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25 FEBBRAIO 2019.

INFORMAZIONI GENERALI DEL CORSO.


Questo corso si divide in due parti:

1. Prima parte: teoria. È un argomento prevalente dal punto di vista di orario e di esame. Si
parla principalmente della parte economica, i temi trattati sono di politica industriale,
economia industriale. Il testo di riferimento è un libro famosissimo a livello internazionale.
Giantirole (autore): è un libro complicato, è un livello molto avanzato, appunti a portata
degli studenti ed è molto più semplice. Il testo non è stato ristampato in Italia, bisogna fare
le fotocopie, per la buona riuscita dell’esame bastano appunti più le slide fornite durante il
corso. Avviso: usare gli appunti di altri? Attenzione perché sussistono errori ricorrenti delle
domande a causa di appunti presi male da altri. Meglio prendere appunti nostri. Il titolo del
libro è “teoria dell’organizzazione industriale”, editore Hoepli.
2. Seconda parte: si tratta di economia applicata, economia nella realtà.

TESTO DI RIFERIMENTO: Giantirol, titolo “Teoria dell’organizzazione industriame”. Capitoli di


riferimento sono: 1, 3, 5, 6, 8, 9, 10.

MODALITẦ DI ESAME.

L’esame è scritto, si compone di una domanda per il secondo modulo; 4-5 domande relativamente
al primo modulo.

Il primo argomento trattato nel primo modulo riguarda la teoria dei gioco. Non lo inizieremo oggi,
ma iniziamo da Giovedì.
28 FEBBRAIO 2019.
TEORIA DEI GIOCHI.
Iniziamo l’argomento indicando la definizione di gioco. Che cos’è il gioco?

Gioco = è una rappresentazione della interazione strategica tra soggetti (agenti economici).

Interazione strategica = l’interazione strategica rappresentano i risultati delle mie azioni che
dipendono non solo dalle mie azioni, ma anche da quello che fanno gli altri.

Se il gioco è rappresentato in questo modo, i soggetti sono portati a fare delle congetture sulle
azioni degli altri soggetti; è così che non ci fermiamo più entriamo in un circolo vizioso enorme: gli
altri potrebbero fare anche delle congetture sulle mie azioni, ed io potrei fare delle congetture
sulle loro congetture.

Struttura del gioco:

1. Certo numero di giocatori;


2. Determinazione delle regole del gioco, che devono essere chiare a tutti i giocatori. Ad
esempio: cosa consistono le azioni, quando si possono fare le azioni (cosa fare e quando
devono essere fatte).
3. Playoff: ovvero rappresenta i risultati dell’interazione.

DILEMMA DEL PRIGIONIERO:

Questo è il primo caso che affronteremo, con la seguente tabella:

GIOCATORE 1
L R
5 6
GIOCATORE 2 T 5 3
3 4
B 6 4
Iniziamo facendo le seguenti considerazioni:

1. Stiamo studiando i giochi statici, ciò significa che le azioni dei soggetti sono simultanee,
manca il tempo; quindi se manca il tempo le azioni non sono una risposta a ciò che fanno
gli altri, ma rimane il concetto di congettura, cioè quello di fare ipotesi sulle azioni altrui,
ovvero: “nell’ipotesi che l’altro fa una tale cosa, che mi conviene fare?”
2. Qui, nel gioco statico, l’azione coincide con la strategia, perché appunto non abbiamo
tempo e il gioco inizia e finisce subito. Nel gioco, ogni giocatore ha a disposizione due
strategie: il giocatore 1 ha T e B, mentre il giocatore 2 ha L ed R.
3. I numeri nella tabella sono i risultati, più è alto il numero e più alti sono i risultati raggiunti.
4. Il giocatore 1 ha un risultato diverso a seconda dell’azione dell’altro; ad esempio, se il
giocatore 1 sceglie T e l’altro sceglie L, hanno un risultato (5 e 5), mentre se il giocatore 2
sceglie R hanno un altro risultato (3 e 6).

Osservazione: il giocatore 1 sceglierà sicuramente B, perché qualunque cosa sceglierà l’altro a lui
conviene B,stessa cosa con il giocatore 2, perché qualunque cosa sceglierà l’altro gli conviene la
strategia R.

La cosa particolare di questi giochi è che esistono strategie dominanti: una strategia dominante è
una strategia che da playoff superiori ad ogni altra strategia disponibile e qualunque siano le scelte
degli altri giocatori.

Nella teoria dei giochi, è importante la congettura degli altri; nelle ipotesi sugli altri è importante
anche fare delle congetture a monte, vale a dire cosa pensa ciascun giocatore sulla razionalità
degli altri giocatori. Un gioco, in generale, è rilevante l’ipotesi di razionalità o meno fatta da
ciascun giocatore sugli altri, quindi ci si domanda sulla razionalità altrui. In questo gioco che
abbiamo esposto, supporre la razionalità non è necessario.

Qual è la soluzione di questo gioco? Dov’è che ognuno agisce per massimizzare la propria utilità?
La soluzione qui è B – R: il giocatore 1 sicuramente sceglierà B e il giocatore 2 sicuramente
sceglierà R. Tecnicamente c’è un conflitto: tra incentivi individuali ed incentivi collettivi.

 Se ciascuno sceglie individualmente, per conto suo, la soluzione è B – R.


 Se invece ci fosse una decisione comune, concordata da entrambi? Andrebbero a finire in T
– L, che è un risultato migliore per entrambi.

N.B.= tutti i giochi sono giochi non cooperativi.

ELIMINAZIONE INTERNA DI STRATEGIE DOMINANTI.

GIOCATORE 2
L C R
1 0 1
T 1 2 1
GIOCATORE 1 0 1 0
M 0 0 0
1 0 2
B 2 1 2
In questo caso, non esistono strategie dominanti, andiamo a risolvere lo schema.

Che cosa significa il titolo? Questo è un metodo di soluzione dei giochi, per eliminare la strategia
dominata, che cos’è la strategia dominata?

Strategia dominata = è una strategia rispetto alla quale c’è almeno un’altra strategia che da
playoff migliori.
Qui non esistono strategie dominanti, quindi in questo caso, l’ipotesi di razionalità risulta molto
importante. Supponiamo che ciascun giocatore ritiene che l’altro sia razionale.

 Il giocatore 2 saprà che il giocatore 1 non sceglierà mai M in quanto i giocatori sono
razionali.
 Il giocatore 1 penserà che non sceglierà mai M e quindi la scelta C per il giocatore 2 in tal
caso non ha più valore. C ed M escono dallo scenario dei giocatori che si comportano in
modo razionale.

Il Giocatore 1 ha chiaramente B da scegliere, invece il giocatore 2 sceglie R.

In conclusione, questo è un metodo di soluzione ad eliminazione di strategie in modo iterato,


attraverso un ragionamento razionale.

RILEVANZA DELL’IPOTESI DELLA RAZIONALITẦ UNIVERSALMENTE RICONOSCIUTA.

Serve per capire l’importanza dell’ipotesi di razionalità.

GIOCATORE 1
L R
0 1
GIOCATORE 2 T 1 1
0 1
B -100 2
R è una strategia dominante, mentre L è una strategia dominata. Se il giocatore 1 è convinto che il
giocatore 2 è razionale, allora sceglierà B. Supponiamo che i due sono razionali e che ciascuno sa
che l’altro è razionale.

Se vale l’ipotesi di razionalità, il giocatore 1 sceglierà B, mentre il giocatore 2 sceglierà sicuramente


R. Supponiamo che il giocatore 1 abbia dei dubbi sulla razionalità di 2, il giocatore 1 che farà?
Probabilmente sceglierà T. in questo caso è fondamentale l’ipotesi della razionalità dell’altro
giocatore. La soluzione di questo esempio in caso di razionalità è T – R; mentre la soluzione senza
la convinzione di razionalità dei giocatori è incerta, la soluzione effettiva in questo caso non la
sappiamo, ma non è nemmeno la soluzione del gioco, perché i giocatori non stanno
massimizzando, dato che per concludere il gioco è necessaria la massimizzazione del playoff. In tal
caso, T – L e T – R non sono tecnicamente soluzioni del gioco.

Tutte le soluzioni date fino ad ora, sono degli equilibri di Nash.


EQUILIBRIO DI NASH.

GIOCATORE 2
L C R
1 2 3
T 2 2 0
GIOCATORE 1 1 1 1
M 1 1 1
1 0 2
B 0 0 2
In questo schema non ci sono strategie dominanti o strategie dominate per come le abbiamo
definite. Definiamo questo equilibrio come equilibrio di Nash, visto prima in modo diverso.

Equilibrio di Nash = ciascuno dei due giocatori deve massimizzare il proprio playoff date le
congetture sulle scelte degli altri.

Il fatto che ciascuno massimizzi il proprio playoff è una condizione necessaria ma non sufficiente
dato che bisogna fare le congetture/ipotesi sulle scelte altrui, però le ipotesi sulle scelte altrui
devono essere compatibili tra di loro.

T – L = questo è un equilibrio di Nash?

Se il giocatore 2 sceglie L, il giocatore 1 sceglie T; però se giocatore 1 sceglie T, il giocatore 2 sceglie


R.

Bisogna valutare ogni esempio e poi trovare le soluzioni più adatte.


4 MARZO
GIOCATORE 1
L C R
1 2 3
T 2 2 0
GIOCATORE 2 2 1 1
M 1 1 1
1 0 2
B 0 0 2
La lezione scorsa ci siamo fermati alla soluzione, cioè non l’abbiamo ancora trovata. Abbiamo visto
solo, concentrandomi sul primo elemento A1 della matrice 3x3.

Come si caratterizza l’equilibrio di Nash? I giocatori massimizzano come abbiamo visto la scorsa
lezione. I giocatori massimizzano l’elemento di cui trattano. Questo primo elemento si collega ad
un altro secondo elemento.

Il gioco come si caratterizza? Il gioco si caratterizza per l’interazione strategica tra soggetti.

Interazione strategica = il risultato delle azioni di ognuno dipende dalle azioni svolte da ogni
giocatore, ma dipende anche dal risultato delle azioni svolte degli altri giocatori.

Qui stiamo in un gioco statico, quelli che abbiamo visto fino ad ora sono giochi statici. Per gioco
statico significa sostanzialmente che il tempo non c’è, le scelte sono simultanee (non sono
disposte in relazione a comportamenti altrui) e sono “fatte”. Il noto fondamentale dell’interazione
strategica è che le scelte sono fatte e ciascuno le svolge supponendo (congettura o ipotesi) ciò che
decideranno gli altri. Ciascuno sceglie, date le ipotesi, una precisa scelta.

Come si caratterizza l’equilibrio? Si caratterizza per il fatto che ciascuno massimizza, ma queste
congetture o ipotesi devono essere tra loro compatibili. Io scelgo A nell’ipotesi che l’altro scelga B.
Quando c’è l’equilibrio? L’equilibrio c’è, in questo caso, quando l’altro giocatore sceglie B
nell’ipotesi che io scelgo A. questo significa che le ipotesi/congetture sono compatibili tra di loro e
quindi verificate. Naturalmente, qui il quadro è leggermente più complesso dall’esempio più
elementare. Ogni giocatore ha 3 strategie (ricorda: in un gioco statico, strategia e azione è la
stessa cosa).

Altra definizione di equilibrio = siamo in una posizione di equilibrio quando nessun giocatore può
unilateralmente scegliere qualche altra cosa facendo un playoff maggiore.

La scorsa lezione, abbiamo finito dicendo: le strategie sono in equilibrio?

Se giocatore 1 sceglie T, allora giocatore 2 sceglie R. Quindi T-R non è un equilibrio.

T-C è un equilibrio? No, nell’ipotesi che giocatore 2 scelga C, giocatore 1 sceglie T, ma nell’ipotesi
che giocatore 1 scelga T, giocatore 2 sceglie sicuramente R, quindi non è un equilibrio.

Questa storiella la possiamo fare per tutte le componenti di questa matrice.


B-C è un equilibrio? Non è un equilibrio: nell’ipotesi che giocatore 1 scelga B, giocatore 2 che
sceglie? Sceglie R, nell’ipotesi che giocatore 2 scelga C, giocatore 1 sceglie T.

Conclusione: l’equilibrio dov’è? L’equilibrio è B-R, qui entrambi i giocatori massimizzano e le


ipotesi sono compatibili tra di loro. Nell’ipotesi che giocatore 1 sceglie B, giocatore 2 sceglie R
perché massimizza con R; nell’ipotesi che giocatore 2 sceglie R, il giocatore 1 sceglie B perché
massimizza con B. Giocatore 2 fa la scelta R nell’ipotesi che giocatore 1 scelga B, il giocatore fa la
scelta B nell’ipotesi che giocatore 1 scelga R, per questo le ipotesi sono compatibili. Questo è
l’equilibrio di Nash.

Ulteriore domanda: questo è l’unico equilibrio? C’è un altro equilibrio di Nash? Non ci sta. Questo
è l’unico equilibrio. Ma possono esserci esempi con più equilibri di Nash.

Ultimo lucido.

GIOCATORE 1
L R
2 0
GIOCATORE 2 T 1 0
0 1
B 0 2
In questo gioco, c’è un equilibrio di Nash? Sì. Ce ne stanno due: T-L e B-R.

Un esercizio che può capitare è indicare se ci sono più equilibri di Nash oppure no.

Fine quadro statico.

QUADRO DINAMICO, GIOCO SEQUENZIALE/DINAMICO.


CARATTERISTICHE DEL GIOCO DINAMICO/SEQUENZIALE:

 C’è il tempo, le scelte si succedono nel tempo.


 Rappresentazione del gioco in forma estesa.
 Il gioco dinamico può essere visto come un problema di economia industriale.
 È un tipo di gioco sequenziale.
 La sua rappresentazione è detta “rappresentazione del gioco in forma estesa”.

Il tema è questo: c’è un’impresa e c’è un concorrente potenziale. Che cos’è un concorrente
potenziale? È un possibile concorrente, è uno che “sta fuori” ma che potrebbe entrare. Quindi
abbiamo un settore dove c’è un’unica impresa (monopolio) e c’è qualcuno che potrebbe voler
entrare. Questo è il quadro. 1

2 e Ē Profitto 1: 0

r ṝ Profitto 2: 50

P1: -10, P2: -10 P1: 10 (non monopolista), P2: 20 (non monopolista)
La rappresentazione in forma estesa è sostanzialmente un albero, ogni nodo rappresenta delle
decisioni, questa è un’osservazione preliminare. Il primo nodo si riferisce al giocatore 1. Il
Giocatore 1 è il concorrente potenziale, il giocatore 1 deve decidere se entrare (e) o non entrare
(e barrato). La decisione del giocatore 1 è la prima decisione, che è quella di entrare o non entrare.
Non entrare sotto ci sono i playoff: se non entra, vuol dire che non fa nulla e quindi ci saranno i
ricavi corrispondenti di tale decisione. Sequenzialmente, nel tempo, c’è la decisione del
monopolista corrispondente alla decisione presa del nuovo entrante. Che scelta deve fare il
giocatore 2 economicamente parlando? Economicamente parlando, ha un problema: accettare
l’entrata oppure fare una politica aggressiva, cioè scegliere l’aggressione (chiamiamo ritorsione).
Se fa la politica aggressiva sceglie r, se non fa politica aggressiva sceglie r barrato. Che significa fare
la ritorsione? Una politica aggressiva significa che, appena entra un concorrente, io abbasso i
prezzi dei prodotti venduti. Se il monopolista fa una politica aggressiva, quindi ritorsione,
supponiamo che il giocatore 1 entra e guadagna -10, e il giocatore 2 che ha fatto ritorsione
guadagna anche lui -10. E se il monopolista non fa ritorsione? Il giocatore 1 entra e guadagna 10,
mentre il monopolista guadagna 20 che è meno di 50; perché? È entrato il concorrente e quindi gli
toglie quote di mercato, queste due aziende si dividono il mercato; l’ingresso del concorrente
significa immettere sul mercato una quantità superiore di beni da vendere e quindi il prezzo che
scende, oltre la suddivisione del mercato tra due imprese rispetto che una. In generale il prezzo
scende.

Quali sono le soluzioni? Esistono le soluzioni di questo gioco?

1. E, ṝ. Questo è un equilibrio di Nash. Il giocatore 1, se non c’è ritorsione, gli conviene


entrare.
2. Ē, r. Questo è un altro equilibrio di Nash. Se il giocatore 1 presume che il monopolista
faccia ritorsione ai nuovi entranti, allora gli conviene non entrare nel mercato. Dal punto di
vista formale, sulla carta, è una soluzione. Qui, il giocatore 1 si dice “nell’ipotesi di
ritorsione, che cosa mi conviene fare?” conviene non entrare. In questo caso, il giocatore
non entra e qui finisce il gioco perché è sequenziale. Però non è una soluzione
economicamente sensata, non si capisce molto questa soluzione. Vediamo perché questa
non è una soluzione sensata attraverso un procedimento di soluzione molto frequente, che
è la “backword induction” (induzione all’indietro): risolviamo il gioco non dall’alto, ma
dall’ultimo nodo che è il 2, cioè la decisione di 2. Guardiamo cosa conviene al giocatore 2.
Se guardiamo il playoff, qual è la scelta del monopolista? Accettare l’ingresso, non fare la
ritorsione verso il concorrente (cioè r barrato). Risaliamo e la scelta del giocatore 1 è quindi
di entrare (e). La soluzione che ha senso economico è e-r barrato. L’altra è formalmente
una soluzione però non ha senso.

Questo gioco ci evidenzia un tema molto importante in economia industriale, che è quello delle
minacce credibili (quelle legali che possono fare le imprese che competono); questo caso ci fa
vedere, mette in evidenza un caso lampante di minaccia non credibile da parte del monopolista,
quindi il concorrente potenziale entra comunque, perché, vedendo i playoff del grafico fa capire al
concorrente che la minaccia non è credibile. Come possiamo rendere credibile questa minaccia da
parte del monopolista? È difficile pensare una cosa del genere in Italia, possiamo immaginare una
sorta di contratto legale che il monopolista fa (ad esempio commitment, che significa? È un
impegno, una cosa seria) e col contratto si impegna a fare una politica aggressiva di prezzo se
entra un concorrente potenziale, se non fa questa politica di prezzo dovrà pagare una penale.
Vediamo il quadro di questa situazione e come si presenta.

Il valore di un impegno vincolante.

Il commitment, come abbiamo detto, ha sottoscritto un impegno vincolante.

b b

1 1

e Ē e Ē

2 P1: 0 2 P1:0

r ṝ P2: 50 r ṝ P2:50

P1: -10 P1: 10 P1: -10 P1: 10

P2: -10 P2: -20 P2: -10 P2: 20

Qui, il primo nodo è ovviamente il monopolista che è il giocatore due. Il giocatore due deve
decidere se sottoscrivere o no il contratto (b si impegno vincolante, b barrato no impegno
vincolante). Se non fa il contratto, vedremo che il gioco si sviluppa esattamente come prima ed è
quello che abbiamo già analizzato, nulla da aggiungere alle soluzioni già prese, l’unica soluzione
che ha senso economico è e-ṝ, perché la minaccia del monopolista non è una minaccia credibile.

Adesso vediamo cosa succede se esiste questo particolare contratto (nodo b); è già più complesso.

In b c’è impegno vincolante, il secondo nodo è la decisione del nuovo entrante che deve decidere
se entrare o no: se non entra tutto rimane come prima (e barrato). Questa è la decisione del
giocatore 1 (concorrente potenziale). Il gioco poi si sviluppa, c’è il nodo due, che è ciò che fa il
monopolista se entra il concorrente potenziale, la sua decisione è cioè ritorsione o non ritorsione.
Vediamo il playoff: in caso di ritorsione, i playoff sono quelli di prima, ovvero -10 per entrambi; se
non c’è la ritorsione, il concorrente potenziale fa 10 e il monopolista (che si è impegnato con il
contratto vincolante a fare una certa politica di prezzo se sussistono nuovi entranti, con una
penale che deve pagare in caso di mancato rispetto del vincolo, penale pari a -40 se non fa la
ritorsione); dal punto di vista economico se non facesse la ritorsione prenderebbe 20, ma dato che
deve pagare la penale dal valore di -40 e va a -20. Quindi le due parti con i loro rami si
differenziano solo per questo elemento.
SOLUZIONE DEL GIOCO: la troviamo con la backdoor induction, è la procedura che specifica e
risolve in modo immediato il problema. Iniziamo dall’ultimo nodo che è la decisione del
monopolista di ritorsione o non ritorsione. Qual è la decisione che massimizza il profitto? È la
ritorsione. Saliamo al nodo successivo (1): data la decisione del monopolista di fare ritorsione ®,
qual è la decisione ottimale del giocatore 1 che è il concorrente potenziale? La decisione ottimale
è di non entrare. Vediamo l’ultimo nodo del giocatore due (impegnarsi o non impegnarsi col
contratto vincolante), la decisione ottimale per il monopolista qual è? La scelta è chiara, la
massimizzazione dell’ultimo nodo del monopolista è data da b, cioè di sottoscrivere il contratto.

Domanda: perché in questo quadro i concorrenti potenziale non entra? Perché, sapendo del
contratto, non entrerà sicuramente, cioè la minaccia è diventata credibile attraverso la
sottoscrizione del contratto.

Ultimo quesito: quanto vale per il monopolista questo contratto? Vale 30, perché senza contratto
il monopolista prende 50 (massimo profitto possibile da questa situazione, situazione no contratto
vincolante e il concorrente non entra) e, con il contratto, il massimo valore che riesce a
guadagnare è 20 (situazione si contratto vincolante e il concorrente non entra). Quindi, facendo la
differenza tra i due, possiamo dedurre che il valore del contratto vincolante è pari a 30.

Le minacce credibili è un argomento molto importante nell’ambito dell’economia industriale, tale


materia non tratta mercati a concorrenza perfetta, dato che in questo mercato, il prezzo va a finire
sul valore del costo marginale e quindi non ci sono spazi per profitti ulteriori (P=C), in un mercato
di concorrenza perfetta il prezzo si schiaccia sul costo marginale. Il profitto dell’imprenditore c’è
ovviamente, non ci sono però profitti ulteriori. Questo tipo di studi va a studiare la concorrenza tra
grandi imprese dove ci sono grandi profitti, imprese che hanno forte potere di mercato (che vuol
dire avere il potere di fissare il prezzo sopra il costo marginale, è il potere di fare profitto).

I GIOCHI RIPETUTI NEL TEMPO.


Rimaniamo nell’ambito di azioni ripetute nel tempo, ma il quadro è diverso dal precedente.
Questo vuol dire: le azioni dei soggetti/giocatori possono essere ripetute un certo numero di volte.
Anche qui conviene prima illustrare quello che vuol dire.

GIOCATORE 2
L C R
5 6 0
T 5 3 0
GIOCATORE 1 3 4 0
M 6 4 0
0 0 1
B 0 0 1
Abbiamo due giocatori. Nei giochi ripetuti, le azioni possono essere ripetute sulla base di una
determinata sequenza. Andiamo a distinguere tra gioco finito (le azioni possono essere ripetute un
numero finito di volte) e un gioco di tipo infinito (le azioni possono essere ripetute un numero
infinito di volte). Il nostro quadro ha due periodi, i giocatori hanno queste azioni date dalla tabella,
devono fare un’azione nel primo periodo e un’azione nel secondo periodo. Ma attenzione: la
scelta del secondo periodo sarà fatta sulla base di quello che è successo nel primo periodo, qui c’è
il tempo, la scelta del primo periodo dipende da quello che è successo nel primo periodo. Cosa
può essere successo nel primo periodo? È una matrice 3x3, ci sono 9 possibilità, una strategia
quindi è un insieme delle azioni. Quante strategie ci sono in questo gioco?

 Nel primo periodo, ciascun giocatore ha la possibilità di scegliere tra tre azioni.
 Nel secondo periodo, ciascun giocatore ha la possibilità di scegliere 3 azioni ma a seconda
delle 9 possibilità che si sono verificate nel primo periodo.

Quindi, quante strategie ci sono complessivamente? La soluzione è 81.

3 X 3 X 9 = 81

Primo secondo Risultati Possibili strategie

Periodo Periodo Possibili Nel secondo periodo

Questo è un gioco ripetuto, ma lo dobbiamo chiarire bene. Sappiamo che i due giocatori giocano
due volte con questi playoff. Se questo non fosse un gioco ripetuto, ma fosse un gioco statico, ci
sarebbe un equilibrio? Oppure ce ne sono vari?

M-C è l’equilibrio di Nash: nell’ipotesi che giocatore 1 scegli M, al giocatore 2 gli conviene C;
mentre nell’ipotesi che il giocatore 2 sceglie C, al giocatore gli conviene scegliere M, le ipotesi si
incastrano quindi. Abbiamo due soluzioni se questo fosse un gioco statico.

M-C può essere la soluzione del gioco ripetuto dinamico, ma in quali circostanze? M-C può essere
una soluzione di questo gioco dinamico solo se i giocatori agiscono indipendentemente dalla
storia, dato che è una storia a due periodi, è soluzione solo se i due giocatori scelgono 4 e 4 sia nel
primo che nel secondo periodo. Questo M-C come soluzione del gioco dinamico o ripetuto è vera
se i giocatori agiscono indipendentemente da quello che è accaduto nel primo periodo, agiscono
in ciascun periodo come se il gioco fosse condensato solo in quel periodo. Questa è una soluzione
particolare, si risolve così per i giocatori che non hanno cognizione del tempo.
05 MARZO 2019
Gioco ripetuto: significa che i giocatori ripetono le loro azioni per un certo numero di volte per un
quadro che rimane costante. Hanno, in questo caso, a disposizione tre scelte ciascuno e il gioco si
ripete per un certo numero di volte. Se il gioco è finito, c’è un orizzonte di tempo limitato,
altrimenti si tratta di un gioco infinito. Quello che consideriamo noi è uno scenario di estrema
semplicità, ovvero un gioco di due periodi.

GIOCATORE 2
L C R
5 6 0
T 5 3 0
GIOCATORE 1 3 4 0
M 6 4 0
0 0 1
B 0 0 1
Riassumiamo quanto detto ieri.

Gioco ripetuto: un gioco in cui il concetto di azione (ciò che ogni giocatore mette in atto) è un
qualcosa di diverso dalla strategia; un conto è la singola mossa/azione che ciascun giocatore fa e
un conto è la strategia (= insieme delle azioni). Ci siamo chiesti ieri sera quante sono le strategie
che sono a disposizione di ciascun giocatore. Naturalmente ci riferiamo al nostro caso, che è un
caso di gioco su due periodi. Ognuno ha 81 strategie possibili. Come vengono fuori le 81 strategie?
Abbiamo detto due cose:

 Nel secondo periodo, ciascun giocatore ha a disposizione tre azioni (giocatore 1 T,M,B;
giocatore 2 L,C,R). Nel secondo periodo, ciascuno decide sulla base di quanto è accaduto
nel primo periodo, nel primo periodo quante sono le possibilità? È una matrice 3x3, le
possibilità sono nove sulla carta, nove strutture di playoff nel primo periodo. Quindi, nel
secondo periodo, ciascuno decide sulla base delle nove possibilità che si sono verificate nel
primo periodo.
 Nel secondo periodo, quindi, la cifra di riferimento è rappresentata dalle 3 mosse del
secondo periodo moltiplicate per nove possibilità trovate nel primo periodo. Io devo
abbinare le azioni svolte nel secondo periodo (3) alle 9 relative al primo periodo. L’azione
del secondo periodo dipende dal fatto che si siano verificate una delle 9 possibili attività, il
9 si riferisce ai 9 possibili risultati che possono influenzare le scelte del secondo periodo.
 Inoltre, dobbiamo ancora considerare il primo periodo, che è il punto di partenza delle
azioni, dobbiamo ancora moltiplicare per le possibilità del primo periodo, le azioni possibili
in tal caso è 3.

Il numero di azioni possibili quindi è 3x3x9=81. Praticamente 3 il primo periodo, 3 il secondo


periodo e 9 possibilità che esistono. Le strategie possibili sono 81 e le azioni che possono svolgere
in ogni periodo sono 3.
Ci siamo chiesti poi, se questo gioco fosse un gioco statico, ci sono equilibri di Nash? Abbiamo
convenuto che vi sono equilibri di Nash (ciascuno massimizza e le due ipotesi devono essere
compatibili) che sono: C-M ed B-R. Queste sono le soluzioni di un gioco statico, queste soluzioni
possono essere delle soluzioni per un gioco dinamico? Sì è possibile che siano soluzioni di un gioco
dinamico, lo sono quando i giocatori agiscono indipendentemente dalla storia. Quindi che fanno
questi giocatori? In ciascun periodo, si comportano come se quel periodo fosse un periodo isolato
dalla storia, in ciascun periodo si concentrano solo su quel periodo, come se quel periodo non
fosse inserito in una storia, che non fosse inserito nel tempo, i giocatori agiscono come se il tempo
non esistesse sebbene il gioco sia dinamico. Se i giocatori si comportano come se il tempo non
esistesse, le soluzioni del gioco statico diventano quelle del gioco statico.

Consideriamo ora questa strategia nel caso considerassimo il tempo e il gioco ripetuto. Non è
rilevante quindi la singola azione, ma come il giocatore si comporta nel tempo. Ipotizziamo che i
due giocatori sono razionali e massimizzano la propria utilità/rendimento/ecc.

 Il giocatore 1 dice: io scelgo T il primo periodo, se il giocatore 2 sceglie L il primo periodo io


scelgo M il secondo periodo. Però c’è un rischio: lui ha fatto questo ragionamento, però
ipotizza anche che il giocatore 2 può fare una scelta irresponsabile, nel senso che il
giocatore 2 il primo periodo potrebbe scegliere C quando il giocatore 1 sceglie T; a questo
punto, il giocatore 1 fa una ritorsione e sceglie B il secondo periodo nel caso in cui il
giocatore 2 non fa una scelta razionale.
 Strategia del giocatore 2. Fa una strategia analoga: io scelgo L nel primo periodo e scelgo C
nel secondo periodo se il giocatore 1 ha scelto T il primo periodo. Se il giocatore 1 ha scelto
M nel primo periodo, il secondo giocatore fa ritorsione e sceglie R.

Queste due strategie, sono strategie di equilibrio di un gioco ripetuto, i giocatori stanno
massimizzando l’utilità/profitto/ecc. Domanda: conviene ad uno dei due deviare? No. Prendiamo
ad esempio il giocatore 1, che: sceglie T nel primo periodo e se, l’altro giocatore sceglie L, il
giocatore 1 nel secondo periodo sceglierà M, altrimenti farà ritorsione e sceglie B. Ipotizziamo che
il secondo giocatore, nel primo periodo, invece di scegliere L sceglierà C; quanto fa
complessivamente il giocatore 2? Gioca su due periodi, quindi quanto fa? Il giocatore 2, fa 6 nel
primo periodo scegliendo C invece che T, quindi viene “punito” nel secondo periodo e fa 1
scegliendo R (fa la strategia C-R), in totale ottiene 7. Gli conviene? No. Se non avesse preso questa
decisione, avrebbe preso 5 nel primo periodo e poi, nel secondo periodo, avrebbe preso 4.
Complessivamente, essendo un gioco su due periodi, il suo playoff deve essere la somma di ciò che
ottiene il primo periodo e di ciò che ottiene nel secondo periodo.

La prima mossa dei due giocatori è simultanea (nel senso che scelgono insieme l’azione) ma,
siccome c’è il tempo, viene osservata dai due giocatori una volta che il gioco è stato fatto, quindi
poi è nota ad entrambi; nel secondo periodo, ciascuno è consapevole di ciò che ha fatto l’altro e,
quindi, se l’altro non è stato al gioco intelligente sui due periodi, viene punito. C’è una minaccia che
vincola il giocatore a comportarsi in modo adeguato; ad esempio con giocatore 1 subito scelgo T, il
giocatore 2 deve stare attento a scegliere L piuttosto che C, altrimenti il secondo periodo sceglie B.
Questa è una minaccia di ritorsione, ma entrambi lo fanno perché sono razionali e quindi
massimizzano le loro utilità. Per il giocatore 2 è la stessa cosa, sceglie L, ma se l’altro non subito T
ma mi sceglie M, allora faccio ritorsione e scelgo R. Stessa cosa di prima a specchio.

In un gioco statico (un solo periodo), T-L è un equilibrio? No. Il gioco dinamico rende possibile T-L
che non è possibile nel gioco statico, T-L fa parte della soluzione del modello nei due periodi.
Abbiamo descritto le due strategie di periodo, la soluzione è quindi:

 T-L nel primo periodo


 M-C nel secondo periodo

Con l’assunto che i due giocatori si comportano razionalmente nelle strategie, queste sono le due
strategie ottimali. T-L fa parte della soluzione del gioco dinamico che consente T-L e che non
sarebbe possibile se il gioco fosse statico.

Perché nel secondo periodo questi non stanno su T-L? Nel secondo periodo la storia finisce, nel
secondo periodo non è possibile usare T-L, se giocatore 1 sceglie T l’altro non sceglierà L. Fa parte
di una storia di un gioco dinamico, ma il secondo periodo deve fermarsi su un punto che è anche la
soluzione di un gioco statico, perché non c’è più storia e finisce lì.

FINE DELL’ARGOMENTO SU TEORIA DEI GIOCHI. Nel testo si formalizza in modo più pesante, qui
visto in modo elementare vedendo le cose più elementari individuando gli argomenti più
importanti. Secondo argomento del corso:

TEORIE DELL’IMPRESA.
Non abbiamo visto una visione tecnologica dell’impresa. Il primo argomento di questo macro-
argomento è il seguente.

IMPRESA COME RAPPORTO DI LUNGO PERIODO.


Che l’impresa sia un insieme di rapporti di lungo periodo è un concetto chiaro (ad esempio:
rapporti di lavoro, di fornitura, tra imprese, di pubblicità, ecc), c’è una moltitudine di rapporti di
lungo periodo che dovremo tenere conto. Questo ci porterà a fare delle considerazioni anche sulla
teoria dei contratti.

Cosa facciamo? Capiremo perché conviene determinare oggi qualche regola relativa a scambi che
ci saranno nel futuro.

Frase piuttosto oscura, ma più avanti sarà tutto più chiaro. Studieremo il rapporto tra un
acquirente e un fornitore (sono due imprese, un’impresa che deve acquistare qualcosa e un’altra
che gliela deve vendere). Supponiamo che le due parti siano neutrali rispetto al rischio (ricorda la
funzione di utilità per i consumatori neutrali/avversi al rischio).

Perché ci sono relazioni di lungo periodo nell’impresa? Le relazioni di lungo periodo si associano a
costi di cambiamento e si legano anche ad investimenti specifici.

Adesso chiariamo un po’:


 Costi di cambiamento: cambiare è costoso. La relazione tra fornitore ed acquirente sarà una
relazione che tenderà ad essere stabile e duratura, perché cambiare sempre è costoso, sia
in termini di tempo che di ricerca. Quindi c’è un incentivo a non cambiare, a mantenere le
relazioni stabili.
 Investimenti specifici: anche gli investimenti specifici danno luogo a relazioni di lungo
periodo. Che intendiamo? L’impresa fa un investimento per produrre qualcosa che ha delle
caratteristiche particolari, tali per cui questa cosa è utile per un certo gruppo di imprese,
quindi io posso vendere questa cosa solo per queste imprese. Farò questo investimento?
Dipende, se c’è un rapporto stabile tra le due imprese, allora c’è un interesse economico nel
fare questo investimento, per questo è collegato alle relazioni di lungo periodo.

Esistono altri tipi di specificità.

 Un altro tipo di specificità che legano le imprese contraenti tra di loro può essere, ad
esempio, la localizzazione. La localizzazione favorisce il mantenimento di rapporti di lungo
periodo, perché essere vicini è meglio che essere lontani (meno costi di transazione, di
trasporto, ecc).
 Un altro esempio di investimento specifico è il capitale umano. Queste parole per indicare
che cosa? Che cosa possiamo pensare? Possiamo pensare a studenti che si iscrivono a
master particolari che li introducono a certi tipi di imprese piuttosto che altre. Questo è un
investimento specifico, nel senso che stiamo pensando ad un certo tipo di impresa quando
si investe in formazione.

La vasta serie di specificità, fanno sì che le parti siano consapevoli che ci potranno essere guadagni
da future transazioni. Questo vale per tutto quello che stiamo analizzare. Questa selezione che si
forma tra acquirente e venditore, dà luogo ad una forma particolare, che sarebbe il monopolio
bilaterale (relazione di lungo periodo). Le parti sono strutturate a scambiare tra di loro in un
rapporto di lungo periodo. Qui sorge un problema, qual è il problema? Sorge il problema perché
ciascuna delle due parti, cercherà di appropriarsi nella misura maggiore possibile del surplus che
sorge dallo scambio. Lo scambio produce surplus altrimenti non si fa. Ognuno cerca di guadagnarsi
il più possibile. Da qui deriva il bisogno di fissare prima alcune regole. Fatta l’introduzione, quello
che noi dovremo vedere è:

 La fissazione del prezzo in un monopolio bilaterale;


 Volume di scambi ex-post.

Anche qui ci sono due periodo: uno ex ante ed uno ex post. Ex ante per dire oggi, ex post per dire
domani, un giorno nel futuro. è un modo tecnico per dire la cosa. Adesso consideriamo solo l’ex
post, quindi nel senso che le parti non hanno concordato (nessuna contrattazione preventiva)
prima le modalità dello scambio. L’enorme quantità degli scambi avviene in questo modo, quando
andiamo ad acquistare un caffè non stiamo lì a contrattare il prezzo o a decidere un terzo che
decide il prezzo da applicare, il barista ci dice il prezzo, paghiamo e veniamo serviti. Questo vuol
dire che, le parti si incontrano e decidono se lo scambio c’è oppure no, naturalmente non c’è
obbligo a fare lo scambio. Sapendo che abbiamo fornitore ed acquirente, indichiamo con:
V: valore del bene per l’acquirente;

C: è il costo di produzione del bene sostenuto dal fornitore.

Affinché lo scambio abbia luogo, bisogna che sussista

V ≥ C
Poi, naturalmente, ci sta il prezzo P.

P - C = è il profitto del produttore, è quanto va al fornitore dallo scambio.

V – P = è quanta parte del surplus che si crea dallo scambio che va all’acquirente.

Affinché lo scambio abbia luogo, occorre che questa differenza sia maggiore o uguale a zero,
questa differenza, in fondo, esprime il surplus che si crea dallo scambio. Naturalmente, se non c’è
un surplus, lo scambio non si fa (differenza negativa). Può accadere che le modalità di fissazione
del prezzo conducano ad una inefficienza, cioè conducano ad un volume inefficiente di scambi, che
è quello che dobbiamo vedere. Prima di vedere questo, sottolineo un risultato molto importante,
dovuto ad un economista importante detto Koase. Cito questo risultato di koase.

“Nel caso di una informazione simmetrica (= le due parti hanno la stessa informazione e
supponiamo che l’informazione sia completa; nel nostro caso significherebbe che entrambe le
parti conoscono V e C), la contrattazione è sicuramente efficiente (risultato molto logico, quando le
cose sono capite ed appurate, risultano più facili), sono efficienti quindi non si pone un problema
di volume di scambi inefficiente (= significa un volume di scambi minore rispetto a quanto sarebbe
possibile, questo non è possibile se l’informazione è simmetrica).”

Abbiamo detto che le modalità di fissazione del prezzo possono creare problemi e vediamo questo
caso. Supponiamo che il costo del nostro scenario è noto ad entrambe le imprese, ma il valore per
l’acquirente lo sa soltanto l’acquirente, il valore del bene per l’acquirente lo sa solo lui; e
supponiamo che il potere contrattuale sia del fornitore (detto in termini quotidiani, il prezzo lo
fissa il fornitore). Il problema è questo: abbiamo due imprese (acquirente e fornitore), l’acquirente
sa il costo e sa quanto vale per lui quel bene, il fornitore sa quanto gli costa produrlo, ma non ha
un’idea precisa di quanto vale il bene per l’acquirente, però il fornitore fissa il prezzo in una
situazione in cui non c’è un accordo precedente. Che farà il fornitore che non sa con precisione
qual è il valore del bene per l’acquirente? Al fornitore che gli conviene fare? Lo supponiamo perché
lo scambio genera surplus, se il valore del bene è superiore al costo di produzione, sicuramente
qualcuno ci guadagna. Se il fornitore fissasse il prezzo conoscendo il valore dell’acquirente,
ovviamente fissa V, si prende tutto il surplus; se sapesse il valore che applica l’acquirente al bene, è
naturale pensare che il fornitore fissa il prezzo desiderato dall’acquirente. Però il fornitore non
conosce il valore del bene per l’acquirente; quindi il fornitore farà delle ipotesi su v. Naturalmente
dobbiamo dirlo in modo tecnicamente migliore: il fornitore formula una distribuzione cumulata di
probabilità, ad esempio il fornitore formula una distribuzione cumulata di probabilità (ad esempio,
a quel determinato valore gli attribuisco il 10%, un valore un po’ più alto, il 35%, ecc), in questo
intervallo:
F(V) : [ V ; V ]

Le due V barrate indicano l’intervallo della distribuzione di probabilità; che sono rispettivamente il
valore minimo e il livello massimo. Il valore minimo è zero, il valore più basso da cui si parte è la
probabilità pari a zero, e il valore massimo è pari a 1.

F(V)= 0 F(V)=1

Facciamo un esempio: supponiamo un valore pari a 5 e gli associamo una probabilità del 10%, poi
un valore 10 e gli attribuisco la probabilità del 50%, e poi proseguo fino a che non raggiungo la
probabilità del 100%. Nella distribuzione cumulata di probabilità siamo arrivati al 60%; come
interpreto questi valori? È la somma delle due distribuzioni di probabilità, che lettura do di questo
60%? Il fornitore sta dicendo che c’è il 60% di probabilità che il prezzo uguale o inferiore a 10. Poi
aggiungiamo un altro valore, cioè 12 e supponiamo che abbia il 20% di probabilità e siamo arrivati
così ad 80%. Come li leggo questi valori? Ci sono 80% di probabilità che il valore sia minore a 12.
Oppure, lo posso leggere anche che c’è solo il 20% di possibilità che il prezzo sia più alto.
All’aumentare del prezzo è più bassa la probabilità di trovare un prezzo più alto. Cosa mi dice
questo? Se arriviamo all’80% significa che c’è solo il 20% di probabilità che il valore del bene per
l’acquirente sia più alto; questo mi dice che quanto più il fornitore alza il prezzo, diminuisce la
probabilità di vendere il bene, perché è più bassa la probabilità il valore che per l’acquirente sia
così alto. Alzare il prezzo comporta un rischio per il fornitore.

Facciamo due ipotesi:

 V > C: questa ipotesi significa che c’è una probabilità positiva di un surplus dallo scambio.
 V < C: questa ipotesi implica che la probabilità di surplus dallo scambio non è pari a 1.
Potrebbe non avvenire lo scambio.

Se entrambi i limiti V fossero maggiori di C, allora sicuramente avverrà lo scambio.

CONCLUSIONE.

Come fissa il prezzo il fornitore? Lo fissa come si fissano generalmente i prezzi nei mercati, nelle
imprese. Il fornitore fissa il prezzo in modo da massimizzare il profitto atteso. Il profitto atteso è P-
C, ma abbiamo detto atteso; per ottenere il profitto atteso devo moltiplicare il profitto P-C per la
probabilità che avvenga lo scambio. La probabilità che avvenga lo scambio è [1-F(p)].

Quindi il profitto atteso è: (P-C)*[1-F(P)].

Dobbiamo chiarire qualcosa sulla probabilità che avvenga lo scambio. Da cosa è data la probabilità
che avvenga lo scambio? È F(V) – F(P=V, valore supposto dal fornitore che abbia l’acquirente).

P naturalmente è uguale a V. F(V) invece sappiamo che è pari a 1. Quindi avremo che: 1 – F(P,
valore che il fornitore impone). Questa è la probabilità che avvenga lo scambio. La lettura di questa
è esattamente cosa? Supponendo che P è il nostro 12 dell’esempio, la probabilità che avvenga lo
scambio è pari al 20%, è il complemento della probabilità cumulata, è il 20%. È ovvio per lo stesso
ragionamento fatto prima, all’aumentare di P, se il fornitore alza P succede che la probabilità
avvenga lo scambio si abbassa (considera che la probabilità si è abbassata dal 60% all’80% per
arrivare a 12). Che cosa può succedere? Succede che questo fornitore cercherà di applicare il
prezzo massimo possibile sulla base di questa regola. Poi il prezzo viene fuori facendo la derivata
della probabilità cumulata e ponendo tutto uguale a zero. Accade una cosa ipotizzabile
certamente: il fornitore, nel cercare di alzare il prezzo il più possibile, sulla base delle ipotesi fatte
sul prezzo del bene del fornitore, lo alza troppo e lo scambio non avviene. Questa è un’inefficienza.
Cosa deve accadere affinché l’inefficienza non si verifichi? Lo vediamo la prossima lezione.
7 MARZO 2019.
TEORIE DELL’IMPRESA
Abbiamo iniziato questo nuovo argomento e abbiamo detto tante cose, iniziando dalla
considerazione che l’impresa è un rapporto di lungo periodo che da luogo a una serie di problemi.
Il tema è perché stabilire le regole oggi per scambi che avverranno nel futuro. Abbiamo distinto tra
ex-ante ed ex-post e ci siamo concentrati sull’ex post, cioè abbiamo considerato due parti che non
hanno fissato prima regole sugli scambi; è un tipo di scambio a cui siamo abituati, ad esempio non
andiamo a prendere un caffè per poi metterci a discutere sul prezzo, quindi c’è soltanto un ex post
(le parti si incontrano e decidono se lo scambio deve avere luogo oppure no). Abbiamo
sottolineato l’impresa come rapporto di lungo periodo, perché abbiamo osservato che cambiare è
costoso e abbiamo concentrato l’attenzione tra due tipi di imprese (fornitore ed acquirente).
Inoltre abbiamo detto che se l’informazione è completa lo scambio è efficiente. Poi ci siamo
concentrati su un caso specifico: l’impresa acquirente ha consapevolezza di quanto vale la merce di
scambio per lei ed è informata anche su quanto costa produrla; mentre l’impresa produttrice sa
quanto gli costa produrla ma non ha idea del valore della merce per l’acquirente. Il venditore, non
avendo informazione completa, formulerà delle probabilità sul valore di questa merce per
l’acquirente. Come avviene la scelta questo fornitore nell’ipotesi in cui lui abbia il potere
contrattuale (cioè è il venditore che fissa il prezzo), come lo fissa il prezzo? Lo fissa in modo da
massimizzare il profitto (prezzo che gli applica – il costo di produzione).

