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L’ORIZZONTE

Collana fondata e diretta da


Giovanni Dotoli, Encarnación Medina Arjona, Mario Selvaggio

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noria.info aga.lorizzonte lharmattan.lorizzonte

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SYMBOLUM
Terra Mater Materia

A cura di
DIANA DEL MASTRO e ANGELA GIALLONGO

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In copertina - Na okładce - On the cover:
Spirale neolitica, Rocky Valley, Cornovaglia (1800-1400 a.C.).
Questa monografia viene pubblicata con i fondi di ricerca del Dipartimento di Scienze
della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali (DISCUI) dell’Università degli
Studi di Urbino C. Bo e dell’Istituto di Studi Teologici dell’Università di Stettino.
Monografia ta jest publikowana w wyniku wykorzystania środków finansowych na dzia-
łalność naukową Wydziału Nauk o Komunikacji, Nauk Humanistycznych i Studiów Między-
narodowych (DISCUI) Uniwersytetu Urbino C. Bo oraz Instytutu Nauk Teologicznych oraz
Instytutu Filozofii i Kongnitywistyki Uniwersytetu Szczecińskiego.
This monograph is published with the research funds of the Department of Communi-
cation Sciences, Humanities, and International Studies (DISCUI) of the University of Ur-
bino C. Bo and of the Institute of Theological Science of the University of Szczecin.

SYMBOLUM
TERRA MATER MATERIA
A cura di
Diana Del Mastro e Angela Giallongo
Comitato di referaggio - Recenzenci monografii - Referee Committee:
Francesco Bellino, Giovanni Dotoli, Helene Harth, Mario Selvaggio,
Milagro Martin-Clavijo, Salvatore Bartolotta
Redazione a cura di Gennaro Valentino
© 2020 Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali
(DISCUI) - Università degli Studi di Urbino C. Bo
© 2020 Wydział Nauk o Komunikacji, Nauk Humanistycznych i Studiów Międzynarodo-
wych (DISCUI) Uniwersytetu Urbino C. Bo
© 2020 Istituto di Studi Teologici - Facoltà di Teologia - Università di Stettino
© 2020 Instytut Nauk Teologicznych Wydziału Teologicznego Uniwersytetu Szczecińskiego
Correzione a cura dei singoli autori

© L’Harmattan, 2020
5-7, rue de l'École-Polytechnique
75005 Paris
http://www.editions-harmattan.fr
ISBN 978 2343227627
© AGA Arti Grafiche Alberobello, 2020
70011 Alberobello (I - Ba)
Contrada Popoleto, nc - tél. 00390804322044
www.editriceaga.it - info@editriceaga.it
ISBN 978 8893552134

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MERCEDES GONZÁLEZ DE SANDE
(Universidad de Oviedo)

LA SIMBOLOGIA NELL’AMBIENTAZIONE
DEI ROMANZI DI ADRIANA ASSINI

Adriana Assini, scrittrice e pittrice italiana di fama internazionale,


sentendo l’impegno morale dell’intellettuale, si è proposta di riscat-
tare, attraverso le proprie opere, numerosi personaggi che la Storia
ha emarginato, restituendo loro il posto che gli era stato negato. Tra
questi, tante donne di rilievo storico, le cui esistenze sono state rele-
gate ai margini della Storia ufficiale, passando a far parte del mito o
della leggenda e diventando protagoniste di ogni tipo di manifesta-
zione artistica, piuttosto che dei documenti storici; come, ad esem-
pio, la regina assira Semiramide, Giovanna d’Arco, Agnese Visconti,
Giovanna I di Castiglia, Erzsébet Báthory, o Giulia Tofana, per citare
quelle più rilevanti. Tuttavia, va segnalato che non mancano prota-
gonisti maschili nelle sue opere, come, ad esempio, Gille de Rais, il
noto Barbablù delle fiabe; il pittore fiammingo Hugo van der Goes,
o il rivoluzionario palermitano Gian Luca Squarcialupo: tutti per-
sonaggi storici delle più diverse culture che, per qualche preciso mo-
tivo, hanno colpito l’attenzione dell’autrice e ai quali essa ha voluto
dare voce, rivisitando la loro storia e presentando una versione rin-
novata dei fatti raccontati dalle cronache e dalla leggenda1.
In contrasto con molti scrittori contemporanei, che hanno scelto
la sperimentazione di nuove forme di espressione per le proprie crea-

Mercedes González de Sande: Departamento de Filología Clásica y Románica,


Facultad de Filosofía y Letras, Universidad de Oviedo, Campus del Milán. C/Am-
paro Pedregal, s/n - 33011 Oviedo. E-mail: gonzalezmercedes@uniovi.es.
1
Per maggiori approfondimenti sulla figura di Adriana Assini, raccomando
il monografico a cura di Letizia Casella e Milagro Martín Clavijo, Favole
scritte per chi vuole sognare. Studi sulla narrativa di Adriana Assini, Aracne, Roma
2018.

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zioni, nelle opere della scrittrice romana possiamo ancora individuare
la chiara impronta di una tradizione letteraria anteriore, in cui la let-
teratura rappresentava il riflesso della verità, poiché scaturiva dalla co-
noscenza interiore dell’uomo ed il valore morale dell’opera si ergeva al
di sopra delle semplici esibizioni formali. Seguendo tali premesse,
Adriana Assini opta per una scrittura che va oltre le apparenze e sonda
significati e valori essenziali provenienti dall’animo umano. Sono que-
sti i motivi che la spingono ad indagare nei meandri della psicologia
dei soggetti e a spogliare i propri personaggi agli occhi dei lettori, mo-
strandoci le loro inquietudini, le loro emozioni e le loro passioni più
intime e rendendoci partecipi emotivamente delle loro esistenze, sol-
lecitando, in talune occasioni, la possibilità di identificarci con essi.
La scrittura di Adriana Assini è caratterizzata da uno stile semplice
e chiaro, di facile lettura. A sua volta, il linguaggio è elegante e sug-
gestivo, estremamente curato, ricco di brillanti descrizioni e minu-
ziosi dettagli, ma, allo stesso tempo, si presenta senza troppi artifici,
poiché, l’autrice, con le sue opere, non pretende dispensare precetti,
né elaborare cronache storiche, piuttosto desidera far conoscere, a
chi vorrà avvicinarsi alla lettura dei suoi romanzi, delle esperienze
umane. Queste sono le ragioni per cui, approfittando della forza evo-
catrice delle parole, il linguaggio da lei impiegato è profondamente
connotativo, nell’intento di trasmettere le inquietudini dell’animo
umano, i pensieri e i sentimenti più reconditi dei protagonisti. La
sua prosa, quindi, più che ricercata o artificiale, è profondamente
evocativa e carica di significati profondi, che inducono assiduamente
alla riflessione. Da brava acquerellista come ella è, ogni esperienza
descritta si inserisce in uno spazio adatto alla situazione presentata,
come se fosse dipinta all’interno di un quadro foriero di eventi che
ne completa la ricchezza di significati. In tal modo, i paesaggi e gli
spazi descritti nelle opere di Adriana Assini acquistano un enorme
peso, in quanto elementi indispensabili che supportano il significa-
tivo messaggio in esse contenuto2. Ogni spazio presentato suggerisce

