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AGOSTINO PAG 560 DEL LIBRO

1 PARAGRAFO – BIOGRAFIA INTELLETTUALE E SPIRITUALE CHE EMERGE DALLE CONFESSIONI

 Agostino ha dedicato i primi nove libri della sua opera “le confessioni” al racconto della sua
vita
 La sua era si un’autobiografia, ma la presenta più come un’esemplare esperienza di
conversione he ciscun uomo deve compiere
 La sua è la storia di un pagano che si è convertito
 Agostino nasce nel 354 a Tagaste, città che apparteneva alla provincia romana dell’africa
 La sua conversione filosofica avvenne all’età di diciotto anni, dopo aver letto “l’ortensio”,
dialogo di Cicerone
 Ha una formazione filosofica da autodidatta
 La madre Monica, fin da piccolo educa agostino alla fede cristiana
 A 18 anni si è allontanato dal cattolicesimo per aderire al manicheismo
 All’età di 34 anni ritorna alla forma cattolica del cristianesimo
 Ad una forma ascetica e filosofica
 È raccontata la vicenda di una conversione
 E quindi di una ricerca verso dio che corrisponde alla verità:
 Ma se dio non illumina l’uomo, quest’ultimo è inquieto e brancola nel buio,non trova pace
 Infatti per agostino la vita è una tensione continua fra l’inquietudo e la beatitudo
 L’uomo si trova in uno stato di inquietudine e tende verso la beatitudine
 Quindi lo caratterizza il movimento, che coinvolge tutto l’essere dell’uomo
 Ed è un movimento in direzione di dio
 I due poli fondamentali sono l’inquietudine e la beatitudine, concepiti neoplatonicamente
come oggetto d’amore, e in gioco è l’uomo nella sua interezza
 Non solo l’intelletto, ma anche il cuore
 La filosofia è mossa dal desiderio
 Nel 387 riceve il battesimo
 E poi si impegna come vescovo in africa
 Di qui gli impegni eccelsiastici, in particolare in lotta contro le eresie dei donatisti e dei
pelagiani

2 PARAGRAFO – FILOSOFARE NELLA FEDE

 Parte con il superamento del dubbio scettico


 Agostino giustifica la sua posizione sui rapporti fra ragione e fede
 Che costituiscono uno dei grandi temi della filosofia medioevale
 Introduce il dibattito lasciando indistinti ragione e fede (che sono indistinti e complementari)
 Poi continua con anselmo
Contra Academicos: dove agostino osserva che la tesi di fondo degli accademici non regge.
Infatti non è vero che nulla si possa conoscere con certezza, infatti dicono che possiamo
conoscere con certezza ad esempio che il mondo se esiste o è uno solo o è più di uno e altre
verità filosofiche. Agostino quindi obietta che possiamo conoscere con certezza il fatto che
esistiamo e viviamo. Infatti anche se per assurdo ci sbagliassimo nel ritenere vero questo
fatto, questo tuttavia resterebbe vero perché solo esistendo e vivendo è possibile sbagliarsi.
Ricordiamo infatti l’espressione:” se infatti mi sbaglio, sono”

De ordine: cioè sull’ordine provvidenziale che tutto governa. Cioè appoggiarsi inizialmente
all’insegnamento di qualche autorità: come l’autorità divina di Cristo espresso nelle scritture
nella dottrina della Chiesa ma anche autorità umana dei dotti mediante la quale è possibile
farsi istruire nelle discipline libere.
Inoltre Agostino sottolinea che la fede può essere più o meno ragionevole, cioè più o meno
supportata da motivi razionali, e che la sua autentica funzione, in ambito teologico, è quella
di preparare la mente alla comprensione, vale a dire alla visione intellettuale di Dio. Quindi la
FEDE è il punto di partenza mentre la COMPRENSIONE è il punto di arrivo, nonostante questa
possa essere raggiunta pienamente soltanto nella vita futura.

Nel De libero arbitrio Agostino riflette sul male e sulla libertà e giunge alla soluzione che il
male esiste ma è privo di una sua consistenza ontologica come sostenevano i manichei
perché è semplicemente assenza di bene. Il male fisico è una diretta conseguenza del
peccato originale mentre il male morale è un allontanamento dell’essere supremo. L’uomo
inoltre è libero perché possedendo il libero arbitrio può scegliere fra bene e male ma la
libertà autentica si ha solo scegliendo ciò che realizza pienamente il bene.

Nel 390 scrive il De vera religione in cui afferma la sostanziale coincidenza fra vera filosofia e
vera religione, dal momento che la filosofia è il miglior strumento per indagare la verità che è
una luce spirituale donata direttamente da Dio.

Particolarmente significative sono le CONFESSIONI: in cui accanto ad episodi autobiografici


affronta il tema DELLA MEMORIA concepita come il ricettacolo dei primi principi della scienza
e del desiderio di felicità, e anche del TEMPO come “distensione dell’anima”cioè la
rivelazione del soggetto che coglie il passato tramite la memoria, il presente con
l’accettazione e il futuro con l’attesa.

LA GNOSEOLOGIA DI AGOSTINO: Agostino sostiene una dottrina gnoseologica di stampo


platonico cioè la sensazione è l’azione dell’anima sul corpo , da cui l’anima trae le
rappresentazioni degli oggetti , successivamente giudicate sulla base di criteri innati che le
derivano da una Verità superiore, accessibile grazie a un’illuminazione divina.

