relazioni di
vicinato; famiglia con relazioni di parentela, etc.)🡪 le società e le

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organizzazione devono essere pensate come dei cluster sociali, in cui gli individui al loro interno si
conoscono bene. Bisogna però capire quanto e come sono collegati tra loro i diversi
cluster🡪all’interno dello studio delle reti, la teoria small-world possiamo farla risalire a Milgram che
,per dimostrare la teoria che le reti sociali rendono il mondo piccolo, sperimenta (1969) l’approccio
di Harward, che si basa sull’ esperimento empirico della posta tradizionale: Milgram si chiese qual è
la probabilità che due persone, prese a caso da una popolazione di grandi dimensioni, si conoscano
tra loro: per rispondere a questo quesito consegnò ad un gruppo di persone scelte a caso (starters)
delle lettere indirizzate a un broker finanziario (target) residente a Boston (Stato diverso dal loro,
Nebraska), comunicando solamente alcune informazioni di base dell’individuo (il nome del il suo
impiego e la zona in cui risiedeva, ma non l’indirizzo preciso). Questi volontari se non conoscevano
direttamente la persona-obiettivo, dovevano inoltrarla a persone che conoscevano personalmente e
che ritenessero in grado, a loro volta, di trovare un amico/conoscente che potesse avere una
relazione personale con il destinatario. Al termine dello studio contò le “catene di trasmissione”, cioè
il numero di intermediari attraverso i quali passò la lettera, ed emersero un minimo di 2 e un
massimo 10 intermediari, con una media quindi di 6 intermediari 🡪 In conclusione da questo studio
emerge che nelle reti small-world: 1) la distanza sociale limita la trasmissione delle informazioni più
di quella fisica; 2) esistono degli HUB relazionali, ossia molte catene diverse convergono verso un
numero esiguo di persone che poi recapitano il messaggio al destinatario.
La tesi della teoria “6 gradi di separazione” di Milgram è che ogni essere umano sul pianeta è
collegato a un qualunque altro essere umano sul pianeta da (in media) 6 passaggi. Un esperimento
successivo (2001) sulle reti small-world è di Dodds, Muhamad e Watts. Questi hanno ripetuto
l’esperimento di Milgram su una scala più ampia, o meglio GLOBALE, attraverso la posta elettronica
(ha coinvolto oltre 61k persone di 166 nazioni diverse e hanno prodotto più di 24k catene di
trasmissione). Da questo ulteriore studio emerge che nelle reti di small-world, nonostante la maggior
presenza di legami forti/diretti, le reti di conoscenti meno stretti, ossia quelli che Granovetter
definisce “legami deboli”, hanno raggiunto di più le target persons, cioè i destinatari e attraverso
questi reticoli è possibile acquisire informazioni non ridondanti.
In un altro studio di Watts e Strogatz è emerso che non esiste solo un unico mondo piccolo (globale),
ma tanti piccoli mondi (locali), cioè le società/i settori di ricerca/ambienti di innovazione tecnologica,
che sono altamente integrati tra loro (=clustered) grazie ai legami diretti e soprattutto indiretti,
creando così il l’effetto small world. Esistono quindi tante piccole comunità/piccoli mondi (clique) in
cui solo una piccola parte dei loro componenti ha contatti con l’esterno. Secondo il loro studio esiste
un modello ordinato di cluster locali (relazioni strette, dense e passaggi di informazioni ridondanti)
uniti gli uni dagli altri da legami casuali che li rendono tutti raggiungibili attraverso pochi
intermediari. Per dimostrale ciò costruiscono due modelli polari/opposti:
Un grafo, nella teoria del matematico Eulero, è un insieme di punti (nodi) si conoscano tra loro è molto alta. Questo grafo è
uniti tra loro da una serie di linee (link/archi/legami). I grafi possiedono caratterizzato da nodi con lo stesso grado (=stesso
proprietà
numero di legami) che potremmo definire “reticolo
strutturali che dipendono dai nodi e dalle loro modalità di collegamento.
Questa teoria periodico”🡪 qualsiasi nodo si scelga troviamo
matematica viene sfruttata sullo studio delle relazioni sociali per
un’identica struttura relazionale, un’interazione 19
dimostrare che la configurazione di una rete offre agli attori sociali
opportunità/vincoli di tipo “strutturale”.
a) reticolo/grafo regolare🡪 rappresenta una relazione
ordinata, una forte clusterizzazione (strutturazione)
sociale; la probabilità che gli amici di un attore sociale Scaricato da Mina Salerno (pietro.salerno@live.it)
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ordinata🡪 i legami hanno p=0, cioè probabilità nulla di essere riorientato🡪 elevato

addensamento “locale” di legami, ma limitato raggiungimento dell’intera società perché servirebbero


catene di nodi lunghissime.
Per i due studiosi, molte situazioni presenti nel mondo reale si collocano in una posizione intermedia tra questi due estremi🡪 bastano pochi
b) reticolo/grafo casuale (random)🡪 la relazione manca completamente di ordine
legami aggiunti casualmente, con probabilità 0<p<1, affinché alcune proprietà del reticolo regolare (=alto addensamento relazioni locali) si
uniscano a quelle del reticolo random (alta raggiungibilità dei nodi). In questa posizione intermedia si collocano le RETI SMALL-WORLD🡪
hanno in quanto le relazioni sociali seguono una logica completamente casuale/random;
un clustering molto elevato (=fortemente addensate localmente), ma la distanza media tra i nodi è bassa.
esistono le stesse probabilità (p) di conoscere qualsiasi altra persona (sia un estraneo sia un “amico di
un amico”). Questo grafo è caratterizzato dal riorientamento casuale di tutti i legami tra i nodi. I
legami hanno p=1, ossia probabilità certa di essere riorientato a random. Il reticolo casuale possiede
bassi livelli di clustering (i nodi non tendono ad addensarsi localmente, non sono presenti relazioni di
“vicinato” altamente integrate)🡪 i nostri amici non si conoscono tra loro e così anche gli amici degli
amici. L’intera società però è facilmente esplorabile attraverso i legami indiretti perché le distanze tra
i nodi sono molto ridotte.
▪ Reti di affiliazione (bimodali o bipartite)🡪 sono
un set di nodi e di eventi ad essi associati. trovarci in presenza di reti: molto ampie; globalmente
poco dense (numero di legami sul totale dei nodi
Descrivono eventi associati a gruppi di attori,
molto più basso);
piuttosto che semplici legami tra coppie di
Affinché si possa parlare di small-world dobbiamo
individui🡪 questo consente di analizzarle da una duplice prospettiva: (1) quella degli attori
decentrate (nessun nodo centrale cui gli altri
e quella dei (2) gruppi. In sostanza, due attori sociali sono affiliati se fanno parte di uno nodi
sono connessi direttamente); localmente
stesso gruppo (es. due innovatori che lavorano a un progetto innovativo per conto di
clustered (legami, tra nodi adiacenti, densi)
un’impresa). Questo tipo di affiliazioni/collaborazioni spesso si struttura come delle reti
small-world🡪 per esempio, il fisico Newman ha evidenziato che le comunità scientifiche
evidenziano un’elevata connettività e che le reti s-w sono davvero rilevanti nelle
collaborazioni scientifiche. Gli scienziati di un particolare settore possono raggiungere altri
scienziati di un altro settore attraverso catene di collaborazioni scientifiche piuttosto
corte🡪 le diverse comunità scientifiche sono uno small-world.

Le reti s-w risultano particolarmente robuste e resistenti al cambiamento e ciò


dipende dalle proprietà complessive del reticolo.
QUALE RELAZIONE ESISTE TRA RETI S-W E CAPACITÀ INNOVATIVA?

❖ Alcuni studiosi del mondo della creatività artistica si


Capacità innovativa= capacità di sostenere nel tempo un flusso (altamente clusterizzate a livello locale, ma fortemente
continuo di innovazioni connesse a livello globale) influenzi o meno le
tecnologiche, come una delle determinanti performance creative. Da
principali del livello di competitività dei sistemi economici e del
benessere
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chiesero se la doppia caratteristica delle reti s-w

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complessivo della società
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questi studi emerse che le reti incidono sul comportamento degli attori influenzando la connessione
la coesione del loro mondo relazionale. Il lavoro di team degli artisti inoltre genera una forte tensione
emozionale e creativa che tende a cementare forti legami collettivi (stesso ragionamento lo fece
tempo prima Durkheim🡪 le intensificazioni delle reti sociali può generare stati di esaltazione,
effervescenza, collettiva che rafforzano le capacità degli individui. Il successo artistico è legato in
larga misura dall’originalità del nuovo prodotto (un musical per esempio). Le innovazioni poi
dipendono dalla disponibilità di materiali creativi inconsueti, cioè provenienti dalle collaborazioni con
altri artisti e questo nuovo materiale amplia la gamma delle opportunità creative. Le reti s-w sono il
terreno fertile per la realizzazione di materiali creativi: con il variare del mix coesione
locale-connettività globale, cambia la performance creativa 🡪alti livelli di integrazione in cluster locali
e basse distanze reciproche migliorano le performance degli artisti; bassa connettività della rete non
favorisce la circolazione del materiale creativo, dunque performance deludenti.
❖ Altri studi hanno sottolineato l’efficienza delle reti s-w nella circolazione di informazioni, così come
del trasferimento e nell’innalzamento dei livelli di conoscenza🡪 le reti influenzano positivamente la
capacità innovativa delle imprese, mediante meccanismi molto simili a quelli rilevati negli studi sui
musical. In particolare, le alleanze strategiche sottoscritte dalle imprese sono considerate un
meccanismo efficace di condivisione delle conoscenze tra organizzazioni diverse e ciò agevola la
produzione di soluzioni innovative. Gli elevati livelli di clustering locale migliorano le capacità di
trasmissione delle informazioni tra imprese, generano i presupposti di fiducia per la condivisione
delle conoscenza e la ricerca comune di soluzioni; i legami tra i diversi cluster locali agevolano la
circolazione di informazioni non ridondanti tra ess, ampliando le possibilità di ricombinazione a
disposizione delle imprese.
Altri studiosi trovano un debole sostegno empirico sull’ipotesi che le reti s-w influenzino
positivamente l’innovazione brevettuale a livello regionale🡪 ciò che influenza l’attività innovativa è il
grado di connettività del network regionale e l’ampiezza della sua componente principale, ovvero la
riduzione delle distanze tra gli inventori e la loro crescente integrazione in una rete regionale
pienamente connessa, più che il livello di coesione locale in sé.

▪ Reti a invarianza di scala (o reti complesse)🡪 in uno studio del fisico Barabàsi emerse l’esistenza di
altri tipi di reti particolari 🡪 molte reti reali non seguono una distribuzione dei legami di tipo normale
(come nelle small-world), ma una legge di potenza🡪 è una distribuzione in cui il picco dei casi si
manifesta su valori molto bassi e tende a declinare molto lentamente🡪 molti piccoli eventi (nodi con
pochi legami) coesistono con pochi grandi eventi (nodi con molti legami). Si può meglio dire che una
gran quantità di nodi possiede un numero ristretto di legami; al crescere dei legami i nodi tendono a
rarefarsi. Esistono però anche pochi nodi con un numero molto elevato di legami🡪 HUB (connettori)
La grande connettività degli hub tiene uniti molti nodi, assicurando la raggiungibilità attraverso
percorsi brevi. Le reti a invarianza di scala hanno due qualità caratteristiche: 1) la crescita (=le reti
tendono a espandersi continuamente aggiungendo nuovi nodi); 2) il collegamento preferenziale (i
nuovi nodi tendono a entrare in relazione con nodi già ben connessi, ossia gli hub🡪 più un nodo è ben
collegato e più è probabile 21

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che il suo numero di collegamenti tenda ad aumentare nel tempo. Attraverso questo studio, Barabàsi
introdusse la “nuova scienza delle reti” o “teoria delle reti complesse”🡪network analysis la quale: 1)
si focalizza sulle proprietà dei network presenti nel mondo reale; 2) assume che i network non sono
statici, ma dinamici (evolvono nel tempo secondo regole dinamiche); 3) comprende i network come
strutture su cui di costruiscono sistemi dinamici distribuiti.
La nuova scienza delle reti venne utilizzata per analizzare il cluster innovativo della Silicon Valley
(S.V.)🡪 per Ferrary e Granovetter un cluster innovativo è diverso dai cluster industriali, che si
caratterizzano principalmente per innovazioni incrementali all’interno della specializzazione
prevalente. Questo cluster innovativo riconfigura radicalmente la sua catena di valore attraverso
innovazioni radicali che creano nuovi settori industriali. Il vantaggio competitivo dei territori dei
cluster innovativi risiede nella continua generazione di start-up (nuove imprese) all’avanguardia
tecnologica. L’innovazione però, è prodotta non dalle singole aziende ma dall’intero sistema locale🡪
quindi dall’interazione di una varietà di attori, radicata in un network complesso di relazioni sociali.
Le reti complesse presentano alcuni tratti distintivi: 1) sono composte da una pluralità di nodi che
interagiscono senza un coordinamento gerarchico; 2) la struttura relazionale e la modalità di
coordinamento emergenti influenzano l’efficienza degli attori🡪le loro prestazioni non dipendono solo
dalle risorse e competenze possedute singolarmente ma anche dalle modalità di interazione con
l’ambiente circostante; 3) la Robustezza: capacità di resistere alle perturbazioni esterne🡪 questa
resistenza dipende dalla completezza della rete, all’interno della quale interagisce in maniera
decentrata una pluralità di attori eterogenei (questo consente di integrare diverse modalità di
apprendimento, stimolando creatività e innovazione del sistema).
La S.V. è un cluster innovativo basato su una rete complessa🡪 In questo territorio infatti interagisce
un’ampia gamma di attori socioeconomici: imprese, università, laboratori di ricerca, studi legali, di
consulenza, banche commerciali, di investimento etc. 🡪 si tratta di una rete densa di relazioni in cui i
legami organizzativi ed economici si mescolano con relazioni di tipo personale e sociale. Il dinamismo
innovativo di quest’area inoltre dipende dalla completezza del suo network che comprende attori
eterogenei ma complementari. La S.V. si è formata storicamente per stratificazioni successive,
mediante l’aggiunta di attori diversi che ne hanno irrobustito il sistema di relazioni. Nelle reti
complesse alcuni attori possono svolgere un ruolo di hub. Nella S.V. il ruolo di hub è svolto dalle
società di venture capital (VC) che svolgono le seguenti funzioni:
 Finanziamento delle start up tecnologiche🡪 le VC finanziano circa il 9% delle start up della valle.
 Selezione 🡪spesso quel 9% è la percentuale di start-up che avrà successo in quanto la loro
competenza nei settori di punta del cluster consente loro di individuare i progetti più promettenti.
 Segnalazione delle migliori start up: il fatto di essere finanziate da una VC produce un effetto a
catena di accreditamento nei confronti degli altri attori del sistema, che agevola lo sviluppo
successivo di nuove imprese.
 Radicamento (embedding)🡪 inserimento della nuova impresa nel reticolo complessivo.
 Apprendimento collettivo🡪 accumulo di esperienze imprenditoriali messe al servizio delle nuove
imprese.
🡺 Questo studio ha messo a fuoco l’interdipendenza tra le prestazioni dei singoli attori e quelle della
rete nel suo complesso.
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Kleinberg fece una riflessione sulle reti sociali, sostenendo che sono tutte composte di nodi con
un’identità sociale, le quali strutturano le reti secondo il principio sociologico dell’omofilia🡪 gli
uomini tendono ad associarsi con altre persone che condividono le loro stesse caratteristiche perché
“la somiglianza genera connessione”🡪 l’omofilia rende piccoli i mondi locali, che sono omogenei;
l’identità sociale però plasma le reti anche secondo il principio della multidimensionalità🡪 rende
piccolo il mondo globale, consentendo di attraversare i confini dei mondi locali.

Questi tipi di reti di relazioni sono quelli che vennero studiate dagli anni 90, che divennero oggetto di
studio nel NETWORKING MODEL: nessun modello da garanzia di successo senza una rete di
relazioni!
Ha per noi una rilevanza estrema perché verrà analizzato integrando fornitori e rete; verrà analizzato
a partire dalla rete costitutiva dell’azienda (fornitori e clienti) per estenderlo all’idea di una rete
costitutiva più ampia per capire che non è la rete il centro del sistema, ma l’ambiente/territorio che è
la premessa o il limite per tutti i processi di invocazione di un’azienda. Quali sono le conseguenze?
Organizzare- un’azienda bene è un DOVERE🡪Il mondo esterno per l’azienda rappresenta
un’opportunità e un obbligo, e costituisce un universo caotico da dover gestire. Dobbiamo spostare il
focus dall’azienda al sistema. Dobbiamo imparare a gestire il sistema all’interno del quale noi ci
troviamo in modo strategico per gestire gli obiettivi di innovazione e di sviluppo della nostra specifica
f(x).
Per introdurre il concetto di reti di impresa o di impresa a rete abbiamo da una parte un riferimento
tecnico e concreto, molto formale (rete di impresa di tipo formale), ma ci sono una serie di altri
motivi che rafforzano il concetto di transizione da una riflessione centrata sull’azienda a una centrata
sul sistema.

