Agostino ha dedicato i primi nove libri della sua opera “le confessioni” al racconto della sua
vita
La sua era si un’autobiografia, ma la presenta più come un’esemplare esperienza di
conversione he ciscun uomo deve compiere
La sua è la storia di un pagano che si è convertito
Agostino nasce nel 354 a Tagaste, città che apparteneva alla provincia romana dell’africa
La sua conversione filosofica avvenne all’età di diciotto anni, dopo aver letto “l’ortensio”,
dialogo di Cicerone
Ha una formazione filosofica da autodidatta
La madre Monica, fin da piccolo educa agostino alla fede cristiana
A 18 anni si è allontanato dal cattolicesimo per aderire al manicheismo
All’età di 34 anni ritorna alla forma cattolica del cristianesimo
Ad una forma ascetica e filosofica
È raccontata la vicenda di una conversione
E quindi di una ricerca verso dio che corrisponde alla verità:
Ma se dio non illumina l’uomo, quest’ultimo è inquieto e brancola nel buio,non trova pace
Infatti per agostino la vita è una tensione continua fra l’inquietudo e la beatitudo
L’uomo si trova in uno stato di inquietudine e tende verso la beatitudine
Quindi lo caratterizza il movimento, che coinvolge tutto l’essere dell’uomo
Ed è un movimento in direzione di dio
I due poli fondamentali sono l’inquietudine e la beatitudine, concepiti neoplatonicamente
come oggetto d’amore, e in gioco è l’uomo nella sua interezza
Non solo l’intelletto, ma anche il cuore
La filosofia è mossa dal desiderio
Nel 387 riceve il battesimo
E poi si impegna come vescovo in africa
Di qui gli impegni eccelsiastici, in particolare in lotta contro le eresie dei donatisti e dei
pelagiani
De ordine: cioè sull’ordine provvidenziale che tutto governa. Cioè appoggiarsi inizialmente
all’insegnamento di qualche autorità: come l’autorità divina di Cristo espresso nelle scritture
nella dottrina della Chiesa ma anche autorità umana dei dotti mediante la quale è possibile
farsi istruire nelle discipline libere.
Inoltre Agostino sottolinea che la fede può essere più o meno ragionevole, cioè più o meno
supportata da motivi razionali, e che la sua autentica funzione, in ambito teologico, è quella
di preparare la mente alla comprensione, vale a dire alla visione intellettuale di Dio. Quindi la
FEDE è il punto di partenza mentre la COMPRENSIONE è il punto di arrivo, nonostante questa
possa essere raggiunta pienamente soltanto nella vita futura.
Nel De libero arbitrio Agostino riflette sul male e sulla libertà e giunge alla soluzione che il
male esiste ma è privo di una sua consistenza ontologica come sostenevano i manichei
perché è semplicemente assenza di bene. Il male fisico è una diretta conseguenza del
peccato originale mentre il male morale è un allontanamento dell’essere supremo. L’uomo
inoltre è libero perché possedendo il libero arbitrio può scegliere fra bene e male ma la
libertà autentica si ha solo scegliendo ciò che realizza pienamente il bene.
Nel 390 scrive il De vera religione in cui afferma la sostanziale coincidenza fra vera filosofia e
vera religione, dal momento che la filosofia è il miglior strumento per indagare la verità che è
una luce spirituale donata direttamente da Dio.
Contro il pelagianesimo (una dottrina elaborata dal monaco bretone Pelagio, che sosteneva
la capacità dell’uomo di fare e scegliere il bene nonostante il peccato originale e quindi di
salvarsi con le sue forze) Agostino ribadisce la presenza del peccato originale e la necessità
della grazia per ottenere la salvezza, infatti è l’uomo che è libero di operare la propria
salvezza.
Agostino, inoltre, aggiunge che non solo la fede ma anche la perseveranza in essa fino alla
fine è un dono di Dio e si salvano solo coloro che Dio ha da sempre predestinato alla
salvezza. Il perché Dio abbia scelto proprio loro è però una cosa che non ci è dato capire in
questa vita.