Lui fissa il prezzo in modo da massimizzare il profitto atteso, il fornitore non ha l’informazione
completa, lui ha una probabilità. Dobbiamo moltiplicare questa differenza per la probabilità che
avvenga lo scambio, e questa probabilità è pari:

( P – C ) * [ 1 – P ( P = V) ]
La probabilità che avvenga lo scambio è tanto più bassa quanto più alto è il prezzo. Il fornitore fissa
il prezzo in modo tale da massimizzare il profitto atteso. Come si risolve il problema? Ogni
problema di massimizzazione si risolve derivando la funzione rispetto a P e ponendo la derivata
uguale a zero; non lo faremo perché dovremmo conoscere bene la funzione di distribuzione di
probabilità, concetti molto complicati. Il fornitore fissa il prezzo in modo da massimizzare il profitto
atteso, se alza un poco il prezzo, qual è l’effetto? L’effetto è duplice:

 Da un lato, se alza il prezzo aumenta il profitto;


 Dall’altro, si riduce la probabilità che avvenga lo scambio.

Quindi avremo il prezzo di equilibrio quando questi due fattori si equilibrano. Il prezzo di equilibrio
sarà tale da equilibrare queste due forze.

È possibile che il processo di massimizzazione porta ad un prezzo che è superiore a V, e che


succede? L’acquirente non compra. Il prezzo è più alto di quello che la merce vale per lui; lo
scambio non ha luogo. Chiariamo meglio. Quale sarebbe il volume efficiente di scambio (massimo
volume possibile) in generale? In termini di efficienza, i volumi di scambio migliori quali sarebbero?
Il volume di scambio efficiente sarebbe quello in corrispondenza del quale abbiamo un prezzo
uguale a C. Teniamo presente che la remunerazione dell’imprenditore sta in C, non è che se il
prezzo P va uguale a C allora muore di fame. Il nostro fornitore non applicherà mai P=C,
sicuramente applica un prezzo più alto di C e, facendo questa massimizzazione, otterremo un
prezzo. Perché non applicherà mai P=C? Il fornitore non applicherà mai P=C per un’ipotesi che
abbiamo fatto la volta scorsa. Ovvero sono le seguenti ipotesi:

 V > C. Il V barrato è il valore massimo che può ipotizzare l’acquirente di spendere, e questo
deve essere superiore al costo di produzione. Ci sta dicendo che in tal modo c’è una
probabilità di avere un profitto positivo, questo perché se il valore massimo di questa
merce è superiore al suo costo di produzione questo significa che c’è la possibilità positiva
di fare sovraprofitto.
 V – C > 0.

Un’altra ipotesi che abbiamo fatto all’inizio è che entrambe le imprese sono neutrali rispetto al
rischio. Un imprenditore neutrale rispetto al rischio, ha la possibilità di fare profitto, e non applica
un prezzo superiore a C? Lo applica sicuramente.

Si può mostrare che, se V e C sono informazioni private (non sono informazioni disponibili a tutti),
se non è certa l’esistenza di un surplus dalla transazione, se le parti sono libere di non
commerciare, non esiste un processo di contrattazione ex post efficiente. L’inefficienza consiste in
una riduzione del commercio. Nel caso presentato, l’inefficienza è totale.

Come si supera l’inefficienza? Si supera stabilendo prima le modalità dello scambio. In questo caso
che stiamo esaminando, quale sarà la soluzione per rendere lo scambio efficiente? In che modo
queste due parti è bene che contrattino prima le modalità dello scambio per raggiungere
l’efficienza? Dando alla parte che ha informazione completa il potere contrattuale, affidando alla
parte che ha l’informazione completa la fissazione del prezzo. Quindi chi lo fissa il prezzo?
L’acquirente. Che prezzo fisserà l’acquirente? Lui fisserà P = C e tutto il surplus se lo prende lui, ma
non è che l’altro non prende nulla, il profitto del fornitore o la sua remunerazione sta in C, è il
sovrapprofitto che va tutto all’acquirente.

Esempio terra terra: i “vu cumbra”. Che accade in questo caso? Questo pseudo venditore parla di
prezzo, spara un prezzo e vede la reazione. Quando vede la reazione titubante, cosa fa dopo? Da
all’acquirente la possibilità di darne un prezzo, sapendo che l’acquirente abbia un’idea del prezzo
della merce contraffatta che sta vendendo. In pratica sta applicando questa regola di economia.

In generale, che si può dire sulle modalità ex ante relative allo scambio? Si può dire questo. Si può
dire che, per salvaguardare lo scambio, il potere contrattuale è bene che ce l’abbia la parte più
informata. Quindi, se le informazioni fossero state opposte, cioè che il fornitore sa benissimo
quanto vale il macchinario per l’acquirente e conosce tutto, mentre l’acquirente non conosce il
costo di produzione, in questo caso, le modalità per lo scambio sarebbe bene che fossero fissate
dando al fornitore il potere contrattuale.
INVESTIMENTI SPECIFICI.
Anche questi hanno a che vedere con i rapporti di lungo periodo d’impresa. Questo non lo
vediamo formalizzato, però lo vedremo ugualmente chiaro. Con riferimento alle nostre due
imprese, supponiamo che questo fornitore ha in mente un investimento nella sua impresa per poi
abbassare i costi di produzione di una certa merce che però viene impiegata da una certa impresa.
Si fa un investimento specifico perché la merce prodotta sarà poi venuta a quella impresa e non ad
altre.

Investimento specifico = la merce prodotta ha caratteristiche tali che sono utili solo per una certa
impresa (che abbiamo chiamato acquirente).

Se il fornitore facesse questo investimento per poi vendere la stessa merce ad un’altra impresa non
ci riuscirebbe, perché è un investimento specifico.

Si potrebbe costruire un esempio, il quale ci fa vedere che, se la contrattazione ex post (caso in cui
non sussiste un accordo precedete lo scambio) tra le parti porta ad una soluzione di Nash in cui le
parti si dividono il surplus dello scambio, l’investimento non avrà luogo (il fornitore non fa
l’investimento). Perché? Dobbiamo capire come mai l’impresa fornitrice non fa l’investimento.

Risposta: l’impresa fornitrice non fa l’investimento per un motivo lampante. Questo sostiene il
costo per l’investimento (che è costoso, dovrà assumere l’ingegnere che gli progetta la merce,
acquistare materiali, ecc), poi si abbassa il costo e divide il risultato con l’acquirente? Potrebbe non
farlo, perché lui sostiene tutti i costi, ottiene il guadagno dell’investimento e, secondo l’equilibrio di
Nash, tale guadagno lo divide a mezzi con l’acquirente. Potrebbe dire “io non faccio l’investimento”
perché sostiene un costo per dare poi una parte del suo profitto all’altro, non acquisisco
completamente i profitti dell’investimento perché se lo divide con l’acquirente. In tale situazione, è
ovvio che un imprenditore non abbia intenzione di dividere il profitto.

C’è un altro aspetto da considerare: se l’imprenditore fa l’investimento che però la soluzione di


Nash ci dice che dobbiamo dividere a mezzi con l’acquirente; lui potrebbe tentare di applicare un
prezzo in modo tale che tutto il surplus vada all’impresa produttrice. Lui ha fatto un investimento
per abbassare il costo, quindi si abbassa anche il prezzo, mentre se l’imprenditore il prezzo lo
abbassa poco, sorge un bel sopra-profitto. Allora potrebbe questo imprenditore che ha fatto
l’investimento specifico appropriarsi di questo surplus? Potrebbe assumere questo atteggiamento
deciso? Questo atteggiamento deciso lo possiamo riassumere in questo modo, lui cerca comunque
di appropriarsi del surplus.

Però, d’altro canto, l’acquirente ha un’arma potentissima tra le mani: l’acquirente potrebbe
benissimo decidere di non comprarlo più, quando lui ha fatto l’investimento ed ha speso,
l’acquirente ha la possibilità di sottrarsi l’acquisto. La soluzione di Nash in questo caso risulta essere
una soluzione ragionevole.

In questo caso l’acquirente può effettuare nei confronti del produttore una minaccia credibile, cioè
minacciare di non acquistare questa attrezzatura.
Questo comportamento viene definito da un industriale/economista, che si chiama Williamson,
come un atteggiamento opportunistico da parte dell’acquirente, questa è un’espressione tipica per
descrivere questo atteggiamento; il monopolio bilaterale di cui stiamo parlando e la contrattazione
ex-post portano a sottoinvestimenti in capitale specifico.

C’è un esempio su questo che ci riguarda. Un lavoratore che investe in un corso di formazione
estremamente specifico, magari organizzato da una certa impresa, perché un lavoratore che
investe in questa formazione specifica ci può pensare due volte se iscriversi o no? Perché una
formazione estremamente specifica può non essere una cosa buona? Perché si lega troppo a
quell’impresa e, se la sua preparazione è così strettamente collegata a quella specifica impresa,
rischia poi di perdere opportunità esterne. Quindi, anche i corsi vanno ponderati, corsi troppo
specifici possono avere troppe controindicazioni.

Naturalmente, la dimensione di questo investimento dipende dal grado di specificità che è molto
importante per un’azienda: tanto è più basso il grado di specificità, tanto meno gli investimenti ne
saranno penalizzati; tanto più basso sarà il grado di specificità tanto più ci saranno possibilità di
ricevere opportunità esterne.

In questo quadro, con riferimento agli investimenti specifici, cosa significa l’ex ante qui? Significa
un contratto tra due imprese che stabilisce una serie di modalità.

Le imprese fanno spesso contratti tra di loro, è una cosa normalissima; la faccenda qui si risolve
con un contratto, c’è da osservare che, siccome che la possibilità di opportunismo più grossa è che
l’acquirente minaccia di non voler più acquistare, il contratto deve tutelare l’altra parte (fornitore) e
la si tutela di solito prevedendo delle penali, cosa frequentissima nei contratti; cioè previsione di
penali in caso di previsione di comportamenti opportunistici.

LIMITI DEI RAPPORTI DI LUNGO PERIODO.


Sono sempre riferiti alle due imprese. Sottolineo due cose:

1. Il limite più importante del rapporto di lungo periodo tra due imprese è la perdita di
opportunità esterna. Il contratto di cui abbiamo parlato vincola sui fatti, è un vincolo che
può diventare un ostacolo, anche quando il rapporto tra le parti non è più tanto positivo. Il
contratto deve essere fatto con degli elementi di flessibilità che non ci riguardano adesso.
2. Il secondo limite è che le relazioni di lungo periodo favoriscono (ad esempio tra due grandi
imprese) la collusione tra le unità delle imprese, cioè spesso che succede? Pensiamo
appunto ai manager che hanno un rapporto stabile con i fornitori, è possibile che qualche
“mazzetta” venga fuori; è in questo senso che i rapporti di lungo periodo favoriscono un po’
di collusione che dal punto di vista dell’efficienza dell’impresa non è una buona cosa. Ad
esempio, proprio su questo aspetto, una rotazione dei manager è una cosa positiva che
viene praticata spesso, far ruotare il personale in modo da non stabilire rapporti così
continuativi, può essere una buona cosa.

RAPPORTO TRA AZIONISTA E MANAGER.


Premessa che ci apre il tema.

CONFLITTO TRA ASSICURAZIONE ED INCENTIVI.


Applicheremo un punto della teoria dell’assicurazione ottimale. Noi siamo all’oggi, davanti a noi c’è
il futuro, i soggetti sono il manager e l’azionista. Il futuro ha tante possibilità di profitto.

OGGI FUTURO Tante possibilità di profitto

π1, π2, π3, … , πn (profitto)

P1, P2, P3, … , Pn (relativa prob che si verifichi)

Il profitto che stiamo descrivendo è una varabile casuale e una variabile stocastica; quindi questo
profitto π1 ha una probabilità che si verifichi pari a P1, π2 ha una probabilità che si verifichi P2 e
così via fino al profitto πn ha una probabilità che si verifichi Pn. Naturalmente, la sommatoria delle
probabilità Pi è pari a 1. Abbiamo quindi due soggetti:

 L’azionista, che è neutrale rispetto al rischio;


 Il manager, che è avverso al rischio.

Il senso di questa variabile stocastica è che la variabile (i profitti) è indipendente da qualunque


azione che questi due soggetti possano fare.

L’allocazione di reddito ai due soggetti, di fatto, cosa prenderanno? L’azionista prenderà il profitto
quando si realizza in futuro, al netto di ciò che va al manager, quando in futuro si realizza il
guadagno. Si scriverà così:

π–W(π)
Ovviamente, dall’altra parte, il manager prenderà W che dipende da Pi greco, cioè

W(π)
Questo quando il profitto si sarà realizzato. Oggi, ci chiediamo qual è l’utilità attesa delle due parti.

Qual è l’utilità attesa delle due parti?

1. E [ π – w ( π ) ] = ∑ Vi * ( π – wi ). Noi siamo all’oggi è ci chiediamo oggi qual è il profitto


atteso dell’azionista, il profitto atteso dell’azionista che cos’è? È la somma dei vari profitti
che eventualmente si verificheranno per la probabilità che si verifichino meno la
remunerazione del manager che dipende dal profitto. Nella sommatoria ho tutti i profitti
moltiplicati per la loro probabilità e sommati tra di loro. Questa è una media ponderata, i
pesi sono le probabilità. Il profitto atteso è una media.
2. Per quanto riguarda il manager, scriviamo la sua utilità attesa, il suo profitto, invece, lo
scriviamo in termini di utilità attesa. Eu [ w ( π ) ] = Ei Pi U ( Wi ). Questa è una sommatoria
su i di Pi per la funzione U ( Wi ).
Contratto efficiente = è quel contratto che massimizza l’utilità di una delle due parti del contratto
dato un certo livello di utilità dell’altra parte.

Qui c’è un problema di massimo. Il significato si trova implicito nella definizione che abbiamo
appena dato, ma vediamo ora di che cosa stiamo parlando e a che cosa si applica. Questa
definizione si applica ovviamente tra il contratto che deve fare l’azionista al manager, questa
definizione riguarda il contratto che l’azionista deve fare al manager. Qual è il problema
dell’azionista? L’azionista massimizza il suo profitto atteso con un vincolo, il vincolo è che deve
garantire al manager un certo livello di utilità, gli deve dare una remunerazione W che garantisce
questo livello di utilità. L’azionista deve massimizzare la sua utilità (profitto atteso) con un vincolo,
cioè che deve dare una remunerazione al manager che gli garantisca un certo livello di utilità.
Perché l’azionista ha questo vincolo? Perché altrimenti il manager non accetta, va a trovare altri
impieghi più in linea con la sua utilità.

PROBLEMA DI MASSIMO.

Si tratta di massimizzare la seguente sommatoria con un vincolo.

Max = ∑i Pi ( π – Wi ) sub ∑i Pi U ( Wi ) ≥ U0
VINCOLO.

È problema di massimo vincolato e si risolve applicando una funzione lagrangiana. La funzione


lagranciana è la seguente:

L = ∑i * Pi ( π – Wi ) +λ [ ∑i * Pi u (Wi) – U0 ]
Dobbiamo derivare questa funzione. Quante volte la devo derivare? L’azionista deve decidere
quanto proporre al manager attraverso questa funzione. Quante incognite ci sono qui?

Derivo rispetto a (1+i), quanti W ci stanno? La sommatoria si fa fino ad n, quindi ci sono n W.


Quindi devo derivare la lagrangiana rispetto a wi.

∂L = - Pi + λPi * U0’ ( Wi ) = o

∂wi

Abbiamo fatto quindi la derivata della funzione di utilità (attesa del manager, legata a wi); come si
chiama la derivata della funzione di utilità? È l’utilità marginale. Se sto massimizzando, la derivata
deve essere pari a zero. Pi posso togliere dividendo tutto per Pi, e quindi Pi diventa -1 e lo sposto
dove sta lo zero. Quindi:

∂L = +λU’ ( Wi ) = 1

∂wi

Adesso divido tutto per lamda e ho questa soluzione:


U’ ( Wi ) = 1

Questa è la nostra soluzione. Lunedì lo chiariamo perfettamente nel suo significato.

PROBLEMA DEGLI INCENTIVI.


11 MARZO 2019.
Stiamo nella parte della teoria dell’impresa e il punto che stiamo vedendo è il conflitto tra
azionista e manager. È quello che stavamo vedendo la volta scorsa che dobbiamo terminare.

CONFLITTO TRA ASSICURAZIONE ED INCENTIVI.

Continuiamo col racconto iniziato ieri col rapporto tra azionista e manager. Stiamo ad oggi e di
fronte a noi c’è il futuro che presenta una serie di possibili livelli di profitto, ciascun livello di
profitto ha una certa probabilità. Il problema dell’azionista è il contratto che deve offrire al
manager. Ci troviamo in un quadro un po’ particolare, nel senso che supponiamo che questi
possibili livelli di profitto sono indipendenti da ogni azione che possa essere fatta dall’azionista o
dal manager. Questi possibili livelli di profitto ha una certa probabilità, schematizzata come segue:

Livelli di profitto: π1, π2, π3, …. , πn

Probabilità: P1, P2, P3, …. , Pn

Ognuno di questi livelli di profitto, sono grandezze che non dipendono dalle azioni che possono
essere fatte dall’azionista o del management, sono variabili casuali o stocastiche nel senso più
puro del termine. Il problema dell’azionista è determinare la remunerazione del manager, tramite
il contratto fatto al manager.

Noi stiamo all’oggi, oggi deve essere offerto al manager un contratto per la sua retribuzione
futura. Abbiamo scritto le utilità attese dei due soggetti, scriviamole per intero:

 Utilità attesa dell’azionista. E [ π – W ( π ) ]. Questo è un valore atteso e come lo scriviamo?


Sarà quindi dato da = ∑i Pi ( πi – Wi ). L’utilità attesa dell’azionista è pari alla sommatoria
dei singoli profitti netti (profitto meno quello che va al manager) con dei pesi che sono dati
dalle probabilità. Quindi questo profitto atteso che cos’è? È una media ponderata, ci
attendiamo una media ponderata con dei pesi date dalle singole probabilità. Questo è
l’utilità attesa dell’azionista.
 Utilità attesa del manager. È data dalla relazione seguente: E U [ W ( π ) ]. Questa è la utilità
attesa del manager e la scriviamo facendo riferimento direttamente alla funzione di utilità
che è funzione di W che dipende direttamente da π. Anche questa la possiamo scrivere in
modo analogo a quella dell’azionista, ovvero = ∑ Pi * U ( Wi )  Wi è funzione di π.

Qual è il problema, qual è il contratto più efficiente che l’azionista disegna? Sarà quel contratto
che massimizza il profitto dell’azionista, offe un contratto massimizzando il suo profitto come
azionista, ma con un vincolo: non è che può dare al manager una cifra qualunque, gli deve dare
quei salari che il manager potrebbe altrove, presso altre imprese. Detto in modo generale,
l’azionista deve offrire delle retribuzioni, massimizzando il suo profitto da azionista, ma che
garantiscono un livello di utilità al manager pari a quel livello di utilità che il manager potrebbe
ricevere andando a lavorare presso altre imprese.
Questo, formalmente è un problema di massimo vincolato, il nostro azionista massimizza il suo
profitto, in questo modo:

MAX ∑i Pi ( π – W ) sub ∑i Pi U ( Wi ) ≥0

Subordinatamente a questo vincolo, la sommatoria ponderata delle utilità attese del manager
devono essere almeno pari a 0. Questo è un massimo vincolato. Questo massimo vincolato lo
risolviamo con la funzione lagrangiana, questa funziona lagrangiana in che consiste? Consiste
nell’inserire il vincolo accanto alla funzione principale.

L = ∑i Pi ( πi – Wi ) + λ [ ∑i Pu ( Wi ) – U0 ]

Questa è la funzione lagrangiana. Vediamo di capirla meglio:

 La prima sommatoria di quanti pezzi è composta? È composta da n pezzi


 La seconda sommatoria è composta anch’essa n pezzi.

Questa funzione lagrangiana che cosa deve determinare? Qual è l’incognita in questo problema di
massimo? L’incognita sono i salari, dobbiamo determinare il contratto che questo azionista offre al
manager, dobbiamo determinare queste remunerazione. Come le determiniamo? Derivando la
lagrangiana rispetto ai salari, lo abbiamo scritto riferendoci alla sommatoria del generico i, quindi
deriviamo i salari rispetto ad i; quindi avremo:

L = - Pi + λ Pi U’1 ( Wi ) = 0

Derivando per la funzione di utilità otteniamo l’utilità marginale. Dato che sto massimizzando, tale
derivata deve essere pari a zero. Facendo passaggi algebrici, divido per Pi e porto -1 dall’altra parte
(diventa positivo), per cui questa derivata U’ ( Wi ) sarà pari a:

U’ ( Wi ) = 1

Ed è la soluzione a cui siamo arrivati ieri. Ho derivato rispetto a Wi e trovo questo risultato. Che mi
dice questo risultato? Già da questo possiamo arrivare alla conclusione: λ sarà sempre questo,
come sarà questa derivata? Questa derivata, di tutte le funzioni di utilità come sarà? Questa
derivata sarà sempre uno su lamda, quindi la derivata sarà una costante e dunque, se è una
costante, che concludo? Se tutte le derivate della funzione di utilità sono le stesse cosa implica?

Ragioniamoci ancora facendo riferimento uno scenario del genere.

Supponiamo uno scenario con due livelli di profitto: π1 (profitto alto) e π2 (profitto più basso).
Scenario molto semplice. Ognuno dei due profitti ha una probabilità P1 e P2. Scriviamoci la
lagrangiana in questo scenario dove esistono solo due livelli di profitto atteso: o le cose vanno
molto bene e quindi ho π alto, oppure le cose vanno molto male e quindi ho π basso. Che cosa
scrivo quindi?

P1 ( π1 – W1 ) + P2 ( π2 – W2 ) + λ [ P1 U ( W1) + P2 U ( w2 ) – U0]
Questa è la lagrangiana applicata a questi due scenari. Devo determinare W1 e W2,
massimizziamo la lagrangiana rispetto a W1.

∂L = -P1 + λ P1 U’ (W1 ) = 0

∂W1

Poi ho la derivazione della lagrangian rispetto a w2.

∂L = -P2 + λP2 U’ ( w2 ) = 0

∂W2

Dalla prima che cosa ottengo? Ottengo che U’(W1)= 1/λ

Dalla seconda che cosa ottengo? Ottengo che U’(W2)= 1/λ

Quindi che cosa concludo? Se entrambe le derivate sono uguali a 1/λ, ne deriva che
U’(W1)=U’(W2). Se le due derivate sono uguali, cosa implica? Sto derivando queste due funzioni
rispetto alla stessa variabile (stesso salario), mi viene fuori che la derivata della funzione (che è
l’utilità marginale) e mi viene fuori che è la stessa in entrambi i casi, se l’utilità marginale è la
stessa, quindi il salario è lo stesso livello indipendentemente da come vanno le cose. Il manager è
avverso al rischio, se le due derivate risultano uguali, questo implica che w1=w2.

Siamo arrivati a questo risultato, naturalmente in uno scenario semplice in cui il futuro può essere
buono o cattivo, ma questo risultato vale per la generalità dei casi. La nostra conclusione è che,
questo scenario descritto, vale la seguente relazione:

w1 = w2 = … = wn

In conclusione, questo risultato vale per tutti i casi che possono capitare. Quindi la derivata prima
della funzione di utilità è la stessa per tutti.

Cosa implica questo? Questo risultato a cui siamo arrivati implica che l’azionista garantisce al
manager lo stesso livello di salario qualunque sia il futuro; cioè garantisce al manager un salario
costante qualunque sia il futuro. Quindi che sta facendo l’azionista? Sta offrendo al manager una
assicurazione contro la possibile variabilità degli stati di natura futuri. Questo è un risultato della
teoria dell’assicurazione ottimale.

Che ci dice questa teoria dell’assicurazione ottimale? Ci dice che la parte neutrale rispetto al
rischio si assume per intero il rischio. Dobbiamo capire che l’azionista non è un benefattore, si
assume tutto il rischio, ma se le cose vanno bene, si becca lui grandissima parte del profitto
ulteriore; se le cose vanno male si prende lui la responsabilità, ma se le cose vanno bene, si
assume lui tutto il beneficio. Solo la parte neutrale al rischio si prende i benefici del rischio, la
parte avversa al rischio si prende una retribuzione costante. L’azionista non è un benefattore, è
solo una persona capace di assumersi i rischi essendo una persona neutrale rispetto al rischio, ed
assicura al manager una retribuzione costante indipendentemente dalle situazioni.
Ulteriore domanda: se voi foste dei manager, questa retribuzione costante vi andrebbe bene?

Noi abbiamo fatto un’ipotesi molto forte, cioè che questi livelli di profitto non dipendono dalle
azioni del manager o dell’azionista e sono quindi delle variabili casuali. Adesso, supponiamo che il
manager possa fare qualche azione che è in grado di influire sui risultati, sui livelli di profitto.

Supponiamo che questo impegno per il manager è piuttosto faticoso, è una fatica, quindi questo
impegno è un qualcosa di costoso, potrebbe impegnarsi molto ma gli costa parecchio. Allora sorge
un problema: se c’è una retribuzione costante, indipendente dai risultati per il manager, e per lui
impegnarsi è una cosa faticosa, questo manager avrà incentivi ad impegnarsi? No. Una
retribuzione costante non offre al manager un incentivo all’impegno. La conclusione a cui siamo
raggiunti in cui il manager è completamente assicurato contro qualsiasi rischio di variabilità, ci dice
che l’azionista sta assicurando al manager una retribuzione costante. Ma se il risultato non è
neutro alle attività del manager, nel senso che dipenderà dalle azioni svolte dal manager, il
manager sarà disposto a sacrificarsi/impegnarsi molto affinché si realizzi un risultato buono? La
risposta è no. Questo perché una retribuzione costante, cioè un’assicurazione da parte
dell’azionista, è in conflitto con il sistema di incentivi, a causa del fatto che la retribuzione costante
è indipendente dagli stati di natura che si verificheranno, e quindi non offre al manager alcun
incentivo all’impegno.

Quindi c’è un conflitto tra assicurazione e incentivi: se c’è assicurazione non possono esserci gli
incentivi, se ci sono gli incentivi vuol dire che il manager sta partecipando ai risultati dell’impresa.
C’è un conflitto tra queste due situazione (assicurazione vs incentivi). Se il manager viene
incentivato vuol dire che non viene assicurato dai rischi di variabilità.

Adesso che abbiamo capito la tra incentivo ed assicurazione, ci è più facile rispondere alla
domanda di prima? È meglio ricevere incentivi o assicurazione? Dipende dal grado di avversione al
rischio delle singole persone, oltre il fatto che il sistema degli incentivi lega il manager ai risultati
dell’azienda, indirizzandolo ad essere più produttivo, in conclusione la persona che fa il manager
se contribuisce allo sviluppo dell’azienda si sente più soddisfatta personalmente. C’è uno sforzo a
ragionare su due fronti.

Il conflitto tra assicurazione e rischio lo abbiamo visto con uno schema formale molto semplice.
Adesso dobbiamo uscire da questo ambito in cui i risultati dell’impresa non dipendono
dall’impegno del manager. Dobbiamo però dire qualcosa prima.

IL RAPPORTO AZIONISTA-MANAGER.
Questo rapporto può essere visto come un rapporto di agenzia. Vediamo che cos’è dato che la
moderna teoria economica si occupa di questo.

Il rapporto di agenzia un rapporto tra due soggetti: l’agente e il principale. L’agente è quello che fa
l’azione; il principale è quello per conto del quale viene fatta l’azione. Nella vita, i rapporti di
agenzia sono frequentissimi. Un esempio per capire quanto è frequente il rapporto di agenzia, è
quello del rapporto tra medico e paziente: l’agente è il medico e il principale è il paziente. L’agente
è colui che fa l’azione per conto di qualcun altro. Nel rapporto azionista-manager, l’agente è il
manager, il principale è l’azionista. Se l’azionista dirigesse lui, l’impresa non avrebbe il manager.
Stiamo parlando di una società grande dove c’è un azionista (che possono essere tanti) e c’è anche
un manager. Questo rapporto di agenzia è diffusissimo nei contratti soprattutto. I rapporti di
agenzia non creano problemi economici se le parti sono completamente informati, se vi è
simmetria di informazioni. Se vi è un’asimmetria informativa, qui sorgono problemi e il rapporto
tra azionista e il manager è un rapporto che si presta ad asimmetrie informative. Se vi sono
asimmetrie informative, emerge la possibilità di un sistema di incentivi per risolvere i problemi
creati dalle asimmetrie informative.

C’è un conflitto di interessi tra azionista e manager? Sì, perché più prende l’azionista meno prende
il manager. Assodato questo, un sistema di incentivi può essere uno strumento con il quale si
risolve il conflitto di interessi tra queste due parti. L’asimmetria informativa può dar luogo ad un
problema di moral hazard (azzardo morale, espressione intraducibile). Detto in altre parole:
l’asimmetria informativa può dar luogo a comportamenti opportunistici, stesso concetto ma detto
in Italiano. Di che cosa si tratta? Perché in che modo?

La parte che possiede maggiori informazioni ha, in questo caso, la possibilità di prevaricare verso
la parte meno informata. Diciamolo in altre parole. Perché la differenza di informazioni può dar
luogo a comportamenti opportunistici? Avere informazioni che l’altra parte non ha può consentire
a questo soggetto di sfruttarle a proprio vantaggio a danno dell’altra parte. L’asimmetria
informativa vuol dire possedere delle informazioni che l’altra parte non ha e quindi può sfruttare
queste informazioni a proprio vantaggio contro l’interesse dell’altra parte meno informata.

Citiamo tre possibilità che possono accadere:

1. MORAL HAZARD CON AZIONE NASCOSTA. Questo è quello che noi vedremo
successivamente. Il caso è questo. Al momento del contratto, le informazioni sono le
stesse, ma poi quello che fa veramente il manager lo sa solo lui; e se lo sa solo lui, significa
che l’azionista non può controllare il manager (asimmetria di informazione verso
l’azionista) in maniera perfetta. Che può fare il manager se sa che non può essere
controllato? Può fare comportamenti scorretti, non fare nulla, etc. Che cosa può fare la
parte non informata che è l’azionista? L’azionista potrebbe incentivare il manager in modo
che l’azione nascosta del manager sia buona e non cattiva.
2. MORAL HAZARD CON INFORMAZIONE NASCOSTA. Qui le informazioni sono complete al
momento del contratto, non vi è asimmetria al momento del contratto, ma poi il manager
viene ad acquisire informazioni che l’azionista non ha e che potrebbe usarle a proprio
vantaggio.
3. SELEZIONE AVVERSA (ADVERSE SELECTION). Lo citiamo solo nel nostro caso. L’asimmetria
informativa qui avviene al momento del contratto, perché il manager ha idea di qual è il
suo valore, questa è un’informazione che l’azionista potrebbe non sapere al momento del
contratto. Questa però è una situazione che non vedremo.
Vediamo nello specifico questo rapporto azionista manager, nello specifico sullo scenario moral
hazard con azione nascosta.

La prima parte è sul conflitto assicurazione - incentivi. Abbiamo capito da dove deriva questo
conflitto e ora vediamo il primo scenario dei tre, dove l’azione del manager è importante.

Noi siamo ad oggi come nei casi precedenti, poi c’è il futuro davanti a noi che è semplice (può
essere buono o meno buono), però l’azione del manager è importante. Vediamo questo caso.

RAPPORTO DI AGENZIA AZIONISTA-MANAGER.

Le cose nel futuro possono essere buone o cattive, quindi il futuro può esserci π1 e π2, dove

π1<π2

Le cose possono andare bene con una funzione di profitto/utilità π1 oppure le cose possono
andare male con una funzione di profitto/utilità π2.

La funzione di utilità del manager è data dal fatto che può impegnarsi parecchio o poco, quindi:

 Nel caso di impegno elevato: U = U ( W –σ )


 Nel caso di impegno basso: U = U ( W )

La funzione di utilità U è una funzione concava e crescente rispetto a W.

Nel caso precedente, il profitto era una variabile casuale stocastica, qui invece la funzione di utilità
cambia se il manager si impegna o no; possiamo quindi monetizzare l’impegno del manager con

ϕ (lettera phi) che è il suo valore monetario.

Se il manager si impegna avrà quindi W al netto del valore monetario del suo impegno, altrimenti
se non si impegna la sua retribuzione è pari a W. Sapendo che la funzione di utilità U è concava,
allora il manager è avverso al rischio, quindi com’è fatta la funzione?

U Questa è la funzione di utilità rispetto al salario del manager.

La funzione è concava e positiva.

f’ ( U ) > 0 f’’ ( U ) < 0

La funzione obiettivo del manager, è il valore atteso dell’utilità, lui è interessato alla
massimizzazione dell’utilità attesa. Il nostro manager deve avere un’utilità almeno pari a quella
che otterrebbe altrove.

W0 = salario di riserva del manager, cui corrisponde U (Wo), se vale meno quello offerto
dall’azionista, allora il manager se ne va altrove. L’azionista massimizza il profitto, la funzione
obiettivo degli azionisti invece è il valore atteso del profitto al netto del salario pagato dal
manager.

Osservazione molto interessante. Il ricavo dell’impresa con impegno elevato del manager è il
seguente (che incide sul risultato):

π1 = con probabilità 1 – X nel caso in cui le cose vadano male con impegno alto del manager.

π2 = con probabilità X (probabilità che le cose vanno bene con impegno alto del manager)

Il ricavo dell’impresa con impegno basso dato dal manager stavolta è influente.

π1 = con probabilità 1 – Y nel caso in cui le cose vadano male con impegno basso del manager.

Π2 = con probabilità Y nel caso in cui le cose vadano bene con impegno basso del manager.

La probabilità che le cose vadano bene, quando il manager si impegna è più alta rispetto alla
probabilità che le cose vadano male, quando non c’è l’impegno del manager.

Quindi, di conseguenza X > Y.

Dobbiamo poi determinare W1 (salario nel caso in cui si verifica π1) e W2 (salario nel caso in cui si
verifica π2)
LEZIONE DEL 12 MARZO 2019.
Ripetiamo quello che abbiamo fatto ieri: abbiamo svolto un punto critico sul conflitto tra incentivi
ed assicurazione. Abbiamo visto che le due cose si escludono a vicenda, cioè:

 se l’azionista assicura il manager rispetto al rischio della variabilità degli stati di natura
(profitti futuri), se lo assicura quindi contro questo rischio con remunerazione costante,
qualunque sia il livello di profitto che poi effettivamente si verifica (il profitto qui è una
variabile casuale, stocastica), se l’azionista lo assicura contro la variabilità del profitto, non
lo incentiva verso nessun tipo di rendimento nel caso in cui il suo impegno potesse avere
una qualche influenza sul livello di profitto che si verificherà nel futuro. in tal senso, se
l’azionista non da nessun incentivo per il manager anche nel caso in cui le sue azioni
potessero influire in qualche modo sul profitto futuro, allora il manager non è incentivato a
influenzare il risultato finale.
 L’incentivo sorge quando, laddove le cose andassero bene, il manager partecipa a questi
profitti. Che cosa significa incentivo? Significa che l’azionista sta dicendo al manager
“guarda che se le cose vanno bene, io ti pago di più”, se l’azionista gli dice questo, il
manager è incentivato ad impegnarsi. Se l’azionista gli dice invece “Io ti do questo
qualunque cosa accada”, questo significa non incentivare.

C’è un conflitto tra la retribuzione fondata sul principio assicurativo (impieghiamo il principio
dell’assicurazione ottimale) e la retribuzione fondata sugli incentivi.

Abbiamo trattato il caso generale con n possibili livelli di profitto che possono sussistere e, per
renderci conto del risultato, abbiamo analizzato la situazione con due soli scenari, uno con profitto
alto e un altro con profitto meno alto. Abbiamo scritto il profitto atteso con riferimento a questo
quadro (profitto alto e profitto basso). Poi abbiamo scritto la lagrangiana e siamo arrivati alla
conclusione che, facendo la derivata e massimizzando la soluzione con il processo di massimo
vincolato, siamo arrivati alla conclusione che: U’ (W1) = U’ (W2).

Questa è la funzione di utilità del manager, noi non abbiamo tante funzione di utilità, queste cose
che abbiamo visto riguardano sempre la funzione di utilità del manager.

Il significato del risultato (le utilità marginali di W1 e W2 sono le stesse) è che W1 deve essere
uguale a W2. Questa funzione U ( W ) è la funzione di utilità del manager, abbiamo descritto solo
una funzione di utilità, poi nella lagrangiana ci dobbiamo mettere tanti profitti attesi quanti sono
gli scenari che abbiamo ipotizzato (qui nel nostro caso sono due). In equilibrio le due Utilità
marginali sono uguali, il che significa che i due salari sono uguali.

Andiamo avanti.

RAPPORTO AZIONISTA – MANAGER COME RAPPORTO DI AGENZIA.


Un rapporto di agenzia è un rapporto tra una persona che è l’agente e un’altra persona che è il
principale. L’agente è colui che fa l’azione e il principale è colui per conto del quale viene fatta
l’azione. È un tipo di rapporto frequentissimo in realtà, il rapporto tra azionista e manager può
essere presentato come un rapporto di agenzia; l’agente è il manager e principale è l’azionista. Se
l’azionista curasse lui la gestione, non ci sarebbe il manager. L’azionista è il proprietario e il
manager è chi gestisce. Potremmo anche studiare (ma non lo faremo) il rapporto tra il manager e i
dipendenti che, anche questo, è un rapporto di agenzia.

Abbiamo descritto i casi di moral hazard possibili nei rapporti di agenzia, non entro nei dettagli in
questi casi. Il rapporto di agenzia da un problema economico quando sussiste asimmetria di
informazione, cioè quando non c’è possibilità da parte del principale di controllare completamente
l’azione dell’agente.

Vediamo il rapporto tra azionista e manager come rapporto di agenzia.

Siamo ad oggi Futuro Profitto alto

Davanti a noi Profitto basso

Il nostro problema qual è? Dobbiamo studiare il contratto che l’azionista fa al manager che
riguarda la retribuzione. Vediamo come stanno le cose.

π1 = profitto meno buono con probabilità: 1 – X (probabilità che le cose vadano meno bene).

π2 = scenario buono con π2 > π1 con probabilità X (probabilità che le cose vadano bene).

Abbiamo poi scritto la funzione di utilità del manager: è la funzione U che è funzione della
retribuzione. La funzione di utilità del manager è funzione della retribuzione, però siamo in uno
scenario in cui c’è l’impegno del manager; se c’è impegno del manager, c’è retribuzione del
manager, però al netto di questo phi che è la monetizzazione dello sforzo del manager. L’impegno
del manager ha un valore.

 Impegno elevato: l’utilità è pari al valore della retribuzione al netto di quanto vale lo sforzo
del manager indicato con phi (lettera alfabeto greco): U = U ( W – ϕ )
 Impegno basso: l’impegno non è costoso perché non c’è e quindi l’utilità è influenzata solo
dal salario: U = U ( W ).

Il manager è una persona avversa al rischio; l’avversione al rischio significa che la funzione di utilità
è una funzione concava, se il manager fosse neutrale al rischio, la funzione sarebbe lineare. Se
aumenta la retribuzione, aumenta anche l’utilità, però aumenta in relazione della funzione
concava. Questo ci dice che la derivata prima è positiva (quindi è concava) e la derivata seconda è
negativa. Come nell’altro caso, l’azionista non è che può pagare quanto gli pare, ma ha un vincolo,
l’azionista deve dare al manager almeno la retribuzione che il manager può ottenere da un’altra
impresa (utilizza un salario di riserva del manager W0, salario al di sotto del quale quel manager
non accetta perché potrebbe ottenerlo fuori andando a lavorare da qualche altra parte).

Gli azionisti a cosa tendono? L’obiettivo degli azionisti è la massimizzazione del profitto, ricorda
che noi stiamo all’oggi, stiamo discutendo oggi, stiamo definendo le nostre variabili oggi e quindi
parliamo di variabili attese. Quindi l’azionista massimizza il profitto atteso la funzione obiettivo
degli azionisti è il valore atteso del profitto, il profitto netto ovvero decurtato da quello che deve
essere pagato al manager. Inoltre abbiamo scritto una cosa molto importanti, ovvero le probabilità
con le quali abbiamo avuto già a che fare. La probabilità di un risultato buono o di un risultato
cattivo sarà diversa se il manager si impegna oppure se non si impegna.

Se il manager si impegna, allora avremo le seguenti probabilità:

π1: probabilità 1 – X (profitto basso)

π2: probabilità X (profitto alto)

Se il manager ha impegno basso, invece avremo probabilità diverse:

π1: probabilità 1 – Y (profitto basso)

π2: probabilità Y (profitto alto)

Naturalmente, la probabilità di un profitto alto se il manager si impegna è maggiore della


probabilità di un profitto alto se il manager non si impegna. Noi dobbiamo determinare
esattamente questo contratto, cioè individuare W1 e W2.

SCENARIO A: IMPEGNO OSSERVABILE.

Non è lo scenario più realistico. Se l’impegno è osservabile, non ci saranno problemi di


incentivazione, non ha motivo di incentivare il manager: se il manager si impegna bene, sennò lo
caccia. Si fa un contratto tra l’impresa e manager e, se non lo rispetta, il manager viene cacciato.

Ipotizziamo che al manager viene richiesto un impegno basso; quando pagherà l’azionista al
manager, quale sarà la remunerazione se si richiede un impegno basso? La retribuzione sarà
costante, lo paga quanto serve per trattenerlo in azienda, che è pari a W1 = W2 = W0. Andiamo a
individuare anche il profitto atteso dell’azionista (funzione obiettivo): dipende dal profitto netto.

EY ( π ) = Y π 2 + (1 – Y) π1 – W0.

Funzione obiett. Retribuì pagata al manager

Dell’azienda.

Che cos’è il profitto atteso: è una media ponderata con pesi dati dalle probabilità, a tale media
dobbiamo togliere W0 (profitto del manager).

Ipotizziamo invece che l’azionista richiede al manager un impegno alto, allora:

W1 – ϕ = W2 – ϕ = W0

Phi è il valore monetario dello sforzo fatto dal manager. Quindi che gli da l’azionista al manager?
Gli da W0 + ϕ (salario di riserva più lo sforzo del manager). Quindi:
W1 = Wo + ϕ W2 = W0 + ϕ

L’azionista chiede un impegno alto e sa che quest’impegno alto ha un valore pari a ϕ e quindi al
manager gli da il salario di riserva più il costo dell’impegno. In questo caso, è in grado di
controllare l’impegno del manager, ma non può pagarlo di meno, non può dargli W0 e stop con
impegno alto gli deve dare anche la monetizzazione dello sforzo. La cosa che cambia sono le
probabilità che ci devo mettere, che sono quelle relative all’impegno alto del manager.

Il risultato è che se c’è informazione perfetta, la struttura del salario dipende solo da ciò che
l’azionista richiede di fare al manager, cioè dipende solo dall’impegno che si chiede al manager,
non dipende dai profitti attesi e dai risultati.

Cosa farà l’azionista, chiederà un impegno alto o un impegno basso? Cosa farà? La decisione
dell’azionista dipende da ϕ (monetizzazione dello sforzo). La risposta è che chiederà ciò che gli
conviene di più: vale a dire che chiederà l’impegno alto o l’impegno basso a seconda di quale
profitto atteso è più elevato. L’azionista chiede l’una o l’altra cosa a seconda di quale profitto
atteso è più elevato. L’azionista richiede il profitto elevato se:

profitto atteso con impegno elevato > profitto atteso con impegno basso.

Ex ( π ) Ey ( π )

Scriviamola per esteso:

X π2 + (1 – X) π1 – ( W0 + ϕ ) > Y2 + ( 1 – Yπ1 – W0).