2
Sulla relazione tra scrittura e pittura in Adriana Assini, si veda González

198
delle connotazioni ben radicate, col predominio di determinate scelte
stilistiche, come le metafore o le similitudini, nelle quali si realizzano
numerose allusioni a significati universali che riflettono l’intera con-
dizione dell’animo umano e che invitano il lettore a partecipare emo-
zionalmente ai fatti descritti e a riflettere sul messaggio che l’autrice
desidera trasmettere. Seguendo queste premesse, negli spazi descritti
nei romanzi della scrittrice romana, con frequenza, possiamo trovare
espressioni o vocaboli che fanno riferimento al destino comune degli
uomini, nascosto in parole come “mare”, “pioggia”, “fiumi”, “laghi”,
“acqua” e via di seguito; archetipi che spesso fanno riferimento alla
morte, accompagnati, in molte occasioni, dal “buio”, “la penombra”
o il “silenzio”, anche questi annunciatori di morte e di disgrazie;
come osserviamo nei seguenti brani:
Dopo gli onori del tempio, il governatore rimase esposto per due
giorni sotto la Porta di Ishtar, poi venne seppellito assieme a un cor-
redo modesto, che non gli fosse di peso durante il lungo viaggio verso
l’altro mondo.
Addolorata, delusa, Semiramide l’accompagnò con il pensiero
fino al fiume sacro. Sulle rive a lei proibite, gli disse addio per sempre
e restò a guardarlo sparire tra i flutti di quelle acque tempestose e
scure che approdavano nelle spaventose fauci degli inferi. (Lo scettro
di seta3)

Tanto ero presa dall’argomento che riuscii a sopraffare la sua


voce, ma poi m’accorsi che non mi rispondeva a tono e che, appro-
fittando della sua situazione compromessa, aveva iniziato a raccon-
tarmi del suo male: da qualche giorno, disse, sentiva le sue carni

de Sande, Mercedes, Pintura y literatura: el universo poético de Adriana Assini,


“Archivum”, nº LXIV, 2014, pp. 163-186; Reyes María, El universo femenino
entre literatura y pintura, Aracne, Roma, 2016, così come la prefazione che
accompagna il volume di Reyes, preparata da Mercedes González de Sande
(pp. 9-24).
3
Gli esempi presentati del romanzo Lo scettro di seta sono stati tratti dal-
l’originale in pdf e non dal libro stampato (Tabula Fati, Chieti Scalo 2001),
pertanto, non si indicherà il numero di pagina. Nel caso di citazioni tratte da
altri testi, si segnalerà il numero di pagina tra parentesi.

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marcire e vedeva la sua vita come acqua che corre verso il mare, an-
siosa di farsi risucchiare dalle onde. (Le rose di Cordova4, p. 166)

Era durata poco la mia tregua e adesso, mio malgrado, i miei


pensieri tornavano già a noi due, lacerate e selvagge, costrette insieme
su una stessa zattera che andava lentamente alla deriva, verso quel
punto oscuro e senza ritorno dove il mare sprofonda e fa paura. (Le
rose di Cordova, p. 128)

Sognai di lei. Camminava vagabonda giù per la valle, seguendo


il corso del fiume. Provai a chiamarla, ma lei non s’arrestò e temetti
di perderla, finché non vidi una luce andarle incontro e avvolgerla
in un’aureola: «Sono te stessa, sono tornata» le sussurrò una voce.
(Le rose di Cordova, p. 168)

Da quando nel suo giardino segreto non sbocciavano più rose?


Venti gelosi ne avevano strappato le radici? E che ne era stato dei
suoi agognati viaggi su mari caldi e lontani? Forse, ladri di mappe
s’erano impadroniti delle sue rotte, costringendola a navigare sul
bordo di uno stagno? (Un caffè con Robespierre5, pp. 97-98)

Intimorita e sola come un uccello staccato dal suo stormo, lasciò


vagare nel vuoto lo sguardo abitato da dolcissimi ricordi, mentre nel
suo cuore si scatenava la tempesta. Naufraga in mare aperto, a un
tratto sentì un comando che le veniva da dentro per incitarla a ri-
prendere il timone del vascello, assecondando ora le onde, ora le cor-
renti. «Abbi fede. Sii paziente. Presto le acque torneranno calme, e tu
approderai alla terra ferma senza danni.» (Un sorso di arsenico6, p. 84)

«La vita non somiglia forse a un lungo viaggio in mare?» fece al-
lora il vecchio, spiegandogli che uno dei segreti per arrivare vivi alla
riva era quello di imparare ad assecondare le onde sfruttandone la
cieca violenza anziché tentare di respingerla. (Il mercante di zucchero7,
p. 56)

4
A. ASSINI, Le rose di Cordova, Scrittura & Scritture, Napoli 2007.
5
A. ASSINI, Un caffè con Robespierre, Scrittura & Scritture, Napoli 2016.
6
A. ASSINI, Un sorso di arsenico, Scrittura & Scritture, Napoli 2009.
7
A. ASSINI, Il mercante di zucchero, Scrittura & Scritture, Napoli 2011.

200
Tuttavia, in altre occasioni, l’acqua sarà simbolo di purificazione,
di rigenerazione, e, di conseguenza, di speranza di vita, eternità e
persistenza dell’anima umana; come si può osservare nei seguenti
esempi:
Sapevo, invece, che Juana avrebbe desiderato dormire il suo ul-
timo sonno in un campo di grano, con la faccia rivolta verso il mare.
Per indicare la sua tomba, avrebbe preferito mille volte che al posto
della croce avessero piantato un salice, melanconico come la sua per-
sona. (Le rose di Cordova, p. 169)

Nascosta da una tenda, seguì restando in piedi lo svolgersi dei


riti, vecchi di secoli. Dopo le aspersioni con l’acqua passarono alla
cremazione dei rami di tamarisco per la purificazione. […]
Dopo gli onori del tempio, il governatore rimase esposto per due
giorni sotto la Porta di Ishtar, poi venne seppellito assieme a un cor-
redo modesto, che non gli fosse di peso durante il lungo viaggio verso
l’altro mondo.
Addolorata, delusa, Semiramide l’accompagnò con il pensiero
fino al fiume sacro. Sulle rive a lei proibite, gli disse addio per sempre
e restò a guardarlo sparire tra i flutti di quelle acque tempestose e
scure che approdavano nelle spaventose fauci degli inferi. (Lo scettro
di seta)

Si fermò nel solito posto, sulle rive sabbiose. Da lì poteva assistere


indisturbato allo spettacolo del Lambro che, ingrossato dalle piogge,
scorreva impetuoso ripulendosi dei suoi scarti, fatti di legni marci e
pesci morti.
In verità, i fiumi lo attraevano. Forse perché tradivano un tem-
peramento molto simile al suo: che fossero sacri come il Giordano o
infernali come lo Stige, andavano comunque dritti alla meta. Al con-
trario del mare, le cui onde avanzavano e si ritraevano all’infinito, in
un dubbio insolubile e perenne. (Agnese, una Visconti8, p. 22)

Anche i fenomeni atmosferici che ambientano le scene descritte


racchiudono un profondo simbolismo, poiché spesso associati ai

8
A. ASSINI, Agnese, una Visconti, Scrittura & Scritture, Napoli 2018.

201
comportamenti umani, legando natura e animo umano in un tan-
dem spesso indissolubile. In questo modo, sono frequenti termini
quali “aria”, “vento”, “tempesta”, “temporale” …, simboli di libertà
e di ribellione, di evasione e di fuga; ma anche di follia e di sventure,
elementi perturbatori della natura e dell’essere umano:
Alcuni cavalieri ammantati di bianco, mi raccontò sottovoce, ve-
nivano da molto lontano a liberarla. I loro colpi di spada parevano
raffiche di vento e come il vento spazzavano via i suoi ignobili car-
cerieri, gettandoli in balia di terribili onde.
«Forse è buon segno…» s’arrischiò a concludere, dopo aver sot-
tolineato il candore delle vesti.
Il bianco, che per lei era luce, per me era lutto, però non glielo
dissi.
«Il vento passa, il mare resta», le ripetei, senza sapere che responso
dare. (Le rose di Cordova, p. 155)

Sarà stato per l’effetto del vento o per il fruscio delle foglie della
canapa, ma sembrò poi alla regina di sentirlo riecheggiare più volte
nell’aria, come se una torma di giovani spiriti si divertisse a farlo rim-
balzare tra i rami argentati degli ulivi. (Lo scettro di seta)

Con l’avvicinarsi dell’estate, il cielo della sera iniziò a brillare di


centinaia di lucciole; da ovest, soffiava il mite Zefiro. Per la Signora
di Mantova si riaccese la speranza delle cose liete. (Agnese, una Vi-
sconti, p. 202)

Come in un labirinto, nella confusione delle cose lei trovava l’or-


dine perfetto. Vento e tempesta, attraeva l’irrequieta padrona nella
rete intricata dei suoi ragionamenti, scuri arbusti di ricini, per spin-
gerla poi in luoghi nascosti, dove nessun dio aveva mai abitato.
Davanti allo spettacolo del dolore, Anna allungava le braccia
nell’avida urgenza di trarre linfa nuova per i suoi spettri interiori. (Il
bacio del diavolo9, p. 88)

Stavolta seguì un silenzio lordo di minacce, nunzio di tempeste.


