Sei sulla pagina 1di 4

La tecnica della scagliola: emulazione di marmi e pietre

dure
La mobilità delle maestranze che capillarmente operano in tutto il territorio europeo in
un periodo storico che origina nel Medioevo e culmina nel tardo Settecento, ha
determinato la diffusione di una tecnica di origini remote, lo stucco e al suo fianco la
scagliola; entrambi si prestano a un ruolo sostitutivo o evocativo per economizzare i
costi, per abbreviare i tempi di esecuzione, per conferire maggiore dignità agli oggetti
nei limiti dati.
Una vocazione mimetica che crea un materiale nuovo, capace di sostituirsi al marmo e
ad altre pietre. Affiancato alla realizzazione di paliotti intarsiati, si assiste anche
all’utilizzo della scagliola come materiale plastico per realizzare ancone che talvolta
vanno a sostituire le preesistenti in legno; consistono di due o più colonne, sovrastanti
una mensa d’altare, che reggono una trabeazione. Nel XVII secolo queste costruzioni si
fanno sempre più monumentali e sontuose.
Le manifestazioni dell’arte della scagliola in Germania e in Austria risultano precedere
solo di pochi anni l’attività delle botteghe carpigiane. Quest’arte risulta legata alle
decorazioni in stucco e alla scultura, attività in cui le maestranze ticinesi e lombarde
erano da molto tempo specializzate. Nell’anno 1629 Guido Fassi lavora nel Duomo di
Carpi, in provincia di Modena, è opera sua non solo il paliotto ma le colonne e le
imitazioni di marmi con intarsi geometrici. Le opere in scagliola si espandono in
un’area che va oltre il territorio di Carpi. Si osserva una corrente di diffusione che va
dalla bassa modenese e reggiana e si irradia lungo la valle del Po. In altri centri si
osservano ancora dossali di scagliola nei quali è presente ora l’influenza delle opere
emiliane ora di quelle comasche.
Fra i primi scagliolisti comacini troviamo il sacerdote Carlo Belleni. I tre pali della
chiesa parrocchiale di Gottro, sul lago di Como in prossimità di Menaggio, riportano
l’iscrizione e la data 1664.
Nella zona compresa fra il Ceresio e il Lario, la Valle Intelvi, si è sviluppata una
produzione che si è estesa in Lombardia, in Piemonte e in Ticino. La cospicua attività di
alcuni autori ha favorito lo sviluppo di uno stilema che si differenzia da quello
carpigiano e toscano, conducendo alla formazione di una vera e propria scuola intelvese.
Ricorrono tre nomi, Solari, Molciani, Rapa, definiti ormai i principali artefici della
scagliola in Valle Intelvi. Di essi sono state censite altre opere, in Lombardia, nel
territorio settentrionale del lago Maggiore, in Ticino, nel Cremonese e in Piemonte.
In particolare risulta frequente la presenza dei Solari, forse più avvezzi a lasciare la loro
firma. Altri artisti si aggiungerebbero nei paesi oltre confine, spesso anonimi perché
componenti di una molteplicità di appartenenze alle quali potevano fare riferimento, dal
clan familiare alla comunità di villaggio, alle più estese comunità di arte e lingua.
In Canton Ticino è presente la scuola asconese dei Pancaldi e sul territorio vi si
affiancano opere degli intelvesi Solari e Rapa.

La rivolta contro la tradizione barocca durante la seconda metà del XVIII secolo porta a
un’ avversione nei confronti dello stucco definendolo arte minore e sfocia a fine secolo
nella teoria estetica che interpreta negativamente tutta la decorazione considerandola
ornamento sovrapposto.