IL DE TRINITATE : Specialmente nel 5 libro Agostino corregge il proprio errore, infatti non
possiamo parlare di Dio come sostanza che è soggetto ad accidenti, perché Dio è semplice ed
immutabile. E poiché è semplice, Dio non presenta in sé la diversità tra il soggetto e gli
accidenti ed in quanto immutabile, non ammette in sé accidenti definibili come, ad esempio,
“ciò che può essere perso a causa di un qualche mutamento della cosa a cui accade”
Agostino ricorre ad analogie con le creature e con l’animo umano, chiarendo come le tre
persone sussistono in un’unica natura distinguendosi per le diverse relazioni. Dio padre
genera la sua sapienza cioè il Verbo che è figlio; la relazione d’amore tra il Padre e il Figlio è lo
Spirito Santo.
E si dice ciò che ciascuno di loro immutabilmente è o non è in relazione a un altro.
E in ogni uomo , conoscenza e amore pur potendosi distinguere, sono strettamente congiunti
nell’unità della coscienza però distingue il conoscere (nosse) dal pensare (cogitare) perché si
può conoscere una cosa e non pensarla. Il pensiero dunque è il tramite tra il sapere e la sua
espressione, è un dire interiore che precede quello esteriore. E’ una specie di locutio cordis
(discorso del cuore)
Nel De civitate Dei (La citttà di Dio) Agostino delinea una teologia della storia che vede
contrapporsi due città, una terrena e una divina: la città terrena cerca il benessere mentre la
città divina la pace eterna. Nel corso della storia le due città si mescolano, la separazione tra
buoni e cattivi avviene nell’aldilà e si conclude con il giudizio universale
ANSELMO PAG 643 DEL LIBRO
La lezione era incentrata sull’ascolto del testo sacro, che veniva letto
L’udito era il senso privileggiato
Era l’organo privileggiato: poiché ciò che veniva ascoltato poi doveva essere
impresso nella memoria per poi poterne intenderne lo spirito, il senso profondo al di
là della lettera
Intorno all’11 sec la cultura si sposta dal monastero alla città
Il monastero infatti cessa di essere l’unico centro di elaborazione di una cultura
In città fioriscono nuove istituzioni ecclesiastiche (luoghi laici di cultura)
Per le tarsformazioni che sono avvenute nell’anno mille, cambia anche il modo di fare cultura
Infatti la lezione all’interno delle istituzioni non è più incentrata sull’ascolto e sulla lettura
dell’autore
Centrale diventa la questio, ovvero il dibattito su una questone
La logica viene utilizzata come arte che guida la razio
Si impone il problema del nuovo rapporto tra indagine razionale e la fede dei dogmi, ragione
e fede, filosofia e teologia
Già agostino si erainterrogato sul rapporto che il pensiero cristiano avesse dovuto
intrattenere col pensiero pagano
Agostino aveva posto i termini della questione , e questi rimangono fino il XII-XI sec.
