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XRONYAN-5/8

CRONACHE DA ARETAEN-2
Rapporto N. 37377/69

CHAOS
(il Diario di Primultimo)
Enrico D’Antonangelo

CHAOS
(IL DIARIOSCEMO)

Disfunzioni dell'anima e del pensiero

nessun godere senza il peccato


nessun peccato senza il piacere
abbi compassione di noi
deportati nelle terre vergini dell’ignoto
oltre la frontiera del buono e del cattivo

pietà di queste nostre mani intorpidite


di queste nostre menti lussureggianti
di questo nostro perpetuo anelito di conoscenza

abbi misericordia di noi che aspiriamo alla vita


Sintesi

Ho scritto duecento canzoni


duecento emozioni sofferte e godute
duecento pianeti d’amore.
Ho visto duecento colombe
volare tra i raggi del sole
duecento frammenti d’amore.
Pensando duecento ricerco
la scia d’ogni singolo impulso:
duecento riflessi di uno.
I-GIOBÀ

II - IL FUNERALE

III - IL CORPO (il Condannato e il Cireneo)

IV - IL VIAGGIO

V - METEMPSICOSI

VI - IL DESTINO

VII - L’ALBERGO

VIII - NEL VENTRE DELLA BALENA

IX - RIGETTATO

X - ALL’INFERNO E RITORNO

XI - RICONOSCENZA

XII - I FRUTTI DELL’ONORE (Il giapponese incazzato)

XIII - ERRARE UMANO, PERSEVERARE POLITICO

XIV - COME TI AMMAZZO UN IMMORTALE

XV - BOBOCÙ PROFETA

XVI - RISOLUZIONE
G I O B A'
(il Condannato e il Cireneo)

Agosto 1985
Sotto la grande quercia di Paraclite Menestra, (famosissima nel circondario per le
violente passioni consumate con membri di tutte le età e di qualsiasi ceto, “purché
tosti e bendisposti”), cercando di sfuggire, in qualche modo, all'abbraccio vischioso
di questa accesa estate, grassa baldracca sudata, con le mammelle a tentacolo e le
labbra pendule, asfissianti, me ne sto, magicamente isolato da rumori e vocii, come in
una dimensione di insolente estatica indifferenza.
Dalla placida piana Falisca, il frinito delle cicale si espande a riempire il cielo
accecato dal sole. Una formicuzza pizzicarella mezza nera e mezza rossa,
imprudentemente inoltratasi nella selva pilifera della mia gamba destra e impantanata
nella paludosa secrezione delle mie ghiandole sudorifere, miasmiche di testosterone
stipato da una misteriosa potenza di egocentrismo antisessuale, presentatasi
improvvisa un paio di settimane fa, (non ti metterò a mollo neanche se arderai per
autocombustione,Brutto Prepotente Irresponsabile), ha forse smarrito la speranza di
riuscire a districarsi e riconquistare le tranquille autostrade di fili d'erba perché,
all'improvviso, affonda le sue pinzette e morde. Per liberarla dalla probabile
disperazione, la stringo tra due dita: il pollice e l'indice della mano sinistra. La destra
l’avevo legata al tronco della quercia per impedirle di lasciarsi circuire dal richiamo
del B.P.I..
C'era una volta una formichina mezza nera e mezza rossa… e penso a ieri, a quando
abbiamo accompagnato Giobà al camposanto.
Tutte le formicuzze vestite di nero
vanno ad accompagnare lo sposo al cimitero.
Tutte le formicuzze vestite di bianco
vanno ad accompagnare lo sposo al camposanto
la ri zzu mpa ra ri lla lle ro
la ri zzu mpa ra ri lla lla.
IL FUNERALE

Si, c'eravamo tutti: i vecchi rassegnati, gli adulti disillusi, i bambini misteriosi. Tutti
ad accompagnare il morto che, finalmente, aveva annullato l'imbarazzo sociale di
saperlo morente.
Si poteva di nuovo uscire senza il timore di incontrarlo, consapevoli di essere pronti
alla vigliaccata di svicolare, pur di evitare la pena di subire il suo sguardo.
Il Condannato era già morto, perché insisteva a mostrare il suo cadavere tra i vivi?
E così, (alleluia!), si era potuto fargli quella bella festa, attesa, o meglio, augurata
come una liberazione, da ormai diversi anni.
La banda suonò come non aveva mai suonato, liberando un tragico pathos straziante
compresso negli strumenti sino dal tanto tempo della loro ideazione.
Il trombone e la tuba, per la prima volta nella storia pluridecennale della banda,
indovinarono il tempo mentre i piatti, purtroppo, non riuscirono ad entrare in sintonia
neppure in quella situazione di ebnefsi generale.
La tromba, suonata per l'occasione dal maestro che poteva degnamente inaugurare il
bocchino d'oro donatogli per i quarant’anni di onorato servizio nella banda militare,
tremolò la prima nota del Silenzio proprio mentre tutti si aspettavano la consueta,
pregna di barocco pietismo, predica del parroco che, invece, non profferì parola
all'infuori delle canoniche perifrasi liturgiche. Il suo pudore intellettuale dimostrò
l'onestà della sua intelligenza ed espose, agli occhi dei vedenti, il motivo per cui i
suoi parrocchiani lo avessero sul gozzo: per essere veramente santo, gli mancava
soltanto la “sospensione a divinis”. Però, nessuno è perfetto.
I fanciulli, vestiti con i bianchi camici della prima comunione, in piena sintonia con
gli usi e costumi della società dei consumi, aprirono la processione sorreggendo
cuscini di fiori, (due per uno come immagine speculare della Trinità, due Persone più
lo Spirito Santo dell’olezzo dei fiori) regolarmente listati a lutto, con il nome, in
caratteri dorati, dello sponsor offerente: GLI AMICI, I CONOSCENTI, I VICINI DI
CASA, GLI EX COMPAGNI DI SCUOLA, I CUGINI, IL CONSIGLIO
COMUNALE, LA POLISPORTIVA, etc,
Appresso, seguivano: le varie Associazioni paesane con stendardi e rappresentanze
(PRO-LOCO, AVIS, gli EX, tanti EX, pensionati a cinquant’anni, per aver speso la
loro vita in custodia dei lavoratori produttivi costretti, fino ai sessanta anni, ai ritmi
delle catene di montaggio);
poi la Banda Comunale, tallonata dal vigile urbano, in guanti bianchi, che innalzava il
vessillo comunale;
appresso, il prete, davanti alla bara, portata a spalla da sei degli amici un pò meno
lontani quando sarebbe stato il momento di stargli vicini.
Dietro alla bara, circonfusi da un’aura di pena straziante, come reclusi in una
dimensione indifferente agli occhi ed alle percezioni dei presenti, venivano:
il babbo, più che settantenne (Giuseppe), compatito da tutti per il suo dolore ma reo,
in se stesso, per essere sopravvissuto al figlio e la mamma (Maria), pubblico
ministero nel suo processo personale contro la malvagità di un Dio che le aveva
rubato il figlio venticinquenne, sorretta o, meglio dire, imprigionata dalle pie donne,
per impedirle di saltare sulla bara, scoperchiarla e gridare al figlio: Risorgi!
(Gli apocrifi narrano che, per Lazzaro, sarebbe stato meglio non essere tornato
indietro; e la saggezza inconsapevole delle prefiche tramanda tale inesorabile
tradizione. Gemiti, ululati, stridii vibranti, costruiscono la nave sulla quale l’anima
del morto potrà viaggiare, sino alla fine dei tempi, sulle creste delle onde sonore).
Riemergere dal grembo dell’infinito e ritrovarsi di nuovo limitato nelle
microscopiche fibre di un minuscolo corpo… a me, personalmente, provocherebbe
una crisi bestemmiatoria di ininterrotta sequela augurando, al responsabile di cotanta
perversione, una eterna vita fisiologico-restrittiva.
Dietro al gruppo della Pietà vivente, veniva il Sindaco, con il Consiglio Comunale al
gran completo; poi, i parenti più stretti, e infine tutti gli anonimi che non contano
niente, ma il cui numero influisce sulla dignità e solennità dell'avvenimento.
Tutti presenti per uno dei funerali paesani meglio riusciti, a memoria di vecchio,
come sancì Leccarécca padre, novantenne arzillo, quarantasei di scarpe e 32
centimetri della, ormai naturalmente fu, verga del pastore.
Sin dal giorno della nascita, Leccarécca non aveva mancato un funerale, essendo nato
proprio durante una funzione funebre (sua madre volle essere presente, a tutti i costi,
al funerale della sua più acerrima rivale in amore, morta ufficialmente di crepacuore;
ma il tamtam della vox populi sussurrava, ancora ai tempi nostri, la tragedia di una
fattura irreversibile: chi ordinava la fattura vendeva l'anima al diavolo e chi la subiva
non aveva alcuna possibilità di scampo. Moriva fra atroci sofferenze espellendo, dalle
narici, crini di cavallo e fibre di legno d'alloro. La mamma di Leccarécca invece,
nonostante le dicerie sulla vendita dell’anima al diavolo, se ne era andata,
serenamente, distesa tra le lenzuola del suo letto vedovale, con la faccetta grinzosa
fissata per l’eternità in un fazioso sorrisetto di compiacimento).
Leccarécca padre poteva vantare un record da Guinness; ma non aveva diritto ad
essere accolto nel fatidico libro, per mancanza di una documentazione giurata.
Aveva accompagnato tutti, maschi e femmine, giovani e vecchi, poveri e ricchi; con
il sole e con la pioggia, con la tramontana e con il ponentino, con il cappottaccio
militare della Grandeguerra e con il corpetto di fustagno. Si era pazientemente
sciroppato tutta la sua generazione senza mai spuntare una lacrima ed ora, senza
alcuna apparente emozione, assisteva alla dipartita delle successive.
Leccarécca era una istituzione, conosciuto da tutti e frequentato da nessuno; finché la
Donnola lo trovò in un momento di debolezza e di alta ebbrezza, riuscendo, così, a
confessarlo, svelando finalmente il mistero della sua frequentazione funeralesca:
Leccarécca padre si arrapava. Come si arrapava ai funerali non gli capitava da
nessuna altra parte e in nessuna altra situazione. Si arrapava da bambino, si arrapava
da adulto, si arrapava da anziano e continuava ad arraparsi da vecchio bacucco. Si
arrapava e si toccava il pendulo per tutta la durata della cerimonia funebre e del
trasporto, con la sinistra artrosica costantemente infilata nella tasca, senza saccoccia,
dei calzoni.
Perché? insisteva la Donnola, incubatrice eccellente del verme solitario del
pettegolezzo, con l’occhio catarattico, vacuo e velato, e la bocca deformata da una
smorfia avida e umidiccia.
Ma la risposta si infranse sull'orlo del bicchiere, in una sorsata di chiaretto scialìto,
dono disinteressato di Fuffì, il quale non si faceva guardare in faccia quando gli si
rovinava qualche damigiana di vino e regalava, nobile cuore di astuto commerciante
incorreggibile, un bicchiere qua, uno là, ai palati esausti dei vecchi consumati dalla
antica fatica della manovalanza: carrettieri, braccianti, vangatori, picconatori,
sterratori.
Così la Donnola svelò il mistero ma non poté sollevare il coperchio della pignatta
dove palpitava il segreto che partoriva il mistero.
Comunque, finché c'è vita c'è speranza, e la curiosità della Donnola è più tenace del
superattak. Prima o poi, meglio prima, dal momento che Leccarécca ha già un piede
nella fossa, riuscirà nel suo intento, rendendo onore al motto stampigliato sulla sua
lingua "vedremo chi la spunta", e si presenterà al circolo, ingobbito nel giaccone di
montone, con le mani in tasca e il viso classico di chi, se non lo dice, scoppia.
(La curiosità della povera Donnola non poté mai essere soddisfatta perché Leccarécca
si decise ad aprirsi, completamente, con Stirazeppi, proprio al funerale della Donnola.
Attaccò così, come se parlasse con se stesso, nel momento in cui il prete girava
attorno alla bara, dondolando il turibolo con l’incenso: “Ah che profumo de sorca!
Solo kappeddentro profume kossì e solo lappi funerali. Edè come si a morte a facesse
ngrufà. Un profumo de sorca ke m’a štampe kì, (si toccava la fronte con la destra
artrosica), m’a fa vedé, m’a fa sentì de urlà: škópime, škópime”).
Un altro che sentiva troppo questo richiamo, a detta di zio Dandino, lasciò come
epitaffio:”Vissi di Marte, mi fottè la figa, adesso giaccio senza arte né parte”.

IL CORPO
(il Condannato e il Cireneo)

La prima volta che incontrai Giobà, mi restò antipatico per via di una ragazza che mi
piaceva e che io pensavo che lui, che lei, sotto sotto… Dopo tre giorni, non ricordo
perché, invece di spaccargli il muso, gli parlai. Mi parlò. L'indomani eravamo
diventati amici.
La settimana successiva lo accompagnai a Perugia. Voleva iscriversi all'ISEF ma per
l'ammissione al corso pretendevano anche una prova di nuoto. Chi, da adolescente è
stato ripreso per i capelli da un affogamento e restituito alla vita dalla respirazione
artificiale, sa bene che trattasi di richiesta assurda.
Perse l'ISEF ma trovammo due ragazze. Erano salite sul treno a Trevi e si erano
sedute davanti a noi. Le avevamo subito notate, un po' guardate, molto concupite e
totalmente ignorate: ci erano sembrate troppo belle per provarci, oppure l'ansia per
l'esame ISEF ci faceva apparire tutto difficile. Rincontrarle tre ore dopo, riesplorarle
e decidere che non c'era donna troppo bella per noi due, fu il più semplice dei
pensieri e il più naturale degli approcci:
se tu mi dici: svengo quando vengo,
io ti rispondo: vengo quando svengo.
Studentesse universitarie al quarto anno: Scienza della Comunicazione Somatica, ci
dissero in seguito, (oltre che belle e simpatiche, dotate anche di autoironia sottile e
accattivante), le due ragazze non ci lasciarono neppure il tempo di aprire bocca: Era
ora! esclamò una, ed insieme traboccarono in una risatina scampanellante.
Venne il tempo delle rose
quando l'amore brucia il cuore.
Tu mi dicevi tante cose
ricordo solo: amore amore.
Guardando Giobà vidi il mio viso riflesso nel suo e capii la loro ilarità. Il tizio che ha
coniato il termine babbeo mi ha fregato sull'anticipo. Lo avrei inventato io, in quel
momento, il termine babbeo, l'unico in grado di mettere a fuoco i nostri primi piani.
Fu questione di un attimo; ma l'attimo diventa eternità, una volta impresso nella
memoria. Facemmo cattivo viso a buona sorte, come si suole dire.
Ora, per cosa? chiese Giobà.
Eravamo quasi stufe di aspettare.
Avevamo un appuntamento?
Noi si.
Con chi?
Con voi due.
Ah benedetto treno e benedetta emancipazione femminile!
Allora si va? disse quella che parlava; bionda colpi di sole, occhi acquamarina, labbra
Bobocù ciliegia, guance paffute, viso simpatico, sbarazzino, punteggiato di lentiggini.
L'altra non aveva ancora detto una parola; ma sorrideva sorniona, corvina, labbra
violette, occhi neri e attraenti come il peccato originale.
Dove?
Nella nostra camera, al pensionato dell’università, sillabò la silenziosa.
A fare che?
A chiavare, no? sussurrarono all'unisono.
Giobà, che ne dici?
Mah, e tu? Ti pare normale?
E che ti dico? Può essere che vogliano prenderci in giro.
E se fossero ammalate?
Loro!? Ma se scoppiano di salute!
I timori di Giobà sono anche le mie paure; però allorché una ragazza giovane, fresca,
bella, simpatica, profumata, femmina con due occhi così, con due labbra così, con
due tute così, con due cosce così, mi dice: cogli il frutto Adamo! vedo la porta del
Paradiso socchiudermisi davanti e sento una musica che mi trascina sull'uscio mentre
un vento caldo e impetuoso, alle spalle, mi spinge e mi scaraventa dentro; e non mi
importa più di niente: entrare entrare, godere, estasiare.
Ma come si fa, così … senza amore? se ne uscì Giobà guardandosi la punta delle
scarpe.
No, no, con amore! risposero esse con un tono di immacolata sincerità ed i volti
solari.
Voi avete detto: a chiavare. Io ho sentito: a scopare, e il mio amico ha subito
visualizzato quella che egli chiama: una trapanata liturgica, continuò Giobà; come si
può dire, a chiavare, ed immaginare un uomo e una donna che si fondono nel
piacere, fiduciosi nel reciproco rispetto?
La solare sicurezza delle ragazze si va nascondendo in una nuvoletta di imbarazzo.
Ed io? Forse più di loro. Le parole di Giobà mi stanno spogliando e, per la prima
volta, comincio a dubitare dell'onestà della mia vista: senza amore che senso ha?
Mi sento umiliato e, per un attimo, profondamente ostile a Giobà che non ha saputo
reprimere la voce della verità. Guai a chi ferisce con la verità. Essa è l'implacabile
assassino del suo servo. Tutto si perdona fuorché la verità e la storia registra i suoi
rari avvistamenti, in brevi accenni su ribelli crocefissi, eretici messi al rogo, rivoltosi
decapitati, fuorilegge impalati, mistificatori fucilati. Ma Giobà è mio amico e riesco a
superare il momento dell’avversione furibonda che si tramuta in rispetto e,
subdolamente, affetto.
Assaporare la dolcezza del frutto per il gusto che dona, non l'orgoglio di mangiarlo
per quanto è costato o, se trovato per caso, smozzicarlo per non lasciarlo, integro,
alla fame vera di qualcun altro.
Stavamo così, due di qua e due di là, a guardarci, combattendo per nasconderci o
rivelarci, racchiusi in una sfera di silenzio; mentre la città ci scorreva attorno, entità
aliena ed insignificante.
Le ragazze mi piacevano tutte e due; sentivo amore per tutte e due ed avrei voluto
dirlo, vi amo. Anzi stavo proprio per dirlo; ma quel, chiavata, mi si ergeva ormai
davanti come un muro di cemento armato. Giobà mi aveva ucciso e resuscitato.
L'unica forza capace di sbriciolare il muro poteva venire solo dalle ragazze. La loro
prossima mossa avrebbe deciso il divenire: o amore e fusione dell'umano e del divino
oppure chiavata, con naturale delusione dell'umano e rifiuto del divino, ormai
risvegliato ed operante.
Mi dispiace sussurrò la bionda colpi di sole.
Ci dispiace, confermò la corvina, abbiamo adoperato quella parola perché è il modo
moderno, normale, di dire: fare all'amore.
Se il modo moderno di parlare è quello di cambiare il significato delle parole, allora
vuol dire che abbiamo camminato tanto per ritrovarci di nuovo a Babilonia. Secondo
voi, dire: facciamo all'amore oppure facciamoci una chiavata, significa la stessa
cosa? Quando umiliamo il sentimento libero, non vincolato da contratti o autorizzato
da benedizioni altrui, cercando di nasconderlo sotto la parvenza di un impersonale
esercizio ginnico, sentiamo forse di avere qualche altra chance di trovare un pretesto
soddisfacente per continuare a sperare in una vita sopportabile?
Giobà, per favore; non dobbiamo mica sposarci!
Lascialo parlare disse la corvina, prendendoci tutte e due sottobraccio: mi piacciono
le sue parole.
Anche a me, si unì la bionda colpi di sole prendendo sottobraccio Giobà dall'altro
fianco ed appoggiandosi a lui spalla a spalla.
Avevo ragione ad essere geloso di Giobà, la prima volta che lo vidi. Né fricchettone,
né figaiolo, né brillante, né estroverso anzi tendenzialmente timido, con neanche
venti parole aveva conquistato le due ragazze: era entrato nel loro cuore.
Incominciavo a sentirmi fuori posto, intruso; ma la corvina, benché attenta alle parole
di Giobà, mi volse gli occhi dentro agli occhi e mi sorrise. In quel momento divenni
l'ospite d'onore invitato al banchetto nuziale nel regno degli uomini liberi. “Vieni
avanti mio amico, godi con me le delizie della mia sposa”.
Cosa c'è di più bello che dividere il proprio piacere con chi ti da già piacere
essendoti amico? Cosa c'è di più dolce di una armonica comunione di piacere? E
dov'è il piacere maggiore? Dio che, ci dicono, è amore, gioia, gusto, diletto, piacere;
Dio che, ci dicono, non riusciamo a vedere perché è nascosto, dove può essersi
nascosto se non laddove scopriamo riuniti, in un unico caos beato l'amore la gioia il
gusto il diletto il piacere? Laddove soltanto, può essere perfetto, nei due generi
assoluti maschio e femmina, nelle due potestà prioritarie di inseminatore e genitrice,
nelle due dimensioni sublimi di godimento e appagamento? Laddove sappiamo, già a
livello istintivo, che Egli ci aspetta? A dispetto di chi ha consumato la propria vita
adoprandosi per sacrificare la vita altrui, reclamando il diritto di trasformare il Dio
del Piacere nel Dio del Dovere; il Dio della serenità nel Dio dell’inquietudine,
pretendendo di negare, ai suoi santuari, il ruolo ben conosciuto da tutti gli umani: il
ruolo di consolatori nelle afflizioni, rasserenatori nelle tensioni, appagatori nelle
passioni, purificatori nelle emozioni.
Com'era bello Giobà! Quale spirito caldo ed avvolgente usciva dalla sua bocca sulle
sue parole, riversandosi nei nostri corpi, incendiandoli di fuochi solari! Lo sentivo, lo
sentivamo: eravamo pronti per una esplosione molecolare, per una fusione cosmica.
Fummo pronti e godemmo. E sognammo di godere e al risveglio godemmo ancora e
poi ancora. Decidemmo di partire quando le ragazze ci dissero che non potevano più
rimandare il tempo da dedicare allo studio, perché avevano un esame molto
impegnativo entro pochi giorni.
Tornammo a casa tre giorni dopo, e ci vollero due settimane, alle sollecite cure
materne, per rimetterci in peso. Passò agosto, settembre se ne andò, ottobre lo seguì,
novembre salutò e dicembre venne, come un dinamitardo tra la folla, con la sua
valigia dall'aspetto innocuo. A mezzo dicembre, un pomeriggio, mentre stavamo
correndo in surplace fianco a fianco nel campo sportivo, Giobà mi disse: adesso
voglio fare due giri in velocità. mi guarderesti e poi mi dici come vado?
Mi fermai a guardare. Vidi qualcosa di bello e di nobile. Quando mi si fermò accanto,
con il suo respiro composto e regolare, appena appena accelerato, io non avevo
alcuna parola: soltanto la sensazione di aver visto la bellezza, la grazia, la potenza,
l'eleganza.
Allora? era eccitato.
Un cavallo arabo, mi scappò naturaliter. Mi conosceva ormai e sapeva che non
possedevo troppe parole quando ero emotivamente coinvolto. Quelle tre gli bastarono
per gonfiarsi di soddisfazione. Dopo aver fatto la doccia, mentre si infilava
l'accappatoio, lo vidi fare una piccola smorfia e pudevolmente rivelarsi in una
espressione di rassegnata preoccupazione.
Che c'è? gli domandai.
Da un paio di giorni, quando allargo questo braccio e distendo i pettorali, sento un
dolorino in mezzo al petto. dentro al petto.
Sarà un doloretto intercostale.
No, è dentro.
Conosceva bene l'anatomia. Era un vero cultore del fisico e chiamava per nome ogni
pezzetto del corpo. Quella sillaba mi entrò nel cervello con una prepotenza
insopportabile. Avrei voluto cancellarla e, per scrollarmi dal cuore la sensazione di
disagio che mi suscitava, espressi la prima idiozia che mi scorreva sulla lingua:
Vedrai che domani non avrai più nulla.
L'indomani fece una radiografia e dopo una settimana fu ricoverato in ospedale. Otto
giorni più tardi lo operarono, spaccato come un capretto, (la cicatrice gli partiva dalla
scapola sinistra e, girando sotto al fianco, risaliva fino allo sterno) e scoprirono che
non si sarebbe dovuto intervenire chirurgicamente.
Iniziarono cinque anni di calvario sotto la croce di Hodgink e tra le abili mani di
patologi, ematologi, radiologi, chirurghi, ricercatori, studenti, allievi infermieri. Gli
fecero prelievi in ogni parte del corpo e, quando lo vidi incerottato anche sul dorso
delle mani e dei piedi, non potei fare a meno di pensare che la passione del supposto
Figlio del Dio “Io sono colui che sono”, si concluse in un giorno, benché preceduta
dalle ultime terribile tre ore, appeso alla croce. Il mio amico era lì, giorno dopo
giorno, e vedevo le sue sofferenze ed ascoltavo le sue speranze; e non sapevo cosa
dirgli. Ma quella mia presenza impotente, quella mia incapacità di riuscire ad
esprimere la benché minima parola di conforto, è stata, per me, l'espressione di
coraggio più intensa che avessi mai potuto raggiungere.
Si, per tutto quel tempo sono stato il cireneo sulla salita del Calvario, scelto per caso,
misteriosamente punito e purificato dal martirio di un innocente.
Cinque anni di ospedali febbri sudorazioni cortisone prelievi linfatici cobaltoterapie
radioterapie bombardamenti laser nausee svenimenti miglioramenti speranze ricadute
delusioni umiliazioni solitudine. Quale ragione può sopportare per anni tale strazio,
se non l'assenza della ragione? Cinque anni di abusi sulla sua pelle, sui suoi muscoli,
sulle sue ossa, sul suo sangue, (nelle notti serene camminava fino all'alba per
guardare le stelle e mi chiedeva se, secondo me, Gesù stesse lassù. Guardando lui,
pensavo invece che mi stesse camminando a fianco; ma come potevo dirglielo?),
sopportati e benedetti a causa della fiducia, misterioso elemento irrazionale, nelle
vane parole dei brancolanti curanti. La malattia l'avrebbe ucciso; è morto distrutto dai
farmaci.
Durante l'ultimo mese, allorché le vene vetrificate (cortisone e collaterali)
incominciavano a cedere, quelli della clinica delle malattie del sangue (come li
amava! Oh si, li amava, li rispettava e li ammirava, docile cavia), gli trovarono un
posto letto tra i malati terminali nell'ottavo padiglione di medicina del Policlinico
Umberto I°. Non ho mai più visto tanti moribondi in così piccolo spazio, divisi da
paraventi plastici. Cavie da laboratorio ormai inutilizzabili, rifiuto di una Ricerca
proiettata verso il radioso futuro di un Brevetto.
Non riuscivo a crederci. Essi tutti sapevano dove fossero, si vedevano morire
quotidianamente eppure non riusciva a penetrare in loro la consapevolezza di essere
giunti al capolinea della vita. Disfatti nel corpo, privi di forze; eppure avevano tutti,
negli occhi, la stessa parola: speranza. Per quindici giorni vide la morte
quotidianamente rinnovare gli inquilini del padiglione e, per quindici giorni,
continuava a ripetere la sua speranza di guarigione: Ciao Giobà, come va?
Oggi va un po’ meglio; solo questo gonfiore, qui, nella pancia.
E sudacchiava e deperiva ed ingialliva ogni giorno di più.
Loro che dicono?
Le analisi sono buone però: guarda! Il polso era nero.
Per fare un prelievo. certi infermieri. quattro o cinque buchi. Non sono capaci di
trovare le vene. (Infatti le vene si sfaldavano). Mi hanno fatto la TAC e non risulta
niente (chi avrebbe voluto dirti ciò che tu mai avresti potuto sentire?) solo questo
gonfiore, qui, nella pancia.
Tutto bene. Era stato un fusto che ti faceva invidia. Atleta per vocazione. Stilista
dell'anatomia.
Corsa judo ginnastica. Era un uomo che amava il suo corpo; ma tutto ciò che ami ti
tradisce: soltanto questo gonfiore, qui, nella pancia. A vent’anni anni era come
Marlon Brando in Fronte del Porto.
Lo dimisero. Il giorno seguente, quindici di agosto festa dell'Assunta, esplose,
purificato spirito, intelligenza cosmica non più vincolata alle umiliazioni della
materia.
Se non fosse, questo, un segno manifesto di Presenza Divina, se non fosse, questa,
una mantenuta promessa di Luogo di Beatitudine, allora dovrebbe trattarsi soltanto di
coincidenza. Ma allorché le coincidenze seguono, nei tempi e nei modi, annunciate
logiche susseguenti (Calvario Accettazione Morte Assunzione), come è possibile
dubitare dell'anello mancante per chiudere la catena: la Resurrezione?
Ricordi, Amico, quando cercavamo di tessere la rete dei pensieri,
capire le ambizioni, i desideri, guadare il nulla mano nella mano?
Ti destreggiavi su aspre scogliere, sul mugghiare di flutti limacciosi,
docile preda, fragile giullare dal viso mite e gli occhi generosi.
Deriso Donchisciotte, in Dolcidèa gemendo e sospirando,
percorrevi l'arida terra dell'indifferenza ed affrontavi,
armato solo di illusioni,
giganteschi, granitici bastioni di egoismi superbie finzioni.
A me correvi quando, dalle piaghe dell'anima,
traspiravi amarezza e disgusto
e t'illudevi di trovare conforto in chi, sotto la scorza dura del distacco,
celava cicatrici di battaglie più disperate e molto più confuse:
duelli con fantasmi senza tempo, ferite non curate
a ricordo d'impervie ascese e facili cadute.
E il lacrimare, Amico, sul clivo afoso e solenne del silenzio meridiano
tra i papaveri accesi e le corolle spogliate dei fiordalisi!
E gli ululati con gli spettri di luna
danzando, nella nebbiolina delle notti piovigginose,
tra i castagnacci e le querciole sulla Torricella.
E il terrore dell'alba
che ogni giorno rinnovava il tormento d'ogni giorno.
E quanti ancora, Amico!
Ricordi scanditi dal ticchettio indifferente del tempo deriso
nei vuoti giorni, affastellati ed arsi in un'unica pira, in un baleno,
nel brillio d'uno sguardo o d'un pensiero subito rinnegato.
Ricordi.
Ma nei ricordi ancora vivi, e pensi;
e dal pensiero, ogni risposta danza sulle tue labbra immobili:
farfalletta abbagliata che si spiaccica
sui rintocchi a martello della campana grande.

IL VIAGGIO

Preferisci un'assenza rimpianta


ad una presenza insopportata.

Mosca, figlia d'un canile!