Gli olibani sembrarono bruciare più in fretta, mentre nel beccuccio

9
A. ASSINI, Il bacio del diavolo, Spring, Caserta 2003.

202
delle lampade le fiammelle affievolirono, senza che lì dentro spirasse
un solo alito di vento. (Lo scettro di seta)

«Comunque vadano le cose, non subirò lo smacco d’essere sol-


tanto un buon affare per l’arciduca!»mormorò minacciosa, come
acqua cheta che all’improvviso si tramuta in gorgo e mulinello.
«Che provi a ignorarmi e troverà pane per i suoi denti!»
La luce sinistra di una saetta rischiarò la stanza annunciando l’en-
nesimo temporale e soltanto allora Juana si decise a rimettersi tra i
drappi, anche se poi non chiuse occhio, irrequieta com’era. (Le rose
di Cordova, p. 14)

Prima che il sole cominciasse a scoccare i suoi torridi dardi, Se-


miramide fece radunare gli uomini. Fingendosi sorpresa per l’assenza
del comandante, domandò a tutti sue notizie […] Ma nell’attesa
dell’agognata partenza, scrutava ansiosa tra i terrapieni e le dune, te-
mendo l’azione del vento. (Lo scettro di seta)

Il bacio lui glielo diede, ma sulla fronte. Subito dopo si scostò di


scatto e la distrasse indicandole scure nubi all’orizzonte. I temporali
fuori stagione provocavano disastri, disorientando gli uccelli migra-
tori, impedendo la maturazione dei raccolti. Non ultimo, turbavano
i movimenti dei corpi celesti con serie ripercussioni sulle azioni degli
esseri umani. (Agnese, una Visconti, pp. 204-205)

D’altra parte, il sole, l’alba, e il chiarore del giorno, che illumi-


nano alcune scene, sono simbolo di gioia e di splendore, di vita e di
speranza, di quiete e di pace spirituale, in contrasto con l’oscurità, il
buio e l’ombra, preamboli di morte e di avversità:
Attraverso quel rito di lontanissime origini, il torero, fasciato da
vesti di oro puro, rendeva un coraggioso omaggio al sole, rappresen-
tando la luce che ogni volta vince il buio. (Le rose di Cordova, p. 74)

Guardai il sole che aveva appena dato inizio a una lenta discesa
dietro ai monti e che presto, secondo un gioco ineluttabile e crudele,
sarebbe sparito chissà dove, lasciandoci nel dubbio se fosse mai rinato
all’indomani. […]
Fuori schiariva appena e proprio in quel momento una delle
serve si fece sull’uscio: «Stavolta è morta davvero» annunciò sbriga-

203
tiva, alzando gli occhi al cielo.
Dunque, nell’ora incerta in cui il buio cede il passo all’alba, per
Juana I di Spagna finiva un’agonia ch’era durata cinquant’anni, du-
rante i quali non aveva regnato un solo giorno.
Andai alla finestra per una boccata d’aria e invece mi ritrassi, re-
spinta da un cielo livido e severo. (Le rose di Cordova, pp. 167-168)

«Non disperate. Tutto arriva a chi sa aspettare» tentò di rincuo-


rarla Mea. Per quanto fosse durata la tempesta, alla fine un raggio di
sole sarebbe tornato a schiarirle le giornate. «Che gli uccelli della
paura volino sulla nostra testa non possiamo impedirlo. Possiamo,
però, impedire che vi costruiscano un nido». «Se soltanto mi offrisse
un filo del suo affetto, io lo riscalderei con il mio» disse di suo marito,
sospesa tra collera e solitudine. (Agnese, una Visconti, p. 107)

Il giovane vestito di luce e di fuoco mimò con gesti sontuosi e


lenti il lungo viaggio notturno del sole, attraverso le viscere oscure
della terra. Su una barca di giunco scivolò silenzioso sulle acque ap-
positamente annerite dalle polveri, da dove spuntavano qua e là, gli
esseri mostruosi impersonificati dai giovani mascherati. Con quei
demoni degli inferi l’astro luminoso ingaggiò terribili battaglie, in
un incrocio mirabile di lance, tale da far invidia ai veri guerrieri e
suscitare un coro di consensi da parte d’un pubblico estasiato.
«Vincerà le forze ostili della notte?» chiese a un certo punto Tam-
gur agitata, non riuscendo a distinguere la realtà dalla finzione. […]
«Finché il sole sorgerà ogni giorno, non avremo niente da te-
mere» disse sollevata la regina, esprimendo somma gratitudine agli
dei, che ancora una volta avevano mostrato magnanimità verso gli
uomini, lasciando prevalere le forze del bene sulle tenebre. (Lo scettro
di seta)

Sulle loro teste s’approssimava il buio, velando le stelle. D’un


tratto la ruvida voce del vento mutò, prestando il fiato a una folla di
spettri spuntati dall’ombra per sussurrare echi di tragedie lontane,
foriere, forse, di quelle future. (La spada e il rosario10, p. 190)

10
A. ASSINI, La spada e il rosario. Gian Luca Squarcialupo e la congiura dei
beati Paoli, Scrittura & Scritture, Napoli 2019.

204
Il buio inghiottiva l’ultimo bagliore del giorno mentre Ninive,
dolente, s’apprestava a vegliare il suo re. Nel Palazzo, lambito dal
fiume, ardevano a fasci le torce, si ripetevano i riti, gli antichi gesti
del lutto. Al banchetto, soltanto voci sommesse, profumi dolciastri
e un cupo timore del presagio. (Lo scettro di seta)

Nelle opere della scrittrice romana sono presenti gli elementi della
natura al completo, tratteggiati da un simbolismo che rievoca il se-
ducente contrasto tra libertà e vita, fragilità e morte, quanto di effi-
mero e di perdurabile c’è nel tempo e nello spazio. Risaltano tra essi
i fiori, gli alberi e le piante, altrettanto presenti nell’opera pittorica
dell’autrice:
Il bianco delle margherite e il rosso dei papaveri che ricoprivano
i campi attorno a Tordesillas continuarono a ravvivare per anni le
nostre primavere, fragilissimo conforto della nostra miserrima esi-
stenza. (Le rose di Cordova, p. 163)

Sospinta in un vortice dove anche il tempo perdeva i suoi limiti,


si ritrovò prigioniera di strane immagini, con la mente abitata da
una folla di demoni. Allora vide fasci di fiori di loto dipinti a fresco,
staccarsi rapidi dalle pareti per riunirsi sulla sua testa in mille pesanti
corone. Tentò di fuggire agli eventi, ma i marmi silenti s’aprivano a
squarci sotto i suoi piedi. E le colonne possenti, animate dal niente,
le muovevano contro, minacciandola d’un abbraccio mortale. (Lo
scettro di seta)

«Il tempo assieme a voi scorre con leggerezza, scivola via come
l’acqua fresca dei ruscelli» mormorò la Visconti smarrendo lo sguardo
nella natura lussureggiante, il cui abbraccio era a un tempo un dono
e una minaccia. File di salici piangenti rasentavano le sponde mel-
mose, qui e là spiccava il giallo dei ranuncoli o il bianco puro dei
gigli selvatici, assieme a castagni d’acqua e canne palustri, dalle quali
spuntavano i nidi dei basettini e di svariati uccelli. (Agnese, una Vi-
sconti, pp. 185-86)