o Indistinzionetra ragione e fede
o Questo, sulla base di una tradizione filosofica platonico agostiniana
o Ragione e fede sono indistinte, non sono separate, sono complementari e
sono i due pesi che portano a dio
Per effetto di una progressiva laicizzazione della cultura, si ridefiniscono i rapporti tra ragione
e fede
Nel XII-XIII Tommaso d’aquino, maestro domenicano e teologo, propone un’altra
interpretazione:
Per lui ragione e fede sono distinte ma non separate
o C’è un terreno comune nato dall’intersecarsi della ragione alla fede
o Solo insieme portano alla verità
o Nel momento stesso in cui riconosce la legittimità e l’autonomia della
ragione, dell’indagine razionale, finisce per subordinarla alla teologia
o Poiché ’indagine razionale infatti culmina nella dimostrazione delle verità di
fede che costituiscono il presupposto che consentono all’uomo poi di
dimostrare l’esistenza di dio
Quella di tommaso d’aquino è una teologia e una filosofia che veniva insegnata nelle scuole
Nel XIV sec con Guglielmo Docram cambia di nuovo la visione del rapporto tra ragione e fede
A T G
RF R F R F
PAG 695
Il discorso che anselmo fa rivolgendosi a dio
Parte da un’invocazione – poiché il punto di partenza della fede
A dio chiede l’aiuto per comprendere quella verità di fede e cioè che dio esiste
L’interlocutore è l’insipiens del salmo XIII
Analogia di un duello:
o Da una parte anselmo che dice deus est
o E dall’altra l’insipiens che dice deus non est
o Nel momento in cui comincia il duello il primo colpo è quello di anselmo che propone
unadefinizione di dio. Di cui si afferma l’esistenza
o Anselmo come definizione di dio propone che è ciò di cui nulla di più grande si possa
pensare
L’insipiens nel momento in cui inizia il duello, accetta questa definizione
Nel momento in cui accetta la definizione è già stato sconfitto da anselmo
Poiché nel momento in cui nega che dio (=ciò di cui nulla di più grande si possa pensare) non sia
ciò di cui nulla di più grande si possa pensare è caduto in contraddizione
Perché ha affermato che ciò di cui nulla di più grande non si possa pensare non è ciò di cui nulla
di più grande non si possa pensare
Perché non si può mettere che se esiste l’idea nell’intelletto di cui ciò di cui nulla di più grande si
possa pensare non si può mettere che non esista nella realtà
L’insipiens cade in contraddizione perché si potrebbe pensare a qualcosa di più grande che ha
esistenza sia nell’intelletto sia nella realtà
E ciò che ha esistenza nella realtà, ha un grado di consistenza ontologica maggiore di ciò che
esiste nel solo pensiero
Dunque ciò di cui nulla di più grande si possa pensare non è ciò di cui nulla di più grande si possa
pensare
Dunque l’insipiens è sconfitto
Le obiezioni a queste affermazioni vengono avanzate da gaunilone in difesa dell’insipiens
o Il quale ne pone due:
1. La prima relativa alla definizione stessa di dio come ciò di cui nulla di più grande
si possa pensare;
arriva a dire che di fatto anselmo non fa altro che esplicitare ciò che è già
contenuto nella premessa, e quindi che in realtà non dimostra niente
Cioè l’idea di esistenza è implicita nell’idea della massima perfezione
2. La seconda si risolve in questo
cioè nel rilevare l’indebito passaggio dal piano logico al piano ontologico
Perché mentre il punto di partenza di gaunilone è empirista, anselmo dal punto
di vista gneoseologico è realista
TOMMASO D’ACQUINO
L’ambiente storico
Tommaso D’Aquino nacque nel 1225 e fu un frate domenicano. Fu il maggior esponente della
Scolastica (filosofia cristiana del Medioevo). Il nome scholasticus indicò l’insegnante delle arti liberali,
cioè di quelle discipline che costituivano il trivio (grammatica, logica, dialettica e retorica) e il
quadrivio (geometria, aritmetica, astronomia e musica). In seguito si chiamò scholasticus anche il
docente di teologia e filosofia.
È importante capire il contesto storico in cui nasce Tommaso, un contesto che vedeva nella filosofia
medioevale il problema del rapporto tra fede e ragione. La filosofia scolastica vede aprirsi tante
polemiche in campo filosofico e dispute sul problema degli “universali”: nella filosofia medievale il
problema degli universali è uno dei temi più dibattuti e riguarda l'essere dei concetti generali che
possono essere predicati di più individui. Questo dibattito pone il problema del rapporto fra pensiero,
linguaggio e realtà: i concetti e i termini con cui li esprimiamo sono in grado di rispecchiare l'essere e
la struttura della realtà?
I problemi della Scolastica sono ancora molto attuali, poiché ancora si parla del problema tra
federagione nei libri di teologia e filosofia dei nostri giorni.
