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qualsivoglia fede, quella di Juan Ramón si potrebbe defi-
nire come una religiosità in costante movimento, qualco-
sa di simile a un’incessante ricerca — di sé e del divino—
che vede implicate poesia e vita.
Congiuntamente a un deismo intimo e tollerante proprio
dell’institucionismo kraussista, a influenzare fortemente la
formazione spirituale del poeta contribuirà inoltre, e in modo
decisivo, l’incontro con l’induismo. Filtrato dapprima dalla
lettura di Schopenhauer, filosofo molto letto e apprezzato
negli ambienti modernisti frequentati dal giovane Juan
Ramón, l’induismo si tramuterà successivamente per lui in
un’esperienza più diretta e autentica per via del rapporto
amoroso che lo unì a Zenobia Camprubí y Aymar,214 l’inse-
parabile compagna di vita, che sposerà nel 1916, con la quale
nel 1913 aveva iniziato a tradurre in spagnolo il poeta e
filosofo indiano Rabindranath Tagore (seppur sia
doveroso ricordare che la traduzione non si condusse
dall’originale bengalese, ma venne utilizzato come testo
ponte una traduzione inglese).
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Escudero non dice è che l’allontanamento di Juan Ramón
Jiménez dal cristianesimo ufficiale non è ascrivibile esclu-
sivamente alla spiritualità orientale, ma anche e in modo
determinante, come già affermavamo, all’eterodossia
religiosa di stampo kraussista.
Servano queste brevi note sulla religiosità juanramo-
niana per inquadrare la presente, breve, comunicazione
che si propone come approccio ermeneutico a una parti-
colare e concreta esperienza mistica testimoniata dall’autore
e alla sua elaborazione in forma di scrittura poetica.
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glio della quotidianità vissuta all’insegna della lingua inglese.217
Il poema Espacio è un buon esempio dello sforzo compiuto
per oltre dodici anni dal poeta di Moguer contro quel doppio
silenzio che contraddistinse il suo primo esilio.218
Nel 1948 Juan Ramón si reca nell’America del Sud, con-
cretamente in Argentina e in Uruguay, su invito di Sara
Durán Ortiz Basualdo, direttrice della rivista Anales de
Buenos Aires, per tenere un ciclo di conferenze presso
diverse associazioni culturali argentine e in alcuni circoli del
repubblicanesimo spagnolo in esilio. Un viaggio impor-
tante, della durata di quattro mesi, su cui vogliamo soffer-
marci, seppur brevemente, poiché è da esso che scaturirà
Animal de fondo, uno dei più interessanti e intensi
contributi del poeta alla poesia mistica del Novecento.219
Nella vita di Juan Ramón Jiménez non era la prima
volta che una traversata marittima dava origine a una
raccolta poetica: nel 1917 vi era stato il precedente del
Diario de un poeta recién casado, opera in cui Juan Ramón
ripercorreva le tappe del viaggio che, un anno prima, l’aveva
condotto in America per contrarre matrimonio con
Zenobia. La struttura del libro seguiva fedelmente l’ordine
del viaggio: i preparativi, il tragitto di andata, il soggiorno
in terra americana, il ritorno in patria. In Animal de
fondo invece, seppur, come quell’altro volume, costituisca
a suo modo una sorta di diario poetico, non viene ricos-
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truito alcun viaggio, ma l’intera opera s’incentra e si edi-
fica sull’esperienza mistica vissuta dal poeta in occasione
di quel viaggio.
Già fin prima della partenza Juan Ramón, che era
reduce da una delle sue più acute crisi depressive, alla sola
idea del viaggio si trova in uno stato di esaltata euforia,
condizione che prelude a quella che egli descriverà come
un’autentica unione mistica:
220 “(Dios estaba en mí, con inmanencia segura, desde que tuve uso de
razón; pero yo no lo sentía con mis sentidos espirituales y corporales
que son, naturalmente, los mismos. De pronto, el año pasado, gran
año para mí, al poner el pie en el estribo del coche, aquí en Riverdale,
camino de New York, camino de la Argentina, lo sentí, es decir, lo vi, lo
oí, lo olí, lo gusté, lo toqué. Y lo dije, lo canté en el verso que me dictó).”