Le prese le mani tra le sue mentre s’esprimeva in modo sibillino:


«Sotto l’arcobaleno brilla l’oro dei cedri… La neve cade sul profumo
delle rose…». (Agnese, una Visconti, p. 181)

205
Gli elementi della natura sono molto frequenti anche nelle de-
scrizioni dei personaggi, presentati in contrasto o in assonanza con
essi, spesso tramite metafore o similitudini, associati al loro carattere,
al loro fisico o al loro stato d’animo:

Di bellezza quasi imbarazzante, impenetrabile come la foresta


di Bakony, più capricciosa del corso del Danubio, la signora di
Csejthe alimentava il mistero sulla sua persona con lunghe notti
trascorse all’addiaccio, nel gelido abbraccio della luna. (Il bacio del
diavolo, p. 11)

Eppure, più tenace della gramigna, malgrado le stesse sempre ad-


dosso, di Erzsébet non conosceva il pianto, né la scompostezza dello
strazio. Sebbene poi, con la parvenza d’una rosa, continuasse a of-
frirle l’attrazione del fiore nascondendole l’insidia della spina, sentiva
tuttavia che quella creatura ambigua quanto lei e a lei così vicina,
ancora le sfuggiva. (Il bacio del diavolo, p. 88)

La settima donna aveva il piglio severo, il capo scoperto e gli


occhi verdi come le fronde delle palme. Con voce roca disse: «Bello
è il respiro dei deserti, ma anche l’incedere sinuoso delle antilopi e i
disegni tracciati nell’aria da certi uccelli.» (Lo scettro di seta)

Dimentica della sua carnagione troppo chiara, sentivo d’esserne


già ammaliata, scandalosamente attratta dall’oro fino che gli tingeva
i capelli, lunghi fino alle spalle, come dal suo sguardo ora penetrante,
ora sfuggente, dello stesso azzurro dei campi di guado. (Le rose di
Cordova, p. 42)

Aveva forme ancora acerbe e un cuore pieno di chimere il giorno


in cui, nel suo palazzo rallegrato da ghirlande di frutta fresca e squilli
di tromba, stava per andare in scena uno splendido convivio. Lei,
però, più triste di un salice, decise di restarsene in disparte. (Agnese,
una Visconti, p. 9)

«Povero sciocco! Sono io che temo di restare delusa dal quel gio-
vane imberbe, senza esperienza e senza passato! Potrebbe assomigliare
a certe pianure troppo piatte, dove l’erba non cresce e gli animali
non fanno la tana...» (Lo scettro di seta)

206
Per via di tali beghe diventò intrattabile, sfogandosi sui sottoposti
ma soprattutto nei confronti della sposa, ormai considerata come
uno di quei rami secchi che, se non tagliati, impedivano all’albero
di crescere e di dare frutti. «Quale uccello, tale il nido» biascicava
rimproverandole d’essere arrogante quanto il padre. (Agnese, una Vi-
sconti, p. 228)

Restarono in silenzio, corpo contro corpo, presi da una mestizia


venata di follia, ma più dolce dell’ambrosia. Sembravano due co-
lombi, uccelli casti ma innamorati cotti. (Agnese, una Visconti, p. 230)

Verso l’imbrunire, Bertrand fece ritorno a casa. Appariva scon-


volto, più bianco di un cero, ma a dispetto della voce rotta dall’emo-
zione, sembrava un fiume in piena: «Una farfalla malata, ecco cosa
sembrava» raccontò, quasi per scusarsi del ritardo. (Un caffè con Ro-
bespierre, p. 8)

«A voi preme l’apparenza, a me la sostanza» ribatté Juana, accu-


sandolo di possedere la stessa doppiezza del cigno: bianco fuori, nero
dentro. (Le rose di Cordova, p. 57)

S’accorse subito, però, che Rose non era più la stessa. Dopo la
festa, provò a parlarle di quanto aveva in mente per lei ma quella,
senza peli sulla lingua, gli disse chiaro e tondo che d’ora in poi
avrebbe dovuto dimenticare la docile colomba di un tempo, poiché
al suo posto adesso era cresciuto un falco, deciso a difendersi col
becco e con gli artigli. (La Riva Verde11, p. 166)

Con un pizzico di leggerezza e uno d’ironia, il De Benedetto pa-


ragonò il parente a un uccello migratore che corre incessantemente
verso lidi lontani, ma che dopo un po’ ritorna negli stessi luoghi per
posarsi sugli stessi rami (La spada e il rosario, p. 151)

C’è da evidenziare, tra gli elementi della natura, la presenza ri-


corrente di certi animali. Spiccano, in particolare, uccelli di ogni
tipo, che, spesso, popolano i paesaggi che ambientano le opere di
Adriana Assini e che, con frequenza, simboleggiano la libertà e la

11
A. ASSINI, La Riva Verde, Scrittura & Scritture, Napoli 2014.

207
fuga, speranza di vita e di rinnovamento; in molte occasioni, l’eva-
sione, la liberazione che conduce il loro volo verso la morte:

Quell’anno, l’ultimo, gli alberi in fiore avevano imbiancato la


valle del Duero e il cielo, sgombro da nubi e foschia, faceva sì che
Medina del Campo apparisse più vicina. Osservavo ammirata il volo
alto degli uccelli, pensando che venissero dal mare e sognavo di po-
sarmi sulle loro ali quando poi al mare sarebbero tornati. Il giallo
delle ginestre, invece, mi stordiva più della luce del sole mentre tutta
la mia vita mi appariva lontana, come un paese straniero. (Le rose di
Cordova, p. 164)

«È cavalcando che ogni mia pena svanisce». Al trotto o al ga-


loppo, diventava più lieve d’una schiuma, dandole l’impressione di
potersi librare nell’aria, quasi che all’improvviso volasse davvero in
mezzo ai cirri e alle nuvole.
China su un panno da ricamare, Mea alzò la testa per metterla
in guardia: «Il volo appartiene agli uccelli, mia signora. Se Icaro
non avesse cercato di imitarli non sarebbe precipitato in mare, fi-
nendo a fare da cibo per i pesci.»
«Meglio tenere i piedi piantati sulla terra e la testa ben ferma sulle
spalle, madonna» bofonchiò Sidonia nel prendere una tunica tur-
china da farle indossare. (Agnese, una Visconti, pp. 230-31)

Carnale, sanguigna, affondava le radici nell’umido della terra e


guardava al cielo come a un’impalpabile dimora che i preti popola-
vano di spiriti, angeli e santi, ma che per lei restava una cosa tanto
bella quanto lontana, dove i veri signori erano gli uccelli. Dove a
volte anche i suoi pensieri, senz’ali e senza vento, riuscivano a volare,
provocando l’invidia delle stelle (Un sorso di arsenico, p. 150)

Lei volle crederci. Le cose sarebbero cambiate. «Ogni anno si ri-


pete il miracolo: diradate le nebbie, gli uccelli tornano a contendersi
il cielo e il grano» osservò cedendo alla speranza che la vita, fatta an-
ch’essa di cicli, potesse infine mostrarle il suo volto più ameno.
(Agnese, una Visconti, p. 91)

In altre occasioni, fanno riferimento alla solitudine e alla malin-


conia, che accompagna molti dei protagonisti dei romanzi:

208
«Ventus taedium fugat!» mormorò Juana guardando un drappello
di nuvole sospinte lontano. Quando un paio di ibù vennero a posarsi
tra le feritoie, disse che la loro presenza era foriera di lugubri presagi:
«Sono uccelli della solitudine e non è per caso che sono corsi a farci
compagnia…» affermò amara, perdendo le speranze che qualcuno,
un giorno non lontano, potesse venire a liberarla. (Le rose di Cordova,
p. 150)

Fuori, sull’ampia terrazza, un nugolo di colombi si rincorreva gio-


cosamente in volo, mentre in quella stanza gialla come lo zafferano ca-
lava improvvisamente il freddo dell’inimicizia. (Lo scettro di seta)