Agostino, pessimista, preoccupato soprattutto della stabilità della Chiesa e dei suoi dogmi, collocò la
filosofia in sottordine rispetto alla verità rivelata; in altri termini riteneva, come Platone, che la verità
non potesse essere insegnata, ma a differenza di questi era convinto che questo tipo di conoscenza
potesse giungere attraverso un’illuminazione divina, e specie nell’ultima parte della vita manifestò il
suo pessimismo in merito alla possibilità di redenzione dell’uomo macchiato dal peccato originale.
Tommaso invece è più ottimista, solare convinto che la felicità fosse un obiettivo raggiungibile per
l’uomo e che esistesse la possibilità di trovare un equilibrio tra fede e ragione, non più viste in modo
conflittuale, ma che la conoscenza fosse essenziale per raggiungere la fede e che quest’ultima fosse
anche un atto intellettivo.
Tommaso considerò quindi la teologia come una vera e propria scienza. Non a caso la sua teoria
sull’anima riprendeva il concetto aristotelico della “forma”, considerata come l’essenza
dell’individuo, che viene unita alla “materia” trasformando un materiale bruto in un essere vivente.
Tommaso vedeva l’anima inseparabile dal corpo se non con la morte, esiliata dopo la morte
dell’individuo, ma solo perché in attesa di ricongiungersi al suo corpo con la resurrezione. In questo
modo, Tommaso finisce con il separare la metafisica dalla teologia, mentre Agostino aveva compiuto
sforzi per unificare queste due dottrine.
Agostino inoltre concepiva l’uomo come essere che deve abbandonarsi totalmente a Dio e alla grazia,
Tommaso e Anselmo invece tendono a separare il naturale dal soprannaturale ossia interpretano
l’uomo come raziocinante: Dio creandoci ci ha dato la ragione che però è sempre illuminata dalla 2
fede. Infine, mentre Agostino si rifarà a Platone nella sua filosofia, Tommaso rielaborerà in modo
originale e diverso il pensiero di Aristotele.
Fede e ragione
Il problema fede-ragione è un problema che nasce con il cristianesimo. Giustino e Tertulliano ne
parlano già con le lotte tra pagani e cristiani. Giustino credeva che ci potesse essere una continuità
tra paganesimo e cristianesimo, mentre Tertulliano riteneva che con la sola ragione non si potesse
arrivare a comprendere i dogmi di fede, di conseguenza parla di rottura tra fede e ragione. Per
Tommaso la ragione è utile alla fede in quanto:
dimostra i preamboli della fede (es. esistenza di Dio)
chiarisce, tramite analogie e similitudini, i misteri della Rivelazione (dogma trinitario)
combatte le argomentazioni contrarie alla fede.
Secondo Tommaso dunque la ragione è autonoma, ma quando entra in contrasto con la fede
significa che , in qualche punto delle sue dimostrazioni, sta sbagliando. Nella sua opera più
importante la “Somma Teologica” Tommaso tratta i temi con le famose “Questiones” ossia domande
a cui seguono risposte analitiche. In tutto vengono poste 512 domande: dalla creazione alla trinità, al
male, al problema di Cristo fino ai Sacramenti).
La metafisica
Essenza ed esistenza. Essenza ed esistenza sono due nozioni ben distinte. Essenza è il “quid” di una
cosa, ciò che una cosa è: per esempio, l’essenza di tavolo è ciò che mi permette di distinguere il
tavolo dagli altri oggetti. L’essenza di un ente è la sua definizione secondo le dieci categorie di
Aristotele. L’essenza, che Tommaso chiama anche “natura”, comprende non solo la forma, ma anche
la materia delle cose composte. Per esempio, l’essenza dell’uomo, che è definito “animale
ragionevole”, comprende non solo la ragionevolezza (forma), ma anche “l’animalità” (materia).