Che fai, ti prendi a schiaffi da solo?
Una mano mi avvicina alle labbra una sigaretta accesa. Bobocù mi si era avvicinato
senza che me ne fossi accorto. I pensieri mi avevano reso sordo: queste mosche oggi
sono più fastidiose del solito, fa un caldo! non lo sopporto più. Ce ne andiamo per
una settimana?
Perché no? Sto in ferie, dove si va?
In montagna. Dolomiti.
Perché no?Si parte subito? Quando proponi la montagna a Bobocù, puoi stare sicuro
che non gli passa per la testa di sedersi ad aspettare che gli si avvicini.
Partiamo la domenica pomeriggio. C'è il G.P. di formula 1 a Zeltweg. Decidiamo di
vedere la partenza in tv e poi, via. Succede quel pò pò di macello. Partenza rinviata.
Comincia a farcisi tardi. Decidiamo di andare senza aspettare la seconda partenza.
Per Bobocù è un gBobocù sacrificio rinunciare a vedere il granpremio; ma tanto,
Alboreto e Johanson sono in mezzo al mucchio. Meglio non vederla l'Amata, se non
sta in prima fila.
Dobbiamo fare più di settecento chilometri e la pensione chiude alle undici.
Sull'orario, la voce elicotteristica dell'oste si è espressa perentoriamente: do-fe-tte-
esse-rre-qui-pri-ma-tte-lle-un-tti-cci.
Una volta, quando andavano in giro col grembiulino sul pancione, gli osti erano presi
a pescinfaccia; adesso che, invece, hanno la cravatta e l’oro al collo, sono riveriti e
corteggiati come principi. E poi ti vengono a declamare che l'abito non fa il monaco.
Bobocù ha un Ritmo 105TC (Bobocù ferrari) che è una Bestia. Una bella bestia
sempre pulita e lucida più che un purosangue. Se la contempla, se la spolvera, se la
sciampa, se la bacia: la ama. Conta i giri del motore come il tuo medico di fiducia ti
conta le pulsazioni. Questo perché è meccanico lui. Un meccanico con le palle al
vanadium. E lei, la Bestia, il Ritmo 105TC (Bobocù-ferrari) lo ricambia in tutto e per
tutto.
Sotto le sue mani (e i suoi piedi) si trasforma da miciotta ronfante in tigre rampante,
così come l'acqua si trasforma in vino: il tempo di assaggiarla. E' una vera sciccherìa
di automobile e potremmo arrivare comodi comodi in quattr'ore e mezza, se non ci
fosse il problema della benzina. Eh si! Quando entra in funzione il secondo
carburatore, ciuccia come... proprio come quel tizio che, l'onere atlantideo della
Presidenza spingeva a cercare forza e coraggio negli spiriti. (Si, quel tizio a cui stai
pensando, quello che si scolò, in tre settimane, l'intera riserva del Principe di
Piemonte del '67, pace allo spirito suo).
Perciò, per consumare moderatamente partiamo con l'idea di farcela trancatranca sui
centoventi. Facciamo il pieno a Borghetto. Cinquantamila. Svergino il blocchetto del
riporto spese. Imbocchiamo l'autostrada al casello di Magliano Sabina. Quel
lunghissimo serpentone nero che ti porta dal tropico siculo al nebbioso Stuttgart
cambiando nome e tariffe centomila volte. A Firenze abbiamo già una mezz'ora di
ritardo sulla tabella di marcia.
Tra Signa e Firenzenord, uno stronzetto con un'Alfa33 targata MI, ci dà un pò di
fastidio. Bobocù si incazza e gli zompa dietro: cento centoquaranta centosessanta. A
centottanta gli siamo a un metro e mezzo. coda sua e muso nostro. non vedo più
l'asfalto. stringo le chiappe (vorrei vedere te). Quello regge un paio di chilometri e
poi molla. Aveva a bordo due bimbette e probabilmente sono state loro a risvegliargli
i neuroni della prudenza.
Cazzeggiare sull'autostrada a centonovanta all'ora è da fessi, no? Eppure, quando il
cuore conquista il cervello e, a guardarsi attorno succede più che spesso, di fesserie se
ne combinano!
Penetriamo nella galleria Colle a centosessanta all'ora. Maled! Lampadine rosse su
tutta l'ampiezza della carreggiata. Bobocù inchioda e il 105TC reagisce al millesimo
di secondo. Lo stridio delle gomme sull'asfalto, amplificato dalla galleria, è come
l'ululato simultaneo di centomiliardi di lupi. Stiamo col muso sotto il pianale di
un'autobotte. Per fortuna non tocchiamo.
Attento dietro, reggiti! mi urla Bobocù.
No, da dietro non viene nessuno. Sono abbastanza lontani, grazieadio.
Questi cazzo di TIR viaggiano pure la domenica per rompere i coglioni alla gente
che va a spasso, mortacci sua!
Aspettiamo che quello di sinistra si tolga dalle palle e si reimmetta sulla corsia di
destra. Sorpassiamo. Sono due trasporto latte. Ho avuto una fifa maleodorante. Te la
sei fatta sotto?
La risatina di Bobocù mi innervosisce: vaffanculo.
Anche lui però si è preso una bella strizza e riduce la velocità. Viaggiamo di nuovo
sui centoventi.
Tu ttumm tu ttumm tu ttumm sui viadotti della Firenze-Bologna.
Brutti disonesti. I soldi li vogliono subito e buoni; ma le strade quando le
aggiustano? Queste benedette automobili, queste traino dell'economia mondiale, se
la pagano o no una strada per lo meno decente? sbotta Bobocù.
Che ci vuoi fare? (La polemica è il mio pane quotidiano e non mi faccio scappare
l'occasione neanche quando non conosco la materia. Mi tuffo in tutti gli argomenti,
faccio la figura dello sciocco ma, intanto, brillo di visibile fumosità, tale e quale al
fumo di uno stronzo appena espulso. No, non mi fa né caldo né freddo perché,
guardandomi intorno, vedo di essere un piccolo elemento di tanta eccelsa comitiva).
Siamo italiani. Sotto sotto brontoliamo come l'Etna devastatore ma poi, quando ci
dicono “avremmo l'intenzione di mettervelo in corpo, appena appena una
appoggiatina, che ve ne pare?” ci caliamo le brache e ci mettiamo a novanta gradi
senza fiatare; come è accaduto per quel dimenticato referendum: a giugno
rinunciammo alla contingenza e ad ottobre scioperiammo per riavere ciò a cui
avevamo precedentemente rinunciato. Siamo buffi no? Non mi risponde e continuo a
pensare per conto mio.
Siamo un bel popolo di qualunquisti. Lo so, scopro l'acqua calda; come si sarà
probabilmente detto Einstein quando calava i braghettoni alla consorte,
compiacendosi senz'altro di appartenere, comunque, alla vasta umanità; ma il peggio
è che siamo riusciti a coinvolgere anche i giovani nel generale stato di apatia per il
vero e per il buono. Siamo riusciti a creare una società di vecchi. Anche questo, in fin
dei conti, a lungo andare può rivelarsi un bene.
Nessun falso intrigante potrà più permettersi di manipolare i ventenni profanando,
faccia da blob, il sacro nome della Patria.
Senza più Gioventù, senza più Generosità, senza più Ideali, corpi ventenni che
fasciano pensieri sessantenni, ridono dei sacri furori e sanno su quale altare accendere
ceri: alla dea Convenienza.
Si, non c'è da restare sorpresi quando non si è più né bianchi né rossi, né terroni né
polentoni, e ci si sgrufola, tutti uniti, nel pantano del fatidico quesito: cosa conviene?
Quanto conviene?
Lo smarrimento del senso di giustizia (equa ripartizione delle risorse tenendo conto
della Dignità dell’Individuo e non della Preminenza della Professione) di chi
governa, determina il decadimento morale e il disfacimento sociale di un popolo.
Si può vivere nella miseria e, nonostante, continuare ad amare un re (forse proprio
perché nessuno viene a dirti: “votiamo per fare re, tizio o caio); ma nessun uomo
potrà mai, vivendo nella miseria, continuare a rispettare chi trasforma il suo mandato
di servizio pubblico in appropriazione indebita, malversazione, angheria, nepotismo,
ladrocinio e ostentata opulenza.
Un magnanimo cor morte non prezza;
benché languisce il corpo, cuor non langue.
Orlando Furioso o Gerusalemme Liberata? Tasso o Ariosto? Non lo ricordo e non me
ne importa un accidente perché la genialità non è un bene individuale.
Il genio è un assoluto che si diverte ad eleggere ora questo ora quello, ridendo degli
illusi che si credono essere Lui.
18.45: siamo a Bologna. Tre quarti d'ora di ritardo sulla tabella di marcia.
Imbocchiamo la quattrocorsie direzione Modena: arrivano le bergamascheee!
Bobocù ha un occhio sempre fisso sul retrovisore, memore del consiglio paterno:
"quando guidi, guarda la strada con un occhio; con quell'altro controlla quello che
fanno i pazzi che ti camminano attorno". E' una Ritmo diesel targata BG con tre
ragazze a bordo. Ci avevano sorpassato a Valdichiana. Ora, duecento chilometri
dopo, ci stavano dietro. Potenza degli autogrill.
Le facciamo passare?
Stiamo in ritardo, ci chiude la pensione. Te la sentiresti di passare la notte in
macchina?
A 1300 metri? Sei matto?
Allora tira via. In macchina a 1300 metri, ci dovrebbero dormire quelli che, prima,
rinunciano alla carne senza poi avere la coerenza di rifiutarla, così gli si
raffredderebbero i sacri bollori e la smetterebbero di fare come i cuculi.
Che fanno i cuculi?
Non si fanno il nido, ecco che fanno; e lasciano le uova nei nidi degli altri.
Ho capito, bocca più bocca meno, la povera crastica non ci fa caso, l'ingenua
affabile crastica.
Lo sai cosa diceva Giobà di costoro? Diceva che sono gli eredi di quel famoso Dio
“incazzoso” del Paradiso Terrestre. A proposito, che significa, per te, Paradiso?
Mah, un posto dove vanno quelli che muoiono.
E bravo pipi! Paradiso è la parola che, in un’altra lingua, significa Giardino. Tu
dici: vado in giardino, loro dicono: vado nel paradiso. Se un antico redattore ha
scritto di un Paradiso Terrestre, vuol dire che era a conoscenza anche di un
Paradiso Celeste, tutti e due fisici e non esoterici. L’orto che faranno sulla stazione
spaziale orbitante che hanno intenzione di costruire, sarà un Paradiso Celeste, e
basta. Tutto il resto è fantasia.
Basta Primù, è un campo che non conosco e sinceramente non me ne importa niente.
Giobà mi aveva avvertito di non parlarne: chi lo sa lo sa, e sa che non ne deve
parlare, pena il manicomio o l'estinzione; chi non lo sa, non ne vorrà sentir parlare,
mi disse poco prima di essere assunto.
Assunto dove?
Da me 'l dico, da me intendo.
Certe volte sei proprio strano.
Lo so che certe volte sono proprio strano. Sono quei momenti nei quali vorresti poter
comunicare senza bisogno di parole, attimi di grazia nei quali conosci fisicamente il
senso della compenetrazione mistica. Questo non posso dirlo a Bobocù, non ora
almeno, potrebbe procurargli una lesione cerebrale.
ORE 9.00: siamo al casello della Modena-Brennero. Davanti a noi, da una Mercedes
grande grande, un braccettino corto corto tenta disperatamente di avvicinare una
manina microscopica al pulsante della distribuzione automatica dei tagliandi.
Questa qua, ci fa perdere tempo, ma non possiamo fare a meno di gustarci la titanica
lotta. Finalmente si apre la portiera della Mercedes, ne scende una signorinella tipo
barattolino sul metroecinquanta, si avvicina alla colonnina, si innalza sulla punta
delle scarpettine, riesce a sfiorare il pelo della circonferenza del pulsante, ritira il
tagliando, risale in auto, scompare nel sedile, parte e finalmente ci libera il passaggio.
Nell'attesa che il pezzo di latta sputi fuori il nostro rettangolino di cartone, un'auto,
dietro, ci strombazza un fastidioso invito a darci una mossa. Bobocù s'incazza facile
quando qualcuno vuol mettergli fretta e reagisce sempre al contrario della direzione
dell'invito. Ci muoviamo tranquillamente ma, dopo neanche niente, quelli ci
sorpassano a tutto pistone, buttandoci negli occhi dei segni inequivocabili; anzi, uno
abbassa il finestrino e ci fa: “In mona terun!", siamo targati VT.
E' una Golf GTD targata MI, uno di quei ridicoli scassabanchi che sembrano
furgoncini mortuari e che adesso, pare vadano tanto di moda: de gustibus. Se fossi
stato solo me ne sarei impipato; ma siamo in due, e due scintille si alimentano a
vicenda.
Stronzoloni, sibila Bobocù sottovoce e affonda la seconda, inondando i due
carburatori doppio corpo, di benzina a 98 ottani.
Lascia perdere! stavo ancora sudando le ultime tossine della paura di Firenze. Ma
Bobocù è già in terza a centodieci. Quarta: centoventi entotrenta ntotrentacinque.
Sti polentoni. Carletto Carletto. canticchia con un ghigno luciferino.
Quinta: centoquaranta ntocinquanta tosessanta. a centosettanta sono nostri. Bobocù
sogghigna. Quelli provano a resistere ma sono già a tutto pistone. Noi abbiamo
ancora duemila giri da chiedere al cuore del 105TC. Li passiamo da destra a
centonovantacinque: non volevano darci strada. Bobocù stende fuori il braccio con il
pugno chiuso e il medio teso. Io mi sbraccio regalando loro due belle paia di corna:
'nderculo culattoni!
Quelli ci restano male, poverini. Ma che vuoi farci? Vuoi forse mettere un misero
GTD doich con un 105TC Abarth? Scherziamo?
Chi è quel Carletto che chiamavi prima?
Come chi è? Carlo Abarth no?
Siamo sul Pò. Ettari di deserto affiorano dal letto del fiume. Rivoli luminosi
serpeggiano tra la foschia caliginosa. Cielo industriale, grigio, pesante, prefabbricato.
Nascere e vivere e morire da queste parti. nausea spirituale. Fremo.
Bobocù boccheggia, sudacchia, fuma a ripetizione. Bestemmicchia con una cadenza
da registratore di cassa, amorfo, indolente; espettorazioni improvvise che non
avrebbero senso per un ascoltatore distratto.
Caldo eh? e gli passo l'ultima sigaretta del secondo pacchetto.
Sta zitto, darei via il culo per essere già sulle montagne.
Basta poco per cambiare gusti, eh?
È solo un modo de dì, mica so frocio io!
Si dice ghei. Frocio… non senti quanto sia brutto come suono; produce una
sensazione fisica di disgusto.
Così è. Sono contro natura, sono disgustosi e, frocio, è la parola giusta.
E così tu saresti il grande cervellone che stabilisce cosa sia natura e contro natura.
Su questo campo si.
Che mi dici del bastardone di Leccarécca quando faceva a incularella con il pastore
tedesco del Conte?
Dico che so’ depravati pure gli animali.
Ma gli animali non ragionano! Perlomeno, così dicono quelli che capiscono. Quindi,
dal momento che non sono in grado di ragionare, non possono neanche scegliere.
Non essendo in grado di scegliere, come si può accusarli di depravazione?
Vorrà dire che sono depravati naturali.
Qui, ti volevo! Na-tu-ra-li hai detto. Il desiderio naturale che incita allo sfogo
sessuale, se ne strafrega della distinzione dei sessi. Il Gusto è un assoluto naturale e
quando si pretende di incanalarlo secondo un concetto culturale, si ribella e provoca
disfunzioni fisiche che, guarda caso, destabilizzano anche quelle psichiche. È il
cervello inutilizzato di quelli come te, che si costruisce attorno baluardi di
insormontabile ignoranza, negando alla ragione una panoramica esplorativa sui
perché si sia come si è, o gli altri siano come sono.
Non me ne importa niente. Io ciò altro a cui pensare e… quelli li, non li sopporto.
Perché?
Non lo so perché.
Ti fanno schifo?
No.
Paura?
Ma quale paura!
Allora?
Sono diversi, non li capisco.
Che tu non li capisca, te lo posso concedere; ma affermare che siano diversi, mi
sembra una dichiarazione giusta giusta per un cervello elementare.
Che è un cervello elementare?
E' come dire a uno che non è capace di discernere o che non vuole perché
culturalmente atrofizzato: è la stessa cosa.
Cervello elementare, discernere. ma come parli? ke te s'i magnato o vocabbolario?
Non appena entri in crisi, vai subito a cercarti il nido nella solida tradizione
dialettale.
Me sento più libbero ku o dialetto capiscio mejo e cose.
Allora te lo chiedo in dialetto: ke cjanno de diverzo?
Lli piacino ll'ommini.
E con questo? Cambiano di forma? Diventano idioti? Camminano con le mani a
testa in giù?
Nun o so, quello che fanno: quello che fanno so' cazzi sua. A mi, me baste de sapé
che lli piacino ll'ommini, pe' sentimme in diritto de di' che so' diverzi.
Io, secondo te, sono diverso?
Che c'entri tu?
Anche a me piacciono gli uomini.
A ti!? Nun me fa ride. Come si nun te conoscessi! E femmine che te s'i fatto tu,
nemmeno l'attori de cinema! Te va de scherzà, te va.
Mi va di scherzare pensa lui. Infatti scherzo, per ora, ma intuisco che se dovessi
incontrare il corpo di un uomo che mi facesse arrazzare, non avrei difficoltà a
prendermi il piacere laddove il piacere mi vuole: sempre ciccia è. Nel frattempo
penso che i diversi siano i microcefali condannati nella nebbia di una non
illuminabile, becera ignoranza. Nessuno specchio può essere utile a un cieco, nessuna
possibilità di comprensione per un fanatico indotto, le cui certezze poggiano sui
cardini d'acciaio delle tradizioni di alcova e di osteria. Bobocù è uno di costoro e per
questo mi è caro.
Per lui, la vita è certezza, non mistero. La vita, per lui, è un mazzo di chiavi, un
lavoro, il bancomat, una famiglia, le date da ricordare, le feste da celebrare. Tutto
secondo gli usi e i costumi appresi: i buoni da una parte, i cattivi dall'altra e nessun
pensiero a seminare dubbi.
Io che, coi miei dubbi ci potrei plagiare la famosa tela itacense, ho più bisogno di lui
che la tessitrice Penelope di Ulisse. Per questo, ogni volta che posso, non mi lascio
scappare l'occasione di averlo vicino. Con lui mi libero dell'invisibile e
scazzafrulleggio.
Non parli più?
Se mi prometti di lasciare stare il dialetto.
ke cjai contro o dialetto?
Niente, perché è tutto per gli analfabeti; e tutto, perché è niente per chi vuole farsi
capire.
Cià raggione Peppe quanno dice che te dovevi chiamà: Er medico ke cure a parola e
fa morì o discorso.
Ermetico, capoccione! Non le adoperare, le parole, se non riesci a vederle scritte
mentre le pronunci.
Perchè te ce scalli? Pole succede a tutti. Casimirro è stato convinto, pe' anni, ke
kuelli d'‘a Sampedoria se chiamavino bruciacchiati. Pure si esso capiva
bruciacchiati invece ke blucerchiarti, sapeva sempre ke se parleva d'a Samp.
Lui si, ma metti il caso che fosse andato a domandare a qualcuno se i bruciacchiati
avessero vinto o perso: chi lo avrebbe capito?
Bobocù si dà una lunga grattata di crapa; e lascio stare l'argomento del dialetto per
non correre il rischio di vedermelo sparire in una nuvola di forfora.
Tu ci pensi mai alla morte?
Bobocù lascia il volante e si dà una bella stretta di scroto con tutte e due le mani: che
c’entra sta cosa, adesso?
È un argomento come un altro per passare il tempo.
E proprio con quella roba lì vuoi passare il tempo? Accendo la radio.
E bravo, così gli altri pensano e tu fai il beccafico appresso a quello che pensano gli
altri. Quando senti sparare cazzate, come fai a dirgli: a cazzaro! La morte, amico
mio, secondo me è un ottimo argomento da affrontare da vivi.
Sei scemo? Quella è la fine di tutto.
Io penso invece che sia l’inizio di una esistenza perché in quel momento si esprime il
giudizio sulla persona che è stata, e la sentenza che si emette resta eterna. La morte
è il paradigma di una vita, perciò penso che sia importante tenerla presente senza
farsi intimidire dalla banalità dell’idiozia dello scongiuro.
Non me ne frega niente, hai capito!? Sono vivo e voglio vive adesso; dopo potranno
dimme quello che vorranno. Piuttosto, sempre secondo te, perché tutta sta gran
voglia de mmontà?
Tu e io?
Ma quali tu e io! Tutti! Semo più de sei miliardi de bocche da sfamà e de culi da pulì.
Beh,,, Fisica, chimica e una scossetta elettrica.
L’ermetico colpisce ancora…
“L’Etrusco uccide ancora”, hai visto il film.
Certo che l’ho visto, c’eri pure tu. Ma che vor dì: chimica, fisica e una scossetta
elettrica!?
Quello che ha avuto l’idea di trasformare la materia inerte in materia attiva,
autoriproducente, ha dovuto risolvere il problema fondamentale posto dalla legge
della fisica che dice: tutto ciò che ha una forma si trasforma. Un esempio a caso, per
te che sei meccanico: il motore. Si prendono materiali inerti, si dà loro una forma, si
assembla il tutto, e il motore è fatto. La struttura fisica è pronta ma, per farla
cantare, che ci vuole?
Carburante e accensione.
Quindi abbiamo la fisica, la chimica e una scossetta elettrica e, finché arriva il
carburante e l’elettricità, il povero motore, volente o nolente, è costretto a cantare;
ma assoggettato alla inesorabile legge della fisica, man mano si deteriora e torna ad
essere un ammasso inerte.
Che si piglia, si fa a pezzetti, si squaglia e si rifà.
Noi, però, non possiamo essere presi, spezzettati, tritati e rifatti; tutto questo
procedimento è già innescato nelle nostre cellule ed è subordinato ad un imperativo
al quale il nostro corpo non può sottrarsi: la voglia de mmontà, come la chiami tu.
Quello che ha costruito la natura, per non essere costretto a lavorare continuamente,
ha ideato questa specie di turbina atomica perenne che è la “voglia de mmontà”,
l’ha mescolata alla fisica, alla chimica, alla scossetta elettrica, e si è, così, potuto
ritirare a vita privata, a farsi i cazzi propri. La natura è una fabbrica informatizzata
e autonoma, obbligata a rispettare regole che, per quanto mi riguarda, sono
inaccettabili per l’intelletto; perciò chi ha avuto la perversa idea di vincolare
l’infinito al definito, dotare di intelletto un povero animale naturale, è stato un
criminale: “l’occhio mio vola, ma più lontano vola la mente mia che ode, vede e
gusta”.
No no no no, ci rinuncio. Parlamo de quello che si vede: de quelli de prima.
Dei ghei?
Si, t‘ho detto che non mi stanno simpatici perché non li capisco; però, secondo te, ci
nascono o ci diventano?
Ancora!? Né ci nascono né ci diventano: è nor-ma-le.
Sarebbe?
C'è poco da spiegare, te l’ho già detto prima: la natura è obbligata e, quando sente il
desiderio, non si pone il problema del maschio e della femmina. Il sesso è una
questione somatica e l’occhio non ha voce in capitolo nel mistero dell’attrazione
fisica. Quello che so, per averlo visto, è che anche gli animali fanno a incularella
come il bastardone di Leccarécca con il pastore tedesco del Conte; perciò se lo
fanno anche gli animali, è ora di finirla di chiamarlo malattia o vizio. Bisogna
chiamarlo natura e sancirne il diritto di esistenza nella più elementare tolleranza. Se
è tollerante l’Essenza che ha creato la natura, perché non devono essere tolleranti
gli uomini che appartengono alla natura? L'umanità è schiava delle regole e
l'individuo... a che gli serve l'intelligenza, il libero arbitrio, il concetto di libertà, la
presa in visione della non liceità? A che gli serve essere uomo? Per una vita regolata
dalle regole è sufficiente essere un semplice animale. Qualcuno ci ha dato la
meravigliosa possibilità di poter vivere in armonia senza regole, ci ha fatti esseri
intellettivi e speculanti, e noi non abbiamo trovato niente di meglio che renderci
animali. Mi segui?
Dove?
Quel che sto dicendo.
Sento, sento.
Nel momento stesso in cui si proclama che l'uomo ha bisogno di regole imposte, non
si fa altro che negare il libero arbitrio dell'individuo; la sua capacità di vivere
onestamente per apprendimento e convinzione che l'onestà individuale sia la base
della giustizia, e non per timore della pena. Questo è l’Annuncio Evangelico, questo
è lo straziante appello delle Menti che contemplano una società di Superuomini.
Tolta questa facoltà, non si può che ritornare ai vincoli della natura elementare,
quindi: colui che potrebbe vivere da libero, adopera tutte le sue capacità per
rendersi schiavo.
Baste Primù, ke me fai scoppià o cervello.
Arivia col dialetto.
Uffa! Insomma, ti sembra a te questo il modo di ragionare? Si parlava dei ghei, ed
ecco che sei andato a finire dove non lo so.
Embè? Questa è la libertà spirituale che dovrebbe anche insegnarci a conquistare
quella fisica. Non sarebbe bello, metti il caso, partire per andare in America e invece
potersi ritrovare in Cina o in Australia o in Russia o in Iran o in qualsiasi altra parte
del pianeta, senza bisogno di passaporti e visti d'ingresso e d'uscita? Non ci
vorrebbe neppure tanto a renderlo possibile; basterebbe abolire la catalogazione
delle razze e il nucleo famigliare, e quindi il diritto di proprietà ed ereditarietà, che
si portano appresso tutte quelle altre solennità genitrici di discordia: le bandiere, i
confini e gli Dei personalizzati.
Vorresti abolire pure Dio?
Quello dei riti, che fabbrica Leggi ad hoc per questi e per quelli, si. Quello è un Dio
che costruisce le barriere insormontabili delle ideologie. Quello è un Dio che impone
ai propri Ministri la difesa strenua di quelle posizioni che, uniche, impediscono alla
Ragione l’attivazione di procedure convergenti verso la Concordia. E ti dirò di più:
se mio padre avesse avuto un pò di comprendonio, se avesse minimamente
considerato che il pianeta era già pieno di roditori e la specie, anche senza il suo
contributo non avrebbe corso alcun rischio di estinzione, io ora non mi troverei ad
essere questa farneticante cellula in mezzo a questa umanità così cosciente.
Non ti sta bene proprio niente.
Già, o capisco troppo o non capisco niente, quindi farnetico, grazieadio; e
farneticando farneticando mi accorgo che, anche se in schiavitù, è necessario e
dignitoso vivere per amore del Dio che ogni cuore ritiene di possedere in esclusiva.
Non c'è via di scampo: l'uomo nasce solo e muore solo per obbligo; se riuscisse
anche a vivere solo, per scelta, riuscirebbe a vedere.
Che?
Che quello stronzo di spermatozoo non avrebbe mai dovuto essere arrivato all’ovulo.
O sei matto davvero o me vuoi pende in giro. Parla parla, tanto non me ne frega
niente di quello che dici.
Sei proprio sicuro?
Quando parli come adesso, so sicuro come so sicuro di come mi chiamo.
Caro Diario, non so cosa farei, senza il mio amico Bobocù, quando entro nello speco
del delirio disfunzionale; quando il bisogno di avere un orecchio a portata di voce è
più esigente del bisogno di svuotare i rognoni. A chi altri potrei dire quel che dico a
Bobocù senza dover subire il reflusso di un saccente interpretativo e commiserevole?
Come potrei mostrare i mille volti che lo specchio della mia anima mi riflette in
successione e pretendere che chi mi conosce possa continuare ad avere la minima
fiducia in quel che conosce di me?
Comunque, se ti ci metti a pensare un po’, sei costretto a dire che è tutto un
marciume, come una marmellata che cola continuamente, e l'umanità ci si rotola
dentro generazione dopo generazione: è così e così va.
Sono trasecolato! Tu, la biblica ignoranza espressiva, riuscire a confezionare,
parola per parola, un prodotto simile. Questo non è olio del tuo motore, mi ci gioco
Rosina.
Te la puoi tenere, l'ho chiavata prima di te.
Perlappunto quando l'ho conosciuta non sapeva neppure a che servissero le labbra.
Adesso è una vera sciccherìa di professionista e non te la meriti. La ritiro dalla
competizione. Ehm, riguardo a quella. chiavata con Rosina, t'è piaciuta?
Certo che si.
Lo stesso gusto che provavi con Giovanna?
Che c'entra! Con Rosina era carne. Con Giovanna ci ho fatto l'amore.
Grazie.
Perché?
Io non mi sono mai innamorato. Ho sempre chiavato, non ho mai fatto l'amore. Anzi,
una volta si. Stavo insieme a Giobà e lui me l'ha fatto intravedere.
Tu e Giobà?!
Io, Giobà e due ragazze (questa cazzo di lingua italiana non fa altro che partorire
doppisensi). Ti dirò: è stato tanto bello che, se dovesse capitarmi di innamorarmi,
sono sicuro che la chiavata uscirà dal mio vocabolario.
E Rosina? Che mi dici di Rosina?
Rosina!? Rosina…
Embè?
Mah! E’ passato tanto di quel tempo che …
Aho! Qualche mese, per te è: tanto di quel tempo?
Il tempo, amico mio, non si misura a ore, o mesi, o anni. Il tempo è una condizione
della psiche…
E mo, che è sta pisiche?
Psiche! E’ quella cosa che ti dà le emozioni, i desideri, i bisogni, le fantasticherie, le
euforie, le ansie irrazionali, le paure sconsiderate. Insomma quella cosa che c’è ma:
che è? Dove mi sta attaccata? A volta sembra che ti stia nel cervello, a volte nel
petto, altre volte radicata nei reni o nelle budella, oppure sulla punta della verga del
pastore. Quella cosa pazzesca che ti trasforma in qualcun altro, che restringe un’ora
in un minuto ed allunga il minuto fino all’eternità. E’ come quel vaso di Pandora
che contiene il seme di tutti i mali; soltanto che, questo è individuale, personale;
come se fosse veicolato dagli spermatozoi perché nessuno ne è sprovvisto e tutti ce lo
portiamo dentro, ovunque. Potremmo avere una sola difesa da questo maledetto vaso
che si apre e si richiude quando gli pare e piace: la prossima volta che si apre,
restare passivi, lasciarsi invadere e permeare dai suoi invisibili microbi puzzoni, in
modo da oltrepassare il confine del sociale ed entrare nel giardino incantato della
follia. Te lo immagini, i commenti? Aho, la sai l’ultima? Primultimo è impazzito!
Mentre, invece, Primultimo si è finalmente liberato; liberato dalle ansie, dalle
angosce, dalle paure, dai bisogni, dalle fantasticherie, dalla calca dei mezzi pubblici,
dalla fila … mettersi in fila, prendere il numeretto, attendere il proprio turno!
Cambiano solo i campi di raccolta dei greggi, ma i greggi restano sempre greggi.
Primultimo si è finalmente liberato dalle telecamere su tutti i marciapiedi, dalle
intercettazioni ambientali, dalle imposture politiche, dai missionari armati fino ai
denti e pronti a spargere il terrore con i mezzi corazzati, con le navi e i sottomarini,
con gli aerei, ovunque e in qualunque momento una voce …, mi capisci!? Una voce
uscente da un corpo in putrefazione o da un mezzo elettronico, latri, nelle loro
orecchie di automi: procedete! Interi territori, belli e santi, contaminati dalle loro
porcherie all’uranio impoverito; intere popolazioni nel terrore delle esplosioni
immani e delle piccole mine amputanti, interrate nei loro campi coltivabili, nei loro
prati, nei loro boschi, sulle rive dei loro vitali fiumi.
Primultimo si è finalmente liberato dal servizio sanitario, dalle industrie
farmaceutiche, dagli ospedali, dai centri oncologici, dai padiglioni terminali, dai
preti che pretendono il prolungamento della sofferenza a qualunque costo e fino
all’estremo limite di sopportazione, come se, per loro, fosse indispensabile nutrirsi
della sofferenza altrui, una sete inestinguibile di sofferenza, un diletto demoniaco
nell’inspirarla.
Primultimo si è finalmente liberato dalla pubblicità dell’imposizione al consumo per
l’imbarbarimento infantile, per l’annichilimento adolescenziale, per la fabbricazione
industriale di anime obnubilate, di menti pianificate, di automi compiacenti e
funzionali.
Primultimo si è finalmente liberato dalla disperata ricerca della fu Umanità; anche
se la storia insinua il dubbio che la osannata Umanità sia sempre stata un utopico
argomento filosofico.
Primultimo si è finalmente liberato dalla mistificazione che, guarire un corpo,
significhi salvare una vita… Perché ti sei fermato?
Devo pisciare. E’ una piazzola di sosta a campo aperto ma Bobocù non se ne cura e
svuota la vescica, a braccia tese, come ali di rondine. Risale in auto e ingrana la prima
con un ghignetto sardonico: una volta ho visto un film. Parlava di Firenze e c’era
una frate vestito di bianco che pareva un invasato; proprio come te poco fa.
Invasato, dici. Lasciamo stare. Piuttosto, tu che sei innamorato, mi dici perché te ne
vai in giro a chiavare?
Mi devo sfogare, no?
Perché non con la donna che ami? Oltre che sfogarti, godresti anche.
Ce lo sai pure tu che è sposata.
Embè?
Embè!? Te lo immagini che casino! Papà mi capirebbe pure; ma mamma. se mi
piglio una sposata. la vergogna. non esce più di casa. E poi i parenti. i miei, i suoi.
no no, sarebbe un casino.
E non ti è mai capitato di pensare che tu non vivi, che sono gli altri a vivere per te,
che tu sei un pò di carne morta che va cercando altra carne morta per farsi una
chiavata morta e tutto questo, perché: se no sarebbero casini?
Ti dirò come la penso io: secondo me Paride ed Elena, Giulietta e Romeo, Paolo e
Francesca, Tristano e Isotta e tutti gli altri che nessuno ha conosciuto ma che ci
sono stati e ci sono tuttora in ogni parte del mondo, sono quelli che parlano la vera
lingua di Dio: quelli che hanno conquistato la vita perché non hanno avuto paura di
perderla.
Tu me parli di gente che non conosco, dici che sei ammalato e intanto fai il medico,
dici che non devo facce caso d’andà a finire sulla bocca di tutti, parli di Dio come se
fosse un amico tuo che te dice come stanno le cose. Ah Primù, fatte visità che me
preoccupi!
Forse hai ragione tu. Anch'io mi preoccupo. Da quella volta che sentii parlare Giobà
a Perugia, ho incominciato a leggere i libri che parlano di Dio e.
E?
Ogni tanto mi sveglio, come se sentissi una scossa elettrica; mi guardo attorno e
vedo che tutti dormono: ronfano scoreggiano, si stiracchiano biascicano, si rigirano
di fianco, rumoreggiano. Rumoreggiano ma continuano a dormire beatamente. Io
vorrei gridare: svegliatevi! Svegliatevi!
E invece?
Sto zitto, perché poi non saprei dire loro per quale motivo li ho svegliati; mi
accuserebbero, a ragione, di aver interrotto il loro riposo e i loro sogni. e me la
farebbero pagare. Allora mi rimetto giù e mi riaddormento; però non riesco più a
riposare né a sognare.
Fatte visità, damme retta, l'esaurimento nervoso è pericoloso. Te ricordi quando
Picchiozoppo diceva d’essere un uccello e se buttò dalla finestra per volare?
Si, ho un bell'esaurimento nervoso e me lo voglio tenere perché se, per caso, un
giorno, oltre che gridare sapessi anche dire perché ho gridato, forse qualcuno non
riuscirebbe più a dormire. e forse anche questo qualcuno incomincerebbe a gridare e
poi qualcun altro e altri ancora.
E li porteranno tutti al manicomio.
Finche saranno in pochi; ma se le urla si dovessero ripetere sempre più spesso,
anche i più indolenti sarebbero costretti, a un certo punto, a sollevare la testa e a
domandarsi il perché dell'espandersi della pazzia. Quando i pazzi saranno a
migliaia, il dubbio avrà ragione di pretendere udienza ed i padroni del sonno si
troveranno a combattere il dubbio: subdolo silenzioso impalpabile, si espande ed
impedisce il sonno; e pian piano si attenuta il ronfare, si diradano le scoregge, si
respingono i sogni, si controllano i respiri; ed avanza il silenzio a trasportare il
bisbiglio dei dubbiosi nelle orecchie degli indolenti fino a che i falsi dormienti si
alzeranno tutti insieme come un'onda gigantesca a gridare: non vogliamo più
dormire! Non vogliamo più sognare! Vogliamo sapere! Vogliamo vivere!
E chi glielo dirà come si fa a vive?
Non lo so, la mia visione scompare al momento della rivolta, al momento della
resurrezione.
Mah, che te devo da dì, me piacerebbe vedello.
Pensa a quel momento e mettici dentro Giovanna insieme a te, mano nella mano che
gridate: vogliamo vivere!
Sarebbe bello.
O sarebbe l'unico bello che riesci a immaginare?
Bobocù socchiude gli occhi, si toglie una paio di caccolette dalle narici, si dà una
grattatina al cavallo. Mentre il suo io razionale guida vigile e composto, il suo io
emotivo si è trasferito a visitare la mia terra promessa: Sarebbe l'unico, si.
Benvenuto nella società dei dubbiosi; ma adesso facciamoci un altro sonnellino e
dimmi di quella marmellata… nella quale si rotola l'umanità: come ti è venuta in
mente?
Bobocù ride e quasi quasi lacrima; ma il 105TC neanche se ne accorge e prosegue
dritto, srotolandosi sotto la linea tratteggiata tra le due corsie di marcia: c'è poco
traffico.
La dicesti tu quel giorno che discutevi coi Testimoni de Geova che te volevano
convertì, de tutti i conti, finché tu non cominciasti a urlà: “sti cazzo de missionari de
mille parrocchie...” e via de seguito. Io ho cambiato solo una parola. Lo vedi? Ne
dici tante che te ne dimentichi e me convinco, sempre de più, che quella frase l'hanno
inventata proprio per te.
Quale?
Prima de mette in moto la lingua, verificà che il cervello sta inserito, sei offeso?
No. Stavo pensando alle tue ultime parole: così è e così va. Queste non sono mie. Io
non sono mai stato categorico in niente, anzi premetto sempre: forse, mi pare,
potrebbe essere che, mi sa che, probabilmente. E poi, secondo me, tu le cose le fai
troppo semplicistiche. Quando si prospetta una situazione, quando accade un fatto,
vuol dire che, a monte, c'è un motivo e l'uomo deve riuscire a regolare tutto ciò che
di squilibrato c'è attorno a lui; ma, per farlo, deve porsi delle domande e giungere
alle risposte più consone. E' per questo che esistono gli scienziati. Tutta gente che ti
parte da. che so. un ossetto, diciamo, e ti arriva a dire che l'uomo è una delle tante
specie di scimmie; solo che, a forza di pedicure, è riuscito ad infilarsi le scarpe; e il
tanfo del sudore dei piedi gli ha sviluppato il cervello così velocemente da strabiliare
tutte le codificate leggi naturali.
Sei uno scienziato tu?
No, perché?
Perché se non sei uno scienziato tu, pensa che te ripensa, non penserai altro che
stupidaggini, ecco perché. Perciò chiudi quella boccaccia e accendimi una smoke.
Un'altra? Ecco cosa sei: un masticabulloni fumigante, un registratore ambulante
riempito di pezzi di ricambio e di nicotina puzzolente. E io che perdo il mio tempo
per cercare di condurti negli spazi sconfinati della ricerca non brevettabile.
Si, va bene, cercami un distributore allora, che siamo quasi a secco.
Navigatore a pilota: prossima stazione di servizio a 3 Km. Affi Garda. Sulla sinistra
ci sfila accanto il parco dei mostri preistorici. Certi animaloni confezionati su con la
cartapesta che, tutti sono pronti a scommetterci le personali casseforti pendule, una
volta, per centinaia di milioni di anni, hanno pascolato sulla terra al posto delle
pecore. Essi soltanto, intelligenti come Pico della Mirandola, furbi come Bertoldo e, a
questo punto perché no, sciupafemmine come Casanova. Lo dicono gli scienziati e
diventa tutto, oro colato. E' stupefacente come certuni ti pigliano un osso e riescono a
costruirci sopra muscoli, pelle, zigrinature, rialzi, avvallamenti, aoh! Se mi ci provo
io a fare certe cose, mi dicono che ho una fantasia da fantascienza. Invece le fa
qualcuno che ha avuto dei maestri che, come lui e come me, non c'erano e non sanno
un tubo di come era davvero, e tutto diventa sacrosanto carismatico ineccepibile.
Come faranno questi, a prendere un osso, a riempirlo di porcherie e a pontificare:
'così era'?
A che pensi?
Se glielo dico mi sfotte: Penso che mi piacerebbe tanto avere per le mani una bella,
fresca pulita profumata fanciulla ventunenne.
A chi lo dici!
Entriamo nell'area di servizio.
Mentre tu fai il pieno, io rimedio un paio di panini. Da bere che vuoi?
Fai tu.
Sulla porta a vetri del grill t'incrocio una belloccia tedeschina che mi entra subito in
circolazione e mi gonfia il puffo in un giro di trapano. Lo sento allargarsi come una
camera d'aria inchiavata al compressore. Ah incomprensibile fascino vichingo! Pelle
di latte indorata dai caldi raggi latini, quarzi lucenti gli occhi intra le biondi messi.
T'amo o Madre e ti odio, tu che profondi miraggi di opulenti raccolti e mi nutri con
meste illusioni.
Non si cancella mai questo ricordo di te che nasci
nuda dalle acque del mare di Libia.
L'ombra tua snella mi veniva incontro grigia
nel Bobocù incanto del tramonto.
Pelle d'avorio ornata di diamanti
con un sorriso entrasti in me dagli occhi
e fui indifesa terra di conquista.
Mi apristi un cielo nuovo nel pensiero.
Vorrei non averti mai incontrata Grete oppure Helda o Sigghi o come cavolo ti
chiami, piuttosto che saperti esistere e sorridere e zufolare carezzevole, con le tue dita
paffutelle, chissà quale pelle. chissà quali palle: per favore, due panini e due birre.
Quando ritorno Bobocù sta pagando la benzina: quarantanovemila più le
diciannovemilatrecento di autostrada fino a Modena, fanno un totale di
centodiciottomilatrecento fin qui. Alla faccia! Vero che andiamo in giro con cento e
più cavalli, ma questi bevono come dromedari.
E Bobocù ridacchia. Bobocù di pelo e bianco di pelle, lentigginoso e trasandato,
nemico d'ogni clima non polare. L'unico calore che sopporta è quello della femmina.
Due cose conosce della vita: la Ferrari e la Giovanna. E' un fortunato ma non se ne
rende conto: ha guidato la Ferrari, ha fatto all’amore con Giovanna, e non gli basta.
Lui sa benissimo che la Ferrari potrebbe anche comprarsela ma non potrebbe
mantenerla; che la Giovanna se la può scopare ma non può sposarsela e, invece di
dirsi "sti cazzi! Tanto me le sono fatte tutte e due" continua a sospirare per non
poterle avere sempre sotto mano. Come se la vita fosse una pellicola con su stampato
sempre lo stesso fotogramma. Ah l'uomo! Questo meraviglioso uomo che si ostina
nel voler continuare a vivere l’illusione e a soffrire la delusione.
Momento: e se la vita fosse invece proprio la proiezione continua della stesso
fotogramma su cui è andato ad imprimersi il riflesso della personale indivisibile
visione? Se la vita fosse soltanto stordimento e non movimento? Se fosse emozione e
non comprensione? Se fosse egoismo e non altruismo? Se fosse arbitrio e non
dovere? Se fosse animata e non meccanica? Se fosse amore (ama e fa ciò che vuoi) e
non legge? Se fosse soggettiva e non oggettiva? Sicuramente non si scriverebbe la
storia; ma l’individuo e, di conseguenza il genere umano, ci rimetterebbe?
Primù …
Si?
Beh … quando Bobocù fa il restio, non si può dubitare che si stia per entrare in un
argomento per lui fondamentale: vietato scherzarci sopra.
Allora, non trovi le parole?
Mi devo sposare, l’età avanza, i miei genitori mi rompono i coglioni tutti i giorni. O
mi sposo o me ne vado da casa. Ho messo gli occhi su Maria, mi pare una brava
figlia, di buona famiglia. Che ne dici? Ha vuotato il sacco tutto d’un fiato; ogni
parola una pallottola di mitraglia. Si, è veramente una cosa seria.
Che ne dico? È uno di quei momenti nei quali si può distruggere anche un’amicizia
inviolabile. È una cosa stramaledettamente seria; non si tratta più di filosofare su
questo o su quello; qui è coinvolta la vita personale, l’unica vita che, in definitiva,
abbia un valore palpabile. Non fare lo stronzo, Primù, non sogghignare, non
permetterti neanche di pensarlo. Mi viene quasi da piangere: innamorato di una e
decidere di sposarne un’altra perché ci sono questi e quelli che rompono i coglioni, e
poi le consuetudini e le convenzioni e le esigenze e … vaffanculo al mio amico che
sta per rovinarmi le vacanze. Faccio il vago e spero che si accontenti: che ti dico?
Niente.
Niente eh!? Bell’amico! Sto per affogare, allungo un braccio e tu, invece di
afferrarmi ti accendi una sigaretta.
Se hai deciso di affogare, perché allunghi un braccio per farti tirare fuori
dall’acqua? Vuol dire che non hai ancora deciso e quel braccio teso potrebbe
significare che vuoi farlo in compagnia o che qualcuno te lo impedisca. Mi dispiace
Bobocù, non posso aiutarti. I miei argomenti, riguardo le decisioni personali
fondamentali, divergono da quelli in uso comune. Tu pensi di sposarti e ritieni che
sia una cosa normale?
Perché, non è normale?
Per me no, non è normale. Ce l’hai presente la formula del giuramento
matrimoniale? L’hai mai sentita pronunciare? E ti sembra normale l’indifferenza
con la quale la si pronuncia? Lui non conosce lei, lei non conosce lui, due perfetti
sconosciuti, neanche parenti … vedi, potrei considerarlo normale soltanto
all’interno di una società primitiva, nella realtà di una esigenza di sopravvivenza.
Ma che stai a dì!? Quando torni a casa e c’è qualcuno che ti aspetta…
Anche adesso hai qualcuno che ti aspetta.
Ma è tutta un’altra cosa!
Allora dilla intera la verità: quando torni a casa e non vedi l’ora di spogliarti e di
spogliarla ed infilarla come una salsiccia allo spiedo, o no?
Certo!
E quanto pensi che possa andare avanti così, come tu te la immagini?
Non è mica solo quello! Poi ci stanno i figli…
Sirene, amico mio, solo sirene che cantano, nella tua fantasia, la dolce melodia
dell’illusione di come vorresti che fosse. Metti sull’altro piatto quello che invece ti
propone la realtà e poi paragona il sollievo ai fastidi, l’armonia alle incomprensioni,
le necessità alla mancanza di possibilità, le poche montate agli innumerevoli
impedimenti fisici. Fatti furbo Bobocù, manda a fare in culo madre e padre, Maria e
tutta la sua parentela! Se volevi un consiglio è l’unico che mi sento, onestamente, di
darti.
Era meglio se non ti dicevo niente.
La bambina aveva dieci anni: filiforme, diafana, i capelli finissimi e biondissimi,
raccolti da un frontino verdelarice, lunghi fino alla curvaturina delle piccole natiche.
Si era staccata dal gruppo dei bambini e si era avvicinata all'uomo, factotum nella
colonia, che stava dipingendo il cancelletto di legno. La bambina faceva domande,
l'uomo rispondeva. Adesso, trascorsi degli anni, quella bambina non è più bambina:
adesso ha ventuno anni e, a causa di un incontro fortuito, sta ancora parlando con
quell'uomo e gli sta ricordando quell'episodio. L'uomo l'ha dimenticato e, per quanto
cerchi nella memoria, non riesce a ricordare. Il corpo della bambina, cancellato dalla
sua memoria, è, ora, davanti ai suoi occhi, il corpo armonioso di una donna e le
labbra carnose stanno modulando innocenti note di velato erotismo: "Lo sai? Di tutto
quel periodo passato in colonia, ricordo soltanto quell'episodio: quando tu stavi
dipingendo il cancelletto ed io ti facevo domande. E' rimasto vivo nella mia memoria
come se fosse accaduto ieri e so che non lo dimenticherò mai. Perché proprio
quello? Perché succede? Come si possono spiegare certe cose?". L'uomo non sa
rispondere. Il corpo, ormai adulto, della bambina mai pensata, si è fatto più vicino e
l'uomo riesce ad annusare l'odore del suo alito. La voce della donna ora è quasi un
sussurro: "Ho ancora un altro ricordo: un giorno che rientravamo dalla passeggiata
e scoppiò il temporale. Tu mi prendesti in braccio per correre più in fretta a
ripararci nella baita". L'uomo ha la bocca secca e la lingua intorpidita, però riesce a
domandare: "Perché, fra tutti i bambini che c'erano, ho preso in braccio te?". "Io
non potevo correre perché altrimenti mi usciva il sangue dal naso". L'uomo cerca di
ricordare la bambina. Bambini o bambine, sono sempre stati ai margini della sua vita,
alieni appartenenti ad un’altra dimensione. Per quanto cerchi, i suoi neuroni riflettono
soltanto immagini di schiere di bambine e bambini, confusi nei loro giuochi, nei loro
gridolini; bambine e bambini, senza volto e senza storia, accuditi nelle loro esigenze
quotidiane. Quel che riesce a vedere, ora, è soltanto la donna, quella donna; quel che
riesce a visualizzare, ora, sono i petali della rosa di una consenziente, adulta, vergine
deflorata: "Che fai stasera?".
Laura corre corre felice sul prato
incontro al giorno che nasce incontro al sole che scalda.
Corre felice vive la gioia della sua storia ancora agli albori
gode gli uccelli gode i colori le lucciole snelle gli alberi i fiori.
Laura è dolce come il suo prato fiorito
e non conosce la vita e non conosce l'amore.
Laura è dolce come una pesca matura
e non conosce la vita e non conosce il dolore.
Laura è dolce come un grappolo d'uva
e non conosce la vita e non conosce la morte.
Sorride canta insegue le api, farfalle e fiori tra i suoi capelli,
Libero il prato libero il cuore,
Laura è felice ma il mondo protesta.