LA LOTTA CONTRO LE ERESIE: Agostino ha la necessità di difendere l’ortodossia cristiana dalle


eresie e in questo modo scandisce la soluzione dei maggiori problemi teologici
Contro i manicheismo: La polemica contro i manichei e la loro visione dualistica del mondo
porta Agostino a sottolineare la bontà della creazione, la trascendenza di Dio e la
superiorità dello spirito santo sulla carne CHE DIVENTA LA BASE DELLA SUA GNOSEOLOGIA

Contro il donatismo: un movimento africano sostenitore di una chiesa “pura” e Agostino


afferma che la chiesa è una società visibile , composta di santi e peccatori e che l’efficacia
dei sacramenti non dipende dalla vita morale di chi li amministra , ma della grazia divina
che opera in essi.

Contro il pelagianesimo (una dottrina elaborata dal monaco bretone Pelagio, che sosteneva
la capacità dell’uomo di fare e scegliere il bene nonostante il peccato originale e quindi di
salvarsi con le sue forze) Agostino ribadisce la presenza del peccato originale e la necessità
della grazia per ottenere la salvezza, infatti è l’uomo che è libero di operare la propria
salvezza.
Agostino, inoltre, aggiunge che non solo la fede ma anche la perseveranza in essa fino alla
fine è un dono di Dio e si salvano solo coloro che Dio ha da sempre predestinato alla
salvezza. Il perché Dio abbia scelto proprio loro è però una cosa che non ci è dato capire in
questa vita.

IL DE TRINITATE : Specialmente nel 5 libro Agostino corregge il proprio errore, infatti non
possiamo parlare di Dio come sostanza che è soggetto ad accidenti, perché Dio è semplice ed
immutabile. E poiché è semplice, Dio non presenta in sé la diversità tra il soggetto e gli
accidenti ed in quanto immutabile, non ammette in sé accidenti definibili come, ad esempio,
“ciò che può essere perso a causa di un qualche mutamento della cosa a cui accade”
Agostino ricorre ad analogie con le creature e con l’animo umano, chiarendo come le tre
persone sussistono in un’unica natura distinguendosi per le diverse relazioni. Dio padre
genera la sua sapienza cioè il Verbo che è figlio; la relazione d’amore tra il Padre e il Figlio è lo
Spirito Santo.
E si dice ciò che ciascuno di loro immutabilmente è o non è in relazione a un altro.
E in ogni uomo , conoscenza e amore pur potendosi distinguere, sono strettamente congiunti
nell’unità della coscienza però distingue il conoscere (nosse) dal pensare (cogitare) perché si
può conoscere una cosa e non pensarla. Il pensiero dunque è il tramite tra il sapere e la sua
espressione, è un dire interiore che precede quello esteriore. E’ una specie di locutio cordis
(discorso del cuore)

Nel De civitate Dei (La citttà di Dio) Agostino delinea una teologia della storia che vede
contrapporsi due città, una terrena e una divina: la città terrena cerca il benessere mentre la
città divina la pace eterna. Nel corso della storia le due città si mescolano, la separazione tra
buoni e cattivi avviene nell’aldilà e si conclude con il giudizio universale
ANSELMO PAG 643 DEL LIBRO

 A partire dell’843 l’europa si era organizzata secondo un ordine nuovo


 incardinato sulla rete dei monasteri
 E sul papato – che faceva da centro di coesione dell’europa cristiana
 Alla teologia e cioè alla definizione dei dogmi della fede venivano ricondotte tutte le forme
del sapere
 proprio quando il monastero diventa il centro della cultura
o luogo di conservazione della cultura antica
o E luogo di elaborazione della nuova cultura cristiana
 Ogni forma di sapere veniva ricondotta alla teologia
 Il sapere era concepito sul modello della scala di dogmi come una gerarchica
 Al vertice della quale c’era la teologia
 Centrale era la rivelazione
 Quindi la veritò non doveva essere ricercata, ma semplicemente ascoltata

 La lezione era incentrata sull’ascolto del testo sacro, che veniva letto
 L’udito era il senso privileggiato
 Era l’organo privileggiato: poiché ciò che veniva ascoltato poi doveva essere
impresso nella memoria per poi poterne intenderne lo spirito, il senso profondo al di
là della lettera
 Intorno all’11 sec la cultura si sposta dal monastero alla città
 Il monastero infatti cessa di essere l’unico centro di elaborazione di una cultura
 In città fioriscono nuove istituzioni ecclesiastiche (luoghi laici di cultura)
 Per le tarsformazioni che sono avvenute nell’anno mille, cambia anche il modo di fare cultura
 Infatti la lezione all’interno delle istituzioni non è più incentrata sull’ascolto e sulla lettura
dell’autore
 Centrale diventa la questio, ovvero il dibattito su una questone
 La logica viene utilizzata come arte che guida la razio
 Si impone il problema del nuovo rapporto tra indagine razionale e la fede dei dogmi, ragione
e fede, filosofia e teologia
 Già agostino si erainterrogato sul rapporto che il pensiero cristiano avesse dovuto
intrattenere col pensiero pagano
 Agostino aveva posto i termini della questione , e questi rimangono fino il XII-XI sec.
o Indistinzionetra ragione e fede
o Questo, sulla base di una tradizione filosofica platonico agostiniana
o Ragione e fede sono indistinte, non sono separate, sono complementari e
sono i due pesi che portano a dio
 Per effetto di una progressiva laicizzazione della cultura, si ridefiniscono i rapporti tra ragione
e fede
 Nel XII-XIII Tommaso d’aquino, maestro domenicano e teologo, propone un’altra
interpretazione:
 Per lui ragione e fede sono distinte ma non separate
o C’è un terreno comune nato dall’intersecarsi della ragione alla fede
o Solo insieme portano alla verità
o Nel momento stesso in cui riconosce la legittimità e l’autonomia della
ragione, dell’indagine razionale, finisce per subordinarla alla teologia
o Poiché ’indagine razionale infatti culmina nella dimostrazione delle verità di
fede che costituiscono il presupposto che consentono all’uomo poi di
dimostrare l’esistenza di dio