Lettera ad Angela Figuera del 17 ottobre 1949. Cartas literarias Juan
Ramón Jiménez, ed. di Francisco Garfias, Bruguera, Barcelona, 1977, p.
175. Sono quasi le stesse parole impiegate nel suo prologo-conferenza in
occasione della prima lettura pubblica dei testi di Animal de fondo: “Il
fatto è che mentre salivo sulla vettura, a Riverdale, per recarmi a New
York e imbarcarmi sulla nave che mi avrebbe portato a Buenos Aires,
cominciai a scrivere queste poesie, scrittura che si protrasse a New York,
durante tutta la traversata e in questa città di Buenos Aires”. “(El hecho
es que al subirme en el coche en Riverdale, para tomar en Nueva York el
barco que me habría de traer a Buenos Aires, empecé a escribir estos
poemas, escritura que siguió en Nueva York, durante toda mi travesía,
y en este Buenos Aires).” Política poética Juan Ramón Jiménez, ed. di
Germán Bleiberg, Alianza Editorial, Madrid, 1982, pp. 487-488.
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Con il “verso che mi dettò” Jimenez allude molto
probabilmente alla prima delle composizioni riunite in
Animal de fondo, redatta quando il poeta si trovava ancora
a New York, prima della partenza per il Sudamerica, ma
può volersi riferire per estensione all’intero progetto del
nuovo libro, a cui si dedicherà anima e corpo nel corso della
traversata d’andata, e che ultimerà nel soggiorno
bonaerense e oltre. A bordo della nave, dinanzi alla vastità
del mare, quel mare che da sempre lo aveva ispirato e
senza il quale non si può comprendere appieno l’opera del
poeta, Jiménez sfida i limiti del linguaggio per scrivere
della sua suprema illuminazione, di quando vide Dio o si
fuse con Dio o semplicemente si fece Dio. Ed è proprio a
partire dall’immagine del mare che il poeta forgia la sua
forma del divino, così lontana dall’ortodossia cattolica: dio
non è l’essere immutabile della tradizione ebraico-cristiana,
ma è movimento permanente, immagine del divenire,
inquietudine astratta, fondo della propria coscienza
(coscienza che è dio, forma di dio, coscienza di dio).
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dalla terra dei senza terra, dissotterrato”.221 E dirà più
avanti con emozione: “Quella stessa notte parlavo spagnolo
da tutto il corpo con la mia anima”.222
L’effetto sul poeta è rivitalizzante, energizzante. Natu-
ralmente sul nuovo stato d’animo ebbe un peso signifi-
cativo anche il fatto che le conferenze e i discorsi fossero
seguiti con grande interesse sia dal pubblico che dalla critica:
la conferenza inaugurale si tenne al Politeama, il più
grande teatro di Buenos Aires di allora, e si registrò il tutto
esaurito, e anche negli incontri successivi Jiménez godette
di una calorosa e partecipata accoglienza. Furono giorni di
gioia, di successo e di entusiasmo per un poeta che da più
di dieci anni viveva ai margini della vita culturale anglo-
americana. Ma oltre a una certa dose di inevitabile e
comprensibile autocompiacimento per i successi ottenuti,
alla base del suo entusiasmo vi era, come si è detto, il
ricongiungimento con la propria identità linguistica.
Afferma il poeta la sua gioia:
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Si capisce chiaramente da queste entusiastiche e sug-
gestive parole che, come spesso accade a molti poeti in
esilio, per Juan Ramón Jiménez più che il suolo natio era la
lingua la sua vera patria.224
“La razón heroica”, una delle prime conferenze pro-
nunciate a Buenos Aires,225 è un’importante testimonianza
che molto dice delle preoccupazioni di un poeta in esilio che
sente di vivere esiliato anche dalla cultura, qual era Juan
Ramón prima di partire per l’Argentina;226 ma è un testo che
non è ancora in grado di riflettere il nuovo stato d’animo che
quel viaggio determinò nel poeta. Il nuovo stato d’animo
emergerà chiaramente proprio in Animal de fondo, libro
che si pubblicherà, sempre a Buenos Aires, l’anno seguente,
in un’accurata edizione bilingue, spagnolo e francese,227 per
la casa editrice Pleamar, all’interno di una collana di poesia
(Mirto) diretta da un altro poeta esiliato: Rafael Alberti.