Riepilogo: Abbiamo visto che per essere innovativi oggi c’è bisogno di competenze specializzate
molto approfondite🡪 ognuno nella sua disciplina deve essere molto specializzato. Le conoscenze, di
tipo teorico e di tipo pratico, necessarie per poter gestire i fenomeni con i un’interazione molto
efficace sono sempre più specializzate. Mediamente qualsiasi oggetto tecnologico non è più
realizzato da un’unica azienda (per fare un telefono ci sono un numero enorme di aziende
specializzate nella produzione di un suo specifico componente che deve essere di altissimo livello per
poter essere innovativo)🡪 ci sono marchi (brands) che rappresentano un oggetto che di quell’oggetto
sono l’espressione di alcune caratteristiche, ma non hanno realizzato l’insieme delle caratteristiche.

In un’azienda l’identità di un oggetto prodotto è data dalla qualità del design e dalle sue
caratteristiche specifiche che sono l’identità dell’azienda stessa, poi questa si affida a degli specialisti
che diventano i FORNITORI. L’azienda compra i pezzi da qualche fornitore. Problema ad avere una
relazione “distaccata” dai fornitori: se non ho una rete di fornitori che mi garantisca sui miei flussi
operativi previsti, incomincio ad avere dei problemi non gestibili🡪ciò non significa solamente fare dei
contratti con i fornitori che mi tutelino, ma anche il fatto che il fornitore sia coinvolto nel modo più
stretto nel flusso di lavoro necessario per sostenere una dimensione operativa di innovazione
rilevante. Se non ho una rete di fornitori nel flusso di lavoro non ho un potenziale di innovazione. I
fornitori, infine, sono coloro che hanno maggior capacità di innovazione da apportare a un progetto.
Il fornitore non è uno che mi vede solo dalle cose, ma è una leva critica per il mio potenziale di
innovazione che io posso usare in due o più forme: sia in modo spontaneo (colui che mi viene a
proporre delle cose), ma anche in modo push (chiedo a lui che ne sa più di me di creare qualcosa che
ha delle caratteristiche che secondo me sono quelle necessarie). Il processo di innovazione passa
attraverso la capacità di un soggetto esterno all’azienda di portarmi degli oggetti che 23

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abbiano più conoscenza e un contenuto di innovazione che io non sarei mai in grado di poter
realizzare. Così comprendo perché il modello di prima (catena) è necessario, ma non sufficiente. Il
fornitore è un’opportunità di innovazione che in aziende grandi diventa sempre strutturata da
accordi che tutelano, la confidenzialità e affidabilità delle relazioni, ma anche nelle aziende piccoli
sono la garanzia della potenzialità di sviluppo dell’azienda. Sono il ruolo estremamente critico per
l’apporto di conoscenza specializzata.
La conoscenza specializzata è una conoscenza di tipo teorico (qualità dei materiali, la modalità di
realizzazione degli oggetti) ed operativo (cioè di gestione dei cicli produttivi, di costi di produzione).
Per essere competitiva un’azienda oggi deve tenere sotto controllo un numero enorme di variabili.
Non è possibile fare un prodotto bello senza tenere in conto i costi di produzione (es. in Bulgaria i
costi di produzione costano meno). Se io sono un’azienda di produzione di prodotti concreti devo
essere forte nel design del prodotto, nella sua commercializzazione e pubblicizzazione e
nell’efficienza della produzione🡪 Devo essere innovativo in ognuna di queste componenti. Questo è
quasi impossibili perché è quasi impossibile essere bravi a tutto. Un’azienda può avere un’attitudine
forte nella commercializzazione ma nella produzione ha meno competenze e quindi non è
competitiva e questo è un problema forte: ci sono molte aziende che spacchettano il percorso al suo
interno perché la tecnologie devono essere di altissimo livello così come le f(X) dell’azienda devono
essere di altissimo livello ed è difficile controllarle e in alcuni casi è anche costoso (avere il controllo
dei costi di tutte le funzioni è molto difficile).
Oggi le aziende hanno scorporato le componenti di produzione, hanno spacchettato le f(x) al suo
interno: una società si dedica per es. a un settore, una società si dedica a dei servizi, etc. perché è più
facile specializzarsi, essere innovativi su competenze specifiche perché ormai è difficile essere bravi
in tutto e la competenza è troppo estesa. Io non ho la conoscenza sufficiente per fare tutto e c’è fuori
qualcuno che fa cose meglio di me e che devono essere incluse nel mio prodotto🡪 Per gestire una
serie di f(x) diverse è molto difficile e vengono strutturalmente spacchettate per concentrarsi sulle
competenze e capacità innovative di ognuna di queste funzioni. Abbiamo dunque bisogno non di un
solo e unico fornitore ma di partner strutturali del sistema di innovazione🡪 nell’identità di quel
servizio c’è la relazione tra questi soggetti (aziende-fornitori). È nell’identità dei modelli di
produzione contemporanei il fatto che le aziende lavorino aggregando reti di aziende che non solo
incarnano la teoria dello small world, dei legami etc., ma che sono il risultato di una necessità di
conoscenza teorica e operativa estremamente approfondita e che va inclusa in qualsiasi prodotto di
voglia realizzare. I fornitori nella dinamica di innovazioni non sono il “supermercato” di quello che ci
manca ma sono gli attori partner del nostro sistema di innovazione🡪 ovviamente devo essere in
grado di trovare i partner giusti che mi permettano che il mio prodotto che voglio realizzare abbia
successo; devo essere bravo a promuovere le relazioni con i miei partner.
Questo discorso si estende anche ai CLIENTI. Anche questi hanno un ruolo importante nel processo
di innovazione. Il legame tra aziende e clienti è fortissimo e centrale: nei modelli di innovazione
contemporanei non lineari, come quello a catena, abbiamo visto che il processo di innovazione parte
dalla domanda di mercato e dalla capacità di promuovere e recepire i bisogni dei clienti. Ci sono delle
tecniche per lavorare con i clienti a seconda della tipologia di clienti, ma abbiamo anche il concetto di
cliente-guida, ovvero io azienda-fornitore devo essere in grado di selezionare le aziende clienti
critiche con i quali poter lavorare per definire concretamente i processi di innovazione che siano
promettenti per la mia azienda. Io ho bisogno di andare dalla mia azienda-cliente per poter
mantenere il flusso di innovazione e per rimanere suo fornitore. Quel ruolo di clienti è un ruolo di
promozione dell’innovazione per le aziende innovative. I miei clienti sono la promozione dei miei cicli
di innovazione, cicli che oggi vengono anche formalizzati (non solo iniziative di marketing e
pianificazione di un lavoro di R&S, ma metto un qualche cosa che possa essere percepito come valore
dai miei clienti).

I rapporti che le imprese stabiliscono con altri attori esterni creano un miglioramento nelle
prestazioni innovative e ciò comporta ad alimentare un’ulteriore collaborazione.
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Irene Giampaolo – Esame di SOCIOLOGIA DELL’INNOVAZIONE DI IMPRESA – Corso di laurea magistrale in FORMAZIONE E SVILUPPO DELLE RISOSRSE UMANE (BICOCCA)
🡪L’azienda non è un perno intorno al quale ruota a prescindere tutto il resto del mondo, ma un
attore all’interno di un sistema più complesso. Per tenere in piedi un’azienda abbiamo bisogno anche
di un’altra componente fondamentale, ossia quella legata al SISTEMA FINANZIARIO: la capacità
economica per sostenere la vita di un’azienda e i processi di innovazione non è disponibile alla
maggior parte delle aziende. Sono poche le aziende che hanno accumulato dei beni, del capitale tali
da gestire tutte le loro esigenze finanziarie (soldi che entrano ed escono). Le aziende hanno enormi
problemi di flussi finanziari, cioè hanno dei costi fissi, come gli stipendi, poi hanno costi
programmabili, cioè quelli collegati all’acquisizione di forniture (materie, oggetti, consulenze,
servizi)🡪 Ma non è detto che quello che mi serve (soldi) tutti i mesi per poter pagare queste due
esigenze costitutive di una azienda corrispondono ai soldi che entrano dalle mie vendite. Uno dei
principali motivi di fallimento delle aziende è che nonostante apparentemente i “conti tornino”, cioè
apparentemente hai i conti in ordine, in realtà non riescono più a gestire questo ritmo. Ci vuole
qualcuno che ti aiuta a compensare il tempo che ti serve tra tutte le spese che hai (che non puoi
evitare) e il momento in cui ti arrivano i soldi. Ci vogliono dei soggetti che ti aiutino a metter in pari
questo scarto tra il momento di spesa dei soldi e momento in cui acquisisci i soldi dalle vendite:
l’azienda non esiste non solo se non hai clienti e fornitori, ma se non hai un sistema finanziario che
la tiene in piedi.

Se io voglio fare un progetto di innovazione ho due problemi: sto realizzando qualcosa che non esiste
e quindi può funzionare come non funzionare🡪 ho bisogno di tempo (1) e investire soldi (2) e questo
investimento è ad alto rischio perché non ho garanzia che questo progetto vada in porto. I progetti di
innovazione sono sempre ad alto rischio. Un progetto innovativo potrebbe sia far diventare l’azienda
molto ricca, ma allo stesso tempo può
portare alla sua fine perché per
realizzarlo devo considerare il fatto
che spesso posso avere un ritorno di
capitali
dopo tanti anni. Questo non è solo un
problema di gestione dell’azienda (in
genere attraverso una banca) che mi
aiuti a
gestire il flusso finanziario, ma è
anche il
problema di aver bisogno anche di
un’immissione di forti capitali e,
quindi,
spesso ho bisogno anche di partner
finanziari. Il sistema finanziario è una
componente strutturale delle aziende!

In conclusione, l’azienda in sé
esiste solo come soggetto di una
costellazione composta almeno
da: clienti, fornitori e sistema
finanziario.

Le partnership innovative, ossia le collaborazioni esterne e inter - organizzative, sono fondamentali


perché servono a far circolare le informazioni; alla condivisione dei rischi connessi ai soggetti;
all’accesso alle risorse diverse rispetto a quelle detenute dall’azienda; all’apprendimento reciproco di
soluzioni e prassi organizzative. Gli studi sulle partnership organizzative hanno mostrato in maniera
particolare nei settori dell’alta tecnologia che le reti di apprendimento diventano il luogo
dell’innovazione.
Per Granovetter i soggetti che capiscono come porsi a reticoli diversi, hanno ottime possibilità di
generare innovazioni. Egli riprende la tesi di Burt sui buchi strutturali (structural holes) secondo la
quale le relazioni sociali tendono ad ammucchiarsi attorno a clusters, cioè “grappoli” d’individui che
hanno interazioni frequenti e intense tra di loro. Nella struttura possono esserci disconnessioni, cioè
mancanza di rapporti tra clusters, che s’isolano gli uni dagli altri. Questi gap relazionali creano dei
buchi strutturali, cioè degli spazi vuoti nella struttura sociale che ostacolano il flusso d’informazioni,
ma che creano anche delle opportunità 25

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imprenditoriali. Il loro valore potenziale è dovuto dal


fatto che separano fonti d’innovazione non ridondanti. Gli
individui che collocano tra questi spazi creano
un ponte di circuiti diversi di comunicazione, ottenendo
quindi
dei vantaggi competitivi, come maggior varietà
d’informazioni
non ridondanti in termini di innovazione e creatività. Questi
individui sono i broker, ossia veri imprenditori delle reti e la
loro creatività di brokeraggio implica il movimento di un’idea
da un gruppo a un altro (import-export), dove quell’idea
diventa nuova e valutata.

…ritornando ai modelli di innovazione…

4. Modelli di sistema🡪 L’innovazione è un fenomeno SISTEMICO (multidimensionale, relazionale).


Infatti, a partire dalla fine degli anni 80, negli studi sull’innovazione iniziano ad apparire prospettive
analitiche più integrate. Il limite dei modelli interattivi consiste nel non spiegare quali siano i
fattori in grado di determinare il successo (in termini di capacità innovativa) di certe imprese (e certe
regioni) rispetto agli immediati concorrenti. Si diffonde l’idea che la conoscenza sia diventata un
elemento chiave dello sviluppo (la “knowledge economy) e che i processi di apprendimento siano
essenziali per elevare la competitività delle imprese, delle regioni e delle nazioni (la "learning
economy”).
🡪 Si rende necessario l’abbandono di una visione strettamente economicistica dell’innovazione
poiché ci si rende conto che quest’ultima è tanto complessa da richiedere non solo l’interazione tra
attori differenti all’interno dell’impresa, ma anche l’interazione dell’impresa con altri soggetti esterni
(quindi attori economici e non – imprese, università, governi etc.): le istituzioni giocano quindi un
ruolo rilevante nel modellare il contesto in cui tali attori operano. 🡪 L’organizzazione a rete offre
diversi vantaggi: 1) gruppi di piccole imprese possono sviluppare accordi di cooperazione per
raggiungere la massa critica; 2) si possono generare fenomeni di apprendimento collettivo; 3) si
agevola lo scambio di informazioni e conoscenze; 4) i tempi e i costi di sviluppo delle innovazioni
possono essere ridotti;5) le imprese coinvolte nella rete possono operare con elevati margini di
flessibilità operativa.
🡪Questo approccio di studio assume una prospettiva sistemica perché l’innovazione viene
interpretata come una proprietà emergente di un sistema di elementi e relazioni, con esisti che
possono essere voluti/non voluti, positivi/negativi per gli attori interessati🡪 in questo modello quindi
si sviluppa l’idea dell’esistenza di SISTEMI D’INNOVAZIONE tra loro complementari (nazionali,
settoriali e tecnologici).
🡪Gli approcci sistemici mettono a frutto molto del lavoro di ricerca svolto, nei decenni precedenti la
loro diffusione, sull’innovazione e sui fattori di competitività a livello micro (=aziendale), meso
(=settoriale, territoriale) e macro (=nazionale e internazionale). La loro formulazione rappresenta
anche una risposta all’emersione di alcuni fenomeni economici, che sottolineano il carattere
sempre più complesso e interattivo dei processi di innovazione:
1) Crisi del fordismo, cioè il cambiamento intervenuto nei modelli di produzione (liv. Micro) e di
regolazione dell’economia (liv. Meso e Macro)🡪 le imprese sperimentano modelli alternativi di
organizzazione della produzione. Emergono le zone di piccola impresa e i distretti industriali, che
mostrano come l’efficienza produttiva e la competitività siano
In breve l’insieme di questi fenomeni spinge a una sempre più relazionale dell’economia e sull’importanza
riconsiderazione dell’innovazione, alla luce del fatto che la del territorio. L’analisi della crisi del fordismo, inizialmente
produzione di beni e
fondate sulla costruzione sociale del mercato, sulla natura
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utilizzato per studiare i settori manifatturieri tradizionali, basati su una innovazione diffusa e
incrementale, è stata successivamente utile anche per comprendere i processi di innovazione più
radicale (come quelli della Silicon Valley).
2) Sviluppo dei settori high-tech🡪 mette in luce un processo crescente di “scientificazione” della
tecnologia, soprattutto nei settori “science-based” (biotecnologia, farmaceutica, biomedicale, etc.).
3) Crescita delle partnership interaziendali, soprattutto nell’ambito di R&S, dovuto al carattere
sempre più variegato e interdipendente delle conoscenze specialistiche necessarie all’innovazione. 4)
Globalizzazione economica e riorientamento delle politiche pubbliche che ne deriva🡪 l’emergere di
una nuova concorrenza internazionale proveniente dai paesi di nuova industrializzazione rende
chiaro che: l’innovazione è l’arma vincente per competere con i paesi a basso costo del lavoro; Il
ruolo delle politiche pubbliche è fondamentale per sostenere l’innovazione; le politiche vanno
pensate all’interno di una cornice più integrata e di tipo sistemico.
I sistemi di innovazione sono stati definiti attraverso 3 criteri: 1) spaziali/geografici (distinguendo così
tra loro i sistemi nazionali o quelli locali e regionali); 2) tecnico-industriali (classificando i sistemi in
base ai settori produttivi o quelli tecnologici); 3) tipi di attori e di rapporti (come nel caso della tripla
elica).

❖ MODELLO DI SISTEMA D’INNOVAZIONE NAZIONALE (SIN)🡪 Il concetto di sistema nazionale di


innovazione (SIN) nasce al fine di cogliere la complessità dei diversi aspetti istituzionali e organizzativi
che possono essere alla base dello sviluppo di nuovi prodotti e nuovi processi. È un sistema di
innovazione definito su base geografica. Lo studioso inglese C. Freeman definisce un SIN come “una
rete di istituzioni nel settore pubblico e privato le cui attività e interazioni introducono, importano,
modificano e diffondono le nuove tecnologie”. I SIN hanno trovato ampia diffusione sia tra gli
studiosi, quindi in ambito accademico, sia tra i policy-maker, quindi in ambito politico (OCSE,
Commissione Europea, UNCTAD etc.) per diverse ragioni: in ambito accademico perché questo
modello sviluppa una pluralità di contributi elaborati negli anni precedenti; i SIN sono un policy
concept, cioè un concetto utile a orientare non solo la ricerca, ma anche le politiche pubbliche,
perché molti importanti studiosi ricoprono sia il ruolo di ricercatore e di policy-maker. Quali sono gli
assunti che stanno alla base dei SIN?
1) Le economie nazionali presentano una varietà di specializzazioni, non solo riguardanti le strutture
produttive e commerciali, ma anche quelle conoscitive e sono tra loro “path dependent”, ossia
interdipendenti.
2) La conoscenza è “appiccicosa” (sticky), cioè non circola facilmente da un luogo all’altro in quanto è
incorporata nelle menti delle persone, nelle routine aziendali, nelle relazioni
interpersonali/interorganizzative.
3) Individui, imprese e altre organizzazioni non innovano mai in completo isolamento🡪 necessaria
una prospettiva interazionista.
4) La pluralità di attori e istituzioni implicati nei processi d’innovazione richiede un approccio
analitico di tipo olistico, interdisciplinare e storico-evolutivo. Tiene, inoltre, conto delle innovazioni
tecnologiche di produzione e dei cambiamenti organizzativi. 5) Più che fornire una precisa teoria
formale (sia normativa che descrittiva), il concetto di sistema nazionale di innovazione intende
rappresentare un framework di riferimento ampio al cui interno calare le analisi concrete dei
fenomeni innovativi.