 Quella di tommaso d’aquino è una teologia e una filosofia che veniva insegnata nelle scuole
 Nel XIV sec con Guglielmo Docram cambia di nuovo la visione del rapporto tra ragione e fede

A T G

RF R F R F

 A(Anselmo) – fino all’XI sec.


o ragione e fede sono indistinte, fanno un tutt’uno
o 2 pesi che portano a dio
 T (Tommaso d’aquino) – a partire dal XII-XIII sec
o Ragione e fede sono distinte, ma non sono separate, hanno terreno comu+ne
o Perché la ragione ha come obiettivo ultimo la dimostrazione delle verità di fede
o L’indagine razionale si giustifica solo in quanto premessa della conoscenza tramite la
fede delle verità utlime
 G (Gugliemo Docram) – nelXIV sec
o Ragione e fede sono separate e distinte,
o Poiché per lui non serve una ragione per arrivare alla fede

 Al centro c’è il pensiero della fede


 il “della fede” può essere inteso come:
o genitivo oggettivo
ovvero la fede è oggetto del pensiero
il logos prende a proprio oggetto la fede che è totalmente altra rispetto alla ragione
c’è eterogeneità tra ragione e fede -- da questo ne esce una speculazione teologica
o genitivo soggettivo
la fede è soggeto della ricerca, ovvero che la fede va alla ricerca della comprensione
razionale di se medesima
 per anselmo la fede è una fede soggettiva
 il titolo originale della sua opera è fides querens intellectum:
(=la fede che va alla ricerca della comprensione razionale di se medesima)
 il punto di partenza è la fede
 la sua non è una dimostrazione dell’esistenza di dio
 infatti per lui la fede è già l’esistenza di dio
[LANFRANCO]

 è colui che ha sostenuto il dogma dell’eucarestia


 che tours che applica la ragione al dogma della fede ha negato, dicendo che ciò che accade
nell’eucarestia è solo una rappresentazione attraverso dei segni
 lanfranco ha negato la possibilità di razionalizzare la fede

 Anselmo è un uomo del monastero


 per rispondere ai suoi monaci si cimenta nella produzione del “Monologion” e del “proslogion”
 il proslogion è il testo al quale è affidato quell’unico argomento al quale la storia ha chiamato:
 argomento a priori, prova ontolgica dell’esistenza di dio
1. prova ontologica poiché la dimostrazione avviene nella dimensione del pensiero
2. senza far ricorso all’esperienza
3. argomento ontologico
4. non è una dimostrazione
5. perché l’orizzonte da cui parte anselmo è quello della fede
6. per lui si tratta di rendere chiara con la ragione il motivo della fede
 fede che va alla ricerca della comprensione del suo contenuto

PAG 695
 Il discorso che anselmo fa rivolgendosi a dio
 Parte da un’invocazione – poiché il punto di partenza della fede
 A dio chiede l’aiuto per comprendere quella verità di fede e cioè che dio esiste
 L’interlocutore è l’insipiens del salmo XIII
 Analogia di un duello:
o Da una parte anselmo che dice deus est
o E dall’altra l’insipiens che dice deus non est
o Nel momento in cui comincia il duello il primo colpo è quello di anselmo che propone
unadefinizione di dio. Di cui si afferma l’esistenza
o Anselmo come definizione di dio propone che è ciò di cui nulla di più grande si possa
pensare
 L’insipiens nel momento in cui inizia il duello, accetta questa definizione
 Nel momento in cui accetta la definizione è già stato sconfitto da anselmo
 Poiché nel momento in cui nega che dio (=ciò di cui nulla di più grande si possa pensare) non sia
ciò di cui nulla di più grande si possa pensare è caduto in contraddizione
 Perché ha affermato che ciò di cui nulla di più grande non si possa pensare non è ciò di cui nulla
di più grande non si possa pensare
 Perché non si può mettere che se esiste l’idea nell’intelletto di cui ciò di cui nulla di più grande si
possa pensare non si può mettere che non esista nella realtà
 L’insipiens cade in contraddizione perché si potrebbe pensare a qualcosa di più grande che ha
esistenza sia nell’intelletto sia nella realtà
 E ciò che ha esistenza nella realtà, ha un grado di consistenza ontologica maggiore di ciò che
esiste nel solo pensiero
 Dunque ciò di cui nulla di più grande si possa pensare non è ciò di cui nulla di più grande si possa
pensare
 Dunque l’insipiens è sconfitto
 Le obiezioni a queste affermazioni vengono avanzate da gaunilone in difesa dell’insipiens
o Il quale ne pone due:
1. La prima relativa alla definizione stessa di dio come ciò di cui nulla di più grande
si possa pensare;
arriva a dire che di fatto anselmo non fa altro che esplicitare ciò che è già
contenuto nella premessa, e quindi che in realtà non dimostra niente
Cioè l’idea di esistenza è implicita nell’idea della massima perfezione
2. La seconda si risolve in questo
cioè nel rilevare l’indebito passaggio dal piano logico al piano ontologico
Perché mentre il punto di partenza di gaunilone è empirista, anselmo dal punto
di vista gneoseologico è realista
TOMMASO D’ACQUINO

L’ambiente storico
Tommaso D’Aquino nacque nel 1225 e fu un frate domenicano. Fu il maggior esponente della
Scolastica (filosofia cristiana del Medioevo). Il nome scholasticus indicò l’insegnante delle arti liberali,
cioè di quelle discipline che costituivano il trivio (grammatica, logica, dialettica e retorica) e il
quadrivio (geometria, aritmetica, astronomia e musica). In seguito si chiamò scholasticus anche il
docente di teologia e filosofia.