Da questa, ricaviamo la successiva facendo le opportune semplificazioni:

( π2 – π1) * ( X – Y ) > ϕ

Dunque si richiede un impegno elevato se il profitto atteso derivante dal maggior impegno è
superiore al valore della possibilità dello sforzo.

Il profitto atteso dell’azionista, non considerando la retribuzione del manager, qual è quello più
alto, quello a destra o quello a sinistra del segno del maggiore? È chiaramente più alta quella
condizionata ad X, se la possibilità di far soldi è più alta quando il manager si impegna, è ovvio che
la prima parte della diseguaglianza è quella più grande (quella con X, cioè quella con impegno
elevato del manager). È maggiore il profitto atteso, però se richiede un impegno elevato lo deve
pagare di più, quindi anche il costo del manager è più elevato (W0 + ϕ).

Che cos’è questo termine a sinistra? È l’incremento atteso di profitto con impegno alto.
Naturalmente con che lo devo confrontare? Con l’incremento di costo del manager, che è ϕ se gli
richiedo un impegno alto.

Conclusione: l’azionista chiede l’impegno alto se l’incremento atteso di profitto è maggiore


dell’incremento atteso di costo. L’azionista fa quello che gli conviene: gli chiede un impegno alto
se pensa di guadagnarci di più rispetto a quello che deve pagargli. Naturalmente questo dipenderà
dai numeri che ci staranno, stiamo parlando solo in termini generali.

CASO B: IMPEGNO NON OSSERVABILE.

È il caso più rilevante a livello della realtà dei fatti. Qui si pone un problema di incentivi.
Supponiamo un impegno non osservabile e che l’azionista richieda un impegno elevato che non è
osservabile e non può dedurlo dai risultati (che non dipendono solo dalle azioni del manager).

Prima di andare avanti, chi richiede un impegno elevato e che non può osservare l’impegno del
manager, l’azionista se la può cavare dandogli solo phi? No. Se l’azionista non ha modo di
controllarlo, non ha modo di punirlo. Il procedimento per determinare queste definizioni è un
procedimento complesso che noi vedremo in modo semplice. Dobbiamo determinare anche qui
W2 e W1.

W2 = è il salario se le cose vanno bene.

W1 = è il salario se le cose vanno male.

Vediamo il caso in cui si richiede che l’impegno sia elevato. La formalizzazione del problema è un
problema di massimo con due vincoli.

1. La struttura salariale (i salari W1 + W2) deve soddisfare un vincolo detto “compatibilità


degli incentivi”, che è: XU ( W2 – ϕ ) + ( 1 – X) U ( W1 – ϕ ) ≥ Y ( W2 ) + ( 1 – Y ) U ( W1 ).
Che cosa sono questi due pezzi a destra e a sinistra della diseguaglianza? Come li leggiamo?
È chiaro che hanno a che fare col manager, perché sono la funzione di utilità del manager
perché dipende dalla remunerazione al netto dello sforzo (a sinistra) e nell’altro caso la
remunerazione e basta a destra perché si richiede un impegno basso. Questi due pezzi
come li chiamiamo? Rappresenta l’utilità attesa del manager, quella a sinistra rappresenta
l’utilità attesa del manager con impegno elevato (i pesi sono X), a destra è l’utilità attesa
con impegno alto (i pesi sono Y). Quindi la struttura salariale deve soddisfare questo
vincolo: se l’azionista gli richiede un impegno elevato, gli deve garantire una utilità attesa
con impegno elevato che è maggiore della utilità attesa con impegno basso; quindi gli deve
garantire retribuzioni che soddisfano tale vincolo. Cioè che deve fare? L’azionista deve dire
al manager che W2>W1, se le cose vanno bene la retribuzione sarà più elevata. Questo
vincolo implica che W2>W2, cioè che fa partecipare il manager al profitto. Adesso vediamo
la dimostrazione del vincolo. Questa prima riga è un fatto puramente aritmetico, vale
evidentemente che: XU ( W0 – ϕ ) + ( 1 – X ) U ( W1 – ϕ ) < XU ( W2) + ( 1 – X ) U ( W1 ).
Perché vale sicuramente questa cosa? A sinistra c’è phi che fa scendere l’utilità e quindi a
destra dell’equazione il valore risulta essere più alto. Il soddisfacimento di phi implica
questa cosa aritmetica. Siccome la parte a destra è sicuramente più alta, posso riscrivere la
disequazione mettendo nel vincolo la relazione che adesso sta a destra, allora riscrivo il
vincolo mettendo questo nella parte a sinistra, cioè il soddisfacimento del vincolo implica:
XU ( W2 ) +( 1 – X ) U ( W1 ) > YU ( W2 ) + ( 1 – Y ) U ( W1). Realizzo una scrittura per esteso:
XU ( W2 ) – U ( W1 ) - XU ( W1 ) > YU ( W2 ) + U ( W1) – YU ( W1). Raggruppo ora a fattor
comune e, eventualmente, vado a fare poche operazioni per eliminare dei termini.
X [ U ( W2 ) – U ( W1 ) ] > Y [ U ( W2 ) – U ( W1 ) ] questa è la conclusione. Il vincolo della
compatibilità degli incentivi ci dice che le equazioni devono dare al manager una
retribuzione più elevata se si impegna e una retribuzione più bassa se l’impegno era basso.
Questo diceva il vincolo, ed il vincolo è soddisfatto se vale quest’ultima cosa dove siamo
arrivati. Abbiamo detto che la probabilità che ci sia un profitto alto se il manager si
impegna è più elevata della probabilità che ci sia un profitto alto se il manager non si
impegna, quindi X > Y. Questi due elementi dentro la parentesi quadra sono gli stessi, è lo
stesso termine a destra e a sinistra, quando questa diseguaglianza non è rispettata?
Quando la parte a sinistra fosse negativa; questa diseguaglianza dato che X > Y, implica che
l’utilità W2 sia maggiore dell’utilità di W1 e questo richiede che W2 > W1. Il vincolo è
soddisfatto se W2 > W1. L’utilità attesa con impegno alto deve essere maggiore dell’utilità
attesa con impegno basso, questo richiede che il salario con impegno elevato (W1), se le
cose vanno bene, deve essere più alto del salario con impegno basso (W1). Questo è un
incentivo, in questo modo l’azionista sta incentivando il manager, lo sta coinvolgendo. Con
un procedimento un po’ complicato, abbiamo dimostrato una cosa del tutto normale nella
realtà delle imprese. Se la differenza fosse negativa dato che X > Y la diseguaglianza non
sarebbe rispettata.
LEZIONE DEL 14 MARZO 2019.
Il nostro tema di oggi, riguarda il rapporto tra azionista e manager e, un primo quadro, abbiamo
visto i termini di un’assicurazione data dall’azionista al manager, nel senso che qualunque livello di
profitti che si fosse verificato, l’azionista da comunque al manager una remunerazione costante.
Poi abbiamo aperto un discorso sull’impegno del manager, che può essere importante ai fini
dell’esito del profitto. Abbiamo detto che la probabilità del profitto alto è maggiore se il manager
si impegna, cosa ovvia. Punto iniziale cruciale.

 CASO A. Abbiamo visto il quadro relativamente all’impegno osservabile. Nell’impegno


osservabile l’azionista ha il pieno controllo del manager, gli chiede un impegno basso o un
impegno alto? Abbiamo concluso che gli chiederà quello che gli conviene chiedere, gli
chiederà l’una o l’altra cosa a seconda di quale profitto atteso è più alto:
o Se il profitto atteso chiedendo un impegno alto è maggiore del profitto atteso
dell’impegno basso, allora chiederà l’impegno alto. Se l’incremento atteso di
profitto con impegno alto è maggiore dell’incremento atteso di costo con impegno
basso, si chiederà impegno alto
o Se accade il contrario, allora l’azionista gli chiederà un impegno basso.
 CASO B. Impegno non osservabile. In questo caso, sorge un problema di incentivi. Com’è la
struttura ottimale della retribuzione del manager? La struttura ottimale deve soddisfare
due vincoli:
o Il primo vincolo è il vincolo di compatibilità degli incentivi. Cosa dice il vincolo? Dice
che la struttura salariale deve essere tale da dare una utilità attesa al manager con
impegno alto che sia maggiore dell’utilità attesa con impegno basso. L’azionista
deve incentivare l’impegno del manager perché non è in grado di controllarlo, come
lo deve incentivare? Il vincolo ci dice che gli deve dare una struttura salariale tale
che l’utilità attesa con impegno alto deve essere maggiore dell’utilità attesa con
impegno basso. Abbiamo dimostrato questo vincolo per mostrare le sue
implicazioni: questo vincolo implica che se le cose vanno bene la retribuzione del
manager deve essere maggiore della retribuzione nel caso in cui si verifica un
profitto basso. L’azionista, in sostanza, sta dicendo al manager “se le cose vanno
bene, se il profitto è elevato, tu ne avrai un pezzo”.
o Il secondo vincolo (argomento nuovo), è un vincolo di partecipazione.
X [ U ( W2 – P ) ] + (1 – X ) U ( W1 – ϕ ) ≥ U ( W0 ). A sinistra che cosa c’è? A sinistra
c’è l’utilità attesa (è la media ponderata dei due possibili livelli di utilità con pesi
dati dall’impegno alto X) del manager; che deve essere maggiore o uguale al reddito
che potrebbe avere il manager andando a lavorare altrove. L’utilità attesa con
impegno alto deve essere almeno uguale all’utilità di riserva (utilità che si abbina al
salario di riserva). Scriviamo, per completezza, il profitto atteso dell’azionista.
E ( π ) = X ( π2 – W2 ) + ( 1 – X ) ( π1 – W1 ). È una media ponderata dei due profitti
con pesi dati alle probabilità, naturalmente abbiamo appurato che W2>W1, cioè
che i due salari sono diversi a seconda della situazione in cui si verificano (impegno
alto e impegno basso del manager). Problema formale (che non sviluppiamo)
dell’azionista è massimizzare la sua funzione dell’utilità attesa su due vincoli:
1) Compatibilità degli incentivi; (primo pezzo)
2) Partecipazione (pezzo due);

Formalmente, è un problema di massimo vincolato, si massimizza questa funzione


con due vincoli che sono quelli che abbiamo visto. Naturalmente non li vediamo, ci
interessano solo le sue implicazioni; se li sviluppassimo, potremo appurare che
entrambi i vincoli, che sono scritti col segno ≥, sono soddisfatti col segno di
uguaglianza. Infatti, si dimostra che i valori W2 e W1 che massimizzano la funzione
di profitto dell’azionista, soddisfano i due vincoli col segno di eguaglianza. Questo è
il problema dell’azionista che richiede un impegno elevato, il problema principale è
quando non può controllare il manager e quindi lo deve incentivare all’impegno. È
una situazione logica che accade continuamente nelle imprese, dove l’azionista
chiede un impegno elevato che non può controllare e quindi lo deve incentivare.

Conclusione= con l’impegno osservabile, il salario non dipende dai risultati:

W2 – ϕ = W1 – ϕ => W0. Quindi quanto prende il manager? Prende W0 quando gli viene
richiesto un impegno basso e W0 + ϕ se gli si chiede un impegno alto. Nel caso di un
impegno non osservabile, un azionista intelligente diversifica i salari a seconda delle
situazioni che possono verificarsi. Occorre porre un incentivo, sarebbe sciocco che
l’azionista richiede un impegno alto e non incentivarlo.

Problema: questo azionista, nel quadro dell’impegno non osservabile, glielo chiederà
davvero un impegno elevato. Dobbiamo capire un’altra cosa, finora abbiamo dato per
scontato che glielo chiede. Dobbiamo chiarire anche questo aspetto.
U(utilità)
Sappiamo che il nostro manager è avverso
U(W2-ϕ) al rischio e quindi la nostra funzione di
utilità è concava.
2

U(W1-ϕ)

W1-ϕ 1 W2-ϕ W(salario)

W1-ϕ= salario netto se le cose vanno bene.

Sull’asse delle x dei rispettivi punti ho il salario netto delle due rispettive situazioni possibili
(buona e meno buona) e le rispettive funzioni di utilità sull’asse di y. Se io facessi una
media ponderata dei due livelli di salario con i pesi dati dalle sue probabilità, cosa
facciamo? Se io scrivo:

1) X ( W2 – ϕ ) + ( 1 – X ) ( W1 – ϕ )  Questo come lo chiamo? Qui noi abbiamo scritto il


salario atteso con la media ponderata tramite i pesi.
2) XU ( W2 – ϕ ) + ( 1 – X ) U ( W1 – ϕ )  Qui si tratta invece della media ponderata (con
pesi dati dalle probabilità) delle mie utilità. Questa è l’utilità attesa corrispondente ai
due livelli di salario.

I due punti del grafico li abbiamo riscritti qui. Porto l’unione dei due punti sulla funzione e
vediamo cosa rappresenta questo punto sull’ascisse. Che cosa osservo? Facendo la media
tra questi due punti, vado a finire su un punto della funzione al quale corrisponde
sull’ascissa un punto che è più basso del salario atteso. Questo dipende da cosa? Dipende
dal fatto che la funzione non è lineare. Se la funzione fosse lineare (secondo punto più
basso tratteggiato), scenderei esattamente sul salario atteso. La media ponderata delle
ordinate mi identifica un punto della funzione che non corrisponde sull’ascissa al salario
atteso, ma che in realtà è più piccolo del salario atteso. Dobbiamo capire a cosa
corrisponde questo punto qui che abbiamo trovato. Abbiamo detto che si dimostra che, ma
non lo abbiamo dimostrato, i due vincoli sono soddisfatti con il segno di eguaglianza, quindi
a sinistra cosa c’è? È la media ponderata corrispondente ai livelli di salario, quindi troviamo
nell’eguaglianza il salario W0. Se l’impegno è osservabile, il salario netto è sempre W0,
perché se gli si chiede poco impegno gli si da W0 e finisce li, se gli si chiede un grande
impegno lo si remunera per lo sforzo esattamente quanto vale lo sforzo per lui e quindi il
salario sarà comunque W0 più l’incentivo. Se l’impegno non è osservabile, e se l’azionista
gli chiedesse un impegno basso, quanto lo paga? L’azionista gli da comunque W0; quindi
W0 è anche il salario atteso laddove si richieda impegno basso. C’è sempre un problema:
stiamo nel quadro dell’impegno non osservabile, l’azionista ragiona e pensa che il salario
atteso, se io gli chiedo impegno basso è W0, se io gli chiedo impegno elevato il salario
atteso sarà più grande. Se il salario atteso con impegno alto sarà più alto del salario atteso
con impegno basso, come saranno i profitti attesi? Saranno più bassi perché sostiene più
costi, ciò significa che va un po’ di più al manager e va un po’ di meno all’azionista. Se il
salario atteso con impegno alto è più alto, l’azionista si attende un profitto atteso più basso
di quello che avrebbe chiedendogli un impegno basso chiedendogli un salario atteso W0.
Cosa potrebbe fare l’azionista? Noi non diamo una risposta, presentiamo solo il problema,
il problema rimane aperto. L’azionista potrebbe decidere che, visto che il suo profitto
atteso è più basso, gli chiedo impegno più basso, dato che la scelta di un salario più basso si
associa ad un profitto più alto per l’azionista. Noi non lo sappiamo, potrebbe invece
chiedere impegno alto con quella logica che abbiamo appena sottolineato. Domanda da
esame: rimanendo nel quadro impegno alto, quanto becca il manager con impegno alto?
Prende il salario più alto W2 (salario per l’incentivo) più la remunerazione per l’impegno ϕ.
Inoltre, con una funzione di utilità concava del manager, in caso di non osservabilità, il
profitto atteso è inferiore ed il salario atteso è maggiore rispetto al caso di osservabilità.
Vediamo inanzi tutto, il salario netto atteso in caso di non osservabilità:
E ( W ) = X ( W2 - ϕ ) + ( 1 – X ) ( W1 – ϕ ). Ed il salario netto atteso in caso di osservabilità:

W0 (in caso è sempre uguale). Naturalmente, se la funzione di utilità è concava, il salario


sarà sempre quello che abbiamo visto. Dalla concavità e dal vincolo di partecipazione
deriva:

U [ X ( W2 – ϕ ) + ( 1 – X ) ( W1 – ϕ ) ] > XU ( W2 – ϕ ) + ( 1 – X ) U ( W1 – ϕ ) = U ( W0 ).

Con la funzione concava, l’utilità del salario atteso è maggiore dell’utilità attesa
corrispondenti ai due livelli salariali. Il discorso qui è aperto, dipende da come l’azionista si
sente di fare, può fare entrambe le cose. Dunque: X ( W2 – ϕ ) + ( 1 – X ) ( W1 – ϕ ) > W0.

Quindi può esserci una minore desiderabilità di dare un maggiore salario in situazioni di
non osservabilità, dipende da come reagisce l’azionista. Se la proprietà è interessata solo
ad ottenere l’impegno minimo, non c’è differenza tra osservabilità e non osservabilità.
Dunque, sussiste una minore desiderabilità di indurre impegno elevato in situazioni di non
osservabilità. Il più elevato salario atteso e i più profitti attesi nel caso di non osservabilità
possono indurre gli azionisti a non richiedere l’impegno più elevato, anche se questo fosse
conveniente in caso di osservabilità. Abbiamo presentato due scenari, dove l’azionista può
ragionevolmente non richiedere un impegno più elevato. Vediamo l’ultima cosa importante
nel rapporto tra manager ed azionista, rimanendo sempre in questo quadro, vediamo se
succede se il manager è neutrale rispetto al rischio. Il problema non si pone se il manager è
neutrale al rischio, perché i due punti nell’ascissa convergono sullo stesso punto sia
nell’osservabilità che nella non osservabilità, non c’è differenza con funzione di utilità
lineare. Salario atteso e profitto atteso sono i medesimi sia con osservabilità che per non
osservabilità, il grafico visto finora con tutte le sue implicazioni non sussiste ulteriormente.
Non c’è differenza con una funzione di utilità lineare. Vediamo in questo caso quale
sarebbe il contratto che l’azionista andrebbe a proporre al manager (caso in cui sia
l’azionista che il manager siano neutrali al rischio). Vediamo come potrebbe essere
disegnato un contratto che l’azionista propone al manager. In questo caso, alla proprietà
(l’azionista) conviene un contratto in cui al cede al manager il diritto sul reddito
dell’impresa al prezzo P uguale al profitto atteso in caso di osservabilità.

P = [ Xπ2 + ( 1 – X) π1 – W0 – ϕ]. La proprietà è titolare del risultato, ma paga un salario


pari a: W ( π ) = π – P. Il manager è proprietario del residuo dato dal risultato meno la
somma P. Egli avrà interesse a fornire il massimo impegno in modo da massimizzare il
risultato atteso. La proprietà, d’altro lato, realizza lo stesso profitto del caso di
informazione completa. Formalizziamo meglio queste affermazioni.

 Chi paga P? P lo paga il manager.


 Chi è titolare del valore che produce? È l’azionista.

L’azionista sta dicendo che, io sono il titolare, però il valore che viene fuori dalla
produzione te lo prendi tu, e a me dai il profitto che io avrei se avessi una piena
osservabilità delle cose. Perché nel caso precedente (quello della lavagna) l’azionista
poteva scegliere di chiedere il meno basso? Poteva scegliere il meno basso perché, con
l’impegno basso, avrebbe avuto un profitto atteso più alto; allora l’azionista dice che il
valore della produzione che emerge, lo prende l’azionista, ma mi dai comunque una
somma che è il mio profitto atteso se ci fosse la piena osservabilità. L’azionista richiede tale
somma, se poi il valore della somma è più alto, il restante valore se lo prende il manager.

 Se le cose vanno bene, che cosa va al manager? Se le cose vanno bene, al manager
va comunque W0+ϕ. Queste due cose vanno detratte dal profitto atteso.
 Poi si è verificato π2: se si è verificato π2, la differenza del valore della produzione
rispetto al profitto atteso, va tutta al manager. Cosa che abbiamo già visto.
 Se si verifica π1: al manager va sicuramente W0+ϕ, però non è da escludere che un
pezzettino di questo W0+ϕ vada anche all’azionista, se il profitto atteso risultasse
inferiore a quanto previsto. Il manager qui è neutrale rispetto al rischio, quindi
accettare questo contratto lo espone al rischio: se le cose vanno bene, il manager
prende W0+ϕ e un pezzo di profitto; se le cose vanno male, prende W0+ϕ, ma
siccome si è impegnato di dare quella somma all’azionista, è possibile che ci rimetta
una parte della sua remunerazione base.

Con questo argomento abbiamo concluso il rapporto tra azionista e manager.

DISCRIMINAZIONE DI PREZZO.
È tema di grandissimo interesse, ci riferiamo sempre a situazioni industriali concrete molto
presenti nella realtà, in cui l’impresa ha rilevanti poteri di mercato. Talmente rilevanti che alcune
situazioni possono sfociare in situazioni di monopolio.

Siamo abituati dai corsi di base a situazioni dove per le singole merci sussiste un unico prezzo,
quando studiamo la concorrenza o il monopolio o altro, c’è un unico prezzo. Nella realtà, non
necessariamente una certa merce ha un solo e unico prezzo. Noi siamo abituati a merci che hanno
un certo prezzo e stop; nella realtà una stessa merce può avere prezzi diversi, presso diversi
acquirenti, o è anche possibile che unità successive vendute di una stessa merce, siano vendute a
prezzi diversi. Questo è il caso di discriminazione di prezzo. La parola può non essere
particolarmente illuminante.

Non c’è una definizione perfetta, in linea generale, possiamo dire che c’è discriminazione se unità
di una stessa merce sono vendute a prezzi diversi, o unità successive di una stessa merce sono
vendute a prezzi diversi.

Naturalmente, se la diversità di prezzo si vedano a differenze di costo, non c’è discriminazione.


Qui, l’esempio tipico è il seguente: se prendiamo un’automobile tedesca (es mercedes) può essere
venduta allo stesso prezzo in Germania o in Cina? No, e perché? Perché in Cina dobbiamo
portarcela e questo ha un costo, la merce è la stessa, però ci possono essere altri elementi che
rendono il costo diverso, però esistono vari motivi per cui i costi siano diversi.
È anche possibile che qualche diversità nelle merci o nei beni sia inserita appositamente dalle
imprese per attuare una discriminazione di prezzo. Però, tale diversità di costo non giustifica però
tale diversificazione di prezzo. Anche qui possiamo fare un esempio tipico: è riferibile ai viaggi
aerei che hanno tariffe alquanto diverse a seconda del posto che scegliamo, ciò non è legato alla
differenza di costo, c’è semmai una differenza di servizio ma che non giustifica la differenza di
prezzo. La compagnia aerea cosa offre? Un servizio di volo, il servizio è diverso a seconda del
biglietto acquistato, ma questo non giustifica la differenza di prezzo delle tariffe. Questo è un caso
di discriminazione di prezzo fatto per prendere il surplus.
LEZIONE 18 MARZO 2019.
DISCRIMINAZIONE DÌ PREZZO.
Abbiamo detto la scorsa volta che non esiste una definizione limpida della discriminazione dei
prezzi. Sono esempi di discriminazione di prezzo sia la merce venduta a prezzi diversi, oppure le
unità successive di uno stesso bene vendute ad un prezzo diverso (argomento che riguarda
l’economia industriale, come ad esempio consumazioni successive ad esempio al bar, ad esempio
1 birra un certo prezzo, 2 birre un altro). Sicuramente, l’argomento riguarda grandi imprese con
poteri di monopolio, però sono aspetti che incontriamo in continuazione: ad esempio, un esempio
di una stessa merce venduta a prezzi diversi, uno studio medico privato se hai l’assicurazione o no
ti applica un prezzo diverso.

Dobbiamo per prima cosa dire qualcosa su discriminazione ed arbitraggio. Che cos’è
un’operazione di arbitraggio? Sono delle compravendite di assets per trarre vantaggio da
differenze di prezzo in quello stesso asset. In che consiste? Che deve fare un operatore che vuole
trarre vantaggio da differenze di prezzo tra diversi produttori? Dovrebbe acquistare al prezzo
minore e rivendere al prezzo più alto. Se vi fosse possibilità di fare qualunque operazione di
arbitraggio senza costi, cosa conduce questa operazione in definitiva? Conduce ad un prezzo
uniforme. I prezzi di arbitraggio tendono a uniformare i prezzi per arrivare ad un prezzo uniforme,
se vi fosse piena possibilità di arbitraggio; ma questo non accade perché esistono prezzi diversi.
Perché non accade? Le operazioni di arbitraggio possono essere costose, un esempio banale può
essere il seguente: immaginate un supermercato che fa una promozione che vende tre pezzi al
prezzo di due (cosa che capita spesso nei supermercati), avete mai visto qualcuno fuori dal
supermercato che ha acquistato questi tre pezzi in offerta e che rivende al pezzo singolo ad un
prezzo un po’ più basso di quello che fa normalmente il supermercato? Non ci sarebbe nessuno
che fa quest’azione, perché non conviene. Nessuno perderebbe ore di tempo per guadagnare
pochi centesimi. Ci indica un costo: il tempo che una persona impiega per acquistare il prodotto al
supermercato, uscire, trovare qualcuno che ce lo compra, etc. Non ha senso quest’operazione
perché ci dà un guadagno che è minimo con un costo che dipende da quanto valore attribuisce
ognuno dà al proprio tempo.

Naturalmente potremmo fare esempi più solidi sempre ancorati allo stesso principio di
arbitraggio, ma rimane comunque un’operazione costosa e quindi non conviene farla.

Il risultato è che vi sono prezzi diversi per una stessa merce.

Arbitraggio e discriminazione sono quindi due cose incompatibili tra di loro: se vi è pieno
arbitraggio perché conduce al prezzo uniforme, e quindi non è possibile la discriminazione; se vi è
discriminazione invece significa che l’arbitraggio non ha funzionato.

Adesso siamo arrivati a parlare delle forme di discriminazione. Esistono tre forme di
discriminazione di prezzo.
1. DISCRIMINAZIONE DI PRIMO GRADO. Ci riferiamo ad un monopolista, già incontrato nel
corso di microeconomia, dove lui fissa un certo presso. Il monopolista si trova davanti una
curva di domanda lineare; supponiamo che ci sia un costo marginale costante (= è
l’incremento di costo per un incremento di unità, cioè l’incremento di costo e il costo
medio sono uguali). Come viene rappresentato il monopolio nel corso di micro? Il
monopolista sceglie una certa quantità; che quantità sceglie il monopolista? Sceglie la
quantità come vengono prese di solito nelle imprese, le loro decisioni (in generale) le
prendono sulla base del principio di massimizzazione del profitto. In questo caso, la
massimizzazione del profitto è assicurata quando? Qual è la quantità che massimizza il
profitto del monopolista? Se aumento di una unità la produzione, avrà da questo aumento
un ricavo marginale e un costo marginale. Dipende da quanto guadagna dal ricavo
marginale e da quanto spende col costo marginale: se il ricavo marginale superasse il costo
marginale, il monopolista aumenta la produzione fino a quando il ricavo marginale e il
costo marginale sono uguali. Questo lo abbiamo visto sul corso di micro.

Dobbiamo inserire la curva del ricavo marginale

Surplus del consumatore che taglia a metà l’angolo in alto a sinistra. Il

Pm A Prezzo monopolista nostro equilibrio è dato dal prezzo del

Perdita secca monopolista. Questo ci è stato detto nel corso di


E
Cm B Costo medio micro del primo anno.

domanda

Qm

Se c’è discriminazione tutto questo non è più così. Nella discriminazione di primo grado, avremo
una situazione diversa nel grafico. Il monopolista ha una perfetta informazione sui suoi
consumatori, vale a dire, lui sa quanto una unità di quella merce che egli produce vale per
ciascun consumatore; sa qual è il prezzo di riserva per ciascun consumatore. Allora che può
fare il monopolista? Il monopolista potrebbe affidare a ciascun consumatore il prezzo
uguale al valore di quella merce per il consumatore; vende una unità di quella merce al
prezzo che quella unità ha per il consumatore. Che ci dice la curva di domanda? Ci dice che
c’è gente disposta a pagare prezzi diversi per la stessa merce, quindi il produttore applica
quindi prezzi diversi ad ogni consumatore.

P Con questo prezzo uniforme l’area al di sopra di Pm

Curva domanda è il surplus del consumatore, cioè rappresenta un

Risparmio per i consumatori che pagano più di Pm

Cm Q consumatori risparmiano quando il prezzo di

Qd Q equilibrio è pari al prezzo di monopolista.


Nel caso in cui ci fosse perfetta informazione, il surplus del consumatore a chi va? Il surplus del
consumatore se lo prende tutto il monopolista, il monopolista sa che i consumatori sono disposti a
pagare un prezzo più alto del prezzo del monopolista e quindi gli applica quel prezzo.

Qm è la quantità del monopolista con il prezzo uniforme. Qual è la quantità del monopolista nel
caso di perfetta informazione? È l’area superiore a Cm (costo medio di produzione), il monopolista
è disposto a ricevere tutto il surplus dei consumatori che sono disposti a pagare un valore
maggiore a Cm. Il profitto del monopolista con perfetta informazione, a che cosa è pari? Il profitto
a Cm-B-P (profitto del monopolista). In tal caso, conosce tutti i consumatori e gli applica il prezzo
che sono disposti a pagare. È chiaro che arrivato a Cm si ferma, perché altrimenti non copre i costi.
Con il prezzo uniforme qual è il profitto del monopolista? È il rettangolo tra Pm-Cm-Qm.

In conclusione, il profitto più alto si trova nel caso con discriminazione di prezzo.

L’area A-B-E viene chiamata perdita secca. È un valore che nessuno acquisisce, con il prezzo di
monopolio abbiamo la perdita secca, che non va a nessuno.

Nel caso di perfetta discriminazione abbiamo un profitto che è massimo possibile. Tale soluzione
ha un vantaggio per i consumatori? Non c’è il surplus del consumatore: alcuni pagano tanto, altri
pagano di meno. Ma c’è un vantaggio per la categoria dei consumatori? Ogni consumatore paga il
bene/merce allo stesso prezzo da lui desiderato, il monopolista non sta facendo qualcosa di
illegale, sta applicando che esattamente corrisponde al valore che i consumatori gli attribuiscono.
Il vantaggio per i consumatori è che consumano di più nel caso di perfetta informazione (pari a
QD) che è molto più grande della quantità con prezzo uniforme (Qm). C’è un aspetto di efficienza
che viene preservato e che fa fuori la perdita secca.

2. DISCRIMINAZIONE DI TERZO GRADO. Il monopolista qui è in grado di segmentare il suo


mercato, vale a dire, è in grado di dividere i suoi consumatori in un certo numero di gruppi.
Lui è in grado di fare una selezione dei consumatori. Supponiamo che il nostro produttore
è in grado di dividere i consumatori in un certo numero di gruppi (n gruppi), stiamo
parlando di discriminazione e quindi applicherà m prezzi.
P1 … P2 … P3 … …. Pm  Prezzi.
Perché è in grado di selezionare il mercato e conosce gli n gruppi, conosce la curva di domanda di
questi n gruppi. In termini generali, sa le diverse condizioni di domanda, le diverse domande rivolte
alla propria merce.
Q1 … Q2 … Q3 … … Qm  rispettive quantità dei relativi prezzi.
Io posso scrivere, tramite questi prezzi e quantità, la funzione di domanda di questi gruppi.
Q1= D1 ( P1 ) ; Q2 = D2 ( P2 ) ; Q3 = D3 ( P3 ) ; … … ; Qn = Dn ( Pn ). È una funzione di domanda
diretta in funzione del prezzo. Adesso vediamo una funzione di domanda inversa. Il prezzo in
funzione della quantità, è una funzione inversa.
P1 = P1 ( Q1 ) ; P2 = P2 ( Q2 ) ; P3 = P3 ( Q3 ) ; … … ; Qn = Dn ( Pn ).
Come li decide questi prezzi nei singoli sottomercati/segmenti il nostro produttore? Sempre
massimizzando il suo profitto. Che cos’è il profitto? Differenza tra ricavi e costi. Quindi:
∑i Pi ( Qi ) * Qi – C [ ∑i * qi ] = π. I costi sono funzione della quantità complessiva prodotta.
Supponiamo di riferirci solo a due segmenti. Devo massimizzare il profitto, massimizzando il
profitto quante incognite ho in quest’equazione? Ho m incognite, la sommatoria quanti elementi
contiene? Ne contiene m di elementi? Perché i prezzi sono m e le quantità sono m. Non facciamo m
derivate, ma ci riferiamo a due soli segmenti: segmento i e segmento j.
Ricavi segmento i: Pi ( Qi ) * Qi.
Ricavi segmento j: Pj ( Qj ) * Qj.
Dobbiamo fare la derivata della funzione, ma rispetto a cosa? Il profitto è la variabile dipendente,
qual è la variabile indipendente? Dobbiamo derivare rispetto a Q (quantità). Deriviamo rispetto al
segmento i e rispetto al segmento j. Costo marginale
Derivo la funzione rispetto a Q: Pi ( Qi ) + Qi * ∂Pi – Ci [ Q ] = 0 Incremento di costo marginale
rispetto alla produzione di 1 unità
Ricavo marginale ∂ Qì
Derivata di P in deQi
Se sto massimizzando, completo l’equazione ponendola uguale a zero. Derivo la stessa
cosa, però rispetto a j: Pj ( Qj ) + Qj * ∂Pj – Cj ( Q ) = 0
∂ Qi
Ovviamente anche qui bisogna massimizzare ponendo la derivata pari a zero. L’equilibrio
che cosa richiede? Che il ricavo marginale di i e j sia pari al costo marginale. Quindi:
RMi = C’ ( Q ) equilibrio segmento i.
RMj = C’ ( Q ) equilibrio segmento j.
Che cosa ne deriva? Ne deriva, in generale nel nostro ambito ristretto, che: RMi = RMJ.
Io ho quindi che:
Pi + Qi * ∂Pi = Pj + Qi * ∂ Pj
∂Qi ∂Qj
Quindi ho l’equazione seguente:
Pi ( 1 + Qi * ∂Pi ) = Pj ( 1 + Qj + ∂Pj) Le due moltiplicazioni sono il reciproco della eq succ.
∂Qi ∂Qj
Questo elemento è molto noto, che è l’elasticità della domanda (è il rapporto tra la
variazione percentuale della quantità e la variazione percentuale di prezzo), è può essere
scritta in questo modo:
∆Q ∆Q P
Q ∆P * Q
∆P In termini È il reciproco della
p infiniti, elasticità della
questa è una domanda.
derivata.

L’elasticità della domanda ci dice quanto varia la quantità al variare del prezzo: quando il
prezzo sale, l’effetto della domanda è negativo, l’elasticità della domanda ci dice quando il
prezzo sale di quanto diminuisce la domanda in termini percentuali. In generale, l’elasticità
che segno ha? Ha un segno negativo, se tengo conto del segno negativo, posso scrivere
allora l’equazione considerando la negatività dell’elasticità della domanda (ξ). Quindi:
Pi ( 1 – 1 ) = Pj ( 1 – 1 )
ξi ξj
Questa espressione mi dice come sono i prezzi, cioè come variano i prezzi. C’è da chiarire
un po’ di cose. Abbiamo il concetto dell’elasticità della domanda che ci dice quanto varia la
quantità al variare del prezzo.
Elasticità alta: c’è una determinata curva di domanda. Come la leggo? Se il prezzo si alza un
pochino, la domanda reagisce tanto alle piccole variazioni di prezzo. Qui un piccolo
aumento di prezzo fa crollare tantissimo la quantità domandata. Un alto valore
dell’elasticità, vuol dire che la domanda reagisce tanto rispetto al prezzo.
Elasticità bassa: c’è un altro tipo di curva di domanda. Qui c’è un tipo di domanda rigido,
nel senso che un grande aumento di prezzo, la domanda mi scende tantissimo. Un basso
valore dell’elasticità, vuol dire che c’è una domanda rigida, nel senso che se il prezzo sale,
la domanda si flette poco.
P P
Domanda elastica Domanda rigida
P2

P2
P1 P1
Q Q
Q2 Q1 Q2 Q1
CONCLUSIONE: dobbiamo vedere come il monopolista applica il prezzo a questi sotto
gruppi che abbiamo determinato. Se l’elasticità della domanda del gruppo i è più alta
dell’elasticità della domanda del gruppo J, com’è Pi rispetto a Pj? Pi deve essere più basso
di Pj, cioè Pi<Pj. Dove c’è l’elasticità più bassa. Se l’elasticità è molto alta, cosa conviene
fare al monopolista? Nel segmento dove si riscontra l’elasticità più alta (domanda elastica),
gli conviene mettere un prezzo più basso altrimenti ci perderebbe troppo con un prezzo più
alto; mentre nel segmento dove si riscontra l’elasticità più bassa, può apportare un prezzo
più alto perché ci perde poco (domanda rigida). Ciascuno di questi due elementi è uguale a
C, allora posso scrivere che:
Pi ( 1 – 1 ) = C’
ξ
P –Pi* 1 = C’ sto svolgendo tutti i passaggi
ξ
Pi – C’ = Pi * 1
ξ
la conclusione è la seguente: Pi – C’ = 1
1 Pi ξ
La nostra conclusione si concentra sul singolo pezzo, o sul singolo segmento. Che cos’è la
frazione 1? Questo è il margine prezzo/costo.
Pi – C’ = è il profitto unitario, esso è diviso il prezzo, che mi da? Mi da il prezzo meno il
costo medio costante (o marginale), mi dice in termini percentuali quanta parte del prezzo
mi va profitto. Sicuramente, messo così, è minore di 1. Se fosse 0,5 che cosa significa?
Significa sicuramente che la metà del prezzo va al profitto. Questo margine prezzo-costo è
tanto più alto quanto più è rigida la domanda (o tanto è più bassa l’elasticità). Questa è la
regola della elasticità inversa (tanto più bassa è l’elasticità tanto più è possibile modificare
il prezzo). Se il monopolista fa questa selezione del mercato, non glielo ha ordinato il
medico, si vede che gli conviene. Nel caso che abbiamo fatto (mercato con due segmenti),
perché gli conviene? Perché tiene conto anche i consumatori con elasticità della domanda
molto alta? Perché le imprese fanno sconti agli studenti o agli anziani? Perché ci vogliono
bene? Perché, applicando un prezzo più basso, catturano una domanda che gli da profitto
che altrimenti non potrebbe catturare in altro modo. Ad esempio cinema che applica
tariffe particolari a studenti, famiglie, anziani, giorni specifici, etc. A chi conviene dalla
discriminazione di terzo grado? Chi ci guadagna e chi ci perde?
Il monopolista ci guadagna, se il suo profitto complessivamente è maggiore.
I consumatori con elevata elasticità (in questo caso studenti ed anziani), ci guadagnano
perché possono realizzare consumi che altrimenti non riuscirebbero a fare.
I consumatori con domanda rigida ci perdono, perché il prezzo è più alto per loro.
Conviene dal punto di vista del benessere sociale? Lo vediamo domani.
3. DISCRIMINAZIONE DI SECONDO GRADO. Il produttore non è in grado di selezionare i consumatori,
ma fa in modo che si selezionino da soli.
LEZIONE 19 MARZO 2019.
Ieri abbiamo visto le forme di discriminazione di primo, secondo e terzo grado.

 Discriminazione di primo grado, è la situazione in cui il monopolista ha la perfetta


informazione sul suo mercato. Significa che conosce le caratteristiche dei suoi consumatori,
è in grado di sapere quanto vale una unità della sua merce secondo ogni consumatore,
quindi è in grado di dare ad ogni consumatore un prezzo diverso, è perfettamente in grado
di dare al consumatore quel valore che il consumatore vuole pagare per ogni unità. Questo
è un risultato molto diverso dal risultato ottenuto col prezzo uniforme, perché ogni
consumatore ha un prezzo diverso e la quantità apportata sul mercato, in caso di
informazione perfetta, è ben diversa da quella con il prezzo uniforme.
 Discriminazione di secondo grado, che è quella che abbiamo quando il produttore non è in
grado di selezionare il mercato, ma fa in modo che i consumatori si selezionino da soli.
 Discriminazione di terzo grado, dove il nostro produttore-monopolista è in grado di
selezionare il mercato, facendo quindi una segmentazione in m gruppi di su cui poi applica
ad ogni gruppo un prezzo diverso, perché ogni gruppo ha una domanda diversa, lui
conosce le informazioni relative ad ogni curva di domanda e quindi gli applica il prezzo più
consono. Abbiamo trovato gli n prezzi applicando il processo di massimizzazione del
profitto. Abbiamo semplici fato individuando solo due segmenti e abbiamo visto come si
differenziano questi due prezzi per il sottogruppo i e per il sottogruppo j, dipendono dalla
elasticità della domanda di questi due gruppi. In che modo dipendono dalla elasticità della
domanda? Dove l’elasticità della domanda è alta (curva di domanda più piatta) e significa
che se il prezzo sale di poco, la quantità domandata scende di molto; dove la domanda è
rigida, vuol dire che se si modifica il prezzo la domanda varia poco. Allora, che cosa fa il
nostro produttore che segmenta il mercato? Dove la domanda è rigida applica un prezzo
più alto, perché la domanda dei consumatori scende poco; applica il prezzo più basso dove
l’elasticità della domanda applica un prezzo più basso. L’ultimo punto dove siamo arrivati,
è che per un qualunque segmento i, abbiamo che:
Pi – C = 1

Pi ξ

Questa è la regola della elasticità inversa. La parte a sinistra è un rapporto che esprime il
margine prezzo-costo: numeratore prezzo unitario – costo; denominatore prezzo unitario.
Che mi dice questo rapporto? Mi dice quanta parte del prezzo va al profitto, se fosse 0,5
significa che metà del prezzo va al profitto. A destra è il reciproco dell’elasticità della
domanda. Questo margine prezzo-costo è tanto più alto quanto più la domanda è rigida
(quanto è più bassa è l’elasticità della domanda). Se la curva di domanda fosse verticale,
come sarebbe l’elasticità della domanda? L’elasticità della domanda è pari a zero, se è
verticale, vuol dire che quando varia il prezzo la domanda non reagisce alle variazioni di
prezzo; mentre se la curva della domanda fosse orizzontale, allora l’elasticità della
domanda è pari ad infinito.
Questo è il riassunto di quello che abbiamo fatto ieri.

DAL PUNTO DI VISTA DEL BENESSERE SOCIALE COSA è MEGLIO?

È meglio la discriminazione oppure un prezzo uniforme? Cerchiamo di capire questo problema.


Vediamo qualche osservazione preliminare fatta ieri sera. Chi ci guadagna e chi ci perde? Non ci
guadagnano tutti.

 Il produttore ci guadagna con la discriminazione di prezzo (ricorda sconti per studenti,


anziani, etc).
 I consumatori con un’elasticità alta ci guadagnano, perché acquistano ad un prezzo basso
e, questa discriminazione di terzo grado, consente di catturare una domanda che con un
prezzo uniforme tale domanda non ci sarebbe.
 I consumatori con una domanda rigida ci perdono, perché sicuramente il prezzo è più alto.

Abbiamo quindi qualcuno che ci guadagna e qualcuno che ci perde, come può esserci una risposta
definitiva a questo problema? Per rispondere a questo quesito vediamo la determinazione del
prezzo uniforme (mentre ieri abbiamo visto la determinazione dei prezzi quando vi è
discriminazione).

DETERMINAZIONE DEL PREZZO UNIFORME.


P = simbolo per il prezzo uniforme.

Adesso dobbiamo scrivere la funzione del profitto in questo quadro. Ieri sera abbiamo utilizzato le
funzioni di domanda in forma inversa, prezzo in funzione della quantità, qui invece scriviamo le
funzioni di domanda in modo diretto (modi diversi di scrivere la stessa cosa). Quindi:

( P – C ) ∑i Di ( P ) = πi

Naturalmente, gli n sottogruppi ci sono sempre, ma si prendono tutti lo stesso prezzo. Quindi la
quantità è una sommatoria per le domande (indicate con D) che dipendono dal prezzo uniforme.
Abbiamo usato D (ieri scritto Q) anche ieri sera per indicare la funzione di domanda in modo
inverso, in questo caso è scritta in modo diretto (la quantità in funzione del prezzo). La differenza
rispetto a ieri qual è? Quante massimizzazioni dovevamo fare ieri? M massimizzazioni, qui ne
dobbiamo fare una sola rispetto a P barrato. Facciamo questa massimizzazione.

∂π = ∑i Di ( P ) + P ∑i D’ ( P’ ) – C ∑i D’i (P ) = 0

∂P

La prima parte riguarda la derivata del prodotto, che è la derivata di P barrato per la sommatoria,
poi devo derivare C per la sommatoria. Sono derivate parziali. Il costo è una costante, quindi C
rimane fuori la sommatoria. Per fare la massimizzazione, devo porre la derivata pari a zero e
quindi devo fare qualche passaggio ulteriore: ho messo tutto a fattor comune e poi ho spostato la
sommatoria a destra ricordandomi di cambiargli di segno.
( P – C ) ∑ Di ( P ) = - ∑ Di ( P )

Dividiamo per P barrato tutte e due le parti e portiamo la sommatoria a destra dividendo per la
sommatoria delle derivate.