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Un SIN è, in sintesi, un insieme interconnesso di


due elementi che lavorano per un obiettivo
comune: le componenti e le relazioni. Le
componenti di sistema sono le organizzazioni
(insieme di attori che agiscono e interagiscono
nel sistema, strutture formali create
intenzionalmente con un obiettivo esplicito) e
le istituzioni (insieme di norme, formali e
informali, che orientano l’azione e
l’interazione tra individui, gruppi o
organizzazioni). Le relazioni si riferiscono ai
rapporti che legano le varie componenti del
sistema🡪 legami che si creano fra organizzazioni nell’ambito di uno specifico contesto istituzionale.
La funzione del SIN è quella di promuovere sviluppo, diffusione e uso delle innovazioni. Le attività
dei SIN sono svolte dalle varie organizzazioni e rappresentano il contributo specifico all’innovazione🡪
un’organizzazione può svolgere diverse attività (es. Università🡪formazione, attività R&S, attività
d’innovazione etc.) e un’attività può essere svolta da diverse organizzazioni (es. Formazione🡪
università, aziende, istituzioni pubbliche o private).
Edquist redasse una lista di 10 attività principali svolte dai SIN:
1) Produrre nuova conoscenza attraverso R&S.
2) Costruire competenze per il capitale umano attraverso il sistema scolastico-universitario, la
formazione professionale etc.
3) Fondare nuovi mercati di prodotti.
4) Articolare requisiti qualitativi per i nuovi prodotti in base alle esigenze della domanda. 5) Creare e
modificare le organizzazioni necessarie allo sviluppo di nuovi campi d’innovazione.
6) Generare reti per la circolazione delle conoscenze.
7) Creare e modificare istituzioni in grado di creare vincoli e incentivi per l’innovazione. 8) Svolgere
attività di incubazione a sostegno di nuove iniziative.
9) Assicurare finanziamenti per l’innovazione.
10) Fornire servizi di consulenza.
QUALI SONO GLI OGGETTI/ATTORI DI ANALISI DELL’APPROCCIO SIN?
1) interazioni verticali CLIENTI-FORNITORI (ICF)
L’innovazione è un processo cumulativo che spesso si basa più su miglioramenti incrementali che su
grandi rivoluzioni. Le forme di apprendimento interattivo possono rappresentare un meccanismo
che le imprese usano per introdurre novità e gestire la conoscenza.
In situazioni di incertezza e informazioni limitate nell’introdurre un nuovo processo produttivo o un
nuovo prodotto diventa vantaggioso sviluppare relazioni stabili con i fornitori perché: a) si sviluppa
un codice comune di conoscenze ed una rete di relazioni personali e informali; b) con tecnologie
complesse e veloce invecchiamento del prodotto, tali relazioni riducono l’incertezza ed i costi di
gestione delle informazioni.
2) Interazioni orizzontali con ALTRE IMPRESE INNOVATIVE
Sono sempre più diffuse le reti di imprese che consentono lo scambio su scala internazionale di
conoscenza tecnologica. La conoscenza è la risorsa chiave per lo sviluppo d’innovazioni. Gli accordi di
cooperazione possono essere fonte di nuove idee (mettendo in comune le conoscenze, da un lato si
incrementa il pool complessivo di conoscenza, dall’altro aumenta la possibilità di ricombinare in
forme nuove la conoscenza disponibile). 28

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In contesti di rapido sviluppo tecnologico e di elevata intensità delle spese in R&S, tali accordi
permettono di condividere le risorse e diminuire il costo pro capite delle attività di ricerca. Gli scambi
di conoscenza si sviluppano maggiormente dove le relazioni sono personalizzate (scambi anche
informali: es. confronto Silicon Valley / Route128; interazione orizzontale nelle imprese giapponesi).
3) SISTEMA FORMATIVO e SIN
La conoscenza scientifica non può più essere considerata come una variabile esogena rispetto
all’attività innovativa delle imprese. Il luogo privilegiato di sviluppo della conoscenza scientifica sono
le Università, che possono svolgere al riguardo una tripla funzione:
a) Fornire un insieme generale di categorie di lettura della realtà per formare capitale umano in
grado di adattarsi in modo flessibile al mutamento del contesto.
b) Sviluppare skills e competenze scientifico-tecnologiche specifiche di immediata utilità per il mondo
delle imprese.
c) Portare avanti progetti di ricerca di base e ricerca applicata all’interno dei propri laboratori.

🡪La formazione è elemento fondamentale dei SIN. Lo sviluppo delle competenze in stretto contatto
con necessità dell’industria sembra fornire i risultati migliori (es. StatiUniti e Germania).
4) SISTEMA FINANZIARIO e SIN
sistema basato sul mercato dei capitali (USA, Regno Unito) / sistema basato sulle banche
(Germania,Italia, Giappone).
🡪 Problema: il finanziatore può non avere informazioni complete su funzione-obiettivo manager e
sulle sue azioni🡪selezione avversa, azzardo morale.
I sistemi bank-based incorrono meno nel rischio🡪 la proprietà mantiene controllo più diretto sul
management; volontà di valutare prospettive a lungo periodo; relazioni stabili tra istituzione
finanziaria e debitori (fiducia).
Quando costi non sono visibili 🡪 problemi informativi 🡪 sistema bank-based è migliore, ma se
l’investimento è rischioso e la tecnologia cambia rapidamente, il sistema basato su relazioni stabili
non è adeguato.
5) Ruolo del GOVERNO e POLITICA TECNOLOGICA
Lo scopo delle politiche tecnologiche è la creazione/sviluppo di una specifica tecnologia. Lo
strumento più usato è la R&S finanziata dal governo (es. Stati Uniti, e Francia🡪quota elevata spesa
pubblica per scopi militari). I governi investono, però, anche per sviluppare un’industria nazionale
(Corea, Giappone, Brasile). Un altro scopo delle politiche tecnologiche è la creazione di infrastrutture
che promuovono cambiamento tecnico🡪 Importi sono il governo e gli amministrazioni locali, che
hanno un ruolo ancora più rilevante dove il tessuto industriale è di PMI (distretti italiani). La politica
infrastrutturale è condizionata da specificità
nazionali (es. MITI). Vi sono
poi altri canali con cui
l’intervento pubblico
influenza l’innovazione:
politiche a garanzia della
concorrenza, antitrust

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(es.America),tutela dei diritti di proprietà intellettuale (ossia i brevetti🡪Giappone/Stati Uniti).

QUAL È IL RAPPORTO TRA SIN E GLOBALIZZAZIONE? COSA HA COMPORTATO IL FENOMENO


GLOBALE SUI SIN?
La globalizzazione ha favorito la crescita degli investimenti diretti esteri (IDE), le fusioni, acquisizioni
aziendali, la cooperazione internazionale e la diffusione nuove tecnologie informatiche e la
telecomunicazione🡪con il fenomeno globale l’importanza delle multinazionali è aumentata e con
essa è aumentata la concentrazione del capitale🡪 Ma in che misura tale evidenza influisce su natura
e localizzazione del processo innovativo? 🡪 Patel (1995) conferma la rilevanza dei SIN oggi, ma la
relazione tra attività innovativa e localizzazione dipende dalle caratteristiche tecnologiche del
settore🡪 ciò significa che è importante il fattore verticale dell’approccio SIN (clienti-fornitori)🡪 es.
distretti italiani.
La globalizzazione influenza, però, anche il fattore orizzontale🡪 l’organizzazione della R&S su scala
internazionale è meno costosa e le IMN sono incentivate ad aprirsi sulla R&S internazionale.

Rosenberg fece un’analisi sul SIN degli Stati Uniti, chiedendosi quali sono i suoi tratti distintivi, in
confronto a quelli degli altri paesi industrializzati (es. europei), elencando i seguenti: 1) La
dimensione di scala🡪 dal secondo dopoguerra il volume degli investimenti americani in R&S supera
di gran lunga quello delle altre economie avanzate.
2) Il ruolo preminente delle piccole start-up nella commercializzazione delle nuove tecnologie
(soprattutto nei settori High-tech).
3) L’impatto avuto dalla normativa antitrust sulle prestazioni delle imprese.
4) la forte incidenza della spesa del governo federale sulle attività di R&S

Un’interessante riflessione sui SIN è quella svolta da Lundvall negli anni 90🡪 il punto di partenza
della sua riflessione è che, nei nuovi scenari economici, le risorse fondamentali per la competizione
sono conoscenza e processi di apprendimento delle imprese. Per lo studioso ci troviamo in una nuova
fase di sviluppo del capitalismo, caratterizzata da un rapido cambiamento economico guidato dalla
tecnologia, dove il successo delle imprese/territori/stati nazionali dipende dalla loro capacità di
apprendere, di creare/acquisire nuove conoscenze🡪 si afferma in altri termini una learning economy,
cioè una economia basata sull’apprendimento. Secondo questa riflessione l’economia neoclassica
mainstream, focalizzata sul concetto di scarsità delle risorse, non è adatta a descrivere questi
mutamenti in quanto vede l’innovazione come un evento esogeno straordinario che fa uscire il
sistema dal suo stato di equilibrio. Invece, nel capitalismo moderno l’innovazione è:
1) costitutiva e onnipresente🡪 perché diffusa in tutto il tessuto economico e implica continuo
apprendimento;
2) graduale e cumulativa🡪 perché formata da nuove combinazioni di conoscenze/opportunità già
presenti, ma che vengono abbinate/ricombinate in maniera diversa introducendo discontinuità più o
meno radicali con il passato;
3) processuale🡪 perché non esiste un singolo evento, ma una serie di attività tra loro concatenate
che si influenzano a vicenda (e fanno sfumare le classiche distinzioni tra invenzione e innovazione);
4) interattiva e collettiva🡪 perché l’apprendimento si configura in termini relazionali (interactive
learning) e la conoscenza è un bene comune che viene condiviso dentro i network e le organizzazioni.
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🡪Lundvall sostiene la necessità di un nuovo modello analitico, alternativo a quello neoclassico, che
ponga al centro l’apprendimento finalizzato all’acquisizione e creazione di conoscenze utili per
l’innovazione; la conoscenza non è un semplice accumulo di informazioni poiché include la capacità
di interpretarle e utilizzarle e l’apprendimento si configura come un processo di costruzione di
competenze, le quali possono essere di quattro tipi: Know-what e know-why (riguardano la
conoscenza dei fatti e dei principi che li spiegano e si basano su competenze di tipo cognitivo);
Know-how (fa riferimento alle conoscenze pratiche per svolgere compiti specifici); Know-who (fa
riferimento a conoscenze relative alle persone🡪 conoscere “chi sa cosa”/”chi sa fare cosa”; fa
riferimento anche alle abilità nel costruire rapporti interpersonali). Queste conoscenze vengono
apprese in modi differenti: le prime due possono essere assimilate attraverso lo studio; le altre due
vengono acquisite attraverso esperienze pratiche e relazioni sociali. In conclusione, la learning
economy ha bisogno di molta fiducia e coesione sociale🡪 Lundvall riconosce una definizione più
ampia di SIN🡪 non si concentra solo sulle istituzioni e le organizzazioni che si occupano della ricerca
scientifico-tecnologica, ma su tutte le componenti della struttura economica e istituzionale che
influenzano i processi di apprendimento, i quali sono radicati in attività di routine che si svolgono
nella sfera della produzione, della distribuzione e del consumo e che forniscono importanti stimoli
per l’innovazione. Queste attività ordinarie generano “economie di apprendimento” di tre tipi:
learning by doing (apprendere facendo)🡪 produce miglioramenti nel processo produttivo; learning
by interacting (apprendere interagendo)🡪 introduce perfezionamenti e innovazioni grazie alle
relazioni con altri soggetti; learning by using (apprendere usando)🡪 aumenta l’efficienza d’uso di
sistemi complessi.
🡪 L’approccio di Lundvall coniuga l’analisi economica con quella istituzionale: tra le due
componenti esiste una relazione circolare di influenza reciproca: le istituzioni vengono intese come
una serie di abitudini e regole che regolano le relazioni tra persone e modellano l’interazione
umana.
❖ MODELLO DI SISTEMA D’INNOVAZIONE SETTORIALE (SIS)🡪 i SIS sono sistemi di innovazione
basati sui settori di produzione. L’assunto di questi sistemi è che le modalità del cambiamento
tecnologico e dell’innovazione dipendano dalle caratteristiche specifiche delle varie industrie e che il
processo innovativo dipenda dal settore industriale🡪 le trasformazioni tecnologiche sono centrali per
spiegare il cambiamento economico🡪 si parla di tecnologica delle differenze: diverse sono le
opportunità tecnologiche e diverso è il grado di appropriabilità economica delle innovazioni; inoltre,
il comportamento delle imprese è plasmato dal contesto, per cui se le basi della conoscenza
settoriale variano con esse variano anche le reti di relazioni con le altre imprese.
🡪Un Sistema settoriale di innovazione e produzione si compone di una “serie di prodotti, nuovi o
già esistenti, per usi specifici, e di una serie di agenti che svolgono attività e hanno interazione (sia
di mercato che non) finalizzate alla creazione, produzione e vendita di quei prodotti.
QUALI SONO GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DI UN SIS?
1) conoscenze e tecnologie🡪ciascun settore ha una sua base di conoscenza e specifici processi di
apprendimento.
2) Agenti e Network🡪 i protagonisti dei SIS sono individui (consumatori, imprenditori, scienziati, etc.)
e/o organizzazioni (imprese, università, agenzie di governo, etc.) in relazione tra loro.
3) Istituzioni🡪 norme, routine, abitudini, pratiche, leggi che plasmano conoscenze e comportamenti
degli attori. Le istituzioni regolano l’interazione tra gli attori e incidono sul cambiamento tecnologico
e sulle attività innovative delle imprese.
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Conoscenze e tecnologie rappresentano i punti centrali dell’approccio🡪ogni SIS ha come suo


fondamento un diverso regime/ambiente tecnologico che si differenzia dagli altri per le condizioni in
cui avviene il cambiamento delle tecnologie (opportunità appropriabilità e cumulatività) e per le
caratteristiche delle conoscenze di base🡪 condizioni di opportunità: la presenza di alte/basse
opportunità definisce un ambiente tecnologico dove esistono ampi/ristretti potenziali d’innovazione
e si creano perciò forti/deboli incentivi a investirvi risorse; condizioni di appropriabilità: un elevato
livello di appropriabilità significa che attraverso vari mezzi (brevetti, segretezza, etc.) l’impresa riesce
a proteggersi dalle imitazioni, traducendo le proprie attività innovative in una fonte di profitto;
condizioni di cumulatività: si riferiscono al grado in cui le conoscenze del passato sono importanti per
produrne di nuove in futuro; le conoscenze di base fanno riferimento al know-how necessario per
l’attività innovativa e si distinguono in base alla natura (più o meno
specifica/tacita/complessa/indipendente) e ai mezzi di trasmissione (formali/informali).
🡪Ogni regime tecnologico si associa a diversi modelli di innovazione. Malerba e Orsenigo si rifanno ai
due modelli proposti da Schumpeter:
1) modello della distruzione creativa (chiamato dai due studiosi Schumpeter Mark I)🡪 “un
cambiamento industriale distrugge incessantemente la struttura economica interna vecchia, creando
incessantemente quella nuova” (Schumpeter)🡪questo processo è tipico dei mercati con basse
barriere all’entrata (capitalismo concorrenziale secondo Schumpeter), caratterizzati da molte PMI e
da innovazioni generate da imprenditori innovatori. Questo modello si caratterizza per elevate
opportunità di innovazione, bassa appropriabilità e cumulatività (a livello di impresa);
2) modello dell’accumulazione creativa (Schumpeter Mark II)🡪 si trova in mercati con alte barriere
all’ingresso (capitalismo trustificato secondo Schumpeter) e processi innovativi dominati dai
laboratori di R&S delle grandi imprese. Questo modello si caratterizza per alta appropriabilità e
cumulatività.
🡪I modelli d’innovazione non sono però statici: cambiano nel tempo, seguendo il ciclo di vita di un
settore e l’evoluzione del suo regime tecnologico. Nella fase iniziale le nuove imprese di piccole
dimensioni sono la molla principale dell’innovazione🡪prevale perciò un modello tipo Schumpeter
Mark I; quando il settore entra in una fase di maggiore maturità e la traiettoria tecnologica si
stabilizza e le barriere all’entrata del mercato si innalzano, si afferma un modello di innovazione di
tipo Schumpeter Mark II.
Nb: non si deve immaginare un’evoluzione di tipo lineare, cioè che tutti i settori passano da S-M-I a
S-M-II; le traiettorie possono essere anche di tipo opposto o si può passare anche a un’ibridazione
dei due modelli! 🡪prendiamo per esempio l’evoluzione del settore farmaceutico che ha conosciuto
diversi assetti strutturali a seguito dei cambiamenti nel suo regime tecnologico🡪 nella prima fase
(1850-1945) la farmaceutica si colloca all’interno dell’industria chimica, dominata da grandi imprese
tedesche/svizzere che avviano la produzione di massa dei farmaci svolgendo poche attività di ricerca;
nella fase 2 (1946- 1980) definita golden age della farmaceutica, le grandi imprese investono molto
di più nelle attività di R&S dotandosi di grandi laboratori interni e si assiste al lancio di molti nuovi
farmaci; nella fase 3 (dal 1980 in poi) la rivoluzione scientifica crea nel settore un nuovo regime di
apprendimento che può essere definito come guided search (ricerca guidata)🡪 vengono varate
nuove metodiche di scoperta dei farmaci che consentono un disegno più mirato e razionale dei nuovi
composti dei farmaci. 🡪Tutto ciò modifica il processo di innovazione e la struttura organizzativa del
settore, che ora vede rapporti molto più stringenti tra imprese e università. I mutamenti avvenuti nel
regime tecnologico del settore farmaceutico ridisegnano gli equilibri tra le imprese incumbents
(grandi imprese leader del 32