1
Dalla seconda metà dell’Ottocento, la tecnica si riduce a una pratica semi
industrializzata; si estende l’uso di elementi decorativi prefabbricati e composti
sostitutivi di quelli tradizionali.
Nelle architetture la tecnica decorativa del falso marmo, proposta all’interno di chiese e
palazzi, appare ampiamente diffusa nell’ambito della decorazione di altari. Questo
artificio nasce in parallelo allo sviluppo delle figurazioni quadraturiste e raggiunge la
sua espressione più elevata. La decorazione degli altari e di molti arredi, realizzata in
marmi policromi e inserti di pietre dure, fornisce a molti artisti lo spunto per creare
opere che emulano materiali costosi e irreperibili in alcune zone.
Lo stucco si evolve grazie ad una sensibilità ai valori atmosferici, le ornamentazioni del
secolo precedente perdono le loro motivazioni e subentrano ritmi fluenti. Lo stucco
viene lucidato, bronzato, dorato e finge mirabilmente il marmo. Adottato fin dal
Seicento, ma ampiamente applicato nel Settecento, diviene anche il modo diverso di
lavorare il gesso con l’inserimento di meschie colorate: la scagliola.
Soprattutto verso la fine del XVII secolo il colore riappare nell’arte stucchiva e
interviene a sottolineare gli effetti decorativi, in funzione mimetica di materiali più
raffinati. Viene sempre più spesso posto l’accento sulla funzione dello stucco come
materia analoga al marmo.
La mimesi non è da considerarsi solo in forma di risparmio economico. Da un lato tende
a far partecipare all’unità artistica sia le tecniche sia il materiale; dall’altro il risparmio
non consiste solo nell’atto diretto della costruzione decorativa ma nella globalità del
progetto; le forme convesse dei paramenti rendevano più conveniente l’uso del finto
marmo che le lastre di marmo.
Il materiale utilizzato per realizzare queste opere è il gesso cotto o gesso da stuccatori,
ottenuto dalla cottura di solfato di calcio biidrato a una temperatura compresa tra 160 e
180 °C. Nelle fonti letterarie si trovano come additivi per lo più sostanze organiche di
peso molecolare elevato capaci di agire come colloidi protettori. Al gesso viene unita
acqua di colla il cui scopo é quello di ritardare la presa e rendere il composto più
adesivo e lavorabile più a lungo.
La colorazione dello stucco mediante pigmenti costituisce l’elemento caratterizzante
delle tecniche di rivestimento imitanti il marmo. La colorazione poteva avvenire
nell’impasto, è il caso tipico della tecnica della scagliola, oppure con l’applicazione dei
colori sulla superficie già realizzata.
L’uso di leganti proteici serve a inibire la formazione dei primi cristalliti, a diminuire la
solubilità del gesso, a ridurre la quantità di acqua necessaria per l’impasto, aumentando
in questo modo la durezza del prodotto finale.

Figura 1 - Il gesso, il pigmento nero, la colla Figura 2 - Il telaio e l’impasto

Nell’immagine (fig. 1) si osserva il gesso cui viene aggiunto il pigmento, entrambi


miscelati con l’acqua di colla andranno a costituire un impasto che verrà steso sullo
strato di corpo, preparato qualche giorno prima (fig. 2).

2
Per conferire la forma predefinita si dispone tale amalgama in un telaio o in uno stampo
(fig. 3). Creata la base, la pulitura e lucidatura del manufatto prevede un numero di
operazioni: una prima fase di lisciatura con pialletti e appianatoi per eliminare le
maggiori ineguaglianze; una seconda fase di lisciatura grossolana con pietre
leggermente abrasive, come la pomice o l’arenaria; una terza fase prevede l’utilizzo di
polveri molto fini e, per i punti più difficili, una raspella inumidita prima dell’uso.

Figura 3 - Il manufatto essiccato Figura 4 – La riproduzione dell’ornato

Sul manufatto lisciato si interviene in seguito con l’intarsio; le immagini prescelte


vengono trasferite dal cartone al pannello con la tecnica dello spolvero (fig. 4).
Nell’intarsio si scalfisce una superficie in modo più o meno profondo e si va poi a
includere nelle scalfitture una materia, che opportunamente levigata, andrà a costituire
l’ornato.
Ultimato il ciclo decorativo, si possono ulteriormente definire i particolari tracciando
segni più superficiali con bulini. La superficie graffita conferisce all’immagine effetti di
chiaro scuro e ne rimarca i tratti salienti. Nelle immagini riprodotte sono visibili i solchi
prodotti con coltellini e scalpellini (fig. 5) che verranno colmati con impasti di gesso
policromi (fig. 6).

Figura 5 - Intarsio della superficie Figura 6 - Inclusione di impasti policromi

3
Figura 7 - Il manufatto ultimato Figura 8 – Particolare

Oltre agli additivi utilizzati nella lavorazione degli impasti, numerose sono le
indicazioni di sostanze da applicarsi sulla finitura dei manufatti per ottenere un
particolare trattamento superficiale. Tali sostanze, oltre ad una funzione protettiva,
erano capaci di conferire un aspetto liscio come il marmo.
L’ultima fase di lucidatura può essere realizzata in due modi. Il primo consiste nella
stesura a pennello di uno strato di acqua e sapone seguita da un’altra di solo olio di lino,
applicato velocemente con un pezzo di feltro. Il secondo prevede una prima stesura di
olio di lino e una successiva di un composto di cera e olio di trementina applicati con un
panno di lana o di seta. 1

1
Estratto da “Catalogo sistematico dei paliotti in scagliola presenti in Valle Intelvi” tesi di Laurea Triennale in
Scienze dei Beni e delle Attività Culturali, Università degli Studi dell’Insubria, Como, a.a. 2010/2011, laureanda
Battista Graziella, relatore Spiriti Andrea, correlatrice Rampazzi Laura.
Pubblicazione on line nel sito www.lazzatim.net

Battista Graziella Via SS.Nazaro e Celso, 5 22024 Lanzo d’Intelvi


Tel. 031 839835 347 9505377
e-mail : azzurri_mattini@tiscali.it

Potrebbero piacerti anche