L’esistenza è invece il concreto atto di esistere di ogni singolo ente. Negli esseri finiti, essenza ed
esistenza stanno tra di loro in un rapporto di potenza e atto, in quanto l’esistenza rappresenta l’atto
grazie a cui le essenze, che hanno l’essere solo in potenza, di fatto esistono. Come conseguenza a
questo, Tommaso dice gli esseri che hanno la vita, ma non sono la vita, devono averla ricevuta da un
Essere che è la Vita stessa e che rappresenta quindi la causa prima di tutte le vite e di tutte le
esistenze. Questo Essere che è Vita deve essere per forza necessario, poiché gli esseri finiti sono
contingenti. Vi sono dunque due modi in cui l’essenza può essere nelle sostanze:
1) nella sostanza divina l’essenza è la medesima esistenza. Dio è perciò necessario ed eterno, ovvero
esistente per definizione da sempre;
2) nelle sostanze finite l’esistenza è aggiunta dall’esterno e il loro essere è quindi creato e
contingente. In questa ultima condizione non si trovano solo gli uomini e le cose del mondo, ma
anche gli angeli.
Infatti secondo Tommaso, in quelle sostanze che sono pura forma senza materia, manca la
composizione di materia e forma, ma non quella di essenza ed esistenza. Per cui anche il loro essere
risulta il frutto di una creazione divina.
Le prove dell’esistenza di Dio
Nella “SOMMA TEOLOGICA” Tommaso parla delle famose cinque vie. Tommaso articola il discorso
facendo una premessa: da nessuna di queste prove noi arriviamo a comprendere la natura (essere) di
Dio, ma solo l’esistenza di Dio, poiché la natura trascende le categorie della nostra mente.
In Tommaso c’è una chiara convergenza tra essere e bene, tutto ciò che esiste è buono poiché vi è un
ordine, una legge: la creazione è un costante atto divino e Dio è energia e amore in tutto ciò che noi
facciamo.
Anche se Tommaso riprende la filosofia aristotelica non si identifica con essa, poichè sono diverse 3
sia le premesse che la conclusione.
Uno dei problemi fondamentali della scolastica è la dimostrazione dell’esistenza di Dio. Già con
Anselmo c’era stato questo tema, e lui cerca di utilizzare la ragione cercando di dimostrare apriori
l’esistenza di Dio. Tommaso però non accetta questa tesi, essendo un aristotelico: Aristotele ci aveva
parlato del Primo motore immobile, questo non è altro che un atto puro da cui tutto ha inizio in
termini cosmici. I greci infatti non concepivano il concetto di infinito, ma tutto per loro doveva avere
un inizio.
Tommaso usa la stessa logica aristotelica per dimostrare l’esistenza di Dio partendo aposteriori, cioè
dall’esperienza del mondo.
Le cinque vie o argomenti sono:
1) EX MOTU -- la prima via è detta del movimento. Essa parte dal principio che “tutto ciò che si
muove è mosso da altro”. Dalla constatazione che nel mondo esiste il movimento e quindi c’è
qualcosa che muove qualcos’altro per non risalire all’infinito, dobbiamo ammettere che esista un
primo motore che non partecipa del movimento, che è Dio
2) EX CAUSA --la seconda via è la prova causale. Dalla constatazione che nel mondo tutti gli eventi
sono connessi attraverso un rapporto di causa ed effetto (cioè la causa che viene dopo è effetto di ciò
che viene prima) bisogna ipotizzare che ci sia una causa prima incausata, che sia causa di se stessa
(causa sui), che è Dio.
3) EX CONTINGENTIA -- La terza via è desunta dal rapporto tra possibile e necessario. Dalla
constatazione che quello che esiste nel mondo è tutto contingente dobbiamo risalire alla concezione
di un essere necessario. Questo essere è Dio.
4) EX GRADU --La quarta via è quella dei gradi. Dalla constatazione che nel mondo esistono diversi
gradi di qualità (bontà, bellezza) affermare che vi sia un essere che contenga tutte le qualità in
grandezza, quindi Dio.