Come descriverti lo sconforto di non averti trovata? Sapere poi


che eri venuta a cercarmi, mi ha riscaldato l’anima. Senza di te, in
questa nostra Parigi dilaniata dal rancore, mi sento un violino scor-
dato, un uccello senz’ali. (Un caffè con Robespierre, p. 184)

Lei, indolente, intinse un dito nello sciroppo in cui maceravano


le pere e con flemma se lo portò alla bocca. Poi, fingendo di pren-
derlo sul serio, se ne prese gioco: «Che pensare? Forse dormite in
posti male esposti, mio signore. Anch’io, dalla mia stanza, sento can-
tare gli uccelli della notte, ma soltanto usignoli e pettirossi.» (Agnese,
una Visconti, p. 53)

Non mi fidai della sua improvvisa complicità e per evitare even-


tuali trappole cercai di spostarne l’attenzione sul canto degli uccelli
notturni che arrivava forte e chiaro nella nostra stanza: strani ri-
chiami, incomprensibili messaggi di un mondo misterioso, ancora
precluso alla curiosità degli uomini.
«Sentite il canto che viene da fuori?» dissi eludendo la domanda.
«È la civetta, che dal nostro giardino parla al suo compagno rimasto
nel bosco, giù a fondovalle.» (Le rose di Cordova, pp. 28-29)

«Detesto l’inverno, i fiori sono dimessi e l’umore più basso del


solito!» sospirò la beghina Anne rivolgendosi a Sebile Vermunt. In-
torno a loro, ancora qualche traccia di neve. «Aspetto la primavera
come si aspetta un dono e guardo sempre il cielo sperando di vedere
le cicogne tornare indietro. Ma qui dentro il tempo non passa. E il
dolore nemmeno.» (La Riva Verde, p. 40)

209
Gli uccelli rappresentano anche la vita che scorre in libertà, che,
comunque, si presenta estremamente fragile di fronte alla volontà
della natura, ma anche alla presenza dell’uomo, capace di distrug-
gerla al suo passaggio; come fragile è, d’altronde, l’esistenza umana:

Nell’attesa di calore e bagliori, Agnese continuava a guardare il


mondo mentre imbiancava, e intanto una stessa domanda seguitava
a tormentarla: Ameremmo tanto la vita senza la paura della morte?
Esitava, ma poi la risposta era sempre la stessa: Forse, no.
Verso il crepuscolo, s’incollava alla finestra, mettendosi in cerca
di segni che l’aiutassero a scoprire dove andasse a nascondersi il sole
per scampare a un simile gelo. E dove si riparassero le rose per sot-
trarsi alle tenaglie dei venti. In assenza di risposte, alla fine aveva
un’unica certezza: di quel passo, l’inverno avrebbe allungato i suoi
artigli e stretto tutti in una morsa letale, facendo razzia delle anime
più fragili e dei poveri passeri. (Agnese, una Visconti, pp. 180-81)

È di speciale rilievo il profondo cromatismo che avvolge le ele-


ganti descrizioni dell’autrice e il simbolismo in esso racchiuso, ca-
ratteristico sia nella sua opera letteraria che in quella pittorica. I
colori e i contrasti tra luci e ombre, associati spesso agli elementi
della natura, acquistano un rilevante protagonismo in tutti i testi
della scrittrice italiana, poiché riflettono, in molte occasioni, lo stato
d’animo dei personaggi, colorando emozioni e sentimenti. In altri
casi, annunciano le diverse situazioni descritte, in consonanza con
esse, dotandole di luce o di oscurità, a seconda del contesto presen-
tato e del procedere della narrazione, e suscitando le più diverse emo-
zioni nei lettori.
Con propensione verso le tonalità forti e vivaci, abbinate spesso
alle passioni dei personaggi o all’intensità delle situazioni descritte,
i colori che ambientano gli spazi descritti sono talmente fondamen-
tali da diventare persino, in alcune occasioni, i protagonisti dei ro-
manzi; è il caso, ad esempio, del rouge clair o rosechiero del racconto
Un rosso da re12:

12
Incluso nella raccolta di racconti I racconti dell’ombra, Scrittura & Scrit-

210
«Conosco quel rosso impaziente, quasi folgorante, addirittura
più bello di un’ode… Non ti nascondo che vederlo brillare sulle mie
finestre mi renderebbe lieto, ciononostante, resto ugualmente con-
vinto che un sogno non debba mai avverarsi, o si cadrà prigionieri
della vanità umana.» […] (p. 72)

«Fa risaltare la seta di un vermiglio così splendente che al suo


confronto il sangue di san Giovanni o il rosso armeno impallidiscono
come cenci asciugati al sole» spiegò uno dei commensali. (p. 73)

In altre occasioni, i colori sono il nome o il soprannome di alcuni


personaggi dei suoi romanzi:

«Vi chiameremo Bianca. Come il colore della vostra pelle e quello


della vostra veste» annunciò infine l’uomo che a giudicare dall’arma-
tura indossata appariva come un valente cavaliere. (Sogni diVini13,
p. 14)

Lei, discreta ritrattista del Marais, era soprannominata la Rossa,


in ragione della sua cascata di capelli ramati, a un tempo emblema
di passione e di peccato, sensualità e perdizione. (Le viole d’inverno14)

A differenza dei colori chiari, che apportano luce alle scene, in


particolare il bianco, spesso associato alla purezza, all’eternità, alla
speranza di vita anche dopo la morte, alla spiritualità e alla libera-
zione dell’anima, in molte occasioni, i colori scuri annunciano si-
tuazioni tenebrose e stati d’animo decadenti, morte e penombra,
disgrazie e sventure, legate profondamente alle tonalità che colorano
gli ambienti e agli elementi ad esse associati; come si può osservare
nei seguenti esempi:

ture, Napoli, pp. 67-82.


13
A. ASSINI, Sogni diVini, Scrittura & Scritture, Napoli 2011.
14
Del romanzo Le viole d’inverno si dispone della versione in pdf perché è
ancora inedito in Italia. È stato invece pubblicato in lingua spagnola presso la
casa editrice Arcibel, di Siviglia, nel 2018, tradotto da Mercedes González de
Sande.

211
Quell’idea di eternità commosse la regina. Accecata dal biancore
splendente del calcare di Tura che da più d’un millennio rivestiva il
sepolcro del faraone, acquietò lo sguardo nelle tinte opache della sua
tunica sciupata dal sole, mentre un pensiero nuovo correva a con-
fortarla dagli stupori dell’ignoto:
«Dove la bellezza trionfa, non si muore» disse tra sé assaporando
i frutti d’una leggera euforia. (Lo scettro di seta)

Persino nello stagno più piccolo si rifletteva l’infinità del cielo;


ogni giorno la luce veniva inghiottita dalle tenebre. Malgrado la
morte, la vita riprendeva in eterno i suoi ritmi. (Agnese, una Visconti,
p. 231)

Nella penombra della sala addobbata di velluti scuri, la defunta


spiccava come un giglio tra i rovi, tra veli e sete del bianco più bianco,
con ricami in filo d’oro sul petto e un diadema tra i capelli. (Agnese,
una Visconti, p. 141)

Le indicai attraverso la finestra aperta un punto luminoso in lon-


tananza. Dicevano che a brillare fosse lo spirito d’una donna morta
per amore in altri tempi, ma tuttora incapace di rassegnarsi all’oscu-
rità e all’oblio. (Le rose di Cordova, p. 30)

Un’angoscia profonda come il mare, più lacerante d’una lama,


l’attraversò dalla testa ai piedi lasciandola esangue ma senza lacrime.
Il cielo era nero, il suo animo in lutto. Odiava Parigi e il suo odore
di morte. (Un caffè con Robespierre, p. 78)

Tuttavia, in altre occasioni, il bianco, a volte neutro, a volte ac-


cecante o stridente, il colore della neve dell’algido inverno, che copre
la natura con il suo manto, è simbolo di lutto e di disgrazie:
Imgur morì sul finire dell’estate.
Semiramide sospese feste, commerci e negoziati per andare un’ul-
tima volta a salutarlo. Rinunciò ai profumi e vestì un abito bianco
come gli asfodeli: in quell’assenza di colore ripose il segno del lutto.
(Lo scettro di seta)

Il Re Cattolico aveva usato parole intrise di rispetto e commo-


zione per informare figlia e genero che il ventisei di novembre, all’ora

212
sesta, l’amata Isabel s’era spenta a Medina del Campo, stroncata da
un cancro. Aveva poco più di cinquantatre anni e con la sua morte,
secondo Pietro Martire d’Anghiera, «il mondo aveva perduto il suo
ornamento più bello».
Quasi per incanto, adesso il cielo venato dai lampi ‘era fatto d’un
algido bianco e il borbottio dei tuoni, in lontananza, arrivava som-
messo, anche se non meno sinistro. (Le rose di Cordova, p. 108)

La neve, intanto, scendeva a fiocchi così grossi che parevano noci.


