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1
V. BRANCA, Storia della civiltà veneziana, Sansoni, Firenze, 1979, p. 344.
2
A. PELLIN, Beato Bernardino da Feltre, Premiata Scuola Tipografica dell'Orfanatrofio
dell'Opera Don Luigi Guanella, Roma, 1938, p. 12.
Questa città era un centro importante, che attirava anche gli abitanti dei borghi
vicini, come ad esempio Primiero. Quindi, le industrie e la vita intellettuale degli abitanti
prosperavano molto.
Lo sviluppo della vita in questa città era evidente anche osservando la presenza e
le attività delle nobili famiglie cittadine, di cui facevano parte i genitori del beato
Bernardino. Quest’ultimo, da bambino, era conosciuto con il nome di Martino, che era
anche il nome del suo avo. Martino era il primogenito dei dieci figli di Donato Tomitano
e Corona Rambaldoni, che provenivano entrambi da famiglie nobili. Secondo le fonti,
avevano ruoli importanti nella società, nella politica, negli studi e anche in ambito
religioso.
Si diceva infatti che nella famiglia Tomitano ci fossero magistrati, un capitano
«forse alle dipendenze di Alarico re dei Goti», alcuni medici e un prete di nome Filippo,
che era l’abate di Pomposa. Non solo la famiglia Tomitano era molto stimata in questa
zona, ma lo stesso Donato, che fu descritto come un «vivissimo ingegno», presiedeva in
alcune corporazioni a Feltre, cioè nell’ordine dei notai, nell’università dei mercanti, e
nell’arte del lanificio. Inoltre, era considerato una persona molto colta, prudente, severo
nei costumi, sempre pieno di vita. Tanto che quando fu invitato come oratore o
ambasciatore a Venezia, i suoi uditori gioivano di lui per quel servizio. 3 Questi
atteggiamenti sicuramente sono penetrati nell’essenza di Martino stesso.
Dall’altro lato, anche Corona Rambaldoni, la mamma del beato, apparteneva ad
una famiglia molto conosciuta, dalla quale proveniva Vittorino de’ Rambaldoni, che era
un educatore e umanista celebre. Ha frequentato la scuola del Guarino e poi ha insegnato
e fondato una scuola che «realizzava l’armonia tra ideali umanistici e ideali cristiani». Si
pensava che lui fosse il «prototipo» del vero laico cristiano, consapevole
dell’implicazione del suo sacerdozio battesimale nella vita quotidiana. 4 I Rambaldoni
3
G. PALUDET, Bernardino da Feltre: Piccolo e Poverello nel quinto centenario del beato
transito 1494-1994, Stamperia di Venezia, 1993, p.15.
4
Cfr. Ibid.
hanno trasmesso il dono dell’intelligenza e della religione a Corona, come sosteneva uno
dei principali biografi del beato:
La madre fu madonna Corona, de singolar bontà della qual alcuna volta
nelle sue prediche ragionando dir solea: Non son figliuol della paura: la
madre mia si chiamava Corona, nome heroico, nome sacro della beata
protettrice della mia città, et la corona di ragion si deve a i combattenti et
a vincitori Il nome Corona induce a pensare che fosse originaria di Feltre
(Santa Corona) e la protettrice della città insieme con san Vittore. 5
Il beato ammirava sua madre, perché quando la guardava spesso gli apparivano i
valori che il nome Corona portava in sé, cioè il coraggio, l’audacia e la vittoria. I suoi
genitori hanno spinto Martino ad un amore profondo per Dio e ad un interesse per lo
studio. Infatti, a 12 anni parlava già correttamente in latino e si dilettava a leggere il De
Consolatione philosophiae di Severino Boezio.6 Oltre ad avere un grande amore per lo
studio e per la realtà, era un ragazzo ingegnoso come suo padre: infatti non si stancava
mai di studiare e cercare la verità della vita.
