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SVEVO E IL NARRATORE INATTENDIBILE

Nel 1923 Svevo è allo stesso tempo estraneo ed estromesso da qualsiasi circuito letterario, ma è
altresì un intellettuale raffinato, conoscitore della narrativa internazionale, con un bagaglio
psicoanalitico superiore alla media un suo parente era stato peraltro anche in cura da Sigmund
Freud e aperto a tutte le nuove sollecitazioni culturali. Al tempo stesso Svevo e anche romanziere
nel senso più pieno del termine e dunque la ricerca del grande pubblico il cui consenso mai ottenuto
e cercato ossessionatamene.
La coscienza di Zeno vi sono molteplici sabotaggi, che mandano in frantumi il fiducioso patto
narrativo: e questi sabotaggi riguardano specificatamente la voce narrante. La posizione del lettore
all’interno dell’opera e proietta al dubbio, allo scetticismo e all’interpretazione, piuttosto che
alla ricezione del resoconto. Svevo dà forma a un nuovo lettore, che possiamo chiamare
novecentesco, possiede gli elementi che rendono il narratore inattendibile e dunque l’intera
vicenda narrata in affidabile. Il lettore deve progressivamente acquisire la consapevolezza che la
storia scritta da Zeno è viziata fin dall’origine.
Questa aggressione alla veridicità del racconto si realizza attraverso tre dispositivi:
- la prefazione del dottor S;
-le menzogne esplicite di Zeno;
-il sistema dei narratori.

1) possiamo notare come già dalla pagina iniziale colpisce in modo particolare, Svevo attraverso il
dottor S avverte che quel che si legge è un miscuglio di dati veri e di menzogne. Anche se possiamo
dire che si tratta di un dato che può non disturbare eccessivamente il lettore e che poi possa essere
sfruttato da questo per creare appunto un lettore scettico e sospettoso.
E le avvertenze del dottor. S hanno dunque l’obiettivo di screditare l’attendibilità di Zeno narratore
e di conseguenza di predisporre lettore a un allenamento che abitua a scoprire, piuttosto che a
recepire la veritá.

2) Lo stesso Zeno narratore, il quale svela le sue mancanze e rivela dunque la sua attendibilità
mantenendo la cosiddetta zona d’ombra come nel caso ad esempio della locomotiva che sbuffa,
sembra una scena senza senso, tanto che lo stesso Zeno si domanda cosa significhi questa
immagine, sembrerebbe una stramba fantasia; poi si arriva ad un certo punto del romanzo in cui egli
stesso svela il significato di questa locomotiva riconducibile al respiro del padre nell’agonia prima
della morte e chiarendo quindi in un secondo momento il significato profondo dell’immagine.
E proprio da questa spiegazione il lettore è indotto poi a dare pari importanza la seconda immagine
presentata nel preambolo ovvero il cosiddetto bambino in fasce ma questa scena non verrà mai
spiegata, configurandosi come una vista narrativa cieca, una promessa non mantenuta come nel
caso anche del fratello che viene spesso citato durante la narrazione ma è come la madre ma questi
percorsi vengono diciamo definiti abortiti e in un certo senso indeboliscono lo statuto del
narratore lo rendono meno attendibile agli occhi del lettore.
Zeno cessa di essere un dispositivo di verità; un altro esempio potrebbe essere l’oscillazione dell’età
di Zeno in base alla cronologia interna il protagonista dovrebbe avere 33 anni mentre quando ci
racconta poi il decesso del padre egli stesso dichiara di averne 30. Il testo non chiarisce l’ambiguità,
che resta tale quindi ormai lettore non si stupisce più di questi cambiamenti. Riconoscendo che
all’interno del testo sono presenti delle zone oscure, confuse e contraddittorie. E secondo le
parole di Mario Lavagetto “trasformando una storia vera in una storia falsa o meglio ancora
potenzialmente falsa”. Ma sarà lo stesso Zeno a dichiararlo tale alla fine del romanzo quando
scriverà “una confessione in scritto è sempre una menzogna”.

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Le mie impressioni: Perché non certo senso attraverso la scrittura non viene raccontata la verità,
perché noi quando scriviamo tendiamo sempre a dare già una versione diversa ma non perché
vogliamo mentire ma semplicemente perché vogliamo utilizzare ad esempio un linguaggio diverso,
un artificio particolare, non c’è la spontaneità del dialogo per poter poi descrivere l’avvenimento.
L’atto della scrittura finisce per alterare ogni contenuto.

3) Zeno dunque è un narratore inattendibile perché è bugiardo, omissivo e spesso incapace di


comprendere lui stesso gli eventi che racconta. Zeno scrive per un destinatario preciso il suo
psicanalista. É naturale pertanto Che lo Zeno narratore selezioni gli argomenti per il dottore,
cercando di compiacerlo da bravo paziente o anche di aggredirlo, dunque non è una pagina in
piena libertà, ma sempre vincolata. Zeno non è l’unico narratore del racconto. Il racconto di Zeno
ingloba all’interno: quello del dottor. S, che pubblica le memorie del suo paziente e per primo
prende la parola pronunciando peraltro il sacro pronome personale io. Insomma dottor. S è un
soggetto agente, sia come personaggio sia come narratore: scrive, compie delle scelte editoriali.
Anche il dottor. S occupa, insieme a Zeno, il posto riservato al narratore, ma lo psicanalista é
inattendibile dal punto di vista medico, in quanto stravolge la seduta di terapia basata sulla
parola parlata ancor più irresponsabili da un punto di vista etico e morale pubblicando per
vendetta le memorie del suo paziente. Chiaramente si presenta al lettore come un soggetto
irresponsabile, inaffidabile e inattendibile.
Quindi abbiamo: uno Zeno narratore che a sua volta ingloba quello di Zeno personaggio e quello
del dottor. S; ma tutti e tre gli emissari di parola sono bugiardi o disonesti o semplicemente
incapace di comprendere gli eventi: in ogni caso inattendibili.