Nel tempo di un’avemaria, alberi e tetti, vie e campanili si tinsero di
un bianco accecante. Ancora una volta sarebbero riapparsi branchi
di lupi affamati, in cerca di carne e di sangue. (Agnese, una Visconti,
p. 283)

Dalla sua casa a picco sul vuoto, poteva abbracciare con il solo
sguardo l’intero bosco di querce che si stendeva a fondovalle. Ma
adesso anche quello, sepolto sotto una gelida coltre di neve, sembrava
sparito nel nulla, per un sortilegio di maghi.
In quel trionfo di bianco e di luce accecante comparve la sagoma
incerta di un uomo. Nascosto sotto un ampio mantello, procedeva
a passo lento, col fiato corto e la faccia arrossata dall’aria pungente.
(L’eterno abbraccio del biancospino, in I racconti dell’ombra, p. 9)

Uno spazio rilevante occupano il colore giallo e le tonalità oro,


raffiguranti la luce divina nell’iconografia sacra, ma anche simbolo
di lusso e di ostentazione, di splendore, fama, piacere dei sensi, e,
infine, di perpetuità, associati spesso a sontuose edificazioni del pa-
trimonio universale, perdurabili nel tempo, nonostante le avversità
della Storia, così come l’anima umana:
«L’avidità e la vanagloria offuscano gli uomini per stornarli dal-
l’unico impegno serio: dare dignità all’esistenza terrena per meritare
quella celeste.»
«L’oro non è che vanitas, ciononostante troneggia pure sugli al-
tari» obiettò con garbo la Visconti.
«Sì, ma in modi ben più nobili». Sull’ara sacra assumeva una di-
versa veste, e da prosaica guarnizione per chi s’affannava a fare il verso
ai pavoni, diventava pura luce, rappresentazione eccelsa e perfetta di
quella del Signore.

213
«La vera bellezza non è forse quella che non si vede, se non con
l’occhio dell’anima?» la incalzò l’altra, non per metterla in difficoltà,
ma per un confronto amichevole sul tema.
«Lo è. Tutto il resto attiene all’effimero piacere, una selva di illu-
sioni e di sottili inganni.» (Agnese, una Visconti, pp. 136-37)

Tuttavia, rimesso lo scettro e senza più il peso dell’impero, adesso


scopriva un mondo nuovo ed emozioni forti anche laddove non bril-
lava l’oro e tutto si svolgeva nell’ombra. Trascurò i dettami del rango
e diede la parola all’egiziana vestita di giallo e d’arancio, che le sedeva
a fianco.
Quella, strappata da tempo alle sponde del Nilo, abbandonò le
iniziali riserve e cominciò un gioco nuovo, inventato con le sue com-
pagne nelle ore di fatica, quando soltanto i colori della mente pote-
vano contrastare il grigiore estenuante dei loro giorni. (Lo scettro di
seta)

Se pretendeva i marmi dorati dell’Armenia era perché ogni


giorno la luce del tramonto potesse avvolgerli e farli riflettere al pari
d’uno specchio. E se, col solito imperio, esigeva le turchesi del Sinai,
non era per semplice diletto ma affinché contrastassero col rosso pro-
fondo dei porfidi africani. (Lo scettro di seta)

Alla rosa, troppo delicata, lei preferiva la ginestra dalle radici te-
naci e la fioritura d’un giallo sì lucente da conferire lustro perfino ai
terreni più sassosi. Un re ne aveva fatto raffigurare un tralcio nello
stemma di famiglia; un altro le aveva intitolato un ordine di cavalieri
scelti. Nelle sue radici si rinveniva polvere di oro fino. (Agnese, una
Visconti, p. 116)

«Voglio che queste stanze trabocchino di calendule» ordinò poi


a Sidonia. Che andasse nel verziere e giù, nei campi, per coglierne a
cento a cento. Col giallo vivo delle “spose del sole” avrebbe inondato
di luce ogni angolo, evocando il piacere dei sensi e l’allegrezza dei
giorni di festa, la stagione sacra a Bacco e quella dei ciliegi in fiore.
(Agnese, una Visconti, p. 78)

Allo stesso modo, il rosso, colore del sangue, del fuoco e delle
passioni, del piacere, dell’energia, della vitalità e della forza, ma anche
della terra e della fertilità, irrompe esuberante nelle opere di Assini,

214
insieme all’arancione - «ponte tra l’oro del sole e il fuoco della
terra» -, al vermiglio e alle tonalità affini:
Drizzò il busto e sembrò più alto. Indossava una tunica di da-
masco in una rara sfumatura d’arancione, la tinta che fungeva da
ponte tra l’oro del sole e il fuoco della terra. Con quella luce addosso,
assomigliava a un principe orientale. (Agnese, una Visconti, p. 78)

Ishtar governava la guerra e l’amore. Per la sua festa, Semiramide


volle una tunica rossa come i rubini di Mardok, tutta adorna di gale.
Sul capo, un velo leggero dello stesso colore e ai piedi calzari di stoffa
con ricche bordure.
«I sudditi credono che tu e la dea siate un unico essere,» le riferì
Tamgur guardandola splendere come un astro di fuoco. (Lo scettro
di seta)

«Lo so che assieme a Cesare non sarà felice, ma almeno avrà un


tetto sulla testa e godrà di maggior rispetto…» gli disse con distacco,
mentre gli indicava l’abito da sposa, di un vermiglio opaco, tinto con
la robbia, come le vesti delle contadine. «Sapessi quanto ho sognato
di indossarne anch’io uno eguale! Magari d’un rosso più brillante...»
(Un sorso di arsenico, p. 193)

Ma lei era un fiume in piena: «Certi giorni, per pochi attimi, mi


capita d’essere felice». Allora, mentre le sue labbra diventavano più
rosse dei rubini e pulviscoli d’oro le illuminavano lo sguardo, il suo
cuore faceva salti e capriole. (Agnese, una Visconti, p. 231)

«Il mio nome è Nura, Maestà!» ribadii severa, tornando, per un


attimo, ad essere quella che ero stata. Sebbene ormai fosse trascorso
più di mezzo secolo dai fatti di Granada, non resistetti ugualmente
alla voglia di rievocare la mia vita di allora, spesa tra i lucori della
madreperla e delle sete, il rosso scarlatto dei melograni e l’oro dei
soffitti. (Le rose di Cordova, p. 164)

Il laboratorio dei Campen era stretto, buio e maleodorante, ma


soprattutto simile a un macello, per via del rosso che imperava ovun-
que. Impetuoso e invadente, il colore delle rose e delle fiamme am-
miccava già dalle ciotole delle polveri, fremeva nei caldai bollenti,
risplendeva sulle stoffe appena tinte, evocando il fuoco e anche la

215
carne, il vino e il sangue. […] C’erano stati giorni, nel corso del-
l’adolescenza, in cui si era chiesto spesso, immergendo la lana nei
mastelli, se quello che vedeva bollire sotto i suoi occhi fosse più vi-
cino al sangue versato da Cristo, o invece ai roghi dell’inferno. (La
Riva Verde, pp. 66-67)