È importante capire il contesto storico in cui nasce Tommaso, un contesto che vedeva nella filosofia
medioevale il problema del rapporto tra fede e ragione. La filosofia scolastica vede aprirsi tante
polemiche in campo filosofico e dispute sul problema degli “universali”: nella filosofia medievale il
problema degli universali è uno dei temi più dibattuti e riguarda l'essere dei concetti generali che
possono essere predicati di più individui. Questo dibattito pone il problema del rapporto fra pensiero,
linguaggio e realtà: i concetti e i termini con cui li esprimiamo sono in grado di rispecchiare l'essere e
la struttura della realtà?

I problemi della Scolastica sono ancora molto attuali, poiché ancora si parla del problema tra
federagione nei libri di teologia e filosofia dei nostri giorni.

Differenze tra Agostino e Tommaso


È inevitabile fare dei raffronti fra queste due figure chiave della filosofia cristiana, artefici dei due
principali sistemi di pensiero, spesso conflittuali, destinati a condizionare tutta la storia della filosofia,
religiosa e non, fino ai nostri giorni. Agostino divenne cristiano dopo un lungo percorso intellettuale;
Tommaso di nobile e agiata famiglia entrò nella vita religiosa a cinque anni diventando un modello
perfetto per quanti avrebbero voluto abbracciare la carriera ecclesiastica. Visse in un periodo in cui il
clero godeva di grande prosperità economica, nascono infatti numerose cattedrali gotiche molto
luminose che si contrapponevano alla frugale oscurità delle chiese romaniche, dove Dio veniva
cercato nella penombra, nell’intimo di se stessi.

Agostino, pessimista, preoccupato soprattutto della stabilità della Chiesa e dei suoi dogmi, collocò la
filosofia in sottordine rispetto alla verità rivelata; in altri termini riteneva, come Platone, che la verità
non potesse essere insegnata, ma a differenza di questi era convinto che questo tipo di conoscenza
potesse giungere attraverso un’illuminazione divina, e specie nell’ultima parte della vita manifestò il
suo pessimismo in merito alla possibilità di redenzione dell’uomo macchiato dal peccato originale.

Tommaso invece è più ottimista, solare convinto che la felicità fosse un obiettivo raggiungibile per
l’uomo e che esistesse la possibilità di trovare un equilibrio tra fede e ragione, non più viste in modo
conflittuale, ma che la conoscenza fosse essenziale per raggiungere la fede e che quest’ultima fosse
anche un atto intellettivo.

Tommaso considerò quindi la teologia come una vera e propria scienza. Non a caso la sua teoria
sull’anima riprendeva il concetto aristotelico della “forma”, considerata come l’essenza
dell’individuo, che viene unita alla “materia” trasformando un materiale bruto in un essere vivente.
Tommaso vedeva l’anima inseparabile dal corpo se non con la morte, esiliata dopo la morte
dell’individuo, ma solo perché in attesa di ricongiungersi al suo corpo con la resurrezione. In questo
modo, Tommaso finisce con il separare la metafisica dalla teologia, mentre Agostino aveva compiuto
sforzi per unificare queste due dottrine.
Agostino inoltre concepiva l’uomo come essere che deve abbandonarsi totalmente a Dio e alla grazia,
Tommaso e Anselmo invece tendono a separare il naturale dal soprannaturale ossia interpretano
l’uomo come raziocinante: Dio creandoci ci ha dato la ragione che però è sempre illuminata dalla 2
fede. Infine, mentre Agostino si rifarà a Platone nella sua filosofia, Tommaso rielaborerà in modo
originale e diverso il pensiero di Aristotele.

Fede e ragione
Il problema fede-ragione è un problema che nasce con il cristianesimo. Giustino e Tertulliano ne
parlano già con le lotte tra pagani e cristiani. Giustino credeva che ci potesse essere una continuità
tra paganesimo e cristianesimo, mentre Tertulliano riteneva che con la sola ragione non si potesse
arrivare a comprendere i dogmi di fede, di conseguenza parla di rottura tra fede e ragione. Per
Tommaso la ragione è utile alla fede in quanto:
 dimostra i preamboli della fede (es. esistenza di Dio)
 chiarisce, tramite analogie e similitudini, i misteri della Rivelazione (dogma trinitario)
 combatte le argomentazioni contrarie alla fede.
Secondo Tommaso dunque la ragione è autonoma, ma quando entra in contrasto con la fede
significa che , in qualche punto delle sue dimostrazioni, sta sbagliando. Nella sua opera più
importante la “Somma Teologica” Tommaso tratta i temi con le famose “Questiones” ossia domande
a cui seguono risposte analitiche. In tutto vengono poste 512 domande: dalla creazione alla trinità, al
male, al problema di Cristo fino ai Sacramenti).