Il lettore, dal canto suo, è portato a seguire questa successione di eventi, e nel farlo compie
un’esperienza: quella di scontrarsi con una narrazione che nasconde più di quanto rilevi.
I’inattendibilità che abbiamo collocato alla base il romanzo e qualcosa che chi legge deve
progressivamente scoprire, non perché gli viene detta ma perché la scopre nell’atto stesso di lettura.

WOOLF E L’IMPRESSIONISMO
Sulla coppia terminologica “impressione e impressionismo” convergono questioni di ordine
diverso: artistiche, filosofiche, letterarie. Inoltre, quella dell’impressionismo è una vicenda che si
sviluppa perlopiù tra Francia e Inghilterra tra ottocento e primo novecento e dobbiamo dire che la
coppia assume valenza critica, in arte come letteratura, a metà degli anni 70 dell’ottocento. In breve
tempo, il termine impressionismo passa a designare una pittura che restituisce la sensazione
prodotta da un paesaggio, più che rappresentare il paesaggio stesso. Una pittura, cioè, che
riproduce uno stato mentale. Ed è sempre in Francia che il termine trapassa in ambito letterario
legato soprattutto ai caratteri stilistici.
Per la Wolff, la coppia terminologica impressione impressionismo ha particolare importanza.
Infatti la Wolff tramite filosofi e la sorella Vanessa pittrice, nonché tramite l’intesa frequentazione
degli ambienti artistici che rielabora e importa l’eredità impressionista nella letteratura. Possiamo
dire quindi che Woolf non si limita solo alla descrizione della realtà sensibile, ma invece coglie
strategie compositive, sistemi dei personaggi e tecniche narrative. Ciò presuppone, in letteratura,
la ricerca di una forma linguistica atta a restituire l’impressione sensibile anche in assenza di
un soggetto. Parliamo ad esempio della tecnica del monologo interiore che era già stato usato ad
esempio nel caso del romanzo di Tolstoj Anna karenina ma eravamo all’interno di un impianto di
narrazione tradizionale che prevedeva la presenza di una voce narrante principale che dava e

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coordinava un senso al tutto. Nel caso di Wolff invece siamo in una continuo vagare della
coscienza che muta al variare delle impressioni, il variare dell’interiorità a seconda delle
osservazioni e del mondo esterno. Come infatti sottolinea Auerbac Virginia Wolff non tratta di un
solo oggetto e delle impressioni del mondo esterno sulla coscienza di questo ma di molti soggetti
che cambiano spesso. Riallacciandoci ad Auerback l’attenzione ad esempio che viene rivolto
all’oggetto come nel caso del calzerotto marrone diviene in un certo senso il mezzo per dare poi
voce allo spazio, e alle molteplici coscienze. Infatti il romanzo di Wolff è passato alla storia come
“romanzo a flusso di coscienza” in riferimento ai due romanzi più celebri della scrittrice ovvero la
signora DallaWay e Al faro in essi troviamo un’istanza narrante attraverso la quale Wolff sfrutta al
massimo la possibilità dell’indiretto libero abbiamo quindi una narrazione impersonale che
riproduce uno “scivolamento impercettibile del punto di vista da un personaggio all’altro”.
Il carattere modernista risiede proprio nella capacità di far parlare la coscienza dei
personaggi, l’azione è interiore mentre quella esteriore sono pochissime possiamo dire che non è
che succede qualcosa di particolare, succede tantissimo ad esempio nelle coscienze di vari
personaggi. Infatti Auerbac dirà anche che il narratore come narratore di fatti obiettivi passa
completamente in secondo piano, quasi tutto ciò che ha detto e il riflesso della coscienza dei
personaggi. Infatti ci troviamo dinanzi ad un romanzo che sembra farsi da solo, non c’è un
punto di vista unico attraverso cui noi possiamo guardare le vicende c’è un continuo
spostamento derivato appunto dalla coscienza dei personaggi.

Le mie impressioni: Io stessa ad esempio andavo in confusione rileggevo le pagine più e più volte
perché perdevo diciamo il l’interlocutore, perdevo il personaggio in quel momento parlava di
qualcosa mi descriveva qualcosa e quindi andavo a ritroso per ritrovare quello che era il filo
diciamo conduttore di tutto. (Pag. 32 esempio).

Auerbac sottolinea che Virginia Wolff non tratta di un solo oggetto e delle impressioni del mondo
esterno sulla coscienza di questo, ma di molti soggetti che cambiano spesso quindi Si verifica poi
quello spostamento tra l’esteriore e l’interiore e la loro interazione.

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