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settore) e le new entries (start-up)🡪 il nuovo regime tecnologico dà grande spazio alle nuove aziende
che sono portatrici di grande innovazione, ma per la commercializzazione e lo sviluppo di nuovi
prodotti esse si avvalgono spesso delle imprese farmaceutiche incumbents. Col tempo si è, quindi,
venuta a creare una coesistenza collaborativa tra queste due entità e tende a prevalere un tipo di
innovazione che tende verso il modello Schumpeter Mark I.
🡺 Quindi i processi di cambiamento settoriale non sono lineari, ma procedono attraverso 3 tipi di
processi evolutivi: 1) creazione di varietà che aumenta le opzioni disponibili nelle tecnologie, nei
prodotti, nelle imprese, istituzioni etc.; 2) selezione di una o più opzioni tra queste, che riduce la
varietà nel sistema economico e diminuisce l’uso inefficiente delle risorse; 3) riproduzione della
soluzione affermatasi, che viene replicata creando continuità e inerzia.
Questi tre meccanismi evolutivi, però, non producono equilibri stabili nel tempo e non sempre
selezionano la soluzione migliore in assoluto🡪 il successo e la diffusione di alcune soluzioni iniziali
possono creare situazioni si irreversibilità delle scelte tecnologiche compiute nelle prime fasi di
sviluppo di un’azienda🡪 es. la tastiera QWERTY: questa disposizione delle lettere serviva a non far più
incastrare i martelletti sotto i tasti più utilizzati della macchina da scrivere (prima disposizione per
ordine alfabetico). Ora, questo problema meccanico è risolto, non abbiamo più bisogno della
disposizione QWERTY, ma le soluzioni, seppur migliori e più efficaci, non riescono ad emergere
perché il cambiamento sarebbe soggetto a grandissimi costi di apprendimento e adattamento.
Pavitt🡪 un altro aspetto rilevante dei SIS riguarda i flussi tecnologici tra le imprese e i settori, cioè le
sorgenti dell’innovazione e i processi di diffusione e di utilizzo delle nuove tecnologie. Ha studiato
alcuni modelli ricorrenti di cambiamento tecnologico nei settori industriali e ha formulato la sua
tassonomia settoriale che tiene conto dell’eventuale coincidenza tra il settore di produzione e di uso
delle innovazioni🡪 questa classificazione/tassonomia si basa su diverse dimensioni:
1) le fonti settoriali della tecnologia (valutare se essa viene generata all’interno di un settore o
proviene dall’esterno attraverso l’acquisto di materiali/mezzi di produzione); 2) le fonti istituzionali e
la natura della tecnologia che viene prodotta (fonti della conoscenza e delle innovazioni🡪 o interne
alle imprese o provengono dalle università/centri di ricerca);
3) le caratteristiche delle imprese innovative (dimensioni, attività principali, grado di diversificazione
produttiva, etc.).
🡪Usando come unità di analisi queste dimensioni (aziende innovative, traiettorie tecnologiche etc.)
elabora la seguente classificazione/tassonomia:
❖ Imprese dominate dai fornitori (supplier dominated)🡪 prevalgono nei settori manifatturieri
tradizionali (es. tessile), agricoltura, costruzioni e servizi. Le imprese sono in genere piccole, fanno
poca ricerca e i vantaggi competitivi si basano su competenze professionali, sul design dei prodotti,
sui marchi e sulla pubblicità. Le traiettorie tecnologiche si basano perlopiù sulla riduzione dei costi🡪
le innovazioni provengono dai fornitori di materiali e attrezzature o dai consumatori, dai servizi o
dalla ricerca pubblica.
❖ Imprese a intensità di scala (scale intensive)🡪 operano nei settori di produzione di materiali
(vetro, acciaio…), di beni di consumo durevoli e di veicoli. Le imprese sono medio grandi e puntano a
creare economie di scala attuando una forte divisione del lavoro interno (standardizzazione e
semplificazione dei compiti + meccanizzazione crescente che consente di ridurre i costi di
produzione). Le traiettorie tecnologiche sono prevalentemente orientate all’innovazione di
processo, volte a ridurre i costi🡪 le innovazioni provengono 33

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dalle attività interne di R&S, dalle esperienze nei reparti produttivi o dai rapporti con i fornitori
specializzati di macchinari.
❖ Imprese di fornitori specializzati (specialised suppliers)🡪 operano nella meccanica strumentale e
nella produzione di macchinari e attrezzature. Le imprese sono perlopiù piccole. La loro traiettoria
tecnologica è orientata all’innovazione di prodotto volta a migliorarne la prestazione🡪 le innovazioni
provengono dall’apprendimento per esperienza (learning by doing) e dalle interazioni con gli
utilizzatori (learning by interacting).
❖ Imprese basate sulla scienza (science based)🡪 operano nei settori chimico-farmaceutici ed
elettrici/elettronici. Le imprese sono spesso medio-grandi (con forti barriere d’ingresso) che
intrattengono rapporti con università, centri di ricerca e comunità scientifica🡪le innovazioni
provengono dagli apparati interni di R&S e dalla collaborazione con università e comunità scientifica🡪
producono la gran parte delle innovazioni di processo e di prodotto di quel settore, che poi
vengono usate anche in altri comparti produttivi.
🡪 Un SIS focalizza l’attenzione su dinamiche industriali e sui processi settoriali di competizione,
cooperazione e costruzione reti.
❖ MODELLO DI SISTEMA D’INNOVAZIONE TECNOLOGICO (SIT)🡪 questo modello insiste molto sulla
specificità dei processi conoscitivi e relazionali alla base del cambiamento tecnologico. Fa riferimento
a specifiche tecnologie e non ad un intero settore industriale e per questo può trascendere i confini
settoriali e geografici🡪 tecnologie generiche applicabili a una pluralità di rettori industriali
(oltrepassando la dimensione regionale/nazionale)🡪 un sistema tecnologico è un network di agenti
che interagiscono in una determinata area economica/industriale nel contesto di una particolare
infrastruttura istituzionale e che sono coinvolti nella produzione, diffusione e uso della tecnologia🡪 i
SIT sono definiti in termini di flussi cognitivi ed esperienziali piuttosto che di beni e servizi ordinari.
❖ MODELLO DELLA TRIPLA ELICA (TE)🡪 è un particolare modello sistemico-interazionale dei
processi di innovazione.
Gli studiosi della TE ritengono i SIS più adeguati a studiare innovazioni di tipo incrementali in quanto
assume come protagoniste principali le IMPRESE e si concentra perlopiù sugli aspetti path-dependent
dei sistemi istituzionali; viceversa il modello TE si concentra prevalentemente su innovazioni radicali,
cioè quelle che creano maggiori discontinuità strutturali.
Nel modello della tripla elica non esiste una sfera che possa essere considerata, ai fini dello sviluppo
delle innovazioni, come prevalente sulle altre. A seconda delle diverse dinamiche di trasformazione, il
ruolo trainante può essere assunto in tempi diversi da strutture diverse.
Ciò contribuisce a differenziare il modello della tripla elica in particolar modo da quelle impostazioni
che enfatizzano il ruolo dell’impresa (è questo il caso dell’approccio di Nelson (1993) all’analisi dei
sistemi di innovazione) o dello Stato (come nelle analisi di Sábato (1975) e Sábato e Mackenzi (1982)
sul modello a “triangolo”) all’interno delle dinamiche di innovazione.
Il modello TE è un modello a spirale dell’innovazione, a “vite di Archimede”, che pone al centro le
interazioni tra 3 sfere istituzionali, cioè UNIVERSITÀ-INDUSTRIA-GOVERNO. Questo modello deriva
dalla convergenza di due
opposti assetti istituzionali, di governance:
▪ Modello statalista🡪 il governo controlla
sia l’università, sia l’economia🡪il ruolo

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centrale di promozione della crescita economica e sviluppo sociale spetta al governo.


▪ Modello del laissez-faire🡪 le tre sfere sono indipendenti e
rigidi🡪 il ruolo centrale di promozione della crescita
economica/sviluppo sociale spetta al mercato (liberale).

🡪Nei nuovi scenari competitivi questi due modelli risultano


inappropriati e subiscono pressioni verso una convergenza
istituzionale, ovvero verso la TE. Vi sono due percorsi distinti
Modello Statalista che spingono verso tale
interagiscono molto debolmente perché separate da confini
pressione al modello statalista, che
Modello Laissez-faire
si sviluppa come un processo di
modello: 1) percorso, che fa
 Nel modello TE le università non sono
considerate semplicemente come
fornitori di conoscenza e/o di capitale
umano, ma si trovano a svolgere,
all’interno dei processi di innovazione, un
ruolo trainante che le pone sullo stesso
piano delle imprese e degli organi di
governo🡪 Etzkowitz: “l’industria e il
governo sono stati tradizionalmente
considerati come delle sfere istituzionali
di primaria importanza. La novità del
modello della tripla elica consiste nel porre le università
sullo stesso piano dell’industria e del governo e
nell’attribuire loro un ruolo istituzionale di primaria
importanza”.
Le università assumono esplicite responsabilità di carattere
TRIPLA ELICA
differenziazione istituzionale🡪 dà maggiore autonomia alle imprenditoriale, configurandosi come polo di sviluppo
università e all’industria, portando a un punto di equilibrio territoriale🡪svolgono funzioni economiche attraverso la
caratterizzato dall’interazione tra le 3 sfere istituzionali capitalizzazione della conoscenza [è questo il caso
(maggiore indipendenza e parità); 2) il percorso, che fa soprattutto delle università americane che da tempo (dal
pressione sul modello del laissez-faire, segue un percorso Bayh-Dole Act del 1980) hanno sviluppato una serie di
opposto al precedente🡪 riduce l’autonomia delle istituzioni misure istituzionali, in termini sia di politica brevettuale che
e produce una crescente integrazione tra le 3 sfere di costituzione di strutture per il trasferimento tecnologico,
istituzionali. che facilitano la commercializzazione delle conoscenze
accademiche].
🡪La TE sottolinea come l’innovazione necessiti dell’apporto  Alcune imprese (soprattutto quelle più grandi, che
di tutte e tre le sfere istituzionali fino alla nascita delle dispongono di più fondi per il finanziamento) assumono una
“organizzazioni ibride”, vere e proprie INVENZIONI SOCIALI, funzione parallela a quella universitaria per lo sviluppo di
che sorgono nei punti di connessione tra le 3 sfere e sono conoscenze e le iniziative di formazione. Si parla di una
frutto di una nuova configurazione di rapporti tra UIG, dove “quasi-academic culture” che spinge tali imprese a
le istituzioni assumono crescentemente il ruolo le une delle configurare i propri centri di ricerca interna seguendo il
altre: modello
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del “campus” tradizionale. All’interno di questo tipo di strutture si svolgono non solo ricerche di tipo
avanzato, ma si forniscono anche strumenti per la formazione qualificata.
 Il governo non si limita a predisporre le necessarie misure di regolamentazione del sistema, ma
entra in proprio all’interno di una serie di “organizzazioni ibride” trilaterali e bilaterali che possono
fungere sia da coordinatori che da attori dell’innovazione🡪 funge dunque da “venture capitalist”,
stimolando la ricerca per sostenere la competitività nazionale. Si viene così a formare una fitta rete di
strutture che non sono, in senso stretto, né governative, né universitarie, né imprenditoriali, ma sono
frutto delle collaborazioni tra le diverse sfere.

🡺 La spirale evolutiva della TE si alimenta di processi di circolazione micro, cioè all’interno delle
singole eliche, e macro, cioè tra le eliche, innescando una fertilizzazione interistituzionale. Entrambi i
processi vengono alimentati da: 1) circolazione di individui tra le posizioni occupazionali delle diverse
istituzioni; 2) circolazione di info attraverso i network innovativi; 3) circolazione dei risultati raggiunti
nei vari ambiti che tendono a potenziare gli sforzi innovativi nei settori complementari.
Riassumendo, la TE è una piattaforma generativa di istituzioni che dà vita a nuovi formati
organizzativi (organizzazioni ibride) per promuovere l’innovazione come sintesi degli elementi delle
3 eliche.

MA QUALI SONO QUESTE ORGANIZZAZIONI IBRIDE? ALCUNI ESEMPI:


Agenzie locali o nazionali per il trasferimento tecnologico; agenzie pubbliche per l’assistenza legale e
tecnica alle imprese innovative; comitati di programma per il finanziamento di programmi di
innovazione tecnologica a beneficio delle imprese (in particolar modo delle PMI); organizzazioni per
la gestione di programmi di collaborazione tra università e imprese per la promozione della ricerca
accademica e dell’innovazione industriale, etc.

Le regioni della TE non coincidono necessariamente con i confini politico-amministrativi degli stati e
sono costituite da tre elementi:

1) una fonte di conoscenza🡪 la knowledge space è l’agglomerazione territoriale di attività di ricerca


focalizzate su uno specifico tema, da cui derivano rilevanti sviluppi tecnologici e commerciali;

2) un meccanismo di creazione del consenso🡪 il consensus space è un luogo dove i maggiori attori
regionali, provenienti da settori ed esperienze diverse, si riuniscono per elaborare un progetto
comune creando “reti di discussione” che oltrepassano i confini delle sfere istituzionali;

3) un progetto finalizzato a promuovere l’innovazione🡪 per innovation space si intende una nuova
organizzazione ibrida che promuove l’innovazione su scala regionale, mettendo in collegamento
risorse/persone/reti della TE per realizzare i fini articolati nello spazio del consenso.

Etzkowitz🡪 nonostante la TE dia enfasi sull’interazione e l’apporto di tutte e tre “le eliche”, ritiene
siano le università il vero cuore dinamico della società della conoscenza🡪 nelle università dei paesi
più avanzati (in part. USA) è in corso una grande trasformazione di portata rivoluzionaria. In origine le
università medievali avevano come “missione principale” la preservazione e trasmissione della
conoscenza. Nel corso dell’800 avviene una “prima rivoluzione”, ispirata dalle idee di libertà
accademica, che tende a enfatizzare il ruolo della ricerca come seconda missione del corpo
accademico, da affiancare alla prima missione, cioè quella dell’insegnamento e della formazione del
capitale umano. Negli ultimi decenni del 900 si introduce la terza missione che implica una
capitalizzazione della conoscenza e una maggiore apertura verso l’esterno, legando i
docenti/ricercatori agli utilizzatori finali

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del loro sapere: genera l’università imprenditoriale (entrepreneurial university), che poggia su 4
pilastri: 1) una leadership accademica capace di sviluppare una visione strategica del proprio ruolo;
2) il pieno controllo delle università sulle proprie risorse; 3) una struttura organizzativa in grado di
attivare il trasferimento delle tecnologie mediante brevetti, licenze etc.; 4) una diffusione dell’ethos
imprenditoriale tra gli amministratori, i docenti e gli studenti.
La creazione di start up di origine universitaria ha origini non recenti negli USA (fine 800 c.a.), ma
solo negli ultimi decenni è stato fatto un atto che riconosce alle università i diritti di proprietà
intellettuale sui risultati delle ricerche finanziate dal governo federale. Così facendo si è fornito un
forte incentivo alla valorizzazione commerciale della ricerca accademica dando spinta alla
brevettazione delle scoperte scientifiche. L’ipotesi forte che viene avanzata è quella di una
convergenza dettata dalle esigenze funzionali dell’economia della conoscenza🡪 in questa prospettiva
il modello della TE si configura come un nuovo sistema d’innovazione su scala globale e si assiste a
una progressiva universalizzazione dell’imprenditorialità accademica.

Negli approcci sistemici all’innovazione abbiamo detto che un criterio che li distingue l’uno dall’altro
sono gli spazi, ovvero la GEOGRAFIA 🡪 negli ultimi decenni il dibattito sulla globalizzazione (che
comprende nuove tecnologie dell’informazione, rivoluzione nei mezzi di comunicazione, riduzione
degli ostacoli normativi/tariffari al flusso di merci e capitali) ha fatto pensare a molti studiosi di una
“fine della geografia” o “morte della distanza”🡪 O’ Brien: uno stato dello sviluppo economico in cui la
localizzazione geografica non conta più; Friedman🡪 il mondo è piatto (flat world) in cui le differenze
geografiche si appiattiscono e le relazioni socioeconomiche si omogenizzano

Toffler negli anni 70🡪 le località stanno perdendo di importanza nella generazione di diversità
socioculturali; quindi il luogo non è più fonte primaria si identità🡪le differenze non sono più connesse
al contesto geografico in cui vivono.