P - C = - ∑i Di ( P )

P P ∑i Di ( P )

In questo quadro, come la descrivo l’elasticità della domanda? È il rapporto tra variazione
percentuale della quantità e variazione percentuale di prezzo, in pratica è:

∆Q ∆P ∆Q * P

Q P ∆P Q

Con i simboli di questo quadro, come la esprimo l’elasticità della domanda sul mercato con prezzo
uniforme? La esprimo in questo modo: sto semplicemente scrivendo ciò usando i simboli già usati.
Il primo pezzo è la derivata della funzione di P barrato, il secondo pezzo è la funzione di P barrato
su domanda in funzione di P barrato.

ξ = Di ( P ) * P

D( P )

Come varia la quantità al variare del prezzo? Ce lo dice la derivata. Se così stanno le cose, posso
chiaramente scrivere che ξ * Di ( P ) = D’i ( P ) * P. ho portato il denominatore al numeratore; ho
moltiplicato cioè per D ( P ) dalla formula precedente. Abbiamo analizzato l’elasticità, in termini
puramente definitori, dalla definizione dell’elasticità ne deriva che l’elasticità per le quantità è
uguale alla derivata per il prezzo. È un fatto di tipo aritmetico. Posso sostituire al denominatore
quello che ho trovato. Cioè:

P – C = - ξ Di ( P )

P ∑i D (P ) *ξi

Il denominatore è riferito al sottogruppo i, lì ci devo mettere la sommatoria, è quindi riferito


all’insieme, ed è la sommatoria su i delle quantità che sono funzione di P barrato per epsilon i.

Che cosa vediamo? Stiamo ricavando formalmente un qualcosa di molto logico. Cosa ci dice
quest’ultima? Leggiamo l’equazione in termini economici e formali: la sommatoria è una media
ponderata delle elasticità con pesi dati dalle quantità (denominatore ultima formula).

Nel primo membro; abbiamo, per quanto riguarda la differenziazione di prezzo, il margine prezzo-
costo nel segmento i che dipende in modo inverso dall’elasticità della domanda in questo
segmento i; mentre qui abbiamo il prezzo uniforme, quindi il margine prezzo-costo dipende in
modo inverso dalla elasticità della domanda di tutti i segmenti che ricevono tutti lo stesso prezzo.
Se questo margine dipende (è legato) dalla media ponderata delle elasticità con pesi dati dalle
quantità; che cosa ne deriva? Ne deriva che:

min 1 ≤ P – C ≤ max 1

ξi P ξi

Se il margine prezzo-costo è legato alla media ponderata delle elasticità, significa che questo
margine prezzo-costo sarà compreso tra il più basso 1/ξ e il più alto 1/ξ. Se c’è un prezzo uniforme,
dove sta questo prezzo? Starà in mezzo tra il più piccolo e il più grande e dipenderà dai singoli
valori delle elasticità. Il margine prezzo-costo sarà compreso tra il più basso con discriminazione e
il più alto con discriminazione. Il che significa ovviamente che il prezzo uniforme starà un valore
medio dei prezzi discriminati.

In economia si fa spesso una “ricostruzione” della formula ricavata per poi dargli anche un
significato economico, come abbiamo fatto qui.

Adesso torniamo al quesito che ci eravamo posti: dal punto di vista del benessere sociale,
conviene la discriminazione o il prezzo unico P?

Il benessere sociale lo posso definire in tanti modi (tema importante) e fissiamo questa cosa: per
vedere se la discriminazione aumenta o no il benessere sociale, devo dare una sua misura,
fissiamo quindi il benessere sociale come somma di due elementi.

Gli attori sono sempre il consumatore e il produttore.

 Dal punto di vista dei consumatori, faccio rientrare nel benessere sociale quella variabile
che è definita come surplus del consumatore. Vi è chiaro che qui abbiamo m curve di
domanda, con discriminazione viene fissato un prezzo per ciascuna curva di domanda e
quindi ciascun gruppo/consumatore ha il suo surplus del consumatore. Se c’è
discriminazione, quanti surplus del consumatore abbiamo? M. Con il prezzo uniforme,
quanti surplus del consumatore abbiamo? Uno solo. Il surplus del consumatore lo
indichiamo con S. Quindi nei due casi abbiamo:
Surplus consumatore con discriminazione: ∑i Si (pi)
Surplus consumatore con prezzo uniforme: ∑i Si (P)
Le curve di domanda sono sempre le stesse, la cosa che cambia è che se c’è
discriminazione c’è un prezzo diverso per ogni curva di domanda, mentre nel prezzo
uniforme c’è un unico prezzo per tutti. Per quanto riguarda il surplus del consumatore, nel
caso del prezzo uniforme, il surplus del consumatore è diverso per i singoli sottogruppi,
perché il prezzo (prezzo uniforme) è sempre lo stesso ma in conseguenza del fatto che le
curve di domanda dei singoli consumatori sono diverse tra di loro; mentre se ho
discriminazione di prezzo, il surplus del consumatore è diverso per i singoli gruppi di
consumatori, in conseguenza del prezzo diverso per i singoli gruppi. In entrambi i casi il
surplus dei consumatori è comunque diverso tra i singoli sottogruppi.
 Surplus dell’impresa. In questo caso il surplus dell’impresa da cosa è dato? Che cosa devo
considerare nel surplus dell’impresa? Il surplus in questo caso è il profitto dell’impresa. Il
profitto dell’impresa dato da ∑ ( P – C ) * Qi. Che cos’è? C’è il produttore che fissa un
prezzo uniforme: si ritrova dalla curva di domanda che è la quantità Qi (la barra sopra non
indica una quantità data, ma indica la quantità che corrisponde nei singoli gruppi al prezzo
uniforme, è la quantità che corrisponde allo scenario del prezzo uniforme. Se c’è
discriminazione, la sommatoria è scritta in questo modo: ∑i (Pi – C ) * Qi.

Quindi il benessere sociale è dato dalla somma del surplus del consumatore e il profitto
dell’impresa. Adesso vediamo la questione benessere sociale, ovvero come varia il benessere
sociale, vediamo che succede al benessere sociale facendo la differenza tra questi elementi che
abbiamo visto nel caso di discriminazione e nel caso prezzo uniforme. Questa differenza la indico
con ∆W = benessere sociale.

∆W =∑i [ Si ( Pi ) – S ( P ) ] + [ ∑i ( Pi – C ) Qi - ∑i ( P – C ) * Qi ] > 0

Surplus del

Consumatore

Ci eravamo posti il quesito all’inizio: dal punto di vista del benessere sociale, conviene la
discriminazione di prezzo rispetto al prezzo uniforme?

Risposta. Dal punto di vista del benessere sociale conviene la discriminazione se questa differenza
è maggiore di zero. Non diamo una dimostrazione formale, ma dobbiamo capirlo dal punto di vista
logico, richiamando qualcosa degli anni del triennio.

1. Se la differenza è positiva, il benessere sociale aumenta con la discriminazione. Questo è


evidente. Per come lo abbiamo scritto, la differenza positiva significa che il surplus che si
crea con discriminazione è maggiore rispetto al surplus che si crea col prezzo uniforme.
Quello che non è chiaro e che dobbiamo capire, cosa implica questo maggiore di zero e
capire perché accade. Si dimostra, ma non lo dimostriamo, che questo segno maggiore di
zero vale (c’è, si verifica) se le quantità prodotte con discriminazione sono
complessivamente maggiori della quantità prodotta con prezzo uniforme. Cerchiamo di
capire quest’affermazione. C’è un aspetto che bisogna capire: se la discriminazione
significa che si produce di più è meglio la discriminazione dal punto di vista sociale, se la
quantità prodotta con discriminazione e con prezzo uniforme fosse la stessa, non conviene
la discriminazione. Perché? Perché un equilibrio pieno richiede che i saggi marginali di
sostituzione presso ciascun consumatore siano gli stessi, se sono gli stessi questo significa
che questo bene/merce si sta distribuendo in modo ottimale tra i consumatori, quindi
ciascuno acquista la merce in quantità tale da rendere i saggi di sostituzione uguali.
Saggio marginale di sostituzione = rapporto tra due merci che consente di dare la stessa
utilità al consumatore (che consente di stare sullo stesso punto della funzione).
Questo è il primo punto di teoria. Chiudo: se vi è discriminazione è chiaro che i saggi
marginali di sostituzione non sono uguali presso tutti i consumatori, perché abbiamo gli m
gruppi ciascuno con prezzo diverso, quindi non possono essere eguagliati i saggi marginali
di sostituzione, perché abbiamo m prezzi, se vi è discriminazione questi saggi marginali di
sostituzione non possono essere eguagliati perché abbiamo m prezzi, quindi conviene un
prezzo unico che eguaglia i saggi marginali di sostituzione presso tutti i consumatori e da
un equilibrio pieno (equilibrio valrasiano, efficienza valrasiana, ottimo valrasiano, etc).
2. Adesso dobbiamo assolutamente capire perché la discriminazione non conviene con le
stesse quantità e conviene invece quando le quantità sono più elevate. È chiaro che
abbiamo illustrato una situazione in cui c’è un monopolista, c’è una curva di domanda e il
monopolista fissa il prezzo (con discriminazione ne fissa m, con prezzo unico ne fissa uno).
Questo è il caso che stiamo descrivendo. Ricordiamo il grafico fatto la scorsa lezione.

P ricavo marginale

Curva domanda

Mancata allocazione

Di risorse

costo A

marginale

Q di equilibrio Q

Nel nostro scenario il produttore, che è un monopolista, o ne fissa di m di prezzi o ne fissa


uno solo. Qual è il principio per fissare il prezzo? È la massimizzazione del profitto,
sull’unico prezzo o su tanti prezzi, la scelta ricade sullo stesso principio. Guardiamo il
grafico e cerchiamo di capire una cosa. Stiamo parlando in modo assolutamente generico,
che ci consentirà di capire meglio. La scorsa lezione, abbiamo sottolineato che l’equilibrio è
dato dall’eguaglianza tra ricavo marginale e costo marginale, cioè il monopolista si ferma
nell’aumentare la produzione quando il ricavo marginale è uguale al costo marginale.
Abbiamo tracciato anche una curva del ricavo marginale che taglia a metà l’angolo e,
supponendo che il costo marginale sia costante, l’equilibrio ce l’abbiamo nel Punto A e si
produce la quantità Q. Qual è il difetto del monopolio? Perché c’è un’autorità antitrust che
difende la concorrenza? Il monopolio ha un’inefficienza allocativa: si produce troppo poco,
il massimo che si può produrre coprendo i costi sta nel punto più a destra e invece si
produce fino al punto A. Si parla di inefficienza allocativa perché le risorse sono allocate
male; cosa accadrebbe se tutti i mercati fossero in monopolio? Tante risorse rimarrebbero
inutilizzate e molto lavoro sarebbe inoperoso, quindi abbiamo una forte inefficienza
allocativa, questo tipo di mercato potrebbe assorbire molte più risorse in termini di lavoro,
materie prime in una quantità superiore, invece ne assorbe secondo un livello molto più
basso di produzione. Noi stiamo in uno scenario di monopolio, la discriminazione di terzo
grado si trova in uno scenario di monopolio. Nel caso in cui, con discriminazione e con
prezzo uniforme, la quantità prodotta sarebbe questa descritta, conviene il prezzo
uniforme perché questa quantità si distribuisce meglio tra i consumatori. Quando la
discriminazione è conveniente? Quando la discriminazione riesce, in una qualche misura, a
superare l’inefficienza allocativa del monopolio (quando le quantità sono leggermente o
tanto più grandi), cioè la discriminazione è meglio rispetto al prezzo uniforme quando
consente una quantità prodotta superiore, perché questo significa avere una minore
inefficienza allocativa, significa superare in una qualche misura il difetto del monopolio.
LEZIONE 21 MARZO 2019.
Rivediamo un attimo quello che abbiamo visto l’ultima lezione. L’argomento dell’ultima lezione
era relativo alla domanda: la discriminazione è utile per migliorare il benessere sociale? Abbiamo
fissato il significato di benessere sociale, dando una definizione del benessere sociale specifica,
abbiamo identificato il benessere sociale. Poi abbiamo risposto con un’equazione che metteva in
relazione il benessere sociale nel contesto discriminazione e il benessere sociale nel contesto
prezzo uniforme. Naturalmente, il valore di quest’equazione superiore allo zero implica che il
benessere sociale aumenta con la discriminazione. Abbiamo fissato questo risultato con la
seguente proprietà.

= il benessere sociale aumenta se con discriminazione si produce una quantità complessiva


superiore alla quantità che viene prodotta con il prezzo uniforme.

Poi abbiamo spiegato il significato del risultato anche se non formalmente dimostrato. Il senso di
questo risultato coinvolge elementi che forse non ricordiamo così bene. Abbiamo detto che il
benessere aumenta se il valore dell’equazione è maggiore di zero con discriminazione. Come ho
detto questa frase, ciò implica che se la quantità fosse la stessa, per come suona la frase, conviene
il prezzo uniforme. Perché? Con un prezzo uniforme si determinerebbe un equilibrio di natura
valrasiana, vale a dire che i saggi marginali di sostituzione delle merci sarebbero uguali presso
ciascun consumatore, su questo non abbiamo insistito molto. È molto importante che ci sia chiaro
che una quantità prodotta e venuta fosse superiore con discriminazione rispetto a quella prodotta
con prezzo uniforme, significa che la discriminazione sta superando quella inefficienza
caratteristica del monopolio (cioè nel monopolio si produce troppo poco, si fanno profitti appunto
perché il prezzo è troppo alto). Quindi, diciamola in modo corretto: la discriminazione conviene dal
punto di vista del benessere sociale, se consente di superare in una qualche misura l’inefficienza
allocativa del monopolio.

Il punto che vedremo adesso è il seguente: se le curve di domanda sono lineari (retta), si dimostra
che la quantità prodotta è la stessa con discriminazione o con prezzo uniforme.

Facciamo un’ipotesi importantissima, che è tutti i mercati (ovvero tutti i sottogruppi di


consumatori) sono serviti, stiamo supponendo che tutti gli n consumatori sono serviti nei due
scenari che stiamo trattando, vale a dire discriminazione o prezzo uniforme. In altri termini, tutti
possono acquistare. Naturalmente le cose sono molto semplici.

Allora la curva di domanda lineare riferendoci al sottogruppo i (espressa come quantità in funzione
del prezzo, in tal caso sono i parametri a e b).
È la quantità in
Qi = ai – bi – Pi funzione del prezzo.

Curva di domanda in È una semplice equazione di una curva


funzione del prezzo lineare (retta)
Pi = ai – 1 * Qi È il prezzo in funzione
della quantità
bi bi

Il prezzo più basso quale può essere? È quello che copre costo. Consideriamo il prezzo più basso
possibile, questo P quanto può essere basso? Deve essere almeno pari al costo. Quindi:

ci = ai – 1 * Qi 1 * Qi = ai - Ci Ci * bi = ai - qi

bi bi bi bi Conclusione, saltato passaggi

Arriviamo alla conclusione che è questa. Cosa implica la conclusione? Questa conclusione ha a che
fare con l’ipotesi che dicevo prima (ipotizziamo che tutti i mercati siano serviti). Questa
conclusione ci dà la condizione per cui tutti i mercati siano serviti, perché? Qual è la condizione da
questa equazione? ai – cbi = Qi. La condizione è che, se tutti i mercati sono serviti, vuol dire che le
quantità sono positive e quindi la condizione è che: ai – qi > 0. Tutti i mercati sono serviti se si
verifica questa condizione che ha un significato logico molto evidente. Il significato logico è il
seguente. Tutti i mercati sono serviti, date le caratteristiche della domanda, quando ci sia
adeguati. È la condizione per la quale tutti i mercati sono serviti. Il profitto, in questo segmento,
sarà come al solito: ( Pi – Ci ) (ai – bi * pi ) = π.
Ci è una costante Solito profitto
come sempre per quantità

Che cosa si fa a questo punto? Dobbiamo derivare rispetto al prezzo, non lo facciamo
praticamente, seguiamo il procedimento logico. Da questa ricavo il prezzo con il quale posso
ricavarmi le quantità. Questo è il profitto del segmento i e derivando rispetto al prezzo, trovo il
prezzo che massimizza il profitto, poi lo metto nella funzione di domanda e trovo qi. La quantità
totale di una merce in caso di discriminazione sarà data dalla sommatoria dei singoli qi ricavati.
Abbiamo scritto la cosa per il segmento i, dato che abbiamo n segmenti, per individuare la
quantità complessiva, dobbiamo effettuare la sommatoria delle quantità qi. Se ci fosse il prezzo
uniforme, che equazione devo escludere per realizzare l’equazione del profitto? Scriviamo
l’equazione del profitto. Vediamo l’equazione del profitto in caso di prezzo uniforme, è come
prima però abbiamo da considerare solo un unico prezzo con n sottogruppi con curve di domanda
diverse tra di loro.

Prezzo uniforme ( P – C ) * [ ∑i ai – ( ∑ bi ) * P ] = π Solito profitto π


e costo costante
Quantità connessa a tutti
gli n segmenti del mercato

Qui c’è poco da ricordare, è una ripetizione. Qui come si risolve la situazione per arrivare alle
quantità? Devo massimizzare il profitto. Che incognita ha l’equazione? È il prezzo uniforme. La
massimizzazione la devo fare come l’abbiamo fatta le altre volte. Quando faccio la
massimizzazione ricavo il prezzo, cosa che non facciamo. A quel punto che faccio? Prendo il prezzo
uniforme calcolato complessivamente e lo vado a sostituire nelle n curve di domanda, perché esse
non sono uguali tra di loro; poi mi rimane come unica incognita le singole quantità. La quantità
totale determinata sarà di nuovo Q che è pari alla sommatoria delle qi (somma delle singole
quantità ottenute dalle singole curve di domanda).

Ripeto: il procedimento è sempre lo stesso. Data l’equazione del profitto, ricaviamo tramite la
massimizzazione, un prezzo e tale prezzo lo inseriamo nelle equazioni di domanda. Queste
equazioni di domanda ci danno le singole quantità relative ad ogni equazione di domanda; la
sommatoria delle singole quantità ci da la quantità complessiva.

Se noi facessimo questo esercizio di massimizzazione, viene fuori un certo numero. Si dimostra,
ma non ci interessa formalizzare, che se le domande sono lineari, le due quantità totali di prezzo in
caso di discriminazione e di prezzo uniforme sono uguali. Con curve di domanda lineari, non
conviene la discriminazione.

Attenzione che questo risultato dipende dall’ipotesi che tutti i mercati sono serviti. Quest’ipotesi è
molto importante. Con domande lineari e con ipotesi di mercati serviti, la discriminazione non è
buona, conviene il prezzo uniforme.

Vediamo adesso in modo semplicissimo un caso con due sottogruppi:

 Sottogruppo 1 (con domande lineari)


 Sottogruppo 2

Supponiamo che il secondo gruppo con prezzo uniforme non compra nulla; quindi P2 rispetto a P
come sarà? P2 sarà sicuramente minore: se io suppongo che il secondo sottogruppo con il prezzo
uniforme è evidente che P2 è più basso del prezzo uniforme. L’ipotesi è che non tutti i mercati
sono serviti, infatti stiamo supponendo che il secondo sottogruppo con prezzo uniforme non
compra nulla. Vediamo quali sono le caratteristiche interne del sottogruppo con prezzo uniforme.

P = è pari al prezzo del primo gruppo, perché il secondo gruppo è rimasto fuori perché non è stato
in grado (o non ha voluto) acquistare, quindi non c’è nel mercato, si identifica con il prezzo P1.

Tutti questi prezzi sono fissati in regime di monopolio, P1 è un prezzo di monopolio, li abbiamo
ricavati in questo modo. Esiste soltanto il primo gruppo, come si determina il prezzo per questo
primo gruppo? Lo si determina massimizzando il profitto, si massimizza il profitto con un
procedimento di monopolio: il prezzo uniforme, dato che il secondo gruppo non ci sta, si identifica
col prezzo del primo gruppo.

La quantità invece quanto sarà in questo caso? In questo caso, col prezzo uniforme, abbiamo detto
che il secondo gruppo non è servito, q2=0 e la quantità Q (la quantità complessiva) si identifica con
quella del primo gruppo. Q ( la barra sopra, non è un equilibrio, ma è la quantità che corrisponde
al prezzo uniforme) è esattamente uguale a q1.

Adesso vediamo il caso della discriminazione. In questo caso, si compone in questo modo:
P1 = è quello di prima, perché il prezzo deve essere diverso? Il produttore fa il monopolista presso
ciascun segmento in entrambi i casi. Relativamente al primo gruppo, il prezzo è lo stesso che
abbiamo indicato prima, quindi lo posso scrivere e individuare allo stesso modo. È il prezzo di
monopolio applicato al primo gruppo.

Qual è la quantità del primo gruppo? È quella di prima cioè è la quantità q1, non ha il barrato
sopra perché non è legata al prezzo uniforme, c’è discriminazione e quindi ho P2 (prezzo positivo e
di monopolio, che esiste) e che si porta dietro la quantità q2 che viene determinata allo stesso
modo di prima. Vediamo adesso, adoperando i concetti usati ieri, il benessere sociale in entrambi i
casi appena descritti.

 Benessere sociale con prezzo uniforme. Da che cosa è dato? Esiste soltanto il primo
gruppo servito, quindi il benessere sociale in questo quadro, è dato solo dal surplus dei
consumatori del primo gruppo ed il profitto del produttore legato al primo gruppo ( P –C )
* Q1.
 Benessere sociale con prezzi discriminati. Da che cosa è dato il benessere sociale? Le
componenti del benessere sociale in questo secondo quadro sono: le due componenti di
prima (surplus del consumatore del primo gruppo e profitto del produttore del primo
gruppo) stanno anche qui, il prezzo è lo stesso e la quantità anche, solo che oltre questo c’è
anche il surplus del consumatore legato al secondo gruppo e il profitto del produttore
legato al secondo gruppo. Il benessere sociale in questo caso è maggiore.

CONCLUSIONE GENERALE: Con curve di domanda lineari ed assumendo che tutti i mercati sono
serviti, la discriminazione non conviene dal punto di vista del benessere sociale, perché si dimostra
(ma sviluppato parzialmente) che le quantità sono le stesse ed abbiamo dimostrato ieri che con le
stesse quantità è meglio che si favorisca il prezzo uniforme; la seconda è se qualche mercato non è
servito con il prezzo uniforme (se il prezzo uniforme non riesce a servire tutti i mercati), conviene
la discriminazione di prezzo, anche se le curve di domanda sono lineari.

Abbiamo concluso la discriminazione di terzo grado.

DISCRIMINAZIONE DI SECONDO GRADO.


La discriminazione di secondo grado si ha quando il produttore non è in grado di selezionare il
mercato e fa in modo che siano i consumatori a selezionarsi. Abbiamo sempre fatto casi semplici,
queste cose che trattiamo hanno delle implicazioni pesanti nella realtà.

Esempi della realtà: sconti fatti agli studenti, cinema che applica tariffe particolari durante la
settimana, etc. questa è la discriminazione di terzo grado.

Anche su questo facciamo un esempio semplice: viaggi aerei, le compagnie aeree di solito quando
guadagnano di più? Prendiamo come riferimento una settimana come lasso di tempo, quando
guadagnano di più? Si guadagna di più con i viaggi di affari e quindi durante i giorni lavorativi. Il
mondo degli affari è molto più pesante rispetto al weekend. Che cosa capita di assolutamente
frequente? Che le compagnie applicano un prezzo più basso nel weekend. Sono in grado loro di
selezionare il mercato? No, perché non possono sapere tutte le informazioni sui loro clienti in
modo da segmentarli. Cosa sta facendo la compagnia che applica una tariffa più bassa nel
finesettimana? Fa in modo che i consumatori si selezionano da soli, cioè chi ha una capacità di
spesa limitata, mette il suo viaggio di piacere nel finesettimana, non può la compagnia aerea
chiedere a tutti i consumatori quanto guadagna al mese per fare ad ognuno un prezzo particolare,
mentre è assolutamente possibile che uno sconto fatto agli studenti venga fatto tramite il
tesserino universitario. Questo è un caso di discriminazione di secondo grado: prezzi diversi per
uno stesso servizio che in qualche modo sono decisi dagli stessi consumatori perché si selezionano
loro.

La discriminazione di secondo caso include un caso molto importante, che è il caso dei prezzi non
lineari; vale a dire prezzi che variano con la quantità consumata. I prezzi che variano con la
quantità consumata sono un caso molto tipico nella realtà: consumazioni successive (unità della
stessa merce successive) hanno di solito un prezzo non lineare. Il caso di prezzi non lineari che ci
interessa è quello della tariffa a due stadi: si tratta di una misura utilizzata nei servizi locali (acqua,
elettricità, etc).

La tariffa a due stadi è fatta da una parte fissa e un’altra parte variabile.

 Parte fissa: la paghiamo qualunque sia la quantità che consumiamo, la parte fissa è
indipendente dalla quantità. La chiamiamo f.
 Parte variabile: è proporzionale alla quantità consumata. La chiamiamo p*q.

f + p*q che cos’è? È la somma pagata, è quanto paga uno specifico consumatore che dipende dalla
quantità che consuma.

Prezzo unitario: f + p  divido tutto per la quantità q.

OSSERVAZIONI:

1. Nel nostro caso, il prezzo unitario vario in base alla quantità consumata, è inversamente
proporzionale alla quantità (all’aumentare della quantità scende).
2. P è quanto pago se consumo un’unità di più, è quindi il prezzo marginale.

Che cosa devo determinare f e p.

P C= costo è una variabile costante

A C Prezzo di equilibrio in caso di monopolio

tradizionale.

qm Q
Naturalmente stiamo parlando di un mercato dove il produttore ha pieno potere di mercato. Se il
produttore non applicasse discriminazione e si comportasse da monopolista “tradizionale” e
applicasse il prezzo uniforme, qm è la quantità del prezzo uniforme e quindi l’incrocio tra qm e pm
è il prezzo di equilibrio. Dobbiamo determinare la parte fissa e la parte variabile.

Partiamo da f: si tratta di fare cosa? Si tratta di applicare un valore che cattura il massimo possibile
che si può prendere dal consumatore, però il consumatore deve rimanere sulla sua curva di
domanda, perché altrimenti non comprerebbe nulla.

Supponiamo nel grafico di aver determinato P, f sarà determinato da cosa?

Se ha fissato questo prezzo marginale, che altro può chiedere? Se P è il prezzo marginale, il
produttore può chiedere al consumatore tutto il surplus del consumatore, cioè tutta l’area che sta
sopra il prezzo marginale. L’area è una somma che il consumatore è disposto a pagare, se il prezzo
fosse più alto, il consumatore pagherebbe. F può essere uguale al surplus del consumatore
corrispondente a p che abbiamo fissato. Questo è il massimo che gli si può chiedere. Il produttore
non si fermerà quindi a P, quindi p a che sarà uguale? A C. il produttore decide f e p per
massimizzare il profitto, e per farlo, P=C, f sarà il surplus del consumatore e glielo chiede il
produttore al consumatore. P=c è il prezzo che gli consente di massimizzare il profitto.

Abbiamo tracciato questa curva di domanda nell’ipotesi che tutti i consumatori sono omogenei tra
di loro, quindi p e f sono ciò che deve pagare ogni consumatore perché ciascun consumatore ha la
stessa curva di domanda. Il profitto del nostro produttore sarà pari a che cosa?

π(p)=(P–C)*Q+f

il profitto del manager è composto dalla parte variabile e dalla parte fissa, è la differenza di costo
per la quantità più la parte fissa. Dato che nel nostro caso, P=C il profitto del produttore è pari a f
che si identifica con il surplus del consumatore che è funzione di P = C.

Tutto il profitto del produttore corrisponde all’area relativa al profitto del consumatore, che
sarebbe l’area relativa a P = C
P

Questo è il quadro consumatori omogenei.

Se il venditore può usare una tariffa a due stadi e tutti i consumatori hanno la stessa curva di
domanda, allora il prezzo (la parte variabile della tariffa a due stadi, prezzo marginale) che
massimizza i profitti è lo stesso prezzo che massimizza il surplus totale, ossia il prezzo efficiente.

Questa tariffa a due stadi (vedi grafico con lettere A, B , C)

 aumenta il profitto del produttore da A ad A + B + C.


 Il surplus totale aumenta da A + B, ad A + B + C.
 Il surplus lordo dei consumatori aumenta da B a A + B + C.
 Il surplus netto dei consumatori scende da B a 0.

Quindi se noi misuriamo il benessere sociale come lo abbiamo misurato, i consumatori come
stanno? Meglio o peggio? Stanno peggio, secondo la nostra misura i consumatori perdono il loro
surplus. Cosa c’è di più di molto significativo? Che qui ci sta efficienza allocativa: è vero che il
consumatore non ha più il surplus, se le curve di domanda fossero tutte uguali, ciascun
consumatore con prezzo uniforme avrebbe preso il suo surplus, però con la tariffa a due stadi
questo valore non c’è più a favore di un’altra cosa molto importante, adesso senza surplus la
quantità consumata è aumentata con i prezzi con discriminazione.

Questo è il quadro di consumatori omogenei, questa è un’ipotesi molto pesante perché i


consumatori non sono omogenei, cosa che vediamo la prossima lezione.
LEZIONE 25 MARZO 2019.
Concludiamo il discorso sulla discriminazione di secondo grado.

Abbiamo detto la volta scorsa, nell’ambito della discriminazione di secondo grado, la tariffa a due
stadi e che oggi vediamo: è molto importante perché è una tariffa usata nei settori pubblici locali.
Abbiamo visto come è fatta la tariffa a due stadi nel caso in cui i consumatori sono omogenei (la
curva di domanda è la stessa). La tariffa a due stadi si compone da:

 una parte fissa; l’abbiamo indicata con f


 una parte variabile; composta da un elemento di proporzionalità, che l’abbiamo vista come
il prezzo applicata alla quantità p*q.

Che deve determinare questa tariffa a due stadi? Deve determinare p (prezzo marginale = se la
quantità aumenta di un’unità la devo pagare con P) ed f.

Da cosa è dato p e f?

P è dato dal prezzo marginale, dal costo marginale che immaginiamo sia costante.

P Il produttore si trova davanti a tale curva di domanda,


supponiamo che il costo è costante, si delinea in tal modo. La
conclusione è che il prezzo marginale P sia uguale al costo C; ed f
è dato dal surplus del consumatore corrispondente al prezzo p. f
è tutta la zona inclusa tra il costo e la curva di domanda.

F = surplus del consumatore, ovvero Cs ( P ) -- > in termini inglesi

C La parte fissa rappresenta il profitto, P copre i costi e il resto è il


profitto del produttore.
Q

Questo è il quadro in cui i consumatori sono omogenei, cioè se i consumatori hanno tutti la stessa
curva di domanda.

Andiamo avanti vedendo la tariffa a due stadi in uno scenario in cui i consumatori non sono tutti
uguali, ipotizziamo come sempre due gruppi di consumatori, quindi qui i consumatori non sono
omogenei (curva di domanda diversa).

Supponiamo che il secondo gruppo ha, per ogni prezzo, una curva di domanda più esterna, cioè
una domanda maggiore. Utilizzo lo stesso grafico per i due
sottogruppi e c’è una situazione del genere:
Surplus 2, surplus 1 la curva interna rappresenta i consumatori
del gruppo 1 che consumano di meno, la
P=C
curva esterna rappresenta i consumatori
del gruppo 2 che consumano di più.
Cosa fa il produttore in questa situazione? Se avesse piena conoscenza dei suoi consumatori (se i
due gruppi gli fossero noti), che cosa farebbe?

P = C per entrambi i gruppi.

F = come lo fissa il produttore?

F1 = è il surplus del consumatore 1 in funzione di P CS1 ( P) -> parte interna del surplus del
consumatore 1.

F2 = è il surplus del consumatore 2 in funzione dello stesso P CS2 ( P) parte interna del surplus del
consumatore 2 che ingloba anche quella del consumatore 1.

Questo è ciò che accadrebbe se il produttore avesse piena informazione sui consumatori. Il surplus
del consumatore esprime una possibilità a pagare da parte del consumatore. Questa piena
informazione non è un’ipotesi realistica.

Il produttore è consapevole che nel mercato esistono domande diverse ma non sa con precisione
chi sono questi individui che hanno una domanda diversa. Cosa può fare questo produttore?

Può offrire un ventaglio di tariffe lasciando la scelta dell’una o dell’altra tariffa al consumatore.
Supponiamo che lui offra:

Prima tariffa: P1 = C f1 il valore f1 è quello della curva domanda più interna = CS (P1)

Seconda tariffa P2 = C f2 valore f2 è quello della curva domanda più interna = CS ( P2 )

Lui lascia la scelta al consumatore tra le due tariffe. Entrambi sono pari a C. Se fa quest’offerta,
l’offerta non è molto intelligente. Ovvio che sceglierebbero tutti la prima tariffa, è una proposta
totalmente inefficiente, non si può risolvere il problema in questo modo.

C’è il problema di offrire un ventaglio di tariffe da far scegliere ai consumatori, ma che sia fatto in
modo serio, questo ventaglio non è un ventaglio serio da offrire.

Con quest’offerta di tariffe, il nostro produttore deve soddisfare un vincolo di compatibilità di


incentivi (o vincolo di incentivazione), vale a dire deve realizzare le due tariffe in modo che ciascun
gruppo scelga la tariffa disegnata per quel gruppo. In altri termini, il produttore deve incentivare
ciascun gruppo a scegliere la tariffa che è stata pensata per quel gruppo.

Il produttore deve anche soddisfare un vincolo già visto, che è il vincolo di partecipazione. Che
cosa si tratta? Queste tariffe devono pensate in modo tale che il consumatore acquisti il servizio e
consuma, deve partecipare al mercato, sennò è tutto inutili, il produttore deve rendere queste
tariffe siano appetibili per quei gruppi di consumatori in modo tale che rimangano nella loro curva
di domanda.

Il ventaglio di tariffe deve essere combinato in questo modo. Si dimostra, ma lo enunciamo


soltanto perché cosa logica, che:
 Per quanto riguarda il primo gruppo, gli propone un prezzo marginale superiore al costo
(P1 > C) e, la parte fissa del primo gruppo, f1 ( P1 ) = CS1 ( P1 )  surplus consumatore che
è funzione del prezzo 1.
 Per quanto riguarda il secondo gruppo, lui pensa di dargli quest’offerta:
P2 = C e un f2 maggiore sicuramente a f1 ma più basso CS2 ( P2 ).

Questa è una proposta intelligente per come è stata pensata, i numeri dovranno essere tali da
renderla concretamente intelligente.

Al primo gruppo disegna una tariffa in cui:

 per il primo gruppo, il prezzo marginale è un po’ più alto rispetto al costo unitario (o
marginale), però dal punto di vista della parte fissa pagano esattamente il loro surplus del
consumatore.
 Per il secondo gruppo, applica la seconda tariffa dove il prezzo è uguale al costo unitario
(P=C), la parte fissa invece è determinata in modo ad essere costruita in modo tale da
essere superiore alla parte fissa pagata dal primo gruppo, ma deve essere un po’ più bassa
del surplus del consumatore del secondo gruppo.

Conviene al primo gruppo spostarsi dalla tariffa pensata per loro per spostarsi alla seconda tariffa?
Non gli conviene, è vero che il prezzo marginale è più basso, ma ci va a rimettere come parte fissa,
ha quindi un vantaggio e una perdita. Questo ci fa capire che il produttore deve essere in grado di
variare le cose in modo tale che ogni gruppi scelga la tariffa che è stata pensata per lui.

Al secondo gruppo gli conviene acquistare la prima tariffa? Non gli conviene, perché è vero che
avrebbe un risparmio della parte fissa, però ad un prezzo marginale superiore al costo. Se i numeri
sono tali, in modo tale da applicare il principio in modo intelligente, ciascun gruppo rimane fermo
sulla tariffa che è stata disegnata per lui. Il problema si risolve in questo modo nel caso di
consumatori eterogenei.

ULTIMO COMMENTO.

 Per quanto riguarda il mercato del primo gruppo, il prezzo di mercato corrispondente al
primo gruppo crea un’inefficienza allocativa.

P Il primo gruppo andrebbe a consumare la quantità


compresa nell’area tra P = C e la sua curva di domanda; ma
abbiamo detto che il gruppo non la consuma tale quantità
Pm perché abbiamo detto che Il prezzo marginale è più alto
(Pm), e quindi va a consumare una quantità inferiore.
P=C Questo pezzo di mercato non ha un’efficienza allocativa,
perché il prezzo marginale è superiore al costo.

Qm Q
 Per quanto riguarda il secondo gruppo, qui c’è efficienza allocativa? Sì ci sta, perché il prezzo è
uguale al costo, quindi nel secondo gruppo si consuma tutta la quantità.

P=C

Nel primo caso, la differenza con il quadro dei consumatori omogenei: nel caso dei consumatori omogenei
c’è efficienza allocativa perché andiamo a finire a P = C, mentre nel primo pezzo di mercato (gruppo 1) non
c’è efficienza allocativa. Nel secondo caso, confrontando i consumatori omogenei con il secondo gruppo,
nel secondo gruppo c’è efficienza allocativa, la differenza rispetto al caso dei consumatori tutti omogenei
dove sta? Sta in f, f nel caso dei consumatori omogenei sarebbe esattamente uguale al surplus del
consumatore, qui invece f non è esattamente uguale al surplus del consumatore, osserviamo che f2 (per il
secondo gruppo) è inferiore alla disponibilità a pagare del secondo gruppo, i consumatori del secondo
gruppi sarebbero disposti a pagare di più ma pagano meno perché il produttore deve spingere i
consumatori del secondo gruppo ad acquistare questa tariffa. Questo mercato del secondo gruppo si
differenzia dal mercato dei consumatori omogenei è che la tariffa fissa f non è la stessa della disponibilità a
pagare dei consumatori (ciò genera risparmio).

Sembra più forte l’osservazione fatta per il primo gruppo relativamente all’inefficienza allocativa delle
risorse.

OSSERVAZIONE: l’osservazione riguarda la selezione dei consumatori, in termini generali. Stiamo in tema di
discriminazione, che significa selezionare i consumatori. Un modo per selezionarli assai diffuso (che è la
sostanza della discriminazione) è offrire loro diverse combinazioni prezzo/qualità. Succede che i produttori
modificano volutamente la qualità, inseriscono volutamente aspetti di qualità più bassa (peggiorino
volutamente la qualità) per attuare una discriminazione di prezzo. Questo offrire diverse combinazioni di
prezzo/qualità può spingersi al punto che si offrano volutamente delle qualità peggiori del bene in
questione per fare discriminazione di prezzo. Questo tipo di discriminazione a quali risultati (effetti) porta?
Una fascia di consumatori con una bassa disponibilità a pagare è avvantaggiata da questo tipo di cose,
perché può consumare cose che altrimenti non consumerebbe se non ci fossero queste differenze di
qualità. Una cosa che citava spesso nei testi industriali, l’esempio dei treni quando ci stavano 3 classi,
questo a quale scopo? C’era volutamente una certa differenza, ma consentiva a chi non poteva pagare certi
prezzi di farli viaggiare lo stesso. Il produttore ha vantaggio? Sì altrimenti non lo farebbe. I consumatori con
alta disponibilità a pagare hanno vantaggio? Forse loro no, si possono fare considerazioni ma non le
faremo, questo perché le varie azioni di qualità verso l’alto fanno aumentare di molto il prezzo. Lo stesso
vale per le varie classi del viaggio aereo, dato che la differenza di prezzo delle volte è molto alta. L’elevata
differenza di prezzo non è giustificata dal servizio reso al cliente nella business class, sono forme di
discriminazione di prezzo. La discriminazione è sempre una forma di selezione dei consumatori.

Ci sono altre cose che forse vedremo più avanti. Passiamo ad un altro argomento del tutto diverso.
INTERAZIONE STRATEGICA.
L’abbiamo già affrontata all’inizio del corso. È un nuovo capitolo del corso.

L’interazione strategica (tra soggetti) è un’espressione che sintetizza la teoria dei giochi: nella
teoria dei giochi abbiamo spiegato appunto l’interazione tra i soggetti.

Esiste interazione strategica tra le imprese, è un qualcosa che fa parte della vita delle imprese.
L’interazione strategica fa parte delle caratteristiche di competizione tra le imprese, che è una
manifestazione di interazione strategica.

Come competono le imprese? Vediamo adesso solo dei concetti introduttivi.

Nel brevissimo periodo, con quali strumenti competono le imprese? Si può cambiare la struttura di
costo, innovazione, progresso tecnico? Nel brevissimo periodo lo strumento è il prezzo.

In un periodo medio, un po’ più lungo, quali strumenti possono essere usati per la competizione
tra le imprese? Comincia ad essere quello di costo, le imprese abbassano i costi, nel medio periodo
c’è una concorrenza dei costi. Sottolineiamo una cosa: un abbassamento dei costi cosa produce?
Perché un’impresa cerca di abbassare i costi? Per maggiori profitti, ma gli consente cosa? Di
abbassare un po’ il proprio prezzo di vendita e tagliar fuori dal mercato i propri concorrenti. La
concorrenza sui costi è importantissima, significa profitti ma anche ampliamento del mercato. Si fa
concorrenza anche sulla capacità produttiva, sulla quantità, un ampliamento della capacità
produttiva che significa? L’impresa lo fa a danno dei propri concorrenti, perché significa produrre
di più, se fa una cosa del genere, lo fa in condizioni tali da ridurre la quota di mercato delle altre
imprese.

In un periodo ancora più lungo (lasso di tempo ragionevole), si fa concorrenza tramite progresso
tecnico, cambiamenti organizzativi, innovazioni in ricerca e sviluppo, altri elementi importanti da
poter cambiare nel lungo periodo.

Adesso, quello che dobbiamo fare è definire l’equilibrio di Nash. Noi lo abbiamo visto
operativamente con la teoria dei giochi, facciamo un’osservazione ai fini dell’esame: una cosa è un
esercizio di teoria dei giochi in cui si chiede si svolgere un esercizio per determinare l’equilibrio di
Nash nella teoria dei giochi (la sua applicazione); un’altra cosa è invece studiare, a livello analitico,
la definizione dell’equilibrio di Nash e le sue implicazioni.

Adesso l’equilibrio di Nash lo vediamo analiticamente parlando con riferimento a due imprese.

L’equilibrio di Nash, concetto cruciale dell’interazione strategica.


= Un insieme di azioni è un equilibrio di Nash se, date le azioni dei concorrenti, un’impresa
non può aumentare il suo profitto scegliendo un’azione diversa.

Questa è un’espressione che abbiamo già usato nella prima parte del corso.
Adesso noi ci riferiamo in modo assolutamente generico ad azioni delle imprese: se queste azioni
sono prezzi o altro noi non lo diciamo, diciamo che sono azioni in modo generico.

Adesso chiamiamo πi = profitto dell’impresa i-esima.

Consideriamo due imprese: l’impresa i e l’impresa j.

Siamo in un ambito di interazione strategica. Se siamo in un ambito di interazione strategica,


questo profitto da cosa dipende?

πi = dipende dall’azione dell’impresa i, ma dipende anche dall’azione dell’impresa j.

Questo è il profitto dell’impresa i.

Io ho definito l’equilibrio di Nash prima, mettiamo questa definizione in simboli. L’equilibrio di


Nash ce l’abbiamo se il profitto dell’impresa i dipende dall’azione di i che sta scegliendo in modo
ottimale, data la scelta ottimale delle altre imprese (qui solo impresa j). Inoltre questo tipo di
profitto così delineato, deve essere maggiore o uguale a:

πi ( ai*, aj* ) ≥ πi ( ai , aj* )

Questo è esattamente quello che ho detto a parole: ci dice che la scelta ottimale dell’impresa i,
data la scelta ottimale delle altre imprese, l’azione di i ci dà un profitto che deve essere almeno
uguale al profitto che l’impresa i otterrebbe, data la scelta ottimale delle altre imprese, nel caso in
cui l’impresa i non scegliesse un azione ottimale. Se si verifica questa cosa, ai* è ottimale, la scelta
di equilibrio di i date le scelte massimizzanti delle altre imprese. Questo vale per qualunque
impresa.

Ora, quando si verifica questo risultato in termini formali? Risposta: si verifica questo risultato in
termini formali quando la derivata prima della funzione di profitto rispetto ad ai è uguale a zero e
la derivata seconda è negativa (per un problema di massimo). Quindi, la derivata prima deve
essere pari a zero, cioè:

∂πi = πi’ ( ai*, aj* ) = 0

∂ai

Sto massimizzando sto mettendo l’asterisco e la derivata deve essere uguali a zero. Quindi
l’equilibrio di Nash e definito. Facciamo anche la derivata seconda che è funzione anch’essa di ai*
e aj* che deve essere negativa. Cioè:

πi’’ = ( ai* , aj* ) < 0

Questo è il profitto. Supponiamo che la funzione del profitto è una funzione concava, il massimo
(la massimizzazione) è garantita dalla sola derivata prima pari a zero, vuol dire che io sto nel punto
di massimo già nella derivata prima, dato che la derivata seconda c’è sicuramente essendo la
funzione profitto concava.
Ricorda le soluzioni trovate tramite l’equilibrio di Nash, cosa fa il singolo giocatore? Fa un’ipotesi o
una congettura di quello che fa l’altro e, sulla base di questa congettura, fa la sua scelta.