La metafisica
Essenza ed esistenza. Essenza ed esistenza sono due nozioni ben distinte. Essenza è il “quid” di una
cosa, ciò che una cosa è: per esempio, l’essenza di tavolo è ciò che mi permette di distinguere il
tavolo dagli altri oggetti. L’essenza di un ente è la sua definizione secondo le dieci categorie di
Aristotele. L’essenza, che Tommaso chiama anche “natura”, comprende non solo la forma, ma anche
la materia delle cose composte. Per esempio, l’essenza dell’uomo, che è definito “animale
ragionevole”, comprende non solo la ragionevolezza (forma), ma anche “l’animalità” (materia).
L’esistenza è invece il concreto atto di esistere di ogni singolo ente. Negli esseri finiti, essenza ed
esistenza stanno tra di loro in un rapporto di potenza e atto, in quanto l’esistenza rappresenta l’atto
grazie a cui le essenze, che hanno l’essere solo in potenza, di fatto esistono. Come conseguenza a
questo, Tommaso dice gli esseri che hanno la vita, ma non sono la vita, devono averla ricevuta da un
Essere che è la Vita stessa e che rappresenta quindi la causa prima di tutte le vite e di tutte le
esistenze. Questo Essere che è Vita deve essere per forza necessario, poiché gli esseri finiti sono
contingenti. Vi sono dunque due modi in cui l’essenza può essere nelle sostanze:
1) nella sostanza divina l’essenza è la medesima esistenza. Dio è perciò necessario ed eterno, ovvero
esistente per definizione da sempre;
2) nelle sostanze finite l’esistenza è aggiunta dall’esterno e il loro essere è quindi creato e
contingente. In questa ultima condizione non si trovano solo gli uomini e le cose del mondo, ma
anche gli angeli.
Infatti secondo Tommaso, in quelle sostanze che sono pura forma senza materia, manca la
composizione di materia e forma, ma non quella di essenza ed esistenza. Per cui anche il loro essere
risulta il frutto di una creazione divina.
Le prove dell’esistenza di Dio
Nella “SOMMA TEOLOGICA” Tommaso parla delle famose cinque vie. Tommaso articola il discorso
facendo una premessa: da nessuna di queste prove noi arriviamo a comprendere la natura (essere) di
Dio, ma solo l’esistenza di Dio, poiché la natura trascende le categorie della nostra mente.
In Tommaso c’è una chiara convergenza tra essere e bene, tutto ciò che esiste è buono poiché vi è un
ordine, una legge: la creazione è un costante atto divino e Dio è energia e amore in tutto ciò che noi
facciamo.
Anche se Tommaso riprende la filosofia aristotelica non si identifica con essa, poichè sono diverse 3
sia le premesse che la conclusione.
Uno dei problemi fondamentali della scolastica è la dimostrazione dell’esistenza di Dio. Già con
Anselmo c’era stato questo tema, e lui cerca di utilizzare la ragione cercando di dimostrare apriori
l’esistenza di Dio. Tommaso però non accetta questa tesi, essendo un aristotelico: Aristotele ci aveva
parlato del Primo motore immobile, questo non è altro che un atto puro da cui tutto ha inizio in
termini cosmici. I greci infatti non concepivano il concetto di infinito, ma tutto per loro doveva avere
un inizio.
Tommaso usa la stessa logica aristotelica per dimostrare l’esistenza di Dio partendo aposteriori, cioè
dall’esperienza del mondo.
Le cinque vie o argomenti sono:
1) EX MOTU -- la prima via è detta del movimento. Essa parte dal principio che “tutto ciò che si
muove è mosso da altro”. Dalla constatazione che nel mondo esiste il movimento e quindi c’è
qualcosa che muove qualcos’altro per non risalire all’infinito, dobbiamo ammettere che esista un
primo motore che non partecipa del movimento, che è Dio
2) EX CAUSA --la seconda via è la prova causale. Dalla constatazione che nel mondo tutti gli eventi
sono connessi attraverso un rapporto di causa ed effetto (cioè la causa che viene dopo è effetto di ciò
che viene prima) bisogna ipotizzare che ci sia una causa prima incausata, che sia causa di se stessa
(causa sui), che è Dio.
3) EX CONTINGENTIA -- La terza via è desunta dal rapporto tra possibile e necessario. Dalla
constatazione che quello che esiste nel mondo è tutto contingente dobbiamo risalire alla concezione
di un essere necessario. Questo essere è Dio.
4) EX GRADU --La quarta via è quella dei gradi. Dalla constatazione che nel mondo esistono diversi
gradi di qualità (bontà, bellezza) affermare che vi sia un essere che contenga tutte le qualità in
grandezza, quindi Dio.
5) EX FINE -- La quinta via è quella che si desume dal governo delle cose. Dalla constatazione che nel
mondo esista un progetto, un ordine delle cose, bisogna affermare che esista un’intelligenza che
abbia organizzato il tutto. Queste prove ci dimostrano che il mondo non esiste di per sé, ma il mondo
esiste solo per partecipazione ad altro. Quindi solo Dio è causa sui.
Soltanto in Dio essenza ed esistenza coincidono, per gli esseri finiti c’è una separazione tra essenza
ed esistenza poiché l’esistenza non è un dato connaturato all’essenza.
Ogni prova di Tommaso finisce con queste parole: “È questo è ciò che gli uomini chiamano Dio”.
Bisogna però fare una precisazione: il Dio di Tommaso non ha nulla a che vedere con l’Atto Puro di
Aristotele.
In Tommaso l’universo è creato (ex nhilo) da Dio, mentre per Aristotele e per i filosofi pagani non
esiste il concetto di creazione. In Aristotele manca anche l’idea della temporalità del mondo: il
rapporto tra l’Atto Puro e il mondo in Aristotele è eterno, in Tommaso invece il mondo prima non
esisteva e grazie a Dio esiste perché creato da Lui.
Teoria della conoscenza
Tommaso ritiene che la conoscenza sia acquisibile solo attraverso la sensibilità rifiutando così la
visione agostiniana della conoscenza. Agostino aveva distinto una ratio interiore e una ratio
superiore, e cioè una capacità per le cose del mondo e una capacità per le cose di Dio. Tommaso
invece dice che:
“Niente è nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi.”
Tommaso ritiene quindi che il processo conoscitivo sia assolutamente umano cioè la conoscenza
avviene dentro l’uomo.
Aristotele aveva detto che il fine della conoscenza erano i “concetti”, Tommaso dice la stessa cosa
degli “universali” (tratti generali delle cose).
Tommaso ritiene che nell’uomo esista un intelletto passivo o potenziale e un intelletto attivo o
agente. L’intelletto potenziale astrae l’universale dalle cose (cioè io vedendo un cavallo astraggo il
concetto di cavallinità) ma questo posso farlo perché il concetto è già in atto, cioè esiste nella realtà.
Tommaso dice che solo l’intelletto attivo è immortale (anima).
Tommaso risolve il problema degli universali dicendo che questi esistono ANTE REM (prima della
creazione) nella mente di Dio, poi IN RE (nelle cose) e poi esistono POST-REM (cioè nella mente
dell’uomo).
La conoscenza avviene dunque nell’uomo ma non la crea lui: solo a Dio può appartenere la
conoscenza ANTE REM degli “universali”, noi conosciamo POST REM ossia grazie alla realtà sensibile.
Per Tommaso la conoscenza è “adeguatio intellectus et rei” (adeguamento della mente alle cose).