METEMPSICOSI

Fuggo l'amore di chi mi ama perché


ha bisogno di me.

L'amore familiare è scritto nella genetica e non necessita di intelletto, gli basta la
memoria. Gli umani continuano a stupirsi perché alcuni animali mostrano
comportamenti affettivi straordinariamente simili ai loro, invece di stupirsi di se
stessi: umani che considerano ancora fondamentali e irrinunciabili comportamenti
affettivi animali.
Perché possedere l'intelletto e non riuscire a concepire che la famiglia è una sola e i
figli sono figli di tutti gli adulti, e gli adulti, padri e madri di tutti i figli?
Perché possedere l'intelletto e continuare a considerarsi, ancora, artefici della vita
negando la realtà di ciò che siamo: elementi della vita?
20.43: uscita per Bressanone - Val Pusteria.
Quanto ancora per San Candido?
Una sessantina di km.
La prima volta che capitai da queste parti, qualche anno fa, venni con il treno. In quel
periodo stavo a Pescara. Davo una mano a costruire un piccolo convento per una
comunità di frati. Due muratori e un manovale: io.
Da giugno a dicembre, sei mesi meravigliosi volati via senza inquietudini. Giorno
dopo giorno, sabbia calce cemento mattoni legname piastrelle tubi fili tegole, si
trasformarono in una cosa che, il 21 dicembre, assunse un nome unico e definitivo:
casa. Buon Natale, Capodanno, Epifania.
Dopo una ventina di giorni di inattività cominciavo a masturbarmi come uno
scapolotto quarantenne. Provai ad uscire per qualche sera. Durante l'estate avevo
conosciuto una ragazza a Silvi Marina. La terza sera la incontrai in un bar mentre
pomiciacchiava con un tracagnotto foruncoloso, tutto mamma e clear. Appena mi
vide, saltò su come una piattola dal pelo di Babilonia, la prostituta delle prostitute.
Ciaaao Primùuultimo! mi cantilena un salutissimo.
Mia madre mi ha chiamato così perché poi non ha più voluto saperne di svaginare
altri figli. Diceva ch'era castrante, che aveva la sua vita da vivere. Tutte quelle
stramaledette giaculatorie laicolibertarie scritte nella gola delle donne che,
finalmente, decidonodasé e che alla fine ti lasciano tanto vuoto, dentro, da non
poterlo più riempire senza l'ausilio costante di amici fidati: brandy whisky martini,
rossi antichi e nuovi, cherry sigarette pettegolezzi allegre compagnie. Che bella la
vita! Su, viviamo! Andiamo di qua, andiamo di là. "A fare icché?". Mai alcuno che
abbia una risposta compiuta, tipo quella che diede un povero Cristo al medico che,
dopo aver scaricato il defibrillatore, gli gridava nell’orecchio: “non andare, non
andare! Resta con noi! Ma dove vuoi andare!?: “consummatum est” .
Un tranquillante per uscire. Uno, per ritornare in quella casa così vuota. Due, per
riuscire a dormire. Ah che invidia mi fanno queste padrone della loro vita!
Ciao Sandra, lui chi è?
Un amico, cantiamo insieme nel coro della parrocchia. Facciamo una passeggiata?
E lui?
Aspetta gli altri, tra un'ora abbiamo le prove.
E mi getta in faccia un soffio erotico da farmi dimenticare il mondo. Sono già con lei,
sopra di lei, dentro di lei. Mi tocca una mano: Andiamo?
Ci tuffiamo nella tramontana, sul lungomare. La furbacchiona mi guida verso uno
stabilimento balneare in letargo. Apre una porticina laterale, facile facile così come io
apro una scatola di scarpe.
Sandra.
Sii. e la voce le muore in gola. Ha già trovato il flauto di Pan. Bruuucia.
Lo so bene. Sono tre mesi dall'ultima volta. Non è facile vivere con i frati e poi
lasciarsi andare al richiamo di Eros o perlomeno, è un pò imbarazzante.
Vieni, voglio sentirti dentro.
Anch'io voglio sentirmi entrare. Girati.
No. lì no, è ancora presto. Ma ormai non l'ascolto più; non potrei più ascoltare
alcuno. Debbo soddisfare la voce che ho dentro… La voce che ho dentro... Cos'è la
voce da dentro? Questo demone che improvvisamente mi chiama alla trasgressione;
mi incita all'umiliazione dell'altro, come sospinto da un delirante impulso ipnotico al
quale è inutile opporre resistenza e bello, nello stesso tempo, abbandonarsi; e poi
vedersi spettatore e attore; e sapersi carnefice e vittima; e sentirsi giustificato perché
capace di scavalcare una barriera sapientemente predisposta, giorno dopo giorno da
parole, si non confortate dall'esempio, ma pur sempre fortificate dal comune senso
dell’ipocrisia spacciata per pudore?
Cos'è questo rimorso ora? Questa irritazione nei confronti della vittima. Vittima?
Quale vittima? La fragile creatura che sussurra: no no, mentre impercettibilmente il
suo corpo, man mano si dispone al si si sissiiii!
Ma ora sono io che dico: no. Io che te lo faccio vedere e te lo nascondo. Io che te lo
faccio toccare e te lo tolgo. Io che ti frusto nell'orecchio: "Perché?" ma tu non sai
cosa ti stia chiedendo; perciò immergo ancora più profondamente l'artiglio della mia
irritazione. "Perché ti neghi mentre ti offri? E' un giuoco?". No, non può essere un
giuoco. Nessuno di noi due ama giuocare con dolore. E' la tua femminilità:
l'ambiguità naturale che non trova smentita neppure quando annaspa nel parossismo
dei sensi.
Eri molto stretta. Piangi?
Mi ha fatto male.
Ti ricordavo più. elastica.
Non l'ho fatto più da.
Da?
L'ultima volta con te. Lo so, tu pensi che sono. sono. Quando ti vedo, respiro il tuo
odore, io. io non capisco più niente. Solo con te mi capita di. così. subito. Io. io.
La bacio sulle palpebre. Battezzo le mie labbra con quell'acqua saporosa che sgorga
dallo spirito turbato dalla percezione di potenze che sfuggono alle imposizioni di
qualsiasi cultura, di qualsiasi ordinamento, di qualsiasi proposito. E' una disciplina
inesplorabile: è la DEBOLEZZA in assoluto, il richiamo del PIACERE,
l'impossibilità di RIFIUTO, quando c'è attrazione. E mi ritrovo a pensare che lei è
giustificata, mentre io sono più solo di prima; e più assetato.
La stringo. Dolcissimamente la avvolgo, la cullo, la acquieto. Fingo di crederle.
Dovrei crederle. Vorrei crederle.
La sera dopo, indosso il mio vecchio cappotto militare. Chiudo lo zaino. Un’occhiata
panoramica alla cameretta nuova nuova che potrebbe diventare il mio nido, soltanto
che lo chiedessi; basterebbe assoggettarmi alla legge della Regola ed indossare un
vestito che notifichi la mia appartenenza. No, non sono idoneo ad una esistenza
Regolata. Saluto gli amici frati. L'economo mi mette in tasca qualcosa. Il malizioso lo
chiamerebbe: compenso del manovale al nero; invece è soltanto il dono di un
intelletto comprensivo. Un milione cazzo! Ci posso fare il giro del mondo.
Alle ventunoetrenta prendo l'espresso Brindisi-Milano. Assalto il primo vagone che
mi si ferma davanti, apro la portiera. Caz! a momenti, da dentro la carrozza, mi
ruzzolano addosso tre persone. Impossibile salire anche un solo gradino. Richiudo la
portiera. Me lo percorro tutto, dall'esterno, questo lombricone osceno. Tutti i vagoni
sono pieni zeppi di poveri disgraziati. Potrei permettermi una prima classe; ma sono
uno di loro. Preferisco mangiare pane secco insieme a Lazzaro piuttosto che sedere al
desco di Epulone.
Luna
del palissandro amica e del licantropo
del solitario in vetta concubina
e dell'artista pazzo
gravida luna di nècri timori
d'armonie luciferine plananti
negli aridi cuori di rapaci
untori
d'illusioni perverse
di futuri ineguagliabili onori.
Placida luna
che nulla sai
dei tanti malanni che arrechi
dei candidi inganni
dei teschi sognanti
dei giorni di speranza che neghi.
Apro la porta di un altro vagone. I poveri disgraziati stanno addossati l'uno all'altro,
insaccati… nemmeno la metropolitana nell'ora di punta. Riesco ad infilarmi. Lo
zaino? Uno, approfittando della portiera aperta, mi prende per il bavero del cappotto;
così riesco a mantenermi in equilibrio, in punta di piedi, sull'ultimo gradino. Passo
dentro le cinghie dello zaino e chiudo la portiera. Riesco ad accomodarmi, in piedi,
sul predellino.
Facce rassegnate, senza più neanche la voglia di protestare. Pudore. Ci si vergogna.
Penso ai racconti di mio padre. Il 1943. la stazione Tiburtina. gli ebrei sacrificabili
nei vagoni merci. e non solo gli ebrei. L'odore della calca, l'odore asfissiante
dell'animale intrappolato. Fa caldo. Sudo. Il cappotto mi strangola. Non c'è il posto
per cadere e non c'è il coraggio per gridare… Auswhitz… Dachau… Qualcuno riesce
ad aprire un finestrino scorrevole. L'aria gelida mi sferza. Fuori sta piovendo. Lo
zaino…
Sigaretta?
si bagnerà.
Primù oh!
Eh? Che c'é?
La vuoi una sigaretta?
Si, grazie.
E' quasi buio. Abbiamo superato Brunico. Tra un pò saremo a Dobbiaco e, da lì a
San Candido, è una soffiata di naso.
A che ora chiude la pensione?
Alle undici.
Sono neanche le nove e mezza. Arriviamo comodi comodi.
Dling dlong. Ancona, stazione di Ancona. Qualcuno forse scenderà. no. L'espresso
501 Roma-Berlino continua la sua corsa nel buio e nella pioggia.
Un bambino piange. Il rabbino recita le Scritture: “Il Signore è la mia guida e la mia
salvezza, di chi avrò paura? Fammi giustizia o Dio, difendi la mia causa contro gente
spietata. Ascolta Dio, la voce del mio lamento; dal terrore del nemico preserva la mia
vita. Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano e fuggano davanti a Lui quelli che lo
odiano. Salvami Dio, l'acqua mi giunge alla gola. O Dio non stare lontano vieni
presto ad aiutarmi". Nel cuore dei disgraziati scendono le parole del rabbino e verso il
cielo vorrebbe innalzarsi, se soltanto potesse, il greve silenzio disperato degli
umiliati.
Ho un pacchetto di caramelle Charms in una tasca del cappotto. Riesco a tirarlo fuori
ma non posso adoperare l'altra mano per scartare la caramella: stiamo troppo stretti.
Quello di fronte a me, petto a petto, mi presta una delle sue mani, quella che riesce a
liberare. Gli lascio il pacchetto e gli faccio cenno. Il pacchetto di caramelle passa di
mano in mano, faticosamente.
Sto dividendo con loro il caldo opprimente del riscaldamento, la nausea dei fiati, la
stanchezza dei piedi, l'umiliazione spirituale, lo scoramento di sentirsi ultimi, infimi,
merce deteriorata. Posso dividere con loro anche le mie caramelle. No, non le sto
dividendo. Con quelle caramelle li sto comunicando. Lo leggo negli sguardi dei
vicini, nella increspatura appena accennata delle labbra; lo sento nelle zaffate dei fiati
che respiro. Fin dove sono arrivate le caramelle è nata una comunità. Sono il loro
sacerdote dling dlong. Bologna stazione di Bologna.
Non ho una meta precisa né scadenze da onorare. Da qui posso prendere un treno per
ogni luogo della penisola, del mondo. Appena decido di scendere mi sento un
disertore; ma perdio! Non ho l'istinto del gregge io. Sono un uomo libero io. Eppure
questa vocina radicale e radicata non mi rasserena. Che altro potrei fare per loro? La
rivoluzione?
Anche se avessi il carisma del manipolatore di folle, a che servirebbe? Il banchetto
dei loro sogni è fatto di briciole; quelle briciole che cadono dalle tovaglie sbattute
dalle finestre delle case degli approfittatori.
Sono figli di padri che si accontentavano del poco, saranno padri di figli che
dovranno accontentarsi del meno.
Scendo. Lo zaino è talmente inzuppato di pioggia da spisciolare come il filtro del
moscato nella cantina di mio nonno buonanima. Pioviggina ancora. Fa freddo. Mi
sento anchilosato. Il treno riparte con il suo carico di inermi. Appena scompare il
Bobocù fanale lampeggiante di coda, li dimentico. Ora, nella notte, c'è un'unica
persona degna di tutte le mie preoccupazioni: me stesso.
A quest'ora della notte, l'unico buco caldo che si può rimediare è un altro treno. Il
prossimo all'una e cinquantadue, tra venti minuti: Roma-Monaco. Quasi quasi. non
sono mai stato più in su di Verona. Che partita quel giorno, con Larssen scatenato sul
campo e Gino, incazzato nero, tra gli ultra romanisti. Altri tempi e altre storie. altri
valori.
Più in su c'è il Trentino, l'Alto Adige. montagne e neve. Peccato che parlino
straniero. un momento: c'è don Cettino che ha impiantato una colonia per ragazzi in
Alto Adige. Non lo conosco. però potrei andare a fargli una visitina. Siamo paesani
dopotutto. Potrebbero servirgli un paio di mani che non si schifano di infilarsi anche
nel buco otturato di un cesso.
Con i ragazzi, si sa come vanno certe cose. Ci buttano di tutto: tampax preservativi
mutandine torsoli di mela palline da ping-pong. Se mi dice di no, do un'occhiata al
posto. Non ho mai visto una pista da sci. ci vado. Il posto come si chiama? Telefono a
Gino, l’affittacamere del mio periodo romano; è lui che me ne ha parlato, una volta.
uno squillo, due squilli, tre squilli, quattro. Prooonntooo!
Gino, sono Primultimo.
Primù, come stai? so' Andrea.
Andrè, c'è Gino?
Aspetta un momento che te lo chiamo. Sta a pomicià con le sorelle Annamolì ahahah.
Le chiamano così perché vanno per la trentina e non sono ancora riuscite ad
acchiappare un becco permanente. Basta niente per appioppare soprannomi. Conosco
uno soprannominato il Gobbo, solo perché i suoi hanno avuto la malaugurata idea di
battezzarlo Giulio. Un altro lo chiamano Vampiro da quando infila l’ago nelle arterie
dei donatori di sangue. Un altro ancora lo chiamano Ladro dal giorno in cui lo videro
uscire dal negozio del fioraio con un mazzo di garofani. Non li ha più comprati ma
continuano a chiamarlo Ladro lo stesso. Quanti tipi di perversione intellettuale siamo
capaci di trasformare in normalità ampliando, con sadico piacere, la finestra dei
sinonimi riprovevoli!
A Primù, vecchia sòla! da dove chiami?
Da Bologna.
E aspettate un momento. bone. statevi bone!
A Gì. Gino! mi ascolti?
Si, ti sto a sentire. E' che, ci sono le sorelline. stanotte pàrono pizzicate dal tafàno.
come le baccanti ahahah.
A Gì, sputagli addosso. così intanto che si leccano per ripulirsi, noi possiamo
parlare in santa pace.
Primù, prima di tutto ti devo da dare una notizia. Non è una bella notizia, mi
dispiace. noi lo conoscevamo, ma tu c'eri propio amico. Spartaco se n'è andato.
Dove?
E' i-to, mi capisci?
E' morto?
L'abbiamo accompagnato tre giorni fa.
Come è morto?
Assideramento. Su la spiaggia di Torvajanica. Prima è entrato in acqua e poi s'è
steso su la sabbia. con i tre sotto lo zero.
Chi c'era con lui?
Nessuno, mi dispiace Primù, d'essere stato io a darti la notizia, ma qualcuno te lo
doveva dire: ambasciator non porta pena.
Non ti preoccupare Gì, non è il caso d'averci rimorsi. Se n'è andato come aveva
stabilito lui.
Ci pensava da parecchio?
Non lo so. Però una volta mi disse: quando vedo che non ce la faccio più, me stendo
e me ne vado. Perciò se l'ha fatto vuol dire che era arrivato. E' stato fortunato,
almeno s'è l'è scelta.
E ti pare giusto?
Quello che è giusto non lo so; però mi pare meglio così che ritrovasse sfracellato da
un bastardo de automobilista mbriaco. Lui ha scelto capisci? Sapeva d'aver diritto
ad essere un uomo libero e quel diritto l'ha adoperato come meglio gli è piaciuto:
evviva Spartaco.
Amen, pure se non ti capisco. Comunque, in confidenza, me lo potresti dire che ci
aveva, che non andava, quel ragazzo? Era un bel ragazzo, stava bene di famiglia, le
donne gli davano retta. insomma non je mancava gnente: che cazzo je frullava per la
testa?
Eh, che je frullava... non lo so, di sicuro. Ti posso dire solo una cosa: la merda per
lui era oro e l'oro merda.
Me cojioni! Era propio arivato de cottura.
Gino, ho finito i gettoni e non ti ho ancora chiesto quello che mi serviva. Vado a
rimediarne n'artri pò e ti richiamo.
Va bene, ti aspetto.
Era proprio arrivato di cottura. Si, quando cadi nel precipizio vuol dire che hai
camminato per arrivarci e vuol dire che la strada sulla quale ti trascinavi, portava solo
lì e in nessun altro luogo: s'inabissò nel tutto quantificando il nulla.
Spartaco, avresti voluto dare la tua vita per il bene di tutti e invece hai dovuto
rifiutarla per salvarti da tutti. Gino e tutti gli altri pensavano che io e te fossimo
amici; invece tu non avevi amici. Come si fa ad essere amico di uno che vede il
mondo al contrario e quando parla non lo capisce nemmeno lo spirito santo?
Per quello che mi riguarda io ti volevo bene a livello fisico perché tu non ti incazzavi
mai, non alzavi la voce, non ti offendevi, non giudicavi e soprattutto non ti
proponevi: io qua, io là, io dico, io faccio, come ci succede un po’ a tutti. Tu c'eri
solamente, semplicemente e, a starti vicino, si respirava un sensazione di benessere
fisico.
Non mi ricordo quante volte abbiamo parlato noi due. A pensarci bene, mi sembra
che siano state un paio di volte soltanto. Una, quando ci siamo conosciuti in via
Frattina davanti alla vetrina di Bulgari e tu ti tappavi il naso con il pollice e il
mignolo mentre muovevi ritmicamente le altre tre dita come se stessi contando, ti
ricordi? Io volevo comprare un anellino per Rosina e, anche sapendo bene che non
sarei mai entrato in quel negozio, mi ero fermato davanti alla vetrina per dare
un'occhiata. Tu, rivolto al riflesso nello specchio dicesti: non la senti?
Che?
La puzza di merda.
No.
Viene da lì dentro, ti va un caffè?
Stavo per dirti di no; ma feci lo sbaglio di guardarti negli occhi e capii che non eri
pazzo: Se paghi tu.
Attraversammo la via e ci infilammo nella calca del caffè Greco.
Una volta qui si beveva un buon caffè.
E adesso?
Ci si viene solo per poterlo raccontare e proporsi alla vita come gemme bagnate dal
riflesso della fama di morti. E' un circolo vizioso: i morti continuano a seppellire
morti.
Vieni spesso qui?
Tutti i giorni.
Perché?
Se mai dovesse accadere il miracolo che qualcuno resusciti, voglio essere presente.
Che succede se uno resuscita.
Succede che nessuno se ne accorgerebbe, ma io si.
Il fatto straordinario era che ti stavo a sentire. Io che non riuscivo a sopportare
neanche quelli che capivo, restavo vicino a te che mi parlavi di niente senza il benché
minimo sospetto che tu volessi burlarti di me.
Hai mai sentito parlare di un luogo dove i padroni della cultura prolificano
facendosi le seghe su quello che è stato, sognando quello che sarà ed ignorando
quello che è?
Per la verità non riesco neppure a capire di cosa tu stia parlando.
Sono tre mesi che non parlo con qualcuno.
Perché?
So che nessuno mi capisce.
Come lo sai?
A nessuno interessa quello che dico.
Neanche io ti capisco, però sto meglio adesso che con quelli che capisco.
E' una questione somatica.
Che vor dì?
Vuol dire che tu sei ancora vivo.
Tutti quest'altri sarebbero morti?
Proprio così.
Ma l'hai guardati bene? Hai visto che vestiti? E l'oro che ci hanno addosso. E come
profumano. E i denti oh! Ce ne fosse uno che non ce l'ha bianchi e belli raggruppati
come chicchi d'uva.
Proprio così, quello che vedi è la cassa da morto, tante belle casse da morto di
prima classe, automatizzate. Se tu domandassi loro dove vanno, ti risponderebbero,
chi sta per andare in banca, chi in video, chi all'atelier, chi a Milano, chi in
America: vanno di qua e di là ma sempre all'interno del perimetro della gabbia;
nessuno di loro risponderebbe che sta cercando la strada per uscire dalla gabbia e
vuoi sapere perché? Perché non la vedono e soprattutto non sentono il profumo che
filtra tra le sbarre, il profumo che viene da di là. Che stai guardando?
Hai fatto segno di là.
Ma no, di là, dall'esterno della gabbia.
Ah, e che c'è all'esterno della gabbia?
Il buio e la libertà.
E il profumo?
E' il profumo della libertà.
E il buio?
E' la condizione indispensabile per essere libero. Dal buio puoi vedere chi si muove
nella luce e puoi vedere che chi si muove nella luce è talmente abbagliato dalla luce
da non riuscire a distinguere i soggetti dalle ombre; e così la sua principale
occupazione diventa quella di rincorrere le ombre: un'ombra dietro l'altra, sempre
girando attorno, dentro al confine della gabbia. Costoro vivono nel bagliore della
luce e sono solo cacciatori di ombre, sono condannati alla gabbia, sono morti.
Noi invece no? Non facciamo anche noi quello che fanno loro, non stiamo in mezzo a
loro?
Guarda bene e ti renderai conto che non ci cagano per niente; non ci vedono. Questo
vuol dire che noi stiamo dall'altra parte, nel buio. Loro vagano e noi li guardiamo;
loro cicaleggiano e noi ragioniamo. Non siamo come loro: noi siamo vivi.
Levami una curiosità: pure io ero morto prima d'incontrare te?
Tu dove te ne andavi?
Volevo comprare un anellino per Rosina.
E poi?
In giro, perché?
Non avevi un posto preciso dove dovevi andare, un lavoro da fare, insomma un
confine?
No.
Te ne andavi in giro e basta?
Si, me ne andavo in giro e basta.
Ce l'hai un lavoro?
No.
Perché?
Io ciò la sensazione che sarebbe come dire al vento: da oggi tu soffierai solo qui
sulla via Frattina tra il Corso e piazza de Spagna.
E come campi?
Con poco.
Ti basta?
Mi basta.
Non vorresti di più?
Certo che si, però mi basta il poco e al più non ci penso per niente.
Ce l'hai l'automobile?
No.
Non la vorresti?
Per farci che?
Per poterti muovere.
Io mi muovo lo stesso.
Con la macchina faresti prima e viaggeresti più comodo.
Primo punto: se dovessi arrivare prima partirei più presto e arriverei lo stesso.
Punto secondo: io viaggio più comodo quando è qualcun altro a doversi
preoccupare di guidare. Perciò a me la macchina non mi serve proprio.
Ti mettesti a ridere, ricordi? Poi mi dicesti: ho sentito il profumo, perciò t'ho invitato
a prendere il caffè.
Che profumo?
Di libertà. Lo sentivo avvicinarsi e quando ti sei fermato davanti dalla vetrina anche
il profumo è rimasto là; perciò la risposta è facile: tu non eri morto prima
d'incontrarmi.
Lo sai? Non mi riconsola per niente il fatto che, fra tutta questa calca , noi due,
secondo te, saremmo gli unici vivi.
Non sono io a dirlo.
E chi allora?
La ragione.
La tua
Anche la tua.
Proprio no. Io ti sono stato a sentire e ci sono stato bene però, per quanto riguarda i
vivi e i morti, non sono riuscito a capire un fico secco; perciò lascia in pace la mia
ragione che io non sono proprio in grado di dire che ragiono.
Allora mi mostrasti un anellino nel palmo della tua mano, un anellino di ottone con
una pietruzza verde incastonata. Contrattammo una mezzora, tra l'indifferenza
generale dei morti vaganti nel caffè Greco e alla fine me lo cedesti per
cinquecentolire. Rosina pianse quando glielo infilai al dito e volle fare subito
all'amore sotto l'archetto di Ponte Mollo.
Dopo di quella volta ci siamo rivisti tante altre volte e io ti ho fatto conoscere il mio
giro e tu hai ballato e chiavato con le ragazze e hai cantato e ti sei ubriacato con i
ragazzi; però non abbiamo più parlato fino a quel giorno in cui ci incontrammo per
caso a piazza Navona e tu mi domandasti a bruciapelo: quando parti?
Che ne sai che ho voglia di partire? volevo chiederti; invece ti risposi, prendendo la
decisione su due piedi: domenica.
E' il giorno migliore per partire. Di domenica gli angeli hanno chiesto al Padreterno
il giorno libero e abbandonano le chiese e se ne vanno in giro sulle strade, sui treni,
sulle navi, sugli aeroplani; se tieni gli occhi chiusi e ti affidi al naso ne potrai
riconoscere parecchi. Poi abbassasti la voce, quasi un alito di ponentino: gli angeli
non sopportano l'ipocrisia. Ti accendesti una sigaretta.
Ah Spartaco, tu ce l'hai un ideale?
Non lo so Primù, mi sento un esiliato. Guardo il mondo e mi piace solo quello che è
rimasto selvatico; guardo le persone e... non lo so che darei per sentirmi come loro,
uguale a loro. Mi specchio e cerco di convincermi: guardati, sei uguale a tutti gli
altri. Poi esco, li sento ragionare, li vedo come si comportano e mi dico: Dio mio
non li capisco, Dio mio questo non è il mio pianeta, Dio mio dove sono andato a
capitare.
Ti accendesti un'altra sigaretta, forse per darmi il modo di dire qualcosa; ma io avevo
il cuore gonfio e la lingua asciutta. Buttasti la cicca e, con le mani in tasca, guardando
la colomba in cima all'obelisco, dicesti: quando vedo che non ce la faccio più, me
stendo e me ne vado.
Questo sette mesi fa. Mi dispiace Spartaco, non riesco a versare neanche una lacrima
sul tuo ricordo anzi, ho addosso come una sensazione di compiacimento; è come se
sentissi cantare: bentornato a casa Spartaco, siamo stati tristi senza di te.
Giovane forte sicuro senza negli occhi il futuro
La vita sua sulla strada amici in ogni contrada
Spesso partivano in tanti appresso a voci invitanti
Voci che nascono dentro voci che sempre fan centro
E sulla strada il tramonto rapido come l'incanto
dava respiro alla notte complice d'intime lotte
E l'alba grigia veniva spesso a svegliarli alla riva
d'un mare placido e caldo d'un prato verde smeraldo.
Ospiti della natura al rito di mungitura
coglievano agili mani vergine frutta dai rami
Era la strada e gli amici erano i giorni felici
d'una perpetua gaiezza uomini in fanciullezza
Figli di sperma e calore ma anche figli del cuore
nel mondo come gitanti sempre guardavano avanti
Finché non venne il terrore divise armi torpore
allineati e inquadrati servi chiamati soldati
Le madri fiere e orgogliose fascino delle divise
senza intelletto e consiglio vendono il corpo del figlio
senza conoscerne il cuore donne d'azione e d'onore
sognano i fasti di corte chiamando vita la morte
E venne il tempo per tutti a chiedere conto dei frutti
dati con somma abbondanza negli anni della speranza
E venne il mondo a cercarli con le promesse di balli
su fiumi d'oro e su mari dolci a vedere ma amari
La mano tesa a saluto l'ultimo gesto goduto
l'ultima immagine pura nell'aria e nella natura
Ora soltanto ricordi niente più amici né accordi
Vede le corse affannose su brevi strade oleose
sente lo schianto sui muri fragili ossa di duri
Spinge al delirio il denaro pagano il prezzo più caro
Tutto ricorda e di tutto confronta il bello ed il brutto
Cerca una via da seguire l'unica saggia morire
Bruciò vestiti e danari sui denti delle comari
Un perizoma sui fianchi per la delizia dei bianchi
La bicicletta volava frusciando il mozzo girava
lungo la strada di Roma l'asino porta la soma
anche per chi non ha voce cristo inchiodato alla croce
Sputi ed insulti pesanti da auto e moto sfreccianti
Ossidi fumo rumori sputi da gente e motori
Niente però lo toccava solo la schiena mostrava
stretti e cocenti fra i denti gli affetti ed i sentimenti
lucente fissa lo sguardo l'intimo finale traguardo
Roma che al sole si culla mai si stupisce di nulla
Roma che ha visto ogni uguale chiamato ora bene ora male
Volava lento un gabbiano sul fiume pigro e lontano
rintocchi d'una campana un gracidare di rana
una carrozza un cavallo un prete nero uno giallo
sirene governative facce di neri passive
Roma che offre di tutto tutto e l'opposto di tutto
Dio abbracciato al denaro smoking al camposantaro
fiori di cera e d'asfalto cacca di cane e di guanto
rumore appeso a rumore silenzio assurdo per ore
ladri vestiti da onesti chi più onorato di questi?
Ora il cronista si arresta l'epilogo ora s'appresta
e lascia voce a chi c'era quel giorno di primavera:
Via Flaminia Corso Francia Via del Corso Colosseo
quando giunse a piazza Esedra già cresciuto era un corteo
ed a Piazza Cinquecento già schierati i poliziotti
fissi come manichini dietro scudi trasparenti
Girò attorno alla fontana per tre volte lentamente
poi deciso alzò la testa e guidò la bicicletta
contro la muraglia umana grigia immobile compatta
e non vide il manganello cadde a terra sulla fronte
cadde nudo cadde bello come stella nella notte
S'ora narro questa storia non crediate abbia pretesa
d'insegnare qualche cosa di stupire o poetare
Io la narro solamente perché è vera perché è stata
perché c'ero anch'io con lui c'ero sempre ovunque andava
C'ero quando bestemmiava s'abbruttiva si sbronzava
c'ero quando la mattina vomitando rientrava
e sbatteva con la fronte contro gli alberi per strada
e gridava sempre forte sfide al ghigno della morte
Fu perciò che lo seguii all'epilogo scontato
e lo vidi andare in guerra senza essere un soldato
senza armi né divisa senza scopo dichiarato
Vidi il corpo calpestato vidi il sangue raggrumato
quando il fumo si disperse quando il gas si fu diradato
Corsi primo a lui vicino corsi e non ne fui sorpreso
che sereno era il suo viso riposato il suo sorriso.
Ho trovato i gettoni e ritelefono a Gino.
Pronto. risponde al primo squillo.
Allora senti: come si chiama quel posto dove sta la colonia di don Cettino?
Sto momento non me lo ricordo. Aspetta che lo chiedo a Ninfetto. Ninfetto! Ninfeee!
Cià la bocca occupata sto finocchio. Ninfettooo! Come... quel posto ndove… er
bordello de... Primù, ci sei?
No, ci faccio.
Dai non te sturbà. Allora, il posto è San Candido e p'arivarci devi da cambiare a
Fortezza.
Ti ringrazio Gì, ci sentiamo.
A Primù, quand'è che ritorni? Da quando hai preso il volo, qui, con questa manica di
stronzi non si combina più niente. Pensa che non sono stati capaci d'nventarsi
neanche una posizione nuova. Siamo rimasti a la doppia rota sospesa. Sono sette
mesi, non se ne pò più! Ci vorebbe qualcosa di nuovo, ti pare?
A Gì, io un'idea ce l'avrei.
Ah si, quale? Dimmi dimmi.
Provate il cerchio egiziano.
E che vor dì? come si fa?
Non hai mai visto le pitture degli egiziani antichi?
E no che non le ho viste, stiamo a Roma, mica in Egitto.
Concesso. allora ascolta: i maschi si spogliano e si mettono in cerchio uno dietro
l'altro.
E poi?
Poi, quello di dietro glielo infila a quello davanti in modo che tutti rimangano
inchiavardati. Nel frattempo le femmine.
A Primù! ma anvedi d'annà affanc.
Non posso farne a meno: lo schiaffo della mia risata si stampa sui marmorei androni
deserti della stazione. A trecento km di distanza i miei vecchi compagnoni vivono.
Che vorrà dire vivere? Quando hai tolto l'amarume della bocca al risveglio, la
sensazione d'una debolezza cronica, la mezza giornata per risentirsi accettabili. forse
è proprio questo il vivere: rifiutarsi. A Primù, mi fece Gino quando gli dissi che m'ero
rotto e che me ne sarei andato in giro per qualche tempo, chi cià un'attività campa,
l’artri vivono. I filosofi si masturbano il cervello per riempire tomi in modo da
spiegare ciò che i reietti sanno dire con sei parole. A trecento km di distanza i miei
amici disperati si stanno scaldando con l'unico combustibile che conoscono: il calore
dei loro corpi. A qualche centinaio di metri ci saranno altri disperati. amici che non
conosco. anche loro staranno. vivendo. A cinque metri da me c'è una ragazza fasciata
in un sacco a pelo. Dormirà? forse è morta. ora controllo. ma poi che me ne frega?
Potrei essere io. mi avvicino, respira, è serena. le infilo diecimila lire sotto i capelli,
tra il collo e la spalla. Appena mi allontano so di aver vissuto. Quindici anni da
vitaccione li scambierei subito con un altro di questi attimi da. coglione.
Nulla ci resta ormai, neanche l’illusione
che un po’ di questa terra sia anche nostra,
un po’ di questo cielo di quest’acqua.
Noi siamo masse e nulla ci appartiene.
Tutto è di pochi e tutto non ha senso.
Eppure sento, ovunque, carmi di lode,
fragranze di incensi, preci, a Dei fatiscenti,
nati da coito umano. Moh!
Ti rubano la vita e tu li ossequi.
Nulla ci resta ormai di questo dono Divino,
di questa casa vitale,
di questo sublime mondo animale.
Soltanto l’emozione resta, l’emozione inespressa.
Essa ti fa individuo fra la massa e,
l’individuo,
una giorno si ribella:
è il filo di speranza che si sgroviglia nel tempo
in attesa di una mano
tesa ad afferrarlo.
Ancora quindici minuti per il treno. Decido di aspettare nel purgatorio della sala di
attesa di seconda classe. Poche anime in pena attendono rassegnate il loro treno.
Nessuno di loro va verso un paradiso. Sono tristi oscuri anonimi. In questi tempi solo
i miserabili e i dannati attendono le coincidenze nelle sale d'aspetto di seconda classe.
Un tonfo. Un vecchio addormentato è caduto dalla poltroncina di fòrmica. Due o tre
insonnoliti samaritani si precipitano su di lui. Respira. continua a dormire. E' crollato,
il vecchio. Sa che non ne vale la pena. Ha le mani nere e forse l'ha già vista l'Assurda,
in fondo alle belghe miniere di carbone. e forse è bella. desiderabile.
Quattro vie si incontrano
attorno ad un lampione
e si perdono nella notte.
Sceglie o si sceglie il destino?