Anche il verde, il colore raffigurante la natura e la fertilità, asso-


ciato in molte occasioni alla calma e all’armonia, alla fortuna, alla
speranza e al rinnovamento spirituale, è molto presente negli am-
bienti descritti dalla nostra scrittrice; come osserviamo negli esempi
presentati qui di seguito:

Senza chiedere il permesso a chicchessia, ordinò tendaggi e cor-


tine di damasco per rinnovare gli arredi della sua stanza, la stessa
dove avrebbe partorito. In quanto alle stoffe, trapunte e lenzuola,
volle che fossero d’un verde più vivido delle olive che Orazio vedeva
brillare a Venafro. E la credenza doveva essere capiente: sui suoi ri-
piani avrebbero esposto cibarie e bevande destinate alle tante dame
che, dopo il parto, sarebbero andate a farle visita ogni giorno.
(Agnese, una Visconti, p. 160)

Per dare ordine al mio incerto vivere, contavo a una a una le pa-
role dette, puntando a pronunciarne sempre meno, per arrivare a
niente. Però ancora mi ostinavo a coltivare un sogno, sbiadito come
le mie chiome: tornare a Granata e morire in un mattino d’estate sul
far dell’aurora, tra i mirti sempreverdi dell’Alhambra. (Le rose di Cor-
dova, p. 164)

«Il buio non sarà un ostacolo» disse mostrando ai passeggeri una


tabella con il calcolo dell’intensità della luce lunare per ogni notte
del calendario.
Bertrand si fece il segno della croce e restò all’erta fino all’alba.
Con il cielo che schiariva, s’accorse di come fosse cambiato il pano-
rama, con i campi che parevano più verdi e l’aria più morbida. (Un
caffè con Robespierre, p. 110)

Il colore blu, l’azzurro e le tonalità affini, che tingono il cielo e la


luna, i mari e i fiumi, sono spesso associati alla meditazione, alla sag-

216
gezza e alla riflessione, ma anche alla malinconia che invade i prota-
gonisti dei romanzi:

Nei giorni fasti di luna chiara, propizi alle arti e ad ogni manife-
stazione del sapere, si ritrovavano spesso nella Sala Blu della biblio-
teca. Tra le pareti azzurrine, rivestite di mattoni invetriati, Tösar
leggeva ad alta voce per la sovrana, scegliendo con cura i brani più
significativi dei classici a sua disposizione. (Lo scettro di seta)

Il canto gioioso dei passeri mi sospingeva verso i cirri biancastri


e gli sprazzi azzurrini del cielo, ma poi sentivo cigolare le ruote dei
carretti o strillare le lavandaie che si contendevano l’acqua con la ce-
nere e allora, seppure a malincuore, scendevo di nuovo coi piedi sulla
terra. (Le rose di Cordova, pp. 14-15)

Ma è dal mare che viene l’incanto. Non è del ‘colore del vino’,
come quello di Omero, ma di un blu più profondo dei fiori dell’aco-
nito. Al tramonto s’infiamma, le onde s’increspano, la sua voce lieve
si fa roca mentre narra, a chi sa ascoltarle, vecchie storie di sirene,
naufraghi, pirati. Qui, anche gli spiriti più disillusi finiscono per ce-
dere alle suggestioni delle favole. (Un caffè con Robespierre, p. 132)

Infine, l’arcobaleno, che porta quiete e speranza al suo passaggio:

Un arcobaleno si stagliò contro una massa di candidi cirri e


Agnese ne colse un sommesso invito alla speranza.
«E all’illusione, madonna» la corresse il veggente. L’iride, carica
di promesse, rinnovava l’antico patto tra terra e cielo, che per sua na-
tura, però, era di durata breve. «Fino al prossimo temporale.» (Agnese,
una Visconti, p. 131)

Mentre il vento di Salinara spazzava via le ultime nuvole, un ar-


cobaleno rallegrò il cielo con la sua promessa di quiete, e siccome
tra i colori dell’iride prevaleva il giallo, il mercante si sbilanciò con
una previsione: «Se il demonio non ci mette la coda, avremo un’ot-
tima annata per il grano.» (Il mercante di zucchero, p. 12)

Adriana Assini impiega i colori e le atmosfere per contestualizzare


le storie e le inquietudini narrate come se fossero decise pennellate

217
di uno dei suoi quadri, trasferendoci in tempi remoti, avvolti in una
profonda aura di mistero, di malinconia e di contrasti, tra luci e
ombre, magia e sogno, realtà e fantasia; elementi che affascinano il
lettore e ne stimolano la curiosità pagina dopo pagina. È per questo
che, nello stile dei suoi romanzi, predomina il linguaggio evocativo,
costruito, fondamentalmente, attraverso le associazioni che le menti
dei protagonisti fanno tra le immagini e i fatti che presenziano, as-
sociandoli spesso al passato; un passato a volte glorioso, a volte
atroce; un passato personale e un altro che richiama la Storia collet-
tiva, condivisa dall’intera umanità. In tal modo, i protagonisti dei
suoi scritti, non accettando spesso il presente che vivono, cercano,
in molte occasioni, momenti di evasione, rievocando tempi passati
e momenti felici o gloriosi, ambientati in spazi a loro cari, che li aiu-
teranno a fuggire da una realtà non gradita. È il caso, ad esempio, di
Nura, schiava araba di Giovanna di Castiglia, nel romanzo Le rose
di Cordova, quando, persa nel ricordo dell’infanzia felice, durante la
quale godeva ancora della libertà e di una identità ormai perduta,
rammenta la sua tanto amata Cordova prima della Riconquista cri-
stiana, paradiso perduto dello splendore arabo in Spagna:
Andai a ritroso nel tempo, attraversando a passo lento i miei ri-
cordi, per timore di perderli. Mi rividi a passeggio nel patio dei ci-
pressi di Granada e poi sorseggiare un infuso caldo nella mia stanza
tappezzata di damaschi, mentre un giovane eunuco mi profumava
le caviglie con la canfora e il muschio. Nei rari giorni di pioggia mi
cimentavo con gli strumenti a corde o scrivevo poesie d’amore sulla
carta color rubino che un facitore di fogli di san Felipe portava una
volta al mese, ad uso esclusivo dei nobili di corte.
Incapace di rassegnarmi alla sconfitta, ripensai al giorno in cui gli
spagnoli erano entrati nella mia città da vincitori. Rividi il sultano
commuoversi fino alle lacrime e udii ancora sua madre, che gli stava a
fianco, pronunciare parole memorabili: «Fai bene a piangere come una
donna per la perdita di questa città che non hai saputo difendere come
un uomo!». […] Con un lungo sospiro, tornai al presente, tra le rovine
di marmo e quelle dell’animo. (Le rose di Cordova, pp. 19-20)

Quell’anno, l’ultimo, gli alberi in fiore avevano imbiancato la

218
valle del Duero e il cielo, sgombro da nubi e foschia, faceva sì che
Medina del Campo apparisse più vicina. […]
«Il mio nome è Nura, Maestà!» ribadii severa, tornando, per un
attimo, ad essere quella che ero stata. Sebbene ormai fosse trascorso
più di mezzo secolo dai fatti di Granada, non resistetti ugualmente
alla voglia di rievocare la mia vita di allora, spesa tra i lucori della
madreperla e delle sete, il rosso scarlatto dei melograni e l’oro dei
soffitti. (Le rose di Cordova, pp. 164 e 166)