Rimaniamo concentrati sull’impresa i, la scelta fatta dall’impresa i che cosa è? È la scelta di miglior
risposta all’azione pensata, ipotizzata o congetturata dell’impresa j. Questo è il significato di ai*,
aj*. Allora posso scrivere ai* come funzione di aj* e posso chiamare questa funzione come
“funzione di miglior risposta” oppure come “funzione di reazione”. Questa è la miglior risposta di i
davanti all’ipotesi immaginata su ciò che fa l’impresa j, quindi ai* lo posso scrivere così:

ai* = Ri ( aj)  funzione di miglior risposta di i rispetto all’azione ipotizzata di j.

Noi non sappiamo che cos’è in concreto quest’azione, sappiamo solo che rappresenta un’azione
che risponde meglio all’azione ipotizzata di j. Quindi in realtà, questa funzione del profitto
dell’impresa i la posso scrivere in questo modo:

πi = [ Ri ( aj ), ai ]  funzione profitto dell’impresa i in funzione dell’impresa j.

Adesso dobbiamo mettere questa scrittura in un altro modo assolutamente equivalente, che ci
permette di descrivere l’equilibrio di Nash in un’altra forma. Adesso mettiamo l’equilibrio di Nash
utilizzando le funzioni di miglior risposta.

ai* = Ri ( aj* )  è la miglior risposta di i ad una scelta ottimale dell’impresa j. Posso fermare qui
per dire che c’è equilibrio di Nash? Ci devo mettere un’altra cosa, ci devo mettere la stessa cosa
con riferimento all’impresa j, ovvero:

aj* = Rj ( ai* )  è la miglior risposta di j ad una scelta ottimale dell’impresa i.

Nella prima parte, per fissare nella mente l’equilibrio di Nash, abbiamo detto due cose:

 Ciascuna impresa massimizza il proprio profitto.


 Le ipotesi devono essere verificate.
LEZIONE 26 MARZO 2019.
L’ultima volta abbiamo finito la parte relativa alle discriminazioni di prezzo. In realtà, se il tempo lo
permette, torneremo sulla parte relativa alla discriminazione di prezzo. Abbiamo aperto uno
scenario molto interessante dell’interazione strategica, ovvero concorrenza tra le imprese. La
concorrenza tra le imprese è una manifestazione dell’interazione strategica tra le imprese. Cosa
abbiamo fatto ieri sera? Abbiamo definito l’equilibrio di Nash: un conto è l’equilibrio di Nash che
abbiamo definito nella prima parte del corso legato agli esercizi semplici; un altro è quello che
vediamo ora, studiando le cose da un punto di vista più formale.

Abbiamo definito l’equilibrio di Nash in termini analitici, abbiamo visto la definizione utilizzata
ampliamente nella prima parte del corso. Siamo nell’equilibrio di Nash quando: ciascuna impresa,
fa delle azioni massimizzanti in relazione anche alle azioni delle altre imprese, e inoltre non può
aumentare il proprio profitto facendo un’azione diversa. Questo è l’equilibrio di Nash che abbiamo
visto l’altra volta.

L’interazione strategica significa che il profitto della nostra impresa i, considerando uno scenario
con due imprese i e j, in un contesto di interazione strategica dipende da quello che fa l’impresa i e
quello che fa l’impresa j. Ci siamo mantenuti in un quadro assolutamente generale, usando
espressioni assolutamente generali, sono azioni dell’impresa i e dell’impresa j che non abbiamo
detto cosa sono nello specifico. Il profitto dell’impresa i, in un contesto di interazione strategica,
non dipende solo da quello che fa l’impresa i, ma dipende anche dall’azione dell’impresa j.

π = dipende dall’azione dell’impresa i e dall’azione dell’impresa j.

Ci troviamo sempre nel solito contesto della prima parte del corso: che cos’è l’azione dell’impresa
i? dal punto di vista logico stiamo sempre nel contesto logico della prima parte del corso. Che
cos’è l’azione dell’impresa i? Si tratta dell’azione dell’impresa i facendo delle congetture
sull’azione dell’impresa j. Abbiamo risolto così gli esercizi della prima parte del corso. L’azione di i
è una risposta dell’azione presunta dell’azione di j.

πi = ( ai , aj )  questa è la funzione di reazione o la funzione di miglior risposta di i

A livello concettuale, ci troviamo esattamente come nella prima parte del corso: l’impresa i fa
qualcosa ipotizzando/congetturando l’azione che farà l’impresa j.

Questo è un equilibrio statico: le imprese si incontrano nel mercato una sola volta, non c’è tempo.
Stiamo nel contesto primo pezzo della teoria dei giochi affrontato nella prima parte del corso.
Abbiamo definito questo equilibrio di Nash mettendo un asterisco nelle azioni delle imprese,
siamo nell’equilibrio di Nash quando vale per ciascuna impresa questa relazione:

πi ( ai* , aj* ) ≥ πi ( ai, aj* )


Il profitto dell’impresa i che massimizza congetturando la miglior risposta dell’impresa j deve
essere maggiore del profitto in cui l’impresa non sceglie la massimizzazione quando le altre
imprese j continuano a massimizzare.

* ci riferiamo al caso di miglior risposta.

Se definiamo l’equilibrio di Nash facendo riferimento alle funzioni di miglior risposta (o di


reazione) delle due aziende i e j, cosa dovrei scrivere?

ai* = Ri ( aj )  funzione di miglior risposta dell’impresa i

aj* = Rj ( ai )  funzione di miglior risposta dell’impresa j

Sono due modi per definire l’equilibrio di Nash. Siamo in equilibrio quando ciascuna impresa
massimizza e quando le due soluzioni sono tra loro compatibili.

Quand’è che si verifica questo equilibrio riferendosi alle singole imprese i? L’equilibrio si verifica
quando la derivata prima si annulla e la derivata seconda è negativa. Abbiamo ipotizzato
ragionevolmente che la funzione del profitto è sicuramente concava, se è una funzione concava la
derivata seconda della funzione è sicuramente negativa. Per parlare quindi dell’equilibrio di Nash,
è sufficiente parlare di derivata prima, la massimizzazione è garantita quando siamo nel punto
corrispondente in cui la derivata prima è pari a zero.

Adesso dobbiamo andare avanti. Siamo nell’equilibrio, quindi questo profitto della nostra impresa
i è massimizzato, la funzione derivata prima del profitto deve essere uguale a zero, e questa
derivata prima è funzione di cosa? È funzione anch’essa delle due azioni, quindi è funzione di ai e
scriviamo ai in termini di reazione dell’impresa i all’ipotesi dell’azione dell’impresa j; quindi
scriviamo ciò supponendo di stare in equilibrio.

πi’ [ Ri ( ai* ) , ( aj ) = 0  è funzione di miglior reazione di ai in funzione di aj.

Ho riscritto quello che abbiamo fatto ieri sera. Adesso dobbiamo chiarire delle cose molto
importanti: la rappresentazione della interazione strategica tra le imprese si lega molto a questo
elemento, cioè alla funzione di reazione. Ci dobbiamo chiarire qualcosa su quest’interazione
strategica: per chiarire qualcosa facciamo il differenziale totale di quest’equazione (devo fare la
derivata completa detto in termini correnti); devo quindi derivare tutto detto in modo informale.
Devo derivare la derivata prima rispetto all’azione i, ho quindi una derivata seconda:

πi’’ [ Ri ( aj* ), aj* ] * Ri’ ( aj* ) + π’ij [ Ri ( aj* ), aj* ] = 0

ho il concetto di funzione di funzione: ho un concetto che è funzione di una funzione, che è


funzione di un’altra cosa (in questo caso di aj). Devo derivare rispetto ad aj, poi devo moltiplicare
per la derivata della funzione R (indicato come R’) che è funzione di aj; successivamente devo
derivare rispetto ad aj devo sommare la derivata totale rispetto ad aj.
Primo pezzo della funzione: devo mettere un moltiplicante della derivata della funzione di R
perché ho una funzione di funzione essendo una funzione di ai che è funzione di aj, quindi devo
derivare e poi moltiplicare.

Secondo pezzo funzione/derivata: dal punto di vista matematico la derivata della funzione rispetto
ad aj, è una derivata parziale mista; il significato è importante, perché cosa ci descrive questa
derivata? Innanzi tutto è la derivata prima del profitto (profitto marginale), ci dice qual è l’effetto
dell’azione j, quindi dell’impresa j sul profitto marginale di i.

Dobbiamo chiarire dei concetti molto importanti. Mi ricavo dal differenziale totale la derivata R’i
che è funzione di aj. Questo è uguale a (porto a destra la derivata parziale mista):

R’i ( aj* ) = πij [Ri ( aj* ) , aj* ]

- π’’[ Ri ( aj* ) , aj* ]

Al numeratore a destra abbiamo messo la derivata parziale mista. Devo dividere per la derivata
seconda di π, che è funzione di Ri funzione di aj*.

Ho portato a destra questo elemento, quindi avrei dovuto mettere un meno, non ce lo metto
perché lo metto nel denominatore. Perché lo metto sotto? Com’è la derivata seconda? È negativa,
quindi mettendo il meno sotto, l’elemento diventa positivo.

CONCLUSIONE. Questa funzione di reazione ha un segno che dipende dal segno della derivata
parziale mista, cioè dipende dall’effetto dell’azione di j ha sul profitto marginale di i. questa
derivata che ci dice? Ci dice come reagisce i davanti all’azione di j, quindi:

 se questa derivata fosse positiva, vuol dire che la risposta di i va nello stesso senso
dell’impresa j (cioè se l’impresa j aumenta la sua azione, i fa la stessa cosa; se l’impresa j
diminuisce la sua azione, i fa la stessa cosa), è una cosa del tutto logica, l’azione
dell’impresa j ha un effetto positivo sul profitto dell’impresa i. In questo quadro significa
che queste due imprese come le descrivo? Cosa stanno facendo le imprese? Non
necessariamente è un cartello, significa solo che le due imprese si muovono insieme con lo
stesso segno.
 Discorso opposto se il segno della derivata fosse negativo e quindi la derivata Ri ha un
segno negativo. Cosa significa che la derivata Ri ha un segno negativo? Se l’impresa j
aumenta la sua azione, quell’altra la diminuisce; le due imprese si muovono in senso
totalmente opposto. In questo caso, abbiamo questo quando l’effetto di j sul profitto i ha
un effetto negativo.

Adesso possiamo dare una definizione di queste azioni delle due imprese.

 Definiamo le azioni delle due imprese come sostituti strategici, se il segno della derivata
prima della funzione Ri è negativo e πij < 0. Sostituti strategici se i due segni sono negativi
 Definiamo invece le azioni delle due imprese come complementi strategici se il segno della
derivata prima della funzione Ri > 0 e π > 0. Complementi strategici se i due segni sono
positivi.

Tracciamo le funzioni di reazione di questi due casi:

a2 a2

R1

R2

R2

R1

a1 a1

Tracciare le funzioni di reazione consente di individuare l’equilibrio in modo immediato.


L’equilibrio di Nash dove ce l’ho? Nel punto di incontro delle due funzioni di reazione. Sia chiaro
che questo disegno è una sorta di espediente per spiegare come stanno le cose ma non è realistico
perché stiamo parlando di un equilibrio statico di un modello statico, dove non c’è il tempo. Delle
funzioni di reazioni così, portano a delle reazioni nel tempo cosa che non c’è qui. Di questi due
grafici esiste solo una cosa nel modello che stiamo spiegando che è solo il punto di equilibrio.
Questo tipo di equilibrio è un equilibrio statico (il tempo non esiste). Questo quadro identifica le
azioni? Complementi strategici a sinistra e a destra sostituti strategici. Ho dato una definizione
assolutamente generale delle azioni delle imprese, adesso dobbiamo fare degli esempi:

 Esempio di azioni che sono complementi strategici. Dove le imprese si muovono insieme.
Un esempio tipico di una tale situazione in cui le imprese si muovono insieme sono i prezzi:
se un’impresa abbassa il prezzo, anche l’altra abbassa il prezzo a sua volta (consideriamo il
tempo come se non ci fosse), se un’impresa alza il prezzo anche l’altra tende ad alzare il
prezzo. I prezzi tendono, in generale, a muoversi insieme.
 Esempio di azioni che sono sostituti strategici. Un esempio puro di sostituti strategici è la
capacità produttiva: un aumento della capacità strategica, se viene fatto quando conviene
farlo, che effetto ha? Serve per accaparrarsi una fetta maggiore del mercato, un aumento
della capacità produttiva significa restringere lo spazio per le imprese concorrenti. Un
aumento della capacità produttiva ha un effetto negativo sui concorrenti.

Questa è una parte iniziale generale per definire le azioni. Di questa parte ci interessa che:

 Capiamo bene l’equilibrio di Nash formalmente parlando;


 Che ci sia chiaro come si arriva all’identificazione di complementi strategici e sostituti
strategici e come si definiscono.
CONCORRENZA NEL BREVE PERIODO
Questo è un argomento che fa sempre parte del macroargomento dell’interazione strategica.

Adesso noi affrontiamo, poi cambieremo quadro, in un ambito statico. Le imprese si incontrano in
un mercato statico.

Nei corsi base iniziali, come modello di oligopolio, i riferimenti sono sostanzialmente due:

1. Il modello di Cournot.
2. Il modello di Bertrand.

Il modello di Cournot qui non lo affrontiamo, invece dobbiamo capire bene il modello di Bertrand,
quello che è noto come paradosso di Bertrand (è una teoria molto vecchia del 1800),
concettualmente è un punto di riferimento importante. Il paradosso di Bertrand si basa, si fonda
su alcune ipotesi, che sono le seguenti:

 Le imprese sono assolutamente omogenee, non ci sono elementi di differenziazione;


 La merce prodotta è omogenea;
 Non ci sono vincoli alla capacità produttiva (può essere aumentata senza vincoli);
 Vi sono rendimenti costanti di scala.

Le prime due ipotesi sono abbastanza evidenti per chi studia modelli teorici; mentre la terza è
un’ipotesi molto forte da fare (l’impresa può crescere senza limiti); la quarta ipotesi ha necessità di
capire meglio cosa significa “rendimenti di scala costanti”. Abbiamo detto che si assumono
rendimenti di scala costanti. Ci sono diversi modi per definire i rendimenti di scala costanti: il
modo che può essere più chiaro è il seguente: il tema è come variano i rendimenti (i profitti)
dell’impresa al variare della scala dell’impresa (la sua grandezza). Ci sono varie possibilità di
individuarli, quella a cui ci riferiamo non è la migliore ma è buona per noi: ci assumiamo come
riferimento la quantità prodotta. I rendimenti costanti ce li abbiamo quando: al variare della
quantità prodotta i rendimenti variano nello stesso modo; se la quantità raddoppia, i ricavi
raddoppiano e i rendimenti raddoppiano. Questo ci è utile specificare che nella realtà esistono:

 Rendimenti crescenti. I rendimenti crescenti ce li abbiamo quando, raddoppiando le


quantità i rendimenti più che raddoppiano.
 Rendimenti decrescenti. I rendimenti decrescenti ce li abbiamo quando, raddoppiando le
quantità i rendimenti meno che raddoppiano.

La tesi di Bertrand (stiamo parlando di mercato oligopolistico) è che in questo mercato


oligopolistico di cui stiamo parlando, se valgono queste ipotesi elencate, le imprese fissano il
prezzo concorrenziale. Vale a dire, riferendoci sempre a due imprese 1 e 2:

P1* = P2* = C

Quindi, il prezzo che si realizza in questo mercato oligopolistico è uguale il costo marginale e
nessuna impresa fa profitto. Questa è la tesi del paradosso di Bertrand. Se valgono queste ipotesi,
il risultato è che l’unico equilibrio è la equazione precedente e quindi nessuna impresa fa profitto
(ovvero sopraprofitti, il profitto dell’imprenditore è già computato).

Perché questo è un paradosso? È un paradosso perché in mercati oligopolistici, si presume che un


minimo di potere concorrenziale vi sia, arrivare alla conclusione che non ci sia per nulla potere di
mercato è una conclusione un po’ pesante, sorprendente. La conclusione che il prezzo di mercato
in un mercato oligopolistico sia il prezzo concorrenziale è una soluzione sorprendente. In questo
senso la conclusione di Bertram è un paradosso. Questa conclusione è un paradosso, però è una
conclusione assolutamente corretta dal punto di vista formale: se valgono quelle ipotesi è valido,
corretto concludere che l’unico equilibrio è il prezzo concorrenziale. Il problema di questo
paradosso è che ovviamente queste ipotesi sono irrealistiche. Vediamo infatti nella realtà:

 Vi sono vincoli alla capacità produttiva;


 Vi sono degli elementi di differenziazione nei prodotti/merci, l’ipotesi che in un mercato
oligopolistico le imprese producono e vendono un prodotto assolutamente omogeneo è
poco credibile, è molto strano.
 Esiste il tempo, dunque la concorrenza nei prezzi è una concorrenza dinamica. Rimanere in
un quadro senza tempo (che significa che non c’è possibilità di reazione) è irrealistico.
 Vincoli alla capacità produttiva: se ci sono vincoli nella capacità produttiva, il paradosso di
Bertrand crolla. Supponiamo che un’impresa delle due imprese ha vincoli di capacità
produttiva, e quindi ha una capacità produttiva che è inferiore alla domanda che vi sarebbe
con un prezzo uguale al costo marginale. Questa impresa non è in grado di produrre
quanto richiesto dal mercato con una domanda che è pari a P = C. Se l’impresa ha un
vincolo di capacità produttiva la sua quantità massima producibile non è in grado di
soddisfare la domanda che ci sarebbe per un prezzo uguale al costo marginale.

Q<D(P=C)

Se così stanno le cose, che può fare l’altra impresa? Ci sarà equilibrio di Bertram in questa
situazione? No. Perché, l’altra impresa che può fare? L’altra impresa 2 concorrente può
aumentare un po’ il prezzo, potrebbe pure prendersi tutto il mercato che è rimasto
scoperto, ma di conseguenza ci sarebbe comunque un aumento di Prezzo rispetto al costo
marginale. Quindi se c’è il vincolo di capacità produttiva, l’equilibrio di Bertram non si
stabilisce. È normale che ci siano nella realtà vincoli di capacità produttiva, nella realtà è
possibile che un’impresa non possa allargarsi quanto vuole. L’effettivo equilibrio, in
generale nella realtà, con vincoli di capacità produttiva sarà focalizzato sul prezzo superiore
al costo P > C.
Osservazione aggiuntiva. Può accadere anche questo. Bisogna sottolineare questo aspetto:
è ragionevole supporre anche questa eventualità. Cioè che l’impresa non si impegna molto
ad aumentare la propria capacità produttiva. Aumentare la propria capacità produttiva,
che effetto ha? Significa che aumentare la quantità prodotta ha un effetto sui prezzi:
aumentare moltissimo la capacità produttiva per arrivare ad un prezzo che si avvicina
moltissimo al prezzo marginale che tende al costo marginale, è una strategia intelligente
per l’impresa? Può darsi che l’impresa non punti molto all’ampliamento della capacità
produttiva, perché teme che nel futuro questo ampliamento possa portare ad una
riduzione di prezzo tale da vanificare o rendere i profitti assolutamente modesti. Già lo
stesso concetto “non ci sono vincoli alla capacità produttiva” è un concetto poco
applicabile nella realtà. Altro punto importante su questo: il fatto che ci siano vincoli sulla
capacità produttiva è un aspetto di un tema più generale; la questione più generale è la
presenza di rendimenti di scala decrescenti. Vincoli alla capacità produttiva e rendimenti di
scala decrescenti sono casi analoghi. Quindi, sto dicendo: se vi sono rendimenti decrescenti
ben difficilmente l’equilibrio di Bertram si realizza, e quindi l’equilibrio di Bertrand salta.
Domanda possibile all’esame: rendimenti decrescenti e paradosso di Bertrand. “Perché i
rendimenti decrescenti fanno fallire il paradosso di Bertrand?” La logica è la stessa dei
vincoli della capacità produttiva.
 Differenziazione di prodotto. Non c’è quasi nulla da dire: il fatto che le merci in un mercato
oligopolistico siano diverse (ovvero che ci siano elementi di diversificazione dei prodotti o
delle merci) è un dato di fatto, chiaramente le differenze si legano a differenze di prezzo.
Qui non c’è altro da dire.
 Dimensione temporale. Cioè il fatto che esiste il tempo. In termini di teoria dei giochi, si
può dire che questi giocatori giocano una volta sola, è come l’equilibrio di Nash, ma nella
realtà non si gioca una volta sola. Se una delle due imprese fissa un prezzo superiore al
costo, questo non è un equilibrio di Bertram, ma che fa l’altra impresa? La risposta è che
non fa nulla, non esistendo il tempo non è prevista una reazione dell’altra impresa.
L’assenza di tempo, significa assenza di reazioni: se un’impresa fissa un prezzo più alto del
costo, possiamo solo dire che non è un equilibrio di Bertram, ma non possiamo dire
null’altro su questa situazione. Però diciamo qualcosa di interessante: il tempo esiste nella
realtà, quindi se un’impresa fissa un prezzo molto superiore al costo, l’altra impresa cosa
farà nella realtà? Se queste due imprese si stanno effettivamente facendo concorrenza,
l’altra impresa che può fare con il tempo? Potrebbe, ad esempio, applicare un prezzo
inferiore. Ma non c’è qualcosa di strano in tutto questo? Possiamo farne tante di
osservazioni: ad esempio, se la prima impresa aumenta di molto il prezzo, l’altra impresa
potrebbe replicare arrivando al suo stesso prezzo; oppure ridurre il prezzo cercando di
sottrargli quante più quote di mercato possibili; oppure aumenta di poco il prezzo
ottenendo sia profitti che quote di mercato; oppure fissa il prezzo ad un valore di poco più
basso, etc. Successivamente a ciò, vedendo la reazione della seconda impresa, la prima
impresa abbassa di nuovo il prezzo e così via. Questo è un quadro di una “guerra dei
prezzi” che è una cosa che accade spesso nella realtà. Cosa sembra più ragionevole? La
guerra dei prezzi danneggia entrambe le imprese, la cosa più probabile è che entrambe le
imprese si concentrano su in prezzo che da entrambe maggiori profitti.
LEZIONE 28 MARZO 2019.
CONCORRENZA NEL BREVE PERIODO.
La prima cosa che abbiamo visto è un equilibrio statico, abbiamo visto il paradosso di Bertrand che
dà delle ipotesi molto forti:

 Le imprese sono tutte uguali;


 I prodotti che vendono sono omogenei;
 Non ci sono vincoli alla capacità produttiva;
 Rendimenti di scala costanti.

Con queste condizioni, il paradosso di Bertrand ci dice che esiste un solo equilibrio che è
caratterizzato dal fatto che i prezzi sono uguali al costo marginale.

Questo è un paradosso perché queste non sono ipotesi realistiche.

Abbiamo visto che queste ipotesi vengono a mancare, il paradosso non regge più:

 Presenza di vincoli alla capacità produttiva (la capacità produttiva non può essere espansa
in qualsiasi misura) questo produrrà un equilibrio che ci porta ad una situazione che non è
più quella di Bertram.
 Breve accenno del tutto evidente alla circostanza che nei mercati oligopolistici i prodotti
venduti non saranno mai omogenei. La differenziazione di prodotto dà alle singole imprese
un proprio potere di mercato (possibilità o capacità di fissare il prezzo ad un valore
superiore al costo, quindi di fare profitti).
 L’ultimo punto della scorsa lezione è che nella realtà esiste il tempo. Ciò implica la
possibilità di risposta (di reazione) di altre imprese in concomitanza dell’azione
dell’impresa. Se un’impresa mette un prezzo più alto al costo marginale, l’altra potrebbe
abbassare il prezzo. Se il tempo esiste, questa reazione della seconda azienda è presumibile
che dia luogo a reazioni della prima impresa, cioè che possa aprire una guerra tra i prezzi
tra le imprese esistenti. Attraverso questa guerra dei prezzi potrebbe far tornare i prezzi di
nuovo pari al valore del costo marginale, quindi l’impresa che ha cambiato il prezzo ha
fatto il profitto di monopolio per un certo periodo e poi non ha più realizzato profitti.
All’impresa gli conviene rimanere al prezzo marginale pari al costo o tenere il prezzo di
monopolio per un certo periodo? Nostro quesito.

CONCORRENZA DEI PREZZI DINAMICA E COLLUSIONE TACITA.


L’ipotesi che le imprese si incontrano una volta sul mercato non va bene, infatti le imprese si
incontrano tante volte sul mercato e quindi c’è un’interazione continua nel tempo. Questa è
un’interazione (strategica) che supera completamente il paradosso di Bertram.

Ogni impresa deve fare i conti, cioè scegliere una tra le seguenti due ipotesi:
 Scegliere il vantaggio di breve periodo, cioè ottenere per un determinato periodo il profitto
monopolistico per aver fissato il prezzo ad un valore maggiore del costo marginale;
 Scegliere di mantenere il prezzo al costo marginale e quindi rinunciare al vantaggio di breve
periodo.

C’è un problema di calcolo tra le due linee di azione.

Chamberlin: il suo punto è il seguente. Poche imprese, anche se il prodotto è omogeneo, sono
coscienti (consapevoli) della loro interazione, cioè della interdipendenza tra imprese, e quindi
potrebbero/possono mantenere il prezzo ad un livello superiore al costo marginale senza che vi sia
una collusione esplicita. Quindi, questo è un risultato di un gioco non cooperativo, non c’è
collusione, se vogliamo quindi leggere questi comportamenti in termini di teoria dei giochi, questo
prezzo che risulta superiore al costo marginale è il risultato di un gioco non cooperativo.
Chamberlin richiede che il prezzo del gioco non cooperativo su cui le imprese ci si concentrano, è il
prezzo che a loro è più conveniente; quindi è il prezzo di monopolio. Perché le imprese che non
stanno colludendo in modo esplicito non si muovono da quel prezzo? Perché hanno paura della
ritorsione.

FATTORI CHE FACILITANO E FATTORI CHE IMPEDISCONO LA COLLUSIONE.


Premesse: abbiamo tante imprese che producono un prodotto omogeneo e si fissa un prezzo
elevato di monopolio e si rimane fermi lì (premessa generale).

Un vecchio riferimento è una curva di domanda percepita dall’impresa (curva di domanda ad


angolo).
Questa curva la leggiamo come curva di domanda
percepita da ciascuna singola impresa. Il senso di questo
P
grafico è che all’impresa non gli conviene spostarsi dal
prezzo di mercato, il grafico cerca di far capire il perché
l’impresa si mantiene ferma su quel prezzo. Perché?
Pm
 Se alza il prezzo di poco, i concorrenti non la
seguono, quindi perde un sacco di quantità. La
curva è molto elastica.
 Se abbassa il prezzo di poco, la curva ci dice che le
altre imprese la seguono e quindi la quantità
Qm Q venduta aumenta di poco.

Le imprese si stanno comportando come se non ci fosse la collusione tra di loro, come se
massimizzassero il profitto del settore. Se nessuno si muove dal prezzo di monopolio nel timore
che poi ci perde, la situazione è che, pur non essendoci un cartello tra le imprese, si stanno
comportando come se massimizzassero insieme il profitto del settore. Le imprese si stanno
comportando in questo modo:

( P – C ) * D ( P )  massimizzazione del profitto totale del settore.


Se le imprese sono due e non si muovono per questo motivo, avremo un profitto di monopolio
complessivo, le nostre due imprese con prodotto omogeneo acquisiscono metà ciascuna del
profitto di monopolio. Cioè:

πm = Profitto del settore

2 diviso a metà per ogni impresa

Se qualcuna abbassa il prezzo, l’altra segue, la curva di domanda ad angolo ci dice questo, e quindi
andremo a finire in un qualche profitto che non è di monopolio e si andrà a finire in un prezzo P
qualunque inferiore al prezzo di monopolio, il profitto se lo dividono a metà e ogni impresa ottiene
così un profitto più basso ciascuna.

Le forme di collusione (paura della concorrenza) tacita esistono tanto nella realtà, è un qualcosa di
molto frequente.

FATTORI CHE OSTACOLANO LA COLLUSIONE TACITA.

1. Possono esserci ritardi di osservazione. Stiamo in un mercato oligopolistico, non è detto


che i prezzi praticati da un’impresa siano perfettamente ed immediatamente visibili a tutte
le altre imprese, per questo si dice che ci possono essere ritardi di osservazione. Perché i
ritardi di osservazione possono creare problemi alla collusione tacita? Le aziende
concorrenti reagiscono tardi, rendono la reazione non efficace e non immediata. Questi
ritardi di osservazione possono essere particolarmente possibile quando l’impresa
oligopolistica ha pochi clienti che vende in grandi quantità. In una situazione di questo tipo,
è difficile che un’impresa concorrente sappia con precisione che cosa sta contrattando
questa impresa con il suo singolo acquirente. La contrattazione tra impresa e acquirente la
sapranno sicuramente l’impresa e cliente, è possibile che i concorrenti non abbiano
informazioni a riguardo, si accorgono che è successo qualcosa quando? L’informazione può
essere a loro fornita solo dal fatto che la quota di mercato dei concorrenti scende, e
possono sospettare dal fatto che l’impresa concorrente con un unico acquirente ha preso
quote di mercato. I ritardi di osservazione sono quindi un ostacolo alla collusione tacita,
perché non si conoscono bene i prezzi e manca la possibilità di ritorsione. Anche qui, non ci
sono certezze: i concorrenti vedono che le quote di mercato si riducono, ma possono
pensare che uno dei componenti del mercato ha fatto il furbo e ha abbassato il prezzo, ma
possono anche pensare che la domanda si sia ridotta. Si possono difendere le imprese tra
di loro con riduzioni di prezzo strategicamente fatte un po’ segretamente con
contrattazione nascosta? Una possibilità di risposta è che ci siano prezzi fissi e che la
fissazione dei prezzi sia tenuta da un’associazione dei commerciali.
2. Un altro ostacolo alla collusione tacita è l’esistenza di asimmetrie; possono esserci
asimmetrie dal punto di vista di costi diversi tra imprese di un mercato oligopolistico. Se i
costi sono diversi, si possono definire prezzi di monopolio diversi ed è impossibile
focalizzare un solo prezzo su cui il settore si focalizza in tale situazione. Un’altra asimmetria
è individuata come differenze di prodotto: anche qui le differenze di prodotto rendono
difficile la collusione tacita, in tal senso è difficile fare collusione tra prodotti che hanno
qualche significativa differenza. Non esiste, in questo caso, un prezzo focale (prezzo di
monopolio), cioè il prezzo dove le imprese convergono con collusione tacita senza fare
cartelli.

FATTORI CHE FAVORISCONO LA COLLUSIONE TACITA.

1. I fattori che sono un ostacolo che impediscono il paradosso di Bertrand (fattori che sono
ostacolo all’equilibrio stazionario, lo rendono impossibile, dove P1 = P2 = C ), favoriscono
invece la collusione tacita, ed è molto logico.
a. Se ci sono vincoli alla capacità produttiva, conviene fare la guerra dei prezzi? Non è
detto che l’impresa riesce ad accaparrarsi tutto il mercato facendo una riduzione di
prezzo. I vincoli di capacità produttiva sono un forte incentivo per le imprese a
fissarsi sul prezzo focale che da profitti, la guerra dei prezzi in questo caso può
diventare una guerra dannosa per tutti.
b. La stessa cosa vale per i rendimenti decrescenti che fanno fallire il paradosso di
Bertrand. Anche in questo caso i rendimenti decrescenti ( = all’aumentare della
quantità, i rendimenti non aumentano di pari passo alla quantità) è un qualcosa che
spinge le imprese a non farsi la guerra, a chi glielo fa fare alle imprese di farsi la
guerra dei prezzi con rendimenti decrescenti?
2. Il secondo punto che favorisce la collusione tacita è questo: se le imprese operano su più
mercati. Ciò vuol dire che, ad esempio: un’impresa oligopolistica con sede a Roma,
mercato di Roma, però questa vende anche in Campania e anche in Lombardia, quindi
agisce su più mercati (Laziale, Campano, Lombardo). Questo è un elemento che la spinge a
stare ferma dove sta. Perché? La spinge a stare ferma perché, lanciare un segnale di guerra
in un mercato, può essere letto male dai concorrenti: la guerra dei prezzi su un mercato
potrebbe essere letto dai concorrenti come la volontà dell’impresa di fare guerra sui tutti i
mercati nel complesso (dove l’impresa è presente) e ciò rischierebbe a danneggiare nel
complesso la sua produzione. Operare su più mercati, può essere un incentivo in più per
non dare segnali di concorrenza forte su più mercati. Se l’impresa fa un passo sbagliato su
un mercato, può creare la guerra dei prezzi su più mercati.
3. Il terzo elemento (più evidente) che favorisce la collusione tacita è la numerosità delle
imprese. La collusione tacita è più favorita nel caso in cui nel mercato esistono poche
imprese, risultato ovvio. Se le imprese sono tante è più facile che qualcuno faccia una
sciocchezza, se le imprese sono poche è più facile che il mercato vada bene.

In realtà, tutto quello che abbiamo detto su questo grafico, è una trattazione statica alla teoria
dinamica dei prezzi, non abbiamo parlato di reazioni come elemento fondamentale, dal punto di
vista analitico non c’è stata una formalizzazione dinamica. Rimaniamo in questo ambito un attimo
con una cosa che conosciamo e poi andiamo avanti.

Vediamo il prezzo focale utilizzando un grafico che è impostato sulla funzione di reazione.
Facciamo questo grafico per insistere ancora su
rappresentazione statica piuttosto che di una concorrenza
Pj dinamica dei prezzi.

Rj ( Pi) = è la funzione di miglior risposta dell’impresa j.

Che ci dice questo grafico? Pf è il prezzo focale. Noi supponiamo


che le due imprese si muovono insieme fino al prezzo focale,
però arrivati al prezzo focale, qualunque variazione di prezzo
Non segue Rj ( Pi )
dell’impresa i, l’impresa j non segue più. Quindi pj ≤ Pf in
generale. Supponiamo che la funzione di profitto sia quasi
segue
concava, che sia crescente fino ad un certo prezzo e poi diventa
decrescente. Il prezzo ottimale sarà dato da:
45°

Pf (prezzo focale) Pi

Pf ≤ Pm Pm

Pf. Pf > Pm

In termini generali, se il prezzo Se invece il prezzo focale si fosse


focale è minore o uguale al prezzo determinato in modo tale da essere
di monopolio, i prezzi andranno a superiore al prezzo di monopolio,
convergere verso il prezzo focale, e ovviamente il prezzo su cui si
quindi il prezzo focale diventerebbe converge sarà il prezzo di
il prezzo di monopolio monopolio.

Se leggiamo questa cosa in termini generali, che cosa ci dice questo che abbiamo scritto? Traiamo
delle conclusioni generali da quello che abbiamo visto.

CONCLUSIONE: sulla base dell’ipotesi che abbiamo fatto (paura della ritorsione ovvero collusione
tacita), traiamo la caratteristica del prezzo di equilibrio in termini generali. Dunque, qual è questo
prezzo di equilibrio in termini generali? È il prezzo compreso tra il costo e il prezzo di monopolio.
La conclusione generale è che il prezzo risultante da questa collusione tacita, è che il prezzo di
equilibrio è qualunque prezzo compreso tra il costo e il prezzo di monopolio.

OSSERVAZIONE: il limite all’approccio statico ad un concetto dinamico. Il limite di questa storia è


contenuto nelle ultime parole che abbiamo visto (definizione di equilibrio), vale a dire dove si
ferma il prezzo focale in realtà non è spiegato. Il prezzo di equilibrio starà in mezzo alle ultime due
scritture viste prima: il prezzo focale si collocherà tra il costo marginale e il prezzo di monopolio,
ma dove si collocherà non ce lo dice. Possiamo dire, con un certo buonsenso, che forse sarà il
prezzo di monopolio, ma la teoria non ci formalizza dov’è questo prezzo focale.

La cosa più interessante di questo approccio è il disegno delle reazioni, la possibilità di reazioni.

Le caratteristiche dinamiche trattate in un approccio statico non sono ben delineate, quindi
andremo a studiare un vero e proprio approccio dinamico. Quello che abbiamo visto è un
problema dinamico trattato con concetti statici.
SUPERGIOCHI O GIOCHI RIPETUTI.
Vera e propria analisi di un approccio dinamico. Quello che analizziamo lo abbiamo già affrontato
con i giochi ripetuti, questa è solo un’applicazione specifica di quello che abbiamo già studiato.
Chiamiamolo gioco di Bertrand (l’incontro delle imprese sul mercato).

Riproduciamo questo gioco di Bertrand un numero di volte T, è un gioco ripetuto. Vediamo


l’incontro delle imprese sul mercato un numero di volte T e non una sola volta come è stato nel
quadro di Bertrand. Scriviamo intanto il profitto della nostra impresa di riferimento i in un
contesto dinamico. Stando in un concetto dinamico avremo sicuramente degli indici temporali.

πi = ( Pit , PiJ )

Profitto funzione dei prezzi dell’impresa i e del prezzo

Impresa i dell’impresa j in contesto dinamico (tempo t)

Naturalmente mi sto riferendo ad un determinato periodo di tempo T. Noi siamo all’oggi,


l’impresa, al solito, massimizza i profitti anche in un contesto dinamico, e quindi deve
massimizzare il profitto atteso, cioè:

∑i=o ∂πi ( Pit , Pjt )

L’impresa massimizza i profitti attesi: i profitti attesi sono la sommatoria dei profitti dal primo
periodo (che chiamiamo 0) al periodo T (nostro orizzonte temporale). Il profitto del primo periodo
è quello che sta in zero, quello che sta al secondo periodo ad oggi gli devo applicare il tasso di
sconto, ciò significa che ad ogni periodo successivo allo zero devo applicare a quel profitto un
tasso di sconto (fattore di sconto è il riflesso del tasso di interesse che devo applicare). I profitti
attesi devono quindi essere scontati con l’opportuno fattore di sconto. Nella realtà che succede?
Succede che le nostre imprese (impresa i) in ciascun periodo i fissa un prezzo, però qui stiamo
veramente in un contesto dinamico, allora è molto importante capire cosa è successo fino al
periodo T. Stiamo parlando in un contesto dove le imprese possono agire con possibili ritorsioni.
Dobbiamo quindi tenere presente la storia dei prezzi fino a quel periodo finale HT: la storia dei
prezzi è data nel modo seguente.

Ht = ( P10 , P20 ; … … … … … ; P1t-1 , Pt-1 )  storia dei prezzi

Singoli prezzi Singoli prezzi delle

Impresa 1 e 2 imprese 1 e 2 al

Al tempo zero tempo t-1

Impresa 1 e 2 stessa cosa di impresa i e j.


Quindi stiamo dicendo che stiamo al tempo zero ed è importante capire che è successo ai prezzi
delle singole imprese nei singoli periodi fino al tempo T. Abbiamo detto che la strategia delle
singole imprese è la massimizzazione del profitto atteso da una certa data in poi.

Precisazione (ipotesi) molto importante: supponiamo che non vi sia un collegamento di natura
oggettiva o fisica tra i periodi. Quindi non è detto che il prezzo di un periodo incida sul profitto del
profitto successivo, altrimenti il problema risulterebbe molto più complesso. I periodi sono staccati
tra di loro.

Sappiamo che il gioco tra imprese è ripetuto più volte. Quando abbiamo visto per la prima volta i
giochi ripetuti, abbiamo visto che un gioco può essere ripetuto infinite volte oppure può essere
ripetuto un numero determinato di volte; diciamo quindi un gioco con orizzonte temporale infinito
o finito. Questo è un carattere generale dei giochi ripetuti.

1. Gioco ripetuto con orizzonte finito: T < ∞.

È un gioco a orizzonte finito. Dobbiamo capire l’equilibrio dinamico di questo super gioco o
quest’insieme di giochi finito, come lo abbiamo definito l’equilibrio dei giochi ripetuti visto
nella prima parte del corso. Utilizziamo un procedimento già usato, utilizziamo la back
word induction. E quindi, se usiamo tale tecnica, partiamo da T (ultimo periodo). Dobbiamo
capire che prezzo fisseranno le imprese nell’ultimo periodo. Dobbiamo tenere presente
che, se partiamo dall’ultimo periodo, il futuro non c’è più, il gioco finisce, quindi queste
due imprese che faranno? Che prezzo fisseranno? Conviene ad una delle due imprese
fissare un prezzo superiore al costo ( P > C )? Se una delle due fissa un prezzo superiore a C
e l’altra fissa un prezzo un prezzo più basso, l’altra si prende tutto il mercato e la storia
finisce così, quindi non conviene fissare un prezzo superiore a C perché l’altra si può
prendere tutto il mercato. Portiamo questa non convenienza all’estremo, vale a dire,
ciascuna impresa fisserà al tempo T un prezzo uguale al costo marginale, altrimenti
perderebbe tutto. Questo al tempo T è l’equilibrio di Bertran. Che succede in T – 1? In T – 1
succede la stessa cosa, si sa che alle imprese non gli conviene fissare un prezzo diverso a
quello pari al costo marginale in T, quindi anche in T – 1 l’equilibrio diventa un equilibrio
statico perché è già fissato il prezzo, le questioni di ritorsioni non ci stanno più, perché se in
T – 1 le imprese sanno che in T conviene apportare il prezzo pari a C, sapendo questo, in T
– 1 diventa di nuovo un gioco statico senza futuro e quindi il prezzo P = C. Quindi, la
soluzione di questo gioco ad orizzonte finito è una serie di equilibri di Bertrand. La storia
dei prezzi ha importanza qui? Non ha importanza in questo caso, perché partiamo
dall’ultimo periodo che è un gioco statico per andare a ritroso facendo diventare tutti i
periodi giochi statici. La storia dei prezzi, in questo caso, non serve a nulla.

2. Le cose cambiano in un quadro più realistico, vale a dire in un gioco ad orizzonte infinito
(con T > ∞ ). Questo è un quadro più realistico, si avvicina di più alla realtà. Questo è un
quadro molto delicato. Un gioco ad orizzonte infinito, non significa che la gente crede di
vivere all’infinito, significa semplicemente che la gente non sa quando finirà il gioco, sono
due situazioni molto diverse tra di loro. Dire “gioco ad orizzonte finito” significa prendere
atto che i giocatori non sanno quando tutto finisce, quindi giocano come se il proprio
orizzonte fosse infinito. La differenza è molto importante. Anche qui, come prima, la
soluzione del gioco che abbiamo appena illustrato nell’orizzonte di tempo finito, è anche
una soluzione del gioco infinito? La risposta è sì, è una soluzione. Quando è una soluzione?
Quando i giocatori non tengono conto della storia, cioè come se la storia dei prezzi non
esistesse, se la storia non esiste (o se non tengo conto della storia), che cosa significa?
Significa che ogni periodo sta in se stesso, non sta all’interno di una storia, ciascun periodo
è un gioco statico, quindi la soluzione ad orizzonte del gioco finito è una soluzione ad
orizzonte infinito, ma i giocatori non devono tenere conto della storia. Naturalmente non è
così, perché le imprese tengono conto della storia, quindi dobbiamo definire un diverso
equilibrio. Definiamo le strategie di equilibrio, queste strategie di equilibrio sono definite
(con una pessima traduzione) strategie di scatenamento. Come sono queste strategie?
Come ragiona la singola impresa? Ragiona in questo modo. La singola impresa dice: io fisso
il prezzo di monopolio in tutti i periodi (fisso il prezzo di monopolio a zero, fisso il prezzo di
monopolio a T), ma se l’altra impresa fissa un prezzo più basso (fa la “furba”) io faccio
ritorsione ed applico il prezzo uguale al costo marginale. L’altra impresa ha una strategia
analoga (fissa il prezzo a livello di monopolio, se le altre imprese non la seguono, la
strategia di scatenamento la porta al prezzo pari al costo marginale). Queste strategie,
dette strategie di scatenamento, costituiscono un equilibrio per un fattore di sconto ∂
sufficientemente alto, che è quello che mostreremo la prossima volta.
LEZIONE 1 APRILE 2019.
La volta scorsa abbiamo visto, in conclusione, una rappresentazione statica della concorrenza di
prezzo e abbiamo introdotto una rappresentazione dinamica di questa concorrenza di prezza che
si caratterizza per la collisione tacita. Riprendiamo da qui, aggiungendo qualcosa.

SUPER GIOCI / GIOCHI RIPETUTI.


Siamo sempre dentro la concorrenza di breve periodo, questo è un famoso modello dinamico ed è
un modello dinamico che ha la natura di gioco ripetuto, che può essere ripetuto per un numero
finito di volte o in un numero infinito di volte.

Il profitto dell’impresa i dipende dal prezzo i al tempo t e dal prezzo j al prezzo t. Ovvero:

πi = ( Pit , Pjt )  profitto impresa i

In questo contesto, ciascuna impresa massimizza il profitto atteso (prospettiva dinamica) in ogni
periodo. Lo scriviamo nel modo seguente.
T t
i
∑ ∂ π ( Pit , Pjt )
t=0

Poi abbiamo scritto la storia dei prezzi dal primo momento 0 fino al momento t, stiamo in un
contesto dinamico, l’abbiamo così scritta.

Ht = [ P10 , P20 , … … … … , P1 t-1 , P2 t-1 ]

Questa è la storia dei prezzi. Si massimizza il profitto atteso.