IL DESTINO

All'alba del primo giorno era già tutto compiuto:


quale destino in questo tragico esilio?

Porc! Bobocù attacca una sequela di bestemmie da fare invidia all'aggettivazione


inestinguibile di Sanantonio commissario parigino. Io mi affido alle giaculatorie e, ad
ogni bestemmia sua, ne sgancio appresso una silenziosamente. Se è vero che Dio è
nei cuori, non ha bisogno delle orecchie per sentire.
Porcacc.
Ave ...
Mannaggia quel.
… sia benedetto.
Maremm.
Caro e dolce buon...
Quando arriveranno a destinazione, gli scribi angelici dovranno pur tenerne conto.
Conosceranno certamente la partita doppia. Mentre Bobocù svaria a più non posso e
pesca a bocca piena nel dizionario della parolaccia, io rimango allacciato alle quattro
o cinque giaculatorie sopravvissute alla patina obliante delle delusioni accumulate.
Non è la varietà che conta.
Che possano farci i salami con le palle di.
Lo stoppo: Si può sapere che succede?
Succede che abbiamo bucato, porc.
Per tanto poco?!
Tanto poco un paio di ciùfoli! Non abbiamo la ruota di scorta!
Irascibile com'è, riesco a comprendere appieno tutta l'eloquenza della sua delusione.
Stiamo a Valdaora, un buco deprimente. Mi faccio cinquanta passi indietro e piazzo il
triangolo. Non ho il tempo di tornare al 105TC che mi si affianca una polo targata
BZ. Scompare uno dei finestrini e ti vedo due bellocce tipo tirolese standard. Voglia
di gelato alla panna e tante tante leccate a lingua sciolta.
Ciaaaaaooo serve aiuto?
Se è l'angelo custode a mandarle, gli accenderò un cero d'Amburgo di sette chili. Se è
il diavolo, beh correrò il rischio: Si ssi ssi siii e infilo la testa nel carrettino del
gelataio. Mmmhh che profumo! Meraviglioso profumo di donna. Passionaccia
atavica. Il calore della femmina mi risucchia mi brucia mi annulla. Non c'è maschio
che può vantare la potenza di attrazione del calore della femmina. Questo è il diavolo;
ma le piazzo lo stesso un sorriso a diecimila volt. E lei? Ah come ci sta! Ho le labbra
nella maionese e la lingua nel burro fragolato. Mi ritrovo all'interno della Polo con la
testa sul volante e le gambe fuori dal finestrino. Erano in due. il nitrito di Bobocù mi
dice dov'è finita l'altra.
Che vita questa vita! Passi dal buio alla luce in un toc di cuore. Un attimo fa eravamo
incazzati neri. Chi io? Sei scemo! Lei abbassa lo schienale e s'adagia. Schiuma di
birra che scivola lungo il bicchiere. Ho voglia di tette. Ho succhiato il latte dalle
mammelle io, mica dal biberon. Lingua di serpente, scivolo sul ramo e mi avvicino al
frutto. Ne ho asciugate due di balie, io. La terza è fuggita via dopo aver visto la mia
dentatura. Poverina, non sa quello che si è persa. Io, a tre anni sapevo già adoperare i
dentini da artista. E coi giochini di lingua poi! La stupida si spaventò e quello
svezzamento anticipato m'ha lasciato una voglia di tetta che può essere compresa solo
da chi conosce la paranoia da poltrona presidenziale. La pupa tirolese-standard mi
soffia un singhiozzo da fisarmonica in bolero, un sospiro controllato da elettrizzare i
peli: questa qua mi risucchia anche i capelli. E mi schizzano via le scarpe nello
spasmo d'uno stiramento di garretti.
Lieben, bitte lieben mi stai schiacciando. Che diavolo. Mi ci sono addormentato
sopra. E' già buio. Una cigliata di fari me la rivela più desiderabile che mai: Scusami
amore mio. Amore, e mi sorprendo a pensare alla facilità con la quale questa parola ti
sfiora le labbra quando non hai da dividere altro all'infuori della pelle.
Come ti chiami?
Edelweiss e tu?
Alpinista. Ridiamo.
Mia madre mi chiamava la sua piccola Edelweiss.
E' morta?
No, non andiamo più d’accordo. Per il mio lavoro.
?
Accolgo turisti per un grande albergo.
Anche la tua amica?
Si, siamo in sei.
Comincio a capire. D'altronde una donna che ti apre la porta di casa senza neanche
domandarti da quanto tempo non ti lavi. quelle che te la danno a prima vista soltanto
per passione, puoi incontrarle in un film o sulla carta stampata. E' anche logico. Che
gusto ci prova un raccontafavole ad inventarsi una donna che già tutti conoscono? E
che gusto ci provi tu a vedere Sharon Stone che scimmiotta tua moglie? Perciò se
dovessi mai incontrarne una, come la piccola Edelweiss, fatti prima i conti in tasca:
chi t'asciuga le borse mira alla borsa. Che ore sono? Le undici e mezza. Addio
pensione, per stanotte. Come se ne va veloce il tempo quando godi eh? Ha ragione il
Gianni si, proprio quello del M.A.I.(Monopolio Auto Italiane) quando dice di non
essersene accorto. Di che? Di essere diventato vecchio, diavolo! Invece mio nonno, i
suoi novant'anni se li è visti crescere sulla pelle goccia dopo goccia. Uno stillicidio di
sofferenze. A ottantacinque anni faceva il conto delle avversità che aveva attraversato
e ti raccontava la sua vita mese per mese, facile facile così come tua madre si rifà il
conto della spesa. Un pezzo d'uomo con il culo stretto mio nonno. Quando la sua
prima moglie si infilò nel letto di un altro, lui le mise una corda al collo. Se non fosse
sopravvenuta gente a levargliela dalle mani l'avrebbe buttata a penzolare dalla
finestra. Desistette dal proposito, solo a condizione che non gli si presentasse più
davanti agli occhi. Vaglielo a dire a quei moderni dei mariti moderni: Si cara, certo
cara, fattelo mettere dove più ti piace cara. Io saprò aspettarti cara. Mah! Forse la
colpa è proprio del sesso in se stesso. è diventato troppo pericoloso, con tutte le
eiaculatio precox (cazzi mosci) tirati su a forza di porcherie omogeneizzate e
liofilizzate. Uno, piuttosto che correre il rischio di perdersi una goccia e vedersi
aumentare le bocche da sfamare, i pediatri da omaggiare, i corpi da vestire, gli sport
da sovvenzionare, con i tempi che corrono, preferisce sopportare nel suo letto la
presenza di un professionista; quello almeno, è sicuro, si è fatto sterilizzare.
Ma all'epoca dei fagioli, delle cipolle, degli agli era tutta un'altra musica. Puzzava si,
ma si reggeva teso e tosto come il mattarello: legno di rovere a prova di sfregamento.
E ciascuno scarufava la sua passera senza il timore di perdersi la goccia soprattutto
perché, più delle bocche da sfamare, si teneva conto delle braccia da sfruttare e
dell'indice di sopravvivenza. I deboli e gli ammalati ritornavano presto presto nel
ciclo vitale e nessuno conosceva la cultura dell'arricchimento sull'espianto e sulla
sofferenza.
Edelweiss?
Mmm mmhh. Ora che non le sto più addosso, si è messa comoda la piccola e si sta
arrotando i denti con il ciucciotto supergigante. Bocca di caucciù più calda d'una
gomma di formula uno. Fellatio giroscopica tridimensionale. E' tecnica la fanciulla, è
artistica! Passa dal gorgheggio parigino al vibrafono della kabìla con una facilità
sconcertante. oh oh oh ma questa è la tarantella libanese! il raglio del somaro
andaluso! la giravolta fiorentina! il saltinbocca cosacco! il salto della muraglia
cinese! Non è merce corrente questa. E' andata a scuola la bambola. Ha frequentato
l'università della libidine. Brava ragazza ottimi professori. Non ha sprecato niente. Mi
ritrovo pulito come un micetto slinguato da mamma gatta.
Beh amico, non so quel che faresti tu, ma io me la bacio questa bocca vampira, prima
che perda del tutto il mio sapore afrodisiaco. Me la pasturo piano piano lembo lembo
dente dente labbra labbra lingua lingua finché, un paio di bestemmie da spiccare le
stelle da questo dolomitico cielo metallizzato, mi strappano dall'alcova mobile e dallo
statico giuoco.
Bobocù, che succede?
Questa stronza, prima ha fatto tutto quello che voleva lei e adesso che chiedo una
cosa io, gnente! Una così, che rifiuta a mamma d'agnello. Roba dell'altro mondo!
Sempre poetico il mio amico. La grazia di un motore smarmittato. Faccio l'occhiolino
alla piccola Edelweiss: ricevuto all right.
Senti Rossaccio: finché ci sarò io non permetterò che i miei amici restino con la
voglia.
Che vuoi dire?
Se il problema è un buco, di chi è, è, no? Sali qui che io vado a fare due chiacchiere
con quell'altra.
Ma questa lo prende?
Come un coltello nel burro.
Sicuro? Non farmi scherzi che sono incavolato nero.
Stammi a sentire, malefico. La femmina che mi ha negato la culla dell’artista, non
l'ho ancora incontrata e, se ti dico: va!, tu vai e intingi, ricordando la massima “una
parola dolce è l'olio che fa girare anche i cardini arrugginiti”.
E adesso, a noi due, recalcitrante bimba. Il fresco di questa notte dolomitica mi
tonifica. Sono pronto al duello, tigrotta. La pupa si è accesa una sigaretta. Non si è
rivestita. E' là, adagiata sugli sdraiabili del 105TC, come perla nella mano del
pescatore. Cazzo, amico! E' anche meglio di Edelweiss. A questa qua, la sensualità
non gliela misuri col termometro. Me le avvicino come Cleopatra all'aspide; ma più
del mio timor poté la voglia.
Ciao, problemi? Non mi risponde. Mi chiamo Primultimo.
E' un dogma?
No, è vero; come questo simpatico amico. e glielo piazzo, gonfio e tosto, a due
centimetri dal naso.
Per essere passato nelle paludi di Edelweiss, è piuttosto in forma.
Oh, lei è stata appena un antipasto. Il piatto forte eri tu, ma sei sparita.
Eri entrato dalla parte sbagliata.
Ora non più, come ti chiami?
Celia.
Come?
Mio padre era affascinato dal mistero degli Etruschi. Celia è un nome etrusco. Ho
un fratello che si chiama Aulo e un'altra sorella che si chiama Tarèa.
Strano, per un altoatesino.
Lui era tedesco, di Monaco.
La sigaretta tra le sue dita non la sopporto più: mi dai un tiro? e la butto dal
finestrino.
Ora siamo pelle sulla pelle ma sento di doverla far parlare ancora.
Io sono Falisco. Adesso non ci conosce nessuno ma prima, al tempo degli Etruschi, i
Falisci, Surreni, erano famosi per la loro cultura ed organizzazione sociale. Infatti il
famoso tempio di Apollo sul monte Soratte era una istituzione Falisca e le famose
tavole del Diritto Romano le avevamo scritte noi. Purtroppo gli uomini di cultura, in
ogni epoca, hanno sempre tutti commesso lo stesso errore: sono sempre stati convinti
che le società seguano le idee mentre invece le idee restano ideali e la loro
applicazione oggettiva è dettata dal tipo di impugnatura delle else delle spade. E
così quei banditi e razziatori dei Romani, prima ci hanno mandato i loro figli perché
li educassimo nella scrittura e nelle arti e poi ci hanno rubato le tavole del Diritto e
cancellato la dea Sur, la Splendente, la versione femminile di Apollo, il Sole. Il
Diritto Falisco lo hanno tramutato in Diritto Romano e il tempio di Apollo-Sur, sul
monte Soratte, venerato da tutti i popoli Italici, lo hanno dedicato al loro ingordo
Iupiter.
La storia ci insegna che le grandi nazioni sono sempre state figlie di banditi e
prostitute, gente con il pelo sullo stomaco che ha sempre considerato le leggi
strumenti personali per il controllo della collettività. Però, per amore della verità,
bisogna anche dire che i Romani ci hanno ripagati del furto perpetrato a nostro
danno; infatti ci hanno tutti iscritti nella classe Patrizia e, in sovrappiù, ci hanno
sovvenzionato la costruzione di una nuova città, Falerii Novi, in un luogo più salubre
e praticabile. Eppure, le successive generazioni preferirono ritornare nella primitiva
Falerii Veteres attualmente chiamata Civita Castellana. Il motivo va forse ricercato
nei secoli tragici delle invasioni barbariche e in quelli bui del medioevo. La Falerii
primitiva, fondata su uno sperone di tufo isolato da due profondi burroni, era
praticamente inespugnabile.
Chiusa qui la parentesi Falerii, ritorniamo a Roma che non era ancora una città;
non c'erano manovali muratori scalpellini geometri architetti. Roma era una putrida
palude attorno a sette colline, un luogo da evitare, circondato da terre fertili e da
popoli laboriosi e ricchi: Equi Rutuli Volsci Albani Sabini Fescennini Falisci.
E gli Etruschi?
Gli Etruschi!? Sono una favola inventata da Erodoto ed ampliata da Tito Livio. Non
è mai stato trovato alcun insediamento urbano attribuibile ai fantomatici Etruschi e
la supposta federazione di dodici città (12 i segni dello zodiaco, 12 i mesi, 12 le tribù
di Israele, 12 gli apostoli, 12 i corpi celesti del sistema solare, 12X2 il giorno, 12X30
il cerchio, 12X12 il centoquarantaquattro apolatittico, duemila12 la fine di un’era).
La ricorrenza di questo 12 in questioni fondamentali non ti invita ad alcuna
riflessione? Dicevo, la supposta federazione di 12 città è stata ipotizzata a causa di
necropoli piene di figure e reperti ionico-ellenici. Gli Etruschi, come popolo…
fantasia! Quello che la logica lascia supporre è che si sia trattato di una specie di
esercito di una multinazionale che schiavizzava la popolazione autoctona per
l’estrazione di una materia prima fondamentale: il ferro. Un esercito di mercenari,
con prostitute al seguito, che si muoveva nel territorio alloggiando in tende circolari,
tipo quelle delle popolazioni nomadi del centro Asia, se teniamo presente la forma
dei tumuli della necropoli di Cerveteri; e le 12 supposte città erano i luoghi
predisposti per l’accampamento di routine.
Ma torniamo a quella palude dalla quale si alzavano sette colline, quel luogo da
evitare.
Era chiamato Ruma e in villanoviano significa: luogo infetto. Posto ideale per
fuoriusciti, briganti, banditi, razziatori, disadattati.
E così su due di quelle sette colline, man mano vennero a formarsi due bande: la
banda del Palatino e quella dell'Aventino. Razziavano il frumento dei Volsci, il vino
degli Albani, le greggi dei Sabini. Razziavano e si ritiravano a gozzovigliare al
sicuro sui loro colli in mezzo alla palude impenetrabile. Si può immaginare che non
sempre i colpi riuscissero e che le bande facessero bottino contemporaneamente. In
quei frangenti invece che spartire da buoni vicini, si azzuffavano come cani e gatti
finché, per non sterminarsi a vicenda, fecero di necessità virtù e obbligarono i
caporioni al duello per unificare le due bande.
Ti sto dando la versione adatta alla cultura che ha dato forma all’allineamento dei
tuoi neuroni perché se ti dicessi che il Fondatore di Roma è lo stesso che ha fondato
l’Egitto, impazziresti.
Dunque, Romolo non ne voleva sapere del duello. Egli era più un organizzatore che
un esecutore; era istruito, era un ex sacerdote Falisco esiliato da Falerii per via di
una mezza storia di eresia. Le rivalità, nei conglomerati sociali, ci sono sempre state
e l'accusa di eresia era piucchealtro la scusa per togliersi dalle palle uno, talmente
affamato di passera, da non avere rispetto neanche per le vergini aspiranti
sacerdotesse. Si era arrivati al punto che, per dieci anni, non era più stata
consacrata una sacerdotessa e così i Falisci, popolo civile e di cultura che aborriva
la pena di morte e gli scandali pubblici, accusò il responsabile di eresia perché
rifiutava di tagliarsi la barba e lo esiliò.
La vera motivazione, però, diffusa innocentemente dalle immancabili pettegole, fece
presto il giro del vicinato e, nessuna popolazione attorno, volle quel trapanatore di
vergini fuori l'uscio di casa: così al povero Romolo non restò che dirigersi verso
Ruma e stabilirsi nel lupanare situato, appunto, sul Palatino. La sua cultura e la sua
capacità di organizzazione procurarono ben presto molto bottino con il minimo
rischio ed automaticamente la sua autorità si affermò sul quel gruppo. Remo invece
era fatto di un'altra pasta. Era nato nel lupanare sul Palatino, figlio di una di quelle
lerce baldracche e di chissà quanti altrettanto lerci briganti.
(Lerce-lerci, per non dimenticare l'epoca della quale si parla e il luogo di cui si parla.
L'autore descrive. I suoi aggettivi esplicano, non qualificano. I suoi personaggi sono
come gli si mostrano ed egli li descrive come sono: tali e quali. Essi sono ciascuno un
aspetto della vita, e tutti insieme fanno la vita. Per questo l'autore non può avere
preferenze o disprezzi: inevitabilmente egli influirebbe sul carattere del personaggio
che diverrebbe un'altra persona. L'autore diverrebbe il mistificatore della sua creatura,
il traditore della sua opera. L'autore è il Dio del suo mondo e la sua creazione può
esistere soltanto in funzione dell'autonomia. Ogni intervento del creatore teso a
correggere ciò che non gli aggrada, lo imprigionerebbe in una ragnatela inestricabile.
Egli diverrebbe schiavo della sua creazione, e la sua creazione, indolente appendice
in perenne attesa di interventi straordinari. Un creatore di questo tipo non sarebbe un
Dio ma un povero scriteriato, un masochista sconsiderato. Tale non mi considero,
perciò leggere lercio per quel che significa e non per quel che potrebbe significare).
Nato e cresciuto in un simile luogo e tra simile gente, che Remo sapesse parlare e
camminare a due zampe era già un miracolo; figurati perciò che razza di psicologia
muovesse le sue azioni. Infatti a dieci anni, stufo di sentirsi ripetere “filie lupae!”
(lupa voleva appunto dire puttana, baldracca, prostituta) approfittando di una piena
del Tevere, con una scusa portò la madre nella palude, la affogò e la affidò al
deflusso, facendo contenti i pesci in quel di Ostia che non si chiamava ancora Ostia.
E come si chiamava?
Non lo so, nessuno ci era mai andato e tornato indietro a riferire.
Ma un nome ce l'avrà pur avuto!
Va bene, diciamo che si chiamasse Ostregheta, te piase?
Dunque il corpo della ex lupa ed ex madre ingrassò i pesci in quel di Ostregheta, ma
i bruti del Palatino non apprezzarono il fatto quanto i pesci di Ostregheta. Quella
femmina era stata la, diciamo meno peggio, nel mucchio delle puttane e il piccolo
matricida sfuggì per un pelo all'ira degli uomini infoiati e al linciaggio. Riuscì a
raggiungere l'Aventino tuffandosi in quel tratto di palude che divideva i due colli, lì
dove in seguito, dopo la bonifica, fu costruito il Circo Massimo per le corse dei
cavalli, e si rifugiò nella tana di un tasso, sul dirupo prospiciente il fiume, proprio
laddove adesso sorge la chiesa di santa Sabina.
Il piccolo selvaggio riuscì a sopravvivere e crebbe violento, prepotente e brutale,
diventando tanto forte da potere affrontare ed uccidere tutti gli animali selvaggi
della zona, bufali ed orsi compresi. A quindici anni aveva già una banda tutta sua di
giovani focosi e intrattabili. Stava andando per i venti quanto fu deciso il duello con
Romolo.
Se non conoscessi la storia giurerei che è tutto vero.
Quale storia?
La storia vera: Romolo e Remo erano fratelli.
Beata ingenuità! Certo che erano fratelli, ma per l'immaginario delle loro vittime.
Vivevano nello stesso luogo, erano tutti e due dei capi, facevano tutti e due lo stesso
mestiere. Ce n'era più che a sufficienza perché venissero considerati fratelli; anzi ce
n'era a sufficienza perché venissero dichiarati gemelli.
Io posso anche viaggiare di fantasia però ti racconto la verità che genera il fatto;
mentre invece la storia vera, come la chiami tu, è bugiarda perché racconta il fatto e
come si svolge il fatto, inventandosi il perché del fatto. Questo fa perché altrimenti
non servirebbe a nessuno, poiché all'origine d'un fatto politico c'è sempre o
un'ingiustizia legale o una prepotenza illegale. Il dovere della storia vera è quello di
trasformare l'ingiustizia in legge e la prepotenza in diritto, essendo scritta da penne
asservite (pena la soppressione, e questo dimostra che la cultura è infame) allo
stesso ingiusto e allo stesso prepotente protagonista del fatto, perciò è bugiarda.
Invece la mia storia non deve servire agli interessi di qualcuno ma soltanto aiutare,
chi può e vuole, ad ascoltare la voce insopprimibile dell'onesta ragione. Quindi ciò
che nasce vero è falso e ciò che appare falso è vero.
E' falso che i due fossero fratelli mentre è vero che siano stati due capibanda; è falso
che i due avessero deciso di fondare una città mentre è vero che furono costretti ad
unire le due bande; è falso che trovarono un accordo mentre è vero che si sarebbero
dovuti scontrare in duello; è falso che Remo sia morto per aver offeso la città
nascitura mentre è vero che Remo è morto perché un corpo non può avere due capi.
Se è vero che si sfidarono a duello, come mai ha perso il più forte?
Perché il più forte fa affidamento sulla forza mentre il più debole, conoscendo la
propria debolezza, è costretto a far funzionare il cervello e, se il cervello che si mette
in funzione è quello di un ex sacerdote, il più forte ha già perduto prima di
cominciare.
Perché?
Perché i sacerdoti, conoscendo l'arte dell'affabulazione, sono anche maestri di
inganni e l'inganno prevale su qualsiasi tipo di forza.
Il pelo della tua passerina è più soffice d'una piuma d'oca.
La pelle del tuo glande è più liscia della seta.
Ti desidero.
Io di più. Mi sembra di essere spiata.
Da chi?
Romolo e Remo.
Hai ragione, anch'io ho l'impressione che stiano aleggiandoci intorno. Sarà meglio
farli scontrare in questo benedetto duello e toglierceli dalle scatole.
Si, è meglio.
Scese dunque la sera antecedente l'alba del duello e, poiché la fusione delle due
bande era ormai stata stabilita a prescindere da quell'ultima formalità, si
ritrovarono tutti sul Palatino per la cerimonia, o meglio la festa dell'addio al futuro
perdente. L'idea era stata partorita dal cervello di Romolo, ma sembrò a tutti come
un perpetuarsi di chissà quale antica tradizione: era l'inizio dell'inganno.
Il geniaccio di Romolo aveva partorito l'idea e quindi stabilito che quella sera tutto
fosse permesso a tutti, eccetto tre divieti assoluti:
Primo Divieto: nessuno ardisse bere il vino contenuto di una giara posta al centro
dell'accampamento, poiché era un offerta per il Dio Giano. Il vino in quella giara
era stato misturato con erbe che ne triplicavano la gradazione; ma questo lo
sapevano soltanto Romolo e il suo degno compare Anco Marzio fuoriuscito da Veio
per una storia di truffe nella costruzione di alcune tombe a camera.
Secondo Divieto: fino all'aurora nessuno ardisse uscire dal recinto del villaggio
perché tutta la palude attorno al colle era stata consacrata, per quella notte, alla
ninfa Egeria e alle sue compagne.
Terzo Divieto: nessuno ardisse toccare la vergine custodita in una palafitta eretta
nella palude tra il Palatino e l'Esquilino perché quella vergine era stata consacrata
a Giove. In realtà la millantata vergine era una delle ex aspiranti sacerdotesse
violata da Romolo all'epoca del suo ministero in quel di Falerii. Si dice che la
fanciulla si fosse invaghita del focoso libertino ed avesse abbandonato gli ozi Falisci
per raggiungerlo. Comunque che fosse o non fosse vergine, o che in quella palafitta
ci fosse o non ci fosse qualcuno, non aveva importanza ai fini del compimento
dell'inganno. Bastava l'idea che ci fosse, perché quell'idea sarebbe stata la fune che
avrebbe trainato fin lì l'ignara vittima.
Ora, l'infantile psicologia del selvaggio Remo era schiava di una goduria
irrefrenabile: la conoscenza di un divieto. Tre divieti da infrangere tutti in una volta
fu, per il povero Remo, il massimo della goduria.
Mentre i giovani focosi si spazzolavano le baldracche del lupanare e tutti si
abbandonavano al piacere degli agnelli arrostiti e dei boccali di vino, Remo si avviò
al compimento del suo destino, contento come una pasqua.
Prima, si scolò la giara di vino artefatto, poi scavalcò il recinto e si avviò sul
viottolo che scendeva verso la palude. Era a metà della passerella che conduceva
alla palafitta allorché la prima scossa di vinomoto lo fece vacillare e cadere. Si
aggrappò alle assi di legno, ma la passerella cominciò a girare a girare a girare
finché il vortice divenne talmente intenso da fargli scoppiare la testa. Le mani
agiscono autonomamente in presenza di un mal di testa, anche le mani di Remo
agirono e lasciarono la presa per stringersi attorno alla testa ma non fecero mai in
tempo ad arrivarci. Remo cadde nella palude ed affossò il viso nel fango proprio nel
momento in cui un fiotto di vomito gli usciva dalla gola.
Morì asfissiato con i polmoni pieni del vino rigurgitato e scomparve lentamente nel
liquame palustre. Il tutto si svolse sotto il faccione indifferente della luna piena
d'agosto e lo sguardo viperino di Anco Marzio che riferì a Romolo per filo e per
segno.
Pallida luna,
tra le fronde mosse dall’etereo soffio di Eolo,
tremula occhieggi
e sembra che all’anima tu rivolga il tuo sguardo,
atona voce d’arcano.
Luna, che dici?
Ora che rifletti volti di bambini,
sanguinolente forme mutanti;
ora che di un vagabondo mi rammenti
gli occhi ridenti aperti a contemplare
le onde di un mare docile al capriccio dei venti;
ora che dal buio incombi maestosa
e infondi il sacro timore di Dea
e le ancestrali nenie e gli avi e i regni
e l’ignorante azione venefica delle superstizioni;
ora che Giano proponi,
ghignante bilancino di giustizia;
ora che fremi i miei piedi e le mani
molli,
desiderose di carezze folli,
folle Narciso!
Ora che declini e ti allontani a valle,
luce vitale negli orridi notturni;
ora che, dal rio, mi inviti a visitare gli abissi.
All'alba il prode Romolo, gli omeri cinti da una pelle di lupo appenninico e armato
di un nodoso bastone,( Ercole era già passato per l'antro di Eaco), attendeva a piè
fermo l'arrivo di Remo.
Tutti aspettavano Remo ma Remo non venne né allora né mai. Aspettarono per una
settimana poi qualcuno cominciò a dire che era stato un bel duello; qualcun altro,
che era stato uno scontro terribile; un altro giurava e spergiurava che non si era mai
visto niente di simile sulla faccia della terra e così la fantasia di uno alimentava la
fantasia dell'altro e tutti insieme decisero che Romolo era forte come un dio e
meritava il titolo di re. Nella testa di quei banditi era scesa una scintilla di saggezza:
infatti un re conferiva loro la dignità di popolo.
A questo punto si presentò il problema per eccellenza: difficile se non impossibile,
governare un popolo di soli uomini. Le quattro puttane del lupanare non facevano
testo: per i bruti, non erano donne ma soltanto animali da monta. Divenne
necessario costruire una città e le chiacchiere sulla fine di Remo capitavano a
fagiolo. Con una aggiustatina qui, un'altra là, alla fine venne fuori che Romolo
aveva giustiziato il supposto fratello perché costui aveva osato offendere la nuova
città e così Romolo divenne per tutti Colui che protegge la Città. La scomparsa di
Remo e la saggia politica di astensione dalle ruberie (per un certo tempo disse
Romolo ai suoi, ci servono le femmine, lasciate fare a me e vedrete che fra poco ne
avrete una per ciascuno, e forse meglio), limarono la diffidenza dei vicini a tal punto
che i Sabini, gente semplice, imbevuta di sudore campagnolo, si fecero infinocchiare
tanto da presenziare alla cerimonia del battesimo della nuova città.
Romolo si alzò a parlare: Gente del Palatino, amici Sabini, da questa RUMA per
volere degli Dei è nata una città: il suo nome è ROMA. Una esclamazione di stupore
uscì dalle gole di tutti i presenti. Variando una semplice vocale quel paravento di
Romolo aveva stravolto anche il significato: RU = principio di febbre, RO =
principio di forza, MA = principio di maternità. Quindi RUMA era madre delle
infezioni, ROMA diventava madre dei forti. Forse furono proprio gli Dei a volerla
perché in seguito la storia ha dimostrato che mai nome fu più appropriato.
Non appena Romolo ebbe pronunciato il fatidico nome ROMA, i briganti del
Palatino si avventarono sulle donne Sabine, ne presero una per ciascuno e si
dispersero nella ormai familiare palude lasciando gli ospiti Sabini cornuti e
mazzolati.
Allorché una delegazione dei Sabini si presentò al tempio di Sur per raccontare
l'accaduto e chiedere consiglio, i saggi Falisci (prendendo al volo l'occasione di
togliersi per sempre dal groppone il loro scomodo concittadino esiliato,
imparentandolo con il vero figlio di una lupa) coniarono il proverbio: il lupo perde il
pelo ma non il vizio. E così i poveri Sabini, oltre al danno patito dai Palatini
dovettero subire anche le beffe dei più prudenti popoli vicini. Adesso però basta.
Si basta.
Dimmi solo un'altra cosa: ci vai d’accordo?
Con chi?
Con tuo padre.
E' morto. Ha partecipato ad uno scavo abusivo con dei dilettanti. E' rimasto sotto
una frana.
Mi dispiace.
E' passato tanto di quel tempo.
E mi bacia improvvisamente furiosamente, come un idraulico pompa un lavandino
che non vuol saperne di sturarsi.
Celia, il tuo nome. Celia.
E parto con la tecnica della piovra boy-scout. Si sta sciogliendo la tigre. Il suo odore
mi cancella l'intelletto. Cresce la voglia, sale come la marea di Cornovaglia. Sarò
dolce con te belvetta, ti spunterò gli artigli. La mia lingua modula sulla sua pelle il
canto multitono dell'usignolo. Centimetro per centimetro. Debbo scoprire il tuo punto
limite, passerina burrosa. Quando busserò alla tua porta dovrai supplicarmi di entrare.
Te lo prometto te lo giuro: sarò per te l'ultimo desiderio del condannato a morte. Ecco
ora sento crescerti il calore addosso, adesso che la mia lingua ti slinguazza il punto di
raccordo dell’estasi sensoriale. Ti apri e ti chiudi e gemi. Insisto con la lingua e con le
dita pian piano mi apro la strada.
Entra ti prego. Ti voglio.
No non ancora, finché non ti sentirò ululare. Allora saprò che sarai pronta, che non
potrai più rifiutare nulla … nulla!
Perché ti sei rifiutata con il mio amico?
E' un imbecille, pensa solo a se stesso, tu vuoi ancora?
Fino al giorno del giudizio, però comincio a sentire un pò di freddo. Avervi
incontrate, te ed Edelweiss, è stato meraviglioso. Per qualche ora abbiamo
dimenticato tutto ma adesso abbiamo qualche problemuccio da risolvere. Ci serve
una ruota per sostituire quella bucata, ci serve un posto per dormire e.
E?
Sapere come fare per incontrarti in un luogo più comodo e senza limiti di tempo.
Perché ridi?
Tutti questi problemi te li posso risolvere facilmente. Il mio ragazzo ha un'auto
uguale alla vostra, la ruota me la faccio prestare da lui. Per dormire ti do io un
indirizzo e in quanto a me potrai vedermi tutti i giorni.
Quand'è così non c'è fretta. M'è tornata la voglia. Ancora una domanda: sei
laureata?
Si perché?
E' una fissazione che ho, lo domando a tutte. E' colpa di un mio amico. Egli dice che
le laureate sanno chiavare dieci volte meglio delle diplomate e cinquanta volte
meglio delle inculturate. Sto facendo una specie di ricerca per provare la sua teoria.
A che punto sei?
Per le laureate e le diplomate concordo con la sua tesi. Per quanto riguarda le
inculturate sono a un punto morto. Mi toccherà aspettare la prossima riforma
scolastica. Quando si decideranno a privatizzare la scuola, sarà una vera manna. Il
quaranta percento delle famiglie non potrà sostenere la spesa. Ti immagini che
campo di ricerca mi si spalancherebbe davanti?
Per te il sesso è importante?
Si.
Quanto importante?
Più di qualsiasi cosa passata presente e futura.
Sei ammalato.
E tu?
Per me non è la cosa più importante.
Quale è?
La scelta.
La scelta di che?
Voglio dire: se farlo quando farlo e con chi farlo, perché ridi?
Perché quello che tu reputi più importante non è altro che un viottolo che parte e
arriva a Lui il Sesso, non te ne accorgi? Perciò o siamo ammalati tutti e due oppure
siamo due sani in un ambiente di ammalati.
Preferisco la seconda ipotesi.
Anch'io, soprattutto perché me ne sono convinto osservando la pazzia di quelli che
vogliono legiferare sul sesso. La loro follia li fa sentire arbitri giudici e padroni
della natura e dei suoi enunciati. Non mi stupirei affatto se costoro, un giorno,
stabilissero che le aquile debbono vivere nelle caverne e i rospi debbono imparare a
volare sulla cima delle montagne. Sarebbero patetici se non fossero criminali. I figli
degli uomini crescono come aquilotti nel buio delle caverne e come rospi sfracellati
negli orridi montani. I pochi che riescono a liberarsi dalle follie dogmatiche e
conformarsi ai dettami della natura sono perciò costretti a vivere in un luogo
sconvolto e sconvolgente dove i pazzi sono reputati saggi e i normali, gli
assolutamente normali, invece.
Tu pensi troppo e chi pensa troppo non fa.
Non è vero, io prima faccio e dopo, quando non ce la faccio proprio più a fare,
penso; ma quello che penso veramente non lo dico mai a nessuno. Però questo non
mi impedisce di provarti che il ben pensare prepara ad un buon fare.
E' presto per dirti pensieri
è tardi per darti certezze:
ci uniscono baci e carezze.
L'ALBERGO

Chiave di volta di un buon cervello


è un soddisfatto solido uccello.