5) EX FINE -- La quinta via è quella che si desume dal governo delle cose. Dalla constatazione che nel
mondo esista un progetto, un ordine delle cose, bisogna affermare che esista un’intelligenza che
abbia organizzato il tutto. Queste prove ci dimostrano che il mondo non esiste di per sé, ma il mondo
esiste solo per partecipazione ad altro. Quindi solo Dio è causa sui.
Soltanto in Dio essenza ed esistenza coincidono, per gli esseri finiti c’è una separazione tra essenza
ed esistenza poiché l’esistenza non è un dato connaturato all’essenza.
Ogni prova di Tommaso finisce con queste parole: “È questo è ciò che gli uomini chiamano Dio”.
Bisogna però fare una precisazione: il Dio di Tommaso non ha nulla a che vedere con l’Atto Puro di
Aristotele.
In Tommaso l’universo è creato (ex nhilo) da Dio, mentre per Aristotele e per i filosofi pagani non
esiste il concetto di creazione. In Aristotele manca anche l’idea della temporalità del mondo: il
rapporto tra l’Atto Puro e il mondo in Aristotele è eterno, in Tommaso invece il mondo prima non
esisteva e grazie a Dio esiste perché creato da Lui.
Teoria della conoscenza
Tommaso ritiene che la conoscenza sia acquisibile solo attraverso la sensibilità rifiutando così la
visione agostiniana della conoscenza. Agostino aveva distinto una ratio interiore e una ratio
superiore, e cioè una capacità per le cose del mondo e una capacità per le cose di Dio. Tommaso
invece dice che:
“Niente è nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi.”
Tommaso ritiene quindi che il processo conoscitivo sia assolutamente umano cioè la conoscenza
avviene dentro l’uomo.
Aristotele aveva detto che il fine della conoscenza erano i “concetti”, Tommaso dice la stessa cosa
degli “universali” (tratti generali delle cose).
Tommaso ritiene che nell’uomo esista un intelletto passivo o potenziale e un intelletto attivo o
agente. L’intelletto potenziale astrae l’universale dalle cose (cioè io vedendo un cavallo astraggo il
concetto di cavallinità) ma questo posso farlo perché il concetto è già in atto, cioè esiste nella realtà.
Tommaso dice che solo l’intelletto attivo è immortale (anima).
Tommaso risolve il problema degli universali dicendo che questi esistono ANTE REM (prima della
creazione) nella mente di Dio, poi IN RE (nelle cose) e poi esistono POST-REM (cioè nella mente
dell’uomo).
La conoscenza avviene dunque nell’uomo ma non la crea lui: solo a Dio può appartenere la
conoscenza ANTE REM degli “universali”, noi conosciamo POST REM ossia grazie alla realtà sensibile.
Per Tommaso la conoscenza è “adeguatio intellectus et rei” (adeguamento della mente alle cose).