Potremmo dire che l’amore di Martino per lo studio ci dimostra che lui è vissuto
durante il Rinascimento. Tale è il periodo, durato dal 1300 fino al 1600, in cui l’uomo
aveva iniziato a riflettere su di sé e ad acquisire consapevolezza delle proprie capacità.
L’impegno che Martino metteva nello studio era quindi in linea con la mentalità del
periodo, che teneva in grande considerazione le arti, le lettere e gli studi, e di cui sono
stati rilevati alcuni tratti generali come l’individualismo, il ritorno dell’antico, e la
scoperta del mondo e dell’uomo.7 Per Martino c’era sempre qualcosa da imparare di
nuovo e desiderava godere della vita donatagli attraverso lo studio.
Egli non si occupava dello studio solo per piacere personale, ma si era informato
anche delle vicende sociali. Infatti, dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani dei
Turchi nel 1453, gli stati d’Italia iniziarono a combattere l’uno contro l’altro. Ma, ad un
5
F. FERRARI, Bernardino da Feltre, Archivio Storico Francescano Veneto, Grafica Sanvitese, S.
Vito di Cadore- Belluno, 2000, p. 161.
6
Cfr. Ibid., p. 162.
7
Cfr. P.O. KRISTELLER, Il pensiero e le arti nel Rinascimento, Maria Baiocchi (trans.), Donzelli
Editore, 1998, p. 23.
certo punto il 9 aprile 1454, fu stipulata la Pace di Lodi, tra Venezia, Milano, Firenze e
papa Nicolò V, con la quale si concluse la guerra per la successione al ducato. 8
Alla luce di questi fatti, i Feltrini celebrarono la festa della pace in piazza. Durante
tale evento Martino, a soli 14 anni, fu invitato a comporre e recitare, davanti a tutta la
nobiltà e ai cittadini, versi di lode per la pace. Dicendo: «Ecco l’Italia liberata dagli orrori
della guerra, intenta ai lavori fecondi della pace: ecco la gioia di cantare le lodi a Dio,
autore d’ogni bene…»9. Questo episodio ci fa pensare a come Martino pian piano ha
seguito la strada intrapresa dal padre, invitato anche lui varie volte come oratore a
Venezia.
Inoltre, Martino grazie al suo zelo per lo studio, ha potuto imparare la lingua
latina, ha esplorato il mondo della filosofia e infine ha scelto di entrare nell’arena dei
notai, alla quale apparteneva suo padre. Perciò, questa decisione gli ha permesso di
andare all’università a Padova per iscriversi al corso di notariato. Sempre bramoso
d’arricchire il suo intelletto con nuove idee, ha studiato l’astrologia, le leggi e ha
approfondito la filosofia. Il desiderio di raggiungere la saggezza, lo ha reso un giovane
dal carattere forte, che sacrificava tutto per arrivare alle verità della vita. 10
La sua intenzione di arrivare sempre più vicino alle verità, attraverso lo studio non
è mai stata saziata completamente, perché c’era sempre dentro di lui una domanda
sull’essenza della vita. Un giorno, all’improvviso, gli arrivò la risposta che cercava,
grazie alla predicazione di Giacomo della Marca, che trattava il tema della vanità del
mondo, della stoltezza umana, della morte e del giudizio di Dio. Dopo di che egli ha
iniziato a domandare a sé stesso: «Perché tanto mi dedico allo studio delle cose terrene e
alla bramosia delle scienze e vi spreco il mio tempo? Ogni giorno leggo della fragilità
della vita e a ciò, spinto dall’ambizione e dall’insipienza giovanile, non do peso». 11
8
Cfr. M.T. DONATI, L’Italia prima dell’Italia: Milano dai Visconti agli Austriarci, a cura di Thea
Tibiletti, Touring Editore, 2004, p. 215.
9
A. PELLIN, Beato Bernardino da Feltre, Premiata Scuola Tipografica dell'Orfanatrofio
dell'Opera Don Luigi Guanella, 1938, p. 17.
10
Cfr. G. PALUDET, Bernardino da Feltre, p. 10.