Celia aveva ragione. Stanotte ci siamo fatti due porcelle e una vergine. La vergine è
questa camera d'albergo profumata d'intonaco fresco e di petunia, mentre l'odore del
fieno s'insinua, sottile, dalle imposte socchiuse per ricordare che là fuori, nel sole e
nel vento, la vita ricicla il quotidiano. E' nuovissimo, questo complesso, inaugurato
appena quindici giorni fa: piscina coperta, sauna, campo da tennis, camera a due letti,
colazione e un pasto a piacere; il tutto, per sole meschine 55mila al dì. Vorrà dire
che, invece dei quindici giorni programmati, ce ne faremo cinque; ma, pergiove,
ricordatori! Sono pronto a scommettere una notte d'amore con la prima voce che mi
telefona, maschio o femmina senza discriminazioni (sempre ciccia è), che le sei
accoglitrici turistiche, sguinzagliate per le strade della Pusteria, riempiranno questo
luogo, in ogni ordine di posti, nel termine di un paio di giorni. Poi, beh! Poi me ne
andrò con Celia sulla montagna, in un maso là, dalle parti di (stai fresco se pensi che
te lo dico) dove i funghi porcini si raccolgono con le ruspe e, per 48ore, anche i sordi
sentiranno suonare le campane a stormo.
Sono le due del pomeriggio. Bobocù non c'è. Sarà andato a far riparare la gomma.
Non ho voglia di alzarmi. Mi accendo una sigaretta e lascio che i ricordi si
arrampichino sulla fune azzurrata del filo di fumo.
La prima volta che capitai da queste parti, in gennaio, era un mondo bianco. Gli unici
colori, le automobili, come corolle di fiori trascinate dal vento.
Da Bologna a Bolzano dormii il sonno del viaggiatore stanco, spaparanzato sui sedili
di uno scompartimento vuoto.
Le ferrovie sono uno degli specchi del sistema politico di un paese. Da noi è
democratico e quindi ti confezionano treni di dodici carrozze sia per linee dove il
flusso medio dei viaggiatori è di duemila disgraziati, sia invece per dove la media si
mantiene sui trecento. Una volta bestemmi, una volta godi e alla fine, il bilancio è
quasi sempre in pareggio, per quelli che, come me, percorrono un pò tutte le strade. E
gli altri? Chi, quelli che sono costretti al solito tragitto? Se non sanno vivere senza la
moglie è forse colpa mia?
Alle 7.58 sono a Fortezza. La caffettiera della Val Pusteria ansima un paio di binari
più in là. Parte alle 8.01. Siamo una decina a scendere, tutti giovanotti. Io, per ultimo,
sto per imboccare il sottopassaggio pedonale, quando ti vedo tutti gli altri attraversare
il binario di slancio. Mi accodo e, hop! Due poliziotti ferroviari ci accolgono a
braccia aperte e ci ingabbiano nel posto di polizia.
Nel tempo in cui tu ti spari una sega davanti alla pornofoto di Cicciolina, mi ritrovo,
solo, davanti alla burbera faccia di un maresciallo maggiore. Gli altri, tutti
volatilizzati: chi poliziotto, chi finanziere, chi carabiniere: tesserino di
riconoscimento e via. Tra cani è vero che ci si morde, ma solo durante i periodi di
calore.
Lo sai che è vietato attraversare i binari?
Il maresciallo non è per niente fesso. Manco me: Si maresciallo, ma temevo di
perdere il treno. Parte tra un minuto. E non faccio nessun riferimento agli altri
scomparsi mentre, con i miei occhi di panda, passeggio innocentemente dentro i suoi
occhi cervidi.
E' un pò imbarazzato il vecchio; ha scoperto che non sono un piagnisdei. Gli divento
simpatico: Non lo perderai, stai tranquillo. Debbo farti la multa: diecimilalire.
Dieciii?! Non lo vede ma lo sente, il mio tonfo per terra. Recito meglio di RR ne La
Stangata: Maresciallo, io ho soltanto venti-mila-lire, se me ne toglie dieci…
Il milione dei frati nella tasca posteriore dei RoyRogers sta diventando un mattone,
mi tira giù i pantaloni. Eh no porcogiuda! Non me le freghi le diecimila: Senta
maresciallo, sto andando a San Candido per un lavoro stagionale in una colonia. Il
mio abbigliamento conforta le mie parole. Barba di cinque giorni, maglione e
cappotto militare … di otto bottoni ne restano tre, RoyRogers stinti e lisi, scarponcini
di camoscio ancora bagnati di pioggia bolognese. Uno sbandato del '45 mi avrebbe
abbracciato chiedendomi: Da che fronte?
Il tutore dell'ordine è commosso. In trent'anni e più di carriera deve averne viste di
tutti i colori; ma forse è la prima volta che si imbatte in un attore o forse non gli va di
sentirsi dire, dal mio pensiero, “disonesto!”, dopo l'esodo in sordina degli altri nove
colpevoli.
Beh... Sta cercando il modo di uscirne dignitosamente. Il fischio della tradotta lo
aiuta: Vai vai. Ma la prossima volta usa il sottopassaggio.
Ci può scommettere maresciallo! Afferro lo zaino e schizzo via come un suricato. Le
8.55 secondi. Porcaputtana!, tra me e il treno c'è un binario vuoto. Sono puntuali
come il termometro questi tirolesi. Se mi facessi il sottopassaggio, ciao ciao treno! Se
mi vedesse una tigre mi adotterebbe: con un balzo solo salto il binario (N.B. * Il
Gatto con gli Stivali non c'è mai riuscito *); faccio tre passi al volo, moderno Peter
Pan e mi ritrovo sul predellino del secondo ed ultimo vagone nell'attimo in cui le
ruote cominciano a girare. Mi volto verso il posto di polizia. Il maresciallo sta
sorridendo bonariamente da dietro i vetri della finestra.
E' simpatico questo vagone. Ne ho visti di simili nei films western. Nel centro, una
stufa a carbone alimenta l'impianto di riscaldamento. Anche se ho l'impressione di
aver attraversato il tempo e di essere ricaduto nella tradotta che parte da Torino, non
provo alcun moto di disagio; anzi, ci sto da papa. Passa il controllore. E' piuttosto
anziano, con un cappello da pulè francese e due spioventi baffoni juventini
(bianconeri). Dimenticavo gli occhi: alcoolici. Fora il mio biglietto, getta due
palettate di carbone nella stufa e se ne va. Un momento! Prima di uscire si ferma
vicino alla porta, si volta verso il finestrino di destra, ingobbisce un pò le spalle,
allunga un braccio a mano aperta e, dalla spalliera del sedile, ti vedo spuntare un
ciuffo di capelli biondi. Sicuro! Capelli di donna. Ed io che avrei giurato di essere
l'unico passeggero. Vedo uscire il controllore, gli do il tempo di entrare nel vagone
motrice, di assestarsi davanti alla sua bottiglia di grappa al mirtillo e mi lancio, come
il lupo cattivo, nel cestino di cappuccetto Bobocù.
Ah amico, che effetto unidirezionale! Tutto il sangue e tutte le fantasie mi si vanno ad
appollaiare sull'unico ramo che posseggo. Fortuna che il tronco è robusto. Non
credere, non sono per niente scemo. Il motivo c'è e te lo rivelo subito. Ne ho viste di
ragazze belle, ci puoi scommettere e ci ho anche giuocato; ma questa è latrice di un
tale potere di attrazione, da non potertela descrivertela. Immaginatela! La più bella
fija che saprai crearti nella tua fantasia non riuscirebbe a reggere il confronto;
neanche Aurelia Portaperta.
Io sono paralizzato, asciutto come una foglia bruciata; e rimarrei interdetto fino al
giorno del giudizio, se la pulcherrima non mi sorridesse, tendendomi la mano. Era la
destra, me lo ricordo bene. Fu un attimo. La lampo dei miei jeans si aprì come il
telone del palcoscenico. Non potevo crederci. Neanche una parola. Una mano gentile.
Dita affettuose. Unghie sbarazzine. E labbra. Amico, non potevo crederci! In quel
vagone fuori dal tempo, una donna, al di sopra d'ogni descrivibile bellezza, stava
giuocando con me, stava dando piacere a me vagabondo, trasandato, sporco.
Qualche volta, ripensandoci, mi convinco di aver sognato. Do la colpa a quella stufa a
carbonella ed anche alla sensazione di completo godimento; quella sensazione
irraggiungibile, allorché, costretto a mettere alla prova la tua virilità, non riesci a
superare il dubbio di essere stato all'altezza delle comparazioni. Uno stordimento
goduto per mancanza di ossigeno.
A dirtela papale papale, se fu un sogno oppure no, me ne fre go! Il fatto certo è che
ho goduto; e questo è ciò che conta. Tutte le cose, una volta passate, hanno valore in
base al ricordo che ti lasciano, e quello è tanto vivo, piacevole, duraturo, consolante
da.
Beata scalasanta che stai ndove t'hanno messa leccata e …
Arriva Bobocù. Riconoscerei le sue bestemmie anche in un'orgia logorroica di
diecimila bestemmiatori patentati.
Primùuuu!
E mi entra in camera con quella soddisfatta prepotenza che, a te che non sei portato
per la fotomemnosi riflessiva, ti faccio un parallelo (non confonderlo con un
parallelepipedo): te lo ricordi il Granduomo Presidente del Consiglio? Ti ricordi
come entrava in telecamera? Ci sei? Ebbene, tale e quale al mio amico Bobocù.
A Primù, non ci crederai! E' entrato con i pantaloni sbottonati e se li sta togliendo.
Va bene, non ci crederò.
No, volevo dire non ci crederai perché, cioè, insomma, sta arrivando una carrettata
di figa!
Che è, una gita scolastica?
Ma quale gita scolastica!
Pardon, un lapsus.
Un che?
Volevo dire: in questo periodo sono chiusi anche gli asili nido, figuriamoci se può
essere una gita scolastica. Aoh! Non sarà per caso un gruppo di figliedim?
Bobocù ride. Nudo come un puttino del rinascimento e arrapato come un satiro si
butta supino sul letto e ride durbans senza emettere suono. Gli trema la pancia e sulla
pelle sta maturando il chianti. E' terribile la risata muta. Mi turba. Mi spaventa. Mi
opprime. Bobocù!, ora la sua pelle è mostodipuglia. Diodiodiodio, soffoca! E mi
elettrizza il lampo di genio. Ce l'hai presente un dodici metri? Non lo splendido
levriero marino delle regate televisive, bensì il misero bussolotto incatenato alla
banchina, in una fetente novembrina giornata uggiosa. Guardalo bene. Lo vedi
l'albero spoglio come svetta? Tale e quale all'arnese di Bobocù.
Allargo il braccio e sferro lo schiaffo a sguincio più penoso in tutta la mia vita
trascorsa. L'urlo del Bobocù mi alleggerisce come un sughero sull'acqua:
"aaaaaahiahiahiah" e se lo tocca, se lo accarezza, se lo coccola. Se ci arrivasse, lo
bacerebbe, in uno slancio comprensibile di penica tenerezza. La sua pelle sta
riacquistando il normale colorito fiordipanna. Adesso sono io che rido, una bella
grassa risata caporalesca:
Mi sembravi l'asino di Arriàh durante l'ultimo carnevale. Dopo il secondo
bottiglione di Purosarvàni mescolato con Sambuca, cominciò a mostrare i dentoni
senza emettere suono. Proprio come te poco fa. Però l'asino fu più furbo: continuò a
respirare.
E rido e sorrido e ghigno e singulto e singhiozzo e me la godo tutta, la scena. L'arnese
gli sta lievitando.
Me l'hai rovinato, brucia! E' diventato il triplo, guarda! Che ci faccio adesso?
Ti lamenti? Pensa a quanti sarebbero disposti a partire da Roma e farsela a piedi fin
qui, se potessero scambiare le loro pelluncole flaccide con un fuoriserie come il tuo.
Darebbero via anche il culo, per un Coso simile.
Non l'hai mai sentito tu, che il troppo stroppia? Quale femmina se lo farebbe mai
avvicinare un … Coso… come questo?
Abbi fede.
Proprio adesso che arrivano quelle due trinciacazzi di stanotte insieme ad altre
quattro.
E' proprio abbacchiato il supersupersuper dotato.
Stai parlando di Edelweiss e Celia?
Si chiamano così?
Non glielo hai chiesto il nome?
Sai quanto me ne frega di chiamarle per nome. L'importante è che me la danno.
Ma tu, quando chiavi chiacchieri?
E tu?
Io glielo stiocco su e basta. Tu invece?
Dipende.
Da che?
Se mi si ammoscia un pò, mi metto a parlare. La parola aiuta. Uno che sa parlare
riesce a farla venire, la donna, anche senza toccarla.
A ciarlatanoooo!
A capoccia di tufoooo! Se tu tenessi gli occhi pocopoco aperti, ti accorgeresti che
succede anche agli uomini: basta un pò di fantasia.
Fregnacce.
Tu dici? Ti ricordi ad Imola l'anno scorso?
Si che mi ricordo, mi ricordo tutto.
Anche quel tizio con la faccia dipinta e vestito con un bandierone Ferrari, come
fosse un sari?
Che è un sari?
Lascia perdere, te lo ricordi bene quel tizio?
Si che me lo ricordo.
Anche quello che urlava?
Con tutta la confusione che c'era, come faccio a ricordarmi cosa urlava quel matto?
Lo vedi? Ciascuno fa caso solo a ciò che lo interessa. Tu ricordi tutto della corsa:
chi ha vinto, chi ha rotto per primo, chi ha fatto il miglior tempo sul giro e tutte le
altre stronzate riempiticce che lasciano il tempo che trovano. Invece io mi ricordo
solo le parole che urlava quel tizio; e in questo momento cadono come il sugo sulle
melanzane alla parmigiana.
Si può sapere insomma, che urlava?
Noto con piacere che la faccenda ti appassiona. Stanno bussando.
Non me ne importa! Finisci di dire.
E' permesso?
C'est la vie. Rimandiamo a più tardi: avanti!
Scorre il fiume
silente
ininterrotto flusso
murmure
di millenarie voci
vagiti e nenie
urlio d'irati cuori melodie di cantori
gemiti di membra dilaniate
sussurrii di amanti
sospiri di moribondi
Pregno di desideri e di speranze
ridente d'ogni pensiero
errante
su per le vette d'una conoscenza sconosciuta.
Gli Affanni le Preci i Riti
gli Onori i Troppo attesi amori
gli Addii le Conquiste
le Dolci lusinghe le Laceranti offese
Il Sapere il Potere l'Uomo
gli Uomini
nel Fiume silente
murmure
Pregno di desideri e di speranze
ridente d'ogni pensiero
errante
su per le vette d'una conoscenza sconosciuta.
NEL VENTRE DELLA BALENA

E' forse esclusiva, il reale,


del solido mondo animale?

Le sei maddalene entrano in frotta a sembianza di altalenante volo di farfalle e di


colpo giacciono, affascinate, nel limbo di un estatico stupore.
Il coso di Bobocù è ancora più incredibile: epico, e per niente osceno. E' una scultura,
un'opera d'arte. L'arte sublime riscontrabile soltanto nelle manifestazioni spontanee
della natura.
Prendo in prestito l'ostrica di Venere e ci piazzo dentro il Bobocù. Come ti presento
bene la nascita di Dioniso, eh?
Le arrapate-arrapanti pian piano circondano la mitica culla e il divorante desiderio,
nei loro occhi, è un fluido che afferra il tempo e lo inchioda nel bivacco di un’agonia.
(Toh, e valla a cercare in un testo universitario, una sciccheria come sopra! Il genio,
caro mio, è proprietà privata del da Lui prescelto, molto più privata di una poltrona da
ministro; e chi ce l'ha se lo porta sempre appresso e se lo gode ogni volta che vuole,
senza sfruttare le automobili e gli aeromobili e i treni e le navi della collettività. Il
genio, mio caro, è come la mano dell'adolescente che scopre quanto gusto ha nel
pisellotto) ...è un fluido che afferra il tempo e lo inchioda nel bivacco di un’agonia.
Poi d'improvviso Musergskij si scatena: notte sul monte Calvo.
A me!
E' mio!
Prima io!
Levati!
Scansati!
Lascialo!
Spostati! e schiaffi e calci e pugni e lividi e strattonate e tirate di capelli.
Scorre il sangue. La furia orgiastica delle masticatrici d'alloro. L'epopea di Sileno.
Sotto i miei occhi affascinati si incarna il mito bacchico dell'Ellade pagana.
Il mio amico subisce la prima carica impassibile e fiero; ma ora vacilla, si perde. E'
tutto troppo … nuovo ... incomprensibile. Ha poca immaginazione lui.
E no, per Pluto tenebroso, non lo posso permettere. Faccio un tifo veronese:
Forza Bobocù, resisti! Dalli sotto! Riempile! Scioglile! Cancellale! e intanto mollo
sventole a mano piena su tutte le chiappette in vetrina. Il mio intervento gli dà un pò
di respiro. Lo sorregge. Lo rinvigorisce. Lo conferma. Lo esalta.
Forza amico, resisti! Tieni alto l'onore falisco! Non mollare! I nostri avi hanno
guidato gli eserciti romani in ogni continente! Attacca! Caricaaa! Abbiamo parenti
anche in Abissinia! Non deluderci! Attento a quella, ti morde! e le sferro un
cazzottone a coniglio, tra capo e collo: Non si accettano colpi bassi, pottina.
Guarda guarda è Celia. Appena qualche ora fa lo disprezzava come fosse un ritaglio
di sugna e adesso se lo trangugerebbe come uno spezzatino di vitello.
Sto per chinarmi su di lei per praticarle una resuscitante respirazione bocca a bocca,
quando mi sento sollevare da un braccio meccanico e scaraventare due metri più in là.
Una montagna spugnosa mi si incolla sulle spalle e una voce atropica, carica di
pathos, di eros, di carnalità suina; scekerata di gin, di birra, di grappa williams:
foderata di ruggine e di cartavetrata, mi rimbomba nella tromba di eustachio
trascinandomi, per un momento, in un vortice di smarrimento:
Piccolo uomo non sapere come comportamento con thònne!
Piccolo uomo a me, a me che misuro 1e80 per 90kg? Chi sarà mai questo orrendo…
coso… di indubbia natura femminile, che si permet...
Sono compresso schiacciato paralizzato okay, ma sono pur sempre un uomo e questa
pronipote di Gargantua è pur sempre una femmina. Non si dovrà mai sentir dire, in
giro, che una femmina si è inchiappettata un uomo, almeno non uno come me.
Aspetta un minuto, ippopotamessa dei Baranci e te lo farò vedere io se mi so
comportare con le … thònne. Riesco a ripiegare la gamba destra e trovo un punto
d'appoggio nel piede dell'armadio. Ho avuto culo? Certamente; ma se non mi fossi
dato da fare, a che mi sarebbe servito il culo? Non l'avrei neppure saputo no? Bene.
Ora sono pronto ad esplodere con tutta la pressione nervomuscolare che madre natura
ha avuto la bontà di elargirmi con megalattica abbondanza. vvvruummmm. La mia
anca diventa un ribaltabile ad effetto balistico. Il pianeta di ciccia ruota lungo
un'orbita ortogonale, urta una sedia che va ad appiccarsi sulla maniglia della porta,
travolge il mio letto. Lo châssis di legno si trasforma in uno sciame di schegge e la
rete metallica parte, parallelepipedo alato, per adagiarsi, con una esplosione ovattata,
sulla portafinestra del balconcino. Sfonda le imposte, sconvolge la ringhiera,
distrugge sette vasi di petunie e precipita, satanicamente incosciente nel bllenggg.
diinn. diinn. dinn dennn denn blangh.
Il nitritobarritoululato della ... mhhhh …, come potrei disegnartela, l'Immensa?
Quando le situazioni ti scorrono sotto gli occhi diventa tutto facile, più facile che
scolare la pasta; il difficile è ridescrivere, cercare le parole più adatte, infilarle
nell'ago della memoria e ricamare un periodo piacevole nell'infinito vestito del
discorso, tenendo soprattutto conto della tua megalattica ignoranza e circoscopica
conoscenza. Debbo farmi violenza e penetrare nel microcerchio del tuo scire,
rinunciando alle splendide similitudini storio-mitologiche, se non voglio correre il
rischio di parlare ai pesci.
Si dice che qualcuno l'abbia già fatto con ottimi risultati (per i pescatori). Infatti
quegli stupidi dei pesci, per stare a sentire, tenevano le orecchie fuori dall'acqua e
morivano asfissiati. Perciò, per non diventare anch'io un traditore di pesci, mi tuffo
nella teleteca dello spot pubblicitario.
Io nel tuo mondo posso muovermici, posso anche parteciparvi per una caccia al
tesoro; ma tu nel mio, se non ti do la bussola, non troveresti neanche la stanza del
cesso. Chi se ne frega mi dirai. Chi se ne frega ti ridico. Ed eccomi a te mio caro. E'
stata sufficiente una piccola panoramica su tre o quattro reti tv ed ho trovato il
materiale occorrente alla descrizione della Mostruosa: una descrizione moderna,
attuale, alla portata di pinco e di pallino; e poi vieni a dirmi che gli scrittori sono
tanto tronfi e pieni di sé, da fregarsene delle limitate risorse dei lettori e delle loro
sacrosante esigenze di comprensione. Suvvia amico, un pò di pazienza. Non sono un
sadico; non la faccio lunga per mio gusto ma per necessità di chiarimento. Un tête a
tête fra toi e moi, in modo da poterci conoscere un pò. Ho il senso della promozione
sociale io; della conoscenza degli individui; dello scambio delle opinioni; della
cooperazione tra i popoli.
Io credo che la solitudine del re sia peggio della fame del povero (finché la fame si
mantiene esclusivamente a livello di bisogno, grazieadio, e non degenera nella
tragedia della consunzione); e se ogni tanto ti do una strapazzatina, lo faccio non per
cattiveria ma per affetto, credimi. Se fossi davvero cattivello potrei tirare avanti
ancora per una cinquantina di pagine, prima di riportarti in quella camera d'albergo,
in mezzo a tutto quel pelo di topa. Sti cazzi, dici tu, io le salto tutte. Sti cazzi dico io,
ma intanto con quelle cinquanta pagine ci finisco il libro. E tutti gli altri fatti accaduti
a Primultimo e che stanno premendo per uscire fuori come lo champagne sul tappo,
dove li mettiamo? E come mai questo diario è stato ritrovato in un'auto distrutta sotto
a un TIR? Non t'interessa saperlo? Saresti costretto a comprare il seguito: altro libro
altra spesa. Ma io non sono cattivo e farò in modo di schiaffarti tutta la storia in
queste pagine. Follow me che rientriamo sull'albero, pardon, in albergo.
L'Immensa: prendi due tavole da surf, piazzaci sopra una carne in scatola alta due
metri per un metro di diametro, infilaci due prosciutti di Parma (dalla parte dello
stinco mi raccomando) per fare le mani e in cima, al centro della piattaforma
cilindrica, appoggiaci un bel pallone FIFA. E adesso dimmi tu se conosci un modo
più moderno per descrivere un tipo di persona.
Il nitritobarritoululato della... Mettici anche un pò della tua fantasia, trrnonn!
Nonostante le migliaia di anni e i milioni di capoccioni dedicatisi alla filologia, non si
è ancora riusciti a coniare termini specifici per ogni particolare situazione. Infatti, la
parola che ora servirebbe a me per darti il senso compiuto del verso dell'Immensa, sul
vocabolario non c'è: non e-si-ste. Potresti sillabare l'espressione, dici tu. Ah si? E il
suono di quella cassa armonica? Il ton di quelle corde vocali? L'effetto di quelle onde
sonore rimbalzanti sui muri sugli stipiti sugli armadi sui denti nelle orecchie, persino
sulla base renale, come faccio a rendertelo? Ti rammento che non siamo al cinema.
Per la fantasia, l'emotività, la definizione minuziosa di una storia è meglio un buon
libro; ma per la manifestazione realistica di determinati fatti non c'è niente di meglio
del cinematografo. L'ideale sarebbe un bel libro parlante. Tu ne hai mai sentito
parlare? Figurati io.
Il nitritobarritoululato dell'Immensa è come la colonna sonora di Armagheddon, la
prova generale delle trombe del Giudizio Universale.
Hai mai letto il libro dell'Apocalisse? Noo!? A che minchia di letture sei ancorato ad
Harmony? Alla Gazzetta dello Sport? Anche qualche Lancio Story? E non
dimentichiamoci di Tex, Le Ore, OV, Playboy, Playmen. Si, hai ragione: non ti resta
neppure il tempo per andare affanculo, quando ci hai messo accanto le quotidiane
occupazioni e gli appuntamenti irrinunciabili: Capitol, Dinasty, Dallas, Quando si
ama, Beautiful, Mariana. Mariana no? Beh ci sono ancora i TG, i pornovideo, gli
sport: Coppa Davis, Universiadi, Olimpiadi, Mondiali, Europei, Coppe, Campionati
ecc.ecc. Fortuna volle che incontrasti me! Ogni tanto te la do, qualche idea nuova.
Nuova per te, ma vecchia più del tuo albero genealogico.
L'Apocalisse, per esempio, è un libro che conta ormai millenovecento anni. Hai tu
idea di quante delle tue letture abituali potranno concorrere all'abbattimento di questo
record? Mi sollucchera ricordarti che l'uomo conserva ciò che reputa prezioso: guarda
l'oro! Vergognati, uomo, tu che, per un grammo d'emozione, fai la fila alla proiezione
di The After Day e te ne perdi i quintali conservati nel libro di Giovanni Evangelista
(che non c'entra niente con il Battista).
Senti un pò qua: Il sole divenne nero come un sacco di crine. Te lo immagini, tu, un
sole nero? Il blackout di New York del 13 luglio 77 al confronto è uno dei tuoi stitici
sforzi galleggianti nell'oceano. Eppure, in quel misero caso, quanti casini! Omicidi,
violenze carnali, furti, saccheggi, devastazioni, dolori, urla strida pianti.
Immagina tua figlia o tua moglie bloccate in un vagone della metropolitana tra un
mucchio di vagabondi, neri, asiatici, meticci, tossici, spacciatori, magnaccia e,
giovani, incalliti figli di puttana(salvando le loro innocenti mamme); e quelle mani
rapaci sulle loro cosce, sui fianchi denudati, sui seni. E i cazzi infoiati di quei bastardi
che premono su ogni pertugio penetrabile; ed entrano ed escono con la ferocia
incontenibile del lupo affamato; e tu che non puoi farci niente perché non lo sai; e
quando vieni a saperlo, non puoi farci niente lo stesso perché ormai il disgusto, la
vergogna, la disperazione della mente e la desolazione dell'anima, nessuno potrà più
togliertele da dentro.
Oppure il tuo magazzino pieno d'ogni bendidio, ripulito e devastato. O la tua
meravigliosa automobile nuova fiammante, incendiata nel rogo comune d'un garage
sotterraneo (o sopraelevato: scegli tu).
O l'ascensore che si blocca tra un piano e l'altro; e tu e altri dieci vi spegnete
lentamente nell'isterismo e nell'asfissia, se non vi sbranate prima, come cani idrofobi,
nell'esplosione della latente follia da terrore dovuta alla mancanza d'ossigeno e ... il
buio su tutta la terra.
Un mondo tutto nero (o tutto negro?), sconvolto dalla furia devastatrice dei violenti,
dei disperati, dei reietti, di tutti quelli che, per secoli, per generazioni, hanno avuto il
modo di coltivare, nell'umiliazione della miseria, l'odio e il rendez-vous per il giorno
della vendetta.
Non c'è il modo di sottrarsi al giudizio e, per la legge della compensazione, è
inconfutabile la massima 'occhio per occhio dente per dente' e se tu hai rubato, in
qualche modo sarai costretto a restituire, cosiccome se hai calpestato sarai obbligato a
subire. E chi ha venduto dovrà ricomprare. Una bella fregatura per chi ha venduto
uomini. Avrà indietro cadaveri, marciume, vermi: ci farò concimi e cosmetici. Illuso!
Non ci saranno più campi da concimare né bellezze da coltivare. E chi ha
vivisezionato i bambini? Come potrà sfuggire loro? Dove nascondersi per sfuggire
alla giustizia del Dio dei bambini?
Ora alza, per un momento, il mento; chiudi gli occhi e lascia vagare il tuo pensiero
attorno alla terra. Dimmi cosa vedi. Dimmi se vedi anche tu i discepoli del Servo
autonominatisi Principi, chiusi in torri d'avorio e la cui missione principale consiste
nell'aumento e conservazione dei beni curiali e il cui spirito evangelico si manifesta
principalmente in tesi finanziarie; dimmi se vedi anche tu preti accusati di pederastia
e chiacchierati, da eredi defenestrati, come autori di circonvenzione d'incapaci;
dimmi se vedi immensi greggi belanti vagare da un pascolo all'altro alla ricerca di
pastori che non chiudano bottega, dopo aver esaurito il loro servizio in un ritornello
quotidiano;
dimmi se vedi anche tu popolo contro popolo e, all'interno degli stessi popoli, dimmi
se vedi, sempre più numerosi, omicidi, rapine, stupri, commercio di bambini, dissesti
idrogeologici, avvelenamenti ambientali;
dimmi se puoi affermare che il comportamento dei potenti corrisponde alle parole che
escono dalle loro bocche e dimmi, infine, se nel tuo cuore la voce della speranza ti
incita ad immaginare un futuro di vita desiderabile.
Se hai visto tutto questo e se la speranza tace, dimmi con quale parola potresti
rappresentarlo, se non con la parola usata da Giovanni: il BUIO, ottenebrazione
mentale e desertificazione spirituale.
Se invece la speranza abita ancora nel tuo cuore, ebbene solleva gli occhi verso le
nubi del tuo cielo, (ricordati che cielo significa nascosto) e, chissà, potresti vedere.
Chi me l'avrà fatto fare di comprare questo menagramo? Te lo stai chiedendo? Spero
proprio di si. Anche se adesso il tuo impulso sarebbe quello di buttarmi nel fuoco e
cancellarmi dalla memoria, io sono qui, faccia da schiaffi, sornione, pronto a correre
il rischio. Si, perché me ne frego della tua indifferenza o della tua sciapa convivenza
con chi e con cose che non ti strapazzano, costringendoti a meditarti.
Io voglio che tu mi ami. Un amore viscerale, un filo diretto con le budella e con la
psiche e, checché se ne dica, non è possibile amare profondamente se non si è prima
sanguinolentemente odiato. Odiami, avanti odiami! Dimmi che ne hai piene le ovaie,
di profeti di sventura. Che i tuoi momenti di relax di piace trascorrerli ficcanasando e
sorridendo e. se tu credi che io ti permetta di rovinarmi la digestione o tutta la
giornata con queste stronzate su. Su che cosa? Continua. sulla fine del mondo.
ebbene ti sbagli di gBobocù. Ti brucio io! Ti getto nella pattumiera! Ti strappo
pagina per pagina e ci pulisco la cacca del cane! Ecco guarda che cosa ti faccio!
Che mi fai? Un cinque contro uno mi fai tu. Mi senti? Una bella sega a stantuffo
giroscopico. Tu non vedi l'ora di continuare a leggere e farti violentare. E finisci quel
caffè prima che ti si freddi del tutto".
L'Immensa è per terra, distesa su un letto di schegge di legno e miliardi di frammenti
di cristallo. Un ippopotamo formato porcospino. E' muta. Ha esploso tutto il suo
furore in quell'orrendo urlacciaccio biblico e insieme, sembra aver espulso ogni
minimo residuo vitale.
Il paracadute, pardon, il vestito di carta stampata che risparmiava al mondo la visione
d'un cubo gelatinoso semovente, è esploso in un carosello di coriandoli e tappezza la
camera come una decorazione carnevalesca, mentre la parrucca rossa e singolarmente
lunga pende, appesa al lampadario, come un paralume liberty.
Dovrei aver pietà di questo scherzo del Fato, fuoriuscito probabilmente dal connubio
diabolico d'una esplosione nucleare con uno scarico inquinante.
Non arrendetevi ecologisti! La nostra speranza è nella potenza delle vostre
convinzioni profetiche e nella perseveranza della vostra lotta umana e civile. Anche
se destinati a soccombere, come tutto ciò che è umano e civile, al potere di chi
imbraccia il fucile e il manganello e dirige i flussi monetari, voi ci restituite una
speranza che, da sola, è già ragione sufficiente per non lasciarsi andare alla deriva
sulla nave fantasma del profitto a tutti i costi.
Gli uomini, si dice, abbiano vissuto nelle caverne per settemilioni di anni e quando ne
sono usciti, avranno sicuramente sputato nell'antro per significare che non ci
sarebbero più tornati. Ebbene ebbene, senti un pò cosa dice Giovanni nel suo libro.
Ancora con questo Giovanni? Si, ancora. E non finirà certamente qui. Porta pazienza
che è tutta salute.
Ascolta: allora i re della terra e i grandi, i generali, i ricchi e i potenti e infine ogni
uomo, schiavo e libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti.
Secondo me sta a significare che, quando la natura si sarà rotta i coglioni di essere
vilipesa, avvelenata, sconvolta da questo piccolo uomo egoista e stupido, si ribellerà;
e con quattro o cinque terremoti extralarge, da sfondare anche la scala Ritter, piazzati
al punto giusto, ti saluto metanodotti e centrali elettriche! Aufiedersen superpetroliere
e megajumbo! Au revoir città opulente e incasinate! Addio Fiat, Shell, Bayer e
compagnia bella! Poi subito dopo, una bella piallata di acqua di mare. Fortunati quelli
che avranno prenotato un loculo in una fresca e oscura caverna. Per eventuali
prenotazioni rivolgersi a: Massiccio dello Jura, Pirenei Centrali ed anche Val di Non,
toh.
Dicevo: dovrei aver pietà. Ma non riesco a dimenticare che questa ... cosa …. ha
osato pensare e agire come se due quintali di lardo femminile potessero più del
naturale sacrosanto orgoglio maschile.
Guardiamoci negli occhi, femminucce mie belle, e diciamoci la verità: la vita ha un
senso perché è assoggettata al richiamo irrefrenabile del sesso; ed è talmente potente,
tale richiamo, che alcuni riescono ad isolarlo dal concatenamento di tutti gli sviluppi
naturali e renderlo degno di essere vissuto, anche nella condizione del fine a se
stesso.
Tutti i filosofi e i teologi sono partiti dal sesso nell'intento di sviluppare una teoria di
socializzazione buona il più possibile; sono partiti da questa manifesta fluorescenza,
talmente luminosa, da risultate oscura ad ogni tipo di analisi classificatoria. Sono
riusciti a capire soltanto che c'é perché è indispensabile e che, se non ci fosse, noi non
saremmo e niente sarebbe.
Perciò agli albori lo hanno chiamato dispensatore di vita e lo hanno adorato; poi
vedendo che chi chiava gode, e chi gode non lavora, e chi non lavora non produce, e
chi non produce non rende, e chi non rende non costruirà mai imperi e imperatori,
l'hanno chiamato diavolo ed hanno cercato di sopprimerlo.
Il vero problema non è il sesso; il vero problema sono coloro che vogliono gestire il
sesso imprigionando la sessualità sotto la cappella della repressione nell’intento di
trasformarla in inibitore dell’individualità; ma la sessualità, non potendo sopportare,
naturalmente, la repressione, si è vendicata producendo categorie di perversi:
guardoni, segaioli, sadici, masochisti, necrofili, pedofili, omicidi mistici.
Guai a chi vuole conoscere il sesso e goderlo come libero dono paterno (o materno,
fate voi)!
Il sesso è Dio, poiché, l'unica acqua che toglie la sete, è il sesso goduto in presenza di
Amore.
Scambiai il letto con il cavallo e il seno della donna con la spada
ora vorrei tornar ma non c'è strada che riconduca indietro alla frontiera.
Vai dove uccidono i giovani
vai dove umiliano i semplici
vai dove opprimono i deboli
vai dove gli alberi hanno una funzione vitale
vai dove i mari non sanno più riconoscere il sale
vai dove i grassi camminano sopra i morti per fame
vai dove vendono feti per fare belle le dame.
Non domandargli chi sei, se incontri un uomo da strada
non ti potrebbe mai dire quel che cercando egli va
ma se lo vedi morire, solo, su un marciapiede
non darti pena per lui, guardalo bene: sorride.
Dovrei aver pietà. Non ne ho il tempo. Tre morbide ventose mi si appiccicano nei
punti più eccitabili. Si sono divise la preda, le buongustaie del seme. Troppe per un
trespolo solo. Soprattutto ora che il Bobocù è tornato alla sua dimensione naturale. E'
pur sempre un extra-lusso, ma ha perso il fascino dell'incredibile. Celia ed Edelweiss,
seguite a ruota da una creola dorata, mi hanno subito avviluppato.
Celia cara, bisognerebbe dare un'occhiatina alla pachidermica.
mmmhhh.
Vuoi dire che non te ne frega niente?
mmmhhhhppff ppff ppff.
Ah l'adorabile spermisuga! Ebbene, che se ne resti all’angolo, la mammuthica. A noi
figliole! Gustate! Godete! Siamo Falisci, gioie! A noi, i Romani ci hanno fatto una
sega. Infatti ci hanno riconosciuto il Patritiatus Omnibus e ci hanno lasciato libera
scelta nel mucchio delle loro fanciulle patrizie.
Edelweiss mi sta infilando la punta della lingua in un orecchio, il che non
m'impedisce di restare, come sempre, vigile e attento: Stanno bussando.
Le sacerdotesse di Pan se ne infischiano. Hanno altro da fare loro. Io invece sono un
tipo piuttosto curiosetto: Avanti.
E ti entrano due in divisa da finanziere. Uomini duri questi finanzieri. Non battono
ciglio. Ah figlioli, che razza d'emozione però! Passano dal bianco latte al Bobocù
porpora per stabilizzarsi sul mammolino. Sono due creature di Dio pergiove! Mica
puoi prendere un uomo, mettergli una divisa addosso e dirgli: Vai, da questo
momento sei un robot, obbedisci e zitto. Eh no, fava! Potete metterci tutte le divise
che volete, ma non potrete mai rubarci l’impulso sessuale, a noi uomini.
Benedict, vecchio puttaniere, scolatore di bottiglie!
Uno dei due finanziari sobbalza. Cerca il proprietario di quella voce che lo chiama e
finalmente mi vede, in un momento in cui la creola dorata mi si scosta, stordita da un
manrovescio di Celia.
Oh roma, che ci fai qui?
Lo conosco da cinque anni e mi ha sempre chiamato roma. Per la gente di qui, da
Firenze in giù sono tutti romani e ... lavativi.
Quello che io faccio, si vede; tu invece, che vuoi?
Ci hanno telefonato che qui stava succedendo…
Quello che succede lo vedi da te. Spogliati, coglione, se no queste pensano che sei
finocchio!
Non ho fatto in tempo a finire di parlare che già l'amico Benedict e il suo compare
hanno gettato via le divise, dimenticando persino il colore della bandiera. Bravi
ragazzi! Tu non ci crederai. Neanche io ci avrei creduto, ma ero presente e dovetti. Il
mio vecchio amico e il suo compare, ignorando le silfidi sinuose, si avventarono sulla
mammuthessa ancora semistordita; e non per praticarle la respirazione artificiale!
Ah come godi, puzzola! Non avresti mai immaginato che un uomo, nel pieno delle
sue facoltà, fosse attratto da un informe, indescrivibile ammasso di carne
vischiospugnosa. Eppure lì attorno c'era in circolazione il Meglio. Meglio di
Samantha, meglio di Cicciolina giovane, meglio del fior fiore delle pornostar che sei
abituato ad inghiottirti con gli occhi; ma al mio amico e al suo compare non facevano
né caldo né freddo.
Benedict, ti sei bevuto il cervello?!
E' l'odore, roma, è l'odore!
E tu biondino?
Io vado dove va l'appuntato, ssiò!
Poffarbacco baccone, come diceva il dottor Salasso nelle situazioni di fondamentali
decisioni. Tu non ci crederai, ma mi ci tuffo anch'io in quella slavina umana. Te l'ho
già detto che sono curioso. E appresso a me il Bobocù nitrente e Celia, Edelweiss, la
creola dorata e le altre tre, tutti insieme appassionatamente sopra addosso dentro
in con su
per tra fra intra
blop sclap sgnap schlaff ssllupp
satanicamente avviluppati nella morsa lasciva dell'inesprimibile.
Tu non ci crederai perché anch'io non ci crederei, se fossi tu a raccontare, e me a
leggere: vissi una sconvolgente introspezione figale. Mi sentii risucchiare, aspirare,
penetrare in un buio soffice, umido, caldo, benefico (santafiga!), avvolgente,
conciliante. Una culla obliante. Un silenzio beato. Avrei voluto rimanere così
perennemente, infischiandomene del breakfast; della denuncia dei redditi; delle
televisioni; delle idolatrie politiche; degli eroi da stadio e delle passatoie rosse.
Avrei voluto accendermi una sigaretta, come fai tu quando, a mezzanotte, stai ancora
aspettando che tua moglie rientri da una visita di beneficenza; anzi stavo giusto per
accendermela, all'alba del terzo giorno, quando ti vedo un barbuto capellone, mezzo
vestito con una specie di asciugamano, a strisce bianco-Bobocù bianco-blu, avvolto
attorno ai lombi che, senza dire amen, mi fa:
Sono Giove, sono venuto per un reclamo.
Da dove vieni?
Dall'Olimpo.
Che ti va di pigliare per il culo la gente?
Io non prendo in giro nessuno.
Vorresti farmi crede che sei quel Giove lì?
In spirito e verità.
Vuoi vedere che adesso anche i cartoni animati escono dalle pellicole e se ne vanno
in giro per il mondo?
Mi paragoni a un cartone animato?
Perché, non è così? Non sei un mito, tu e tutta quell'altra miriade di Dei?
Ti sembro un mito?
A vederti sembri vero.
Lo sono.
Senti, ah Giove: non ce l'avresti mica, per caso, una folgoretta a portata di mano?
Così, giusto per essere proprio sicuro.
Eccola qua.
Bella! E' piccoletta ma proprio bella; che è d'oro?
No, è di niente, è tutta elettricità.
Come fa a mantenersi così, compatta come un tubo catodico?
Finché la tengo in mano rimane così poi, appena premo questo bottoncino, scarica…
come l’hai chiamata? Una folgoretta … gigantesca e terribile. Dove tocca lascia il
segno.
Senti Giove: me la faresti una cortesia? Ci sarebbe uno che mi sta antipatico e gli
vorrei fa prende una bella scossa.
Aohhh! Per chi mi hai preso!? Io sono un Dio libero. Non mi è mai passato per la
testa di mettermi nelle mani degli uomini e diventare lo Schiavetto Divino al servizio
del loro capriccio.
Perché dici questo?
Perché Qualcuno che si è fidato degli umani c'è rimasto fregato; e adesso si ritrova
a correre di qua e di la, a benedire quando loro gli dicono di benedire e a maledire
quando loro gli dicono di maledire. Non mi fraintendere: Lui nemmeno li sente. Lui
ha parlato quando doveva parlare e basta, Lui. Però, sai come è il tempo che passa,
no? Le parole, da lingua a lingua, pian piano si trasformano e infine si stabilizzano
sul senso che più conviene a chi le usa. Perciò, anche se non è vero, Lui che è il
Padrone, adesso passa per lo zimbello dei servi che Gli fanno fare quello che
vogliono loro. Ma con me non attacca. Io, le folgorette mie, le butto quando mi pare
e dove mi pare; anzi, mi sa tanto che ne allento subito una qui.
Ehh Giove, che razza di permaloso sei! Non si può neanche scherzare un pò.
Scherza coi fanti e lascia stare i santi.
Tu saresti un santo?
Sono un Dio e perciò anche santo.
Scusa Giove, ma secondo il nostro corrente concetto di santità, a te non
t'accenderebbero neanche una candelina da cinquanta lire. Noi stabiliamo santi
quelli che si comportano come modelli di virtù e tu, secondo quello ci hanno detto di
te, saresti più che altro, un modello di vizi: puttaniere, geloso, bevitore, prepotente,
vendicativo. Insomma, caro Giove, per noi tu saresti il Diavolo.
Embè? Prova a rigirare il punto di vista e potrai accorgerti che quello che tu chiami
vizio diventa modello di virtù. Perciò, come vedi, il confine tra santità e vizio lo
stabilisce soltanto il punto di vista.
Mio caro Giove, se io provassi a rigirare il punto di vista entrerei in un conflitto di
personalità che mi porterebbe alla pazzia. Non posso amare chi ho sempre odiato,
non posso odiare chi ho sempre amato: non sarei più io, sarei un altro, saremmo due
opposti dentro a un unico involucro. Pensa: due pensieri opposti simultanei, due
desideri opposti simultanei, due linguaggi opposti simultanei, due movimenti opposti
simultanei. No, non posso cambiare il mio punto di vista. Tu sarai pure un Dio, però
non sei santo, scordatelo! E adesso fammi la cortesia di dirmi che sei venuto a fare,
perché il tuo alito mi sta nauseando: puzzi di petrolio.
I miei amici lo chiamano profumo celestiale.
Potenza della suggestione: quando il punto di vista cambia, cambia anche il punto di
olfatto.
Sei abile con le parole e pronto di risposta. Mi convinco sempre di più di aver fatto
la scelta giusta.
Scelta giusta per che cosa?
Ti ho detto che voglio fare un reclamo.
Nei miei confronti?
No, nei confronti di tutti.
E vieni a farlo a me, che non mi conosce nessuno?
Non ti conosce nessuno, però tu sei uno che le cose se le appunta, e dal momento che
scripta manent, sei il tipo giusto. Il mio è un reclamo valido per sempre, perciò non
ha scadenze di pubblicazione.
Le cose me le appunto è vero, ma nessuno leggerà mai i miei quaderni.
Il futuro non lo conosce nessuno, ma gli Dei possono guidare il presente. Ecco il
reclamo: per quale cazzo di motivo non si vuole credere ai miei discepoli, quando
affermano di essere i depositari della missione di spargere, in tutte le nazioni della
terra, il sacro seme della democrazia?
Che vuoi che ti rispondano? Sarà forse la seminatrice che usano ad alimentare il
rancore e l’odio dei seminati.
Ricordati che il fine giustifica i mezzi.
Forse nei templi a te dedicati. Per come la vedo io, il mezzo giustifica o vanifica il
fine…
Perché sorridi?
Per via della desinenza: fica. È identica per due opposti, proprio come quando è
usata come sostantivo: santa quando procrea, demoniaca quando vuole soltanto
godere. Chissà perché mi fa venire in mente il Giano … ma che fai Giove, spingi?
No, io non spingo.
Come, non spingi!? Chi è che spinge, allora?
RIGETTATO

Vorrei poterti dire che t’amo da morire


ma se morissi, amarti non potrei,
perciò mi astengo.