Guglielmo di Ockham

Vita e opere. Nato verso il 1280 nel Surrey, in Inghilterra, entrò nell’ordine francescano
prima del 1306. Nel 1318 era ancora studente di teologia ad Oxford, dove iniziò la carriera
d’insegnamento facendo lezione sulle Sentenze di Pietro Lombardo e sulla Sacra Scrittura
come baccelliere ed ottenendo un immediato successo. Negli anni oxoniensi, oltre al
commento alle Sentenze (conosciuto col titolo di Ordinatio per la prima parte, Reportatio per
la seconda), aveva scritto due trattati di logica (Expositio aurea, Summa totius logicae),
commenti ad Aristotele (alla Fisica e ad opere di logica), e sette questioni quodlibetali su
argomenti di natura filosofica e teologica. Ockham però non diventò mai magister perché nel
1323 il cancelliere dell’università di Oxford, Giovanni Lutterell, accusò presso il pontefice la
sua opera di contenere falsità filosofiche, eresie religiose e aberrazioni morali. Nel 1324 il
filosofo fu convocato presso la curia papale ad Avignone e rinchiuso nel convento
francescano, per essere processato. Il processo però non arrivò mai alla conclusione, perché
nel 1328 Guglielmo d' Ockham fuggì da Avignone a Pisa insieme a Michele da Cesena, il
generale dell'ordine francescano, anch’egli messo sotto processo perché favoriva il
movimento degli Spirituali. I due si schierarono al fianco dell'imperatore Ludovico il Bavaro
che, incoronato a Roma all' inizio del 1328, aveva dichiarato deposto il papa Giovanni XXII
(che Michele considerava eretico) pochi mesi dopo. Fra il sostenitore della povertà
evangelica e il francescano inglese esisteva una convergenza di fondo, che si manifestò
negli scritti di Ockham successivi alla fuga da Avignone, opere teologico-politiche spesso
fortemente polemiche: l'Opus nonaginta dierum (1333-1334), sulla povertà francescana; il
Dialogus de imperio et pontificia potestate (1342); il Breviloquium de potestate papae e l'
ultimo grande scritto, De imperatorum et pontificum potestate, scritto nel 1347. Inoltre otto
quaestiones sulla distinzione fra il potere spirituale e il potere civile e, forse, le Allegationes
de potestate imperatoris (la cui attribuzione è dubbia). Ockham morì a Monaco,
probabilmente nel 1347. Con la sua vita e le sue opere aveva rappresentato un modello
nuovo di intellettuale cristiano, e la sua dottrina incontrò un successo notevole nelle scuole di
filosofia, sia in Inghilterra che in Francia.

Filosofia e fede. Ockham rifiuta ogni posizione concordista - che voglia cioè mostrare
l'accordo fra la fede e la filosofia d'impianto greco. Questo rifiuto, che risuona in tutte le sue
dottrine, è stato interpretato come una forma di scetticismo, in cui si sarebbe espressa la
‘crisi’ di un sistema filosofico che aveva ormai raggiunto e superato il suo vertice più alto. In
realtà, Ockham è piuttosto l' iniziatore di un nuovo modo di pensare, che riprende dalla
radice il problema fondamentale della filosofia nel mondo cristiano: quello della creazione. A
partire da una ferma fede, che assume come proprio centro il dogma dell'onnipotenza divina
espressa nel Credo Niceno ("Credo in un solo Dio onnipotente creatore del cielo e della
terra"), e da una filosofia che vuole restare completamente fedele al pensiero di Aristotele,
Ockham si colloca al punto d'incontro tra interessi filosofici e interessi religiosi, e il suo
pensiero si mostra ai suoi contemporanei come “la dottrina d'un credente”.