Il nostro orizzonte temporale è T, che può essere un numero finito o un numero infinito. Abbiamo
detto qual è la soluzione del nostro gioco. Le incognite del nostro incognite sono i prezzo (è una
competizione dei prezzi che ci da il risultato della collusione tacita).

1. Gioco ad orizzonte finito, gioco ripetuto. Lo risolviamo con una procedura già vista,
backwrod induction. Partiamo dall’ultimo periodo, che si caratterizza per il fatto che la
storia non c’è più, non c’è più tempo. Se la storia finisce lì, cosa converrà all’impresa 1?
Ciascuna delle imprese sarà portata a applicare un prezzo superiore al costo marginale? La
risposta è no, l’altra impresa applica il prezzo uguale al costo marginale, quindi non ci sta
nessun futuro. Quindi se un’impresa applica un prezzo maggiore al costo marginale, l’altra
si prenderà tutto il mercato, quindi nell’ultimo periodo la soluzione del gioco è dato da: PjT
= PiT = C. Soluzione gioco periodo T. Che succede nel periodo T – 1? In questo periodo, le
imprese sanno che nel periodo T non c’è lotta tra loro, perché la soluzione P = C. Se sanno
che nel periodo T conviene alle due imprese porre un prezzo uguale al costo marginale,
questo implica che anche nel periodo T – 1 è come se non ci fosse storia, anche qui il
tempo è come se non operasse, non c’è futuro perché il futuro è noto perché P = C per
tutte le imprese. Quindi, nel periodo T -1, sapendo che nel periodo successivo il prezzo è
pari al costo marginale, anche qui si potrà applicare il prezzo PjT - 1 = PiT - 1 = C e questo
vale per tutti i periodi precedenti. Quindi, se il gioco è un gioco ripetuto ad orizzonte finito,
la soluzione di questo gioco è che P = C marginale per tutti i periodi.
2. Il contesto è molto diverso se il gioco è un gioco ad orizzonte infinito. Una cosa da
sottolineare molto importante è che il gioco ad orizzonte finito è una rappresentazione di
cosa accade nella realtà. Il fatto che non ci sia un limite al tempo non significa che le
imprese abbiano una vita infinita, significa solo che le imprese non sanno quanto
dureranno. La cosa irrealistica è il quadro precedente, cioè che le imprese agiscono
sapendo che tra dieci anni loro chiudono, un’impresa non agisce così. Non si sa quanto
dura l’attività dell’impresa solitamente, il quadro più realistico è quindi il quadro ad
orizzonte infinito. Questa situazione riguarda tutti noi, anche noi abbiamo un orizzonte
finito, nel senso che non sappiamo quando finirà la nostra vita, anche se sappiamo che
finirà sicuramente, quindi dato che non sappiamo quando finisce, organizziamo la nostra
vita come se avessimo un orizzonte finito. In questo quadro. Abbiamo definito delle
strategie simmetriche fatte da entrambe le nostre imprese. Prima, nell’osservare la
soluzione del nostro quadro ad orizzonte finito, il riferimento alla storia era
completamente inutile, non serviva a nulla; mentre nelle strategie di gioco ad orizzonte
finito sono fatte in modo da implicare la storia. Consideriamo questa strategia dell’impresa
i (stessa cosa per impresa j): applico il primo periodo un prezzo di monopolio, se mi
riferisco ad un tempo T qualunque, diciamo che l’impresa in un tempo T qualunque applica
il tempo di monopolio. L’impresa applica il prezzo di monopolio se è stato applicato sempre
anche dall’altra impresa, altrimenti l’impresa i fa una ritorsione (se l’altra applica un prezzo
un po’ più piccolo) applicando il prezzo efficiente P = C. Questa strategia ha una storia che
è essenziale. L’altra impresa farà la stessa cosa: applica al tempo zero un prezzo di
monopolio, ed applica a tutti i periodi di tempo successivi il prezzo di monopolio se l’altra
impresa ha fatto la stessa cosa; se l’altra impresa ha abbassato il prezzo, l’impresa j fa
ritorsione ed applica il prezzo efficiente. Formalizziamo la situazione scrivendola in simboli:
il prezzo dell’impresa i al tempo t è funzione (cosa che prima non lo era) della storia dei
prezzi, e lo scriviamo in questo modo:
m
Pit = ( Hi ) = p  il prezzo è uguale al prezzo di monopolio se la storia Hi è stata questa:

Ht = ( Pm , Pm , Pm , Pm , …. ….. …. , Pm )

Altrimenti, il prezzo dell’impresa I al tempo T che è funzione di Ht sarà uguale a C. Queste


due strategie simmetriche sono così combinate con riferimento all’impresa i. L’impresa i al
tempo t qualunque, applica il prezzo di monopolio se la storia è stata questa descritta, ci oè
che il prezzo delle due imprese è sempre stato il prezzo di monopolio; altrimenti fa
ritorsione e applica il prezzo efficiente. Si dimostra che queste strategie, che sono dette di
scatenamento, costituiscono l’equilibrio per un fattore di sconto ∂ sufficientemente alto.
Adesso vediamo questo punto. Che quadro stiamo dipingendo? Abbiamo spiegato come si
fissa il prezzo, quindi se si affermano queste strategie di scatenamento, se nessuna
strategia devia, se non c’è deviazione in nessun periodo T, il prezzo è il prezzo di monopolio
e il profitto di ciascuna impresa sarà sostanzialmente il profitto relativo al settore, cioè il
profitto complessivo sarà uguale a ( Pm – C ) * Q ( Pm ). Questo è il profitto complessivo. Se
tutte applicano il prezzo di monopolio, è come se ci fosse un’impresa sola, e il profitto è il
professo del settore come se ci fosse una massimizzazione del profitto del settore. Le
imprese stanno facendo un gioco non cooperativo, ma si raggiunge un risultato che il
risultato di fatto come se vi sola impresa, come se vi fosse una cooperazione, mentre
invece la cooperazione non c’è. Quindi che cosa va a ciascuna impresa? A ciascuna impresa
va il profitto del settore diviso in due parti, cioè le due imprese si spartiscono il profitto del
settore. Questo è il profitto pm dell’intero settore che va diviso a metà. Non c’è collusione,
non è un gioco cooperativo, ma il risultato è questo. La collusione si mantiene
paradossalmente attraverso un gioco non cooperativo. Definite queste strategie
simmetriche di scatenamento, diciamo che queste strategie sono un equilibrio. Adesso
andiamo a vedere come si caratterizza ulteriormente questo equilibrio, concentrandoci sul
profitto di una delle due imprese. Andiamo ad approfondire l’equilibrio, dobbiamo vedere
il risultato della massimizzazione del profitto atteso che ciascuna impresa fa, andiamo a
vedere questa massimizzazione attraverso i risultati di equilibrio. Che abbiamo detto?
Abbiamo detto che questo è il profitto complessivo che si realizza e ciascuna impresa se ne
prende la metà. Scriviamo questo profitto atteso in modo esteso. Ciascuna impresa si
prende un π/2 nel primo periodo, e quindi apro parentesi e moltiplico per uno. Questo è il
primo periodo. Nel secondo periodo che si prende l’impresa? Si prende π/2 ma stiamo
ragionando sull’oggi, quindi il profitto atteso del secondo periodo in termini attuali sarà
uguale a quel π/2 moltiplicato per il fattore di sconto ∂. Il terzo periodo si prende π/2
moltiplicato per il valore attuale relativo al terzo periodo cioè fattore di sconto ∂. E Quindi
sarà visto in questo modo.

π = ( 1 + ∂ + ∂^2 + ∂^3 + … … … )  questo è il profitto atteso.

Quello di oggi va bene così, quello dei periodi successivi lo devo scontare con opportuno
fattore di sconto. Tra parentesi c’è qualcosa di interessante: c’è quel 1 + ∂… ecc. Questa è
una progressione. Questo tipo di espressione, lo abbiamo incontrata nel primo anno in
macro economia (il moltiplicatore, la prima espressione del moltiplicatore del reddito nel
modello più semplice, senza stato o scambi con l’estero, non ci sono scambi esogeni ecc).
Se c’è una modifica della spesa pubblica il delta quanto varia? ( ∆Y / ∆C ) questo
moltiplicatore è 1/ ( 1 – C ). È la forma più semplice possibile. Questo moltiplicatore
derivava da una progressione analoga: se c’era un aumento della spesa pubblica
(componente della domanda aggregata), di quanto aumentava il reddito? Il reddito
aumenta nella stessa misura della variazione della spesa pubblica, ma poi quella variazione
della spesa pubblica dà luogo ad un successivo incremento della domanda, nella misura in
c, questo incremento della domanda dà luce ad un successivo incremento di reddito che dà
luogo ad un incremento di domanda e così via. Qui abbiamo una progressione come quella
scritta prima, solo che nel caso del moltiplicatore è 1 – c – c^2 ecc. Si dimostra, ma noi non
lo faremo, che questa progressione tende a 1/ ( 1 - ∂ ). Adesso, abbiamo detto che queste
strategie di scatenamento sono un equilibrio per un fattore di sconto sufficientemente
alto. Supponiamo che il fattore di sconto ∂ sia ≥ ½. Fattore di sconto molto alto. In questo
caso ho questo, posso sostituire al profitto questo risultato della progressione:

πm * 1  ho sostituito la progressione il nostro risultato.

2 (1 - ∂ )

Ipotizziamo che il fattore questo fattore di sconto sia sufficientemente alto, ipotizziamo
appunto che sia proprio 1/2 . Se è un 1/2, io ho questa relazione:

π * 1  il passaggio al risultato è solo aritmetica quindi è π m.

2 (1-∂)

Allora, queste strategie di scatenamento sono un equilibrio? Sì. Queste strategie sono
danno un profitto atteso uguale al profitto di monopolio. È chiaro che la nostra impresa si
becca per ciascun periodo π/2, i termini di profitto atteso nel periodo zero è pari al profitto
di monopolio, quindi la nostra impresa sta massimizzando bene. Se questa
massimizzazione, con queste regole che ho scritto, dà questo risultato vuol dire che le
nostre imprese stanno massimizzando bene, il che vuol dire che l’equilibrio trovato è un
vero equilibrio. Le strategie di scatenamento danno un equilibrio sufficientemente alto,
questa frase è importante perché, essendo una prospettiva dinamica, il profitto atteso è
legato al tasso di sconto. La realizzazione del profitto di monopolio richiede un tasso di
sconto sufficientemente alto. Un teorema che assicura questo risultato è il Folk Theorem:
per un gioco ripetuto di determinazione dei prezzi, il Folk theorem afferma che, qualunque
coppia di profitti πi e πj, tale che πi > 0, πj > 0, e πi + πj > πm; è un payoff (risultato,
rendimento) per periodo di equilibrio per un fattore di sconto sufficientemente alto. Le
strategie delle imprese devono essere simmetriche, questa è una condizione necessaria. Le
strategie devono essere simmetriche e si possono aggiungere questo in riferimento quadro
che abbiamo fatto, cioè in riferimento al profitto di monopolio. Posso aggiungere che :

πi = πj = πm/2. Questo risultato sottolinea che le strategie delle imprese sono simmetriche.
Perché la somma dei due profitti può essere anche minore di πm? Fino ad ora abbiamo
scritto un qualcosa di necessario e un qualcosa di incerto. Per quanto riguarda il qualcosa
di necessario, se ∂ è sufficientemente alto, si verifica π1 = π2 = πm , questo che abbiamo
scritto è riferito al prezzo di monopolio, non necessariamente il prezzo applicato è di
monopolio e non necessariamente π è il profitto di monopolio, quindi io potrei togliere m e
vale la stessa cosa. Se il prezzo applicato dalle imprese non è il prezzo di monopolio, ho la
relazione senza monopolio, ma le relazioni fatte sono valide (la somma dei profitti sarà
inferiore al profitto di monopolio anche nel caso in cui non ho un prezzo di monopolio).
Qual è la conclusione? C’è un elemento di incertezza, che è un limite della
rappresentazione della collusione tacita, è un limite esattamente come quello della
rappresentazione statica, esso ci descrive l’equilibrio, ci descrive come è delta e lo
caratterizza in questo modo, ma lascia aperto dove si colloca effettivamente P, qual è poi il
presso effettivo, dove si colloca p tra Pm e C. Quindi dove sta P? C ≤ P ≤ Pm, ed è dove
esattamente va a finire il prezzo focale. Questo gioco ripetuto ci spiega come si realizza la
collusione anche se il gioco non è cooperativo, ma non ci dice dove questa collusione di
fatto si ferma, questo non lo sappiamo. Le strategie di scatenamento ci fanno capire come
è possibile la collusione anche se il gioco non è cooperativo, anche perché le imprese sono
pronte a fare ritorsione non appena una non rispetta. Ci spiega la collusione anche quando
il gioco non è cooperativo, ma poi non ci dice dove poi il prezzo va a finire.
Ragionevolmente, questo prezzo può essere più probabile che sia vicino a Pm, cioè è un
prezzo ben alto, ci fa capire come la concorrenza tra imprese può portare a sovraprofitti.

C’è un’ipotesi molto importante per tutta questa storia, cioè non c’è un collegamento fisico od
oggettivo tra i vari periodi di tempo, quindi il prezzo di un periodo non è in grado di influire sul
profitto del periodo successivo. I periodi sono scissi, sono collegati solo dalla concorrenza, ma
questa concorrenza, se il gioco è ad orizzonte finito, conduce al prezzo efficiente (prezzo uguale al
costo marginale.

Abbiamo finito un’altra parte del programma, adesso si apre uno scenario molto ampio, è chiaro
che l’oggetto di questo pezzo di corso è stato tutto teoria ed analisi, ed è tutto su imprese che
operano su mercati oligopolistici, dove c’è per le imprese un potere di mercato.

PROBLEMI DI ENTRATA.
Qui dobbiamo vedere tante cose. Cerchiamo di definire che significa la parola “entrata”.
Osservazione preliminare: un settore dove vi sono rendimenti crescenti ( = all’aumentare della
quantità, il rendimento aumenta più che proporzionalmente, se la quantità raddoppia, i
rendimenti più che raddoppiano). Se vi sono rendimenti crescenti nel settore, cosa accade in un
settore con tali caratteristiche? Se ci troviamo a lavorare in un settore del genere, che accade?

In questo settore ci possiamo fare due osservazioni:

1. La prima osservazione, riguarda le imprese che sono nel settore. Le imprese che si trovano
nel settore saranno portate ad ingrandirsi, con rendimenti crescenti significa che l’impresa
cresce, ha tutta la convenienza a crescere.
2. La seconda osservazione, se c’è un settore con rendimenti crescenti ci sono altre imprese
che entrano nel settore. Questo che comporta? Aumento della concorrenza, entrano nel
settore per produrre, quindi la quantità portata complessivamente portata nel mercato
aumenta, e quindi il prezzo scende e si mangia un po’ dei profitti (sovraprofitti). È chiaro
che l’ingresso si realizza fino a quando c’è convenienza ad entrare, cioè fino a quando ci
sono dei sovra-profitti. Anche in un settore con rendimenti crescenti, l’ingresso di nuove
aziende può portare ad arrivare al prezzo efficiente (Prezzo uguale al costo).

Tutto questo discorso introduttivo appena fatto, non necessariamente si verifica, anzi. Noi ci
riferiamo a mercati oligopolistici formati da grandi imprese, con poteri talvolta di monopolio.
Questo processo non si verifica perché vi sono ostacoli di varia natura all’ingresso, vale a dire
barriere all’entrata; questo è il nostro tema principale che implica tanti problemi.

BARRIERE ALL’ENTRATA.

Ci sono tante definizioni di barriere all’entrata, ma tralasciamo le varie definizione, ma ci riferiamo


ad un solo autore che, in questo ambito, lo si prende a riferimento; che è Bain, che attorno la metà
del secolo scorso, ha dato una definizione a livello pragmatico.

Barriere all’entrata = qualunque cosa che permette alle imprese operanti in un mercato di
ottenere sovra-profitti (profitti superiori al livello normale) senza minacce di nuove entrate.

È una definizione assolutamente pragmatica.

C’è da richiamare, sempre nell’analisi di Bain, quattro elementi che attengono alla struttura di un
mercato che sono rilevanti per la capacità delle imprese esistenti di continuare a fare profitti
resistendo a nuove entrate. Questi quattro elementi sottolineati sono:

1. Le economie di scala. Che sono? È un’espressione sintetica per indicare i rendimenti


crescenti, ad esempio dovuti a costi fissi. Dobbiamo capire perché i rendimenti crescenti
possono rendere difficile l’ingresso. Se vi sono rendimenti crescenti, abbiamo detto prima
che questo spinge le imprese a crescere, spinge le imprese ad usufruire di questi
rendimenti crescenti, allora se così è, per entrare in questo mercato dove vi sono
rendimenti crescenti e, proprio perché vi sono rendimenti crescenti, le imprese sono grandi
imprese perché hanno sfruttato i rendimenti crescenti, allora entrare in questo settore
richiede un’ampia dimensione, quindi entrare in questo settore richiede una dimensione,
richiede di competere con le imprese esistenti, questo significa che per entrare nel settore
bisogna che si è in grado di sfruttare questi rendimenti crescenti, quindi significa entrare
con una grande dimensione e questo non è semplice.
2. Vantaggi assoluti di costo a favore delle imprese esistenti. I vantaggi assoluti di costo
possono essere tante cose, come le quantità, le imprese esistenti avranno avuto modo di
affinare le proprie tecniche, oppure i famosi fenomeni “learning by doing” ossia ripetere la
produzione può aver consentito di apprendere delle possibilità di riduzione dei costi, un
altro elemento può essere un qualcosa che abbiamo trattato, non come problema, che
sono i fornitori: l’impresa esistente è possibile che abbia dei contratti coi fornitori ben
collaudati ben favorevoli, l’impresa che entra questi rapporti se li deve costruire.
3. Differenziazione del prodotto. È un altro elemento del tutto ovvio, è possibile che
l’impresa esistente abbia dato al proprio prodotto delle caratteristiche specifiche per ogni
target colpito dall’azienda stessa. Anche questa può essere pesante per l’impresa esistente
che può mettere in difficoltà.
4. Necessità di capitale. È un altro aspetto generale. Perché la necessità di capitale può
essere un ostacolo per l’impresa entrante? Si tratta del fatto che le imprese debbano
finanziarsi in qualche modo, o con propri soldi o tramite finanziamenti esterni. È ovvio che
un finanziamento ad esempio presso un sistema bancario per un’impresa che entra è più
pesante rispetto al finanziamento di un’impresa già esistente. C’è un’onerosità di
finanziamento maggiore rispetto a quelle esistenti. L’elemento “ necessità di capitale” può
essere quindi collegato a finanziamenti più gravosi per l’entrante.

Questi sono degli elementi oggettivi che costituiscono degli ostacoli all’ingresso.
LEZIONE 2 APRILE 2019.
PROBLEMI DI ENTRATA.
Ieri abbiamo introdotto e chiuso la parte precedente sulla concorrenza dei prezzi. Abbiamo
introdotto le barriere all’entrata, richiamando il concetto di bene e sottolineando in modo
generale i problemi che possono generare difficoltà all’ingresso, adesso dobbiamo andare avanti.

Per andare avanti, chiudo facendo riferimento ad un’altra cosa di Bain che è molto importante sul
tema. Quest’autore descrive tre tipi di comportamento delle imprese esistenti davanti ad una
minaccia di entrata. Si sottolinea ora questa cosa perché la riprenderemo in un modello
importante più avanti. I tre tipi di comportamento delle imprese esistenti sono:

1. Entrata bloccata. L’entrata bloccata indica che c’è qualche motivo oggettivo per il quale
l’entrata è bloccata. Se l’entrata è bloccata, le imprese esistenti continuano a competere
tra di loro come facevano prima, come hanno sempre fatto. Se l’entrata è bloccata, la
minaccia di entrata non esiste, le imprese esistenti non mutano i loro comportamenti per
questo motivo. L’impresa in questo caso non fa nulla, si comporta come al solito.
2. L’entrata ostacolata. Lo dice l’espressione stessa: le imprese esistenti modificano il loro
comportamento per ostacolare (boicottare, rendere difficile) l’ingresso di concorrenti
potenziali, cosa che non facevano nel caso precedente.
3. Il comportamento accomodante. Anche qui, l’espressione è significativa e spiega molto il
significato del comportamento. Il comportamento accomodante significa che le imprese
valutano che è più conveniente accettare l’ingresso di nuove imprese entranti, piuttosto
che fare una politica aggressiva. Mettiamo il concetto in un altro modo: significa che è più
costosa una politica aggressiva piuttosto che una politica accomodante.

Questi tre concetti ci saranno importanti più avanti.

PREMESSA.
Considerazione preliminare: nella parte precedente abbiamo visto una concorrenza di breve
periodo sui prezzi e anche un modello dinamico sulla concorrenza dei prezzi. Nel corso del tempo,
l’accento dell’analisi economica si è molto concentrato sulla concorrenza relativa alla capacità
produttiva (ampliare la capacità produttiva nell’ottica di ostacolare i nuovi ingressi, lo vedremo più
avanti, per ora accenno), per ora diciamo solo che ampliare la capacità produttiva crea vari
problemi per l’ingresso di nuovi entranti, perché implica che il mercato per i nuovi entranti
sarebbe sempre più piccolo, è un ampliamento della capacità produttiva a fini strategici. Questo
sarà un punto forte.

Ulteriore riferimento al modello di Cournot che non trattiamo dato che utilizzeremo uno schema
che fa riferimento a questo modello. Il modello di Cournot è un modello di oligopolio che dipinge
(descrive) le imprese come entità, dove si fanno concorrenza sulle quantità. In Bertrand il
riferimento qual è? Il riferimento per la concorrenza qual è? Che si determinano? Si determinano i
prezzi secondo le ipotesi particolari fatte da Bertrand con le quali si ottengono i prezzi efficienti
che si inchiodano sul prezzo marginale. Il modello di Cournot invece è un modello che si basa sulle
quantità, su questo modello si determinava la quantità. Il problema è che i prezzi sembrano quasi
“appesi per aria”, il modello di Cournot determina le quantità, mentre i prezzi non si capisce come
si formano, quindi c’è un espediente di quel modello, cioè che questi prezzi vengano stabiliti da un
“banditore” che, conoscendo le quantità complessive che emergono in questo mercato
oligopolistico che compete sulle quantità, fissa il prezzo in modo tale che questa quantità
complessiva sia assorbita dal mercato. Questo modello ci servirà solo per indicare il modello
relativo alla competizione sulle quantità.

PRIMO MODELLO DI BARRIERA ALL’ENTRATA. TEORIA DEL PREZZO LIMITE.


Questo modello fa riferimento a Bain, e sono di due italiani: Sylos e Lavini (economista italiano
morto da poco), Franco Modigliani (economista italiano andato negli Stati Uniti per le leggi razziali,
è stato l’unico premio nobel in economia italiano).

Questo modello ci dice che le imprese esistenti producono una quantità molto ampia, molto
grande, una quantità limite. Che cos’è questa quantità limite?

Osservazione. Entrare in un mercato oligopolista non ci si entra con una piccola dimensione (come
abbiamo visto ieri).

L’idea di questo modello è che le imprese di questo mercato producono una quantità molto
grande, appunto una quantità limite tale che un nuovo ingresso, che è comunque un ingresso
pesante, produrrebbe una aumento complessivo della quantità prodotta del settore (che
determina una caduta del prezzo) tale da non rendere conveniente l’ingresso. Perché l’ingresso
non è più conveniente? Dato che le imprese esistenti producono già una quantità limite, questo
ingresso di un’ulteriore quantità della nuova entrante fa scendere il prezzo e l’ingresso diventa
non più conveniente perché già prima si produceva una quantità limite. Se si produce una quantità
limite il prezzo com’è? Lo possiamo definire allo stesso modo, cioè prezzo limite. Una quantità
limite implica un prezzo limite (non molto alto) tale che un ulteriore abbassamento del prezzo
grazie a un nuovo ingresso fa accadere un pasticcio.

In questa teoria si fa sempre l’ipotesi che chi sta fuori (concorrente potenziale), si attende sempre
una politica aggressiva da parte delle imprese esistenti.

Ultimo punto da sottoporre: postulato Sylos – Lavini.

Il postulato ci dice che le imprese esistenti non diminuiscono la quantità di fronte all’ingresso di un
concorrente potenziale, ma lasciano scendere il prezzo in modo da rendere l’ingresso non
remunerativo.

È già molto chiaro questo postulato: solitamente le imprese, davanti ad un ingresso corposo,
fanno scendere di poco le quantità per far tenere in prezzo uguale a prima. Il postulato ci dice,
invece, che le imprese esistenti si comportano in questo modo: se le nuove entranti si affacciano
nel mercato, le imprese esistenti non riducono la quantità, quindi lasciano il prezzo reagire
all’aumento complessivo della quantità, lasciano scendere il prezzo e la discesa del prezzo rende
l’ingresso difficile, catastrofico.

Questa teoria, che ha avuto grande successo, però non regge. Esistono molte critiche al prezzo
limite, ne vediamo una.

CRITICA ALLA TEORIA DEL PREZZO LIMITE, NELL’AMBITO DEL MODELLO ALLA STACKELBERG.

Qui è utile il riferimento che abbiamo fatto prima, questo modello segue Cournot, quindi le
imprese competono sulle quantità. Il modello alla Stackelberg è un modello in cui c’è un’impresa
leader e poi le altre sono follower (che seguono), però in questo caso non abbiamo i follower ma
abbiamo un leader e un nuovo entrante, per questo modello alla Stackelber.

Vediamo che ci dice il modello. L’impresa esistente si chiama incombent e che produce una
quantità che si chiama Xi.

Il nuovo entrante (concorrente potenziale, se entrasse, avrebbe una quantità prodotta pari a Xe

Poi abbiamo una domanda lineare che scriviamo in modo inverso : P = a – bx.

Una funzione di costo uguale per le due imprese, la funzione di costo è che i costi sono gli stessi, le
imprese sono omogenee, le quantità sono prodotte con una funzione di costo analoga.

C = mx + F.  funzione di costo per entrambe le imprese

F = costo fisso; mx = costo variabile.

Che costo medio variabile ha la funzione? È m. il costo marginale qual è? È sempre m. Nelle
funzioni usate fino ad ora, abbiamo detto che il costo medio è uguale al costo variabile, quindi
funzioni più semplici; qui invece l’eguaglianza è tra costo marginale e costo medio variabile.

Vediamo funzione profitto concorrente potenziale. Il profitto dipende dalla variabile su cui le
imprese fanno concorrenza tra di loro (dipende dalle quantità).

πe ( Xe , Xi ) = Pxe – mXe – F . 1
La funzione la riscrivo tenendo conto di come abbiamo definito il prezzo P:

πe ( xe, xi ) = [ a – b ( xe + xi ) ] xe – xmxe – F
Prezzo*quantità tot

Questa è la funzione di profitto scritta in modo esteso.

Se il concorrente potenziale entra, si comporta come tutte le imprese, vale a dire massimizza il
profitto rispetto alla variabile con cui si fanno concorrenza, ovvero la quantità Xe. Devo derivare
per Xe quindi.
∂πe = a – b ( Xe + Xi ) – bXe – m = 0 2

∂Xe

Ho scritto direttamente la funzione facendo i singoli passaggi aritmetici: moltiplico i termini nella
parentesi quadra e faccio le opportune semplificazioni, poi moltiplico tutto per xe. Poi ho sempre il
costo fisso che rimane lì. Pongo la derivata pari a zero per massimizzare rispetto ad Xe.

Facciamo la derivata per determinare la quantità di equilibrio per massimizzare il profitto


dell’impresa di cui stiamo parlando.

Xe = a – m – Bxi  funzione di reazione di Xe in funzione di Xi

2b

Questa massimizzazione porta a questa espressione, per usare un’espressione che abbiamo spesso
usato è una funzione di reazione. Ci da Xe in funzione di Xi. Ovviamente in un quadro diverso
specifico. Se Xe entra, produce questo. Se teniamo conto come sono fatti i prezzi, è chiaro che la
quantità di Xe dipende da Xi, cioè da quello che fa l’altra impresa.

Questo è quello che fa Xe. Se prendo Xe e la sostituisco nella 1 (lo diciamo ma non lo facciamo),
che mi rimane? Sappiamo che Xe è funzione di Xi. Se io prendo Xe e lo sostituisco in 1; questa
equazione viene a contenere come variabile solo Xi. Se io ho Xe determinato in funzione di Xi e lo
sostituisco nella 1, Xe scompare perché scritto in funzione di Xi, Xi diventa l’unica variabile della
funzione del profitto. Adesso posso determinare la quantità limite, e come la determino la
quantità limite (che è quella che non fa entrare il concorrente potenziale)? Prendo Xe, lo
sostituisco nella equazione πe (la 1) e risolvo l’equazione per πe = 0. Che mi da questa equazione
risolta per πe = 0? Mi da l’Xi che risolve l’equazione (dato che diventa l’unica variabile) che è la
quantità limite. Non facciamo tutti i passaggi dato che non ci interessa e la scrivo direttamente.

Y = ( a – m ) – 2 ( F ) ^1/2 3

b b

Cerchiamo di capire il significato di questa equazione. Questa equazione dipende dalla quantità
limite dipende positivamente da a (è l’intercetta sull’asse delle Y, significa solo che la curva di
domanda è più verso l’esterno o più verso l’interno, a parità di b le due curve di domanda che
corrispondono a valori diversi di a sono parallele, quindi dove c’è un valore più alto significa che il
mercato è più amplio e qui è utile sottolinearlo, la quantità limite quindi è tanto più grande quanto
è più ampio il mercato); e dipende negativamente dal costo medio variabile, anche questo è
abbastanza logico.

Abbiamo determinato in un modello di competizione delle quantità (modello alla stackelberg) la


quantità che porta a zero i profitti dei concorrenti potenziali. Ricorda sono sempre sovra-profitti.
Producendo questa quantità Y il concorrente potenziale non entra, il concorrente potenziale
potenziale entra solo per un Xi < y, altrimenti con un valore pari al nostro Xe starebbe fuori.
Se Xi è pari alla 3, allora Xe è pari a zero.

Conviene all’incombent fare questa politica aggressiva e produrre la quantità limite e quindi
produrre la quantità tale da ridurre i profitti del concorrente potenziale? Adesso lo vediamo in un
grafico che ci chiarisce le cose.
La linea retta segmentata è l’equazione della funzione di reazione.
Xe π1
Quando Xi = 0, la funzione di reazione è pari a a – m
a-m
2b
2b π2
Quindi le due intercette sono:
Se ( xi = 0 ; a – m ) ( xe = 0 ; a – m )

Π3 2b b

La funzione di reazione ci dice, sulla carta, che data una certa


quantità xi qual è la quantità xe. Ci dice dove ci troviamo. La
Y1 Y2 a-m Xi somma delle due quantità rappresenta la quantità complessiva
apportata sul mercato.
b

Le curve che ci stanno nel grafico sono le curve di isoprofitto dell’incombent. Una curva di
isoprofitto ha un significato molto chiaro, sono come le curve di indifferenza (segnalavano le
combinazioni di merci che davano al consumatore la stessa utilità); le curve di isoprofitto
dell’incombent sono tutte le combinazioni delle quantità delle due imprese che danno
all’incombent uno stesso profitto. Ce ne abbiamo disegnate tre, quindi queste tre corrispondono a
tre livelli di profitto diverse.

Quella col profitto più alto è π3, perché il profitto più alto si fa con la quantità più bassa, quindi le
curve di isoprofitto danno maggior profitto se si collocano più all’interno al grafico, una curva più
interna darà quindi un profitto più alto. Come per le curve di indifferenza, potremmo disegnare
infinite curve di profitto, noi ne abbiamo viste tre.

Risolvendo il sistema con dei numeri che non abbiamo, perché trattiamo il tema in termini formali
e generali, supponiamo che viene fuori che la quantità limite è Y2. Dobbiamo capire se
l’incombent produrrà Y2 (nostro quesito da risolvere). La risposta al quesito è no, non produce Y2
perché non ha convenienza a produrre Y2: se produce Y2 non c’è il nostro nuovo entrante, ma c’è
solo l’incombent, al mercato verrà apportato soltanto Y2, la funzione di reazione in tal caso non
serve più a nulla perché il nuovo entrante non ha più convenienza ad entrare. All’incombent però
non gli conviene produrre la quantità Y2, perché se produce una quantità minore, se si sposta a
sinistra va a prendere una curva di isoprofitto più interna. Se ci fosse un’altra curva di isoprofitto ci
sarebbe un altro punto di incontro. Se incombent decide di produrre una quantità più bassa ad Y2,
l’altro concorrente entra e produce quella quantità che leggiamo sulle ordinate, ma questo punto
più basso gli conviene all’incombent? Se riduce la quantità, dato che gli conviene, quando smette
di ridurla (ed è la quantità limite)? L’incombent si ferma naturalmente nel punto di tangenza della
curva di reazione con la curva di isoprofitto più interna. Ovvero l’incombent si ferma nel punto di
tangenza di una curva di isoprofitto con la curva di reazione. È chiaro che questa è la curva di
isoprofitto più interna che può “beccare” se decide di ridurre la quantità prodotta. L’equilibrio è
quindi un equilibrio di tangenza, non gli conviene nessuna quantità superiore alla quantità limite
Y1, né gli conviene una quantità inferiore rispetto alla quantità limite Y1; altrimenti si fermerebbe
in un punto dove c’è una curva di isoprofitto più esterna, o più interna. La quantità limite non
conviene all’incombent, si sta chiedendo quale quantità più bassa della quantità limite gli conviene
e si risponde che gli conviene quella quantità più bassa che mi da il profitto maggiore, e qual è la
quantità più bassa che gli da profitto maggiore? È la quantità che corrisponde al punto di tangenza
che è un punto di tangenza tra la curva di reazione e la curva di isoprofitto.

Risolvendo il sistema, possiamo dire che Y2 non è buono e quindi l’equilibrio sarà in Se, con la
quantità Y1 e con il concorrente potenziale entra. Gli specifici numeri del sistema, ci danno una
soluzione che non è Y2, viene fuori che la quantità limite è pari a Y1. I parametri sono diversi. Se la
quantità limite è Y1, gli conviene farlo entrare all’incombent? Gli conviene ridurre la quantità fino
a SE? Si va a finire sulla funzione di reazione e quindi l’entrante entra, non gli conviene comunque
dato che sta nella funzione di reazione.

CONCLUSIONE GENERALE.

Nel caso di Y2 non serve il comportamento aggressivo per avere sovra-profitto, nel caso di Y1
serve un comportamento aggressivo per avere sovra-profitto. La conclusione è quindi che la teoria
appena esposta non è una teoria generale. Una teoria, per essere considerata tale, deve essere
generale, non può contenere un caso ed altri casi rimangono fuori. Questa teoria può descrivere
bene dei casi, ma questa teoria manca di un requisito essenziale di una buona teoria, cioè
contenere la generalità dei casi.

Questa è una critica che è stata fatta alla teoria.

Abbiamo detto nella presentazione della teoria del prezzo limite che questa teoria si dice che il
concorrente potenziale si attende sempre un comportamento aggressivo, quindi questa teoria
contiene questa congettura: si attribuisce al concorrente potenziale una congettura che
l’incombent fa comportamento aggressivo. Questa congettura non è spiegata, è però nella teoria
un’assunzione, un’ipotesi senza spiegarla. Questa congettura “l’incombent sarà sempre
aggressivo” è una congettura non spiegata ma è anche una congettura fragile, debole, non è
affatto detto che il concorrente potenziale fa questa congettura, cioè che il concorrente potenziale
si attende sempre una politica aggressiva. Perché la congettura è debole? C’è sicuramente
qualcosa che non torna in questo atteggiamento, il comportamento aggressivo danneggia
sicuramente il concorrente potenziale, ma potrebbe danneggiare anche l’incombent, perché la
quantità limite non è quella che massimizza il profitto dell’incombent ma è quella che non fa
entrare il concorrente potenziale. Nella sostanza, abbiamo una situazione strana: l’incombent,
nella sostanza, sta pensando che “nel timore che il nuovo entrante mi faccia del male intanto mi
faccio del male da solo”, nel senso che nel timore che il nuovo entrante si toglie profitto, intanto
se lo abbassa da solo. Concetto che rivediamo anche la prossima lezione.
LEZIONE 4 APRILE 2019.
La lezione scorsa abbiamo visto la teoria del prezzo limite e abbiamo visto anche una sua critica
attraverso il modello alla Stackemberg (è un modello che si inserisce nel modello di cournot dove
la concorrenza si basa sulle quantità); Stackemberg ha creato un modello dove c’è un’impresa
leader e una o più imprese follower, la nostra invece è un’applicazione specifica perché c’è
un’impresa incombent e una nuova entrante (non è detto che sia una follower). Abbiamo
individuato la quantità limite definita (risolvendo il problema) che è definita come quella quantità
che rende nullo il profitto del nuovo entrante qualora entrasse. Poi abbiamo visto che risolvendo
numericamente quelle equazioni, possono venire fuori risultati molto diversi, con significato molto
diverso, potrebbe venire fuori una quantità limite che può risultare non conveniente, non è detto
che l’impresa voglia fare ritorsione, infatti se l’impresa esistente accettasse l’ingresso, potrebbe
fare profitto più elevato. La conclusione di quel punto Y2 è che se l’impresa accetta l’ingresso
allora va a ottenere profitti più elevati. Poi abbiamo visto un altro punto, che risolvendo con i
numeri potrebbe uscire fuori una quantità limite diversa che potrebbe essere effettivamente
conveniente per l’incombent. La conclusione è che la teoria del prezzo limite non è una buona
teoria, perché manca di un requisito fondamentale per la teoria economia che è la generalità.

Siamo passati poi ad una critica più radicale alla teoria, che è dove siamo fermati ieri: nella teoria
del prezzo limite c’è una congettura attribuita al concorrente potenziale, il concorrente potenziale
si aspetta che l’incombent faccia sempre una politica aggressiva nel caso in cui decidesse di
entrare. Questa congettura, ho sottolineato, in realtà non è spiegata, è una congettura detta
verbalmente. In realtà, pensandoci bene, questa congettura è anche fragile, non è così forte l’idea
che l’incombent faccia sempre una politica aggressiva. Questa non è una ipotesi forte, è più
ragionevole pensare che l’incombent (che è un monopolista), fino a che è monopolista, è
ragionevole che faccia il monopolista. Non è ragionevole che l’incombent, nel timore di nuovi
ingressi che gli abbassano il profitto, se lo abbassa prima da solo producendo una quantità limite,
cioè che non gli massimizza il profitto e che serve solo per escludere nuovi ingressi. Per paura di un
danno esterno, se lo fa da solo producendo un’enorme quantità (quantità limite) che non gli
massimizza il profitto. Quindi, che cosa è ragionevole pensare? È ragionevole pensare che
l’incombent si comporti da monopolista, cioè che produca una quantità che gli massimizza il
profitto e che, se vi è un nuovo ingresso, accetti il tipo di concorrenza che si verrà poi a creare.
Sarà una concorrenza monopolistica in questo caso.

Vediamo il tema sotto altre espressioni, sotto un altro riferimento. Nell’esporre tale teoria,
abbiamo fatto riferimento al postulato di Sylos Lavini. Che dice il postulato?

= l’incombent, davanti al nuovo ingresso non riduce la quantità per mantenere i profitti, ma
lascia scendere il prezzo.

C’è da sottolineare un aspetto. Vediamo il problema da un altro angolo già visto nel corso.
L’incombent che non riduce la quantità ma lascia che il prezzo scende sta facendo una minaccia
non credibile. Questo comportamento dell’incombent è una minaccia nei confronti di nuovi
ingressi, ma è una minaccia non credibile. Perché non è credibile? Non ha senso un
comportamento un economia del genere, nel senso che per opporsi ad un nuovo ingresso, non
modifica la quantità e lascia scendere il prezzo, la discesa del prezzo non rovina solo il concorrente
potenziale ma è un danno anche per l’incombent. Le minacce non credibili sono un tema
importante nell’economia industriale.

Cosa conviene fare all’incombent davanti a un nuovo ingresso? Adattarsi alla nuova situazione,
accettare la competizione (concorrenza monopolistica).

Ultimo punto da vedere. Abbiamo appena detto che la minaccia del mantenimento della quantità
non è una minaccia credibile. Però c’è un punto molto interessante sottolineato da un economista
detto Sherer, è un punto molto reale nell’economia industriale.

= Se l’incombent riesce a convincere concorrenti potenziali che lui avrà un comportamento


irrazionale, raggiungerà l’obiettivo razionale di non far entrare un concorrente potenziale.

Se l’incombent finge di essere “pazzo”, cioè che è in grado di prendere qualunque decisione folle,
riesce razionalmente di raggiungere l’obiettivo personale di far escludere l’ingresso al nuovo
entrante. Questo concetto appartiene alla vita di tutti i giorni (esempio: i genitori che mettono
“paura” ai figli con minacce assurde che non potranno essere mai messe in pratica), di questo si
tratta e questo è un caso importante di straordinario interesse. Si tratta della razionalità
dell’irrazionalità, cedere all’irrazionalità ma radicata razionalmente, è irrazionalità guidata dalla
razionalità. Se vale questo concetto, potrebbe dare un senso alla teoria della quantità limite, però
in che senso? Dal caso di Sherer, che significa? Significa che la quantità limite tiene fuori i
concorrenti potenziali, i concorrenti potenziali si “mettono paura”, però rimane la critica che la
quantità limite non è la quantità che massimizza il profitto.

Tutta questa parte che stiamo studiando riguarda sempre l’interazione strategica.

LIMITAZIONI STRATEGICHE ALLA CONCORRENZA.


Si tratta di elementi molto semplice. Questo argomento tratta di come impedire nuovi ingressi, la
letteratura è molto amplia, questo è un tema importante nell’economia industriale. Si tratta di
vedere le strategie che controllano l’entrata di nuove imprese attraverso il controllo sul prezzo.
C’è una vasta letteratura che analizza la possibilità di limitare in maniera strategica l’entrata
controllando altre variabili oltre il prezzo. Vediamo per prima cosa le barriere innocenti
all’ingresso, esse sono fissate volutamente per impedire nuovi ingressi ma sono un sottoprodotto
delle strategie delle imprese.

Possiamo definire barriere “innocenti” all’ingresso, quelle che sorgono come effetto collaterale
delle politiche di massimizzazione del profitto perseguite dalle imprese dominanti.

Queste sono scelte legate all’obietti di massimizzazione delle imprese. Le barriere strategiche
all’entrata sono quelle espressamente innalzate con lo scopo di ridurre la concorrenza potenziale.

Salop introduce le due categorie di barriere innocenti:


1. Vantaggi assoluti post – ingresso dalle imprese dominanti nei confronti di nuove imprese
che entrano. Questa espressione ci dice che l’impresa che entra ha uno svantaggio rispetto
alle imprese esistenti. Ad esempio: marchi di fabbricazione, tecnologie più avanzate,
migliori condizioni di acquisto delle materie prime (aspetti definiti da Brain con i vantaggi
assoluti di costo). Le imprese che entrano si trovano di fronte a difficoltà legate ad imprese
molto competitive che stanno lì da molto più tempo e che hanno strategie collaudate. Si
tratta di elementi che svantaggiano il concorrente potenziale rispetto a quelle esistenti e
che sono più consolidate e più forti, è uno svantaggio post-ingresso.
2. Vantaggi derivanti da asimmetrie pre - ingresso. Rappresenta l’asimmetria tra imprese
esistenti e nuove imprese, le quali dovranno presumibilmente fare investimenti maggiori
(ricerca, sviluppo e pubblicità) per entrare in una posizione analoga a quella delle imprese
dominanti; c’è un vantaggio delle imprese esistenti rispetto a quelle che vogliono entrare.
Questi sono investimenti abbastanza costosi per le nuove entranti ed è per questo che
sono delle barriere all’ingresso. Le asimmetrie pre-ingresso sono il fondamento delle
barriere strategiche all’ingresso.

Le barriere strategiche all’ingresso consistono in azioni che possono modificare il sottogioco


successivo all’entrata in modo da indurre il concorrente potenziale a rimanere fuori dal mercato (a
non entrare nel mercato). Questo viene definito in ambito dinamico. Il cosa fare, in tal caso, ha
natura vincolante, deve essere qualcosa di “pesante”, non è un’azione passeggera per il nuovo
entrante è un impegno grande. Le azioni si fissano in variabili economiche e che abbiano natura di
impegno vincolante sono ad esempio il prezzo e la quantità (la quantità in se stessa non è
vincolante deve essere abbinata a qualcos’altro.

Infatti, tali azioni sono viste come impegni vincolanti (commitment) che vengono comunicati agli
avversari nel periodo pre-ingresso. Se la variabile non ha natura vincolante, vuol dire che può
essere cambiata facilmente, e non può risultare come un impegno vincolante. Per propria natura è
il prezzo, la quantità (che diventa vincolante il relazione a qualcos’altro).

Ci avviciniamo al nostro caso che vediamo, che è molto importante. Un esempio di queste azioni
(barriere strategiche) che si fissano in una variabile, sono:

INVESTIMENTI IRREVERSIBILI IN QUALCHE BENE CAPITALE.