Una spinta ovattata, come una borsa d'acqua calda, cominciò a premermi sulla testa e
a spingermi, con crescente pressione, finché non mi sentii scivolare via come un
siluro dal sottomarino. Alleluia! Quando riuscii a fermarmi, dopo aver scardinato la
porta e dopo aver strisciato per tutto il corridoio travolgendo un cameriere, un
carrello stracolmo di coppe gelato, due piagnucolosi ragazzini teutonici che mi
stavano sulle scatole per via della nurse più brutta di Fantozzina senza trucco, una
coppia di biascicagiaculatorie sotto il montedivenere cortesi, quattro cummenda
panettonesi travestiti da tirolesi, una freddissima perticona inglese col suo fox-terrier,
ventotto giapponesi e le loro ottantaquattro macchine fotografiche; (e qui mi fermo
perché non riesco a ricordare tutti gli altri sventurati), mi ritrovai in fondo alle scale
di servizio con le natiche surriscaldate e il naso tra le cosce, in mezzo al pelo della
bernarda della moglie del ministro…
E ti pareva che non volevi sapere di quale ministro? Non sono un pettegolo, io.
Tanto più che debbo della riconoscenza a quella brava ministressa:
Oh povero giovane, come è ridotto!
Eh si, non c'è che dire. Il nobile peso della passerottona ministrica mi premeva sulla
carotide, mi soffocava: s.ven.go.
Ho visto terre dove si rideva,
nei laghi e nei torrenti si beveva
nuotando insieme ai pesci e agli aironi,
tra boschi di mirtilli e di lamponi
E terre dove l'aria del mattino
viaggiava trasportando il rosmarino
e la mentuccia il tiglio la mimosa
e l'oleandro il glicine la rosa.
Ho visto terre e ho visto gli abitanti,
ovunque ho conosciuto duellanti
in palio solo vita o solo morte:
l'identikit del cavaliere errante.
E sono andato sempre più lontano
sul mio cavallo e con la spada in mano
in cerca d'avventura e conoscenza
ovunque mi chiamò la provvidenza.
Sotto una sola bandiera ho cavalcato,
per mille bisognosi ho duellato
nel cuore nelle braccia e nei pensieri
la forza di centocinquanta cavalieri
che dopo aver vagato per il mondo,
seduti attorno a un tavolo rotondo
godevano ogni storia raccontata
e il seno caldo della donna amata.
Il giuramento dell'investitura
contro la prepotenza e l'impostura
bandiva l'odio dai nostri pensieri:
uomini consacrati cavalieri.
Narravano le gesta i trovatori,
la fede la pietà l'armi gli amori.
In ogni luogo si cantò di noi:
i cavalieri erranti assurdi eroi.
Il cavaliere errante vive di verità.
Cuore di navigante sul suo cavallo va.
Cammina per il mondo non chiede carità.
Nobile vagabondo sempre cavalcherà.
Adesso ti aspetti che ricominci con la solita solfa: quando rinvenni etc etc. Per chi mi
hai preso, per un ragioniere? Per uno scrittorucolo di rami di lago o di lagune
increspate sotto lievi carezze di luci lunari? Per un compilatore di orari ferroviari che
ti porta lemme lemme fino a Vienna a Costantinopoli a Timbuctù? Lì puoi andarci
quando ti pare e piace. E se hai voglia di farti un bagno, non c'è bisogno di qualcuno
che ti parli di Baden Baden; puoi tuffarti nel bidè di casa tua. Credimi, non c'è
nessuna differenza: sempre di acqua si tratta.
Di un pò: ti ci aveva mai portato qualcuno in quel posto? Tutti ti pooortano di quaaa
di laaa di suuu di giuuu e, (se accetti un consiglio è meglio andarci con
CeccrllViaggi). Collodi ti ha portato nello stomaco della balena; ma si sa, era un
burlone e gli piaceva prenderti per il culo; anche se non s'è inventato nulla perché
Giona c'era già stato prima di lui. A proposito di Giona, tanto di cappello signor
Collodi! E buon per te che gli integralisti non ti abbiano capito al volo.
Te li immagini, tu, questi austeri leggitori, alla lettera, dei sacri testi che ti descrivono
minuziosamente anche i battiti cardiaci del pescione che si rivomitò il Giona dopo tre
giorni e tre notti di agonica digestione? Tu che ne pensi? Non te ne è mai fregata una
sega? Eppure ci hanno meditato sopra fior di capoccioni e per una trentina di secoli.
Beh, visto che il discernimento non è il tuo forte, ti dico la mia. Secondo me il
pescione di Giona era come il cavallo di Troia. E anche per Collodi. Lui non ha fatto
altro che invertire le materie: la balena si pappa un legnaiolo e il suo manufatto.
Ma io, io ti ho riportato là dove nessuno è più rientrato, dopo esserne uscito la fatale
prima volta. E non si tratta di mito. La mammuthessa è ancora viva et vegeta e puoi
andare a domandarle se ti ho detto un punto di bugia. Come? Vorresti sapere dove
trovarla? Allora non ti fidi di me. Dal momento che non ti fidi di me, pensi forse che
io mi possa fidare di te?
Riprendo da quando svenni. Svenni per modo di dire, trmon! Piuttosto che star lì a
spiegare e tutti quegli infortunati, incacchiati neri, il percome e il perquando, adottati
una tattica politica ormai più che collaudata: la tattica politica della sovrapposizione,
sviluppata in un Paese di furbacchioni, dove la politica si evolve all’ombra della
cronaca.
Aggiungi fatto a fatto e l'ultimo, entrando in prima pagina per un tot di tempo
sufficiente, cancella quello precedente. Come la merda di vacca: tanti schizzi che
formano una sola torta. Il segreto è uno solo: dal momento che, ai bordi, secca presto
presto, basta fare in modo che nessuno ci cammini sopra. Non si sente più la puzza e
nessuno ci fa più caso. In questo modo si può andare avanti, diciamo, anche per un
quarantasette quarantotto anni, mese più mese meno. Perché non qualche anno
ancora? Perché qualsiasi letamaio, per quanto grande possa essere, al limite del
mezzo secolo viene talmente riempito, da tracimare. E la merda per la strada, non la
sopporta neanche chi ce la lascia; anche se, una volta passati i lutammari, te lo ritrovi
lì, con le brache calate, intento a riprendere la defecata interrotta. Ci siamo, ti riporto
in albergo.
Mi risvegliai nel letto della ministrica. Me ne stavo spaparanzato e alquanto
contrariato per l'interrotto intimo colloquio con il Divino Giove, delicatamente
massaggiandomi il .
Vissi infelice
finché uno mi disse
che tutti insieme, noi, facciamo l'inferno;
e chi si crede santo è diavolo

ALL'INFERNO E RITORNO

Ah la parola com’è dolce al cuore


quando dal cuore nasce e cerca il cuore.

Caro diario, forse mi sono lasciato prendere da una non comprensibile passione e mi
sono trovato, per qualche riga, a divagare su argomenti molto molto perigliosi.
Comunque, se non potessi sfogarmi con te, con chi altri potrei? In quale canalone far
scorrere la lava di parole, una volta arrivata, ribollente, nel cratere della bocca? Tu sei
fidato, discreto, segreto; piccolo gasbiorto pulitore, invisibile, nel limo della mia
palude interiore. Tutto raccogli e racchiudi senza imbarazzi, querele, proteste,
consigli, suggerimenti ecc. Non sei un paterno rompicoglioni o un pedante
scassapalle; e per dimostrarti la mia riconoscenza ti ho personificato, lo sai. Ti ho
dato un nome (OSCENO); ti ho fatto crescere insieme a me e non dimentico, mio
caro, quando anche tu eri un democattocristocomsoc, né di pelle, né di fede; ma di
fatto si. Lo so, eri ancora ignorante (nel senso latino del termine). Eri come la goccia
d'acqua che si stacca dalla foglia e cade nel ruscelletto e viene scaricata nel fiume; ed
è così costretta a seguire la corrente, mischiata a tutte le altre gocce. Non conoscevi,
non potevi confrontare, farti una tua idea, distinguere e infine agire secondo te e non
secondo gli altri. Che so! Per fare qualche esempio, così, di poco conto: tu credevi
che tutti quelli che portavano la divisa fossero il bene e tutti quelli che il potere
chiamava fuorilegge fossero il male finché, un bel giorno, conoscesti la storia di
Robin Hood. Quel libro diceva che i fuorilegge erano i buoni, mentre gli altri, quelli
con la divisa erano le guardie pagate dal cattivo. Non era certo colpa loro se
comandava uno cattivo; però questo dimostra che è meglio non fidarsi di quelli che
portano la divisa proprio perché costoro non scelgono. Chi comanda comanda, loro
obbediscono e basta; e declinano ogni responsabilità delle loro azioni, riparati dalla
confortevole ala dell'ordine ricevuto. E poi gli uomini di cultura ci vengono ancora a
dire che l'uomo è un essere razionale dotato di autodeterminazione.
L'uomo.
Quale animale l'uomo!
Che misero!
Quale ragione lo sospinge ad essere sempre compiacente
sempre obbediente
al baffo d'un poverino sergente alle stellette di un infantile tenente
alle cellule cervicali andate a male di un teatrante generale?
Mistero. Tutto è mistero.
Non mi capisci? Ed io non ti capisco.
Uguale a te mi sento
quando mangio quando piscio;
ma quando penso non mi sento
uguale a chi imbraccia il fucile e diventa
un animale da preda, un che cosa?
Un corpo meccanico?
Un robot umano?
Un numero ordinario?
Una biglia da lotteria?
Un eroe americano?
Premi il grilletto, premi!
L'omicidio è, in fondo, suicidio
quando l'intelletto giace stordito dal succo del diletto.
Ulisse naviga ancora
ancora soffre lo strazio della strage
naviga ancora e ancora non ha pace.
Si, è proprio vero, sono diventati una miriade i figli di quel Dio che ha detto di
chiamarsi “io sono colui che sono” alias “chi io sia sono cazzi mia” che vorrebbe
dire:“obbedisci e taci”.
Deve esserci rimasto male quando comparve quel Gesù che diceva: “sono il figlio
dell’uomo che vi dice: sarete beati se vi comporterete in sincerità nella pratica di ciò
che avrete compreso. Questo vi renderà liberi, ma a causa di ciò sarete perseguitati
dai Potenti che non potranno più circuirvi e confondervi; essi non avranno più
potere su di voi e perciò ordineranno ai loro servi di uccidervi. Non abbiate timore
di morire perché apparterrete alla famiglia del Dio Padre che è anche Madre:
Amore. Amore è la forza che produce Intelletto, Ragione, Comprensione, Volontà di
Bene, e chiunque agisca e perda la vita a causa dell’Amore, ha conquistato la
dimensione elevata della Dignità; ha dimostrato di essere Figlio e non servo”.
Gli ci sono voluti tre secoli e mezzo, a “Io sono colui che sono”, per riuscire ad
affiliarsi questa Scheggia impazzita, uscita chissà da dove; ma infine ce l’ha fatta,
guarda caso, con un Imperatore pagano che ordinò un Concilio (Nicea) ed impose il
Dogma. Si continua ad accusare gli Imperatori Romani di persecuzione contro coloro
che non credevano nella Divinità dell’Imperatore; nessuno accusa i Pontefici Romani
di persecuzione contro coloro che non volevano credere nella Divinità del Credo
partorito da menti umane intente ad imporre un nuovo ordine mondiale, grazie al
potere militare dell’Impero Romano. Sia l’Impero sia il Credo sono frutti di menti ed
azioni umane.
C'è, forse, qualcosa di nuovo sotto al sole? Sembrerebbe proprio che, circa ogni due
millenni, sorga, su questo pianeta, qualcuno prepotentemente armato, che decida di
imporre un Nuovo Ordine Mondiale.
Frammenti di pensieri sui muri corrosi
Il tempo propone le angosce di sempre.
Chi sono io, Savonarola forse? O Torquemada? Che io abbia capito non significa che
possa anche spiegare ciò che nessuna spiegazione è in grado di far comprendere. Il
Mistero mi ha inghiottito e mi ha impresso sulla fronte il suo nome: solitudine. La
maledizione del Dio Assente è diventata la mia maledizione: uno e trino, esisto parlo
opero, nella solitudine assoluta, costretto ad essere rivelato da coloro che, non
avendomi mai visto, spergiurano di conoscermi meglio di me stesso.
Ma adesso me ne ritorno a quel che mi è più congeniale perché io sono colui che sta
tra il serpente e la mela.
A noi belle fanciulle, passerine di seta imburrata, morbide e calde topine umorose,
uniche consistenze meritevoli della mia devota attenzione. Dov'ero rimasto? Ah si,
nel letto della ministrica.
Dunque me ne sto spaparanzato in questo letto largo due piazze e trequarti
pressappoco, massaggiandomi il Gaudioso, giusto per non starmene con le mani in
mano. Queste meravigliose mani prolungamento degli occhi e materializzazione della
voce.
Potresti adoperarle per qualcosa di utile, potresti tu dirmi. Ed io ti rispondo che non
conosco utilità più utile del piacere. Mentre me lo sto massaggiando delicatamente,
mi do un'occhiatina attorno. Però, questi tirolesi! Sanno veramente renderle
confortevoli, le camere da letto. Deve essere a causa degli inverni, lunghi e freddi.
Quale luogo migliore del letto per passare il tempo e starsene al caldo?
Dentro al letto in compagnia
d'una giovane fanciulla
fresca fresca soda soda
anche il vecchio si trastulla.
Me lo sto massaggiando delicatamente guardandomi attorno quando, nell'altra stanza,
dalla porta di comunicazione socchiusa, sento una ben nota voce: Permesso? ed in
risposta, la voce della mia, molto pelosa nel punto giusto, ospite: Avanti.
E' Bobocù il Bobocù che viene a cercarmi.
Sta dormendo. La voce della ministressa mi ricorda il ringhio del cane che non vuol
mollare l'osso; ma il Bobocù è uno che non si perde in complimenti e non rispetta i
titoli di nessuno: Se dorme lo sveglio. Io ci devo parlare.
Il Bobocù insiste, la ministracana non molla ed io, per evitare un probabile scandalo,
intervengo: Malefico!
Lo senti? E' sveglio. Famme passà baldr! ed entra spavaldo, rasato, lavato, in una
parola, bello e fresco come un ciclone caraibico.
A Primù, come stai?
Io bene e tu?
Mannaggia a te, m'hai fatto prende uno spavento! Ci ridi? Mi credevo che t'eri rotto
l'osso del collo. Quando t'ho visto rugolà come una palla di neve intramezzo a tutta
quella gente; e poi scapicollatte giù per le scale, me só inteso de morì. La smetti de
ride? Sei pure svenuto.
Ma quale svenuto! Ho adoperato la tecnica della sovrapposizione e ho fatto il morto.
Me vorrissi dì che facevi nfenta!?
Non vorrei: te lo sto dicendo.
Sei proprio un paraculo aoh! Parevi proprio morto! E tutti quelli ... mezzi rotti,
strillavano che parevano indiavolati. Te posso assicurà che te sei salvato solo perché
parevi proprio morto.
E io ti posso assicurare, invece, che m'ha salvato il telegiornale.
E come? Quelli mica stavano a guardà la televisione.
Loro no, ma io si. E per più di una ventina d'anni. Così, quasi senza rendermene
conto, ho imparato pure io la tecnica della sovrapposizione.
Che razza de tecnica sarebbe?
E' una tecnica politica ormai più che collaudata, e infallibile. Sta a sentire: quando ti
capita di provocare qualche casino e, non ci sono santi, è lampante che sei stato tu,
tu fai il morto o il finto tonto e ti armi di pazienza. Intanto pensi a come trovare il
modo per farne uscire fuori un altro (di casino) possibilmente un pò più di effetto;
ma in genere non ce n'è bisogno, perché c'è sempre qualcuno che, un bel casino lo
combina quotidianamente per conto suo. A quel punto, dal momento che la memoria
dell'uomo sazio è corta, il casino che hai combinato tu, prima, passa in secondo
piano e viene dimenticato. Così ridiventi vergine e puoi ritornare a rifare tutti i
casini che ti pare.
Tu dici che funziona?
A Bobocù, lo sai che ti dico? Lasciamo stare. Dimmi piuttosto, tu come stai?
Non lo vedi?
Eccome se lo vedo: in pompa magna, ti sposi?
Per carità! Vado al lago de Bragnes con Celia.
Bragnes? Vorrai dire al lago di Braies.
Come si chiama se chiama. Senti sò venuto a ditte che tutto a posto.
Mezzo dialetto, mezzo italiano, sei emozionato?
Oh basta! Ho deciso che parlo come magno. Intanto, da ste parti, parlino tutti
peggio de mi. Allora tutto a posto. Però levime a curiosità: te ricordi quanno
stammio a parlà de quello che urlava a Imola, l'anno scorso, prima che rrivassino
tutte quelle fighe?
Certo che me lo ricordo.
Allora?
Allora che?
Allora ... che urleva!?
Il Bobocù è al limite della sopportazione e, proprio in quel momento la ministressa
decide di dimostrare la propria ospitalità: gradireste un caffè?
Bobocù esplode: Non gradìmo gnente! E vedi d'annà a moriamm.
Lo acchiappo in tempo e gli chiudo la bocca prima che quelle zeta finali, impattando
con la dignità della nobile donna, ne ammacchino l'aurea, sfavillante corazza morale.
Si grazie, gentilissima signora. Un caffè in questo momento sarebbe il massimo del
piacere; ed accettarlo, il minimo della nostra riconoscenza.
Benissimo. provvedo subito. Ma la signora non è per niente scema. Perlappunto è una
signora e si ritira in attesa di ulteriori sviluppi. Sarebbe a dire che non si farà più
vedere finché il Bobocù non avrà tolto il disturbo.
E lèvime sta mano da ki a bocca!
Sei più ignorante di alcuni deputati in parlamento.
Ah, sarei io l'ignorante? E quella ke se ntromette quando due stanno a parlà, kedè?
Cjai raggió, ma la devi capì. E' una donna, è la padrona de casa e voleva solo esse
gentile.
Pure tu, vedo che cominci a cambià parlata.
Io m'adatto 'lle situazio' e 'lla gente e, visto che hai deciso de fà vede a tutti ke s'i 'n
buzzurro, m'adatto a ti; si no, de fronte a l'antri passerei pé uno che cià a puzza sotto
o naso.
No no, non te vojo costrigne a sto sacrificio. Tornamo a parlà corretti come quelli
che se credino d'èsse. Allora?
Allora, quel tizio.
Embè?
Ogni volta che ripassava la Ferrari, ogni volta dico. Quanti giri erano?
Sessantadue!
Ogni volta che la Ferrari ci passava davanti, quello che adoperava la bandiera come
fosse un vestito, urlava: Fammi veniree, Ferrari fammi venireeee!
Si, si, adesso me lo ricordo.
E quando c'è stato quel sorpasso proprio lì davanti a noi, ti ricordi?
Mi ricordo, certo che mi ricordo.
Ebbene, quello ha mugolato: Vengoooooo!
Perché, io no?
Ritornando a ciccia, ecco la dimostrazione di quello che affermavo: uno se ne può
venire anche solo con le parole.
Ma che dici, lì c'era la Ferrari davanti agli occhi, il rombo del motore, l'odore della
benzina bruciata!
E se hai una bella figa davanti agli occhi, non è emozionante? E' logico che deve
esserci un'emozione circolante, se no la valvola non la apri nemmeno con le
cannonate.
Gira che ti rigira, con le parole hai sempre ragione tu. Lasciamo stare. Per quello
che è successo prima, volevo dirti che hanno sistemato tutto. In quattro e quattr'otto
sono arrivati una decina di falegnami e muratori e hanno risistemato tutto il casino
che avevi combinato.
Che c'entro io?
Quello che c'entri, c'entri. Io so solo che, dove ci sei tu succedono i casini anche se
dormi. Quello che non mi spiego però, è, come fai a uscirne fuori come se tu fossi
solo la vittima. Stanno tutti preoccupati per te. Le ragazze, quella. come la devo
chiamà? Quella. insomma hai capito.
Grossa?
Grooossa!?
Grassa?
Graaassa!?
Enorme?
Enooorme!? vacca maremmana vorrai dire! E poi i finanzieri, i camerieri, quelli che
hai mandato a zampe per aria e, non ci crederai, perfino i giapponesi.
I giapponesi?
I giapponesi. Anzi, sei diventato una specie d'eroe per loro. Se non era per te,
c'erano due che non si sarebbero mai parlati. Invece adesso si sposano.
Si sposano? spiegati meglio.
Allora, uno di quei giapponesi era innamorato di una, sempre giapponese, da
quindici anni e non s'era mai deciso a dichiararsi. E pure quella giapponese s'era
innamorata di questo giapponese e neppure essa s'era mai decisa a diglielo.
Ammazza Bò! Potresti anche esprimerti in maniera.
Parlo in dialetto e non te sta bene. Parlo in italiano e non te sta bene lo stesso. Come
devo parlà?
Parla come magni e ripeti tutto dall'inizio.
Allora: 'ntramezzo a quello mucchio de giapponesi ce ne stavino due, un maschio e
una femmina, che s'erino nnammorati da un sacco de tempo, ma nun s'erino mai
dichiarati. Va bè kossì?
Perfetto.
Dunque: tu, cò quel pò pò de casino che hai combinato, l'hai fatti dà una bella
capocciata l'uno cò l'antra, e così se sò dichiarati. E non è tutto. Stasera faranno a
festa de fidanzamento e vònno che tu starai presente come testimone.
'azzo.
Cazzo che?
Esprimevo la mia ammirazione per la concisione e chiarezza della tua esposizione.
Ma falla finita! Comunque t'ho detto come stanno le cose. Adesso me carico Celia e
me ne vado al lago. Guasta la vista!
Hasta.
Come?
Niente. Non riesco a capire come mai Celia ha accettato di venire al lago insieme a
te.
Faccio schifo?
No. Però non sei il suo tipo, ecco.
Stai bonino e tranquillo. M'ha chiesto d'accompagnalla al lago perché cià bisogno
de stassene un pò in pace; e pure io, se lo voi sapé, perché tutto quello k'è successo,
da ier sera, non me lo sarei mai potuto immaginà ke potesse succede, ti saluto.
Caro impagabile amico! Se gli dicessi che neanche io avrei potuto immaginare una
così fantastica realtà, non mi crederebbe: anzi!
L'aquila sopra al prato volteggiava
con le ali aperte e senza batter penna
a giri larghi e lenti.

RICONOSCENZA

I buchi neri insegnano prudenza


perché non si sa mai di che si parla.

E' permesso? come si sente? La mia anfitriona ha provveduto a riempire


immediatamente il vuoto lasciato dal Bobocù.
Benissimo signora. Lei è gentilissima. Non so proprio come potrò sdebitarmi.
Che sfacciato puttaniere: lo so io e lo sa lei come potrò sdebitarmi; ma cortesia ed
educazione vogliono che si giunga a Filippi dopo aver solcato il mare e valicato le
montagne.
Che dice, sdebitarsi! Aver potuto aiutarla è stata una grande gioia. Fa parte del mio
carattere. Pensi che sono presidente di ben cinque organizzazioni di beneficenza.
Che vuole, mio marito ha così tanti impegni ed io così tanto tempo libero che. come
posso dire? Questa mia naturale predisposizione ha potuto manifestarsi nella più
banale semplicità.
Oh signora! La sua modestia è pari alla sua bellezza; e se non fossi ancora
dolorante per quell'incresciosa caduta, sarei felicissimo di dimostrarle tutto il calore
della mia ammiraz. ma cosa fa?
Voglio aiutarla ancora di più. Le spalmerò questa pomata sulle contusioni. Vedrà, è
miracolosa. Me l'ha regalata uno stregone in Kenia, in occasione dell'ultima
missione di beneficenza che abbiamo condotto in quella terra. Pensi che abbiamo
regalato centomila cappottini nuovi a quei poveri bambini che vanno in giro sempre
nudi! Chissà che freddo durante l'inverno, non crede?
Non credo? Certo che credo. Quando una donna mi dà il suo letto, mi porta la
colazione, mi massaggia con una crema miracolosa e con gli occhi mi succhia il
midollo spinale io credo a tutto anche al lungo, freddo, nevoso inverno keniota.
E adesso quest'altra.
Cos'è?
Un'altra crema donatami da un eskimese in occasione di una missione di beneficenza
in Groenlandia. Questa fa miracoli con le parti molli.
Anche in Groenlandia?
Si certamente, la mia organizzazione viaggia in tutto il mondo.
Complimenti! E cosa avete portato in Groenlandia? Non che voglia essere scortese;
ma lei mi dimostra tanta benevolenza che mi permetto di chiedere intorno alle sue
sociali pratiche private (quando fai l'elemosina, che la mano destra non sappia cosa
sta facendo la sinistra). Fingere di dimenticarsene, è un ottimo modo per dare uno e
prendersi mille, quando si vive di malizia nella convinzione di praticare la santità.
No, non si preoccupi, lei può chiedermi. tutto.
E inavvertitamente sbottona la camicetta fino allo sterno. Però, che mele polpose le
mele della ministrica! Mi sa tanto che tra poco potrò vantarmi anch'io di essere stato
uno dei suoi beneficiati. Ha le mele di fuori ma è come se le avesse dentro anzi, come
se non le avesse affatto: non ci fa caso: oh, a quei cari bambini eskimesi abbiamo
portato. ah si! Dei costumi da bagno. bellissimi! Vedere la gioia di quelle creaturine!
Con quegli occhi così scuri e così lucenti! Ah è stato un momento di intensa e
indimenticabile emozione! E intanto le sue mani e la pomata eskimese stanno
avviluppando le mie parti molli. Mi sa tanto che questa pollastrozza stagionata è
scemascema o furbafurba. Passino anche i cappottini per il Kenia; ma i costumini da
bagno per la Groenlandia cominciano a rimanermi sul gozzo. Comunque, io sono un
tipo curioso, mi sembra di averlo già detto. Decido di stare al gioco e vedere se l'uovo
è ingallato.
Sembra incredibile che con tutti i suoi impegni riesca anche a trovare il tempo di
andare in vacanza! Non lo dico per farle un appunto ma per esprimerle tutta la mia
ammirazione.
Ma cosa dice, in vacanza? Noi non siamo mai in vacanza purtroppo. Anche adesso
mio marito, ufficialmente è qui per un periodo di riposo; ma in realtà deve
incontrare una grande personalità molto ben introdotta nelle alte sfere
internazionali. Oh cosa mi fa dire! Mi raccomando, non si lasci sfuggire neanche
una parola di questa confidenza che le ho appena …
Confidenza? Di cosa parla Signora? Io vedo soltanto le sue labbra (che labbra pene
mio!) muoversi senza emettere suoni. L'unico rumore che ascolto è il crepitio delle
mie vene che si stanno gonfiando gonfiando.
Se n'è accorta anche lei che mi sto gonfiando, che sono arrivato al massimo
dell'espansione e della durezza; e con tutte e due le mani attorno al melo della vita
non riesce a racchiuderne la circonferenza.
Lei è. un vero. gentiluomo. ah che pomata miracolosa! E quello che non riesce a
circondare con le mani scompare nella sua bocca, le scivola nella gola: una sonda
gastroscopica a modulazione renale. Pomata miracolosa tsèh. Bischerellina! Sono
stati mio padre e mia madre a darmi sangue buono e nervatura scattante; e un pò di
merito personale dovuto al costante allenamento. Come avrà fatto a denudarsi senza
mai lasciare il superwustel da insegna? Non me ne sono accorto eppure è lì, davanti
ai miei occhi, ineccepibilmente nuda, con una barba tolstojca che le parte dal pube e
le scende fino alle ginocchia. E' il momento della verità, il momento di ripagare in
tutto e per tutto la sua generosa, disinteressata ospitalità. Mi faccio largo in quella
savana di alghe arruffate. Cardatore provetto, le mie dita districano i peli e l'occhio
giunge in vista del fiore carnivoro, poi lo perde fatalmente di vista; ma ormai il
sistema di puntamento è regolato al millesimo sulle coordinate di mamma natura e
allo scud di carne non resta che seguire l'infallibile raggio laser del richiamo vaginale.
Pompo. Pompa. Pompiamo sincronizzati al decimillesimo di metro come i pistoni di
un dodicicilindri Ferrari. Grazie per queste reni potenti! Grazie per questo bacino
accogliente! E' superba l'anzianotta, una vera VIP in ogni sua apparizione. Contiene
la passione e l'elasticità di una sedicenne. Vorrebbe resistere. prolungare. sentirsi
innalzare sul palo del supplì e sentirselo scivolare dentro fin sulle tonsil. rospeggia.
speteggia. è decollata nel limbo dell'indicibile laddove la memoria rammenta soltanto
il Godere.
Anch'io mi sento sciogliere, inondare da quell'incontenibile flusso di liquido caldo
che sembra sgorgare da ogni poro, da ogni fibra, da ogni cellula del corpo e confluire,
inarrestabile, nella bocca di lancio: fuoco! Si propaga, dalla camera a tutto l'albergo,
alle valli montane, alle pareti dolomitiche, il mistico urlo gaudente della ministrica.
Quell'urlo che il mondo attendeva dai tempi di Casanova era tornato a risvegliare
l'entusiasmo delle folle. Un applauso osannante si levò e si propagò per tutta la Val
Punteria così che, a Bolzano lo scambiarono per il travolgente scroscio dell'Adige in
piena: trecentoventi morti e non so quanti feriti nel fuggi fuggi generale.
E' lo scotto da pagare per la legge della compensazione, la naturale legge
dell'equilibrio: ad ogni godere un dispiacere. E che vuoi che siano trecentoventi morti
in confronto al godere, a quel Godere! Ogni volta che gode un re o una regina. dico
ogni volta che gode veramente, come minimo ci scappa una guerra. Qualche
malignuccio domanderà: e ogni volta che scoppia una guerra di religione, allora? Al
godere di chi è dovuta? Che ne so, io. Con tutti i maghi maghini maguzzi magonzi
che ci sono in giro, andate a farvelo leggere nelle carte. Per conto mio ho soltanto
sfiorato l'argomento sulla legge della compensazione; per i particolari in cronaca
rivolgetevi alle riviste specializzate Epoca Gente CronacaVera e consimilari che,
intanto, sono tutte pestifere stronzate ammorbanti l'anima.
E' stato. sei stato. oh mio principe! oh mio angelo di fuoco! oh mio divino.
Per favore signora, non.
Clitolide sono Clitolide la tua schiava, la tua odalisca, la tua scarpa da notte, il tuo
bidè personale.
Oddio, vuoi vedere che questa è andata in tilt?
La scrollo per le spalle. La chiamo. La strapazzo. Niente da fare. Non riesco a trarla
da quell'espressione ebete e da quell'insulso loqueggiare. Adesso le mollo due sberle.
In questa condizione non è più né una signora né una ministrica né una VIP né
vattelappesca. E' una donna nuda, una idiotissima donna nuda che deve a tutti i costi
riacquistare l'uso delle sue abituali facoltà. Pam e pam e la metamorfosi è istantanea.
Che mani miracolose mi ritrovo: Mi scusi.
Dove sono? Chi è lei?
Vuoi vedere che questa qua, dopo quel pò pò di godimento si appella all'attimo
fuggente della momentanea incapacità di intendere e di volere, per uscirne linda e
pinta come la monaca di Monza dopo essersi confessata?
Ah sei tu!
Mi sbagliavo. E' una vera signora di professione, una donna d'amore e d'onore che
non sfugge le proprie responsabilità: Sono io. Mi perdoni, ho dovuto schiaffeggiarla.
c'era una mosca.
Una mosca?!?!?!? Orrroore!
Adesso non più. è volata via. si calmi. si tranquillizzi.
Calma?! Tranquilla?! Come posso? Sono felice! Ho voglia di ballare di cantare di
aprire la finestra e gridare a tutto il mondo la mia felicità!
No! Per carità non apra la finestra. Non sarebbe il caso. la sua posizione. suo
marito.
Mio marito! Cielo sono sposata! L'avevo dimenticato. sono così felice che non riesco
a ragionare.
(Cazzo mio che gran benefattore sei!) Chissà che razza di bomba le è esplosa nelle
ovaie, per farle dimenticare cinquanta anni di alta società. Io, per conto mio non mi
sento affatto felice. Lo sono stato quando ho goduto; ma una volta fatto è fatto.
Questa invece, come d'altronde quasi tutte le donne, sembra che goda di più dopo, nel
ricordo. E' sempre un momento piuttosto imbarazzante. Lei è felice e tu devi fingere
di esserlo per non deluderla. Fortuna che hanno inventato la doccia. Ci siamo dati una
bella risciacquatina reciproca sotto lo spruzzo insolente e canterino della doccia poi,
mentre lei si asciugava, si pettinava, si maquillagiava e rifioriva composta e solenne,
come la sua posizione pretende, in un tailleur verdemarcio stile hostessalitalia, io mi
tuffai nella vasca da bagno, in un effluvio di sali minerali e mi accesi un sigarone stile
Fidel.
Suo marito?
Non riuscivo ancora ad eliminare il lei, mentre il suo tu confidenziale mi risuonava
fastidiosamente boccaccesco. Fastidiosamente perché chi ti dà confidenza,
automaticamente si crede autorizzato ad accampare dei diritti su di te.
E' partito stamattina presto per le Tre Cime. Cinque ore di marcia all'andata e
cinque al ritorno.
E' andato a piedi?
Che c'è di strano?
Secondo me, un ministro che va a piedi è tutto strano.
In questo caso era necessario. per non dare nell'occhio. E poi lui è un grande
camminatore.
Il cicaleggio ovattato del telefono la trascinò in camera da letto e poco dopo sentii i
suoi passi condurla verso il tinello. Si ferma. ritorna. chiude la porta della camera da
letto. Due mandate di chiave: trac trac e poi silenzio. Mi rilasso ancora di più
nell'acqua profumata. Ancora una boccata di avana e, neanche a farlo apposta, mi
concedo il riposo del guerriero: mi appisolo beatamente.
Sogno una piscina. Una ragazza, da sotto a un ombrellone, si toglie gli occhiali da
sole e mi, inequivocabilmente sorride. Come al solito non mi tiro indietro. Gonfio i
pettorali, retraggo il buzzo e divento uno Swarzeneggher maggiorato. Il mio passo
slanciato e misurato è tutto un guizzare di quadricipiti mentre mi avvicino al
trampolino. Già mi vedo, plastico e sublime, avvitarmi in un elegantissimo triplo
salto mortale; ma, guardandomi volteggiare, non posso proprio far caso a quella
maledetta pallina da golf finita, chissà da dove, sul bordo della piscina e capitata,
chissà come, sotto la pianta del mio piede destro. Parto in spaccata, sbatto le palle sul
bordo della piscina, vado a fondo e non riesco più a riemergere. Una orribile
sensazione di soffocamento mi si sta portando via quando, una strattonata sulla testa,
mi avverte che qualcuno mi ha preso per i capelli. Incosciente! è la voce
incazzatissima della ministrica. Vuoi far scoppiare uno scandalo!? Vuoi rovinarmi!?
Afferro al volo il momento e la situazione. Quella stronza di vasca da bagno era
troppo lunga ed ero finito per scivolare pian piano sotto il pelo dell'acqua.
Fortuna che sono arrivata mentre stavi andando sotto! Incomincia a lacrimare.
Averti appena trovato e doverti subito perdere.
Riprendo subito nelle mani il bastone del pastore:
Non credevo che la prendesse così tragica! Era uno scherzo. L'ho sentita arrivare ed
ho avuto, lo riconosco, la balorda idea di. farle uno scherzo.
Uno scherzo del cazzo! E non stupirti del mio linguaggio perché ora davanti a te
vedi soltanto una donna innamorata. E poi smettila di darmi del lei. Io ti amo,
capisci? Ti amo!
Ah che casino! Bobocù se n'è andato al lago di Braies ed io mi trovo intrappolato da
un amore di tarda età, senza nessuna prospettiva di poter uscirne fuori con la mia
solita classe. Classe non va bene? Diciamo allora: con la mia solita indifferenza.
Questa è capace di lanciarmi dietro i famigerati NOCS. Famigerati, non in senso
dispregiativo, al contrario: ammirativo! Segugi implacabili ed esplosivi uomini
d'azione, umili eroi, anonimi artefici di leggendarie imprese, tipo? Boh. Per ora ho
altro a cui pensare.
Al contrario di me che eroe non sono e che, solo al pensiero... so che è folle anche
immaginarlo; però, nelle situazioni critiche ti vengono in mente tante di quelle cose
mostruose che ti senti un pulcino nella bocca del tuo gatto. Guardalo, quell'occhio
famelico che tenta di ipnotizzarti. Immaginati di essere il tuo uccellino nella gabbietta
e. brrr! Perciò concedi anche a me di rabbrividire: sono un piccolo cardellino nella
gabbietta della ministrica. E penso. Scavo a fondo nella tana dell'inventiva. Un modo
di uscirne salvando, come si dice, capra e cavoli. Niente da fare. Stavolta è proprio il
caso di dire che sto bollendo nella mia pentola. Mannaggia a me e alla mia
generosità, al mio senso di riconoscenza.
Non mi dici niente?
Eh?! ah mi scusi, sono mortificato. scusami; se soltanto avessi immaginato il tuo
dolore.
Ce l'ho fatta. Le ho dato del tu. Mi sono ingabbiato ancora di più.
Bene.
Ha cambiato tono. E' quasi metallica, come fosse sicura di tenermi in pugno:
Ho una sorpresa per te.
Una sorpresa?
Si. Hai ricevuto un invito formale a partecipare ad una festa di fidanzamento che si
svolgerà stasera nell'albergo.
I giapponesi!
Come fai a saperlo?
Me lo aveva accennato il mio amico Bobocù.
Quello spregevole individuo!
Non è uno spregevole individuo, (passo all'attacco): è il mio amico più caro.
Perdonami. (che miciotta!) non volevo offenderti. Per amore tuo cercherò di
sopportarlo, sei contento?
Ma va a farti benedire, penso e non le rispondo.
Comunque la sorpresa non è ancora intera. Indovina chi è venuto a portarti l'invito?
allora?
Questo tipo di schermaglie mi fanno innervosire. Sto per dimenticare dove mi trovi e
con chi stia parlando; e mi va scivolando, sulla lingua, un bel vaffanculo ripieno. “E'
una questione di stile”, come dicono quelli che parlano per non voler dire niente,
stando bene attenti a limare i sentimenti e le emozioni in modo da non ferire la
suscettibilità di alcuno. Parlano e parlano anche per giorni interi e, sulle loro labbra,
le parole hanno tutte lo stesso peso e il medesimo nullo significato. La parola, di per
sé, non è niente; acquista valore e vita soltanto quando è espulsa dalle viscere dello
Spirito. Dire cazzo al cazzo e culo al culo è volgare, per carità! Nascondendosi dietro
al velo dello stile, la menzogna è riuscita ad esiliare la cultura dell'umano per
instaurare la cultura del robot. Checché ne pensiate cari signori, la manipolazione
dell'umano è molto più difficoltosa della manipolazione dell'ambiente; e tutta la
vostra cultura ricca di 'stile' è l'acqua d'una sorgente che non ci disseta affatto, a noi
che non viviamo per usare le parole, ma usiamo le parole per vivere.
Ha visto che stupende opere d'arte abbiamo in questa chiesa? mi disse un prete, un
giorno in cui, cercando un pò di conforto per lo spirito, mi ritrovai davanti a un
tabernacolo, approfittando di una di quelle ore pomeridiane nelle quali si può
chiacchierare a tu per tu con l'invisibile senza, attorno, gruppi di preghiera con il loro
tristo ronzio di litanie e giaculatorie.
Io avrei voluto sentirlo dire: Ha visto quale spirito di pace e consolazione aleggia
nella nostre chiese? Forse, quel che a me appariva un miracolo, per lui era la
normalità; sicuramente io avevo appena leccato, in terra, una briciola di quel
banchetto che egli consumava quotidianamente. Mi fece rabbia e pena nello stesso
tempo; e non potrò mai dimenticare di aver ricevuto un'offerta di acqua stantia da uno
che possedeva una cantina piena di vini pregiati.
Vento dal profondo
noia nell'uomo moderno:
Atena tace colpita da Era feroce.
Vento su acque ignote su terre selvagge:
Ulisse sospinto nell'andare inutile senza il ritorno.
Vento libro di sussurri e scrosci
poema d'ogni vita disprezzata:
vaga l'Atride gemendo tra i ruderi dissepolti.
Vento quieto rifugio dell'uomo sconfitto
membra recise dal corpo
coda di lucertola su asfalto bruciante:
Zeus dall'Olimpo tace.
Vento
senza meta vaga
tra i cipressi
tra i lauri prolifici
tra le mute rovine di Olimpia.