11
F. FERRARI, Bernardino da Feltre, p. 164.
Da quel momento Martino ha cominciato a dare peso alle cose divine più che a
quelle mondane: era pronto a lasciare le soddisfazioni che lo studio gli dava. Rendendosi
conto di ciò, si mise a meditare così profondamente, dicendo:
Verrà un momento in cui sarò disteso su d’un letto a lottare con la
malattia: morrò. Le generazioni incalzano e passano presto come armenti
che vanno al macello: come le onde d’un fiume che precipita nell’abisso.
Si cerca la spiegazione di tutto questo? Quanti passano senza informarsi
di nulla! Vivono come moscherini che danzano in un raggio di sole! Che
giova il nostro apparire d’un momento in mezzo al fiume che passa?
Perché passiamo? A che siamo venuti? Che cos’erano la scienza e la
celebrità, se non riuscivano a soddisfare completamente il suo immenso
bisogno di vivere?12
E nel 1456, a 17 anni finalmente prese la decisione di essere consacrato a Dio per
tutta l’esistenza. Ma alle porte del convento, quando S. Giacomo della Marca chiese a
Martino della sua intenzione di diventare frate minore, si accorse che lui non era
abbastanza sano e forte e pensò che a causa della sua magrezza e della statura, non
avrebbe sopportato la vita religiosa. Per questo, fu chiamato «il piccolino» in riferimento
alla sua statura e una volta divenuto frate, gli fu imposto il nome di fra Bernardino: fra
Bernardo piccolino. I problemi di salute non furono mai un ostacolo per Martino. Infatti,
egli diceva a san Giacomo che non era venuto in convento per trovare cure per la sua
salute, ma per potersi preparare a morire bene, nella grazia di Dio. E il 14 maggio del
1456 vestì l’abito dei frati minori osservanti.13
Era molto devoto e durante il periodo formativo, pur soffrendo d’ernia, non si
lamentava mai, ma persisteva fedelmente nello studio della teologia e svolgeva l’incarico
di insegnare la lingua italiana ai frati. A 25 anni fu ordinato sacerdote e con la sua
predicazione toccò sin dall’inizio le profondità del cuore degli uditori, utilizzando anche
le scienze sacre e profane e spiegando con parole così semplici e popolari da poter
12
A. PELLIN, Beato Bernardino da Feltre, p. 24.
13
Cfr. F. FERRARI, Bernardino da Feltre, p. 14.
illuminare anche le persone più incolte. All’età di 30 anni poi ricevette la nomina a
predicatore14, perché aveva avuto un’ispirazione così forte da far convertire chi lo
ascoltava. La sua predicazione era l’effetto di ciò che lui viveva nella sua vita, perciò era
molto credibile.
Essere un predicatore significa essere disponibile ad andare in qualunque posto per
diffondere la parola di Dio, per questo Bernardino si spostava sempre in tutta Italia. I
viaggi nel territorio italiano sono stati per lui un modo per incontrare la gente, in
particolare i poveri. Vedendo la loro situazione, ha iniziato a riflettere per trovare delle
soluzioni che alleviassero la loro difficoltà. Le fonti raccontano che, mentre lui predicava,
ricordava anche a se stesso le parole del libro del profeta Isaia, in cui il Signore diceva
“per amor vostro l'ho mandato contro Babilonia” (Is 43,14). Con questo invito,
comprese che doveva occuparsi della liberazione del popolo dalle cattive abitudini.