Dobbiamo definire che cos’è un investimento irreversibile. Un investimento irreversibile significa
che può essere usato di nuovo in maniera efficiente da un’altra impresa o da un’altra industria. Un
investimento che, se viene sospeso in qualche modo, non ha più valore, il suo costo non è più
recuperabile (parzialmente o totalmente) sul mercato (sunk cost). il suo valore non può essere
pienamente recuperato sul mercato e rappresenta un costo non recuperabile.

Questa è una tipologia di costi importante in economia. Questo corso parla in modo molto formale
di situazioni molto ricorrenti nelle le imprese molto grandi.

Esempio. Impianto di realizzazione di automobili che non può essere utilizzato per altri modelli di
automobili ma solo per quel tipo di modello.
Esempio 2. Investimenti pubblicitari (ad esempio in un film), se io finanzio la pubblicità di un
qualcosa (film in produzione) che non si fa più io ho perso soldi per una cosa che non si fa più.

Considerazione: i sunk cost possono essere una barriera all’entrata, ma possono anche essere una
barriera all’uscita, nel senso che se uno ha fatto un investimento corposo ci pensa tanto prima di
uscire dal mercato a causa di ciò che potrebbe perdere, è per questo motivo che i sunk cost
possono essere sia barriere all’entrata e barriere (impedire l’ingresso di nuove imprese) all’uscita
(favorire l’uscita dei concorrenti). Il corso termina poi trattando anche l’altra faccia di questa
situazione, per ora parliamo solo delle barriere all’entrata.

Vediamo adesso il caso di sunk cost applicato alle barriere all’entrata. Vediamo quindi un
investimento irreversibile in un bene di capitali: significa che l’investimento non dà più luogo a
nessun valore una volta che è stato istallato dall’impresa. L’irreversibilità si ha se il capitale ha un
valore di mercato pari a zero una volta che è stato istallato dall’impresa. Un esempio lampante è
quello della campagna pubblicitaria a favore del monopolista, che riduce le quote residuali di
mercato per il concorrente potenziale. Chiamiamo K il costo dell’investimento, ed è il costo
irreversibile. Se il monopolista effettua questo costo K nella campagna pubblicitaria, è ovvio che lo
deve fare anche il concorrente potenziale che vuole entrare nel mercato. Non è sufficiente dire
che questo investimento che deve essere fatto scongiura l’ingresso di potenziali concorrenti,
questa situazione va modulata, questa affermazione deve essere puntualizzata; dobbiamo vedere
in che modo tale costo può diventare una barriera all’entrata.

Supponiamo che il concorrente potenziale entra, la competizione è una competizione alla Cournot
(non lo abbiamo descritto il modello, ma solo accennato come critica alla teoria del prezzo limite),
se la concorrenza (monopolistica o oligopolistica) che si istaura è una concorrenza alla Courot,
l’oggetto della concorrenza sono le quantità. Dobbiamo individuare le condizioni affinché questo
investimento irreversibile sia una strategia efficace per realizzare una barriera all’entrata,
dobbiamo individuarle tramite:

πC = sovra-profitto dell’entrante in equilibrio di Cournot (se entra il concorrente potenziale è


questo l’equilibrio) associato ad una politica accomodante da parte dell’imprese preesistente,
significa che c’è solo l’investimento strategico in una campagna pubblicitaria e nient’altro. C’è solo
un investimento strategico in una campagna pubblicitaria. Vediamo le condizioni necessarie
affinché questa scelta venga considerata come una buona scelta e quindi verrà fatta:

1. Una prima condizione perché gli investimenti irreversibili impediscono l’entrata è che il
profitto relativo all’investimento è più basso del costo K, significa cioè che il profitto
relativo all’investimento al netto di K risulta negativo, cioè: πC – K < 0. È una condizione
elementare che ci dice che se il profitto che il concorrente potenziale andrà a fare una
volta entrato nel mercato è più basso del costo che deve sostenere allora in questo caso il
concorrente potenziale non entra. Se il costo dell’investimento risulta più alto del profitto
che andrà a realizzare il concorrente potenziale non entra. Se si verifica questa condizione,
l’incombent farà l’investimento? Bisogna vedere se conviene anche all’incombent. Questa
è una condizione necessaria purché l’incombent faccia l’investimento, ma questa sola
condizione non ci garantisce al 100% che l’incombent farà l’investimento, dobbiamo
vedere se l’incombent ha anche la convenienza a fare questo investimento. Questa
condizione ci dice soltanto che al concorrente potenziale non conviene farla e quindi non
gli conviene entrare nel mercato perché altrimenti dovrebbe sostenere una spesa troppo
alta che non riesce a remunerare a sufficienza.
2. Dobbiamo vedere la seconda condizione cosa ci dice. Questa condizione ci da la sufficienza
per l’incombent nel fare l’investimento. Occorre anche che il monopolista abbia la
convenienza nel fare l’investimento, quella di prima ci diceva solo che l’investimento da
una “mazzata” al concorrente potenziale, ma dobbiamo capire se tale spesa è conveniente
anche per l’incombent. Questa cosa ce la dice la seconda condizione perché rappresenta la
sufficienza dell’investimento. Il playoff del monopolista che fa l’investimento irreversibile
deve essere maggiore di quello che risulta da una strategia in cui il monopolista fa profitti
di monopolio nel primo periodo ed accetta l’entrante nel secondo periodo:
2πM – K > πm + πC  πm – K  πC
Occhio che ci sono due periodi: periodo attuale, poi c’è un futuro, quindi sono due i periodi
che consideriamo (oggi e domani).
2πM – k  il profitto del monopolista e che rimane monopolista (profitto oggi e profitto
futuro del monopolista) meno il costo dell’investimento irreversibile.
πm – πC  questo lo leggiamo come il profitto del monopolista di oggi più il profitto che il
monopolista (è diventato oligopolista tramite la determinazione dell’equilibrio di Cournot)
farebbe domani nel caso in cui subentra il concorrente potenziale. Quindi il monopolista
non è più da solo.
Domanda: quando conviene al monopolista fare l’investimento? Al monopolista conviene
fare l’investimento quando il suo profitto che otterrebbe facendo l’investimento è
maggiore al profitto che avrebbe con un mercato con l’entrata del concorrente potenziale
(accettando l’ingresso) e non facendo l’investimento.
M è diverso da m, M è quando l’incombent rimane monopolista, nel primo periodo sono
uguali e nel secondo periodo non sono uguali. Al monopolista gli conviene effettuare
l’investimento quando il profitto che si ottiene facendo l’investimento e rimanendo
monopolista è maggiore del profitto che avrebbe non facendo l’investimento e accettando
l’ingresso (diventando concorrenza oligopolistica). Questa è condizione sufficiente e risolve
il problema.

Da questo punto di vista, stabiliamo che, in generale, le condizioni affinché l’investimento


irreversibile K possa valere come barriera all’entrata strategica:

1. Il costo non recuperabile deve essere almeno pari al profitto che l’emittente può ottenere
nell’equilibrio di Courot. Questa condizione è necessaria ma non sufficiente. Anche nel
caso in cui è rispettata tale condizione, il monopolista/incombent effettua l’investimento
se sussiste anche la condizione successiva:
2. Il profitto di monopolio, al netto degli investimenti irreversibili, è maggiore del profitto che
il monopolista può guadagnare nell’equilibrio di Courot in assenza di investimenti
irreversibili. Se questa condizione non è rispettata, il monopolista non fa l’investimento:
sarebbe conveniente per il monopolista seguire una strategia accomodante e far entrare il
concorrente potenziale, piuttosto che effettuare l’investimento, impedire l’entrata e fare
un investimento minore.

In modo formale abbiamo concluso questo argomento; in tal caso, mantenere la propria quota di
mercato è comunque un modo di fare concorrenza, questo è un aspetto fondamentale della
concorrenza. È un caso specifico ovviamente.

Con questo argomento abbiamo concluso un altro argomento, diciamo un paio di cose conclusive:

1. Questo corso ha una parte finale più ristretta di economia industriale più applicata (non più
teoria); inizio primi di Maggio.
2. Abbiamo accorciato di molto il programma, se si riesce a finire prima, facciamo un passo
indietro si aggiunge qualcosa sulle discriminazione di prezzo e la teoria dell’impresa.
LEZIONE 8 APRILE 2019.
La lezione scorsa abbiamo visto un quadro importante, cioè le interazioni strategiche alla
concorrenza. Il tema si riferiva ad un argomento interessante, cioè ad un investimento specifico
fatto per sconsacrare strategicamente l’entrata ovvero il nuovo ingresso. Abbiamo descritto le due
condizioni per escludere strategicamente il nuovo concorrente:

1. La prima condizione si riferiva al nuovo entrante, perché è costretto anche lui ad un


investimento strategico fatto dall’incombent, la condizione dice che il nuovo entrante di
fronte a questo investimento non è incentivato ad entrare. La condizione esclude il profitto
all’ingresso.
2. La seconda condizione sottolinea il necessario vantaggio dell’incombent nel realizzare
l’investimento per escludere l’ingresso del nuovo entrante. Non è detto che gli conviene
fare questo investimento all’incombent; questo investimento dice quando gli conviene.

La conclusione non è che in generale bisogna fare l’investimento per escluderlo, abbiamo visto
quando conviene fare l’investimento per escluderlo.

Nel modello alla Stackelberg, abbiamo impostato la situazione sulle quantità superando la parte
della concorrenza sui prezzi per entrare in un altro ambito di concorrenza basato sulle quantità
(teoria del prezzo limite con relativa critica).

Bisogna sottolineare due cose.

1. Non opportuno riferimento alle quantità per discutere di concorrenza strategica, di


interazione strategica tra le imprese. La quantità prodotte (il livello della produzione) non
sono un riferimento migliore per trattare di questi temi, perché non hanno la natura di un
impegno. Le quantità possono essere modificate in modo rapido o relativamente rapido. Il
caso precedente che abbiamo visto nella scorsa lezione era un impegno vincolato associato
ad un sunk cost, cioè era un costo non recuperabile. Questo elemento non le rende un
riferimento migliore per parlare di concorrenza strategica.
2. Alle quantità non si associa il vantaggio di una prima mossa. Se ci ricordiamo, abbiamo
introdotto il modello di Stackelberg sottolineando che si tratta di un modello alla Cournot,
ma è specifico perché nel modello c’è un’impresa leader e delle imprese follower; l’impresa
leader è quella che ha il vantaggio della prima mossa, ma con le quantità non si riesce ad
individuare qual è il vantaggio della prima mossa sempre perché le quantità possono
essere modificate rapidamente, il vantaggio della leader non è chiaro. Il modello che
abbiamo visto ci è stato utile per criticare la teoria del prezzo limite, però impostato sulla
quantità non ci chiarisce bene aspetti strategici della concorrenza tra le imprese.

Dobbiamo uscire da questo ambito e lo facciamo con il modello che studiamo oggi. Tralasciamo
degli argomenti. Il nostro riferimento è a qualcosa che è un impegno vincolante e questo qualcosa
è la capacità produttiva. Nel testo segnalato è fatto in modo molto più complesso, qui lo studiamo
in maniera molto più semplice.
L’ECCESSO DI CAPACITà PRODUTTIVA CON BARRIERE
ALL’INGRESSO.
Anche qui non arriveremo ad una conclusione definitiva, andremo a verificare come bisogna
manovrare la capacità produttiva, la capacità produttiva può costituire una barriera all’ingresso. Il
quadro che noi analizziamo in modo semplice è che c’è un’impresa esistente detta incombent e c’è
un concorrente potenziale. Quindi è chiaro il vantaggio della prima mossa: la prima mossa ce l’ha
l’impresa che esiste che, decidendo la sua capacità produttiva, può strategicamente condizionare il
prezzo. Infatti, modificando la capacità produttiva sta facendo concorrenza a qualcuno che
potrebbe entrare. Con riferimento alla capacità produttiva, il vantaggio della prima mossa è
chiarissimo, ce l’ha l’impresa esistente perché esiste solo lei nel mercato. La prima mossa consiste
nel decidere la capacità produttiva, con cui si può decidere la grandezza dell’impresa e può essere
decisa in modo tale da rendere l’ingresso non conveniente. Questo è il quadro: l’incombent che
utilizza la capacità produttiva in modo strategica per rendere difficile l’ingresso.

Il modello che vediamo fa capo ad un autore che si chiama Lixit. Ci sono due periodi: l’oggi e
domani. Nel primo periodo si riferisce alla scelta dell’incombent, quindi vediamo che fa
l’incombent, che deve scegliere la capacità produttiva, nel secondo periodo invece dobbiamo
capire cosa succede, se c’è solo un’impresa o se ce ne sono tutte e due.

Vediamo i simboli con il relativo significato:

X: quantità prodotta

f: costi fissi

w: costo del lavoro per unità di prodotto, solitamente in economia si intende quanto paghiamo al
mese un lavoratore ma non in questo caso. È il costo del lavoro per produrre un’unità.

R costo del capitale per unità prodotta.

I costi, detto in modo generale, dipendono dalla quantità prodotta e dalla capacità produttiva.
Questa frase che cosa implica? Quindi, se dico questo, non necessariamente la quantità prodotta è
uguale alla capacità produttiva. Siamo in un contesto in cui un conto è la capacità dell’impresa (la
quantità massima producibile) che dipende dal macchinario istallato, un altro è quanto
effettivamente si produce; è possibile che queste due grandezze siano diverse. Questo ha a che
vedere con l’incombent, che può fare strategicamente investimenti sulla capacità produttiva.
Adesso scriviamo i costi per una generica impresa i:

Ci = fi + ri*Ki + Wi*Xi

Costi relativi al capitale, questi costi ci indicano la capacità produttiva dell’impresa: ri (costo del
capitale) * ki (capitale impiegato).

Costi relativi al lavoro pagamento del lavoro necessario per produrre quella quantità che
dobbiamo produrre: Wi (costo del lavoro per quantità prodotta) * Xi (quantità prodotta).
Il nostro quadro è il seguente: nel primo periodo l’incombent sceglie Ki, sceglie la capacità
produttiva e supponiamo che non può più ridurre K (ha valore come impegno totale). Supponiamo
che k è un investimento irreversibile. Questo significa il vantaggio della prima mossa. Questo
vantaggio ce l’ha solo l’incombent. Nel secondo periodo, supponiamo che entri il concorrente
potenziale, questo concorrente potenziale che entra ce l’ha il vantaggio? No, lo può sfruttare solo
l’impresa che già c’è nel mercato, quindi il concorrente potenziale che entra come si caratterizza
rispetto alle cose che abbiamo visto fino adesso? Il concorrente potenziale non ha una doppia
scelta, entra dove già c’è una capacità produttiva fissata dall’impresa esistente, ha quindi una sola
decisione: cioè capacità produttiva è la quantità prodotta. Il gioco della capacità produttiva e la
quantità prodotta che possono essere diverse ce l’ha solo l’incombent; cioè il vantaggio di fare un
gioco strategico di questo tipo ce l’ha solo chi si trova già all’interno del mercato. L’impresa che
esiste è tanto più grande quanto più è grande la capacità produttiva ed è tanto più grande è K, ma
le dimensioni dell’incombent (sia il suo capitale che la sua capacità produttiva) vincolano l’impresa
che entra, la quale non può fare il gioco sulla capacità produttiva, ma è vincolata da quello che ha
fatto l’incombent nel precedente periodo, nel momento precedente, nel senso che quel gioco lei
non ce l’ha, dunque la sua capacità produttiva e la quantità prodotta sono uguali per definizione.
Questo modello non è semplice, ma nemmeno complesso. L’impresa 2 (concorrente potenziale)
sceglie simultaneamente capacità produttiva e quantità prodotta. L’incombent (impresa 1) sceglie
nel periodo 1 (oggi) la capacità produttiva K, e nel periodo 2 (domani) sceglierà la quantità
prodotta. Adesso vediamo, perché l’incombent ha questo vantaggio di fare gioco strategico,
potrebbe sfruttarlo come potrebbe non sfruttarlo. Se l’incombent non sfrutta questo vantaggio
che ha, quando entra che cosa fa? Essa produce sicuramente una quantità uguale alla sua capacità
produttiva. Facciamo quindi delle ipotesi.

COSTO PER INCOMBENT (IMPRESA 1)

C1 = f1 + r1*k1 + w*X1

Ho già detto che r1*k1 sono costi irrecuperabili, usando la definizione della lezione precedente
sono sunk cost (costi affondati).

Il costo marginale da cosa è dato? È dato dall’incremento di costo su incremento della quantità
prodotta, quindi sarà dato da w1.

Se non c’è il gioco strategico, abbiamo che X1 = capacità produttiva che abbiamo individuato con
K1, e quindi il costo marginale diventa cosa?

C1 = f1 + ( r1 + w1 ) * X1  costo marginale se non c’è gioco strategico.

Queste due funzioni di costo ci indicano due quadri diversi:

1. Nella prima, abbiamo distinto la capacità produttiva dalla quantità prodotta; questa è una
scrittura che riguarda l’impresa che può utilizzare la capacità produttiva a fini strategici.
2. Nella seconda, abbiamo la stessa impresa esistente che non utilizza la capacità produttiva a
fini strategici.
COSTO DELL’IMPRESA 2 (quella che entra e che si trova davanti un’impresa che aveva un vantaggio
che il concorrente potenziale non ha).

C2 = f2 + ( r2 + w2 ) *X2  funzione di costo dell’impresa 2.

Abbiamo quindi delle funzioni di costo. Supponiamo che la domanda di questo mercato sia la
seguente, è una domanda lineare che è scritta nel modo seguente:

P = a – bx

E supponiamo che se il concorrente potenziale entra, l’equilibrio di questo mercato (che diventa
un oligopolio) è un equilibrio di Cournot.

Adesso ci manca di definire quali sono le funzioni di reazione delle due imprese. Le abbiamo già
implicitamente descritte, il procedimento è analogo al procedimento che abbiamo fatto per
trovare l’equilibrio. Le funzioni di reazione vanno ricavate dal processo di massimizzazione del
profitto delle imprese. Però, per quanto riguarda l’incombent noi dobbiamo determinare, in
realtà, due funzioni di reazione, in conseguenza (a seconda) del fatto che egli utilizzi il vantaggio
della prima mossa oppure no; cioè a seconda che utilizzi o no la capacità produttiva in chiave
strategica. Queste funzioni di reazione relative alla prima impresa sono le seguenti:

R1 ( m ) = è la funzione di reazione legata al costo marginale r1 + w1. Questa è la funzione di


reazione quando l’incombent non sfrutta il vantaggio, avendo definito m come costo marginale.

M = r1 + w1

R1 ( W ) = è la funzione di reazione quando l’incombent sfrutta il vantaggio.

Ci riferiamo al costo marginale che è dato dal costo del lavoro più la quantità prodotta. Queste
sono le funzioni di reazione che dobbiamo determinare. Determiniamo ora R1 ( m ). Dobbiamo
determinare le quantità, cioè X1 se l’incombent non sfrutta il vantaggio della prima mossa
nell’eventuale reazione dell’azione dell’impresa 2. Per determinare X1 lo troviamo attraverso il
processo di massimizzazione, cioè dobbiamo scrivere la funzione del profitto e la dobbiamo
derivare rispetto ad X1 e porre la derivata uguale a zero.

R1 ( m )  x1 = k1 r1 + w1 = m

π1 = P* X1 – f1 – ( r1 + w1 ) * X1

Ricavi – costi fissi – costi variabili.

Questo è il profitto dell’impresa 1, devo derivare in modo da avere la funzione di reazione.

π1 = [ a – b ( x1 + x2 ) ] * X1 – f1 - ( r1 + w1 ) * X1

∂π1 = a – 2x1 – bx2 – r1 + w1 = 0

∂ x1
X1 = a – bx2 – ( r1 + w1 )  Funzione di reazione nel caso in cui l’incombent non sfrutta

2b Il suo vantaggio, quando capacità produttiva e quantità sono

Diverse tra di loro.

Nell’altro caso, dobbiamo fare lo stesso per avere il risultato simile.

R1 ( W).

Π1 = [ a – b ( x1 – X2 ) ] * x1 – f1 – r1 * k1 – w1 * x1

Questo è il profitto se specifico se capacità produttiva e quantità sono diverse. Quando vado a
derivare, la parte del profitto dentro la parentesi è uguale, mentre il resto è pari a zero. X2 ha la
stessa forma x1 derivata allo stesso modo. La quantità determinata X è una funzione di reazione,
ossia mi dice X1 dato X2.

X2 = a – b * x1 – ( r2 + w2)  ha la stessa forma di X1  funzione reazione nell’altro caso

2–b

Non è detto che le due imprese siano identiche, quindi è possibile che il costo del capitale e del
lavoro per ogni unità di prodotto siano diversi, quindi r e w devono essere riferiti alle singole
imprese a cui facciamo riferimento. Data la massimizzazione della funzione del profitto ricavo la
quantità, la quantità è una funzione di reazione, l’ho scritta in funzione di X2 (seconda impresa).
Abbiamo scritto sia il caso in cui l’incombent non utilizza il vantaggio della prima mossa sia il caso
in cui invece utilizza il vantaggio della prima mossa. Abbiamo due funzioni di reazioni della impresa
1 in relazione al fatto che utilizza o no la funzione di reazione. Poi avremmo dovuto scrivere π2,
ma è la stessa cosa solo che ci devo aggiungere gli indici relativi alla seconda impresa, faccio la
derivata relativa al profitto dell’impresa 2 rispetto a x2, la pongo uguale a zero e ricavo X2. Questo
X2 è la funzione di reazione della seconda impresa che la chiamiamo R2 ( m). Adesso dobbiamo
vedere l’equilibrio, lo abbiamo visto già nel senso che abbiamo dato dei riferimento che sono
queste funzioni di reazione. Ci avvaliamo di un grafico che non è molto semplice (nemmeno
difficile). Le due funzioni di reazione dell’impresa 1 sono parallele, solo le quantità totali
cambiano, mentre l’equazione è la stessa. R1(m) non usa la capacità
X2 R1(M) R1(W) produttiva. L’entrante R2(m) per definizione non può usare la strategia della
capacità produttiva. Se ci sono due imprese sul mercato, l’equilibrio si trova in
R2m un punto d’incontro delle due funzioni di reazione, sulla base della definizione
data dell’equilibrio di cournot. Se le due si fanno concorrenza “alla pari” (non
C c’è l’incombent che fa la strategia), entrambe si comportano allo stesso modo
e quindi l’equilibrio si trova in C (è un equilibrio di cournot) che corrisponde
H alla quantità A che è la più piccola quantità in questo quadro producibile
dall’impresa 1. Adesso supponiamo che la quantità limite (gioco sulla capacità
E D a-w produttiva ma le quantità ci sono) sia molto più a destra nel grafico anche se
non è disegnata, cioè che è molto grande e che non è tracciata nel grafico. Se
la nostra impresa incombent usa il vantaggio della prima mossa, possiamo
A B 2b X1
individuare un altro equilibrio di cournot che è il punto D perché la funzione di
reazione è R1(W). Se la quantità limite sta per esempio a destra rispetto al
Y punto D, gli conviene produrre la quantità limite? Non gli conviene per lo
stesso motivo trovato nel modello precedente con le curve di isoprofitto (ci
stanno anche qui ma non le abbiamo messe), gli conviene farlo entrare.
All’incombent in questo caso gli conviene strategie? Supponiamo che la quantità limite non
c’entra, gli conviene fare o no strategie? Certamente gli conviene, la sua posizione è molto più
forte rispetto a quella dell’altro, più aumenta la sua capacità riduce più velocemente lo spazio
dell’altro e quindi fa più profitti (dato il prezzo), quindi più aumenta le quantità più riduce la
possibilità dell’altro ad entrare.

Supponiamo che la quantità totale sia Y, gli conviene produrla? Si gli conviene produrla e solo lui
c’è sul mercato. Il punto di riferimento è E, però è un falso punto di riferimento perché esiste solo
l’incombent in quanto ha convenienza a produrre la quantità limite.
LEZIONE 9 APRILE 2019.
Ieri abbiamo visto un modello di eccesso di capacità produttiva con barriera all’ingresso.
Rappresenta una possibile domanda per l’esame. Il quadro generale è il seguente: è un mercato
dove c’è l’incombent e concorrente potenziale.

L’incombent ha il vantaggio della prima mossa, questa cosa non si trova in modo esplicito in
modelli che fanno riferimento alla concorrenza sulle quantità. Il vantaggio della prima mossa sta
nel fatto che l’incombent decide la capacità produttiva (massima quantità producibile), l’impresa
esistente decide la grandezza della sua impresa. Tanto più grande è la capacità produttiva tanto
piùà l’ingresso diventa complicato.

Abbiamo due periodi:

 Oggi l’incombent decide la capacità produttiva.


 Domani, se c’è stato un ingresso, ci sarà sicuramente una competizione tra le due imprese,
e l’equilibrio che si genererà è un equilibrio di oligopolio. Se l’impresa non entra, significa
che il vantaggio della prima mossa è stato sfruttato.

Il modello lo abbiamo risolto specificando per l’impresa esistente che, un conto è la sua capacità
produttiva determinata nell’investimento K, un conto è la quantità prodotta. Ciò significa che, data
una capacità produttiva l’impresa può produrre meno. Il concorrente potenziale che entra non ha
il vantaggio della prima mossa, non può decidere strategicamente la sua capacità produttiva,
perché l’ha già decisa l’incombent. Per il nuovo entrante, capacità produttiva e quantità prodotta
sono la stessa cosa, quindi avrà un'unica variabile. Questo è il quadro generale.

Detto questo, come si risolve il modello? Si risolve attribuendo a ciascuna delle due imprese un
obiettivo di massimizzazione del profitto. Abbiamo definito i costi delle due imprese, per
l’incombent c’è una differenza, possiamo definire i costi specificando il vantaggio della prima
mossa, cioè distinguendo capacità produttiva e quantità prodotta oppure il caso in cui l’incombent
non sfrutti il vantaggio competitivo, per cui capacità produttiva e quantità prodotta sono uguali.
Stessa cosa la facciamo con il concorrente potenziale, l’obiettivo è sempre quello della
massimizzazione del profitto.

Fatta la massimizzazione del profitto, con la specifica che l’incombent può sfruttare o non
sfruttare il vantaggio della prima mossa. Da notare che per l’incombent l’investimento è un dato
esogeno. La soluzione del modello la troviamo attraverso la massimizzazione del profitto, essa la
otteniamo derivando il profitto rispetto alla quantità prodotta, l’equilibrio che si determina è un
equilibrio di Cournot (concorrenza sulle quantità determinate con la massimizzazione del profitto,
queste quantità costituiscono le funzioni di reazione o miglior risposta delle due imprese). Le
funzioni di reazione le abbiamo determinate mettendo in risalto le quantità in funzione dell’altra
impresa. Le quantità determinate sono delle funzioni e sono delle funzioni di miglior risposta (data
la quantità prodotta dall’altra impresa, qual è la quantità prodotta dalla nostra impresa che
massimizza il profitto).
Per quanto riguarda l’incombent, abbiamo due funzioni di reazione:

 Una funzione di reazione, nel caso in cui l’incombent decide di sfruttare questo vantaggio
della prima mossa; in questo caso il suo costo marginale è legato al lavoro (w), cioè a
quanto lavoro dobbiamo pagare in più per accrescere il prodotto di una unità.
 Una funzione di reazione, nel caso in cui l’incombent non sfrutta il vantaggio della prima
mossa, la capacità produttiva (determinata da k) e la quantità prodotta sono la stessa cosa,
risolvendo troviamo la quantità prodotta dell’incombent che massimizza il profitto, questa
è una funzione di reazione legata ad un costo marginale diverso che è dato sia dal costo
relativo al lavoro (w), sia al costo relativo al capitale sia al costo relativo al capitale per
unità prodotta.

Per quanto riguarda la funzione di reazione del concorrente potenziale, ce ne sta ovviamente una
sola, ed è la funzione di reazione relativa al fatto che il nuovo entrante non ha il vantaggio della
prima mossa e quindi capacità produttiva e quantità prodotta sono la stessa cosa.
R1(m)= è la funzione di reazione (o miglior risposta) dell’incombent
X2
nel caso in cui non sfrutta il vantaggio della prima mossa, e quindi il
costo marginale è m (somma tra w1 + r1).
R1(m) R1(w)
R1(w)= è la funzione di reazione (o miglior risposta) dell’incombent
in cui sfrutta il vantaggio della prima mossa, e quindi che distingua
tra capacità produttiva e quantità prodotta (cioè sono diverse). Se fa
C
questa distinzione tra capacità produttiva istallata e quantità
prodotta, il costo marginale dipenderà solo da w (costo del lavoro
H E
per ogni quantità prodotta).
D R2(m) Sull’ascissa sono riportate le due intercette che si riferiscono alle
due funzioni di risposta dell’incombent.
A K1 Y B
R2(m)= è la funzione di reazione (miglior risposta) del concorrente,
a-w1-r a-w1 X1 perché non distingue capacità produttiva e quantità prodotta,
prende solo una decisione, quindi il costo marginale per lui sarà
2b 2b invece w2+r2.

Intercette incombent

Completiamo il discorso che abbiamo visto l’ultima lezione.

 Se le due imprese si comportassero allo stesso modo (l’incombent non sfrutta il vantaggio
della prima mossa e quindi non fa nulla il primo periodo), significa che le loro decisioni sulla
capacità prodotta e sulla quantità sono decisioni simultanee, nel senso che l’incombent
decide nel secondo periodo la grandezza dell’impresa e la quantità prodotta (sono uguali).
Le loro decisioni sono simultanee e in questo grafico cosa ci sarà? Ci sarebbe solo R1(m) e
R2(m), l’incombent non decide prima strategicamente. È chiaro che, se nel mercato ci sono
tutte e due, l’equilibrio di Cournot che abbiamo supposto deve stare necessariamente in
un punto di incontro delle due funzioni di reazione. In questo caso, con decisioni
simultanee, l’equilibrio sarà in C, in questo caso la quantità corrispondente all’incombent
che non ha fatto strategie pari ad A. Questa quantità per l’incombent è la quantità minima
possibile per la posizione di equilibrio.
 Nel caso in cui l’incombent decidesse di sfruttare il vantaggio della prima mossa, la sua
funzione di reazione sarebbe R1(w). Abbiamo detto ieri sera: supponiamo che la quantità
limite (che possiamo determinare con l’esercizio fatto con il modello precedente) sia
talmente grande che non si pone il problema di produrre la quantità limite (sta molto a
destra nel grafico). Con la funzione di reazione R1(w) vediamo che c’è un nuovo equilibrio
di Cournot nel punto D, la quantità prodotta dall’incombent sarebbe in questo caso pari a
B.

Gli conviene all’incombent avere un equilibrio pari a D piuttosto che C? All’incombent gli
conviene perché produce molta più quantità rispetto a C, l’incombent restringe di molto in tal
caso il campo di azione del nuovo entrante. Il nuovo entrante è entrato relativamente poco
rispetto all’impresa esistente, è molto più piccolo rispetto all’impresa esistente.

Quadro completo: risolvendo le equazioni con i numeri viene fuori che la quantità limite è pari
ad Y, cioè gli conviene produrre questa quantità limite, abbiamo detto che bisogna quindi
concentrarsi sul segmento E- C. Cerchiamo di capire il perché. Se è questa la quantità limite
che produce, l’equilibrio non c’è. Quindi, E è meglio di D? Y è la quantità limite che non fa
entrare il concorrente potenziale, se questa quantità non lo fa entrare lo fa entrare con una
quantità limite più grande? Non ha senso. Questo punto Y esiste ed ha senso solo sulla carta,
nella costruzione generica in forma generale; però, operativamente parlando, il punto non
esiste se c’è questa quantità limite. All’incombent gli conviene produrre la quantità B?
Assolutamente no, perché quello non entra (già stato ucciso dal punto di vista dei profitti con
Y), produrre una quantità limite (trovata massimizzando, cioè portando a zero l’equazione)
superiore B non gli conviene, sarebbe una sciocchezza colossale, l’incombent già non ha fatto
entrare il concorrente potenziale con la quantità limite Y, non ha senso produrre una quantità
limite pari a B perché aumenta le quantità facendo scendere di molto i prezzi. Quindi se
produco la quantità limite pari a Y e mi è sufficiente per far uscire il nuovo entrante, il
segmento su cui mi devo soffermare per concludere il modello è E – C e non E – D. Se ho la
quantità limite ad Y, tutti i punti che stanno a destra non hanno senso di esistere, non ha senso
che l’incombent ci rimetta a tal punto per produrre una quantità pari a B. Il concorrente
potenziale chiaramente non entra in queste condizioni.

Ci concentriamo quindi solo sul segmento E – C.

 C = è il quadro in cui l’incombent non fa strategia.


 E = è il quadro in cui l’incombent ha fatto la strategia in cui si elimina il concorrente
potenziale dal mercato.
 Y è possibile che l’incombent lo scelga, ma non lo approfondiamo.

Dove l’incombent può andare a finire dipende dalla decisione che ha preso su k. Nelle nostre
quantità finali non compariva K, anche se c’è. Questa R1(w) è tracciata per l’incombent che
distingue capacità e quantità prodotta e che quindi sfrutta strategicamente la capacità, è tracciata
con riferimento all’investimento k, quindi k sottende questa situazione, cioè sta sotto questa
curva. Dove si andrà a finire (supponendo che E e C sono gli estremi)? Dipende dalla grandezza di
k. Supponiamo che l’investimento iniziale dell’incombent sia stato un k1 che dà una capacità
produttiva k1, quindi essendo che si trova sull’asce delle ascisse, k1 la è quantità massima
producibile dall’impresa con questo tipo di investimento. Stiamo supponendo questo:
l’incombent sfrutta la prima mossa e decide la capacità produttiva sulla base dell’investimento k
che sarà diversa dalla quantità che egli produce perché gli è utile strategicamente. Il punto k1 ci
dice che il nostro incombent ha fatto un investimento in capacità produttiva k1 che dà una
quantità massima producibile che abbiamo chiamato k1, questo punto k1 ci indica la capacità
produttiva, ovvero la massima capacità producibile dato l’investimento k1. In altre parole è X1
corrispondente a k1. Se il nostro incombent per aumentare la quantità lungo la nostra R1(w),
arrivato a quella quantità che corrisponde a quel punto di incontro con la verticale, che deve fare?
Arriva ad una quantità k1, ha fatto l’investimento k1, ha aumentato la quantità scendendo lungo la
funzione di reazione, arriva ad una quantità prodotta pari a k1 deve aumentare la capacità se
vuole produrre di più; non può più muoversi su questa funzione di reazione perché è stata
tracciata per k1, quindi la sua funzione di reazione nel secondo periodo (quando si produce) è data
da una spezzata R1(w) fino al punto k1; poi dato che ha raggiunto la massima quantità producibile
data quella capacità, da questo punto in poi, per aumentare la propria capacità, deve quindi
“saltare” sull’altra funzione di reazione R1(m) caratterizzata dal fatto che capacità produttiva e
quantità prodotta sono la stessa cosa. Deve fare ciò perché la capacità massima l’ha già toccata
nella prima funzione di reazione, ossia deve rivolgersi alla funzione di reazione R1(m) che è
tracciata per il simultaneo aumento/variazione di capacità e produzione. Se l’incombent ha fatto
l’investimento k1, la funzione di reazione del secondo periodo dell’incombent è data dalla
spezzata R1(w) che prosegue fino a k1, poi un tratto verticale fino alla funzione di reazione R1(m).
In tal caso dov’è l’equilibrio? In questo caso l’equilibrio è H, perché rispetto a C gli conviene
sicuramente perché aumenta la quantità.

CONCLUSIONE. Sintesi di quello che abbiamo detto.

Se non si sfrutta il vantaggio della prima mossa, l’equilibrio di Cournot è un equilibrio, ma è


l’equilibrio più sfavorevole possibile per l’incombent. Se sfrutta l’investimento sulla capacità
produttiva, può avere un equilibrio con più profitto.

In linea generale da C ad E sono equilibri possibili e sono equilibri che danno un profitto più alto
rispetto al profitto che può ottenere da C. Sfruttando il vantaggio della prima mossa gli consente di
ottenere un profitto superiore a C e gli consente strategicamente di competere con il concorrente
potenziale e quindi di riuscire a ridurre la sua quota di mercato, gli consente di ridurre lo spazio del
concorrente potenziale a vantaggio suo.

Y = rappresenta una quantità limite che abbiamo supposto, essa rappresenta la strategia
(decisione) più forte che elimina completamente l’ingresso del concorrente potenziale, nel caso in
cui la quantità limite si trovi lì, non è detto che sia la strategia più conveniente. Si tratta di un
risultato molto forte, non approfondiamo ulteriormente.
Ultima osservazione: questa impostazione (questo modello sulla capacità produttiva per
ostacolare l’entrata) offre una versione che supera un difetto molto importante della teoria del
prezzo limite; perché? Ricorda che abbiamo fatto una critica radicale alla teoria del prezzo limite,
nel senso che non si capisce perché l’impresa esistente, per timore che entrino nuove imprese,
produce una quantità che non gli massimizza il profitto (per evitare il danno se lo infligge da sola);
qui questa critica non è possibile perché tutto è completamente razionale e forte, perché in
qualunque punto ci piazziamo a destra di C, il nostro incombent fa comunque profitti e con Y lo
butta completamente fuori il nuovo entrante.

Cosa abbiamo visto in questo modello? In questo modello abbiamo visto un sovrainvestimento a
fini strategici, e da qui ripartiamo per un nuovo argomento; cioè un sovrainvestimento per limitare
la dimensione dell’entrante o addirittura non farlo entrare. Adesso dobbiamo chiarire ancora
questi concetti in un quadro molto generale, seguendo il testo presentando la situazione in
maniera molto semplice. Anche questo modello ha due stadi, due momenti, due periodi. C’è un
incombent, c’è un’impresa e c’è un concorrente potenziale.

ELENCO DI STRATEGIE POSSIBILI.


Questo argomento lo vedremo in termini generali, accompagnandolo con qualche esempio
specifico per vedere le sue applicazioni. L’incombent (l’impresa 1), nel primo periodo decide un
investimento (piano assolutamente generico, non dico in che consiste) k1, l’impresa (concorrente
potenziale) osserva l’investimento e decide se entrare o non entrare nel mercato.

 Se il concorrente potenziale non entra, l’impresa1 rimane sola (monopolista) e quindi il suo
profitto sarà il seguente:
πm ( k1 , x1mt ( k1 ))  il profitto del monopolista è funzione della decisione che ha preso
nel primo momento (investimento di capitale k1) e dalla effettiva azione nel periodo
periodo che indichiamo x1, azione fatta in regime di monopolio. Naturalmente,
quest’azione fatta in regime di monopolio dipenderà da k1. Situazione già vista: l’impresa 1
nel momento 1 fa un investimento e nel momento 2 l’altra impresa decide di non entrare.
 Se l’altra impresa guarda questo investimento e decide di entrare. Se il concorrente
potenziale entra, il monopolio si è trasformato in duopolio, e le imprese prendono le
decisioni nel secondo periodo. Nel secondo periodo avremo quindi:
π2 = ( k1 , x1 , x2). Il profitto del nuovo entrante è funzione dell’investimento che
l’incombent fa nel periodo 1, ma stiamo in un ambito strategico (ci sono strategie
d’impresa) e quindi il suo profitto non dipende solo da quello che fa l’impresa come
impresa entrante, ma dipende anche da ciò che fa anche l’incombent (la teoria dei giochi
guida tutto il corso). Anche la funzione di profitto dell’impresa incombent dipende da ciò
che fa lei nel primo e secondo periodo, ma anche da quello che decide di fare il nuovo
entrante nel secondo periodo. Cioè: π1 ( k1 , x1, x2 ).

Per rigore formale, dobbiamo indicare le seguenti ipotesi:

 Le funzioni di profitto sono differenziabili


 Se ci sono due imprese, esiste un equilibrio unico e stabile.

Bisogna ricordare che abbiamo specificato le situazioni possibili dei comportamenti delle imprese
esistenti (secondo Bain) in caso di nuovi entranti. Abbiamo rappresentato tre scenari:

1. Entrata bloccata. Per un qualche motivo non si può entrare. Se c’è l’entrata bloccata, le
imprese esistenti continuano a comportarsi come facevano prima, perché non sussiste il
pericolo di ingresso.
2. Entrata ostacolata. C’è un pericolo di entrata, il comportamento delle imprese esistenti
muta per rendere difficile l’entrata di nuove imprese.
3. Comportamento accomodante. Le imprese esistenti ritengono più conveniente accettare
l’ingresso piuttosto che sostenere costi per evitarlo.

Questo è stato il succo del discorso. Ora, studieremo principalmente che cos’è l’entrata ostacolata
e che cos’è il comportamento accomodante.

2) ENTRATA OSTACOLATA.

Scriviamo tutto a livello formale. L’entrata ostacolata l’abbiamo quando la scelta dell’incombent
strategica sull’investimento k1 dà luogo ad un equilibrio se l’impresa entra che è caratterizzato in
questo modo:

π2 ( k1 , x* ( k1 ) , x2 * ( k2 )) < 0  è quel comportamento / scelta strategica dell’incombent che


da luogo ad un equilibrio dove si andrebbe a determinare un profitto negativo.

* = in questi casi indica l’equilibrio.

3) COMPORTAMENTO ACCOMODANTE.

Lo definiamo in modo parallelo al precedente:

π2 = ( k1 , x1* ( k1 ) , x2* ( k1 ) ) > 0  nel caso di comportamento accomodante dell’incombent, il


concorrente potenziale che entrato (in equilibrio di Nash) ha un profitto positivo.

* = anche qui indica equilibrio.

In quale situazione ci troveremo? La risposta dipenderà da cosa conviene fare all’incombent,


questo noi non lo sappiamo, ci troviamo in una delle scelte viste a seconda della scelta razionale
fatta dall’incombent che fa i suoi interessi; cioè che razionalmente decide se fare un’entrata
ostacolata o se attuare un comportamento accomodante.

Noi non indaghiamo su cosa conviene all’incombent (se ostacolare o se accomodare). Su cosa
indaghiamo allora? Noi indaghiamo nell’uno e nell’altro caso (entrata ostacolata o
comportamento accomodante) che cosa in concreto deve fare l’incombent. Non indaghiamo cosa
gli conviene fare praticamente, diciamo solo cosa deve fare l’incombent se effettua l’una o l’altra
decisione.
Se vuole realizzare l’entrata ostacolata, cosa deve fare con l’investimento? Ossia, all’incombent gli
conviene sovrainvestire o sotto investire (deve essere grande o piccolo)? Dobbiamo rispondere al
quesito “cosa deve fare l’incombent con k1”. E anche nell’altro caso (entrata accomodata), ci
chiediamo come deve essere k1 se l’incombent ha deciso di farlo entrare.

Ovviamente, l’entrata bloccata non ha nulla da studiare, non è un problema di teoria economica.

2) ENTRATA OSTACOLATA.
La prima cosa che c’è da dire è che l’incombent non lo vuole fare entrare. Questa cosa è in termini
generali. È chiaro che all’incombent conviene il più basso livello di k1 che rende il profitto del
concorrente potenziale uguale a zero. L’incombent fa investimento per ostacolare l’entrante,
quindi farà l’investimento più piccolo che gli consente l’uguaglianza, non gli conviene fare un
investimento enorme se con un investimento un po’ più basso riesce a non far entrare il
concorrente potenziale (cioè investimento che gli consente di rendere nullo il profitto potenziale).

Se parliamo di entrata ostacolata, è chiaro che dobbiamo studiare l’effetto di k1 (investimento


impresa 1) sul profitto della 2; dobbiamo vedere cosa fa questo investimento sul profitto della 2,
quindi devo derivare il profitto della 2 rispetto a k1. Facciamolo.

∂π2 = ∂π2 + ∂π2 * ∂πx1 + ∂π*2 * ∂x2*

∂π1 ∂x1 ∂x1 ∂k1 ∂x2 ∂k1

1 2 3

Funzione di funzione derivata ultimo periodo

Questo è il differenziale che faccio per vedere l’effetto dell’investimento fatto dall’incombent sul
profitto del mio concorrente potenziale. Ci sono delle cose da vedere.

1. Sto derivando in equilibrio. È l’effetto dell’azione della 2 sul profitto della impresa 2. Se
stiamo in equilibrio, questa derivata sarà pari a zero dato che si massimizza una cosa
collegata all’azione di qualcun altro. Questo elemento possiamo non considerarlo perché è
pari a zero, sto derivando in un punto di massimo.
2. Effetto diretto di k1 sul profitto della impresa 2. Questo effetto diretto potrebbe essere
spesso nullo. È chiaro che k1 ha un effetto su entrambe. È un effetto che non consideriamo
anche se questo effetto può non essere nullo.
3. Questo è l’elemento che consideriamo, perché è l’effetto strategico. L’effetto strategico ci
dice come l’investimento k1 incide sull’azione della 1 (dell’incoment) e come la sua azione
dell’incombent incide sul profitto sulla 2 (nuovo entrante).