Guglielmo di Ockham
Vita e opere. Nato verso il 1280 nel Surrey, in Inghilterra, entrò nell’ordine francescano
prima del 1306. Nel 1318 era ancora studente di teologia ad Oxford, dove iniziò la carriera
d’insegnamento facendo lezione sulle Sentenze di Pietro Lombardo e sulla Sacra Scrittura
come baccelliere ed ottenendo un immediato successo. Negli anni oxoniensi, oltre al
commento alle Sentenze (conosciuto col titolo di Ordinatio per la prima parte, Reportatio per
la seconda), aveva scritto due trattati di logica (Expositio aurea, Summa totius logicae),
commenti ad Aristotele (alla Fisica e ad opere di logica), e sette questioni quodlibetali su
argomenti di natura filosofica e teologica. Ockham però non diventò mai magister perché nel
1323 il cancelliere dell’università di Oxford, Giovanni Lutterell, accusò presso il pontefice la
sua opera di contenere falsità filosofiche, eresie religiose e aberrazioni morali. Nel 1324 il
filosofo fu convocato presso la curia papale ad Avignone e rinchiuso nel convento
francescano, per essere processato. Il processo però non arrivò mai alla conclusione, perché
nel 1328 Guglielmo d' Ockham fuggì da Avignone a Pisa insieme a Michele da Cesena, il
generale dell'ordine francescano, anch’egli messo sotto processo perché favoriva il
movimento degli Spirituali. I due si schierarono al fianco dell'imperatore Ludovico il Bavaro
che, incoronato a Roma all' inizio del 1328, aveva dichiarato deposto il papa Giovanni XXII
(che Michele considerava eretico) pochi mesi dopo. Fra il sostenitore della povertà
evangelica e il francescano inglese esisteva una convergenza di fondo, che si manifestò
negli scritti di Ockham successivi alla fuga da Avignone, opere teologico-politiche spesso
fortemente polemiche: l'Opus nonaginta dierum (1333-1334), sulla povertà francescana; il
Dialogus de imperio et pontificia potestate (1342); il Breviloquium de potestate papae e l'
ultimo grande scritto, De imperatorum et pontificum potestate, scritto nel 1347. Inoltre otto
quaestiones sulla distinzione fra il potere spirituale e il potere civile e, forse, le Allegationes
de potestate imperatoris (la cui attribuzione è dubbia). Ockham morì a Monaco,
probabilmente nel 1347. Con la sua vita e le sue opere aveva rappresentato un modello
nuovo di intellettuale cristiano, e la sua dottrina incontrò un successo notevole nelle scuole di
filosofia, sia in Inghilterra che in Francia.
Filosofia e fede. Ockham rifiuta ogni posizione concordista - che voglia cioè mostrare
l'accordo fra la fede e la filosofia d'impianto greco. Questo rifiuto, che risuona in tutte le sue
dottrine, è stato interpretato come una forma di scetticismo, in cui si sarebbe espressa la
‘crisi’ di un sistema filosofico che aveva ormai raggiunto e superato il suo vertice più alto. In
realtà, Ockham è piuttosto l' iniziatore di un nuovo modo di pensare, che riprende dalla
radice il problema fondamentale della filosofia nel mondo cristiano: quello della creazione. A
partire da una ferma fede, che assume come proprio centro il dogma dell'onnipotenza divina
espressa nel Credo Niceno ("Credo in un solo Dio onnipotente creatore del cielo e della
terra"), e da una filosofia che vuole restare completamente fedele al pensiero di Aristotele,
Ockham si colloca al punto d'incontro tra interessi filosofici e interessi religiosi, e il suo
pensiero si mostra ai suoi contemporanei come “la dottrina d'un credente”.
La dottrina della suppositio. Il logico si interessa ai termini come segni non per
determinare lo status ontologico di ciò che essi significano, ma per analizzare la loro
proprietà fondamentale in quanto segni, che è il loro ‘stare al posto di’ (supponere pro)
qualcos’altro. La supposizione (suppositio) è la proprietà che i termini hanno di significare, e
una proposizione è vera quando il soggetto e il predicato ‘suppongono per’ la stessa cosa:
nei casi in cui questo non avviene si danno gli errori logici denominati fallacie. La suppositio
permette inoltre di distinguere fra i diversi tipi di discorso scientifico: si avrà infatti una
scienza reale o razionale a seconda che i termini stiano al posto di realtà concrete o mentali.
Nella dottrina della suppositio troviamo l'elemento di novità fondamentale della teoria logica
di Ockham: la distinzione della suppositio in tre livelli: suppositio materialis, che si ha quando
un termine indica se stesso in quanto termine ("uomo è un nome di due sillabe", "correre è
un verbo" ecc.); suppositio personalis, quando un termine indica una realtà individuale ("Un
uomo corre"); suppositio simplex, quando un termine indica un ‘universale’ ("uomo è una
specie"), ovvero non una realtà o essenza universale, ma un concetto mentale nella sua
natura di concetto.