Logica nominalista. Il nominalismo di Ockham è prima di tutto un nominalismo logico, che


si sviluppa a partire dalla tradizione delle Summulae logicales di Pietro Ispano. Secondo
quanto afferma nella Expositio aurea, la logica è un sapere pratico, poiché “verte sulle nostre
proprie operazioni … che sono perciò interamente nostre proprie attività”, e non deve essere
considerata altrimenti che come una scienza del linguaggio priva di implicazioni metafisiche.
La logica analizza e insegna le regole delle proposizioni, operazioni linguistiche mediante cui
si costruiscono le scienze: tanto le scienze reali (cioè che vertono su oggetti di realtà, come
la fisica) quanto quelle razionali, che vertono su oggetti mentali (come la matematica). Le
proposizioni possono essere mentali (in mente), enunciate (in voce) o scritte (in scripto). In
ogni caso, comunque, hanno carattere composito (complexa), e possono essere suddivise
nelle loro parti (termini): suoni, lettere dell'alfabeto e, nel caso delle proposizioni pensate,
concetti o intentiones animi. Nella definizione del concetto come intentio viene in primo piano
la sua funzione di segno, che ‘tende verso’, ovvero indica, le cose a cui si riferisce. Anche
gli universali sono concetti e dunque segni: ma di cosa? Per il logico non ha alcun senso
chiedersi se gli universali vertano sulla realtà, perché si tratta di un problema metafisico. Il
realismo è considerato assurdo, poiché deriva da un'inferenza che va oltre le premesse:
riconoscendo che la somiglianza fra individui che, oggi diremmo, appartengono a una certa
classe (Socrate e Platone) è maggiore di quella fra individui che appartengono a classi
diverse (Socrate e un asino), i realisti concludono che i primi si assomigliano perché hanno
in comune una essenza reale o ‘natura comune’. Il loro errore sta dunque nel postulare una
terza realtà (la natura communis) che si interpone fra le due realtà singolari (Socrate e
Platone) che convengono fra loro in una somiglianza. Per Ockham invece, c’è una maggiore
‘convenienza’ tra Socrate e Platone che tra Socrate e l'asino non in ragione di qualcosa che
si distingue da essi ma perché “convengono maggiormenti tra di loro per se stessi”. La realtà
è infatti composta esclusivamente di individui singolari; di conseguenza, il filosofo deve però
chiedersi come è possibile che qualcosa vi sia di comune e di universale; la risposta chiama
in causa la funzione significativa del linguaggio, e in particolare la dottrina della suppositio.

La dottrina della suppositio. Il logico si interessa ai termini come segni non per
determinare lo status ontologico di ciò che essi significano, ma per analizzare la loro
proprietà fondamentale in quanto segni, che è il loro ‘stare al posto di’ (supponere pro)
qualcos’altro. La supposizione (suppositio) è la proprietà che i termini hanno di significare, e
una proposizione è vera quando il soggetto e il predicato ‘suppongono per’ la stessa cosa:
nei casi in cui questo non avviene si danno gli errori logici denominati fallacie. La suppositio
permette inoltre di distinguere fra i diversi tipi di discorso scientifico: si avrà infatti una
scienza reale o razionale a seconda che i termini stiano al posto di realtà concrete o mentali.
Nella dottrina della suppositio troviamo l'elemento di novità fondamentale della teoria logica
di Ockham: la distinzione della suppositio in tre livelli: suppositio materialis, che si ha quando
un termine indica se stesso in quanto termine ("uomo è un nome di due sillabe", "correre è
un verbo" ecc.); suppositio personalis, quando un termine indica una realtà individuale ("Un
uomo corre"); suppositio simplex, quando un termine indica un ‘universale’ ("uomo è una
specie"), ovvero non una realtà o essenza universale, ma un concetto mentale nella sua
natura di concetto.

Metafisica nominalista e contingenza del reale. La metafisica di Ockham è indubbiamente