IN REALTÀ L’EVIDENZA EMPIRICA CONFUTA QUESTA TESI🡪 la produzione della ricchezza/benessere


non avviene in qualsiasi parte del mondo!

▪ Le imprese si addensano in luoghi specifici (località industriali) dove si trovano aziende simili a loro,
servizi adeguati, manodopera qualificata.
▪ Sono località industriali con tradizioni produttive di lungo periodo e che tendono a riprodursi nel
tempo
🡺 Per questo altri studiosi (soprattutto italiani) invece di parlare fine della geografia, riscoprirono
l’importanza delle località e delle regioni e dell’organizzazione spaziale dei fenomeni sociali ed
economici.

Si è iniziato a parlare quindi anche di geografia dell’innovazione l’innovazione non avviene ovunque
ma si concentra in determinati luoghi, ricchi di risorse legate al contesto socioistituzionale
(università, centri di ricerca, etc.).

PERCHÉ È IMPORTANTE LA DIMENSIONE SPAZIALE PER L’INNOVAZIONE?

1) L’introduzione di innovazione di prodotti e processi produttivi implica interazione tra più attori
(imprese, governi, centri di ricerca), creando un processo di creazione/applicazione di nuove
conoscenze agevolato dalla prossimità territoriale;

2) grazie agli spillover di conoscenza, cioè la circolazione delle informazioni e conoscenze che
vengono prodotte nelle attività di ricerca e innovazione. Gli spillover producono esternalità positive
di cui

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beneficiano anche gli attori che non hanno contribuito a creare le conoscenze. Di conseguenza, le
prestazioni innovative delle imprese dipendono non solo dalle risorse investite al loro interno per
fare ricerca, ma anche da quelle investite da altre imprese dello stesso settore o di settori contigui🡪
L’appropriazione di questi spillover è legata alla vicinanza alla sorgente delle nuove conoscenze e
diventa questa vicinanza sempre più rilevante quanto più l’innovazione viene usata anche come
conoscenza tacita (CT), ossia non codificata.

La CT si crea mediante esperienze maturate in contesti specifici ed è embedded (incorporata) nella


persona che la detiene; questa può essere comunicata attraverso “comunicazioni dense”, cioè basate
su relazioni personali agevolate dalla prossimità dei soggetti coinvolti🡪 la CT è difficile da far
viaggiare su lunghe distanze perché appunto prodotta a livello regionale/locale (spatially sticky).

Polanyi🡪 la CT (da lui chiamata conoscenza “inespressa”) è una forma di conoscenza che, a differenza
di quella esplicita, è difficile da tradurre in forma scritta o codificata e da trasmettere ad altri🡪 noi
sappiamo più di quello che riusciamo a dire.

I motivi che rendono taciti alcuni aspetti della conoscenza sono almeno due:

1) la consapevolezza soggettiva🡪 esistono competenze e prestazioni padroneggiate senza sapere


esattamente quali regole vengono seguite.

2) La difficoltà di comunicare attraverso il linguaggio (parlato o scritto) alcuni aspetti delle nostre
competenze, perciò la loro trasmissione avviene per mezzo dell’esemplificazione e
dell’apprendimento pratico (quindi attraverso l’esperienza di coloro che già sono esperti in un
determinato settore) piuttosto che attraverso la codificazione e lo studio.

La CT è importante proprio sullo sfondo dei processi di globalizzazione🡪 quanto più la conoscenza
codificata circola facilmente attraverso le reti globali, tanto più quella tacita diventa un bene
strategico che produce vantaggi competitivi🡪 la produzione e la diffusione di nuova conoscenza
avvengono spesso a livello territoriale mediante dinamiche di learning through interacting, ovvero
come un processo di apprendimento interattivo radicato nei sistemi territoriali dell’innovazione.

QUAL È IL NESSO CONOSCENZA-AGGLOMERAZIONE TERRITORIALE DEI FENOMENI INNOVATIVI?

Arrow🡪 (anni 60) La conoscenza ha le caratteristiche del bene pubblico. Questo tipo di beni si
contraddistingue per due proprietà: 1) non rivalità nel consumo: la loro fruizione da parte di un
individuo non riduce la possibilità di utilizzo da parte di un altro; 2) non escludibilità dei benefici: è
difficile escludere dalla loro fruizione le altre persone. 🡪 no appropriazione privata.

La conoscenza presenta tratti simili poiché una volta che una nuova idea viene creata può essere
riprodotta, diffusa e consumata da una pluralità di attori senza che questo ne comprometta la
qualità.

PROBLEMA🡪difficoltà di organizzare un mercato efficiente per la produzione della conoscenza🡪 chi


ha sostenuto privatamente tutti i costi per produrre conoscenza e informazioni non può appropriarsi
pienamente di tutti i benefici🡪 perché devono condividerli con altri attori e talvolta questi sono i loro
diretti competitori! 🡪esiste, quindi, un problema di divergenza tra benefici sociali e benefici privati:
un’ampia diffusione delle conoscenze (elevata utilità sociale) produce un deficit di remunerazione
per gli attori economici che le ha prodotte e quindi scarsi incentivi a investirvi risorse (bassa utilità
privata).

Anche in presenza di adeguata protezione legale della proprietà intellettuale, non è possibile
trasformare un bene così intangibile in una merce completamente appropriabile dai privati.
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Da questo insieme di considerazioni discendono due implicazioni: 1) importanza del finanziamento


pubblico della ricerca🡪il rendimento sociale degli investimenti in R&S è superiore a quello privato; 2)
progressiva scoperta da parte dei teorici dello sviluppo del ruolo cruciale delle conoscenze per la
crescita economica.

La conoscenza è legata alla questione dello sviluppo economico e della prossimità territoriale delle
innovazioni tra i soggetti che la scambiano🡪 a partire dalla seconda metà anni ’80 la nuova teoria
della crescita ha iniziato a focalizzarsi progresso tecnologico enfatizzandone due aspetti: 1) il
cambiamento tecnologico è il risultato di decisioni consapevoli di investimenti finalizzati da parte
delle imprese private e di altri attori; 2) questi investimenti producono esternalità che generano
rendimenti sociali crescenti🡪 l’output produttivo delle singole imprese quindi non dipende solo dai
fattori produttivi interni, ma anche dalle conoscenze disponibili a livello collettivo.

Nei decenni successivi allo scritto di Arrow, l’idea che la conoscenza sia un bene pubblico con costi di
diffusione bassi è stata messa in discussione🡪 la conoscenza privata è firm-specific (= ricerca è
calibrata sulle esigenze specifiche dell’azienda che l’ha prodotta e questo non la rende facilmente
trasferibile); la conoscenza pubblica non è esente da costi e complicazioni (=richiede un forte
investimento in capitale umano interno alle imprese, per avere personale capace di cercare
conoscenze al di fuori dell’impresa, di assimilarle e applicarle al processo produttivo interno).

🡪Per questi motivi, la conoscenza a un bene di club (più che a un bene pubblico), cioè un bene
condiviso privatamente da un gruppo limitato di soggetti (un club) che possono utilizzarlo in esclusiva
in virtù di un qualche meccanismo di esclusione. Secondo gli studi sulla geografia dell’innovazione,
uno di questi meccanismi di esclusione sarebbe la prossimità spaziale, che consente solo alle
imprese che operano in un determinato territorio di beneficiare delle risorse produttive che vi sono
localizzati. Inoltre, vi è il convincimento che il trasferimento di conoscenze risulti agevolato dalla
prossimità relazionale tra i soggetti coinvolti.

🡪DUE FILONI DI RICERCA CHE SI INTERROGANO SUL RAPPORTO TRA ATTIVITÀ INNOVATIVE E LA
LORO LOCALIZZAIONE: 1) STUDI SUGLI SPILLOVER DI CONOSCENZA; 2) STUDI SUI SISTEMI DI
INNOVAZIONE REGIONALI (SIR) e LOCALI (SIL).

NB: Tutti gli studi sull’importanza dei “luoghi dell’innovazione” sono accumunati dall’idea che alcuni
territori forniscano “vantaggi localizzativi” che facilitano i processi di innovazione e la competitività
delle imprese. Concordano tu tre punti:

1) la riscoperta delle economie regionali avviene con riferimento alla questione di accumulazione e
circolazione della conoscenza, sia in senso diacronico🡪conoscenze trasmesse di generazione in
generazione; sia in senso sincronico🡪reti sociali che diffondono la conoscenza e le innovazioni sul
territorio.

2) Necessità di una prospettiva interdisciplinare🡪 questi studi si avvalgono del contributo di studiosi
appartenenti a settori scientifici diversi (economia, geografia, sociologia, etc.)🡪 concordano sul fatto
che l’innovazione è un processo complesso che richiede una pluralità di competenze analitiche.
3) Le attività innovative sono radicate all’interno di reti interpersonali e interorganizzative che
necessitano una relazione di prossimità, in riferimento soprattutto alla vicinanza geografica🡪
comunque per prossimità non si intende esclusivamente la vicinanza territoriale: è un concetto
multidimensionale, che comprende prossimità cognitiva, organizzativa e socioistituzionale.

SPILLOVER CONOSCITIVI🡪 Griliches nei suoi studi sugli gli spillover di conoscenza derivanti dalle
attività di R&S pose la questione riguardante l’influenza esercitata dal capitale di conoscenza esterno
a un’impresa sulla loro produttività🡪 la produttività dipende anche dalle conoscenze generali a cui le
imprese possono 39

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accedere, e che può variare tra i diversi settori e le aree geografiche. La capacità di appropriarsi degli
spillover varia a seconda della distanza tecnologica ed economica che li separa dalla fonte di
conoscenza esterna.

🡪Uno spillover conoscitivo è un insieme di idee che i team di ricerca dell’industria “alfa” prendono in
prestito dai risultati di ricerca dell’industria “beta”, cioè di scambi di conoscenze che le imprese di
uno stesso settore (ma capita anche di uno diverso) derivano lavorando su cose simili e, quindi,
beneficiando molto della ricerca reciproca.

Jaffe🡪 Alcune ricerche empiriche su questo tema mostrano che le attività di ricerca correlate (svolte
in aree tecnologiche vicine) consentono, nel corso degli anni, incrementi significativi nelle prestazioni
delle imprese. Inoltre, il serbatoio di conoscenze generali può variare non solo nelle ≠ aree
tecnologiche ma anche in quelle territoriali🡪 negli USA esistano degli spillover, soprattutto di
origine accademica, mediati geograficamente 🡪 le ricerche universitarie esercitano un impatto
diretto sull’attività brevettuale delle imprese, aumentando indirettamente la ricerca industriale🡪le
università esercitano un effetto positivo sull’innovazione, non solo tramite laureati e i servizi che
mettono a disposizione dell’economia, ma anche tramite la diffusione di conoscenze e informazioni
derivanti dalla ricerca universitaria, ossia tramite proprio gli spillover mediati geograficamente.

Le prime ricerche mettono in luce l’esistenza di spillover “vincolati geograficamente” (geographically


bounded) ma si basano esclusivamente su un’evidenza di tipo indiretto, cioè su correlazioni
statistiche a livello territoriale e non esaminano, invece, i percorsi e meccanismi concreti attraverso
cui gli spillover vengono effettivamente prodotti.

Krugman aveva molti dubbi circa la possibilità di fare un’analisi diretta degli spillover🡪 egli lanciò la
cosiddetta nuova geografia economica, sostenendo di poter concentrare la ricerca soltanto sui
fattori di agglomerazione territoriale visibili e misurabili, trascurando l’atmosfera industriale e gli
spillover conoscitivi, perché sono immateriali e difficili da analizzare in quanto non lasciano nessuna
traccia di carta che possa essere usata per misurarli empiricamente.

Jaffe invece si lanciò proprio sulla scoperta di queste tracce di carta, esaminando la distribuzione
geografica dei brevetti per dimostrare che gli spillover di conoscenza sono geograficamente
localizzati🡪 i brevetti riportano le indicazioni sulla localizzazione geografica degli inventori ed è,
quindi, possibile analizzare la dimensione territoriale degli spillover e la loro capacità di viaggiare
attraverso le distanze (attraverso brevetti citanti). In sintesi lo studio mostra due cose: 1) che
malgrado l’invisibilità degli spillover di conoscenza, essi lasciano una traccia di carta nella forma delle
citazioni; 2) che gli spillover di conoscenza sono geograficamente localizzati.

QUALI SONO I MECCANISMI CONCRETI CHE MOSTRANO LA RILEVANZA DELLA VICINANZA


TERRITORIALE PER GLI SCAMBI DI CONOSCENZA E LE ATTIVITÀ INNOVATIVE?

 Molti studi dimostrano che gli spillover di conoscenza sono legati alla qualità e mobilità del
capitale umano e al trasferimento delle conoscenze e capacità innovativa tra le imprese attraverso
meccanismi di mercato. Una mobilità che quando è confinata prevalentemente all’interno di una
determinata area tende a beneficiare la capacità innovativa delle imprese locali.

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 Meccanismi normativi🡪 l’ambiente entro cui avviene la produzione, appropriazione, diffusione del
sapere tacito è fortemente condizionato dal contesto istituzionale che modella sia le transazioni
economiche che i processi di apprendimento: dipende cioè da norme, convenzioni, valori, routine
condivide etc. che discendono da strutture di istituzioni comunemente vissute. Qui frame istituzionali,
che esercitano la loro azione sia a livello nazionale che locale e regionale, pervadono le relazioni di
prossimità entro cui avviene la trasmissione non solo del sapere tacito, ma anche di quello codificato!

❖ MODELLO DI SISTEMA D’INNOVAZIONE REGIONALE (SIR)🡪 l’assunto di base sui SIN è che la
struttura economica e le istituzioni modellano i processi di innovazione; in realtà però non esiste un
solo sistema di innovazione all’interno dello Stato!

All’inizio degli anni 90, alcuni studiosi hanno sottolineato l’importanza della dimensione regionale e
della sua capacità di generare nuova conoscenza. Iniziarono a parlare quindi di learning regions (LR),
cioè regioni che “apprendono”. Si tratta quindi di un promo tentativo di collegare i processi di
innovazione e le reti territoriali nella spiegazione dello sviluppo regionale. 🡪 Nei nuovi assetti
competitivi la conoscenza diventa un bene strategico e i processi d’innovazione assumono una
configurazione reticolare: nessuna impresa riesce a padroneggiarli da sola. La letteratura sulle LR
suggerisce che le economie regionali sono la sede più adatta per rispondere a queste
trasformazioni e si articola in 2 varianti: 1) nordamericana🡪sottolinea il ruolo delle risorse
sociocognitive (università, centri di ricerca, FL specializzata nei settori high-tech dell’economia, etc.);
2) europea🡪 si focalizza sulle risorse socionormative, cioè sul ruolo del capitale sociale e la fiducia
nell’agevolare la collaborazione tra le imprese e i processi di apprendimento interattivo.
Queste riflessioni sulle LR hanno contribuito
alla
nascita del filone di ricerca sui SISTEMI DI
INNOVAZIONE REGIONALE (SIR), che si
colloca in
una posizione complementare rispetto agli
studi sui
SIN, ma non sono una “semplice proiezione su
scala regionale” di questi ultimi🡪 sono sistemi a sé
stanti, con caratteristiche specifiche e differenziali.
Gli studiosi riconoscono una varietà di regimi di
innovazione, in cui le reti di apprendimento si
sviluppano su vari livelli territoriali.
Cooke🡪 SIR= area geografica in cui si realizza una
cooperazione per l’innovazione che coinvolge una
pluralità di organizzazioni (vedi immagine a lato),
grazie a un contesto culturale e istituzionale
favorevole.
Gli assunti di base dell’approccio sui SIR sono:
1. Le imprese innovative sono collocate
all’interno di reti regionali, dove interagiscono
e cooperano con i fornitori, i concorrenti e i
clienti, con le organizzazioni formative, i centri
di ricerca, le agenzie di intermediazione
tecnologica, enti pubblici, agenzie finanziarie,
etc.
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queste organizzazioni facilita e alimenta i processi di innovazione.