Uno dei mali, che faceva soffrire la gente a quel tempo, era l’usura nel sistema dei
prestiti. Come abbiamo già accennato, allora l’uomo era solito pensare solo a sé stesso,
alle proprie capacità, abilità e ai propri affari, mettendo da parte Dio e gli altri. Questa
indifferenza verso gli altri si concretizzava nel grande divario che esisteva fra coloro che
godevano di fortune scandalose e quelli che vivevano nella sofferenza. E tra queste due
estremità «appariva l’usuraio ebreo, che prestava denaro per corrompere e per rubare». 15
Gli ebrei, che si trovavano in tutta Italia, erano coloro che avevano ottenuto dal
comune la libertà di culto e il permesso di aprire banchi di pegni, in cambio del
pagamento di pesanti tasse. Essi misero in atto alcune tattiche per poter soddisfare i loro
desideri mondani, a discapito degli altri, soprattutto delle persone incapaci di difendere i
propri diritti. In seguito, con l’aumento del numero dei poveri, crebbe la pratica
dell’usura da parte degli ebrei, che approfittavano della condizione dei più deboli,
imponendo tassi di interesse eccessivi. In ogni ambito della quotidiana compare la sete di
14
Cfr. A. PELLIN, Beato Bernardino da Feltre, p. 163.
15
L. DA BESSE, Il beato Bernardino da Feltre e la sua opera, Vol. I. Pontificia S. Bernardino,
Siena, 1905, p. 3.
potere, di ricchezza e onore, che viene soddisfatta schiacciando la parte più fragile della
società, cioè i poveri.
Proprio i fratelli bisognosi avevano attirato lo sguardo dei religiosi
dell’Osservanza, di cui il nostro beato faceva parte. Insieme ad altri frati, iniziò a
diffondere, mediante la predicazione, la consapevolezza del male che stava accadendo. Si
pose sulla stessa scia di Bernardino da Siena che diceva: «coll’usura vengono trucidati i
poveri…l’usura è distruzione delle patrie, un granchio inquieto, un morso pestifero e
contagioso».16 Infatti, non era soltanto frutto di un momento di crisi economica, ma di un
insieme di mentalità diverse maturate nel corso del tempo.
Quindi, «era anche un tempo rischioso. La fede sembrava caduta in profonda crisi
e sembravano crollare i fondamentali dello spirito cristiano: i fanatismi, le superstizioni,
la decadenza del clero e degli Ordini religiosi, l’ignoranza religiosa del popolo… un
nuovo paganesimo sembrava ormai alle porte…». 17 Bernardino da Siena era uno dei
numerosi frati francescani, con cui Bernardino da Feltre affrontò il compito di prendersi
cura del popolo di Dio. In una delle sue predicazioni, quest’ultimo diceva: «il mio partito
è quello di Dio».18 E da questa affermazione è visibile la sua vicinanza a Dio.
La vicinanza alle cose divine si era fatta carne non soltanto a partire
dall’esperienza con i frati dell’Osservanza, ma trovava radici nella famiglia di origine.
Come abbiamo già accennato, Bernardino proveniva da una famiglia in vista, alla quale
appartenne il celebre educatore umanista Vittorino Rombaldoni. Quest’ultimo era stimato
perché aveva vissuto rettamente e condivideva lo stesso stile di vita della famiglia
Tomitano.
È vero che la famiglia di Bernardino visse durante il tempo dell’umanesimo, ma
non si conformò alla tendenza dell’epoca, che poneva l’uomo al centro di tutto, togliendo
16
B. DA SIENA, Istruzioni morali intorno al traffico e all’usura tradotte nella volgar favella,
Presso Gaspare Storti, Venezia, 1774, p.364.
17
A. SICARI, Il secondo grande libro dei ritratti di santi, Vol. 433, Editoriale Jaca book, Milano,
2006, p. 243.
18
R. ZANOLLI, Beato Bernardino da Feltre, fondatore del monte di Pietà, (2013), Internet
(10.05.2020): https://www.bellunesinelmondo.it/beato-bernardino-da-feltre-fondatore-del-monte-di-
pieta/.
il primato a Dio. Si era infatti passati dalla mentalità medievale teocentrica, ad una
mentalità antropocentrica che, nei suoi eccessi, consentiva all’uomo di comportarsi come
meglio credeva. Invece, la famiglia di Bernardino comprese che esisteva l’uomo «di
religione cristiana» per il quale «l’orizzonte luminoso è il mistero santo di Dio. Lo
splendore della bellezza di Dio e la perfezione del suo amore misericordioso sono
l’ambiente vitale in cui l’uomo si colloca e da cui attinge quella dignità e nobiltà».19
Alcuni aspetti dell’umanesimo cristiano si manifestavano nella persona di
Vittorino e il primo di questi era il valore dato alla dignità dell’uomo. Quando insegnava
a scuola aveva promosso «una formazione con una forte impronta morale», che dava
importanza alle virtù del «rispetto della personalità» e dell’importanza della «fraternità».