I FRUTTI DELL'ONORE
( Il giapponese incazzato )

Se mi vorrai parlar ti basterà


guardarti nello specchio
Nell’orecchio
la muta voce ti rimbomberà

Perciò me ne ritorno alacremente a quella prepotente voglia di affanculo da


indirizzare alla ministrica; ma lei mi precede d'un pelo. Forse il sesto senso
l'avvertiva di star tirando troppo la corda:
E' venuta di persona la fidanzata. E' bellissima. Mettiti l'accappatoio e vieni di là,
l'ho fatta accomodare.
Mi trovo nella camera da letto e la giapponesina è là, nuda, bianca diafana, distesa sul
grande letto acqua marina, abbandonata sull'avambraccio sinistro e. sorridente,
invitante, armoniosamente splendente nell'alone mistico d'una vittima consenziente.
Vittima. forse la vittima sono io e lei è la vedova nera travestita da Venere. Ora sono
in due. Anche la ministrica si è denudata e s'adagia accanto a lei e. mi invitano, mi
attraggono, mi avvincono, mi avvinghiano, mi. oddio!
I loro denti mi stanno straziando. Brandelli della mia carne pendono dalle loro bocche
insanguinate. Carne che si tramuta in pane e sangue in vino, quando mi si avvicinano,
bocca sulla mia bocca e mi costringono a masticare ed inghiottire.
E' strano. Non sento alcun dolore mentre spolpano le mie ossa; e nessun sapore
mentre inghiotto l'offerta della mia carne che mi mettono nella bocca.
Sono io, non sono io? Sono loro, non sono loro? Che sta succedendo? E' tutto
talmente vero che mi sembra di sognare e tutto talmente fantastico da sembrare vero.
E il silenzio. Un silenzio perfetto, assoluto. Una cometa viaggiante negli spazi remoti.
Penetra gli astri, colpisce distrugge si annulla. Si ricompone si allontana converge.
Punta dritta su di me. Ingigantisce. Mi è sopra. Si apre una bocca famelica, una
dardeggiante fornace senza calore. Voglio fuggire. Voglio fuggire!
Un urlo squarcia il velo di quel silenzio assoluto e dissolve la cometa antropofaga. E'
entrato un giapponese. Un terribile samurai ieratico gelido statuario. Con tutte e due
le mani stringe l'elsa d'una sciabola sguainata. La lama gli sale parallela al torace, alla
guancia destra, ai capelli e, la punta a triangolo isoscele, dardeggia bagliori assassini.
(Anche le sciabole fumano hashish?). La guardo e mi gelo, poi mi sciolgo. Sudo da
fare schifo. Sono avviluppato in una ragnatela invisibile. Non riesco a muovere nulla
del mio corpo. Solo il cervello sfrigola alla ricerca d'una soluzione difensiva.
Cielo, il mio ragazzo! sospira la giapponesina.
Cielo, che bel ragazzo! le fa eco la ministressa.
Che situazione del cazzo, mi ripete una vocina stereofonica all'interno degli orecchi.
Mi viene in mente quand'ero un tonno libero e prepotente e scorrazzavo nei mari
vergini, attorniato dalle mie femmine; e rivedo, tale e quale, il ghigno del pescatore
che mi infilò l'arpione nel costato. Sono fregato. 'Non sei fregato!'. Non mi posso
muovere. 'Sforzati un pò, perdio!'. Mi sforzo, mi sforzo. mi. e chissà perché, mi viene
in mente la barzelletta sull'unico superstite di quell'immonda bestialità che fu il
bombardamento di Hiroshima. Come si chiamava quel tale? Eroito Acagà.
È forse questa la molla che costringe l'uomo a perpetuare l'inutile ciclo di questa
insensata vita: la capacità di ridere e dimenticare il peso di ciò che la ragione non
potrebbe mai sopportare; se la vita avesse un senso. La vita forse no, ma la morte
sicuramente si, perché sento di ribellarmi con tutte le mie facoltà all'idea di venire
sfettuccinato e, di sicuro, se avessi una bomba atomica a portata di mano, gliela
tirerei in testa a quell'insolente di giapponese che vorrebbe privarmi di tutti i miei
futuri godimenti.
Puttanaccia! Quello che avrebbe dovuto essere un rombo di tuono gli esce dalla
faringe come un cinguettio di passeri. E' un controsenso. Se è incazzato fuori deve
esserlo anche dentro; ma se quello che esce da dentro non suona incazzato come quel
che si vede fuori, deve trattarsi di un abile mimo e pessimo vocalista.
Mi sbagliavo. Lo vedo sputare. Mentre apriva la bocca per gridare il suo disprezzo
alla fedifraga traditrice, nell'inalare l'aria da rigettare in suono, si era aspirato anche
una mosca che, rimanendogli invischiata nella saliva del gargarozzo, gli aveva
frantumato l'urlo della vendetta. Ah moschettaccia! Già che c'eri avresti anche potuto
strozzarlo. Comunque un gBobocù favore me lo hai fatto. Quel "puttanaccia"
risuonato come un "miciottina" mi aveva tolto da dosso la rete invisibile mmmhhh.
mi potevo muovere, sentivo nelle reni la potenza del fui delfino.
Il giapponese era incazzato davvero, superincazzatissimo. L'hai mai visto tu, un
giapponese incazzato? Per me era la prima volta e, spero, l'ultima. Preferirei trovarmi
davanti un plotone di marines, almeno quelli sono già un tutt’uno di tanti colori. Il
giapponese cominciò a cambiare: prima rosa, poi viola, infine nero. Un giallo che ti
diventa nero davanti agli occhi e… te la fai sotto anche se esci da uno sciopero della
fame di tre settimane (domandare a Pannella cosa rimane nelle budella dopo tre
settimane di sciopero della fame). Il giapponese distende le braccia, alza la sciabola,
apre la bocca per inalare. Ci ripensa: chiude la bocca e inspira dal naso. Comincia a
tremolare poi esplode: "Banzaiii" e si lancia all'assalto dell'onore disonorato. Zac zac
due colpi invisibili, come l'ex invisibile turista albanese; le teste della giapponesina e
della mia, molto benefattrice, spiccate dai busti, si vanno a parcheggiare sui
maschietti ricurvi dell'attaccapanni. E me? Mica sono scemo, io. Un plastico volo
d'angelo e mi sono trovato fuori dal letto prima che ci salisse a balzo lo sciabolatore
che, adesso, si volta verso di me e sembra che si lecchi i baffi. Non ce li ha. Glielo
chiedo. Mai avuti, mi risponde epperò se li fa crescere sul momento. Se li lecca, li
ripone ed ora sembra che dica: tocca a te. A me?! Ebbene sia! Mi rinfranca un pò il
fatto che, al cinema, vincano sempre quelli disarmati, quando si tratta di un duello.
Chiedo il sostegno degli antichi padri. Sono il principe dei gladiatori a mani nude. La
folla è tutta per me. Il mio nome, esploso da centomila gole, s'innalza nel cielo e fa
tremolare la carlinga dei B52 in perenne servizio di allerta nucleare. "Ave Caesar ti
saluto a nome del morituro: lui. Sai com'è. non conosce la lingua" ed espello il mio
urlo di battaglia: “A li mortéeeeee".
Il mio urlo lo scuote. Anzi, prima lo spoglia e poi lo scuote. E' lì davanti a me, dritto
sul letto e nudo come un fagiolo e sembra che non si renda conto. Non si rende conto.
Si guarda l'uccellino pendulo, scende ancora più in giù e vede due corpi di donna
senza testa. Mi guarda come per dirmi: che ci faccio qui? Gli faccio un cenno verso
l'attaccapanni. Guarda. Sbianca. Si, è tornato al normale gialletto. E si avvia a
presentarsi il più classico degli eventi made in Japan.
Scende dal materasso, si accoccola sullo scendiletto con le gambe ripiegate nella
classica posizione del fachiro; erge il busto, rigira la sciabola e ne appoggia la punta
nell'orifizio dell'ombelico. Mi guarda. Un lungo languido fuggente sguardo
d'abbacchio. Lampeggia, per un attimo, una fitta di stupore sul viale dell'abbandono:
La televisione. non è ancora arrivata?
No, non mi pare.
Lei è un giornalista?
No, me ne rallegro.
Che cosa fa nella vita?
Mi sa tanto che l'amico ci ripensa. mmmhh behhhh. diciamo che faccio l'ascoltatore.
Ascoltatore di che?
Di tutto.
Come un confessore?
No, per carità! E' tutta un'altra cosa. Il confessore è uno che dà consigli; uno che sa
dare precise indicazioni per ogni qualsiasi dubbio. L'ascoltatore è diverso. Viviamo
in tempi in cui tutti vogliono parlare e nessuno ha più il modo di stare a sentire
quello che l'altro ha da dire; così io ascolto ascolto ascolto e l'altro parla parla
parla, e alla fine è tanto contento di aver trovato un ascoltatore, da sborsare
qualsiasi cifra senza protestare.
Lei ascolta proprio tutto?
Certamente.
Allora, molto assai onorevole ascoltatore, voglia avere la bontà di ascoltare anche
questo. e sgancia un venticellino timido timido. Non è stato per mancarle di rispetto,
ma per farle comprendere quanto mi costi fare quel che sto per fare. Però l'onore lo
pretende, e la tradizione… cosa saremmo senza la tradizione?
Per adesso non saresti prossimo al suicidio. Comunque ci credo che ti costa; però
vedi pure di fare alla svelta che mi sto infreddolendo. Lo penso ma non glielo dico:
sono liberale io.
Un'ultima cortesia, prego. Dal momento che la televisione non è ancora arrivata,
vorrebbe farmi da testimone e dire a tutti quel che è accaduto qui, perché è accaduto
e come è accaduto?
Questo giapponese dev'essere tutto scemo. Io sono parte in causa; e poi, i cazzi miei
mi piace di tenermeli per me. Comunque non mi costa niente. Una volta che sarà
pippato, che si sarà tolto di mezzo, beato a chi cià un occhio!
Certo, si fidi di me. Sarò la sua voce. post mortem.
La ringrazio gentile signore. Non si dimentichi il nome, mi raccomando.
No no, ci mancherebbe pure!
Mi chiamo Thosùgo Marrìzzi.
Ma che te voi più sugà ormai.
Come, scusi?
Niente, era un pensiero mio.
Bene, grazie di tutto, molto onorevole signore.
E pian piano, con una delicatezza da pasticcere, si infila la sciabola nel ventre. Un
centimetro. due. tre. quattro. cinque. taglia verso il basso, arriva all'inguine. risale. ora
verso sinistra. torna indietro. verso destra. ha aperto una croce e gli intestini colano
fuori come un nido di serpenti ai primi caldi primaverili. e qui, come disse il
carrettiere che si trovava a passare sul ponte di Harnem mentre gli americani
sganciavano i loro tradizionali esplosivi souvenirs, mi cadde l'asino. Caddi io, per la
verità, mentre eruttavo un fiotto di vomito, a faccia avanti, nel groviglio delle
interiora del giapponese harakiriko. Una spugna mi scivolò nella gola, sentii chiudersi
tutti gli orifizi respiratori e.
Erano i giorni in cui, desiderando,
mi adiravo con la vita
e mi chiedevo se avesse un senso.
Intanto vegetando mi sfogavo con la fantasia.
Seduto sotto agli alberi dettavo
leggi più giuste e facili filosofie.
Erano i giorni in cui nessuno poteva farmi una carezza
o venire a cercarmi con sorriso sulle labbra
o con la minima certezza di trovare comprensione
o una risposta che fosse quasi onesta.
Intanto attorno a me la vita viveva la sua storia.
La gente si sposava e aveva figli
e gareggiava per vestirsi alla moda e comprarsi un'auto più bella.
La vita era soltanto confusione:
anime ibernate, corpi in putrefazione.
Se questa era la vita, tutto era stronzata.

ERRARE UMANO, PERSEVERARE POLITICO

Stronzo mbecille disgraziato!


E' la voce di Bobocù, lontana, cellofanata. Vampate di caldo sui glutei sulle spalle
sulle braccia. vampate di caldo sparse qua e là e freddo. tanto freddo dappertutto.
Cojone! la voce del Bobocù si è fatta più tonica: te sveji?!
Ahi! Sento un bruciore sfrigolante alla base renale.
Ah ci senti sordo'? la sua voce adesso è trionfante.
Eccome se ci sento! Manate a palma piena. mi si stampano dappertutto sulla pelle.
ke scherzi me combini? adesso la sua voce mi entra nelle conchiglie a 250W.
Che è successo?
k'è successo?! T'ho ripreso p'i capelli, ecco k'è successo.
Il giapponese.
Quale giapponese?
E' stato il giapponese, m'ha fatto soffocare. le budella di fuori. il vomito.
E' normale è lo shock, può aver sognato; ma ormai è fuori pericolo. Voce di donna.
Nuova. Il tono mi piace ed anche l'idea che mi faccio della proprietaria. Non riesco a
vedere, non ce la faccio ad aprire gli occhi.
Quand'è così lo possiamo spostà, dottoré?
Si certo. Portiamolo sul letto.
Dottoré? E' un medico femmina. Hanno chiamato un dottore. Il Bobocù è
preoccupato e incazzato nello stesso tempo. Io non riesco ad aprire gli occhi ed ho
ben chiaro il ricordo di quell'osceno giapponese. Che sarà successo? No, sul letto no,
grido. Mi sembra di gridarlo: c'è il sangue. loro, ci sono loro!
Loro chi? Che sangue?
E' ancora sotto shock.
Che si pò fare, dottoré?
Ben poco per ora. Proviamo a tranquillizzarlo.
Primù, guarda ke ll'o letto nun c'è nisciuno e e linzola sò pulite pulite, più bianche
d'a tonica d'o Papa.
Bianche? Allora le hanno cambiate. Guarda sotto.
Sotto dove?
Sotto le lenzuola. Il materasso.
E guarda sotto, te vòi sbrigà?
A chi si rivolge Bobocù con questo tono insolente?
Sotto non c'è nulla. Ho rifatto il letto io stessa un'ora fa e posso assicurarvi che il
materasso è pulito come le lenzuola.
La voce! Non può essere! Lei è. morta. Ho visto la sua testa volteggiare nell'aria e
rimanere appiccata all'attaccapanni. ho visto il fiotto del sangue spumeggiarle dal
collo.
Hai sentito Primù? O letto è pulito.
Ho sentito? Si. No, non ho sentito niente. Tremo. ho freddo. mi si apre un buco nello
stomaco. un vuoto che si espande in cerchi concentrici e sembra risucchiarsi il
pensiero. la volontà. sto per svenire.
Massaggi! massaggiate! è la voce della dottoré.
Sta a diventà viola! questa è la voce del Bobocù.
Oh povero ragazzo! questa invece è la voce della morta.
Sei mani mi stirano la pelle, mi aggrovigliano i peli, mi pizzicottano. Mani frenetiche.
Mani dure callose brutali; mani gentili ariose spugnose; mani esperte decise sicure.
Cinque dita mi stringono lo scroto. mi sento già meglio. Una prima folata di tepore
viene da non so dove e mi scivola addosso. dappertutto. Il freddo si attenua. sparito!
Risorgo.
Ah zozzone, ce stai a pijià gusto eh? è la voce di Bobocù.
Però. è la voce della dottoré che ha lasciato lo scroto e sta stringendo il pennone.
Che cosa sta facendo!? questa è la voce della morta, abbastanza irritata.
E' una tecnica cinese molto indicata nei casi di congelamento. e sulla punta del
pennone sento un morbido, caldo, rilassante guanto.
Non sono per nulla d’accordo che questa sia una tecnica cinese; per me, questo è un
bocchino bello e buono! La morta si ribella contro la capacità professionale della
dottoré.
Pure pé me, stavorta te devo dà raggione.
Lei mi faccia la cortesia di non rivolgermi la parola, spregevole individuo!
Spreggevole a me? Scusa tanto Primù, ma mo' me pare che stai abbastanza bene.
Che cosa fa? Mi lasci! Mi mmpjkumpffu.
Ecco qua. E mo' falla pure tu la tecnica cinese. E non te azzardà a mozzicà che se no
te strozzo!
Ci risiamo. Metti un maschio e una femmina, dai loro un posto tranquillo, offri loro il
minimo spunto. I timori del Bobocù sono infondati. Se me la ricordo bene da viva,
alla morta non le passa manco p'a capa, l'idea di staccare il timone dal carretto di
bengodi. Infatti. Basta così: il resto immaginatelo.
Sto rientrando al pieno regime come un motore a cui è stato cambiato il carburatore
difettoso. Provo ad aprire un occhio: il destro. Sollevo appena la palpebra: ci vedo.
Un pò confuso, ma ci vedo. Riabbasso la tapparella. Non ho voglia di guardare.
Voglio immaginarmela un pò questa dottoré poco ortodossa ma inconfutabilmente
esperta in medicina orientale. Lavora con una. modernità? Parola troppo inflazionata.
Diciamo con una. professionalità. anche se non sono ancora riuscito a capire che
minchia voglia dire professionalità; ma tant'è, va di moda. Anche le corbellerie più
puzzolenti, quando vanno di moda acquistano il valore di dogmi.
Ho detto che me la voglio immaginare questa professionista sui generis. Parto dalle
mani. Vediamo un pò. eccolellà, come disse Elena quando vide per la prima volta le
palle di Paride: lunghe, affusolate, bianco lattepolenghi pastorizzato. unghie tagliate
a. mi ricordano il muso di un Tornado visto a sezione orizzontale. laccate d'un
Bobocù rubino, Bobocù chianti Dianella (un doveroso accenno al mio amico Mario,
benedetto da tutti i santi bevitori che hanno ricevuto la grazia di assaggiare il frutto
delle sue fatiche annuali e della logica annuale bontà del Buon Dio. Certo, caro, se il
Buon Dio non preservasse il vigneto dalla siccità, dalla grandine, dalle gelate, dagli
sBobocùcchi umidi, dai gitanti domenicali e non provvedesse a proteggere la
navigazione delle petroliere che portano la bumba per i trattori, aratri, erpici,
motozappe, irroratori contro l'oidio e la peronospera, il frutto del lavoro del mio
amico Mario, alla fine, sarebbe soltanto un pò di acqua di pozzo. sempre se il Buon
Dio protegge l'Enel e non fa mancare la corrente).
Vedo le mani paffutelle e ben proporzionate. I polsi. der teufel! non si è tolta la
camicetta. Non fa niente, salgo più in alto. La faccia è ovoidale, zigomi sporgenti,
occhi tra il grigio e l'azzurro, capelli biondi, bocca. mi si sta stampando nel cervello
la Caroline di Beautiful. brrr. Un altro di quei soprammobili americani buoni solo da
spolverare. No, mi rifiuto. Cambia colore baby!
Riparto dalle mani. Stavolta le voglio nere puntellinate di giallo come le bollicine del
chinotto. Sorvolo le unghie e passo dritto dritto a guardarle il viso: è nero come un
cielo di mezzanotte, con due sole stelle barbaglianti; labbra alla Sachmo e denti alla
sex symbol (ottimo dentista, very very good dentatura: corno di rinoceronte bianco?).
Bene. Questa qua è decisamente un pò più umana, senza dubbio più eccitante, in
definitiva una femmina.
Toc! Un colpetto sordo, appena appena percettibile e una sensazione di violata
privacy mi interrompono il film senza pellicola. Apro un occhio, questa volta il
sinistro. Ci vedo anche con il sinistro, bene. Vedo la dottoré e la carne ed i colori che
le ha dato la mamma. Porcaputtana, è bionda. Anche questa. E per la delusione
aziono la pompa idraulica del cannone retrattile.
E' sorpresa, la guaritrice. Sente scorrerselo via da sotto le dita, da dentro le labbra,
dalla carie dei denti. Una gomma americana senza più elasticità e sapore. Un salame
scivolato via dalla pelle. Le ovaie dardeggiano implacabili strali di gelido fuoco. La
bomba è già pronta nella canna di lancio, il conteggio è vicino allo zero e. qualcuno ti
ruba il percussore. C'è di che mandare in bestia anche il generale Swarzkropf.
Figurati la dottoré che vede maturare il fallimento di tutti i suoi lunghi anni di tenace
applicazione. Ha un cervello scientifico moderno perlappunto, e se la scienza dice
che una cosa deve funzionare, funzionare deve.
Bene bambina! Quando anche a noi ci faranno su, con circuiti stampati, microchips e
plastiche varie allora, a quel punto, mi leverò il cappello e dirò: prego alla scienza.
Per il momento mi permetto di. sorridere? Ridere? Facciamo sghignazzare, mi piace
di più. Affanculo la scienza. Porta pazienza. Pazienza perché?
Guardali come si affanno a far nascere moribondi e come si dannano per tenere in
vita i morti! Guarda con quale sfacciata soddisfazione mandano i giovani, i sani, i
robusti a farsi macellare mentre alacremente preparano ospedali per ricucire i
ventricoli, seghettare a puntino gli arti maciullati, applicare calotte alle scatole
craniche sfondate! Guardali perdio come si inzuccano in nome del giusto e del vero.
L'ironico, il tragico, il drammatico, in definitiva l'umano è, che si scannano gridando
l'uno all'altro: sono nel giusto! Sono nel vero! Io direi che siamo tutti nella merda. La
dottoré non ci sta, come quell'illustre luminare che praticava l'elettroschok al cuore
trapiantato della nonna ultracentenaria.
La dottoré si decide a sollevare la faccia, a tirarsi indietro la folta chioma color
deserto di sabbia e finalmente, a gettare un'occhiata al cuore del problema. Mi vede
con un occhio aperto e con, sicuramente, un'espressione di sadico disgusto. Fatto sta
che cambia subito posizione, atteggiamento e fisionomia. Era arrapata come un
somaro a maggio e, in un giro d'elica, diventa professionale come un fattorino di
pompe funebri: Come si sente?
E' tanto repentino il suo mutamento, senza il benché minimo cirro d'emozione, che il
mio incipiente senso di rimorso si tramuta, seduta stante, in soddisfatta vanagloria.

COME TI AMMAZZO UN IMMORTALE

Solo dolore, la condizione umana.


Potremmo un giorno o l'altro
respirare più ampi pensieri
cancellando il dubbio che oltre
alla misera umana condizione
subir potremmo divina delusione?