SISTEMA DI INNOVAZIONE REGIONALE importante per sostenere questi processi


🡪Le autorità regionali possono giocare un ruolo
regionali/nazionali/globali per commercializzare nuova
conoscenza🡪 nei SIR esistono due lati: quello dell’offerta
(comprende tutte le organizzazioni che producono
conoscenza e formano capitale umano); quello della
Vi è poi una serie di organizzazioni che assumono un ruolo di
domanda (include imprese e organizzazioni che usano
intermediazione al fine di accorciare le distanze e
facilitare i rapporti tra i due lati del sistema queste risorse, cioè conoscenze + capitale umano, per
(offrendo servizi e promuovendo l’interconnessione fra creare e commercializzare innovazioni di prodotto e di
tutti gli attori del sistema). processo).
Quindi due sono i fattori costitutivi:
QUALI SONO I FATTORI COSTITUTIVI DEI SIR? 1. La dimensione della governance🡪 riguarda le politiche
Cooke🡪 un SIR consiste di sottosistemi di produzione e pubbliche e infrastrutture conoscitive che sostengono
sfruttamento della conoscenza, che interagiscono tra loro l’innovazione delle imprese. Il riferimento è alla
e sono collegati con altri sistemi propensione delle amministrazioni regionali a costruire
reti interattive e inclusive che facilitino l’associazione e la
coordinamento complessivo, a livello regionale, risulta
cooperazione tra le organizzazioni locali sia pubbliche o limitato. L’esempio più significativo dell’applicazione di
private. questo modello sono i distretti industriali della Terza
2. La dimensione dell’innovazione aziendale🡪 riguarda la Italia.
struttura economica e industriale, con particolare 2. Il sistema network (a rete)🡪 è più formalizzato e
riferimento alla cultura produttiva e alla capacità di integrato rispetto al precedente. L’infrastruttura
innovazione delle imprese. istituzionale implica vari livelli di governo
(locale/regionale/nazionale) e il finanziamento
Per quanto riguarda la governance regionale, questa si
dell’innovazione deriva da accordi che coinvolgono tutti gli
basa essenzialmente su 5 variabili/dimensioni: 1) fonte attori rilevanti (banche/istituti finanziari, imprese, agenzie
dell’iniziativa; 2) fonte del finanziamento; 3) competenze governative). Le competenze scientifiche si fondano su un
di ricerca; 4) grado di specializzazione; 5) grado di misto di conoscenze teoriche e applicative (che
coordinamento🡪 da queste 5 dimensioni emergono tre consentono sia ricerca di base, sia ricerca near-market
tipi ideali di SIR: sulle esigenze degli imprenditori). La specializzazione
1. Il sistema grassroots (dal basso)🡪 ha origine e si tecnico scientifica è flessibile perché al sistema innovativo
sviluppa tramite iniziative locali, in un’area urbana o arrivano domande provenienti da diversi attori (da
distrettuale. Il sostegno finanziario all’innovazione è aziende che si muovono su scala globale alle PMI locali. Il
diffuso e proviene dalle famiglie, dal sistema creditizio e grado di coordinamento del sistema può coinvolgere un
dalle istituzioni locali. Gli stimoli innovativi arrivano dal gran numero di attori). E’ un modello che non guidato in
mercato. La specializzazione tecnica è debole e orientata maniera esclusiva dal 42
alla risoluzione di problemi che emergono dalla sfera
produttiva. Il grado di coordinamento con le istituzioni
sovralocali è basso. Il sistema fa affidamento sul capitale
sociale radicato in reti informali di collaborazione, Scaricato da Mina Salerno (pietro.salerno@live.it)

piuttosto che in organizzazioni formalizzate. Il


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mercato, ma nemmeno pianificato dal governo regionale🡪piuttosto configura


una governance di tipo reticolare basata su partnership per l’innovazione, in
cui i rapporti verticali di potere si accompagnano a rapporti orizzontali di
cooperazione. Un esempio significativo di questo modello è il sistema
associativo del Baden –Wurttemberg (land tedesco) dei imprese come Porche,
Daimler e Bosch.
3. Il sistema dirigista🡪questo modello di governance riceve i suoi impulsi prevalentemente
dall’esterno, cioè da politiche del governo centrale mirate a
promuovere l’innovazione. I finanziamenti sono centralizzati e i diversi
interventi sono implementati attraverso agenzie pubbliche regionalizzate. Il
coordinamento e la specializzazione sono elevati e le competenze tecnico
scientifiche sono sia di base che applicative, legate alle esigenze di grandi
imprese pubbliche o di provenienza esterna all’area. Un esempio significativo
sono i centri per il trasferimento tecnologico nella regione francese Rhone
Alpes.

Anche per quanto riguarda la dimensione dell’innovazione aziendale, vengono proposti tre idealtipi
di SIR, che tengono conto del ruolo delle grandi imprese, delle relazioni tra aziende e aziende/altri
attori locali e del loro approccio verso l’innovazione:

1. Il sistema localista🡪 il ruolo delle grandi imprese è molto limitato. La capacità tecnico-scientifica
delle PMI è limitata. I finanziamenti e gli istituti di ricerca
pubblici sono pochi, ma ci sono alcuni piccoli centri di ricerca privati che
lavorano insieme alle imprese locali. La capacità associativa delle impresi e dei
governi locali è invece buona.
2. Il sistema interattivo🡪 mix equilibrato di piccole, medie e grandi imprese, sia di origine locale che
esterna. Mix di ricerca pubblica e privata. La capacità di
ricerca e la portata innovativa si dispiega su scala regionale, ma se necessario
anche su scala nazionale o internazionale per acquisire risorse utili
all’innovazione. Sul fronte della ricerca c’è una combinazione di centri pubblici
e privati. Buon livello associativo sia verticale (tra i vari livelli di governo) che
orizzontale (a livello locale).
3. Il sistema globalizzato🡪 dominato dalle grandi impresi che si muovono su scala globale, spesso
basandosi su una catena di valori in cui trovano spazio, a
livello locale, agglomerazioni di PMI. Il potenziale di ricerca è per lo più
concentrato all’interno delle big corporations: è perciò prevalentemente di tipo
privatistico

Sulla base di queste due tipologie di SIR, Cooke ne ha esposto dei casi concreti: propone 5 concetti
interconnessi per definire il grado con cui la regione presa in esame si avvicina al tipo ideale:
1) Regione🡪 intesa come unità politico-amministrativa di livello meso, collocata tra lo Stato e i
governi locali. È essenziale che una regione abbia dei poteri di intervento sul fronte delle politiche
economiche.
2) Innovazione🡪capacità di commercializzare nuove conoscenze relative ai prodotti, ai processi e
all’organizzazione della produzione.

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3) Network🡪 riguarda la presenza di rapporti cooperativi e fiduciari tra gli attori locali/regionali, che
consentono di perseguire degli interessi comuni sul fronte dell’innovazione.
4) Apprendimento🡪 in base al quale le nuove conoscenze/competenze/capacità si diffondono e
vengono assorbite dalle imprese e dalle altre organizzazioni innovative radicandosi nelle loro routine
operative.
5) Interazione🡪 insieme di reticoli formali e informali di relazioni, incontri e comunicazioni
sull’innovazione.
Questi 5 assi consentono dunque di rilevare se una regione possiede o meno un sistema di
innovazione e il grado in cui questo sistema si avvicina al tipo ideale🡪 delle buone prestazioni
economiche richiedono un sistema sofisticato e guidato prevalentemente dal mercato e ciò, secondo
Cooke si verifica più facilmente negli USA che in Europa.
Europa🡪 prevalenza SIR istituzionali🡪basati sulle istituzioni pubbliche di produzione e diffusione
della conoscenza (centri e laboratori di ricerca, università, gli incubatori, etc.) USA🡪 prevalenza SIR
imprenditoriali🡪 guidati dagli attori privati nei settori della new economy. Questo tipo di SIR è più
dinamico ed efficace trovandosi maggiormente a contatto con gli stimoli del mercato.
Recentemente la visione di Cooke sui vantaggi relativi del mercato e delle politiche è diventata più
sfumata🡪 si parla di produrre dei vantaggi regionali costruiti mediante delle politiche di piattaforma:
interventi volti a potenziare i flussi informativi e le capacità innovative regionali anche attraverso
strategie di diversificazione settoriale.
Negli ultimi decenni le ricerche sui SIR si sono moltiplicate🡪 ci sono due tipi di studi: 1. Le analisi di
caso: cioè lo studio delle singole regioni ritenute esemplari;
2. Le analisi comparate, condotte usando uno stesso schema analitico per la rilevazione dei dati e
l’interpretazione dei risultati🡪 esempio analisi comparate di cluster produttivi regionali di 3 paesi
scandinavi: Svezia, Danimarca e Norvegia.
Cluster= concentrazione geografica di istituzioni e imprese interconnesse tra loro che appartengono a
un particolare settore produttivo.
I cluster scandinavi vengono ricondotti a 3 diversi tipi di SIR che ricordano quelli già illustrati da
Cooke:
1. Il primo è definito come una rete di innovazione regionale territorialmente radicata, in cui le
imprese innovano grazie a processi di apprendimento localizzati, stimolati dalla prossimità geografica
e socioculturale (ma con poche interazioni con le organizzazioni della conoscenza);
2. Il secondo è quello dei sistemi di innovazione collegati a una rete regionale: la dimensione locale
e interattiva dei processi di apprendimento è forte, ma il sistema ha un carattere più pianificato e
sistemico, perché vi sono specifiche politiche mirate ad aumentare la capacità innovativa delle
imprese, stimolando la collaborazione con enti di ricerca e istituzioni capaci di fornire servizi avanzati
(su scala locale e regionale);
3. Il terzo è quello del sistema nazionale di innovazione regionalizzato🡪il cluster settoriale e le
istituzioni sono fortemente integrate a livello nazionale e internazionale, per cui l’innovazione viene
realizzata attraverso la cooperazione con attori esterni alla regioni. Anche la conoscenza necessaria
per l’innovazione viene da fuori il sistema regionale ed è perlopiù di tipo scientifico.

Questi 3 sistemi regionali sono collegati ai tre tipi di conoscenza che si fondato su diverse
combinazioni di sapere tacito e codificato:
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1. La base di conoscenza sintetica🡪usata in comparti produttivi tradizionali (es la meccanica).


Vengono impiegate nozioni già disponibili per dare vita a nuove
combinazioni produttive. L’innovazione è incrementale, si basa poco sulla
ricerca scientifica, e utilizza maggiormente il sapere tacito;
2. La base di conoscenza analitica🡪è più presente nelle attività economiche, dove la ricerca
scientifica svolge un ruolo maggiore (settori della genetica,
biotecnologie, informatica). Il sapere codificato assume più rilievo e i processi
innovativi sono di tipo radicale;
3. La base di conoscenza simbolica🡪 fa riferimento alla creazione di significati, desideri e attributi
estetici per beni di tipo culturale e alla loro valorizzazione
economica (settori della pubblicità, media, moda, design). La conoscenza
applicata al processo innovativo è incorporata e trasmessa attraversi simboli,
immagini, suoni, narrazioni🡪 spiccata componente di sapere tacito, legata a
contesti e gruppi sociali specifici.

🡪La prossimità spaziale risulta meno significativa per i processi di apprendimento imperniati sulla
conoscenza analitica, e più elevata per quelli fondati sulla conoscenza sintetica e simbolica.
LEZIONE 5 – 7/11/19

…riprendendo le IMPRESE A RETE…

Qualsiasi ragionamento collegato a un’impresa ha senso se è descritto attraverso il concetto di rete.

L’approccio delle reti è un approccio teorico che è durato molti anni. Il modello di studio Network
Theory🡪 conseguenza è la Small World. La NT è un modello un po’ teorico: si concentra su alcune
caratteristiche dell’interazione tra persone ma non descrive le identità dei soggetti che costituiscono
le reti, si concentra prevalentemente sulle dinamiche delle interazioni/relazioni. È una teoria che dice
che si può fare un grafico di tutti i soggetti: c’è gente che ha delle connessioni più ampie che creano
blocchi di rette (sottorette). Quale è la conseguenza? 🡪ci sono legami più stretti o più ampi e si
strutturano gradi di connessioni. L’approccio della NT viene esplorato molto da Ramella, ma con un
difetto: non fornisce un quadro legati alle caratteristiche specifiche di questo sistema.

Le reti, le possibili applicazioni di questo modello di studio, possono essere aggregazioni di


organizzazioni/soggetti assai diversi. Tra queste organizzazioni:

Joint ventures🡪 le aziende si mettono insieme per obiettivi condivisi.

Consorzi🡪 dove i produttori si mettono insieme per approfittare in modo comune di alcuni servizi (es.
vendita); sono aggregazioni di imprese anche molto ampie (es. AirBus)

reti di franchising🡪 insieme di reti commerciali con lo stesso marchio; sono accordi con l’azienda che
fornisce il marchio e il gestore del singolo negozio che si fa dare il marchio. Chi ha il marchio rende
disponibile una serie di servizi in base alla realtà.

Lo spazio fisico all’interno delle quali si sviluppano le reti è il TERRITORIO; le interazioni tra le persone
sono condizionate dall’ambiente all’interno delle quali si sviluppano, che ha come caratteristica
trainante quella del territorio. Il territorio può esse immaginato per certi versi come una scatola
all’interno della quale succedono cose, ma anche come non una scatola neutra, ma un’opportunità
ricca di caratteristiche e di stimoli. La variabile collegata all’ambiente fisico dove si sviluppano le
imprese a rete ha influenze critiche. Parliamo di caratteristiche generali di rete ma poi è necessario
capire dove è inserita perché può avere degli

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esiti diversi, incide sui risultati, sui profitti. Questo approccio influisce in modo critico rispetto alle reti
e alle specificità delle reti🡪 il concetto di territorio è importante.

Una parola critica all’interno del nostro ragionamento, che ha diversi p.d.v., è il concetto di
prossimità🡪 con prossimità si intende che le persone hanno un contatto diretto; la prossimità
permette delle interazioni dirette. Ci sono state epoche in cui la prossimità era la regola del vivere,
del regolare le questioni quotidiane (il duello è un esempio di prossimità di regolazione diretta di
relazioni). Nella storia, le mura delle città definivano un confine, uno spazio di prossimità, entro cui
sviluppare dinamiche sociali ed economiche. Oggi succede che la capacità di movimento è
enormemente aumentata e quindi se piuttosto che raggiungere un posto a 50 km da noi prima ci
voleva un giorno a piedi, ora ci metto un’ora in macchina. L’altra variabile che interferisce con la
prossimità oggi è la disponibilità della connessione digitale su base globale, che rende la
dimensione dell’individuo una dimensione che ha una rilevanza globale. Da p.d.v. economico ha
conseguente dirompenti: competo con un’azienda non solo vicina, ma che può essere lontana. La
questione è che le aziende vivono all’interno di una dinamica che si è spostata a livello globale,
perché tutti attraverso internet possono comprare o vendere in qualsiasi posto sulla faccia della
Terra; in più i trasporti sono diventati efficienti così posso spostare qualsiasi cosa in poco tempo. La
dimensione entro la quale si sviluppano le persone è una dimensione che è influenzata dall’ambiente
circostante. Ovviamente questo non significa che è “finita la prossimità”🡪 una serie di potenzialità è
commisurata all’interno di un sistema di interazioni dirette interne all’ambiente in cui vivi. La
prossimità permette di assumere persone di qualsiasi tipo e di qualsiasi posto per abbatter ei costi
del lavoro. La delocalizzazione ha instaurato un trend inverso negli ultimi anni🡪 le aziende producono
nel loro luogo di origine, perché rispecchia le caratteristiche/identità peculiari di quel luogo. Questo
significa che c’è incoerenza con il Made in Italy🡪 cioè producendo all’estero e avendo minori costi di
produzione e manodopera si avranno prodotti a basso costo, ma scadenti🡪 per cui è necessario
rientrare in Italia e produrre davvero made in Italy. Le reti sono caratterizzate dalle opportunità che
lo spazio fisico rende disponibili. Localizzare le reti ci permette di capire com’è fatta la rete e com’è
fatto il territorio, quindi dallo studio di queste due caratteristiche si comprende l’identità delle
aziende. La prossimità non è solo una dimensione relazionale, ma è anche una dimensione
imprescindibile per la vita delle aziende🡪 l’azienda è fatta di relazioni tra persone, se non ci sono
buone relazioni l’azienda non funziona. Quindi il territorio è il contenitore o il luogo di opportunità di
reti di prossimità, è imprescindibile nella vita delle aziende. Questo è teorizzato anche nei contributi
sull’economia di agglomerazione (vedi cap. 7 libro), trattando di economia di scala che non è l’unica a
spiegare il significato di economie di aggregazione, ma anche il concetto di prossimità. La dimensione
di prossimità, cioè la possibilità di creare reti, è una delle ragioni forti che stanno dietro al
ragionamento di territorio e di economia di agglomerazione. Il primo concetto è che le reti non sono
astratte, hanno caratteristiche specifiche, individuali, con configurazioni diverse, ma esprimono
un’identità specifica. Anche le reti sono degli individui, che concedono alla rete un’identità specifica
collettiva. Queste reti nel fatto che non sono astratte, si sviluppano all’interno di un ambiente che va
considerato anche nelle sue caratteristiche fisiche🡪 all’interno della sua dimensione materiale
l’ambiente possiamo chiamarlo territorio; all’interno di questo territorio abbiamo una rilevanza delle
relazioni di prossimità e dei riferimenti globali🡪 ci muoviamo in uno spazio di prossimità, avendo
però come termine di paragone il resto del mondo.

NB: le economie di agglomerazione spiegano perché le persone si creano delle reti e sono quelle che
si sviluppano all’interno di uno spazio territoriale; una delle spiegazioni forti di queste economie di
agglomerazione è che le aziende sviluppano in luoghi in cui ci sono altre aziende simili che fanno
cose per approfittare delle stesse risorse (es. materie prime)🡪 cioè approfittiamo tutti dello stesso
servizio in modo che risparmiamo un po’ tutti🡪 il territorio quindi ci permette di avere a disposizione
queste risorse.

CHE COS’È IL TERRITORIO?

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L’ambiente delle interazioni si concentra all’interno di uno spazio che è ampio. Il territorio è lo spazio
di opportunità e delle caratteristiche delle reti; è quella dimensione che produce delle opportunità e
delle interazioni specifiche per la rete che stiamo prendendo in considerazione. Il territorio è lo
SPAZIO DELLE OPPORTUNITÀ, offre opportunità alla rete che stiamo prendendo in considerazione.
Questo spazio di opportunità viene definita attraverso diverse dimensioni, che vanno dalla via
(edificio) al mondo intero. il DISTRESTTO INDUSTRIALE non è un territorio definito formalmente, ma
è uno spazio fisico all’interno del quale si sviluppano delle reti omogenee di alcuni o determinati
settori produttivi.