E affinché questi valori fossero vissuti, proponeva agli studenti un percorso che
rispettasse «un giusto equilibrio di esercizio fisico e attività intellettuale». Tutto ciò aveva
l’intento di «dare una formazione completa» grazie alla quale l’uomo avrebbe raggiunto
«l’armonico sviluppo mentale e corporeo».20
Come abbiamo già accennato, Vittorino non si preoccupava soltanto del progresso
dell’uomo dal punto di vista mentale e fisico, ma soprattutto spirituale. Si occupava
quindi delle cose religiose, attraverso la preghiera e l’impegno a portare a compimento il
proprio compito, durante la vita terrena. La missione dell’uomo, secondo Vittorino, era
quella di essere un altro Cristo in terra, diffondendo l’amore di Dio. Nella sua vita, questo
si concretizzò nell’aiuto ai poveri, cui devolveva parte del suo stipendio e nella decisione
di non sposarsi per non avere alcun impedimento agli studi e all’educazione dei giovani.
Vittorino ha sviluppato una cultura personale, che dava importanza al «rispetto
dell’uomo, nella sua compiutezza, anima e corpo».21
Oltre ai famigliari e ai frati, che hanno contribuito a far germogliare la spiritualità
di Bernardino, possiamo evidenziare che anche gli studi fatti hanno avuto un ruolo
19
P. TREMOLADA, Cattolica: l’umanesimo cristiano oggi, La voce del Popolo,(2019), Internet
(11.05.2020): https://www.lavocedelpopolo.it/diocesi/cattolica-l-umanesimo-cristiano-oggi.
20
D. TRUDU, La compiutezza di anima e corpo in Vittorino da Feltre, (2012), Internet
(10.05.2020): https://www.mediterraneaonline.eu/la-compiutezza-di-anima-e-corpo-in-vittorino-da-
feltre/.
21
Ibid.
fondamentale nel trasformarlo nella persona che era. Nella professione di notaio, sia lui
che il padre impararono ad esercitare un comportamento professionale che si fondava sui
«principi dell’indipendenza e dell’imparzialità evitando ogni influenza…ed ogni
interferenza tra professione ed affari».22 Il notaio, infatti, era considerato come una
persona capace di «svolgere con correttezza e competenza la funzione di interpretazione
e di applicazione della legge in ogni manifestazione della propria attività professionale». 23
Quindi, Bernardino ha appreso l’importanza di essere sempre imparziale e oggettivo.
Tutti gli insegnamenti delle persone significative per Bernardino gli sono rimasti
nel cuore e hanno cominciato ad incarnarsi nelle sue opere. La prima tra queste fu la
fondazione dei monti di Pietà, nata per assistere i poveri oppressi dagli ebrei attraverso
«la pratica del prestito di danaro ad usura alla cui base c’era il vizio terribile dell’avarizia
e dell’avidità».24 La fondazione dei monti rivela la vicinanza ai poveri, che lo
accomunava al parente Vittorino.
Bernardino non voleva semplicemente alleviare la condizione dei poveri, ma
rifletteva sulle situazioni reali della vita, operando con oggettività. Egli è stato molto
concreto davanti a coloro che lo criticavano riguardo al prestito ad interesse da lui
operato ai monti e considerato come usura. Concreto e oggettivo, nel senso che
analizzava la situazione nella sua interezza. Per esempio, sosteneva che il Monte avrebbe
sempre avuto dei capitali per coprire le spese di amministrazione e per poter vivere,
infatti l’operatore del Monte avrebbe avuto il diritto di essere ricompensato da chi ne
avesse ricevuto benefici.25 Questo secondo lo spirito del Vangelo che sostiene che
l'operaio è degno della sua mercede (Lc 10,7).