Anche la giovane Agnese Visconti, per citare un altro esempio,


spesso rievoca la Milano della sua infanzia, quando viveva felice e
senza imposizioni:
Di San Giovanni in Conca, un pezzo sacro della sua storia, co-
nosceva ogni minimo anfratto, scorcio e segretezza. Negli ampi giar-
dini decorati con vasche piene di pesci, alberi e fiori, lei c’era
cresciuta, giocando a dare un nome alle trote e alle rose. Impossibile
scordare quei mattini senza nebbia, quando cavalcava fino all’abbazia
di Chiaravalle, dove la vegetazione spuntava rigogliosa e l’acqua delle
risorgive non gelava neanche durante la Canderola.
Abbracciata da una solida cinta muraria, Milano abbondava di
chiese, botteghe, palazzi, conventi. Ed era il suo piccolo eden.
(Agnese, una Visconti, p. 68)

Allo stesso modo, si evadono con frequenza nella bellezza della


natura, incorruttibile e piena di splendore e di fertilità, nonostante
le malvagità degli uomini. Una natura che prende vita nelle descri-
zioni di Assini, spesso paragonata a qualità umane:
«Furono i miei avi, oltre tre secoli or sono, a piantare in questa
regione la prima vigna, trasformando quelle che prima erano dune
sterili come la morte in colline ubertose e ridenti come i seni delle
ninfe» raccontò con malcelato orgoglio per i pregi della sua famiglia.
«Per innumerevoli stagioni, i suoi tralci crebbero forti e sani dando
bellissimi grappoli con acini grossi come noci, dalla polpa così suc-
cosa e zuccherina da far invidia al nettare bevuto un tempo dagli dèi
dell’Olimpo.» (Sogni diVini, pp. 14-15)

L’odore della terra bagnata mi confortava come un abbraccio ma-

219
terno. Mi guardai attorno nell’urgenza di riempirmi lo sguardo con
l’azzurro del cielo e il volo dei merli, lasciandomi poi assorbire dal
verde intenso delle acque del Guadalquivir e infine abbagliarmi coi
riflessi d’oro puro del vecchio minareto, che al pari di un antico faro
aveva un tempo segnalato la città a pellegrini e mercanti. (Le rose di
Cordova, pp. 19-20)

Una natura madre e creatrice, ma, a volte, matrigna, che si ribella


contro l’uomo, rivoltandoglisi contro:

«Vero è, moglie mia, che non tutte le ghiande diventano querce».


A mezza bocca ammise che avrebbe preferito passare ad Agnese le
redini della Signoria. Con lei la biscia dei Visconti avrebbe dominato
l’universo. Peccato che fosse nata femmina. Inveì contro la natura,
che nei confronti di sua figlia era stata un’autentica matrigna: «A che
pro infondere il coraggio d’un guerriero in un corpo di vetro?».
(Agnese, una Visconti, p. 50)

Caddero le prime nevi e il cielo si tinse di un biancore stridente.


Niente più odori penetranti nei giardini, né canti di uccelli nei cieli.
Colori spenti, foglie appassite. Una natura che da madre s’era fatta
matrigna ammutolendo il cosmo, spegnendo le stelle. (Agnese, una
Visconti, pp. 180-81)

La terra che barcolla per effetto di un’ebbrezza naturale mi spinge


a inquiete riflessioni sulla precarietà dell’esistenza. Come scovare la
verità nascosta in mezzo alla menzogna se intorno a me ogni cosa
trema, ricordandomi che sotto il sole tutto è instabile e perituro? (Un
caffè con Robespierre, p. 149)

Sul fare dell’alba di un mattino d’estate si scatenò un putiferio


di tuoni e di lampi. La terra si scosse, i muri tremarono. Fu in quei
terribili frangenti che Beatrice della Scala esalò l’ultimo respiro.
«Quando muore una grandissima donna, non c’è da meravigliarsi
se l’universo intero si ribella» commentò il medico accorso al suo ca-
pezzale, nel maestoso castello di Sant’Angelo Lodigiano. (Agnese, una
Visconti, p. 139)

Con un linguaggio carico di connotazioni e, allo stesso tempo,

220
di pronta fruizione, Adriana Assini dà voce a personaggi di altri
tempi, avvicinandoli al presente e a chi vorrà scoprirli attraverso la
lettura dei suoi romanzi. In questo breve saggio si è voluto mostrare
come le opere dell’autrice romana risveglino emozioni e inducano a
riflettere sulla complessità dell’animo umano e sulle ingiustizie della
Storia, ciò grazie anche alla contestualizzazione dei suoi racconti in
ambienti e spazi che apportano contenuti e significati universali.

BIBLIOGRAFIA

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222
RIASSUNTO
Seguendo l’impronta della tradizione letteraria del Novecento, in
cui il messaggio e il valore morale della scrittura contavano al di sopra
di ogni esibizione formale, la scrittrice Adriana Assini, per la stesura
dei suoi romanzi, impiega un linguaggio carico di connotazioni, che
va oltre le apparenze. Nel presente saggio si dimostra come l’autrice
conduce il lettore, attraverso una continua riflessione sul messaggio
contenuto nel testo, alla costante ricerca di significati e di valori es-
senziali dell’animo umano.

Parole chiave: Adriana Assini, letteratura italiana contemporanea,


linguaggio connotativo, scrittura femminile, romanzo storico.

ABSTRACT
The Symbolism in the Settings of Adriana Assini’s Novels

Following “Novecento’s” literary traditional pattern, in which the


text’s message and the written moral value was more relevant than
any formal exhibition, writer Adriana Assini employs in her novels
a language rich in connotations which goes beyond appearances in
order to find meanings and essential values coming for the human
soul. Assini makes the reader reflect upon the writing’s message, as
we will try to prove in the present essay.

Key Words: Adriana Assini, contemporary Italian literature, con-


notative language, feminine writing, historical novel.

223
INDICE

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

DIANA DEL MASTRO


Alle radici della forma:
il suono e il ritmo primordiale della Terra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

TEODORO BRESCIA
I simboli taoisti della materia e dello spirito:
alle radici della filosofia perenne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

MARIADOMENICA LO NOSTRO
Il risveglio della Madre Terra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

KATJIA TORRES
Indicios de cultos matriarcales preislámicos
recogidos en el Corán . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75

ANNEMARIE KROKE
Regredire al materno per progredire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95

TARSHITO
Terra (Unione), Mater (Offerta)
Materia (Pellegrinaggio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103

ANGELA GIALLONGO
La Terra come metafora del femminile nel medioevo . . . . . . . . . . . . . . 113

PATRIZIA CARAFFI
Terra e cielo. Le donne albero, gli alberi delle donne . . . . . . . . . . . . . . . 141

427
DANIELE CERRATO
Miti e Simboli matriarcali
in Accabadora di Michela Murgia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163

EVA MORENO LAGO, MERCEDES ARRIAGA FLÓREZ


Il simbolico materno
in Carmín rojo sangre di María Rosal . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179

MERCEDES GONZÁLEZ DE SANDE


La simbologia nell’ambientazione
dei romanzi di Adriana Assini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197

GENNARO VALENTINO
Ritorno a Bagheria. Il ricordo della terra natìa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 225

FERNANDA MANCINI
A mo’ di emblema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 239

LAURA MARCHETTI
La fiaba come voce profonda della natura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 243

MARIA LEO
Le symbole de la pomme au cours du temps et des âges . . . . . . . . . . . 267

SEBASTIANO VALERIO
Leopardi, Pascoli, Pirandello e le colpe di Copernico . . . . . . . . . . . . . . 295

MARINO ALBERTO BALDUCCI


La Donna Nera e Francesco D’assisi
nella Divina Commedia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313

CEZARY KORZEC
Nostra sorella madre Terra: una rilettura evangelica
dell’antico concetto nel Cantico delle creature
di san Francesco d’Assisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333

428
ANDREA SCHEMBARI
La terra vista dall’acqua. Mito e identità
negli approdi in Sicilia di P.L. Courier e J.W. Goethe . . . . . . . . . . . . . . . 345

ANDREA DEL GUERCIO


L’arte della terra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 357

CARLA DELLA PENNA


Symbolism Versus Reality:
The Meaning of the Word “Land” for the Migrant ................. 369

ANGELO RELLA
La terra è in pericolo?
La letteratura di genere la salverà! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 385

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