CONCLUSIONE: questo lo posso scrivere anche in modo più compatto come:


È il terzo elemento più specificato. Se l’investimento dell’incombent rende l’incombent aggressivo verso il nuovo
∂π2
entrante, il che significa che questa frazione è negativa, cosa deve fare l’incombent? Se lo rende aggressivo a causa
del segno negativo dell’effetto strategico, l’incombent deve sovrainvestire nel caso in cui l’altra viene danneggiata da
∂k1
questo investimento (derivata negativa). Se l’investimento non lo rende aggressivo, quindi la derivata fosse positiva,
l’incombent deve sotto investire cioè si deve fare piccolo dato che l’investimento non danneggia l’altra impresa.
L’effetto strategico negativo si abbina a sovrainvestimento (ne deve fare tanto), quello positivo si abbina invece a
sottoinvestimento
LEZIONE 11 APRILE 2019.
Entriamo nella parte conclusiva del corso con un elenco di strategie legate a barriere all’entrata.
Questa parte mette in una qualche formalizzazione semplice dei concetti, aspetti che abbiamo
indicato tempo fa, che sono:

1. Entrata bloccata.
2. Entrata ostacolata.
3. Comportamento accomodante.

Naturalmente, per quanto riguarda l’entrata bloccata non c’è nulla da dire a riguardo dell’analisi
economica perché l’entrata è bloccata perché ci sono degli elementi che rendono impossibile
l’ingresso quindi le imprese continueranno a comportarsi come al solito. Quello che ci interessa
sono l’entrata ostacolata e comportamento accomodante.

2) ENTRATA OSTACOLATA.

Il nostro quadro molto semplificato è il seguente. C’è un’impresa esistente che fa un investimento
nel primo periodo (due periodi di riferimento) in senso ampio (no focus sul tipo di investimento) e
c’è un concorrente potenziale che vuole entrare e decide se entrare o meno. Questo quadro
generale dipende dall’iniziale decisione dell’incombent (investimento). Il profitto, in questa
situazione presentata, dell’impresa esistente 1 è il seguente:

π1 = ( k1 , x1 ( k1 ) , x2 ( k1 ) )  il profitto dell’impresa esistente dipende dalla decisione


sull’investimento presa nel primo momento e da cosa fanno le imprese nel secondo periodo, che
dipenderà quindi dalle azioni della x1 che dipende dall’investimento fatto e dipenderà anche
dell’azione dell’impresa 2 che dipenderà dall’investimento fatto.

Stessa cosa vale anche per il profitto dell’impresa 2:

π2 = ( k1 , x1 ( k1 ) , x2 ( k1 ) ).  il profitto dell’impresa 2 dipenderà dall’investimento iniziale


dell’impresa 1 nel momento 1 e dipende dalle azioni fatte nel momento successivo dall’impresa 1
che dipende da k1 e dell’azione dell’impresa 2 che dipende sempre da k2.

L’entrata ostacolata significa che l’investimento k1 fatto dall’impresa 1 nel periodo 1 è stato tale
che il profitto della impresa 2 in equilibrio non è positivo. Mentre invece nel comportamento
accomodante significa che in equilibrio il profitto dell’impresa 2 (con investimento k1) è positivo,
quindi se ha profitto positivo il concorrente potenziale è entrato.

Queste sono le cose in generale. La volta scorsa abbiamo illustrato parzialmente l’entrata
ostacolata che rivediamo oggi. Cosa preliminare da dire: ci troviamo quindi in entrata ostacolata o
in comportamento accomodante? Questo non lo analizziamo noi, noi siamo consapevoli che
l’incombent è razionale e sceglierà la strategia a lui più conveniente: sceglie di accomodare
(accogliere) se gli conviene fare una strategia del genere. Il nostro problema non è capire qual è la
decisione giusta, ma capire (una volta che l’incombent ha la decisione) che cosa in concreto deve
fare l’incombent con quel k1, se deve farlo molto grande (sovrainvestire) o farlo molto piccolo
(sotto investire). È questo il nostro quesito. Noi accettiamo la decisione dell’incombent che è
razionale e ci chiediamo cosa deve fare dopo aver preso la decisione.

Entrata ostacolata significa proprio questo, cioè che l’incombent ha deciso di ostacolare l’ingresso.

Per capire che cosa deve fare l’incombent dobbiamo vedere l’effetto della sua decisione (k1) sul
profitto del concorrente potenziale che entra. Come sceglierà l’incombent k1 se non vuole fare
entrare il concorrente potenziale? L’incombent che non vuole far entrare il concorrente potenziale
sceglierà l’investimento più piccolo possibile (l’investimento necessario dato che non
necessariamente è piccolo), ovvero un livello di investimento tale da rendere il profitto
dell’entrante minore di zero. È chiaro che non fa un k1 di un valore superiore se non fosse
necessario per annullare il profitto del nuovo entrante. La cosa fondamentale è scegliere k1 in
modo tale che il concorrente potenziale non entra.

Formalmente, tutto ciò significa derivare il profitto della impresa 2 rispetto a k1 e ragionare su
questo. Facciamo questo differenziale nel totale del profitto della 2, riferendoci ad una situazione
di equilibrio. Rifacciamo anche qui il differenziale che abbiamo fatto l’ultima volta:

∂π2 = ∂π2 + ∂π2* * ∂x1* + ∂π2 * ∂π2*

∂k1 ∂k1 ∂x1 ∂k1 ∂x2 ∂k1

1 2 3

X1 è funzione di k1, quindi dobbiamo derivare una cosa in funzione di un’altra cosa.

1) Derivo il profitto di x2 (che dipende da x1, cioè le decisioni fatte da x1) che dipende da k1.
2) Derivo 1 in equilibrio rispetto a k1.
3) Devo derivare x2 in funzione di k1.

Abbiamo osservato che l’elemento 1 è un effetto diretto che può essere nullo, non ci interessa
cioè che incide il profitto della 1 in modo immediato senza incidere sul profitto della 2; poi
abbiamo osservato che l’elemento 2 è la derivata del profitto della 2 rispetto all’azione della 1 in
equilibrio (cioè la 2 sta massimizzando), questa derivata è nulla se stiamo in equilibrio e quindi
stiamo massimizzando il profitto (ciò implica che la derivata prima è nulla); tutto si riduce a capire
qual è l’effetto di k1 sulla due cioè sul 3* elemento che è l’effetto strategico perché ci dice qual è
l’effetto di k1 sull’azione dell’impresa 1 e poi qual è l’effetto dell’azione della impresa 1 sul profitto
della impresa 2; ci da quindi la consecutio dell’effetto strategico.

Sottolineato il senso di questa espressione, abbiamo dato poi dato una definizione, cioè se
quest’investimento k1 rende l’impresa aggressiva o non la rende aggressiva. Questo pezzo 3, nella
sostanza, è l’effetto di k1 sul profitto della 2, sottolineando il tragitto, la conclusione qual è? Cioè
che effetto realizza k1 sul profitto dell’impresa 2 (ovvero π2).

Quindi, isoliamo soltanto l’ultima parte del terzo elemento ed analizziamolo.


Se l’effetto strategico è negativo, significa che l’investimento sta rendendo aggressiva l’impresa 1, l’impresa
1 è aggressiva se il suo investimento danneggia il profitto dell’impresa 2. Allora, se l’investimento rende
∂π2  l’incombent aggressivo verso l’impresa entrante, questo significa che c’è un effetto negativo sul concorrente
potenziale, quindi l’incombent che vuole ostacolare l’entrata dell’impresa 2 danneggiando il suo profitto
∂k1 potenziale deve sovrainvestire. Se l’investimento non rende l’incombent aggressivo, cioè che l’investimento
fosse positivo (cioè non crea danni verso il nuovo entrante), l’incombent deve invece sotto investire perché
non lo vuole fare entrare, perché in questo caso l’investimento k1 è una cosa che avvantaggia il concorrente
potenziale. Questo perché stiamo parlando di entrata ostacolata.

Un esempio che possiamo fare, rendendo la faccenda ancora più semplice, è un riferimento
ancora più schematico al modello che avevamo in precedenza. Se faccio riferimento a questo
modello, l’investimento è un investimento in capacità produttiva e le azioni del secondo periodo\\
sono delle azioni sulle quantità. Questo nel caso in cui il concorrente potenziale entrasse.
FUNZIONE DI REAZIONE.
Q2
Che deve fare l’impresa 1 in questo contesto? È chiaro che se
R1 R1’ l’incombent aumenta la sua capacità produttiva riduce lo
spazio sull’altra, il profitto risulta quindi negativo.
L’incombent si deve spostare verso destra, il suo
comportamento è rappresentato dalla freccia che va verso
destra. Questo è un esempio molto semplificato costruito
sulla base dei modelli che abbiamo studiato finora. Se le
R2
azioni sono rappresentate dalla determinazione delle
quantità prodotte allora l’entrata ostacolata significa
aumentare queste quantità, occorre quindi sovrainvestire.
Q1

3)COMPORTAMENTO ACCOMODANTE.

Di nuovo, noi dobbiamo di nuovo capire cosa deve fare questa nostra impresa monopolista
(incombent). Per vedere cosa gli conviene fare in concreto all’incombent, dobbiamo andare a
vedere l’effetto di k1 sul profitto della impresa 2? La risposta è no, perché l’incombent lo fa
entrare, quindi per capire che cosa in concreto gli conviene fare all’incombent dobbiamo vedere
qual è l’effetto che k1 ha sul suo di profitto (sul profitto di impresa 1). Quindi, quel differenziale lo
dobbiamo fare con riferimento al profitto dell’incombent (ragionando sempre in equilibrio).

Dobbiamo fare quindi, come prima, il differenziale di questa complessa funzione.

∂π1 = ∂π1 + ∂π1 * ∂π2 + ∂π1 * ∂x2

∂k1 ∂k1 ∂πx1 ∂k1 ∂x2 ∂K1

A B C

A. Questo è l’effetto diretto, immediato, senza elementi strategici su π1.


B. Qui possiamo fare un’osservazione analoga a quella che abbiamo fatto nel caso
precedente. Se stiamo in equilibrio e la nostra impresa sta massimizzando, questa derivata
è nulla appunto perché stiamo derivando. Quindi, applicando un teorema che non
vedremo in questa sede, questa derivata risulta nulla.
C. Questo è l’effetto strategico che dobbiamo studiare; questo effetto strategico ci dice come
k1 (investimento dell’incombent) agisce/influisce sull’azione del concorrente potenziale
che entra e come l’azione del concorrente potenziale che entra influisce sul profitto
dell’incombent che ha fatto entrare il concorrente potenziale.

OSSERVAZIONE 1. Facciamo un’osservazione di fondo, ovvero la conclusione. La conclusione qual


è? Se questo effetto strategico è positivo, l’incombent deve sovrainvestire; se l’effetto strategico è
negativo bisogna sotto investire. Naturalmente la conclusione generale è questa, dobbiamo capire
il significato dell’effetto strategico. Bisogna approfondire questa vicenda. La prima cosa da vedere
è la seguente: noi assumiamo (assunzione legittima) che le due azione abbiano la stessa natura,
vale a dire, che cosa supponiamo?

∂π1  questo è l’effetto dell’azione della impresa 2 sul profitto dell’impresa 1

∂x2

Supponiamo che:

∂π1 e ∂π2

∂x2 ∂x1 (effetto dell’azione 1 sul profitto dell’impresa 2)

Se le due azioni hanno la stessa natura/caratteristica, che vuol dire? Se le azioni hanno la stessa
natura significa che il segno delle due derivate è lo stesso.

 Segno negativo. Le azioni delle due imprese si muovono in maniera opposta L’esempio
tipico che x1 e x2 siano le quantità: se aumentano le quantità dell’una il profitto dell’altra
scende. Se aumentano le quantità dell’impresa 2 questo danneggia l’impresa 1
riducendone il profitto. Questo tipo di azioni sono sostituti strategici (più c’è l’una azione
meno c’è l’altra azione).
 Segno positivo. Le azioni delle due imprese si muovono insieme. L’esempio tipico è relativo
ai prezzi.

Quindi è lecito pensare che le azioni abbiano la stessa natura, cioè il segno con cui si influenzano
tra di loro è lo stesso. Dipende ovviamente quali sono le caratteristiche del mercato.

OSSERVAZIONE 2.

∂x2 * ∂x1

∂x1 ∂k1

Questa derivata la possiamo mettere anche in questo modo. Questa derivata è l’effetto di k1
sull’azione della 2, questa cosa la posso descrivere come l’effetto di k1 sull’azione della 1 e quindi
l’effetto della 1 sull’azione della 2. Questo è un effetto strategico, cioè valuto l’investimento in
funzione del profitto di quell’altra impresa. L’effetto strategico lo specifico in questo modo, questa
derivata è quello che abbiamo visto prima specificata ulteriormente nel suo tragitto. Questo è un
effetto strategico. Come leggiamo questa cosa?
è l’inclinazione della funzione di reazione dell’impresa 2. Cioè
∂x2 
come reagisce x2 se si muove x1. È la funzione di reazione della 2
∂x1 in relazione alla sua inclinazione. La funzione di reazione R1’ è
una derivata e quindi è funzione di reazione che dipende da x1.

Qui vediamo che possiamo mettere questo effetto strategico in modo composito ed interessante.

∂π2 * ∂x1

∂x1 ∂k1

1 2

Ho scritto questa cosa, adesso vediamo quello che devo scrivere. Devo scrivere che il segno di
questo effetto strategico dipende da due cose:

Segno ∂π1 * ∂x2 = Segno ∂π2 * ∂x1 * Segno R’2 ( x1 )


segno
∂x2 ∂k1 ∂x1 ∂k1

1 2

Visto che i numeri specifici saranno ovviamente diversi, io mi devo concentrare sul segno delle
cose che ho scomposto, posso riorganizzare questi tre elementi della derivata in questo modo,
cioè concentrandomi sul segno (lo abbiamo visto sull’effetto strategico). Il segno dell’effetto
strategico viene a dipendere da tre cose che devono essere moltiplicate che abbiamo organizzato
in questo modo appena scritto (divisi nei due riquadri); scritto così io specifico che il segno
dell’effetto strategico in caso di comportamento accomodante (che è la cosa che dobbiamo
studiare) dipende da due elementi che hanno un importante e chiaro significato economico.

1. Questo elemento lo abbiamo già visto, il primo pezzo è rappresentato dall’effetto diretto
(primo elemento della formula quando abbiamo derivato la prima volta). Questo è l’effetto
strategico dell’investimento sul profitto dell’impresa 2, come nel caso precedente. Da cosa
dipende l’effetto strategico nel caso di comportamento accomodante? L’effetto strategico
dipende dal fatto che se l’investimento rende l’impresa aggressiva o no (è la stessa cosa del
caso precedente, è la stessa causa di prima)
2. Inclinazione di funzione di reazione, che significa che cosa? L’inclinazione della funzione di
reazione che cosa identifica? Identifica se le azioni sono sostituti strategici o complementi
strategici. L’inclinazione è positiva quando le azioni sono sostituti strategici, ed è negativa
quando le azioni sono sostituti strategici. Il segno dell’effetto strategico in caso di
comportamento accomodante dipende da due cose: dipende dal fatto che l’investimento
rende l’impresa o meno aggressiva, e dal tipo di azioni di cui si tratta (complementi
strategici o sostituti strategici a seconda dell’inclinazione della retta).
Sono possibili quattro risultati. Il Tirol, da anglosassone, da al comportamento dell’incombent una
qualche forma di animale, in italiano questi animali non sarebbero molto apprezzati.

1. SEGNO NEGATIVO. Significa che l’investimento rende l’impresa aggressiva e supponiamo in


questo caso che l’inclinazione della funzione di reazione sia negativa. Quindi, il segno
dell’effetto strategico qual è? Il segno dell’effetto strategico è positivo ( - * - = + ). In questo
quadro, l’incombent (monopolista) lo fa entrare il concorrente potenziale, però deve
decidere come comportarsi, in questo caso come si sta comportando? L’incombent lo fa
entrare, ma si comporta in modo tale che il concorrente potenziale rimanga piccolo, le
azioni sono sostituti strategici, questo fa un grande investimento per avere una grande
capacità produttiva (una grande forza) che contiene anche l’altro concorrente che entra.
Questa strategia, secondo l’autore, si chiama strategia del capo branco. L’incombent lo fa
entrare ma deve comandare lui. Per l’incombent, accettare l’ingresso vuol dire cercare di
effettuare una strategia che gli comporti meno danni dati dall’ingresso, cioè che questo
ingresso non gli nuocia. L’incombent lo fa entrare, ma gli induce un’azione meno aggressiva
da parte dell’altra impresa (concorrente potenziale).
2. L’investimento rende aggressivo l’incombent, ma le azioni sono complementi strategici,
cioè il segno positivo, il segno dell’effetto strategico è negativo.

- = - +

Effetto strategico Incombent aggressivo complementi strategici, le azioni si muovono


investim. Aggressivo insieme.

Qual è il senso del comportamento dell’incombent? In questo caso, l’investimento rende


l’impresa aggressiva, però una volta che il concorrente potenziale è entrato le due imprese
si muovono insieme. Questo è il quadro in cui l’incombent si fa piccolo, nel timore di una
politica aggressiva da parte del concorrente potenziale, cioè per evitare che il concorrente
potenziale che entra sia aggressivo. Dato che l’investimento k è un segno di aggressività, il
concorrente potenziale che entra sia aggressivo; ma se deve evitare questo, visto che
l’investimento k gli da un’immagine di aggressività, deve sotto investire quindi si deve
rendere piccolo, ne deve fare poco l’investimento (l’animale di riferimento è un cucciolo è
un animale che rende l’idea che si fa piccolo per evitare la guerra). Il caso precedente è
diverso da questo perché l’incombent si fa grande per ridurre il più possibile il mercato al
concorrente potenziale che entra. Un esempio su questo secondo scenario, le azioni del
secondo periodo potrebbero essere delle politiche di prezzo.

3. L’investimento rende l’incombent non aggressivo, però c’è segno negativo e quindi anche in
questo caso bisogna investire.
- = + -
Effetto l’investimento non sostituti
Strategico la rende aggressiva strategici
Questo terzo quadro il segno positivo dice che non rende aggressiva l’incombent, però le
azioni sono sostituti strategici, quindi il risultato è un segno negativo e quindi diventa una
strategia accattivante.
4. È un caso più quieto, nel senso che non c’è lotta tra le imprese: le imprese si muovono
insieme perché sono complementi strategici, il segno positivo non implica un’aggressività
qui non è una minaccia.
+ = + +
Effetto L’investimento non rende azioni sono dei
Strategico l’impresa aggressiva complementi strategici.
LEZIONE 15 APRILE 2019.
Penultima lezione del primo modulo. La lezione scorsa abbiamo trattato il comportamento
accomodante, cioè come deve comportarsi l’impresa (sovrainvestimento e sottoinvestimento),
questo comportamento è collegato a due aspetti: cioè se questo investimento renda l’azienda
aggressiva oppure no, e che le azioni delle imprese siano definite come sostituti strategici e come
complementi strategici. Abbiamo visto, in relazione a ciò, quattro casi possibili. Non abbiamo
tempo per tornare in modo dettagliato sul tema. Il testo presenta vari esempi di questi casi, faccio
un accenno ad esempio al modello di origine dixit: è un modello in cui l’investimento di primo
periodo è un investimento in capacità produttiva.

Indichiamo però due cose conclusive:

1. Supponiamo che nel primo periodo c’è un investimento in capacità produttiva;


2. Nel secondo periodo le imprese, supponiamo che si facciano concorrenza sulle quantità
oppure sui prezzi.

Abbiamo due scenari:

1. Il primo scenario, l’investimento dell’incumbent nel primo periodo è sulla capacità


produttiva e nel secondo periodo si fa concorrenza sulle quantità (situazione molto simile a
quella descritta dallo studioso Dixit).
2. Il secondo scenario, nel primo periodo si fa un investimento in capacità produttiva, però
nel secondo periodo si fa concorrenza sui prezzi. Questo è un quadro molto diverso, che
non ha nulla in comune con Dixit.

VEDIAMO ORA IL PRIMO SCENARIO.

Le azioni del secondo periodo che azioni sono? La concorrenza è sulle quantità, quindi abbiamo
che le azioni sono sostituti strategici. In questo quadro, il comportamento accomodante che cosa
ci indica? Che cosa ci dà? Le quantità, le azioni sono sostituti strategici. Che deve fare l’impresa in
questo quadro? L’effetto strategico in caso di comportamento accomodante ha un segno che
dipende dai seguenti due segni:

 Se l’investimento rende o no l’impresa agressiva;


 Se le azioni sono sostituti strategici o complementi strategici.,

Nel comportamento accomodante, l’incombent che problema si pone? Si pone il problema di


vedere questi segni che effetti danno sul suo di profitto: se l’effetto dell’investimento è positivo,
l’incumbent deve sovrainvestire, come si confronta con gli altri due elementi?

 Se l’investimento rende aggressiva o non aggressiva dipende se il segno è positivo (impresa


aggressiva) e segno negativo (impresa non aggressiva).
 Lo stesso vale per le azioni fatte dalle imprese, quindi se sono sostituti strategici o
complementi strategici (ce lo indica l’inclinazione della retta).
Comportamento accomodante significa che l’impresa accetta l’ingresso del concorrente
potenziale, dai segni viene fuori.

Se per esempio l’impresa effettua un comportamento accomodante, l’impresa fa nel primo


periodo questo investimento k e nel secondo periodo le azioni sono sostituti strategici (perché si
fa cocorrenza sulle quantità), viene fuori che il segno della strategia dell’incumbent nel caso del
comportamento strategico ha un segno positivo (caso primo dei quattro): in questo caso
l’incumbent deve sovrainvestire e si accetta l’ingresso. Quindi che sta facendo l’impresa? Accetta
l’ingresso ma lo fa dimostrando di essere molto forte, dando segnali di forte aggressività, costringe
l’impresa che entra ad essere piccola. Questo incumbent ha l’atteggiamento da capobranco,
questo se le azioni sono sostituti strategici, in questo caso l’impresa accetta ma sovrainveste;
quindi questa strategia possiamo dire in questo caso che è la strategia buona sia nel caso di
comportamento accomodante sia nel caso di entrata ostacolata, con l’entrata ostacolata anche in
questo caso l’investimento rende l’impresa aggressiva e quindi deve sovrainvestire (per evitare di
fare entrare il concorrente potenziale). Anche in questo primo caso con entrata ostacolata
conviene fare la stessa cosa, cioè conviene sovrainvestire ma con un altro scopo, non di non farlo
entrare ma di farlo entrare ma di farlo stare “al posto suo”.

VEDIAMO IL SECONDO SCENARIO.

In questo secondo scenario si fanno concorrenza i prezzi. In questo caso, se nel secondo periodo si
fa la concorrenza dei prezzi, i prezzi sono qualcosa di pericoloso, bisogna stare attenti perché
possono essere la fonte di una guerra. Se andiamo a vedere i segni, viene fuori che la concorrenza
si effettua sui prezzi, viene fuori che conviene sotto investire cioè lasciare un segnale di non
aggressività.

LIMITAZIONE VOLONTARIA DELLA CAPACITà.

È un altro esempio, analogo al precedente. Questo è uno scenario in cui si effettua una limitazione
volontaria della capacità, nel secondo periodo si tratta di una concorrenza dei prezzi. Dai segni
viene chiaro (non ci soffermiamo) che questo effetto strategico in caso di riduzione volontaria
della capacità ha un segno negativo. Quindi in tal caso bisogna sotto investire. Che cosa si tratta?
L’impresa limita volontariamente la capacità a quale scopo? Capiamolo dal punto di vista
economico: se c’è una concorrenza sui prezzi, una grande capacità implica una grande quantità
prodotta, quindi una grande impresa; il segnale che viene lanciato è nella direzione di
abbassamento dei prezzi (il prezzo è piccolo, basso), quindi l’impresa che entra sarà costretta ad
una competizione sui prezzi a ribasso. L’impresa che entra, se vuole sopravvivere, in questo
scenario, deve abbassare il più possibile i prezzi, questo scenario si presta molto (molto aperto) ad
una competizione sui prezzi cattiva, con effetti negativi sul profitto. Dunque, che segnale deve
lanciare con questo sotto investimento? Deve lanciare un segnale che non vuole fare una guerra
dei prezzi e che vuole mantenere un prezzo elevato, e quindi mantenere dei prezzi che
garantiscano un elevato profitto. Questo segnale di cui stiamo parlando, lo lancia attraverso una
limitazione della propria capacità, mantenendo la capacità limitata (che è una decisione di tipo
strategico) per non suscitare una competizione dei prezzi che può essere dannosa, per non indurre
un comportamento aggressivo dell’altra impresa. L’incumbent lancia un segnale di non
aggressività per non sollecitare aggressività da parte dell’altra impresa, questo segnale di non
aggressività rappresenta la riduzione volontaria della capacità.

Concluso questo macro argomento: i principali argomenti che abbiamo trattato sono stati
ostacolare l’ingresso o come si pongono le imprese nell’ingresso di altre imprese.

Rimane da studiare l’altra faccia dell’altra medaglia, che è cosa possono fare le altre imprese per
buttare fuori dal mercato le altre imprese concorrenti.

PREZZI PREDATORI E IL PARADOSSO DEI GRANDI MAGAZZINI.


Anche questo è un tema importante che vedremo in modo veloce. È l’argomento che tratta come
buttar fuori un concorrente.

PREZZI PREDATORI
Che sono i prezzi predatori?

= Sono riduzioni temporanee di prezzo da parte dell’impresa dominanti, il cui obiettivo, non
è tanto quello di ampliare il suo mercato, ma quello di far fuori i propri concorrenti, cioè di
contenere l’offerta.

L’impresa abbassa il prezzo in modo predatorio. Nel primo periodo il prezzo scende al di sotto del
costo unitario (o almeno al costo medio), quindi se c’è una discesa del prezzo al di sotto del costo
medio, l’impresa incorre in perdite. Affinché la strategia risulta conveniente per l’impresa, il flusso
delle perdite risultanti dal primo periodo deve essere compensato dal flusso di profitti del secondo
periodo. Il successo di tale strategia dipende dalla capacità di resistenza del predatore nella guerra
dei prezzi. La strategia può durare a seconda della grandezza finanziaria dell’impresa che la
applica. Questa capacità di solito è legata positivamente dalla dimensione: una grande impresa, di
solito, è finanziariamente più forte, dunque ha maggiore facilità di ottenere risorse finanziarie e
mercato più ampio.

Dal punto di vista del benessere sociale, che cosa possiamo osservare? Dal punto di vista del
benessere sociale, può anche essere una politica piuttosto “cattiva”, pertante il danno potenziale
di una politica dei prezzi predatori è evidente se il predatore ha una tecnologia non migliore di
quella posseduta dalle altre imprese. Un predatore finanziariamente forte, riesce a fare una
politica predatoria, se questo predatore che riesce a fare questa politica non ha una grande
tecnologia (non è migliore di altre), è una cosa negativa dal punto di vista del benessere sociale.

La strategia dei prezzi predatori è legale? No. Questo è un argomento importante dell’antitrust, è
un caso importantissimo per la difesa della concorrenza, quindi l’antitrust ha materia d’intervento.

Ad esempio, imprese che operano sul mercato locale ed hanno un prodotto migliore, potrebbero
essere escluse con una guerra dei prezzi da un concorrente che opera già su più mercati. Questo
esempio è interessante: ci fa vedere una grande impresa che opera su più mercati e un’impresa
locale che opera sul mercato locale. Se l’impresa locale ha una buona tecnologia, essa può essere
messa in difficoltà dall’impresa predatrice in un modo cattivo, inaccettabile. Il predatore, in questo
caso, attuerebbe una politica di discriminazione dei prezzi (prezzi diversi sui diversi mercati locali)
per finanziare la guerra dei prezzi su un mercato locale.

NB: se il predatore ha una tecnica migliore di altre imprese concorrenti, non c’è nulla da dire.

Le cause per i prezzi predatori sono più difficili da appurare dall’antitrust. Sono cause difficilissime,
perché non è facile capire se ci sono oppure no prezzi predatori. Se il predatore invece avesse una
tecnica migliore e potesse fissare un prezzo inferiore al costo medio del concorrente senza avere
perdite sul mercato locale, non vi sarebbe motivo per un intervento da parte dell’antitrust contro
tale tipo di politica. In questo caso, se ci fosse una causa, l’antitrust non dovrebbe condannare
l’impresa perché non è un predatore, in questo caso la riduzione dei prezzi è solamente di natura
economica: infatti, il prezzo apportato è inferiore al costo medio dell’impresa concorrente però
non è inferiore al costo medio dell’impresa che lo applica, perché appunto non è una politica
predatoria sui prezzi, tale impresa sta applicando un prezzo legato alla sua tecnica. In tal caso, il
“predatore” sta attuando una sua normale tecnica di vendita e non sussistono casi di prezzi
predatori, perché l’impresa ci guadagna da tale politica, non ci perde.

Il problema è che non è facile distinguere una politica dei prezzi predatori e una politica dei prezzi
concorrenziali, è un tema molto complicato, è un argomento molto nuovo in economia, crescita e
sviluppo. Questo è il quadro.

Una politica dei prezzi predatori è razionale o no? C’è stato un ampio dibattito della letteratura,
dove ci si domanda se la politica dei prezzi predatori deriva da un comportamento razionale
oppure no. Questo è il nostro primo tema.

Scuola di Chicago. Questa scuola ha da sempre tenuto un atteggiamento di neoliberismo, ha avuto


un atteggiamento perplesso su questo tipo di strategia: secondo loro, la strategia dei prezzi
predatori è irrazionale e inesistente. Si dice: la minaccia da parte di un monopolista di una guerra
dei prezzi nei confronti di qualsiasi nuova impresa che entri sul mercato non è credibile.
Ritroviamo qui argomenti che abbiamo già trattato. La guerra dei prezzi danneggerebbe piuttosto
che favorire il monopolista.
LEZIONE 16 APRILE 2019.
PREZZI PREDATORI.
Questo argomento tratta di riduzioni di prezzo fatte non in modo “costruttivo”, ma fatte apposta
per far uscire dal mercato il concorrente. Questo è un argomento di grande interesse perché è un
comportamento lesivo per la concorrenza.

Funzione dell’antitrust è quella di eliminare questo tipo di comportamento per tutelare la


concorrenza, perché queste politiche di prezzo non sono il frutto di un miglioramento tecnologico,
ma servono per danneggiare i concorrenti.

Questo problema è molto difficile da appurare, nella letteratura il dibattito è stato molto ampio
sulla razionalità o no della politica dei prezzi predatori. La scuola di chicago ha apportato i suoi
dubbi sulla razionalità di tale politica: la minaccia di applicare una tale politica dei prezzi da parte
del monopolista verso qualsiasi impresa che cerca di entrare sul mercato, non è una minaccia
credibile. È un concetto che abbiamo già incontrato (minaccia non credibile).

Cerchiamo una giustificazione per l’uso della politica dei prezzi predatori. Una giustificazione di
una strategia predatrice potrebbe essere la seguente: in termini stretti, una politica predatoria sul
mercato potrebbe dare all’impresa una reputazione di aggressività; se nuove imprese possono
entrare nel mercato, una risposta predatrice basata su una guerra dei prezzi in un certo momento
e in un certo mercato, potrebbe segnalare ai futuri concorrenti potenziali che la risposta del
monopolista sarà altrettanto decisa anche in altri mercati in cui opera quest’impresa. Nella
sostanza, se questa impresa attua su un mercato una politica dei prezzi predatori, questa impresa
sta lanciando un segnale di aggressività che può sconsigliare l’ingresso di altre imprese (di
concorrenti potenziali che desiderano entrare anche in altri mercati in cui opera il monopolista).

In altri termini, attraverso la guerra dei prezzi in un mercato si può costruire una reputazione di
aggressività che può essere usata anche in altri mercati. Questo è il senso. Ora, dobbiamo vedere
se questa politica ha un senso, cioè questa è una cosa positiva oppure no.

Queste espressioni ci indicano una linea di condotta dell’impresa esistente sul mercato nei
confronti dei concorrenti potenziali. Adesso dobbiamo capire se questa linea è buona o no.

Una tale argomentazione potrebbe essere non corretta (quindi è un’argomentazione sbagliata). La
teoria dei giochi dimostra che il successo dei prezzi predatori dipende da due circostanze:

1. L’orizzonte del gioco.


2. Asimmetria informativa tra le parti.

Noi ci concentriamo sul famoso paradosso, cioè sull’aspetto “orizzonte del gioco”. Adesso
vediamo un caso di incoerenza. L’incoerenza (quando orizzonte finito e informazione simmetrica)
di una guerra dei prezzi è simmetrica e ben evidenziata dal paradosso dei grandi magazzini.
PARADOSSO DEI GRANDI MAGAZZINI.
Abbiamo una catena di grandi magazzini, qualcuno ha questa catena ed opera in n mercati:

1, … … … … , N mercati.

In ciascuno di questi mercati, questo grande magazzino (il proprietario di questa catena)
fronteggia un concorrente. Il suo problema è quello di decidere di diventare un monopolista
realizzando la guerra dei prezzi o rimanere in un duopolio. Ovviamente, i profitti sono maggiori nel
caso in cui rimane monopolista. Questa impresa deve decidere cosa gli conviene fare. Il problema
viene impostato come un insieme di decisioni che vanno prese ordinate sugli n mercati in cui
questa impresa è presente. Tali decisioni (prese dal proprietario dei grandi magazzini) si
susseguono nel tempo, hanno un indice temporale: in ciascun periodo ha delle decisioni da
prendere, ad esempio al tempo 1 si prendono certe decisioni sui vari mercati, al tempo 2 se ne
prendono delle altre e così via. Il concorrente potenziale poi deve decidere che fare se rimanere o
andarsene, deve decidere che fare.

Orizzonte finito (un gioco). Partiamo dallo scenario in cui l’orizzonte del tempo è finito, partiamo
quindi da un gioco ad orizzonte finito, cosa che abbiamo visto ampliamente.

t1, t2 , … … , T  sono le decisioni da prendere in relazione ad ogni istante temporale.

L’orizzonte è finito, quindi nel tempo T si prende l’ultima decisione. Stiamo rappresentando una
situazione in cui c’è una catena di grandi magazzini, in cui i proprietari hanno un grandi magazzini
molto distribuiti (ad esempio su tutta Roma), però sa che l’orizzonte è finito, quindi sa che ad
esempio oltre Frascati non ci va, sa che non va oltre T. L’informazione è simmetrica, quindi tutti
sono consapevoli di questa situazione, cioè che al di là di quell’ultimo mercato lui non va.

Che decisione prenderà questo proprietario nel tempo T? Come risolviamo questo gioco ad
orizzonte finito applicato alla catena dei grandi magazzini? Questo gioco ad orizzonte finito lo
risolviamo con la backword induction, vale a dire ci concentriamo sull’ultimo periodo T, cioè
sull’ultima decisione in ordine temporale (perché le decisioni sono ordinate). Quale sarà questa
ultima decisione? (quando è noto a tutti che questa catena di grandi magazzini non si ingrandisce
più) quale sarà la decisione? La decisione sarà di non fare una guerra dei prezzi, perché non
conviene fare la guerra dei prezzo? Perché costruirsi una reputazione di aggressività quando non
vogliamo andare oltre? Non ha senso costruirsi una reputazione di aggressività quando ormai non
ci ingrandiamo più. La guerra dei prezzi ci fa subire delle perdite nell’immediato, quindi perché
fare ciò perché è noto che la catena non si espande più? Questa reputazione di aggressività non gli
serve più al tempo T, gli serviva per rimanere monopolista, per cacciare concorrenti potenziali dai
mercati che l’impresa intende invadere; se non intende invadere altri mercati non se ne fa nulla
della reputazione di aggressività. Nel nodo finale (T) la decisione finale è quella di non combattere,
cioè di non fare una guerra dei prezzi perché sarebbe inutile, all’impresa non servirà più creare
una reputazione di aggressività quando non c’è un futuro davanti.
Cosa succede in T – 1? Tipo di ragionamento che abbiamo già fatto. Le parti sono consapevoli che
in T non si combatte, e quindi il nostro proprietario dei grandi magazzini non ha nessun interesse
nel fare la guerra dei prezzi. Se questo proprietario sa che non la fa in T, non ha senso fare questa
guerra in T – 1. Perché dovrebbe fare oggi una guerra dei prezzi per costruirsi una reputazione di
aggressività che tanto sa per certo che domani non gli servirà più?

Cosa succede in T – 2? Succede la stessa identica cosa. Lo stesso vale per gli altri periodi di tempo.
La conclusione generale è che se c’è un orizzonte finito, non ci sarà una guerra dei prezzi. In
generale, in un orizzonte temporale finito, la politica dei prezzi predatori non conviene al
proprietario dei grandi magazzini, perché la reputazione di aggressività non mi serve, non può
essere esercitata, non può dar luogo a conseguenze, perché tanto l’orizzonte temporale è finito.

In tal caso, la scuola di Chicago ha ragione: io non ho nessuna convenienza nell’aggressività, non
ha senso esercitare una politica aggressiva in un tempo finito per poi sfruttare il vantaggio della
guerra dei prezzi, qui non mi espando e rimango stabile.

La convenienza dell’aggressività sta nel fatto che io come impresa voglio ingrandirmi e lo faccio
sfruttando la mia aggressività: cioè io oggi faccio la guerra dei prezzi subendo delle perdite e da
domani io sarò monopolista perché nessuno si azzarda ad entrare. Il vantaggio di essere
monopolista ce l’ho grazie alla mia reputazione creata con la guerra dei prezzi.

Paradosso= se i partecipanti seguono una condotta razionale, non combattere in ogni mercato è
la soluzione ottimale, poiché tutti sanno che nell’ultimo mercato l’impresa m non
combatterà, non vi sarà incentivo a combattere in nessun mercato precedente.

Questo così descritto è un equilibrio di Nash perfetto nei sottogiochi. L’equilibrio di Nash nei
sottogiochi è un equilibrio dell’intero gioco e un equilibrio dei singoli sottogiochi (non lo abbiamo
approfondito). Ogni periodo temporale che abbiamo discusso è un sottogioco.

Orizzonte infinito. Questo paradosso non regge più se l’orizzonte del gioco è infinito, quindi se la
catena di grandi magazzini è molto grande (cioè non c’è una conclusione). Applicato al nostro caso,
significa che il proprietario della catena non sa quando si ferma, è una catena in espansione e non
sappiamo quando è la fine. L’informazione è simmetrica, quindi tutti sanno che è una catena in
espansione. A livello di economia, non è quindi un concetto di infinito in senso letterale. Che
succede? Accade che la backdoor induction non la possiamo applicare più, è una catena in
espansione, quindi il discorso sul crearsi una reputazione è un discorso importante e che rimane
valido. Se l’orizzonte finito, la backdoor induction non la posso applicare perché il punto finale non
ci sta, la catena di magazzini è in espansione e non ha deciso ancora quando si ferma. Cosa
significa questo? Significa che è conveniente crearsi una reputazione di aggressività, quindi qui
questa reputazione ha senso, quindi la guerra in un mercato ha senso; nell’espansione della
catena di magazzino è possibile che i concorrenti potenziali siano tenuti fuori per timore di fare
una brutta fine perché fare concorrenza all’impresa potrebbe non essere un’impresa redditizia.
Se l’orizzonte è infinito, la backdoor induction non può applicarsi e quindi crearsi una reputazione
di aggressività ha senso, quindi la minaccia del monopolista di combattere l’entrante con una
guerra dei prezzi può essere credibile, perché ha già fatto questa guerra da qualche parte.

In questo scenario orizzonte infinito sono possibili equilibri multipli dato che è un gioco di durata
infinita (non significa che il tempo è infinito, significa che non conosciamo la fine).

Un equilibrio possibile è l’equilibrio in cui il monopolista guadagna sempre il profitto di monopolio


e l’altra impresa non entra mai nel mercato.

Una strategia di equilibrio del monopolista potrebbe essere questa: fare il monopolista (fare i soldi
di monopolio) però minacciare una guerra dei prezzi ad eventuali concorrenti potenziali (cioè se
entra concorrente potenziale), e se il concorrente potenziale entra lo stesso, adattarsi
immediatamente al nuovo stato del mercato (adattarsi al duopolio). Questa è una possibile
strategia di equilibrio da parte del monopolista.

Possiamo disegnare varie strategie di equilibrio dato che ci sono equilibri multipli. Vediamo una
possibile strategia di equilibrio per il nuovo entrante: non entrare se il monopolista non si è
mostrato accomodante, ma se si verificano comportamenti accomodanti bisogna entrare. Se vi
sono segnali di aggressività da parte del monopolista non entrare, altrimenti conviene entrare.

Considerazione conclusiva: se in un gioco ad orizzonte finito c’è informazione perfetta e


simmetrica possono esistere equilibri multipli.

Ultimo punto: quello dei prezzi predatori è un problema molto complesso, esiste nell’ambito della
politica economica un ampio dibattito (nel quale siamo entrati molto sommariamente), però
relativamente all’espressione “problema complesso” ci si riferisce all’attività dell’autorità a difesa
(garante)della concorrenza. Ci sono state molte regole formulate per definire i prezzi predatori, ne
vedremo solo un paio. L’autorità che deve decidere se stiamo di fronte ad un prezzo predatorio o
no, non lo decide così da sola, lo decide sulla base di un lavoro precedente molto importante. Qui,
vediamo solo qualche definizione di prezzo predatorio.

1. Regola di Areda Turner. Questa regola ci dice che il prezzo è predatorio se è più basso del
costo medio variabile. Il costo medio variabile è dato da, ad esempio: costo materie prime,
di manodopera (ricorrere a straordinari), costi di energia, ecc; il costo medio variabile è
dato da costi variabili complessivi diviso la quantità prodotta. Questa regola ci dice che un
prezzo inferiore al costo medio variabile è un prezzo predatorio; invece un prezzo
superiore al costo medio variabile non è un prezzo predatorio, quindi se non è predatorio è
un prezzo legale. Questa regola è molto “pesante”, un’impresa che abbassa il prezzo fino al
costo medio variabile avrà delle perdite abbastanza impressionanti, abbiamo eliminato
praticamente i costi fissi che sono molto importanti per le grandi imprese.
2. Regola del costo medio totale. Qui, l’osservazione che si fa è che la regola precedente è un
po’ permissiva, nel senso che un’impresa finanziariamente forte può sostenere una certa
perdita vista come nel caso precedente: l’impresa, in tal caso, deve spendere molti soldi
per fare un prezzo inferiore al costo medio variabile, perché ci sono perdite non
indifferenti, però un’impresa finanziariamente forte potrebbe essere in grado di sostenere
queste perdite. Questa regola che ci dice? Ci dice che si ha un prezzo predatorio se il prezzo
è inferiore al costo medio (questa regola è meno severa) però deve essere dimostrato con
evidenza opportuna (cose molto difficili da dimostrare) che c’è un intento predatorio. Cioè
che questo prezzo si abbina ad un intento predatorio. La regola è formata da due prezzi:
uno è il prezzo inferiore al costo medio ma bisogna dimostrare che vi è un intento
predatorio da parte dell’impresa che applica quel prezzo.
3. Regola di Williamson. È una terza regola che fa capo a questo nome. Su un altro piano,
l’autore propone di avere come riferimento (per valutare se si tratta di prezzi predatori) un
aumento della quantità prodotta da questa impresa accusata di fare prezzi predatori nel
periodo successivo all’entrata del rivale. La logica sottostante qui qual è? Per valutare se
c’è l’obiettivo predatorio, vediamo se c’è stato un aumento della quantità prodotta subito
dopo l’ingresso del rivale; perché? Questo ragionamento ci dice che l’impresa, quando
entra qualcuno, aumenta di tanto la quantità e quindi il prezzo crolla e, di conseguenza, il
concorrente potenziale è costretto ad uscire dal mercato (se non è molto forte); l’impresa
non sta riducendo il prezzo, lo fa ridurre in conseguenza dell’aumento notevole delle
quantità da lei prodotte sul mercato, per costringere il concorrente ad uscire. Anche in
questo caso, l’impresa che attua tale politica deve avere una struttura finanziaria molto
forte per sostenere questa politica.

Concludiamo con quello che ha stabilito invece la commissione anti trust europea. Che ci dice
l’Europa? Qual è la nostra regola per individuare i prezzi predatori? Utilizza due criteri:

1. Prezzi inferiori al costo medio variabile sono predatori, salvo casi eccezionali. Questa, in
termini matematici, è una condizione sufficiente.
2. \Un prezzo situato tra il costo medio totale e il costo medio variabile è predatorio se si
dimostra con evidenza opportuna l’obiettivo predatorio (cioè di eliminare la concorrenza).

Costo MC (marginal cost)

marginale AC

AVC A

Quantità

Ps.Gli acronimi sono in Inglese. Questo è un grafico di riferimento. Che fa il costo marginale? Il
costo marginale interseca il costo medio sia quello totale che quello variabile nel suo punto di
minimo. Un prezzo che sta sotto il costo medio variabile è deleterio, il tal caso è un prezzo
predatorio senza dover dimostrare nulla dato che è un prezzo molto basso (tratto A), nel tratto B
invece bisogna dimostrare se tale prezzo è un prezzo predatorio oppure no.

1. A: il prezzo che si trova in questo tratto è chiaramente un prezzo predatorio.


2. B: il prezzo che si trova in tale tratto, invece, deve essere dimostrato l’intento predatorio.

Questa è una rappresentazione tradizionale dei costi (es costo medio prima decresce e poi cresce).

FINE PRIMA PARTE.

8 Maggio inizia la seconda parte del corso che riguarda aspetti applicati dell’economia Italiana.

La teoria finisce qui.

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