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spazio al predominio di un’anima tutta tesa alla ricerca
di sé), era scandita dalla successione degli eventi legati
all’esperienza del viaggio per mare, dallo scorrere dei giorni
e dai cambiamenti che la visione dei differenti paesaggi
produceva nell’animo del poeta, qui, in Animal de fondo, si
parte invece da una esperienza non successiva, da uno
stato d’animo raggiunto, da un’improvvisa illuminazione
che trasfonde nell’animo del poeta l’essenza intima,
definitiva del mondo e della vita. Qui non ci sono strade o
sentieri preparatori o vie d’accesso che favoriscano
l’incontro e l’unione mistica —o se ve ne sono, restano in
ombra e nulla viene detto al riguardo—, qui c’è lo sforzo
puro di un’anima che si propone di spiegare l’inspiegabile,
che si propone di comunicare l’incomunicabile, che aspira a
trasmettere, mediante la creazione poetica, un’esperienza
che si colloca ai confini della conoscenza umana e ai confini
del linguaggio.
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blicato, con la variante di Dios deseado y deseante,
all’interno della Tercera Antolojía Poética, nel 1957. E
sarà un libro strutturato in due parti di cui Animal de fondo
costituirà la prima e le sette composizioni di Dios deseado y
deseante la seconda.229
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l’idea di Dio”.231 Una idea, sia chiaro, che muta e si raffina nel
tempo sulla base di una concezione della poesia che è
eminentemente conoscitiva. La poesia, per Juan Ramón,
è ricerca e perseguimento di conoscenza. E questa conos-
cenza perseguita si riflette perfettamente in quella “idea
di Dio” che, cambiante —come cambiante è il mare, come
cambiante è il movimento in divenire dell’esistenza—,
palpita in tutti i suoi versi.
Poco dopo, in quelle stesse Notas preciserà qual è l’idea
di dio contemporanea alla scrittura di Animal de fondo:
“Oggi —dice— io concretizzo il divino come una coscienza
unica, giusta, universale della bellezza che sta dentro e
fuori di noi allo stesso tempo”.232 Denominerà “terza
coscienza” questa forma di coscienza, che è Dio, e che verrà a
coincidere con la forma di ciò che chiamerà “terzo mare”
(il Rio de la Plata, o il viaggio che ad esso condusse), ossia
lo spazio della rivelazione che sostiene la scrittura di Ani-
mal de fondo. (Dio, mare, coscienza, tutti i vocativi delle
liriche di Animal de fondo).
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dio era come ogni altro tipo di percorso vo-
cazionale; nel mio caso, era quello di scrittore
poetico; perché tutto il mio procedere nella poe-
sia era un procedere verso un dio, perché stavo
creando un mondo il cui fine doveva essere un
dio. E così ho compreso che il fine della mia vo-
cazione e della mia vita era questa coscienza a
cui ho alluso, una coscienza migliore e bella,
cioè generale, poiché tutto per me è o può essere
bellezza e poesia, espressione della bellezza.233
Non ho il tempo di soffermarmi ora dettagliatamente
sulla complessità che presentano queste poche righe; mi
preme però far rilevare, prima di concludere, come la
creazione poetica rappresenti per Juan Ramón la crea-
zione di un mondo, e allo stesso tempo un’indagine sul
suo significato, e si configuri come ricerca di un dio che
alla fine dovrà venire al mondo creato dall’uomo. Il dio
di Juan Ramón, pertanto, non si trova in un “al di fuori”,
non risiede in alcuna trascendenza ultraterrena, ma
nell’immanenza di un mondo creato dall’uomo all’unico
scopo di consentire l’arrivo di un dio.
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