Ci sono due dimensioni territoriali:

1) AREA METROPOLITANA🡪 Perché per molte dinamiche di innovazione l’ambiente di riferimento è di


tipo metropolitano, cioè di città sufficientemente grandi. Le grandi città offrono grandi opportunità di
innovazione (soprattutto nei settori high-tech). Ci sono nell’area metropolitana distretti industriali
creati da industrie di grandi dimensioni (es. FIAT), con caratteristiche di elevata innovatività e
capacità tecnologica🡪 nell’area metropolitana di Milano ci sono 4 settori di interesse, chiamati
META-DISTRETTI di alta tecnologia: biotecnologie, farmaceutiche, agroalimentari e informatico,
design🡪 questi meta-distretti corrispondono anche ai distretti high tech della Lombardia intera. Le
condizione che sono disposte dalla regione Lombardia per lo sviluppo di questi distretti non solo gli
stessi delle altre regioni, perché ha una possibilità di sviluppo delle aziende completamente diversa,
ha politiche diverse che crea delle differenze tra regioni, collegate non solo al contesto
socioeconomico presente in partenza, ma anche … allora per questo ha senso parlare di LIVELLO
REGIONALE DI INNOVAZIONE🡪 le logiche regionali sono importanti perché 20 anni fa la CE aveva
identificato 4 motori dell’economia europea, cioè 4 regioni (territori di dimensioni più contenute) che
tenevano in piedi lo sviluppo economico e innovativo di tutta la CE e sono: l’area di Barcellona, l’area
del Baden-Wurttemberg (Germania), l’area della Lombardia, l’area delle Rhone-Alpes (Francia)🡪
dobbiamo conoscere, dominare e interagire all’interno del territorio nel quale svolgiamo la nostra
attività, dove l’azienda è collocata, altrimenti chiudiamo.
2) DISTRETTO🡪 l’economia distrettuale è un’economia tradizionale italiana. Il distretto è un punto di
riferimento dell’economia italiana. Il sistema italiano è caratterizzato da una storia ricca di distretti
tradizionali, formati da PMI, (es. Prato nel tessile, nelle Marche per le cucine, etc.), che sono le nostre
eccellenze, che tengono in piedi la nostra economia, di rilevanza internazionale.

I ragionamenti collegati alle caratteristiche del territorio si sviluppano in 3 dimensioni territoriali:


ci sono confini amministrativi
Dimensione regionale🡪 precisi. Ciò vuol dire che ci sono
Dimensione nazionale🡪 norme che regolano le attività.

Dimensione sovranazionale🡪 nel nostro caso è la Comunità Europea.

La teoria S-M è collegata a questo: un’azienda per stare in piedi ha una rete di stabilità, quindi deve
partecipare ad una rete che sia adeguata a quell’azienda.

5. Milieux innovativi 🡪 ossia i SISTEMI LOCALI DI INNOVAZIONE CAP. 7


6. Modelli evoluzionistici 🡪 distretti tecnologici

LEZIONE 6 – 8/11/19

PER ESAME: fare un elaborato in maniera generale o in maniera specifica apportando degli esempi.

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DISTRETTI: perché c’è una concentrazione di spazio territoriale? Perché parliamo sempre di
dimensioni territoriali concentrate? 🡪per l’importanza del concetto di prossimità. Una delle
dimensioni rilevanti dell’interazione si esprime con le interazioni dirette, cioè la prossimità. Poi ci
sono interazioni su base globale che hanno una dimensione di comunicazione digitale. Questa
dimensione territoriale (distretti) ha diversi approcci di studio:

Quantitativi puri🡪 la network Theory è un approccio puramente quantitativo; gli studi sugli indicatori
di innovazione (score board, le classifiche economiche di innovazione) che ci permettono di mettere
insieme alcune caratteristiche misurabili di un territorio. Analizzano: start-up, densità km2, persone,
competenze, rapporti interpersonali (attraverso la teoria dei sei gradi di separazione), rapporti
sociali, centri di ricerca, dottorati, incubatori (spazi fisici dove possono essere ospitate delle start-up
innovative con il vantaggio di pagare meno e avere due servizi concreti cioè servizi di consulenza
sfusa e generale e il confronto con delle problematiche con altre start-up come supporto). In Italia gli
incubatori non hanno funzionato bene, ma all’estero hanno prosperato. Perché in Italia no? Perché
sono incentivi per le imprese innovative e non c’è u modello di sostenibilità, un ente pubblico deve
sostenere i costi per la nascita di queste start-up. All’estero invece ci sono forti investimenti statali, o
la crescita è talmente grande che permette alle aziende di riuscire a stare in piedi. I brevetti (cioè la
formalizzazione di un’idea innovativa, è un documento nel quale descrivo la mia idea e mi attribuisco
la titolarità. Ha due obiettivi principali: fare in modo che quella idea sia riconosciuta come mia; che io
attraverso questa idea possa guadagnarci. È uno dei meccanismi del problema di passaggio da I🡪P. in.
Molti campi per fare questo passaggio si può fare solo se c’è un brevetto) 🡪 misurare un brevetto è
considerato uno degli indicatori più affidabili per misurare il grado di innovazione, ma non è l’unico🡪
possono esserci problemi a produrre brevetti anche se ho un ambiente innovativo e per alcune
innovazioni non servono (es. produzione farmaceutica c’è un brevetto; nel settore informatico non
c’è un suo brevetto, perché nell’informatica non c’è un unico programma, c’è un testo che è origine
del programma ma che può essere modificato anche di una sola riga e questo non risulta già più la
stessa cosa nonostante funzioni allo stesso modo. Il valore del prodotto informatico non sta
nell’algoritmo che l’ha originato, ma nella sua usabilità). I finanziamenti🡪 se noi vogliamo misurare
un ambiente andiamo a vedere una serie di cose, alcune che riguardano l’ambito economico (es. le
aziende, guardiamo il Capitale Umano e le risorse umane con le loro caratteristiche). Aspetti collegati
alla conoscenza (centri di ricerca, università, etc.). Istituzioni e le infrastrutture (infrastrutture sono
fondamentali, quelle fisiche come i trasporti; ma anche la legalità è quasi un’infrastruttura per
l’impresa. Legalità come presupposto tra istituzioni e le infrastrutture). Questo significa che da I🡪P
devo scontrarmi con diversi fattori.

I sistemi regionali o nazionali dell’innovazione sono una fotografia della probabilità di innovazione:
fotografa la realtà ma non mette in luce alcune caratteristiche che a quella realtà non permette di
attuare i processi di innovazione. Questi studi non dicono Il meccanismo interno che mi permette di
capire cosa quel territorio deve fare per imbroccare la strada del miglioramento. I

Misti/qualitativi🡪 si basano su dati astratti, estremamente economici. Usano sì indicatori quantitativi


ma hanno l’ambizione di creare una fotografia di alcune caratteristiche ritenute più importanti per
innescare i meccanismi di miglioramento rispetto alla probabilità di innovazione. Abbiamo 3 grosse
macro categorie:

1. Quella di Florida🡪 in questo modello per vedere qual è il motore innovativo di quel territorio devo
andare a vedere la creatività delle persone; mi concentro sugli indicatori più rappresentativi della
potenzialità delle persone di esprimere la creatività. Costruisco un modello di innovazione dove la
creatività è la sua base. Si includono caratteristiche di creatività in senso ampio: quante persone con
pensieri divergenti, con un numero di conoscenze interdisciplinari molto alto (es. Silicon Valley, San
Francisco)

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2. Quella della TRIPLA ELICA (Etzscovitz): l’innovazione funziona se ci sono relazioni strette tra chi
produce conoscenza, istituzioni e imprese. In un posto, dove le istituzioni, le imprese e centri di
ricerca non hanno relazioni, non ci sono innovazioni. Se è usato in modo semplicistico è povero, ma
se in modo articolato è infallibile perché il fallimento degli incubatori in Italia è il risultato di
un’iniziativa che non include i produttori di conoscenza di questa realtà.
3. Quella dei Milieux innovativi (Camagli)🡪 cioè spazi fisici ma con caratteristiche immateriali; sistemi
territoriali🡪 analizza le relazioni sulle relazioni di prossimità territoriale. Es. i Distretti industriali.
🡪Sono i tre grandi approcci contemporanei alla definizione di innovazione perché si basano non solo
dati economici, perché fortemente polarizzati dalla teoria che origina il modello innovativo. La teoria
S-M è collegata a questo: un’azienda per stare in piedi ha bisogno di una rete di stabilità, quindi deve
partecipare ad una rete che sia adeguata a quell’azienda.

Nei processi di innovazione locale, l’agglomerazione locale delle imprese (che tendono quindi a
localizzarsi in aree delimitate, le une vicino alle altre) crea vantaggi competitivi🡪 questo viene
spiegato dai contributi sulle economie di agglomerazione. Le economie di agglomerazione sono dei
benefici economici per le imprese che solo localizzate geograficamente une dalle altre. Esistono 2
diversi tipi di economie di agglomerazione:

1. Economie di urbanizzazione🡪legate alla dimensione urbana, volume della popolazione, densità


abitativa, etc. 🡪economie esterne di Jacobs (dovute alla diversificazione settoriale e scambio di
competenze complementari)🡪 nelle aree urbane l’addensamento di popolazione, la vicinanza e
interazione tra le persone rendono più fluido lo scambio di informazioni/idee diverse, agevolando
così l’innovazione. A favorire il processo innovativo non è tanto la concentrazione-agglomerazione di
imprese dello stesso settore e l’elevata specializzazione, ma la diversità di attività economiche
collocate nella stessa area geografica. Glaeser🡪 un eccesso di specializzazione settoriale frena la
crescita occupazionale delle imprese industriali, mentre la competizione e diversificazione la
stimolano🡪 gli scambi di collaborazioni, economici e di spillover di conoscenza sono meno importanti
all’interno di uno stesso settore piuttosto che tra settori diversi.

Gli studi sulla varietà collegata🡪 il vantaggio competitivo delle imprese in aree territoriali non è
tanto la diversità territoriale (potrebbe comportare una distanza cognitiva eccessiva) e neppure la
specializzazione territoriali (eccesso di prossimità cognitiva), ma piuttosto la presenza in quel
territorio di una pluralità di specializzazioni in settori tecnologicamente collegati a facilitare
l’apprendimento interattivo e l’innovazione regionale. La diversificazione crea esternalità di Jacobs,
ma non è l’elemento cardine che stimola l’innovazione: è la presenza di plurispecializzazioni in settori
tecnologicamente limitrofi, ovvero la prossimità cognitiva.

2. Economie di localizzazione🡪 derivano dalla co-localizzazione delle imprese di uno stesso settore🡪
le economie esterne di cui possono beneficiare le aziende sono le economie esterne marshalliane
(dovute alla specializzazione settoriale). Questo tipo di esternalità si riferisce a una
entità/dimensione socio-territoriale specifica, cioè il DISTRETTO INDUSTRIALE (DI)🡪 la sua
popolazione è composta da PMI indipendenti e appartenenti a uno stesso settore legate tra loro da
una divisione specialistica del lavoro che consente alle PMI di conseguire un elevato grado di
efficienza e competitività in ogni fase del processo produttivo del distretto. Marshall (fine ‘800)🡪
riteneva che le economie di scala (vantaggi connessi ad ampi volumi di produzione) non erano una
peculiarità solo delle grandi imprese🡪 nelle grandi imprese le fasi di produzione sono all’interno
dell’impresa stessa e i costi sono bassi, ma anche le piccole imprese specializzate in una singola fase
di lavorazione di un prodotto riescono a eseguire lavorazioni molto economiche e di qualità. Quali

Economie interne🡪 dipendono dall’efficienza


organizzativa e dalle risorse proprie delle singole
aziende.

Economie esterne🡪 dipendono dallo sviluppo


generale dell’industria a cui appartengono le
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imprese

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sono i vantaggi competitivi? 🡪 Becattini fa riferimento alle economie esterne che creano 3 vantaggi
competitivi per le PMI:
 Vantaggio legato alle economie di specializzazione, derivanti dalla presenza di un largo numero di
fornitori qualificati e di industrie sussidiarie. Questo consente alle PMI di usufruire di macchinari,
prodotti e servizi a buon mercato.
 Legato a un mercato del lavoro qualificato e specializzato, che mette a disposizione delle PMI un
buon capitale umano in virtù delle tradizioni produttive sedimentate storicamente nella comunità
locale🡪 in queste zone si respira un’atmosfera industriale, avvengono ampi processi di socializzazione
nella famiglia, scuola, laboratori artigianali e nelle imprese e ciò crea una sorta di attitudine al lavoro
industriale inconsapevolmente.
 Vantaggio legato a due aspetti: la circolazione delle informazioni e gli spillover di conoscenza. La
conoscenza contestuale è perlopiù tacita e informale (può essere acquisita solo attraverso lunghi
processi di socializzazione che richiedono una condivisione di esperienze a livello locale). Ciò non
basta per mantenere nel tempo la competitività dei distretti industriali🡪 le imprese devono attingere
anche alla conoscenza codificata che circola nelle reti globali (soprattutto attingere al sapere
scientifico e tecnologico più formalizzato).

Il DI è un ambiente particolarmente favorevole per l’innovazione per diversi motivi:

 Motivi economici🡪 legati alla competizione e divisione specialistica del lavoro  Motivi
normativi🡪 connessi all’etica del lavoro, reputazione professionale e al particolare apprezzamento
che ricevono le idee innovative
 Motivi sociali🡪 connessi alle reti relazionali che innervano l’economia locale. L’introduzione di
innovazioni tecnologiche nel DI assume una caratteristica collettiva e diffusa🡪 è un processo sociale
che coinvolge sia imprese che popolazione/produttori locali.

I processi innovativi godono di due vantaggi: possono avvalersi della creatività individuale dei
produttori indipendenti; possono usufruire della creatività collettiva che coinvolge l’intera comunità
locale🡪 nei DI molti produttori e attori economici si confrontano simultaneamente con gli stessi
problemi, propongono soluzioni che vengono discusse localmente🡪 errori e fallimenti e le soluzioni
diventano patrimonio condiviso e invogliano a testare ulteriori soluzioni tecnologiche e organizzative
per battere la concorrenza, favorendo la ricerca di una vera e propria “innovazione collettiva”.

Nel distretto quindi si dispiega una capacità innovativa diffusa, cioè forme di apprendimento per
esperienza, che sfruttano le conoscenze pratiche maturate operativamente dai produttori (il learning
by doing) e dagli utilizzatori (learning by using) o che scaturiscono dalle relazioni (learning by
interacting). La forte divisione specialistica del lavoro favorisce innovazioni mirate sulle singole fasi
produttive, in un modo molto smile a quanto già messo in luce da Adam Smith. Le conoscenze
distribuite, poi, consentono di introdurre miglioramenti incrementali ai prodotti e ai processi di
produzione.

Quindi le innovazioni nei DI non sono dovute solo a motivi economici, ma anche al desiderio di
affermare la propria reputazione professionale e il proprio prestigio sociale.

In particolare ci sono numerosi DI nella “Terza Italia” (Triveneto, Emilia-Romagna, Toscana, Marche e
Umbria). Sono zone che hanno coniugato una vivace crescita industriale, basata su PMI, con una
solida integrazione sociale e su uno sviluppo diffuso (cioè non concentrato in grandi agglomerazioni
urbane). Perché i DI italiani sono nati soprattutto in queste zone? 50

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Per l’importanza soprattutto di fattori non economici in queste regioni, quindi la loro storia, le
tradizioni artigianali precedenti l’industrializzazione e i loro assetti socioistituzionali.

DISTRETTI TECNOLOGICI🡪 in California si è sviluppato un approccio molto simile a quello dei DI della
“scuola italiana” basato su PMI. Anche in questo caso l’idea di fondo dei DISTRETTI TECNOLOGICI
(DT) è che l’innovazione tragga beneficio dalla prossimità territoriale e culturale, che facilità lo
scambio di informazioni e conoscenze. L’approccio della “scuola californiana delle economie esterne”
sottolinea che la divisione del lavoro tra imprese è una risposta all’incertezza causata dai mutamenti
di mercato e da quelli tecnologici, che tendono ad aumentare i costi delle transazioni economiche🡪
l’agglomerazione territoriale consente alle imprese di ridurre i costi e di avvalersi di economie
esterne che aumentano la capacità competitiva.
REGIONI+LOCALITÀ generano untraded interdipendencies, cioè interdipendenze non economiche=
insieme di relazioni, conversazioni, regole informali, abitudini che facilitano il coordinamento degli
attori economici in condizioni di incertezza🡪 tutta una serie di “beni relazionali”, di learning
economy, che consentono in alcuni territori di apprendere meglio che in altri, trasformando queste
conoscenze in vantaggi competitivi difficili da imitare.
Storper🡪 distretti tecnologici come mondi regionali della produzione= interconnessione di persone,
organizzazioni, oggetti e idee. La prossimità quindi dà un vantaggio importante: possibilità di
instaurare contatti personali, importanti quando l’informazione è imperfetta, soggetta a rapidi
mutamenti e difficile da codificare🡪 l’agglomerazione/compresenza facilità l’interazione tra attori
economici e la possibilità di raggiungere un’intesa (collaborazione). Le reti di relazioni faccia a faccia:
sono un’efficiente tecnologia di comunicazione (controlla sia la dimensione verbale che non verbale);
stimolano fiducia reciproca e collaborazione; facilitano i processi di
socializzazione/apprendimento/monitoraggio reciproco (le reti personali portano alla condivisione di
norme e codici comunicativi, di informazioni affidabili); stimolano le buone performance, l’imitazione
e la competizione.