Come altri che lo hanno ispirato, anche Bernardino si impegnava a dare ad ogni
uomo l’opportunità di migliorare sia fisicamente che spiritualmente. Un esempio di ciò è
22
E. PROTETTI - C. DI ZENZO, La legge notarile: commento con dottrina e giurisprudenza delle
leggi notarili, Giuffrè Editore, Roma, 2009, p. 499.
23
Ibid.
24
R. ZANOLLI, Beato Bernardino da Feltre, fondatore del monte di Pietà, (2013), Internet
(10.05.2020): https://www.bellunesinelmondo.it/beato-bernardino-da-feltre-fondatore-del-monte-di-
pieta/.
25
Cfr. O. BAZZICHI, Il paradosso francescano tra povertà e società di mercato: Dai Monti di
Pietà alle nuove frontiere etico-sociali del credito, Effata Editrice, Torino, 2011, p.136.
il fatto che ha preso in considerazione non soltanto i poveri ma anche i ricchi, dicendo
che i monti erano necessari agli uni, per aiutarli nei bisogni materiali, e agli altri per
raggiungere la salvezza dell’anima26 che vale più di tutto.
Infatti, è riuscito a far partecipare all’attività dei monti non solo i clienti, ma tutta
la città, invitando i ricchi a depositare denaro al monte con generosità, a motivo della
propria fede. Come raccontavano le fonti, i ricchi si iscrivevano come fondatori, e le
donne, con slancio generoso, consegnavano i loro gioielli. 27 Egli aveva compreso che era
possibile assistere tutti, senza accordare preferenza a nessuno, perché si occupava di
valorizzare la dignità dell’umanità intera, lasciando perdere le distinzioni sociali create
dall’uomo.
La dignità dell’uomo era centrale al tempo dell’umanesimo e lo era anche per
Bernardino, che però la correlava sempre a Dio. Perciò, in uno dei suoi sermoni, si
esprimeva così: «l’opera del monte placa l’ira di Dio, allontana il peccato, salva l’anima,
dà sollievo al corpo, aiuta i poveri, alleggerisce i ricchi, mette in fuga gli ebrei». 28 Lui
continuava ad invitare tutti a sentire, come responsabilità personale, l’aver cura della
dignità che Dio ha donato a ciascuno, sin dalla nascita. Bernardino cercava sempre di
essere imparziale e oggettivo nella sua opera per dare gloria a Dio.
Tutte le intuizioni e comportamenti di Bernardino potremmo dire che sono il frutto
dei personaggi con cui è venuto a contatto e delle situazioni che ha vissuto. L’influenza
dei famigliari, gli studi e l’ascolto dei frati dell’Osservanza gli hanno permesso di
sviluppare la sua spiritualità. Ha ricevuto «in eredità dal padre la coraggiosa ricerca della
giustizia nell’affermazione delle esigenze di solidarietà; la dedizione alla cultura e
l’eccellente eloquenza, come strumenti al servizio della verità e del bene comune». 29
Dopo aver offerto tutta sua vita per le cose di Dio, Bernardino morì a Pavia, in una
cella del convento di S. Giacomo, alle quattro di mattina del 28 settembre 1494 e nel
1728 papa Benedetto XIII riconobbe Bernardino come beato.
26
Cfr. Ibid., 141.
27
Cfr. A. PELLIN, Beato Bernardino da Feltre, p. 92.
28
Ibid., 134.
29
G. PALUDET, Bernardino da Feltre: Piccolo e Poverello nel quinto centenario del beato
transito 1494-1994, p. 15.
BIBLIOGRAFIA
I. LIBRI
ZANOLLI R. (2013), Beato Bernardino da Feltre, fondatore del monte di Pietà, Ultimo
accesso: 10 Maggio 2020, https://www.bellunesinelmondo.it/beato-bernardino-da-
feltre-fondatore-del-monte-di-pieta/.