coerente con l'impostazione logica, ma non deve essere confusa con essa; il nominalismo
metafisico fa pernio infatti su un postulato extra-logico: la realtà è composta esclusivamente
da individui (da cui il famoso aforisma noto come ‘rasoio di Ockham’: “non si devono
moltiplicare gli enti ponendone di non necessari”). Tutto ciò che esiste realmente è un
individuo; tradotta in termini astratti, questa intuizione filosofica può essere così enunciata:
ogni essere è indiviso in sé e diviso dagli altri. Ockham sviluppa questa intuizione
semplificando al massimo l'impalcatura concettuale costruita sul tema dell'essere e
dell'essenza dai suoi predecessori (Tommaso d’Aquino e Duns Scoto). La considerazione
della struttura metafisica della realtà cede così il posto ad una centralità degli individui reali,
un mondo di cose singole, in cui non si danno mediazioni come quelle espresse
tradizionalmente dai termini di ‘natura’ o ‘essenza’: le realtà individuali esistono in quanto
frutto immediato e assolutamente contingente della volontà divina. A ciò si deve aggiungere
il fatto che in Dio, che è assolutamente semplice, la volontà si identifica con l’intelletto; non
possiamo, di conseguenza, porre in Dio nessuna distinzione, per esempio fra l’atto del
conoscere e quello del produrre. Per questa ragione non è possibile ricondurre l’ordine del
mondo a un ordine precedente l'atto della creazione, e cade pertanto un postulato
fondamentale dell’aristotelismo scolastico: l'esistenza di un piano ideale o essenziale della
creazione, comprensibile da parte della ragione umana; diventa pertanto impossibile
attingere razionalmente i ‘preamboli della fede’ a partire dalla conoscenza delle cose
(nozione centrale nella filosofia tomista). L’opposizione di Ockham alla ‘teologia scientifica’
d’impianto tomista è nettissima. Se la ragione umana non può neppure attingere alla
dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio (si può provare la necessità della trascendenza,
ma ciò non significa conoscerla o dire alcunché su essa), a maggior ragione gli articoli della
fede cristiana non costituiscono una scienza, perché “non sono principi della dimostrazione,
né conclusioni, né possono essere dimostrati”; solo l’assoluta dipendenza delle realtà dalla
‘causa prima’, cioè la contingenza assoluta degli esseri, può essere affermata in
ques’ambito. Questa ed analoghe affermazioni di Ockham hanno indotto ad etichettare il suo
pensiero come fideismo (se si sottolinea l'autonomia del fondamento della fede) o
scetticismo (se al contrario si sottolinea che la scienza non può conferire tale fondamento).
Tuttavia, proprio la fiducia nella conservazione delle cose - nella regolarità del mondo- da
parte della potenza di Dio, rende possibile ad Ockham articolare in maniera nuova il discorso
sull’onnipotenza divina, offrendo un inedito fondamento alla conoscenza scientifica, cui la
discussione sul linguaggio come sistema di segni si connette senza smagliature.
Onnipotenza divina e conoscibilità del mondo. Ockham elabora infatti una posizione che
gli permette di salvare la conoscibilità del mondo senza dover ricadere in nessuna forma di
determinismo; lo fa paragonando l'azione di Dio a quella di un sovrano che promulga una
legge che egli stesso s'impegna a rispettare: il mondo creato è dunque di fatto un ordine,
benché un ordine contingente; è l'ordine che Dio (il Dio della Bibbia) ha decretato che fosse,
con un patto cui si è autonomamente obbligato (l'obbligazione cui il Dio sovrano si vincola
non è infatti frutto di un contratto fra parti, ma autonoma decisione del creatore nei confronti
della creatura). In questo modo Ockham, identificando la potentia ordinata con la
realizzazione di fatto della potentia absoluta, riesce a salvare la fiducia nella conoscibilità del
mondo senza dover ricorrere ad un ordine razionale che condizioni l'azione creatrice di Dio.
Ma c’è un’altra conseguenza, di ordine epistemologico: se il mondo non è la realizzazione
dell'ordine ideale, la conoscenza del mondo non può essere conoscenza di idee universali
astratte: la conoscenza astratta o deduttiva non può dirci infatti nulla su un mondo di
individui, qual è il mondo reale. Non viene con ciò negata la validità logica della conoscenza
deduttiva, bensì la sua capacità di dirci qualcosa sul reale (posizione analoga a quella
di Ruggero Bacone). L’uomo, immerso in un mondo contingente retto dalla volontà divina,
può conoscere pertanto solo ciò che gli è dato nell'esperienza: l'empirismo di Ockham ha
dunque una radice schiettamente teologica ed è perfettamente coerente con la sua
metafisica. E' la conoscenza intuitiva-empirica che ci dà l'evidenza della realtà e
dell'esistenza di una cosa, o anche del suo contrario (si può conoscere che una cosa non è:
questa affermazione è una delle più problematiche, e darà luogo ad una discussione fra gli
stessi seguaci di Ockham); e che permette all’intelletto di afferrare il singolare in quanto tale:
“la conoscenza intuitiva di una cosa è una conoscenza in virtù della quale si può conoscere
se una cosa è o non è. Se è, immediatamente l'intelletto giudica che è quello che è.” Di
conseguenza viene rifiutata l'articolazione dell'atto conoscitivo e le mediazioni fra la cosa e
l'intelligibile (le species intelligibiles) che caratterizzano la gnoseologia aristotelico-scolastica.
Oltre a ribadire, sul piano della conoscenza, il principio del ‘rasoio’ (“Si fa inutilmente con
molti mezzi ciò che si può fare con pochi”), Ockham sostiene che non si deve considerare
come ‘necessario in assoluto’ ciò che appare necessario in relazione ad un determinato
ordine di cose: la possibilità di prevedere eventi di natura cambia così status, da
dimostrazione necessaria ad anticipazione probabile. Su questa base egli elabora le sue
teorie fisiche, che nelle grandi linee possono essere così indicate: la riduzione della quantità
alla sostanza; la negazione di una realtà del movimento distinta dalla realtà del corpo che si
muove; la negazione della realtà assoluta del tempo se non nell'anima. Si può su questa
base affermare, senza inconvenienti filosofici, che il mondo è creato da Dio ab aeterno e che
non è assurda l'esistenza di un infinito in atto.

Il pensiero politico. Anche nell’ambito politico la posizione di Ockham è originale e si


distacca nettamente da quella degli ‘averroisti politici’, Giovanni di Jandun e Marsilio da
Padova, che pure erano anch’essi schierati nel partito imperiale. La netta affermazione
dell’indipendenza del potere temporale da quello spirituale ha in Ockham una matrice
schiettamente teologica, poiché discende da una riaffermazione della priorità del primato
apostolico e dalla constatazione della relativa ininfluenza del potere civile, che riguarda i beni
inferiori, dei quali si può anche fare a meno pur vivendo rettamente in vista del fine supremo.
Il primato del papa però non è inteso da Ockham nel senso della teocrazia tradizionale:
viene infatti definito da lui non una signoria, ma un servizio (non dominativus, sed
ministrativus) ed è limitato dai diritti legittimi dei sovrani nonché dei semplici fedeli; anche in
ambito spirituale infatti il potere del pontefice si esercita nei confronti di uomini che
rimangono, per definizione, liberi. Applicando anche qui il suo ‘rasoio’ nominalista, Ockham
dichiara con nettezza che la chiesa è l’assemblea dei fedeli (Ecclesia est multitudo fidelium).
Il papa non può pertanto limitare la libertà dei cristiani, perché la Chiesa non è un' entità
superiore all' assemblea dei fedeli, e nessuna verità che non sia contenuta esplicitamente o
implicitamente nella Sacra Scrittura può essere imposta dal pontefice come verità di fede.
Con queste affermazioni egli dava un sostegno filosofico ai francescani spirituali, il cui ideale
era la restaurazione della simplicitas evangelica in tutta la Chiesa e l' abbattimento di ogni
forma di possesso, perché l' avanzare diritti sulle cose e sulle persone è fare violenza alla
volontà di Dio.

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