Prego ragazzi, continuate pure. Non vi preoccupate di me. Fate come se io non ci
fossi.
E questo chi è? Dove sta? Apro anche l'altro occhio e mi faccio una panoramica. Da
dove spunta costui? E' un amabile vecchietto sui settantacinque, tappetto al punto
giusto per sedere su una normale sedia senza toccare terra con le scarpe. Porta un
baschetto blu stile Pasionaria, alto sulla fronte, a far risaltare gli occhietti vispi, furbi
e indecenti. Deve averne viste di tutti i colori o, come si dice tra la gente comune,
deve averne fatte di cotte e di crude. Perché? Aspetta un momento e ti dico il resto.
Vado un attimo a pisciare e torno subito. Anche i raccontafavole pisciano, non lo sai?
Stai tranquillo non ho nessuna intenzione di incominciare a moraleggiare; vado torno
e ti racconto (come disse Cesare a Pompeo prima di partire per la Gallia).
Grandi amiconi Cesare e Pompeo. Anche tra questi due c'è di mezzo una storia di
letto. Ormai lo sappiamo tutti che la storia si fa nel letto anzi, si può dire, senza tema
di smentita, che il letto partorisce la storia.
Grandi amiconi, dicevo, finché non spuntò fuori Vercingetorige: alto, biondo,
vigoroso, possente cavalcatore di puledre, formidabile cazzo silvano. Tenendo
presente il fatto che viveva nelle foreste galliche e che al suo tempo non esistevano
superalcoolici e pacchetti di bionde, non c'è bisogno che appaia l'arcangelo a
testimoniare della virilità del barbaro.
Il munifico Cesare dunque si portò il Gallo a Roma per mostrarlo al popolo dietro al
suo carro del trionfo, con l'intenzione palese di portarselo in casa e imparentarselo a
tutti gli effetti; ma non aveva fatto i conti con la gelosia di PomPeo. Fatto si è che,
per decreto del Senato, il formidabile Cazzo Silvano alias Vercingetorige venne
sacrificato al sommo Giove Capitolino e Cesare non potette farci niente. Però partorì
l'idea che sconvolse l'ordinamento della repubblica romana. Si disse pressappoco
così, parola più parola meno: "Che razza di Cesare sono se, quattro burini chiamati
senatori, mi possono privare di ciò che è mio?" e detto fatto si inventò l'impero ma
non riuscì ad instaurarlo a causa della gelosia di Bruto il quale, stufo di sentirlo
piangere tutte le notti urlando il nome di Vercingetorige, lo tolse dal mondo come
tutti sappiamo: Tu quoque Brute, fili mi.
La storia non riporta la risposta di Bruto che potrebbe avergli risposto pressappoco
così: Non te reggevo più.
Tutta colpa degli speziali romani che non avevano ancora inventato i tranquillanti.
Probabilmente Cesare sarebbe campato fino alla demenza senile, Bruto sarebbe
diventato il secondo imperatore di Roma e nessuno avrebbe mai sentito parlare di
Filippi.
Comunque, all'inizio di tutto c'è il letto. Eh si: senza letto niente sesso, senza sesso
niente storia. Io proporrei di abolire il letto per avere la controprova scientifica di
questa tesi.
Il vecchietto dagli occhi vispi si sta godendo lo spettacolo. Ha una poltrona in prima
fila senza bisogno di pagare il canone e senza quei rompicazzo degli spot televisivi in
mezzo alla storia. Gli offro gratis un vero film di autore fotogramma per fotogramma
anzi, faccio di più: lo imprimo nella pellicola e ne faccio il protagonista.
Improvvisamente grida: Clitolide! Oddio! Un'erezione! ma Clitolide non lo sente. Le
palme delle mani del Bobocù le otturano le orecchie e le dita, intrecciate dietro la
nuca, la guidano in un va e vieni sincronizzato alla lunghezza del pistolone. Il
vecchietto comincia ad imprecare: Sgualdrina! Troia! Cavalla di Ippolito! Ecco a
cosa servono le mogli: a non farsi mai trovare nel momento del bisogno! E' eccitato
davvero. Gli succede il miracolo e non può trarne giovamento. Un baciapile
ortodosso direbbe sicuramente che è una punizione per un qualche peccato di lui o di
qualcuno dei suoi antenati. Partendo da questo presupposto, scorrendo le generazioni,
mi sa che si dovranno abolire tutti i pedigree. Comunque, peccato o meno, il
vecchietto è proprio arrapato e la foja lo sta facendo squinternare; ma la necessità
aguzza l'ingegno e il vecchietto mette in atto le sue (storicamente) documentate doti
di contorsionista.
Succede sempre così, devo fare tutto da me! si piega, si piega, si. e incomincia a
succhiarselo, con la bava che gli cola dall'orifizio labiale.
Caro diario forse tu non avresti voluto saperlo e stai già assaporando il disgusto del
futuro evolversi, ma io debbo. E' un fatto. E' accaduto, e la tua stessa vita dipende dai
fatti, dagli avvenimenti. Perciò vedi che è necessario, anche se ributtevole. Se vuoi
esistere devi accettare il bello ed il brutto, Dysneiland e Gerusalemme, Bengodi e il
Calvario.
Non uomini,
invita al banchetto sacrale, il servo infedele;
ma demoni.
Il vecchietto se lo sta ciucciando e la bava gli cola dalla bocca. Come avrà fatto a
piegarsi al punto da arrivare a ciucciarselo? Se la paura riesce a spingere due piedi a
novanta all'ora, non vedo perché una arrapatura impensata e impensabile non possa
spingere un povero cristo a chiudere il cerchio.
E' divino il vecchio, divino come le statue delle divinità Indù. Le palme delle mani gli
sbucano da sotto le ginocchia e le dita guizzano come tentacoli di polipo; poi si
distendono, raggelate da una scossa che gli pietrifica il corpo; e gli cade il basco
portandosi appresso un parrucchino di puro capello albino. Il basco blu e il
parrucchino albino sulla moquette rossa: esplode la Marsigliese. Un'orchestra di
diecimila elementi ed un coro di cinquantamila voci accompagnano il trapasso del
Tappetto: Allons grand-père l'infern t'attend e ta gloire è merda secca.
So che ai funerali ufficiali sarà tutta un'altra musica e i celebranti lo spediranno
direttamente nel Giardino, sotto le calosce del Creatore, su un'eterea astronave di
salmodie e nuvole d'incenso. I semplici, bischeri, ci crederanno e gli faranno anche
un monumento; gli intitoleranno strade e piazze e, tutti i suoi compari, finché il loro
Capo non li richiamerà là da dove li aveva mandati, commemoreranno, anno dopo
anno, la data della sua dipartita e celebreranno, coccodrilli compunti, la sacralità che
ha circonfuso il suo ultimo respiro.
Io me ne starò da una parte a ridere, io che so come stanno veramente le cose e mi
gusterò lo sperpero di fiori, la canea di panegirici e, soprattutto, i severi fascicoli della
causa di beatificazione. Anche quella, perché solo chi conosce la vera natura del
Sacro, sa ben inquadrare il livello di sacralità degno del Potere e del Denaro.
Mamma ricordi
quei giorni d'inverno davanti al camino?
Un tenue Bobocùre carezza di brace
schiariva e scaldava il tuo viso.
Ricordi il tuo canto
sussurro di mare al mattino?
"Bambino mio bambino mio"
Chissà che visioni pensandomi grande!
Chissà che emozioni nel cuore!
Poppavo dal tuo seno d'avorio
che mai vide il sole né sguardo d'estraneo;
per questo più t'amo e più ti rispetto ché
vita m'hai dato dal ventre e dal petto.
Adesso, il bisogno di un po’ di purezza
mi spinge a cercare e
solo su te
trovo certezza di osare una carezza
che sia solo affetto.
Morì. Il vecchietto sborrò e morì nello stesso tempo, e lo sperma seguì la scia della
bava, filante sperma filante, gocciolante, gocciola la goccia gocciola.
Dottoressa. mi azzardai a sospirare.
Era livida, forse sconvolta. Può darsi: più si che no. E' morto?
L'esperta è lei. Se gli desse un'occhiatina da vicino.
Perché non cade? E' rimasto lì, seduto sulla sedia. non è possibile, non è possibile.
sussurra e si massacra le dita delle mani, prima di stritolarsele tra le ginocchia.
Coraggio donna, andiamo a vedere.
E le accarezzo un pò le tette e le do una strusciatina al monte di venere per farle
tornare il colorito. Con il sangue ossigenato ritrova la fermezza della pratica
professionale.
E' morto, dice dopo averlo palpato sotto le orecchie, però non riesco a capire come
non sia caduto dalla sedia, è pazzesco! E' contro ogni legge naturale!
Non ti scaldare piccola mia. Controlliamo. Dammi una mano a spostarlo.
Non si può, bisogna avvertire la polizia.
Sei tutta matta, donna. Questo è. era un ministro. E' un corpo sacro. Pensi forse che
potremmo permettere a qualcuno di vederlo. così? Il mio spirito patriottico si
ribella, il mio senso di rispetto e di venerazione per le istituzioni ed i loro più alti
rappresentanti mi suggerisce di buttarti dalla finestra se. e me le avvicino con le
braccia tese e le dita aperte, pronto a stringerle il collo.
Non insisto, non avevo valutato il problema in tutti i suoi aspetti.
Brava. E' come l'acqua: si incazza e si placa senza preavviso. Incomincia a piacermi
anche se è bionda e bella e sono stufo di corpi biondi e belli.
Il corpicino inerte del vecchietto è una pallina oscena in bilico sulla sedia. La dottoré
ha ragione: è impossibile. Ma a me il vecchietto non mi frega. Te lo do io
l'impossibile, come diceva il Grillo impertinente quando ti sbatteva in primo piano i
culetti rotondetti delle brasiliane. Infatti me lo scruto a modino, come dicono in
Toscana, e. che ti vado a scoprire? Un perno, diavolo! Il perno famoso di Leone Gala.
Con un bel perno infilato nel buco del culo, anche l'universo, per quanto ballerino,
non correrebbe mai il rischio di cadere. Il vecchietto si era fatto fabbricare una sedia
sessuata portatile. Un marchingegno altamente raffinato e scrupolosamente fedele
alle misure indicate nel Turgeofallum Africum, il cui originale sparì dalla biblioteca
di Alessandria all’epoca del martirio della saggia Ipazia, saggia e non santa perché i
suoi carnefici furono monaci cristiani al servizio del “Dottore della Chiesa” Cirillo.
I romani, si che se ne intendevano! Copula contro copula, attacchi stoppate parate
rilanci incursioni sconfinamenti ammucchiate assembramenti venti venti venti
venticelli di ventre, aromi naturali, alcove semoventi e sedie cazzute, come la sedia
del defunto. E te credo che sfida la legge di gravità. Con quell'arnese di legno infilato
nell'ano, potrebbe farsi anche un mese di agriturismo: cloppete cloppete cavalca
cavallo, sgroppa sgroppa godo e non cado.
Godo godo godo: stronzate. Un godere tanto misero che non potrebbe riempire
neanche il ditale della sartina. Però com'è suggestionabile, plagiabile, il pensiero. Di
fronte ad un presente osceno, se n'è andato subito a cercarne uno più osceno nel
passato; eppure in quello stesso passato si sono pesate tonnellate di santità. Avrebbe
dovuto andare lì, per analogia: negli esempi di castità e virtù spirituale, in modo da
trovare una comparazione di livelli e di destini; e di giudizi, perché no?
Lasciando stare quello finale, esoterico e inconoscibile "ciò che non è possibile
all'uomo, è possibile a …" ci si può sempre regolare sul semifinale: il giudizio storico
che mostra limpidamente gli effetti della cultura del vizio.
Si, le società si disfanno come gelati al forno, nel proprio dolore e nell'altrui
disprezzo, quando il sesso diventa vizio; quando cioè la speranza tracima in
disperazione e l'unica visione del piacere è quella trascritta nei geni naturali.
Si, è stata la disperazione che ti ha ucciso, vecchietto mio, poiché nel sesso non
cercavi il godere, ma l'affermazione prioritaria della tua esistenza. Ti sei sentito
rinascere, nevvero? Un ritorno miracoloso alla giovinezza: un vecchio otre in via di
sbriciolamento riempito fino all'orlo di giovane mosto schiumante. Improvvido!
Dove nascondesti la tanto decantata saggezza senile? Dove il curriculum
ultrasettantennale di messe e comunioni? "Non è ciò che entra nel corpo che rende
impuro l'uomo" è Vangelo; quindi ciò che entra nel corpo non può neanche renderlo
puro, nevvero?
Infatti facesti la morte di quelli che ascoltano ma non sentono; di quelli che guardano
ma non vedono. Ti sto facendo una bella predica, ammettilo. Soprattutto perché mi
sento il cuore gonfio di misericordia: eri un immortale, sei un morto.
Cosa te ne farai degli umani onori alla memoria, dacché l'ultimo palpito del tuo cuore
si è perduto in un umano fallimento?
Cosa sono codesto piolo di legno nel tuo retto e codesto bollito di carne nella tua
bocca, se non il segno di una fame disperata di potenza?
Se avessi un pò di fede ti direi: QUMI e tu ti sveglieresti; allora ti parlerei di uno che
si è detto capace di saziare ogni fame e di spegnere ogni sete. Uno che di piacere se
ne intendeva. quel tipo di piacere che ti riempie il cervello, espellendo tutti gli
pseudopiaceri animali. Se avessi un pò di fede.
Tutto è trascorso eppure ancora
tutto ritorna sempre più intensamente
ad inquietare la memoria.
Sembrava giuoco ed era vita vera:
il galoppo sfrenato sui cavalli a dondolo
i voli stregati su manici di scopa
i tesori di carta stagnola
le stelle tra le mani
il sole e la luna nascosti nel cofanetto delle caramelle.
Tutto è trascorso come trascorre il gusto
di un amore vissuto tra le rose
per ammazzare il tempo o per segnare
un nuovo trionfo nel libro del disgusto.
Tutto è trascorso come trascorre il treno
sulle tristi rotaie solitarie
mentre il falco librato nel silenzio
contempla e già gusta la feroce picchiata
sulla preda ignara.
Tutto è trascorso ma non tutto è perso
ancora viaggia un palpito nel cuore:
voglio vivere!
Mi è rimasta solo la pietà, perciò non permetterò che alcuno possa vederti, così. So
che non appena ti avrò tolto da quella sedia ti scioglierai in liquami puzzolenti; ma
supererò lo schifo ed il ribrezzo perché mi sento tuo debitore. Si, mi hai dato una
grande lezione di vita propedeutica alla morte e non vorrò, per tutto l'oro del mondo,
finire come te.
Bobocù, vieni qui.
Aspetta che sto a finì.
Finirai un'altra volta, adesso vieni qui che sono casini. Che succede? e si avvicina
abbottonandosi le brache.
Che ca. nel vedere il vecchietto circonflesso, gli si immobilizza la glottide nel
cemento dello stupore. É un allocco a becco aperto in attesa del becchime materno.
Poi i suoi occhi si rivoltano al soffitto e diventa bianco man mano, come una
damigiana quando se ne cava il vino: L'arcangelooo, sussurra.
Che arcangelo?
Non lo so. l'arcangelo.
Che fa?
Parla.
Che dice?
Dice che bisogna 'nventasse n'antro profeta perché se no so' cazzi.
Sono cazzi?
Dice proprio così: so'cazzi.
Perché sono cazzi?
Dice che non c'è più rispetto per il cielo e Lassù il Capo comincia a dare segni di
impazienza. Dice che l'ommini stanno a prenne 'na brutta piega e che ce vole n'antro
profeta, che se no se scordano de Dio e va a finì che s'ammazzano come cani
arrabbiati.
E perché lo dice proprio a te?
Dice che ce vole uno puro, pe' fa o profeta. Dice che m'hanno scelto a me.
Tu saresti uno puro? Tu che stai sempre in cerca di mettere a mollo il biscotto?
Dice che non conta niente perché io non ho mai costretto nessuna. Dice che so' puro
perché nonostante me fossi innamorato ho saputo rinunciare alla donna pe' non
rovinaje la famija e i fiji. Dice che so' puro perché, su o lavoro, non me so mai stato
a grattà le palle, dice proprio così: tu non ti sei mai grattato le palle sul lavoro, non
hai mai rubato i soldi al principale e ai clienti. Dice che so' ignorante, che non
conosco la filosofia, la dialettica e la retorica e perciò "non potrò cambiare il senso
delle cose che lui me dirà di dire". Dice che questo è un avvertimento e che poi
ritornerà a dimme tutto.
Fallo aspettare un momento: domandagli del morto.
Quale morto?
Il vecchietto inchiavardato sulla sedia. Che risponde?
Dice che a lui je interessano i vivi. i morti so' morti e non c'è più niente da fa. Dice:
lascia che i morti seppelliscano i morti, tu vieni con me.
Dove?
Sulla montagna. Devo andà co' lui sulla montagna.
Ci vengo pure io.
No. Dice che ci devo andare da solo.
E tu digli che io sono amico tuo e che tu, da solo, non vai da nessuna parte.
Vole sapé perché ci vuoi venire anche tu.
Digli che voglio fare da testimone; se no, non ci crederà nessuno.
Lui dice che la verità se testimonia da sola e, pure se te permettesse de venì co' noi,
non ce la faresti a salì sulla montagna.
Perché?
Se uno non è puro, non ce la fa.
Io non sono puro?
No, tu ragioni troppo e chi ragiona non fa. A lui je serve uno che fa e je ne basta uno
solo.
Allora lo sai che di dico? Apri bene l’orecchi: io, a questo arcangelo non ci credo.
Lui dice se, secondo te, io me sarei potuto inventà una sola delle cose che ho detto.
Inventare no, ma ripetere si.
Vedi allora che ci deve essere qualcuno che me le dice.
Non è detto: tu non hai fatto altro che ripetere cose risapute da millenni. Puoi averle
lette e imparate a memoria; e adesso mi stai prendendo in giro con questo arcangelo
che ti svolazza intorno.
Lui non svolazza intorno, Lui sta fermo come il sole e dice che, se proprio ce voi venì
sulla montagna, vieni; così te renderai conto che non te stamo a raccontà bucìe
perché.
Perché?
Perché, a un certo punto, a me mi porterà Lui e a te non ti porterà nessuno: perché
non sei stato invitato. Noi andiamo.
Aspetta un momento: domandagli come si chiama.
Dice che non te deve interessà.
Digli che invece mi interessa perché la verità che viaggia anonima è già una mezza
bugia.
Dice che. t'ha detto una parolaccia.
Tu sei il maestro della parolaccia, perché ti vergogni a ripeterla?
Questa a te non te la dico. Te la potrei dire pe' conto mio; ma se te la dice un altro
non ci sto. Tu, arcangelo o non arcangelo, le parolacce a Primultimo non gliele dici,
capito? Si è scusato, Primù.
Ah che amico il Bobocù! Puro come la fiamma dell'inferno. Non guarda in faccia a
nessuno quando gli tocchi l'amicizia.
Dice che si chiama Giacchiele e che. gli hai fatto perdere la serenità.
Perché quella pausa?
Veramente lui ha detto che gli hai proprio rotto i coglioni; perciò mo' se ne ritorna
su dal Principale a sentì come se deve da regolà e poi torna.
Digli di fare buon viaggio e di non prendersi il disturbo di farsi rivedere.
Ha detto: magari! Mi sa che non gli stai simpatico.
Si, che non gli sto simpatico. Quando mai può stare simpatico uno che ti domanda
perché? Devi andare di là. Perché? Perché te lo dico io. Tu chi sei? Io sono Dio.
Momento, momento. con tutto il rispetto e l'adorazione possibile, caro Dio, se tu non
mi dici perché devo andare là, o non lo sai o pensi che non riesca a capirlo. In tutti e
due i casi, io sarei carne morta che viene presa da un posto e buttata in un altro. E
questo contrasta con quello che mi hanno insegnato di Te e di Me.
Mi hanno detto che Tu sei fedele a Te stesso: perciò non potrai mai servirti
dell'ignoranza; e mi hanno detto che hai creato Me, libero, in grado di intendere e di
volere, di accettare e di rifiutare: perciò non potrai mai chiedermi di servirTi
nell'ignoranza. Allora permettimi di dubitare e di pensare che qualcuno, infelice, ha
aggiunto una D a un io, forse inavvertitamente; o forse ho capito male io
nell'allitterazione delle sillabe. Perciò ogni volta che qualcuno mi dirà di andare di
qua o di la, o di fare questo o quello, o di credere in questo e in quello e non saprà
rispondermi e si irriterà nel sentirmi domandare perché, avrò la certezza che quel
qualcuno parla per sé e non per Te.
Perciò questo Giacchiele che pretende capo chino e gambe in spalla, chi è veramente?
Da dove viene? Cosa vuole? Sono preoccupato. E meno male che non ha detto di
chiamarsi Gabriele, contro il quale non avrei alcuna possibilità. La prima volta si
presentò a un certo Abramo e nacquero gli Ebrei, Semiti; la seconda si presentò ad
una certa Maria e ad ovest fiorirono i Cristiani. Iafiti; la terza volta coinvolse un certo
Maometto ed apparvero gli Islamici, Camiti. Sem, Iafet, Cam, i tre figli di un certo
Noè, l’unico che sopravvisse al Diluvio. Tre fratelli, tre capostipiti, tre tribù
inconciliabili, costrette, ora, a condividere, gomito a gomito, lo strazio della reciproca
intolleranza. Si, meno male che non ha detto di chiamarsi Gabriele; da come ha
saputo manipolare la gran parte dell’umanità, non avrei potuto fare niente per il mio
amico. Avrei soltanto potuto stare a guardarlo mentre accedeva all’immortalità, a
prezzo di chissà quali luttuose tragedie.
Con codesto Giacchiele, invece… Giacchiele… mai sentito nominare; e la facilità
con la quale sono riuscito ad innervosirlo, mi conforta nel convincimento di potergli
strappare il Bobocù dalle mani.
No, il Bobocù non lo mollo. Se vogliono un profeta se lo vadano a cercare altrove. Se
lo vogliono puro, lo cerchino nei manicomi; i più puri stanno rinchiusi in quei luoghi.
Il mio amico non è un puro: è un deficiente. Ed io più di lui, perché invece di dargli
uno sganassone e svegliarlo, mi sono messo a discutere con il suo schok. La vista del
vecchietto morto, e morto come!, lo ha squilibrato e precipitato in una dimensione
mistica; e lì c'era pronto Giacchiele. Giacchiele…
Guardo (il Principio operante), la dottoré (il dubbio) e la, ormai ex ministressa
(l'adorazione) che guardano il Bobocù (l'impostore o l'eletto?) che guarda il morto (la
natura) che si sta guardando, con occhio spento, le palle sgonfie (la morte).
Sono perplesso. Il Bobocù che s'inventa un arcangelo? Mi rifiuto di crederci. Dunque
è vero. Allora? Allora mi guardo bene il Bobocù e cerco di leggergli, attorno alla
bocca, una traccia, una sfumatura che sia di sarcasmo, ironia, celia. Per inventarsi un
arcangelo e riuscire a rimanere serio, occorre una di quelle facce di gomma costruibili
solo dopo decenni di pratica politica. Il mio amico non potrebbe, ne sono convinto;
eppure la sua faccia è una maschera di pietra. Niente sudoretto, niente tremolii di
palpebra e di labbro, niente emozione: una vera, nobile faccia da schiaffi. e rimango
perplesso.
Il Bobocù è il centro del nostro universo. Per diritto divino o di fantasia, è il
Prescelto, è colui che ha il diritto alla parola e alla guida. finché non si muoverà non
potremo muoverci, finché non parlerà non potremo parlare. Spero che si sbrighi.
dovesse entrare qualcuno e trovarci qui, con il morto in quello stato e le nostre
bocche ripiene di arcangeli e di visioni, andrà a finire che ci ingabbiano tutti, chi a
Regina Coeli, chi a Santa Maria della Pietà.
Il Bobocù è immobile, talmente statico da sembrare una proiezione di diapositiva. Il
tempo stringe. Il morto si sta raffreddando e io, concedetemi, mi sto proprio
scoglionando.
Dai, Bobocù. Bisogna sistemare il morto.
Pensaci tu, io adesso ciò da fare. e se ne va con un passo da duce avviato incontro
alla gloria, trascinandosi dietro gli occhi adoranti della stagionata, quelli perplessi
della dottoré ed i miei, preoccupati è dir poco. Ma debbo lasciarlo andare. Urge
risistemare il morto in una posizione di accettabile decenza.
Schiocco le dita: Forza mesdames, al lavoro.
Mi carico sulle spalle la sedia e il morto e scaravento il tutto nella vasca da bagno.
Con l'aiuto dell'acqua bollente divido i due oggetti inanimati e, mentre la vedova lava
amorevolmente le ormai inutili membra e la dottoressa riassetta il letto, cancello dal
pavimento ogni traccia del tragico trapasso. Mezz'ora di alacre lavoro, mezz'ora di
devota pietà, mezz'ora di silenzio e finalmente tutto appare come tutto avrebbe
dovuto essere: l'ex grand'uomo, adagiato nel suo letto, è trapassato serenamente nel
sonno.
Sono sfinito. Mi congedo dalle due signore che neanche sentono la mia voce: mano
nella mano, nella penombra che annuncia la veglia, si stanno guardando teneramente
negli occhi. Sono libero.
Noi, assassini di Dio, aspiriamo all'immortalità
ma le uniche parole vive che ci sfiorano le labbra
sono i panegirici di morti.

IL BOBOCÙ PROFETA
Un'alba di silenzio s'apre a oriente
e partorisce vette inviolate
guglie d'avorio
tinte di sangue e di escrementi delle angeliche schiere
impalate, spennate vive, scorticate.
Le angeliche schiere cancellate dal cuore della vita
a causa della Parola che muore
candidamente
dolcemente imbossolata
nel filamento untuoso delle parole .
Sono, praticamente, un polipo gettato sulla spiaggia allorché, entrato nella mia
camera, chiusa la porta a chiave e avvicinatomi al letto, vi cado sopra in una specie di
spirale discendente. Potrei anche essere l'acqua di un secchio gettata in uno splash.
Che qualcuno conservi il mio scheletro per il risveglio. Non mi piace neanche un pò
l'idea di potermi ritrovare invertebrato come l'omino della Lagostina. se mai dovessi
risvegliarmi. A dire la verità, in questo momento non me ne frega niente: voglio
dormire, soltanto dormire, per sempre dormire. rmire. mire.
Mi risveglio contento come una pasqua. Sono di nuovo me stesso, con tutte le ossa,
robuste, e i muscoli, scattanti. Il sonno è il farmaco più tonificante che conosca.
L'orologio segna le undici e, dal chiarore che filtra dalle persiane, ne deduco che
siano le undici del mattino. Ho dormito la bellezza di una quindicina d'ore; alla faccia
di chi soffre di insonnia. Fate movimento, signore e signori insonni; convertitevi alla
sana e prolungata ginnastica sessuale, tanta e quotidiana, secondo i crismi della più
autentica animalità, con chiunque vi capiti, ovunque vi capiti e in qualsiasi momento
vi capiti. Datemi retta, mandate a quel paese le case farmaceutiche: ci guadagnerete
in salute, nel risparmio e soprattutto nel godere. Se invece godete di più nell'ingoiare
pillole e nel commiserarvi l'un l'altro l'atrocità sofferta nelle lunghe veglie notturne,
allora. come non detto. Ritiro il consiglio e mi dimetto dalla carriera di consigliere.
Tutto tace. Non un rumore, uno scalpiccio, un bisbiglio. Mi sono addormentato in un
albergo e mi risveglio, per dare l'idea, nel chiostro di un convento di clausura
abbandonato. Per chi non sa che cosa sia un convento di clausura, dirò che mi ritrovo
all'interno dello stadio Meazza a sanSiro il lunedì mattina. Fateci una capatina e
conoserete l'angoscia della solitudine e dell'abbandono.
Mi sto stiracchiando ben bene, stile gatto soriano in pensione, seguendo il percorso
dei muscoli e dei tendini in tensione, con la vista inconfutabile dell'occhio interiore.
Mi percorro questo misterioso corpo, atomo per atomo, cellula per cellula,
fluttuandomi dentro: aquila in un cielo terso, cetaceo in un mare calmo. Sono il Dio
che rivisita la sua opera per adorarsi nella contemplazione del risultato: la perfezione
peribile. Me ne autocompiaccio, prima che l'eternità venga a costringermi alla
perfezione imperibile: alla immutabile estasi della visione invisibile.
Mi stringo a me stesso, mi compenetro, mi avvolgo. Spira su spira mi amalgamo,
galassia narcisa che si riflette nei suoi miliardi di stelle e le raccoglie in un unico
abbraccio, sfibrante. Collasso. Implodo. Esplodo in uno schizzo di sperma filante. Mi
estasio. Mi sono goduto.
Nel gradevole abbandono alla spossatezza, regalo disinteressato di ogni eiaculazione
estatica, inserisco il disco della memoria e do una ripassatina veloce alle schermate
degli ultimi avvenimenti. Mi sembra che tutto scorra in un miscuglio di ritmi
divergenti eppure amalgamati. L'unica nota stonata è la visione arcangelica del
Bobocù: un’alzata di sipario su una improbabilità che c'entra come i cavoli a
merenda. Però non posso farci niente, non posso cambiare nemmeno una virgola.
Tu, mio caro, sei un diario e non un ricettacolo di fantasie; sei perciò obbligato ad
ospitare l'accaduto, il fatto nudo e crudo, tale e quale a come si presenta.
E rivedendo, mnemonicamente, la faccia estatica del Bobocù e risentendo, sempre
con gli orecchi della memoria, il fantomatico nome di Giacchiele, mi infilo sotto lo
spruzzo della doccia strofinandomi, fino al suo esaurimento, con un vergine bianco
pezzo di sapone marsiglia. Ah come profumo di pulito e di bucato! Mi sembra di
avere il naso infilato nel cassettone delle lenzuola della nonna.
E penso al Bobocù. Il suo letto è rifatto. Non una grinza sul copriletto, non
un'impronta sul cuscino. Dove avrà dormito stanotte? Se ti dicessi che un sommesso
russare mi invita a chinarmi, a guardare sotto il letto e a vedere il Bobocù beatamente
addormentato sul pavimento, mi crederesti? Potrebbe essere plausibile, dal momento
che la carriera di profeta richiede una certa dose di ascetismo. Però, in presenza di un
comodo materasso permaflex, avvolto in pulite lenzuola di misto lino, la forza
dell'abitudine vincerebbe su qualsiasi titanico proposito di ogni qualsiasi apprendista
asceta. Perciò non te lo dico che il Bobocù si è infilato sotto al letto per dormire sul
nudo pavimento. Stavolta la verità te la mostro e te la nascondo, te la presento ma
non la nomino: ti lascio libertà di scelta. C'è o non c'è il Bobocù sotto il letto? Non mi
interessa.
Vado a farmi una girata. Voglio sapere perché non sento ancora una voce, un rumore;
perché ho l'assurda sensazione di essere rimasto l'unica presenza nell'albergo. Do una
sbirciatina al piano: nessuno in vista. Busso ad un paio di camere: nessuno risponde.
Scendo al piano di sotto: stessa totale assenza di movimento. Scendo ancora: sala da
pranzo, bar, cucina, hall. Nessuno e, niente.
Sono solo, anzi siamo in tre: io, la mia ombra e il rumore dei miei passi. Uno e trino,
in questo vuoto primordiale sto assaporando il dilaniante tormento dell'Assoluto:
impossibile non soggiacere al trapanante impulso di creare. creare. anche una mosca,
una zanzara, persino un umano: purché ci sia movimento d'intorno, purché una
qualsiasi presenza mi renda presente.
C'è una parete a specchio e, nella profondità del cristallo, vedo uno, a mia immagine
e somiglianza: è una presenza e si muove. Riproduce fedelmente tutti i miei
movimenti.
Mi avvicino, si avvicina. Sorrido, sorride. Mi illude e lo tocco. Lo bacio: una gelida
presenza assente. Per analogia, quella proiezione irridente del me sofferente, mi
illumina d'una infinitesimale percezione della terribile tragedia Divina: ti creo a mia
immagine e somiglianza e subisco il gelo dell'ipocrisia o dell'indifferenza, e non
posso neanche distruggerti senza cancellare me stesso.
Quanto tempo trascorro a camminarmi incontro e riallontanarmi, avanti e indietro,
nella profondità dello specchio? Sono prigioniero del riflesso di me stesso, io che non
sopporto di essere il prigioniero di nessuno. Quando realizzo che, per liberarmi,
debbo distruggere lo specchio, ho già un gBobocù posacenere di onice bilanciato nel
palmo della mano destra. Lo scaglio contro lo specchio che esplode in miliardi di
schegge barbaglianti; ma da ciascuna di quelle schegge, un beffardo me stesso mi
irride e mi sconvolge.
Nell'intento di isolarmi mi sono moltiplicato: ho creato un popolo di ombre. A questo
punto mi incazzo di brutto. Afferro il manicotto della pompa antincendio e provoco il
diluvio albergale. Affogo il pavimento sotto a un metro d'acqua, poi apro la porta e
lascio che il deflusso porti con sé ogni frammento di cristallo ed ogni riflesso di me
stesso. Stavolta non salvo nessuno. Non ci sarà alcun Noè a riprodurre ombre vaganti
di giostra in giostra, nel tragico luna park dell'universo.
Amo, Retimna, l'amara sorte.
Il ritrovarmi solo ogni momento
Peregrinante
In groppa al mio liocorno
Sui fumi del vino.
Viandante
In un firmamento osceno:
Buio Programmato Fisso.
Così è così sei.
Andare! Dove!?
Cercare! Cosa!?
Osare! E poi?
Condannato alla morte in ogni caso.
No, basta!
Intuire che
Buio è sinonimo di Luce
Ignoranza è vera Sapienza
Correre è come starsi Fermo
No, basta!
"Ascolta: che importa se l'altro non vede?
Tu vai!
Lascia che pensi l'uomo all'uomo.
Tu vai!"
Dove? Se anche Dio ha temuto di andare da solo!
Se c'è stato un inizio, Dio non è. Se ci sarà una fine, Dio non sarà stato e voi avreste
invano sperato, invano creduto, invano pregato invano. Voi non sareste, invece voi
siete, la vostra voce vi manifesta. Io chiedo a ciascuno di voi: tu sei?
La voce di Bobocù mi giunge tonante dalle fessure della porta della piscina e tante
voci all'unisono erompono: io sono.
Chi sei?
E tante voci all'unisono tuoneggiano: colui che sono.
Ascoltate la vostra voce, non ha detto colui che è stato o colui che sarà. la vostra
voce ha dichiarato: io sono colui che sono. Questa è la voce di Colui che è, Colui
che vive, Colui che la Sua Natura obbliga ad operare perennemente. Egli è la
creazione e la distruzione, la dolcezza e l'amarezza, la tenerezza e il furore, la
passione e l'odio. Voi siete tutto questo e per questo siete, e le vostre opere vi
manifestano.
Niente ha avuto inizio, niente avrà fine: tutto è da sempre perché ciò che esiste,
esiste. Non abbiate timore della fine perché ogni fine è un inizio, non temete la
perdita del corpo perché il corpo non esiste: è soltanto una delle metamorfosi di
colui che voi siete, una delle infinite metamorfosi della fantasia del creatore-
distruttore, Colui che è. Non il corpo è, colui che è; Colui che muove il corpo è colui
che è. Il corpo ha avuto inizio e avrà fine, è stato e non sarà. Riconosciti e vedrai che
ogni forma è un corpo e in ogni corpo tu sei.
La follia del Bobocù ha valicato i confini dell'umano, ha penetrato l'abisso del
mistero, si è inebriata del sidro della conoscenza, si è adagiata nel grembo della
sapienza. Bobocù non è più lui, è un puro folle ineffabile. Il famoso “Colui che sono”
deve avergli fatto mettere qualcosa nel bicchiere mentre stava al lago di Braies con
Celia. Tra me e me scommetto che ha cambiato anche il nome.
Infatti una timida voce si leva a domandare: maestro Spandiluce, la tua sapienza.
Non sono maestro, io sono un servo, il servo dell'Arcangelo. Le mie parole sono le
sue parole e le sue parole sono le parole della verità.
Diabolico Bobocù malefico, non è pazzo. Ho frequentato un genio per più di
trent'anni senza essermene mai accorto. Dichiarandosi servo dell'ambasciatore celeste
si è elevato automaticamente al rango di Dio: le MIE parole sono le Sue parole e le
SUE parole sono le parole della verità; quindi il furbacchione proclama: le MIE
parole sono la Verità. Siamo appena all'inizio ma già vedo le Parche srotolare il filo
della tragedia.
Fermati Cloto, ti si bloccasse il fuso, e tu Lachesi, diventa di sale, e tu Atropo, riponi
le forbici nel fodero! Debbo intervenire, non so come ma debbo. Pur essendo
obbligato all'imparzialità del redattore, sono pur sempre un personaggio attivo della
storia.
Non potrò forzare le parole per cambiare l'evolversi degli avvenimenti, ma potrò
agire direttamente nell'avvenimento. E le parole saranno costrette a seguirmi.
Intrigante? Mistificatore? Chi se ne frega. Qui c'è da salvare un amico.
Quando in Mesopotamia ci fu da salvare Daniele dai denti dei leoni e dalle fiamme
della fornace, il suo amico non ci pensò su due volte ad intervenire, anzi gli fece fare
anche carriera, come pure a Giuseppe in Egitto.
Non sono quindi, io, giustificato ad intervenire in Val Pusteria per salvare il mio
amico da pericoli maggiori di quelli corsi dai due summenzionati? Io debbo salvare il
mio amico dalla dabbenaggine fanatica di alcuni e dal disprezzo violento dei tanti;
quei tanti che, historia docet, sono convinti di avere già l'esclusiva della verità. Ogni
nuova verità deve fare i conti con la precedente e poiché la verità è il più redditizio
dei business, è consequenziale il fatto che il prete e il pretore siano concordi nella
necessità di una ammonente crocifissione
In giro si sente ancora dire, da qualche bocca di ritardato psico-spirituale, che Gesù fu
ucciso dagli Ebrei o dai Romani. Non ce l'ho con codesti ritardati, non è colpa loro se
sono vuoti: ciascuno dà quello che ha. Mi incazzo perché tacciono i saggi che hanno
e non danno, che sanno e non parlano. La verità è fissata nel Vangelo e sta davanti a
tutti, nuda come il re. Allora poiché gli idioti non vedono e i saggi temono l'ira del re,
occorre la voce del bambino per gridare che il re è nudo.
D’accordo, il bambino c'è e grida che Gesù è stato ucciso dai Poteri: il Potere
Religioso, il Potere Politico e il Potere Giudiziario. I Sacerdoti lo condannarono a
morte, il Pretore emise la sentenza, i Militi eseguirono la condanna. Dire che siano
stati gli Ebrei o i Romani i responsabili di cotanta infamia, sarebbe come dire che il
caffè abbia ucciso Pisciotta. Perciò debbo salvare il mio amico dalla furia demoniaca
dei Poteri, debbo evitargli gli osanna dei semplici e il calvario dei potenti: è la mia
missione.
Dopo tanto vagare nella ricerca di un perché, scopro di essere nato per essere il
custode del Bobocù, baluardo umano contro le lusinghe angeliche.
Erede degli attributi divini: fantasia, forma, intelletto e volontà, contro incorporee
parvenze di verità. Ora la mia vita ha un senso e avrà un senso anche la mia morte o,
per dirla con le parole del Bobocù, ho indossato questa forma per questo.
Ho bisogno di meditare. Io non conosco la verità per grazia infusa, debbo
raggiungerla con l'intuizione della fantasia e la logica della ragione. Debbo analizzare
il mio amico e giungere il più vicino possibile al vero motivo scatenante, al Perché.
Solo aprendo questa porta e tuffandomici dentro potrò avere una speranza, perché in
tal modo avrei conquistato la stessa posizione dell'Arcangelo e potrei guardarlo in
faccia a tu per tu, naso a naso, fiato a fiato. Esco e m'inerpico su per il viottolo che
conduce al monte Casella.

RISOLUZIONE

Se vuoi il culo di qualcuno


conquista la sua testa.

Lavoravo nella colonia di don Cettino quando salii per la prima volta il sentiero del
monte Casella, guidando una fila di sessanta adolescenti più una assistente di
diciannove anni, alta un metro e sessanta, e pesante novantasei chili: Maddalena.
Nessuno era mai riuscito a farla camminare per più di cento metri eppure, quella
volta, nessuno riuscì a dissuaderla dal partecipare all'escursione. Da come mi
guardava, sapevo che avrebbe tentato di affrontare anche il K2, pur di starmi vicina.
Maddalena puzzava di selvatico come una volpe in calore; uno stomachevole puzzo
di marchese guasto mescolato con polvere di antibiotico: repellente. Lo stesso puzzo
di Aureliana, che le faceva il vuoto attorno, finché non arrivò a tiro delle narici di
Pasquale che impazzì: ruppe un fidanzamento decennale e venne diseredato dal
padre. Non avrei mai creduto che il naso potesse ottenebrare la ragione, ma essendo
testimone degli avvenimenti, potei osservare che l'animale uomo non conosce ragione
e l'istinto è più potente dell'intelletto.
Pasquale prese Aureliana e la chiavò giorno e notte per una settimana; poi la chiavò
tutte le notti per quattro mesi. Quando li rividi, sei mesi più tardi, Pasquale aveva
perso lo stomaco da autotrenista e Aureliana aveva perso il puzzo. Perdendo il puzzo,
Aureliana perse anche Pasquale. Pasquale invece, avendo perduto, prima la famiglia
poi la passione, guadagnò la libertà alla quale rinunciò, poco dopo, in cambio di un
insolente matrimonio con una anziana benestante: “non so che farmene della libertà
senza il denaro” mi disse in via confidenziale.
Dunque Maddalena venne all'escursione, mi si appiccicò ai talloni, pretese la mano
nei punti di salita più difficoltosi, mi intossicò, mi spogliò di ogni capacità razionale e
fece di me una belva feroce. Avevo dimenticato la responsabilità di guidare sessanta
adolescenti su un sentiero di montagna, avevo dimenticato il monito divino di
sopportare pazientemente le persone moleste, avevo dimenticato che la legge punisce
l'autodifesa, se non è documentata da visioni di testimoni. Ero puro istinto di
conservazione e, per salvarmi da una esplosione di nausea crescente che mi aveva già
bloccato lo sterno, dovevo allontanare da me quella ventosa puzzolente. Riuscimmo a
salire ma, appena prendemmo il sentiero per la discesa, Maddalena mise un piede in
fallo e si fece i trecento metri di discesa in dodici secondi. Povera Maddalena, se
invece di me avesse incontrato Pasquale non sarebbe morta giovane e vergine.
Non ho rimorsi, nossignore. Non mi considero un omicida ma un custode del
sacrosanto diritto individuale a non essere violentati nella propria natura. Non ho
aggredito, sono stato aggredito; non ho offeso, mi sono difeso.
Se la mia difesa ha causato la morte dell'aggressore, se la mia reazione ha causato la
distruzione di una azione prevaricante, come posso ritenermi autore di male?
Non meritavo punizione e non ho avuto punizione per il semplice fatto che si è
catalogato l'avvenimento come un incidente; mentre invece nelle situazioni in cui non
si può simulare l'incidente, il soggetto sottoposto alle prevaricazioni altrui, se tentasse
di liberarsi verrebbe immediatamente represso dalla legge. Questo filo di pensiero mi
riconduce a Bobocù e all'Arcangelo che lo sta violentando.
Bobocù non potrà liberarsi dell'invisibile carceriere, primo: perché non si rende conto
di essere prigioniero; secondo: perché avendo resa pubblica la sua posizione di
posseduto, tutte le sue azioni sono ormai vincolate all'oppressione della legalità.
La droga spirituale ha fatto di lui un tossico mistico, una delle più pericolose
aberrazioni dell'elemento uomo.
Io, che mi sono assunto il titanico onere di ricondurlo alla redenzione umana, dovrò
combattere contro l'esaltazione del suo io allucinato e contro la fede furiosa dei suoi
seguaci, finalmente protagonisti, eletti alla realizzazione di un disegno nascosto nelle
viscere del mistero. Due forze terribili, troppo potenti per un uomo.
Ma io non sono un uomo normale, non mi appassionano le solite sfide a cui sono
interessati gli uomini.
Lottare per un pezzo di terra, o per una passera invece che per un'altra, o per una idea
altrui mai meditata per manifesta incapacità speculativa, che stronzate!
Io mi esalto nelle imprese impossibili, nelle epiche imprese degne di un vero uomo
dove per vincere non servono i coglioni e i quadricipiti ma bensì quegli attributi
invisibili che, essendo rarissimi, vengono universalmente accreditati alla genialità. Io
non mi reputo geniale: sono soltanto un uomo che vuole combattere da uomo per la
realizzazione dell'uomo.
E poiché la mia visione dell’uomo diverge da quella comune, obbligandomi a
percorrere una stradina tracciata nel sottobosco intricato di una giungla, appena
appena intuibile nel groviglio di felci, rovi e liane, la lotta che debbo affrontare non
mi propone, come avversario, la solitudine, ma l’unicità; si, non mi sento solo, bensì
unico.
Organizzo il mio piano di battaglia. Punto primo: diventerò uno dei suoi seguaci.
Punto due: sarò talmente perfetto da diventare automaticamente ridicolo. Punto tre:
trascinerò nel mio ridicolo il profeta e tutti i suoi seguaci. Punto quattro: l'Arcangelo
diventerà la barzelletta del secolo. Punto cinque: io e Bobocù ce ne ritorneremo a
casa come se non fosse successo niente, accenderemo il forno a legna che abbiamo in
comune, cucineremo cannelloni al ragù, capretto lattonzo, pollo con patate, pizze al
pomodoro, ai fiori di zucca, ai peperoni gialli, alle cipolline e patate novelle,
inviteremo gli amici e passeremo una nottata in allegria mangiando e raccontando,
bevendo e cantando la ballata del cantautore:
In questa selva di anime morte
un unico suono scompone il silenzio:
il verso impudico del corvo.

CRONACHE DA ARETAEN-2 (PIANETA TERRA)

Xronian-5/8 AL CONSIGLIO di EDDEN

Tutto ciò che non unisce divide, tutto ciò che divide diversifica, tutto ciò che
diversifica diviene incomprensibile, tutto ciò che è incomprensibile genera paura.
Poiché la paura è irrazionale, la frequentazione dei discendenti dei nostri coloni,
trasferiti su questo pianeta dal Consiglio di Edden sette periodi fa, mi suggerisce che
costoro abbiano perduto la capacità di sfruttare ciò che ha fatto, del nostro popolo, i
colonizzatori dell'universo: la ragione. Infatti essi vivono prevalentemente nella
paura, l'uno dell'altro. Giungo alla conclusione che la loro evoluzione è degna di
commiserazione e, soprattutto la loro fine: si autodistruggeranno.
Ho provveduto ad isolare due di costoro, elementi interessanti per la nuova colonia di
Syphron. Il trasferimento dei suddetti avverrà secondo consuetudine.
Prima di procedere alla formattazione e ricompattamento della loro memoria,
suggerisco al Consiglio di EDDEN di prendere visione del diario che allego e di
spettrare il presunto autore: l'uno dei due che corrisponde al nome di Primultimo. Su
questo pianeta, anche se hanno penalizzato la razionalità, sono tuttavia riusciti a
sviluppare una capacità di fantasia superiore a qualsiasi altra colonia dell'universo.
Soprattutto le fantastiche teorie sulle Divinità meritano uno studio approfondito da
parte delle nostre menti direttorie.
Rapporto n.37377/69 ispettore intergalattico KRONYAN-5/8 dal pianeta Aretaen-2
nel quadrante 8/X di Tyrion - 5000° periodo di Edden.

Dal verbale della polizia stradale di Brunico, Alto Adige


Oggetto: incidente stradale.
...... Scontro frontale in prossimità di una curva tra autoarticolato Mercedes e
automobile Fiat Abarth 105TC.
Automobile Fiat completamente distrutta e incendiata. All'interno due corpi
carbonizzati. Impossibile identificazione dati automobile e passeggeri. Rinvenuto un
diario in prossimità del luogo incidente. Presumesi sbalzato dalla Fiat al momento
dell'impatto. Nessun nome o indirizzo all'interno del diario.
Poiché risulta scritto in lingua italiana e non essendoci state richieste di restituzione,
trascorso il tempo stabilito dalla legge, il suddetto diario è stato inoltrato alla
biblioteca nazione in Roma come organo competente in materia.
L'autore descrive. I suoi aggettivi esplicano, non
qualificano.
I suoi personaggi sono come gli si mostrano ed
egli li descrive come sono: tali e quali.
Essi sono ciascuno un aspetto della vita, e tutti
insieme fanno la vita.
Per questo, l'autore non può avere preferenze o
disprezzi: inevitabilmente egli influirebbe sul carattere
del personaggio che diverrebbe un'altra persona.
L'autore diverrebbe il mistificatore della sua
creatura, il traditore della sua opera.
L'autore è il Dio del suo mondo e la sua creazione
può esistere soltanto in funzione dell'autonomia.
Ogni intervento del creatore teso a correggere ciò
che non gli aggrada, lo imprigionerebbe in una
ragnatela inestricabile.
Egli diverrebbe lo schiavo della sua creazione, e
la sua creazione, indolente appendice in perenne attesa
di interventi straordinari.
Un creatore di questo tipo non sarebbe un Dio ma
un povero scriteriato, un masochista sconsiderato.

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