In questi milieux innovativi la dimensione interazionale e cognitiva assumono un rilievo centrale: il


territorio viene concepito come uno spazio relazionale che stimola i processi di apprendimento
collettivo, incorporati nel “mileu” e nel MDL locale, riducendo l’incertezza connessa al cambiamento
tecnologico. La prossimità spaziale crea canali d’apprendimento di 3 tipi: rapporti stabili e di lungo
periodi con fornitori locali e clienti; un MDL a elevata mobilità dei lavoratori; meccanismi di spin-off
da imprese locali.

La teoria S-M è collegata a questo: un’azienda per stare in piedi ha bisogno di una rete di stabilità,
quindi deve partecipare ad una rete che sia adeguata a quell’azienda.

MODELLI EVOLUZIONISTICI🡪 DISTRETTI HIGH-TECH🡪 negli ultimi decenni gli studi sui SIL hanno
affrontato in maniera più sistematica anche i contesti dell’alta tecnologia, in particolare della Silicon
Valley.
Saxenian compara proprio la SV con la Route 128 di Boston (R128)🡪 negli anni 70 erano stati leader
mondiali nell’elettronica e dagli inizi degli anni 80 vivono delle sfide radicali dovute all’aumento della
concorrenza internazionale (soprattutto giapponese e sudcoreana). Nel rispondere a queste sfide le
due aree intraprendono due traiettorie di sviluppo divergenti, che dipende dalla struttura
economica delle due aree. Il sistema produttivo locale si compone di 3 elementi:

51

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La SV è un sistema industriale basato su reti


orizzontali interaziendali. È un sistema
simile a quello dei DI italiani la R128 è un
sistema basato su aziende autosufficienti
1. Cultura e istituzioni locali. integrate verticalmente
2. Struttura produttiva.
🡪È il sistema produttivo a rete ad aver
3. Organizzazione interna delle aziende. Quello
garantito alla SV un vantaggio competitivo
cruciale, tanto che entro la fine degli anni
80

della SV è un sistema decentralizzato

adeguato a un ambiente tecnologico in rapido mutamento, che stimola l’esplorazione di una varietà
di percorsi tecnologici, rendendo porosi i confini tra grandi e piccole imprese e tra settori diverse.
Un sistema come quello della R128 basato su aziende autosufficienti è adatto a un contesto
tecnologico e a un mercato più stabile che beneficia di forti economie di scala.

🡪È il sistema produttivo a rete ad aver garantito alla SV un vantaggio competitivo cruciale, tanto che entro
la fine degli anni 80 l’area di Boston cede alla SV la leadership nella produzione di pc. Quello della SV è un
sistema decentralizzato adeguato a un ambiente tecnologico in rapido mutamento, che stimola
l’esplorazione di una varietà di percorsi tecnologici, rendendo porosi i confini tra grandi e piccole imprese e
tra settori diverse. Un sistema come quello della R128 basato su aziende autosufficienti è adatto a un
contesto tecnologico e a un mercato più stabile che beneficia di forti economie di scala.

🡺 Per Saxenian non sono la prossimità territoriale e le economie di agglomerazione a spiegare la diversa
evoluzione delle due “regioni”, ma un’analisi delle reti dei sistemi produttivi. La sociologa applica le
stesse categorie analitiche dei DI anche nei distretti high-tech (come quelli della SV) perché si
dispiegano dinamiche di apprendimento collettivo e di innovazione diffusa come nei DI italiani. I
distretti high-tech sono specializzati in settori produttivi che sfruttano le nuove tecnologie connesse agli
avanzamenti scientifici🡪farmaceutica, biotecnologie, ICT, etc.

TRIGILIA🡪 non tutte le produzioni dell’alta tecnologia assumono una configurazione distrettuale; ciò
avviene solo se vi sono tre condizioni:

1. Il processo produttivo deve essere scomponibile in diverse fasi o componenti


2. L’incertezza delle traiettorie tecnologiche deve stimolare la condivisione dei rischi e dei costi
dell’innovazione
3. La variabilità del mercato richiede un’elevata flessibilità organizzativa e relazionale, e stimola la
continua ricerca di nuove soluzioni produttive.

In tali condizioni le economie esterne all’azienda ma interne all’area territoriale assumono, come nei DI
tradizionali, una grande importanza🡪 Esse sono il prodotto di beni collettivi locali per la competizione e
possono essere tangibili e intangibili: tra le prime vi sono le infrastrutture e i servizi locali; tra le seconde
troviamo sia risorse cognitive che normative come la conoscenza tacita, le convenzioni, le norme di
reciprocità e il capitale sociale locale.

Le PMI non sono in grado di produrre da sole questi vantaggi competitivi, che vengono invece generati
e forniti all’interno del sistema di produzione locale come dei tipici beni collettivi o di club.

Le PMI dell’alta tecnologia (i distretti high-tech) hanno, rispetto ai DI tradizionali, degli elementi

tipici: 52

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1. Necessità di accesso alla ricerca e collegamento con strutture scientifiche e universitarie ( e quindi
anche con grandi imprese)
2. Necessità di fornitori specializzati di beni e servizi avanzati specifici per le imprese high-tech 3.
Necessità di un contesto fornito di aree attrezzate e parchi tecnologici e adeguate infrastrutture di
comunicazione.
4. Nei sistemi produttivi high-tech conta molto anche la qualità socioculturale e ambientale del
sistema locale. La qualità del contesto condiziona le possibilità che si formino delle comunità
professionali innovative.
5. Il senso di appartenenza territoriale diventa meno rilevante e assume una maggiore centralit à
l’appartenenza alla comunità professionale.
6. Ruolo familiare e delle reti parentali è meno cruciale. Non si tratta di imprese famiglia (come
spesso accade nei DI tradizionali) ma più che altro di imprese di soci (formate spesso da ex studenti
universitari o ex colleghi)
7. Percorsi formativi degli imprenditori più formalizzati e basati su lunghe fasi di istruzione. 8.
Capitale sociale meno basato su reti parentali e comunitarie.
9. La governance locale è più basata su processi intenzionali di cooperazione tra attori pubblici e
privati piuttosto che su quanto ereditato dalla storia della comunità locale.

🡪 Come i distretti tradizionali, anche quelli high-tech si basano su una costruzione sociale
dell’innovazione che è localmente radicata.

Recenti studi hanno mostrato che il profilo socio-territoriale dei sistemi leader dell’innovazione è
molto diverso tra alta tecnologia e meccanica (tradizionale):

1. Nell’ alta tecnologia🡪emerge una connotazione metropolitana, cioè un radicamento nelle grandi
città del nordovest con buona dotazione di università e laureati e un ruolo rilevante delle grandi
imprese.
2. Nella meccanica🡪 emerge un addensamento maggiore nelle regioni e nei sistemi produttivi della
Terza Italia con maggiore presenza di medie imprese.
Ma quali sono i tratti distintivi delle imprese fortemente innovative (sia della meccanica che dell’alta
tecnologia)? Messi a confronto con altri sistemi economici locali di controllo, ciò che differenzia di più
i sistemi leader rispetto agli altri è la qualità dei beni collettivi locali.🡪Affinché si sviluppi un sistema
locale fortemente innovativo è necessaria, oltre a una base economica e imprenditoriale adeguata,
una buona dotazione di capitale umano e di centri universitari, una rete infrastrutturale sviluppata,
servizi qualificati, una buona qualità della vita.

In conclusione, le indagini condotte sui sistemi innovativi locali dell’alta e medio alta tecnologia
mettono in luce diversi punti:

1. A livello nazionale si osservano almeno due diversi sistemi settoriali e territoriali dell’innovazione
(meccanica e alta tecnologia), che hanno modi di innovazioni e radici socioterritoriali distinte (vedi
sopra).
2. È quindi importante un’analisi condotta su scale territoriali diverse (nazionale, regionale, locale…).
3. Le analisi sui sistemi di innovazione hanno bisogno di microfondazioni, relative alle strategie degli
attori e delle loro relazioni 🡪 l’enfasi sul carattere sistemico dell’innovazione non deve indurre ad
annullare il ruolo dell’agency e delle reti relazionali🡪 Il ruolo cruciale dell’agency non riguarda solo le
imprese, ma anche i territori: infatti in uno studio erge

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l’esistenza di poli urbani high-tech raggruppati in 3 tipi distinti: le città metropolitane; le città medie
universitarie; le piccole città

I meccanismi generativi che creano questi sistemi locali specializzati nell’alta tecnologia sono: 1. Di
contesto (dotazioni naturali e storiche, economie esterne…), a cui ci si riferisce parlando di città
–sistema.
2. Di agenzia, legati all’azione imprenditoriale e all’intervento intenzionale di attori pubblici e privati,
che delineano la città-attore.

🡪I poli urbani dell’alta tecnologia nascono dall’intersezione della città-sistema e della città attore;
dall’incontro di alcuni attori innovativi e i fattori di contesto da essi attivati e valorizzati.

TRAENDO DELLE CONCLUSIONI: Ciò che quindi accomuna i diversi approcci/modelli di innovazione
(SIN, SIS, SIR, SIL, DI, ETC.) sono i seguenti elementi:
1. Importanza della dimensione geografica🡪 attività innovative tendono a concentrarsi
territorialmente,

2. Centralità di conoscenza e capitale umano🡪 nei nuovi scenari produttivi globali diventa centrale la
creazione di nuove idee,

3. Importanza del contesto socio istituzionale e dei beni collettivi locali capaci di generare economie
esterne🡪 che aumentano capacità innovativa delle imprese

4. Dimensione sistemica e reticolare dell’innovazione con particolare attenzione all’aspetto


relazionale🡪i legami deboli/forti veicolano risorse cognitive di varietà e risorse normative di coesione
e fiducia

Come detto più volte, il territorio va inteso come un contesto relazionale in cui avviene la
costruzione sociale dell’innovazione. Ciò non significa che le relazioni che si svolgono al suo esterno
siano irrilevanti🡪 la partnership con imprese o università extraregionali, le politiche nazionali e gli
interventi dei global players (es le imprese multinazionali) possono avere una grande importanza per
i territori.

Per capire la dimensione territoriale bisogna analizzare l’innovazione applicando una serie di livelli
esplicativi:

1. Analisi di tipo ecologico sui fattori di contesto (cioè sugli assetti istituzionali, beni collettivi, risorse
economiche di un’area).

2. Analisi di tipo individuale sui fattori agenzia (sulle strategie e azioni messe in campo da attori locali
e non).

3. Analisi di tipo relazionale sulle relazioni interpersonali e interorganizzative (le relazioni esercitano
un’influenza autonoma rispetto agli elementi contestuali e alle azioni individuali).

Fondamentale per l’analisi del processo di innovazione è mai dare per scontato che la dimensione
geografica, locale e regionale risulti sempre determinante per l’innovazione🡪 la sua rilevanza va
desunta a partire da ricerche empiriche e da quanto emerge nei comportamenti e nelle relazioni
degli attori. Ciò consente di capire quanto le loro risorse dipendano dal contesto e quanto da forme
di prossimità di tipo non geografico. Non a caso nella geografia economica siamo di fronte a una
progressiva relativizzazione

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dei concetti di distanza e prossimità: la distanza diventa socializzata e di conseguenza la prossimità


diventa un concetto multidimensionale.

Boschma🡪 individua 5 dimensioni della prossimità:

1. Prossimità cognitiva🡪 connessa alle diverse basi di conoscenza degli attori economici

2. Prossimità organizzativa🡪connessa alle diverse soluzioni approntate per la collaborazione e


scambio di conoscenze
3. Prossimità sociale🡪connessa ai legami interpersonali

4. Prossimità istituzionale🡪connessa alle istituzioni che definiscono valori e norme di condotta

5. Prossimità geografica 🡪 connessa alla distanza spaziale

Per Boschma esiste una relazione a U invertita tra prossimità e innovazione: sia troppa che poca
vicinanza possono ostacolare invece di favorire l’innovazione.

🡺 Troppa vicinanza crea effetti di lock-in (blocco) perché troppa somiglianza crea un deficit di varietà
nelle risorse cognitive che non stimola l’innovazione;

🡺 Troppa distanza non genera coesione e fiducia creando ostacoli all’interazione e allo scambio di
conoscenze.

🡺 La prossimità geografica non è perciò condizione necessaria e neppure sufficiente per


l’innovazione anche se può facilitarla innescando le altre dimensioni della prossimità e rinforzare la
loro azione.

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LAVORO DI GRUPPO - STATI GENERALI DELLA FORMAZIONE E DEL LAVORO


PARTECIPAZIONE AGLI STATI GENERALI DELLA FORMAZIONE:

BISOGNA PARTECIPARE PROPONENDO UN’IDEA E COMMENTANDO LE ALTRE IDEE PROPOSTE. CI


SONO CIRCA 200 FORMATORI PROFESSIONISTI E PERSONALE DI ENTRI DI FORMAZIONE. LAVORO
ORGANIZZATO IN 5 ARGOMENTI DI DISCUSSIONE DI CUI 1 ARGOMENTO SULLE PROBLEMATICHE
DELLA FORMAZIONE. LE DINAMICHE DI INTERCULTURA SONO IMPRESCINDIBILI NEL MONDO DELLE
RISORSE UMANE (AMBITO SVILUPPO HR); ANCHE LA COMUNICAZIONE DIGITALE è IMPORTANTE NEL
MONDO HR. UN ALTRO TEMA PROPOSTO DALLA PIATTAFORMA è L’INNOVAZIONE SOCIALE E LA
SHARING ECONOMY🡪 PROPORRE UN NUMERO SEMPRE Più AMPIO DI BENI E SERVIZI. QUESTE
DINAMICHE CREANO NUOVI SCENARI ECONOMICI. ANCHE DISCUSSIONE SUL MONDO DELLA
FORMAZIONE E SVILUPPO DELLE RISORSE UMANE.

Finanziarizzazione dell’economia🡪 la capacità di svolgere attività per la presenza di pc e conoscenza


digitale ha permesso all’economia finanziaria collegata al lavoro della borsa di esplodere🡪operare
all’interno del mondo finanziario è incrementata a dismisura fino alla sua esplosione, per poi
implodere nella crisi del 2007/2008. Ciò è dovuto alla diffusione delle tecnologie digitali: il valore
economico in molti contesti è slegato da un valore effettivo, ma si riconduce a dei numeri che su
trovano sul pc. I casi si collegano alla sharing economy, all’economia della condivisione🡪 sono stati
intercettati comportamenti e aspettative e costruite piattaforme ad hoc che funzionano, come
appunto gli Stati Generali o il Crowdfounding (il reperimento di risorse economiche tramite una
piattaforma per progetti di varia natura. Dal p.d.v della formazione il Crowdfounding è
fondamentale🡪 le banche non danno grosse garanzie di finanziariamente dell’idea🡪piattaforme più
efficienti, serve a finanziare in genere start-up o aziende comunque innovative). Il crowdsourcing è
invece scollegato da aspetti di tipo economico ma costituisce una potente risorsa dell’innovazione
sociale🡪 è in sé scollegato da una diretta rilevanza economica. Il Crowdsourcing vuol dire che le
persone possono esprimere opinioni su argomenti di discussione di interesse o partecipare alla
creazione di una conoscenza collettiva. Questo processo di creazione di conoscenza collettiva è una
delle basi di qualsiasi produzione di conoscenza (es. per l’innovazione la conoscenza interdisciplinare
è imprescindibile). Per la creazione di contenuti è necessaria una rete, quindi vuol dire che ci sono
persone differenti che, interagendo, in qualche modo devono produrre idee. E la conoscenza
diventa conoscenza innovativa. Come formatori, il sottoprodotto di questo ragionamento è il team
working cioè le persone devono imparare a interagire non solo per produrre conoscenza innovativa
ma anche per sopravvivere nei contesti di lavoro. Il crowdsoursing ha due contesti di riferimento:

1. Coinvolgimento dei beni comuni🡪per decisioni di carattere comune o pubblico (es. nei referendum
in Svizzera)
2. Coinvolgimento del Mktg🡪Molte aziende usano progetti di CS per coinvolgere i consumatori. In
molti casi le aziende acquisiscono idee e fanno quindi progettazione innovativa gratuita

🡪 la sharing economy permette il riuso di un oggetto, senza doverlo necessariamente comprare.

Attraverso il crowdsourcing si chiedono e si discutono idee: azzera i tempi di negoziazione di un


dibattito/discussione. Ogni iscritto alla piattaforma può commentare le idee proposte🡪 c’è un
algoritmo che propone una classifica delle idee presenti.

I 5 ARGOMENTI SU CUI HANNO DISCUSSO I FORMATORI: vi sono 4 scenari di fondo e uno sulle
problematiche del mondo della formazione.

1. Innovazione sociale e nuovi scenari economici (5 fasi fino ad arrivare alla selezione delle idee
migliori)
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Individualmente e a gruppi dobbiamo partecipare alla produzione e al commento di idee. Sociologia

dell’innovazione dell’impresa

prima lezione (10/10/2019)

Frequentanti:
1. (prende le firme) 75%
2. Partecipazione
3. Elaborato (novembre un tema, riflessivo, che tratta gli argomenti del libro)
4. Lavori di gruppo
5. discussione
Valutazione individuale senza esame, basta frequentare (media pesata: 5 elementi di valutazione)
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